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La rosa del Marino

Alessandra Leonelli

La rosa, come termine di paragone della bellezza femminile, entra


molto presto nella letteratura italiana, gi alle origini, con Rosa fresca
aulentissima, di Cielo dAlcamo. Seguiranno altre comparazioni della
donna alla regina dei fiori, da Giacomo da Lentini 1 in poi: Guittone
dArezzo,

Guinizzelli,

Lapo

Gianni,

Cavalcanti,

Dante,

Petrarca,

Boccaccio, Poliziano, Ariosto ed altri, spingendosi, nei tempi moderni,


fino alla bellissima Rosa bianca di Attilio Bertolucci, che fiorisce nelle
prime nebbie e appare un ritratto di te a trentanni.

Per

lesattezza, la donna funge come primo termine di un paragone che


esalta la bellezza, la freschezza, leleganza, lintensit o la delicatezza
dei colori. Su questo tema ha scritto delle pagine bellissime Giovanni
Pozzi nellaureo saggio del 1974 La rosa in mano al professore e non c
molto da aggiungere. Sar il Marino, prima nella Lira e poi nellAdone, a
sciogliere il nesso analogico bipolare tra il fiore e la donna, facendo
della rosa qualcosa come il punto di partenza e di ritorno duna

1 Si vedano ad esempio in Donna, eo languisco e no so qua speranza i vv. 21-24: Donna,


gran maraviglia mi donate, / che n voi sembrate-sono tanto alore: passate di bellezze
ognaltra cosa, / come la rosa passa ognaltro fiore.

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corrente analogica e metaforica che dilata il tema in concetti, il cui


effetto straniante scandito, sottolineato e sommosso dal rincorrersi di
figure di suono e di significato, come lallitterazione e la paronomasia.
Il Marino elabora, come ha scritto il Pozzi, un blason, ovvero un
poemetto la cui caratteristica il percorso capriccioso lungo la pista
obbligata dellencomio2. Mia intenzione soffermarmi, nei limiti di
tempo concesso, su questo percorso capriccioso,

descriverlo

analiticamente e interpretarlo. Ecco il testo, quello dellAdone:


Elogio della rosa
154
La bella dea, che nsanguin la rosa,
bench trafitta il sen di colpo acerbo,
contro il figliuol non si mostr sdegnosa
per non farlo pi crudo e pi superbo;
ma premendo nel cor la piaga ascosa,
si morse il dito e disse: Io te la serbo.
Per questa volta con laltrui cordoglio
tanta mia gioia intorbidar non voglio.
155
Poi le luci girando al vicin colle,
dovera il cespo, che l bel pi trafisse,
fermossi alquanto a rimirarlo e volle
il suo fior salutar pria che partisse;
e vedutolo ancor stillante e molle
quivi porporeggiar, cos gli disse:
Salviti il ciel da tutti oltraggi e danni,
fatal cagion de miei felici affanni.
156

2 G. Pozzi, Commento, in G. B. Marino, LAdone, Mondadori, Milano, 1976, tomo II, pp.
258-260, nota a Canto III, ottave 156-161.

Alessandra Leonelli La rosa del Marino

Rosa riso damor, del ciel fattura,


rosa del sangue mio fatta vermiglia,
pregio del mondo e fregio di natura,
della terra e del sol vergine figlia,
dogni ninfa e pastor delizia e cura,
onor dellodorifera famiglia,
tu tien dogni belt le palme prime,
sovra il vulgo de fior donna sublime.
157
Quasi in bel trono imperatrice altera
siedi col su nativa sponda.
Turba daure vezzose e lusinghiera
ti corteggia dintorno e ti seconda
e di guardie pungenti armata schiera
ti difende per tutto e ti circonda.
E tu fastosa del tuo regio vanto
porti dor la corona e dostro il manto
158
Porpora de giardin, pompa de prati,
gemma di primavera, occhio daprile,
di te le Grazie e gli Amoretti alati
fan ghirlanda a la chioma, al sen monile.
Tu qualor torna agli alimenti usati
ape leggiadra o zefiro gentile,
dai lor da bere in tazza di rubini
rugiadosi licori e cristallini.
159
Non superbisca ambizioso il sole
di trionfar fra le minori stelle,
chancor tu fra i ligustri e le viole
scopri le pompe tue superbe e belle.
Tu sei con le tue bellezze uniche e sole
Splendor di queste piagge, egli di quelle,
tu sole in terra ed egli rosa in cielo.
160
E ben saran tra voi conformi voglie,
di te fia l sole e tu del sole amante.
Ei de linsegne tue, dele tue spoglie
lAurora vestir nel suo levante.

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Tu spiegherai nei crini e nele foglie


la sua livrea dorata e fiammeggiante;
e per ritrarlo ed imitarlo a pieno
porterai sempre un picciol sole in seno.
161
E percha me dun tal servigio ancora
Qualche grata merc render saspetta,
tu sarai sol tra quanti fiori ha Flora
la favorita mia, la mia diletta.
E qual donna pi bella il mondo onora
Io vo che tanto sol bella sia detta,
quantorner del tuo color vivace
e le gote e le labra, E qui si tace.

