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MATTIA PASCAL

O LA DISSOLUZIONE DELL’IDENTITA’

Motto:

“Tu invece sarai sempre e dovunque un forestiere /.../

Forestiere della vita...”

Dopo aver vissuto un’infanzia di liberta’ assoluta, ricca, priva di


preoccupazioni, Mattia Pascal viene obbligato dalle circostanze a sposarsi
con Romilda e cosi comincia conoscere anche un’altra faccia della vita, piena
di desilusioni, di odio, di noia, e finalmente di solitudine ed allienazione. Al
calvario vissuto nella casa Pescatore a causa dell’odio e dell’ira della suocera
si aggiunge la depressione della moglie incinta e l’invidia su Oliva.

Come lui stesso afferma, non era proprio un bell’uomo, serio e


maturo: “ero impetuoso e prendevo tutto alla leggera. Forse per questo,
allora, le donne mi amavano, non ostante quel mio occhio un po’ sbalestrato
ed il mio corpo da pezzo di catasta.” L’odio della vedova Pescatore per
Mattia parte da un aparte dal fatto che il genero aveva perduto la sua
fortuna, ma dall’altra parte perche’ lei doveva mantenerlo come il suo
proprio figlio: “due povere donne non potevano aver l’obbligo di mantenere
un fannullone, un pezzaccio da galera”. Nel momento in cui le cose si
complicano ed il denaro manca, Pascal decide prendere un lavoro e Pomino
gli offre un posto di bibliotecario. Lo stipendio e basso pero’ non gli si puo’
improverare di esser mantenuto dalla suocera ed ottiene anche un po’ di
liberta’ nel mezzo ai libri. “in poco tempo divenni un altro da quel che ero
prima. Morto il Romitelli, mi trovai qui solo, mangiato dalla noja, in questa
chiesetta fuori mano, fra tutti questi libri; tremendamente solo, e pur senza
voglia di compagnia. Avrei potuto tratenermi soltanto poche ore al giorno /.../
Ma che fare? La caccia ai topi, si; ma poteva bastarmi? La prima volta che mi
avenne di trovarmi con un libro tra le mani, tolto cosi a caso, senza saperlo,
provai un brivido d’orrore. Mi sarei io dunque ridotto come il Romitelli, a
sentir l’obbligo di leggere, io bibliotecario, per tutti quelli che non venivano
alla biblioteca? E scaraventai il libro per terra. Ma poi lo ripresi; e, - sissignori
– mi misi a leggere anch’io.”
La desilusione che egli prova ha come cause la perdita del patrimonio
familiare, seguito dalla vergogna (“ma per le strade del paese mi
vergoganvo di farmi vedere, cosi ridotto in miseria”) la perdita della liberta’
del proprio arbitrio, la vita resa impossibile dalla vedova Pescatore,
l’umiliazione della propria madre. Le conseguenze: “da casa mia fuggivo
come da una prigione”.

Fuggira’ anche nel giorno in cui la moglie sara’ assalita dalle doglie, a
causa della paura, della debolezza e dell’imaturita’: “Scappai come un daino:
ma piu’ per sfuggire da me stesso, per non rimanere neanche un minuto a tu
per tu con me, a pensare che io stavo per avere un figliuolo, io, in quelle
condizioni, un figliuolo! /.../ Viene da restare, no? A una siffatta notizia a
bruciapelo. E invece, <Correte!>. Non mi sentivo piu’ le gambe; non sapevo
piu’ da qual parte pigliare; /.../ e il medico intanto era la’, gia’ a casa mia.
Quando trefelato, in uno stato miserando, dopo aver girato tutte le farmacie,
rincasai, disperato e furibondo, la prima bambima era gia’ nata; si sentiva a
far venir l’altra alla luce. <Due?>”. La mancanza di coraggio per affrontare la
vita, le proprie azioni e le loro conseguenze rivelano l’incapacita’ di accetare
il gioco della vita.

Una delle due piccoline mori pochi giorni dopo, ma l’altra quando
aveva gia’ quasi un anno, offrendo a Pascal brividi e sentimenti nuovi:
“l’altra volle darmi il tempo, invece, di affezionarmi a lei, con tutto l’ardore di
un padre che, non avendo piu’ altro, faccia della propria creaturina lo scopo
unico della sua vita”. La morte contemporaneamente di sua madre e di sua
figlia, ha significato per Mattia Pascal la maggior decezione della sua vita e
decide fuggire da casa: “non sapevo piu’ resistere alla noja, anzi allo schifo
di vivere a quel mondo; miserabile, senza ne’ probabilita’ ne’ speranza di
miglioramento, senza piu’ il conforto che mi vevina dalla mia dolce bambina,
senza alcun compenso, anche minimo, all’amarezza, allo squalore, all’orribile
desolazione /.../ ”.

