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O LA DISSOLUZIONE DELL’IDENTITA’
Motto:
Fuggira’ anche nel giorno in cui la moglie sara’ assalita dalle doglie, a
causa della paura, della debolezza e dell’imaturita’: “Scappai come un daino:
ma piu’ per sfuggire da me stesso, per non rimanere neanche un minuto a tu
per tu con me, a pensare che io stavo per avere un figliuolo, io, in quelle
condizioni, un figliuolo! /.../ Viene da restare, no? A una siffatta notizia a
bruciapelo. E invece, <Correte!>. Non mi sentivo piu’ le gambe; non sapevo
piu’ da qual parte pigliare; /.../ e il medico intanto era la’, gia’ a casa mia.
Quando trefelato, in uno stato miserando, dopo aver girato tutte le farmacie,
rincasai, disperato e furibondo, la prima bambima era gia’ nata; si sentiva a
far venir l’altra alla luce. <Due?>”. La mancanza di coraggio per affrontare la
vita, le proprie azioni e le loro conseguenze rivelano l’incapacita’ di accetare
il gioco della vita.
Una delle due piccoline mori pochi giorni dopo, ma l’altra quando
aveva gia’ quasi un anno, offrendo a Pascal brividi e sentimenti nuovi:
“l’altra volle darmi il tempo, invece, di affezionarmi a lei, con tutto l’ardore di
un padre che, non avendo piu’ altro, faccia della propria creaturina lo scopo
unico della sua vita”. La morte contemporaneamente di sua madre e di sua
figlia, ha significato per Mattia Pascal la maggior decezione della sua vita e
decide fuggire da casa: “non sapevo piu’ resistere alla noja, anzi allo schifo
di vivere a quel mondo; miserabile, senza ne’ probabilita’ ne’ speranza di
miglioramento, senza piu’ il conforto che mi vevina dalla mia dolce bambina,
senza alcun compenso, anche minimo, all’amarezza, allo squalore, all’orribile
desolazione /.../ ”.
“Solo, solo, solo! Padrone di me! Senza dover dar conto di nulla a
nessuno! Ecco, potevo andar dove mi piaceva /.../ e quella mia felicita’ mi
seguiva dovunque”. ”Ero solo ormai, e piu’ solo di com’ero non avrei potuto
essere sulla terra, sciolto nel presente d’ogni legame e d’ogni obbligo, libero,
nuovo e assolutamente padrone di me, senza piu’ il fardello del mio passato,
e con l’avvenire dinanzi, che avrei potuto foggiarmi a piacer mio.”
Pero’ Adriano Meis non vuole e non puo’ dir bugie – condizione
assolutamente necessaria perche’ la sua nuova identita’ sia completamente
impadronita. Benche’ si fosse gia costruito nel mondo immaginario un
passato verosimile, egli rifiuta parlar di se stesso, rimanda quanto puo’ le
risposte, e quando un individo si e’ troppo avvicinato di lui e le sue curiosita’
non sono piu’ pertinente, Meis rompe l’amicizia: “io, condannato
inevitabilmente a mentire dalla mia condizione, non avrei potuto avere mai
piu’ un amico, un vero amico; /.../ amico vuol dire confidenza; e come avrei
potuto io confidare a qualcuno il segreto di quella mia vita senza nome e
senza passato?”. Dunque, egli trascorrera’ di piu’ tempo solo quanto in
compania: “mi cacciavo fuori per le strade, osservando tutto, mi fermavo a
ogni nonnulla, riflettevo a lungo su le minime cose. /.../ ma la vita, a
considerarla cosi, da spettatore estraneo, mi pareva ora senza construtto e
senza scopo; mi sentivo sperduto tra quel rimesculio di gente.” Questa
solitudine pero’ aumentera’ l’intensita’ della propria coscenza fino al livello di
concepire una tragica filosofia della vita.
Tre sono le ragioni per cui Meis non puo’ godere della nuova identita’:
l’impossibilita’ di sposare Adriana, dinunciare Papiano per le dodici milla lire
rubate e di sfidare Bernaldez a duello... a causa della mancanza d’identita’!
“Or che cos’ero io, se non un uomo inventato? Una invenzione ambulante
che voleva e doveva forzatamente stare per se’, pur calata nella realta’ .”