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Tommaso Landolfi e i fantasmi russi, cio la

vita mancata
- Sergio Givone, 13.12.2015
Raccolti da Adelphi gli scritti slavistici dello scrittore di Pico. Letteratura russa come luogo di
incantamenti e delir: Landolfi, con inesuasto rimuginio, vi scova il male in tutte le sue sfumature
Nel 1930 appaiono su una piccola rivista abruzzese, Vigilie letterarie, due scritti di Tommaso
Landolfi: il primo, un racconto, Maria Giuseppa, una variazione sulle dostoevskiane Memorie dal
sottosuolo, mentre il secondo una recensione della traduzione italiana di unopera di Turgenev, Il
Re Lear delle Steppe. In questi scritti c gi tutto il futuro Landolfi scrittore e slavista, allora
ventiduenne studente a Firenze nella Facolt di Lettere e in procinto di laurearsi con una tesi su
Anna Achmatova. C linesausto rimugino di insolubili enigmi metafisici da parte di chi si sente
fuori posto e anzi del tutto superfluo e c lidea che la letteratura russa sia come uno specchio in cui
ci si possa riconoscere o smarrirsi irrimediabilmente.
Per tutta la vita Landolfi avrebbe guardato alla Russia come a unideale patria letteraria.
Tenendosene per a debita distanza. Sarebbe andato, s, a caccia di manoscritti puskiniani al British
Museum di Londra, e sapeva di poter trovare a Padova nella biblioteca di Ettore Lo Gatto quel che
cercava, senza per che in Russia ci mettesse mai piede. La Russia doveva restare per lui unutopia.
Un luogo dincantamenti e di deliri, non un luogo reale. Rispetto alla mole di letture fatte e alla
competenza accumulata, le pagine dedicate alla letteratura russa non sono moltissime. Ma
sufficienti per rendere il senso della ricerca landolfiana. Ne I Russi (pp. 365, euro 30,00), libro
ottimamente curato da Giovanni Maccari, Adelphi le raccoglie tutte offrendo al lettore una bella
occasione dincontro con chi avrebbe potuto essere un grande studioso di slavistica (gli fu anche
offerta una cattedra, che rifiut), ma prefer dedicare a questa disciplina unattenzione trasversale,
da scrittore che dialoga con gli scrittori a lui congeniali.
Ora, in che cosa consiste secondo Landolfi lessenza della letteratura russa? Quale il suo carattere
specifico? Il carattere specifico della letteratura russa, risponde Landolfi nellintroduzione ai
Narratori russi, Bompiani 1948, di non averne nessuno. Non solo e non tanto nel senso del suo
sottrarsi alle classificazioni e alle generalizzazioni, ma semmai in quello del suo tendere al
fantasmatico e allallucinatorio fino alla cancellazione di qualsiasi confine. Gli spettri della ragione,
i mostri dellimmaginazione, in una parola ci che si chiama male o peccato, in nessuna letteratura
sono presenti come in questa, che veramente figura il loro trionfo. Ma non trionfo sulle forze del
bene: al contrario, al loro medesimo titolo. piuttosto unorgia rappresentativa, un delirio del cuore
e al tempo stesso della ragione, che solo in quanto tali presuppongono una morale.
Oblomov la perfetta incarnazione di tutto ci. In Oblomov il male assume una forma peculiare:
lignavia. Ignavo colui che ricade nel male, quasi scivolandovi dentro senza volerlo e senza
neanche accorgersene, mentre presume di starne fuori e anzi di collocarsi al di l del bene e del
male. Costui, come Oblomov, sa che qualunque cosa faccia luomo malfatta, e allora non fa niente,
e neppure impedisce di fare, ma lascia fare Ed ecco generarsi da quella abietta noluntas tutto il
corteo di figure spettrali che rappresentano la vita dal lato della morte e del non essere: credono di
essere vivi, quelle larve o lemuri o fantasmi, ma la vita li ha da tempo abbandonati, ammesso che
una vita labbiano mai avuta. Landolfi chiama oscitanza russa quel vagheggiare e quel vaneggiare
espressi da Oblomov in modo esemplare e da lui portati fin sulla soglia di una vera e propria
volont di annullamento, di caos originario: che per non spengono (come in Schopenhauer) il
male di vivere, ma lo rigenerano nel pi raffinato dei tormenti, lozio. Loblomovismo una macchina
che produce in modo pressoch inesauribile vita apparente, vita mancata, vita che non vita. Questo
spiega perch i grandi russi non si son mai obliati fino a ricercare lumanit nelle sue pi meschine

