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DICE azione “rT—a Srna —eE wee pag. 9 Il comportamento nel tempo e la durabilita del calcestruzzo Degrado delle strutture in cemento armato pag. 11 Decalcificazione pag. 12 Attacco solfatico pag. 14 Gelo-disgelo pag. 14 Carbonatazione pag. 15 Corrosione delle armature pag. 20 Effetti del fuoco pag. 21 Degrado del calcestruzzo armato immerso in acqua marina pag. 24 Cenni statistici sul degrado pag. 28 La rottura del calcestruzzo armato pag. 30 Rottura fragile pag. 30 Rottura duttile pag. 31 I risanamento del calcestruzzo armato Considerazioni introduttive sul problema del risanamento delle strutture in cemento armato pag. 32 I materiali nel risanamento pag. 35 Premessa pag. 35 Le armature di rinforzo pag. 36 I materiali di riporto pag. 36 I materiali di protezione ed inibitori pag. 37 I collanti pag. 39 23 231 230) 23:3 2.3.4 3. 3.1 S11 3.1.2 3.1.3 3.1.4 31,5 3.1.6 a7 4. 41 42 44 45 4.6 5. 54 3.1.1 I formulati epossidici pag. 40 Le resine epossidiche pag. 40 Gli indurenti pag. 41 I diluenti e le cariche pag. 42 Impiego delle resine nell edilizia civile ed industriale pag. 44 Metodo di intervento La preparazione delle superfici pag. 49 Valutazione della superficie pag. 49 Metodi di prova per l’idoneita del supporto cementizio pag. 50 Prova per la determinazione della presenza d’acqua ineccesso pag. 50 Test per la valutazione della presenza di strati di calcestruzzo con carbonatazione pag. 51 Le superfici in calcestruzzo pag. 51 Le superfici metalliche pag. 53 Considerazioni sulla preparazione dei supporti nell’impiego di resine epossidiche pag. 53 Le iniezioni in lesioni pag. 54 Le riparazioni del copriferro pag. 57 Ripristino delle armature metalliche pag. 59 Beton-plaqué pag. 60 Metodo del “cassero metallico” pag. 64 Rivestimenti e protezioni di strutture in cemento armato pag. 66 Cenni sul consolidamento e la protezione di strutture in ce- mento armato sommerse pag. 67 Gili elementi strutturali e il loro consolidamento Premessa pag. 69 Pilastri pag. 70 Travi pag. 73 Nodi pag. 78 Solai pag. 80 Scale. pag. 83 Metodologie di calcolo Premessa pag. 85 Simbologia e valori caratteristici ammissibili pag. 87 Rinforzo in zona tesa di trave a sezione rettangolare doppia- mente armata pag. 89 5.2.1 Campi di rottura pag. 92 5.2.2 Progetto della piastra di rinforzo pag. 95 5.3 Rinforzo in zona compressa di una trave inflessa pag. 99 5.4 Rinforzo di un pilastro sottoposto a sforzo normale centrato pag. 105 5.5 Interventi di frettaggio per l’incremento della resistenza a com- pressione di un pilastro pag. 107 5.6 Verifica dei nodi e dei pilastri presso-flessi pag. 109 5.7 Rinforzo di solai misti con laterizi, ad armatura parallela pag. 113 5.8 Verifica dei travetti per intervento di rinforzo in zona com- pressa pag. 115 5.9 Verifica a taglio delle piastre di rinforzo pag. 115 5.10 Duttilita pag. 117 5.10.1 Duttilita di una sezione rettangolare a doppia armatura e piastra di rinforzo pag. 117 6. Esempi di calcolo 6.1 Trave a sezione rettangolare doppiamente armata - Calcolo della sezione della piastra di rinforzo per incremento del mo- mento flettente pag. 123 6.2 Trave a sezione rettangolare doppiamente armata - Calcolo della sezione della piastra di rinforzo per una trave con arma- tura in zona tesa compromessa dalla ossidazione pag. 128 A Esperienze di lavoro 7A Risanamento di un solaio degradato pag. 131 72 Risanamento di un edificio danneggiato da un incendio pag. 138 73 Adeguamento statico di edificio da destinarsi a CED pag. 150 Bibliografia pag. 157 PREFAZIONE Esperienze dirette, affiancate a conoscenze trasmesse da ditte produt- trici di prodotti chimici per |’edilizia, hanno portato alla pubblicazione di questo testo, che senza pretese di portare novita scientifiche tende a colmare una lacuna. Spesso gli stessi argomenti trattati in questo testo vengono limitati a pochi e succinti paragrafi in opere che esaminano il pid generale proble- ma del risanamento