In dieci giorni trascorse a Montecarlo giocando alla roulette, realizza di


aver vinto un’importante somma di denaro. Nel treno che lo doveva portare
a casa, lege in un giornale di esser stato riconosciuto nel cadavere di un
uomo annegato alla Stia. Come non approfitarne quando nella propria casa
viveva un vero calvario? “che avrebbe potuto capitarmi di peggio, alla fin
fine, di cio’ che avevo sofferto e sofrivo a casa mia?sarei andato incontro ad
altre catene, ma piu’ gravi di quella che gia’ stavo per strapparmi dal piede
non mi sarebbe certo sembrate.” Soffocato dalla noia e dalla desilusione,
“cambia treno” scegliendo di trasformarsi in un altro uomo, un’altra identita’:
Adriano Meis, sperando un totale cambiamento benefico e felice: “m’assaliva
di tratto in tratto l’idea di quella mia liberta’ sconfinata, unica, e provavo una
felicita’ improvvisa, che quasi mi ci smarrivo in un beato stupore; me la
sentivo entrar nel petto con un respiro lunghissimo e largo che mi sollevava
tutto lo spirito”.

“Solo, solo, solo! Padrone di me! Senza dover dar conto di nulla a
nessuno! Ecco, potevo andar dove mi piaceva /.../ e quella mia felicita’ mi
seguiva dovunque”. ”Ero solo ormai, e piu’ solo di com’ero non avrei potuto
essere sulla terra, sciolto nel presente d’ogni legame e d’ogni obbligo, libero,
nuovo e assolutamente padrone di me, senza piu’ il fardello del mio passato,
e con l’avvenire dinanzi, che avrei potuto foggiarmi a piacer mio.”

Pero’ Adriano Meis non vuole e non puo’ dir bugie – condizione
assolutamente necessaria perche’ la sua nuova identita’ sia completamente
impadronita. Benche’ si fosse gia costruito nel mondo immaginario un
passato verosimile, egli rifiuta parlar di se stesso, rimanda quanto puo’ le
risposte, e quando un individo si e’ troppo avvicinato di lui e le sue curiosita’
non sono piu’ pertinente, Meis rompe l’amicizia: “io, condannato
inevitabilmente a mentire dalla mia condizione, non avrei potuto avere mai
piu’ un amico, un vero amico; /.../ amico vuol dire confidenza; e come avrei
potuto io confidare a qualcuno il segreto di quella mia vita senza nome e
senza passato?”. Dunque, egli trascorrera’ di piu’ tempo solo quanto in
compania: “mi cacciavo fuori per le strade, osservando tutto, mi fermavo a
ogni nonnulla, riflettevo a lungo su le minime cose. /.../ ma la vita, a
considerarla cosi, da spettatore estraneo, mi pareva ora senza construtto e
senza scopo; mi sentivo sperduto tra quel rimesculio di gente.” Questa
solitudine pero’ aumentera’ l’intensita’ della propria coscenza fino al livello di
concepire una tragica filosofia della vita.

“Potevo e dovevo essere l’artefice del proprio destino. /.../ Mi daro’ a


poco a poco una nuova educazione; mi trasformero’ con amoroso e paziente
studio, sicche’, alla fine, io possa dire non solo di aver vissuto due vite, ma
d’esser stato due uomini.” Scontento di se stesso, Il protagonista decide di
fare da Adriano Meis un uomo migliore, offrendosi altre opportunita’ nella
vita. Il continuo travaglio nella coscenza del ex- Mattia Pascal, trasformato in
Adriano Meis, dimostra ch’egli e’ davvero riuscito a cancellare la vecchia
individualita’.

Tre sono le ragioni per cui Meis non puo’ godere della nuova identita’:
l’impossibilita’ di sposare Adriana, dinunciare Papiano per le dodici milla lire
rubate e di sfidare Bernaldez a duello... a causa della mancanza d’identita’!
“Or che cos’ero io, se non un uomo inventato? Una invenzione ambulante
che voleva e doveva forzatamente stare per se’, pur calata nella realta’ .”

Il momento di massima intensita’ del personaggio scoppia nella


constatazione che Mattia Pascal e’ morto in se’ e che il desiderato Adriano
Meis non puo’ prendere il posto del primo. A quel punto si annega in una
sensazione di nulla, di irrealta’, di finzione, progettata sul fondo della sua ex-
esistenza. Anche per se stesso e’ diventato fantomatico, sconosciuto,
un’immaginazione assurda di qualcosa di falso e impossibile, che ragiona,
ma tuttavia non esiste. La sua vita fittizia prende consistenza di ombra. “chi
era piu’ ombra di noi due? Io o lei? Due ombre! La’, la’ per terra; e ciascuno
poteva passarci sopra: schiacciarmi la testa, schiacciarmi il cuore: ed io,
zitto; l’ombra, zitta. L’ombra d’un morto, ecco la mia vita...”
Il suicidio di Adriano Meis lo libera soltanto dalle nuove catene sociale
e sentimentale create, ma non dalla nuova identita’ nata in quel corpo, in
quella coscenza: “Adriano Meis, che c’era stato, voleva quasi far da guida e
da cicerone a Mattia Pascal./.../ Io, tra quei due, ne’ di qua ne’ di la’.”

Il personaggio di Pirandello rileva il caso piu’ tragico dell’ombra senza


uomo. A Mattia Pascal o Adriano Meis si e’ svegliato il sentimento dell’onore
e della dignita’ morale; una vita che non si appogia su questi principi ha
come conseguenza la negazione di se stesso, l’annullazione moralmente
della propria persona, che porta alsentimento del vuoto e dell’inconsistenza
di vita. Il protagonista non riesce ad integrarsi in una nuova individualita’ e
riduce se stesso alla semplice ombra della prima.

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