Come noto, difficile sigillare lintreccio dellAdone in un complesso


funzionale coeso e organico. Il soggetto dellopera si disperde in mille
rivoli ed il dato descrittivo a prevalere su quello narrativo. In tale
prospettiva lelogio alla rosa, pur facendo parte dellAdone, non occupa
un ruolo necessario e imprescindibile nelleconomia complessiva degli
avvenimenti. La sua collocazione spazio-temporale, pur essendo precisa
(la dea elogia la rosa come forma di ringraziamento in quanto provvida
causa del suo incontro con Adone) non indispensabile ai fini della
connessione del racconto. Per tale ragione, lelogio pu essere
estrapolato dal contesto globale del poema stesso. In un certo senso, la
trama del poema funzionale al motivo, pi di quanto non sia il contrario.
Esso rampolla da un passaggio schiettamente narrativo, uno degli snodi
della vicenda raccontata, ovvero lepisodio del ferimento della dea da
parte di Amore. Questultimo ha la funzione di collocare lo spettatore
allinterno della trama degli avvenimenti, per non disorientarlo del tutto.
Infatti lelogio alla rosa, bench possieda una propria autonomia poetica,

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pur sempre il frutto di una concatenazione di eventi da cui, a


differenza di quanto infine fa lautore, non si pu prescindere del tutto.
Afrodite, pronunciate le parole con le quali sospende momentaneamente
ogni intenzione di vendetta sul figlio Cupido, che lha ferita con i suoi
dardi, volge le luci intorno a s e sofferma lo sguardo sul cespo da cui
svetta il fiore che, trafiggendole il piede con le sue spine, ha propiziato
lincontro damore con Adone. Il tema delle luci, gli occhi femminili,
costituisce uno dei topoi della lirica italiana e raggiunge le pi alte vette
espressive nella tradizione petrarchesca.

Ma qui tale metafora

stilnovistica assume una funzione nuova, che rivoluziona gli schemi della
lirica precedente. Mentre in questultima le luci degli occhi erano
sublimemente inespressive, fissate in una immobilit sovrumana e
stereotipa, nella nuova prospettiva barocca esse perdono tali connotati
metafisici, si umanizzano, entrano in empatia con il mondo. Ma,
soprattutto, non sono pi passive e immobili: rivolgono lo sguardo alle
cose con interesse e sentimento, con una affettivit che quasi equivale a
quella per gli esseri umani. Le luci, in tale situazione specifica, sono
attributo di unentit divina che qui

tende a personalizzarsi e a

individuarsi, provando sentimenti umani: gli occhi si caricano di


devozione, di gratitudine e ammirazione, emozioni che sfociano in
ultimo nellatto di una insistente e affascinata contemplazione del fiore,
come traspare dai vv. 3-4 dellottava 155, fermossi alquanto a rimirarlo e
volle / il suo fior salutar pria che partisse. Se fin dallepoca dei
canzonieri petrarchisti la figura della donna il canonico oggetto di

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ammirazione della passione maschile, ora la situazione si ribalta


totalmente: la donna da oggetto ammirato e affascinante diventa
soggetto ammiratore e affascinato, rimpiazzando luomo nellesercizio
del sentimento. Ma la sorprendente rivoluzione risiede soprattutto
nelloggetto dello sguardo di Venere: allessere umano si sostituisce la
cosa, che diventa in tal modo il punto di canalizzazione di tutti i possibili
sentimenti. Limmagine della rosa non vale per soltanto per s stessa,
bens rimanda analogicamente alla donna, anzi a una donna sublime e
per tale motivo essa sinserisce in uno strano e doppio gioco di riflessi: la
dea perde in un certo senso la propria essenza divina che in compenso
sembra essere assorbita dalla rosa. Venere rivolge a essa un saluto
distinto e riconoscente, con cui di solito si apostrofa qualche entit
superiore. Tale saluto

avvolto da una certa aura di sottomissione

(intensificata anche dal ritmo incalzante dei versi) in cui Venere sembra
quasi crogiolarsi e come ammiccare al lettore. Il verso 2 dellottava 156
(rosa del sangue mio fatta vermiglia) costruito su una intensa nota
coloristica, immersa in un fitto complesso di allitterazioni di suoni
incentrati sul nesso vocale+liquida: ro/ri/or/el/ur/ra/ol/er/ri/, fra le quali si
formano due paronomasie piene, rosa/riso e fregio/pregio, e un effetto
paronomasico fra onor e odorifera. Fioriscono, soprattutto nelle ottave 157
e 158, catene metaforiche sostenute e rese vibranti da un continuo
impastarsi e reimpastarsi dei suoni delle parole tra loro. Il risultato un
protratto

metamorfismo,

deffetto

caleidoscopico,

che

si

fa

tecnicamente virtuosistico nel succedersi incalzante di concetti nei

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primi due versi dellottava 158: Porpora de giardin, pompa de prati, /


gemma di primavera, occhio daprile. Da osservare, qui, la cantilena
fonosimbolica