e ignobili, direi meccaniche, manifestazioni. Delluomo, non c ignominia che non possano
sorprendere e svelare; ma a patto che non sia una inerte vergogna, un sordo dato, che abbia almeno
nobilt rappresentativa o poetica.
E questo spiega il fascino della poesia di Pukin, la sua fortuna. Svela il suo segreto: che si palesa
proprio l dove Pukin eleva a dignit poetica e conferisce massima solennit a quanto c nella vita
di pi minuto, marginale e anche spregevole, estraniando la realt dal tempo ed eternizzandola.
Accade cos che luniversalmente umano si concreti in tipi in cui tutti si riconoscono, e non importa
se questi tipi siano alti o bassi, simpatici o antipatici, benevoli o malevoli. Importa che siano
riconoscibili. Per lappunto riconoscibili in forza della poesia. Che come dire: la realt di per s non
vale nulla. Ma giunge a valere tutto e pi di tutto dopo che il genio poetico lha salvata
dallinsignificanza. Donde il sospetto che sinsinua e che costringer dora in avanti a guardare alla
realt come a qualcosa di costruito (costruito poeticamente) e che dunque non ha consistenza se non
umbratile e fantasmatica.
Viene da qui lidea che tutta la letteratura successiva a Pukin venga da lui, come sua filiazione
diretta o indiretta. Come nel caso di Gogol: il quale non fa che spoetizzare il poetico puskiniano.
Gogol prende bens i suoi personaggi dalla vita, ma dalla vita cos come laveva raccontata in poesia
Pukin. I materiali su cui lavora Gogol sono materiali letterari. la letteratura a far da filtro, anzi,
a togliere linvolucro poetico a quegli innumerevoli esseri tipizzati (da Pukin) per mostrarceli nella
loro nudit di anime morte. Larte di Gogol tributaria di quella di Pukin: ma lo come quella di
un figlio che ripudia e anzi uccide il padre. E se Pukin aveva portato la Russia tutta quanta in un
suo Olimpo n pagano n cristiano ma semplicemente poetico, Gogol la sprofonder in un inferno su
cui il cristianesimo incrudelir come mistica nostalgia dellimpossibile. La fine tragica di Gogol ne
la conferma.
Tra Dostoevskij e Turgenev, secondo Landolfi, si assiste alla ripetizione di quanto era accaduto tra
Pukin e Gogol. Turgenev riesce a fare in prosa quel che Pukin ha fatto in poesia: consegna il
temporale alleterno, dando alla realt una dignit che di per s non ha, una dignit di secondo
grado. Una specie di magia. Tant vero che il suo realismo a suo modo romantico (tutta la
letteratura russa per Landolfi inguaribilmente romantica) e magico (la definizione non di Landolfi,
ma potrebbe esserlo tranquillamente). Viceversa Dostoevskij si ispira a Gogol: Stiamo tutti sotto il
mantello di Gogol, diceva Dostoevskij. Dostoevskij smonta la magia. Mette a nudo la realt. Al
punto che il suo realismo diventa iperrealismo. In ogni caso lalternativa precisamente quella che
Landolfi aveva prospettato nel suo saggio desordio, affermando n pi n meno che Turgenev salva
e invece Dostoevskij porta a perdizione: Noi della nuova generazione dobbiamo il nostro culto
a Ivan Sergeevic (Turgenev) che solo pu salvarci: nelle mani di Fdor Michailovic (Dostoevskij)
saremmo irremissibilmente perduti.
Non molto diversa la contrapposizione novecentesca fra simbolismo e realismo sovietico. Con una
differenza, per, se non anche uno scambio delle parti. Il simbolismo propone una salvezza che
puramente illusoria. A sua volta, il realismo sovietico d voce a illusioni a lungo covate nel
profondo dellanima russa, ma che non vogliono saperne di morire.
2015 IL NUOVO MANIFESTO SOCIET COOP. EDITRICE

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