A un tratto mi ritrovai lì, a occhi chiusi. La leggera brezza primaverile mi sfiorava
dolcemente, accarezzandomi. Il rumore delle onde infrangendosi sulla scogliera mi cullava. Poi aprì gli occhi. Una miriade di colori mi travolse: pennellate di rosso, verde e giallo si mischiavano con il blu profondo del mare e il limpido azzurro del cielo. Quel posto mi aveva sempre affascinato: fin dal primo giorno in cui lei mi ci portò mi sentì al sicuro, protetto. Quando ci fermavamo a contemplare quel paesaggio che sembrava dipinto dallo stesso Monet, mentre si tenevano per mano, mi sentivo come a casa. Allora l’immensità del mare e di quella vasta distesa di fiori non mi faceva sentire scomodo, indifeso. Cos’era cambiato ora? Be’...ora ero da solo, da solo davanti all’infinità del mare. Allungai istintivamente la mano verso dove soleva esserci quella di lei, e trovai solo il vuoto a fargli compagnia. L’avevo vista per la prima volta seduta in una panchina, rivolta verso il mare. Sorrideva. Sorridevano le sue carnose labbra, sorridevano i suoi occhi color miele. Era bella, non c’era dubbio. Se ne stava lì, da sola e in silenzio, con l’oceano davanti ai suoi occhi. Ma lei guardava oltre, i suoi occhi sembravano smarrirsi tra mille sogni lontani, tra mondi sconosciuti. Rimasi durante vari minuti ad osservarla, chiedendomi cosa mai stesse pensando, ma non ebbi il coraggio di parlarle e continuai a camminare. Un paio di giorni dopo l’incontro, degli amici mi trascinarono ad una festa sulla spiaggia. La musica ad alto volume, i falò, le bibite e le belle ragazze: non mancava proprio niente, era il tipico festone in spiaggia. Proprio per quello detestavo essere lì. Quei divertimenti che un tempo mi entusiasmavano ora mi producevano una specie di disgusto, di disprezzo. Avevo bisogno di qualcosa di nuovo. Proprio quando stavo per abbandonare la festa, vidi qualcosa che mi trattenne. Eccola lì, a soltanto un paio di metri da lui, la ragazza della panchina. Il movimento del suo bacino inseguito dalle scintille del fuoco e accompagnato dalla musica m’ipnotizzò. E poi quello sguardo, quei fantastici occhi ora rinvigoriti dalle fiamme, si posò su di me, lasciandomi muto per un paio di secondi. Quella era la mia occasione, ora o mai, e così mi avvicinai. - Ciao. Bella festa, vero? – - Perdon? - - Bonita festa. Sono italiano, venuto qui de vacaciones. Como te llamas? - - Porque no te vas a otro lado? Hay muchas otras chicas en esta fiesta. - - Ma capisci l’italiano? - - Sì, pero por lo que veo tu no entiendes el castellano…sigues aqui. - - Scusami, non volevo seccarti… - Sentire il suo sguardo fisso su di me mi metteva terribilmente a disagio, era uno di quegli sguardi che ti fanno sentire inerme. - ma ti ho vista e non ho potuto fare a meno di avvicinarmi, mi hai incuriosito. – - No se como deberìa tomarme eso, la verdad. – - In nessun modo, voglio solo conoscerti – - Bueno… - disse esitando, ma infine gli lanciò uno dei suoi bellissimi sorrisi- me llamo Paula, y tu? – - Francesco, encantado di conocerte. – - Igualmente. Perdona pero me tengo que ir – disse, e si girò. No. Non poteva andarsene ora, ora che finalmente l’avevo conosciuta, pensai. E così, impulsivamente, la presi la mano e la fermai. Il solo contatto con la sua pelle, sentendo il leggero odore di fiori che emanava, mi fece tremare. - Que haces, tio? Te he dicho que tengo que irme. Andare via, vale? - Posso offrirti qualcosa da bere, una birretta fresca? So che la prima impressione che ti ho dato non è stata un granché…lasciami rimediare. – - Vale, pero solo una. – Ci avvicinammo al bancone del bar e ordinammo due Coronitas. Una birra portò ad un'altra, e alla fine rimanemmo a parlare insieme per ore. Ero affascinato da lei, e pensò che se l’amore a prima vista esistesse doveva certamente essere qualcosa simile a ciò che stava provando in quel momento per Paula. La festa stava finendo, la musica di prima lasciava il posto alle vecchie canzoni d’amore anni 90, i grandi falò erano ormai fuochini e la gente iniziava a distendersi sugli asciugamani a guardare il cielo, come facemmo noi. Non eravamo mai stati così vicini, così vicini che la morbida guancia di lei si appoggiava sulla mia spalla, così vicini che m’inebriava con l’odore di lei, così vicini che ci ritrovammo faccia contro faccia, occhi contro occhi, labbra contro labbra. Era la prima volta che assaggiavo il suo sapore e già ne era strettamente dipendente, mi sentivo invincibile. Non riuscivo a pensare a niente, dolcemente intrappolato tra le sue labbra speravo che quel momento durasse eternamente. Dopo un bacio ne seguì un altro, e un altro ancora, e un altro, e un altro, finché ci addormentammo abbracciati