con

cui

Marino

intona

lottava,

risultante

dallallitterazione di nessi labiale+vocale oscura/labiale + liquida + vocale


chiara (po/po/po/pri/pri), degna della famosa aria di Sganarello nel Don
Giovanni di Mozart. Gli ultimi due versi dellottava 157 presentano un
abbinamento cromatico, ostro e oro, presente anche nella rosa di Pietro
Casaburi, la cui rosa, parlando in prima persona nel sonetto omonimo,
coniuga loro dun ricco diadema sul crine con gli ostri del sangue di
ciprigna. Ma si noti come Marino giunga addirittura a far viaggiare la
parola oro per tutto il corso di un verso, il n. 8, dellottava 157: porti
dor la corona e dostro il manto, riflettendone un barbaglio intenso nel
cuore della parola che, semanticamente, ha pi a che fare con il sangue,
laggettivo porpora che apre lottava 158 e la cantatina cui abbiamo
gi accennato. Porpora: ovvero rosso e oro nella stessa parola. E se il
Casaburi ci fa intravedere la regia sede della rosa, di smeraldo infra i
miei verdi chiostri, il Marino ci presenta pi fastosamente la rosa in
bel trono imperatrice altera, circondata da una scorta che la protegge
con efficacia e discrezione, unarmata schiera di guardie pungenti,
che la difende per tutto. Altro poeta della rosa barocca Girolamo
Preti, nel sonetto Ite in dono a colei, pallide rose. Anche in questultimo la
rosa, anzi le rose appaiono in scena con la loro veste purpurea: ma il
colore, apprendiamo nella seconda quartina del componimento, non
stato donato dal sangue della dea bens dal labbro della sua donna,

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oggetto, ora, di pianti e di sospiri: Vidi voi dostro gi tinte e pompose, /


dostro che l labro suo forse vi diede; ora il pallor di morte in voi si
vede, / imitatrici del mio duol pietose. Il festoso colore destinato a
scomparire, a languire, per cui le rose diventano pallide e infine spirano,
perdendo quellaspetto che rimane invece intatto nella rosa marinista. La
rosa di Preti da simbolo e pegno damore qual era pocanzi, passando
attraverso il calvario del poeta diventa simbolo di morte e messaggera
funebre: essa riceve dal poeta lintimazione di consegnarsi e donarsi alla
sua amata, e soprattutto di farsi annunciatrice della sua morte (quella
del poeta). A questultima corrisponde la morte della rosa il cui
deperimento fisico (il suo impallidire, le sue foglie verdi che perdono le
forze) parallelo a quello del poeta. Nel Marino, invece, di tuttaltro
genere sono i significati simbolici che il fiore racchiude in s. Lacme
dellelogio raggiunto nellottava 159, allorch rosa e sole si
fronteggiano. Tale gara di bellezza non ha n vincitori n vinti. La
vittoria, a cui il sole superbo nel suo splendore sembra aspirare,
distribuita equamente, il confronto finisce alla pari. Ne consegue,
nellargomentazione

una

simmetria

metaforica

di

ruoli

espressa

attraverso unalternanza chiastica di concetti: Tu sei con tue bellezze


uniche e sole / splendor di queste piagge, egli di quelle, / egli nel cerchio
suo, tu nel tuo stelo, / tu sole in terra, ed egli rosa in cielo. Tale
scambio di attributi per cui ciascuno diventa laltro da s a cui aspira
culmina nellaggettivo sole, riferito alle bellezze della rosa, ma anche
specchio in cui si riflette lastro dal cielo. Risalta ancora una volta la

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componente essenziale della visione barocca: il movimento, in tutte le


sue manifestazioni o attributi. La realt non pi quella che sembra,
non mai

identica a se stessa ma si trasforma e rivela i suoi infiniti

aspetti a seconda dei punti di vista da cui la si osserva. Tutto insomma si


incentra su una visione metamorfica dellessere. Il mondo si plasma
continuamente su se stesso, creando realt e forme sempre nuove,
inedite, ignote allo sguardo ordinario. A ben osservare locchio barocco
riesce a creare, attraverso tecniche artificiose molto raffinate e ricercate,
nessi analogici e simmetrici fra gerarchie o ordini del reale altrimenti
lontani. Ad esempio, in Marino la dimensione floreale si accosta a quella
umana perch il Marino attribuisce alla rosa i connotati della regalit e
della sovranit, trasfigurandola nellimmagine di regina. Tale processo di
accostamento presente anche nel garofano fontanelliano (si veda il
sonetto Sdegna la plebe de minuti fiori) i cui connotati sono pi o meno
gli stessi; essi suggeriscono un senso di eminenza aristocratica: Tal con
fasto e con festa a laria uscito,/gode, addobbato di purpuree fasce,/a la
rosa leggiadra esser marito. Il garofano e la rosa sono accomunati in
dignit: ne consegue una possibile unione matrimoniali. Altri esempi di
analogie floreali sarebbero possibili: il profumo della rosa, come ha
dimostrato padre Pozzi, conduce lontano, assai oltre i limiti del mio
tempo. Lelogio della rosa si conclude, dopo tanto lusso verbale, con un
brusco silenzio. La dea, consacrata la rosa a proprio fiore, favorita e
diletta, qui si tace. E giocoforza imitarla.

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