mentre i primi raggi di sole emergevano dal mare e le ultime stelle sparivano. I mesi seguenti con Paula furono fantastici, lei era semplicemente straordinaria. In sua compagnia tutto diventava speciale: stare nella mia mansarda ad ascoltarla leggere i suoi racconti era tutto ciò che desideravo, oppure il solo fatto di vederla correre tra i prati sorridendo e muovendo quel suo vestito di lino mi commuoveva. Sapevamo che il futuro era dietro l’angolo, in agguato, pronto a rovinare tutto, sapevamo che ci rimanevano pochi giorni insieme, di lì a due settimane il mio Erasmus sarebbe finito e io sarei dovuto tornare, ma non ne volevamo prendere coscienza. Vivevamo alla giornata, senza guardare il futuro: lei aveva me e io avevo lei, e questo ci bastava. Le due settimane passarono più in fretta del previsto, sembrava ieri la sera del nostro primo bacio, eppure era il giorno in cui l’avrei baciata per l’ultima volta. Ci incontrammo ad un bar per salutarci. Lei era già arrivata ed aveva già ordinato il suo croissant, quello di crema che la faceva impazzire, cosi mi avvicinai e la baciai. Parlammo del più e del meno, non volevamo prendere coscienza del fatto che non ci saremmo mai più visti e cercavamo quindi di evitare il tema. Ma si stava facendo tardi, quindi feci un gran respiro e cominciai. - Domani dovrò essere in aeroporto molto presto, quindi sta sera non posso venire da te. – - Porque te tienes que ir? – disse, guardandomi dritto negli occhi. – No puedo ir contigo? No tengo nada aquì . – Non me l’aspettavo così diretta, lei che aveva sempre cercato di evitare il tema, quindi rimasi in silenzio per un po’ di secondi. - Paula, amor, sai che ti amo, ma tu hai la tua vita qui, hai l’università, hai la famiglia, hai tutto il tuo mondo.- La guardai: era sul punto di piangere, aveva gli occhi lucidi e le guancie accese. - Tu eres mi mundo! Yo no necesito nada mas! – Urlò, e le sue guancie cominciarono a bagnarsi. Non l’avevo mai vista così, non sapevo cosa fare. Ma io non potevo restare e lei non poteva andare, non c’era niente da fare. - Non desidero nient’altro che rimanere con te, lo sai. Ti amo Paula, ti amo più di qualsiasi altra cosa al mondo. Ma è il mio futuro, devo partire. Scusami – e mi alzai, rimanere là a vederla piangere mi stava spezzando il cuore. Mi stavo comportando come un egoista, ma non potevo farci niente. - No te vayas portavor, te quiero! – gridò. Mi corse in contro, mi prese la mano e mi strinse verso sé. Mi abbracciò e cominciò a piangere forte, le lacrime scendevano dai suoi occhi come se si trattasse di fiumi. – - Volverè a verte? – disse. - Non credo .– le risposi, mi girai e cominciai a camminare. - Nunca sabes que te depararà el destino – la sentii dire. Volevo girarmi, tornare indietro da lei e stringerla forte a me, prometterle che non ci saremmo mai separati. Poi continuai a camminare, imboccai le Ramblas e mi diressi verso la mia mansarda. “Nunca sabes lo che te depararà el destino”. Era passato più di un anno da quando, quella sera di primavera, Paula pronunciò quelle parole. E aveva ragione. Non credevo di ritornare in Spagna, eppure ero lì. Non solo ero in Spagna, ma ero in quella scogliera. Non sapevo cosa mi aveva portato fin lì, o perché avevo deciso, dopo tanto tempo, di tornare. Era il destino? Dopo più di un anno credevo spariti quei sentimenti che ora erano riemersi pensando a Paula. Solo allora mi accorsi che mi mancava da morire. I suoi occhi color miele, il suo sorriso incoronato da quel piccolo neo, il suo profumo di fiori, la morbidezza dei suoi capelli biondi…cominciai a piangere. Mi fermai di colpo, non era possibile: lì, sulla spiaggia, dei capelli biondi ondeggiavano al vento. C’era solo una piccola, piccolissima, possibilità, ma c’era. Corsi, corsi come non avevo mai corso prima. Man mano che correvo vedevo i capelli biondi sempre più vicini a me. E poi quel profumo. Una vampata i profumo di fiori s’impossessò dei miei sensi, e allora non ebbi dubbio: il destino esisteva, Paula era lì. Mi fermai, mi avvicinai lentamente e pronunciai il suo nome così basso che era quasi un sussurro. La ragazza si girò e gli vidi. O meglio detto, gli rividi. Rividi quegli occhi miele di cui mi ero tanto innamorato. Ora sì che non c’era dubbio, quella davanti a me era Paula - Ciao... – le dissi. - Fran? No puedo creer que estés aqui...porqué has venido? – rispose dopo un po’ disecndi, con la voce tremante. - Tu misma me lo decias: nunca sabes que nos depararà el destino. Y esta vez he venido para quedarme.- Ed era vero. Non mi sarei mai più allontanato da Paula, niente ci avrebbe impedito di stare insieme. La afferrai per mano, la avvicinai a me e la baciai dolcemente.