o dell’adeguamento sismico di strutture in cemento armato, che danno per conosciute o scontate tecniche di intervento che invece richiedono una buona conoscenza dei materiali che si vanno ad impiegare e una approfondita padronanza delle metodologie esecutive, per evitare di compromettere la bonta e il buon esito dei lavori. In via preliminare va detto che il risanamento di edifici in cemento armato pud distinguersi in: — semplice ripristino statico; —rigoroso adeguamento sismico. Nel primo caso rientrano tutte quelle opere di ripristino di settori limitati di elementi strutturali atte a restituire la originaria integrita sta- tica compromessa da un evento sismico o dal degrado. Nel secondo caso rientrano, invece, quei vari tipi di intervento da realizzare sulle parti strutturali che, non implicando una maggiorazio- ne delle sezioni originarie o comunque una brusca variazione della sezione resistente, attraverso un progetto di adeguamento sismico, che tiene conto del comportamento sismico globale dell’edificio e dello stato di danneggiamento esistente delle strutture, permettono di rende- re l’intero complesso antisismico. Tali interventi, sia quelli finalizzati alla riparazione dei soli danni subiti, sia quelli volti ad incrementare la resistenza alle sollecitazioni esterne, anche di natura sismica, vengono trattati in questo testo. Si é tralasciata la trattazione approfondita della parte relativa alla elaborazione del progetto generale di adeguamento sismico, rimandan- dola alla letteratura gia presente; si sono, perd, forniti tutti gli elementi necessari per condurre un’accurata indagine preventiva dello stato di degrado delle strutture e le linee generali da seguire per lo sviluppo e I’ elaborazione del progetto di adeguamento. Lultimo capitolo viene interamente dedicato a esempi di calcolo e alla illustrazione di esperienze di lavori eseguiti corredati da un’ampia documentazione fotografica. 10 IL COMPORTAMENTO NEL TEMPO ], ELA DURABILITA DEL CALCESTRUZZO 1.1 DEGRADO DELLE STRUTTURE IN CEMENTO ARMATO Fino a non molti anni fa si riteneva che una struttura in cemento arma- to fosse praticamente inalterabile nel tempo. La pratica quotidiana ha dimostrato che la realta é ben diversa in quanto molte strutture in cal- cestruzzo armato del passato hanno manifestato segni di degrado. Col termine “degrado” del calcestruzzo, si raggruppano tutti quei segni di decadimento che portano ad una riduzione dei coefficienti di sicurezza iniziali, tale da imporre opere di risanamento o di adegua- mento. Possiamo distinguere le cause di degradazione del calcestruzzo in: —cause dovute all’azione disgregativa degli agenti atmosferici, in par- ticolare nebbie marine o industriali; —cause dovute ai cambiamenti delle situazioni di esercizio rispetto a quelle previste in fase progettuale, come aumenti di sovraccarichi Statici o dinamici, urti, incendi, azioni dinamiche dovute a movi- menti tellurici. Indipendentemente dalle cause che lo hanno prodotto, il “degra- do” si presenta sotto due forme: a) disgregazione superficiale o sostanziale del conglomerato con © senza deformazione o ossidazione delle armature esistenti; b) presenza di stati fessurativi (lesioni) che interessano |’ intera sezione della struttura o parte di essa. Questi aspetti del degrado sono strettamente legati tra loro e ten- dono ad esaltarsi I’un I'altro. L’approccio fenomenologico del “degrado” delle strutture in cemento armato, parte dalle deformazioni interne e classifica in due gruppi gli aspetti della degradazione strutturale: — degradazione e fessurazione del conglomerato cementizio; —corrosione delle armature. I due fenomeni sono reciprocamente causativi. Le armature sono coinvolte da un solo processo di degrado: la cor- rosione, i cui prodotti determinano un effetto distruttivo sul calcestruz- zo. Le diverse cause del degrado del calcestruzzo armato, possono evi- denziarsi attraverso i diversi processi che lo hanno determinato: chimici, fisici, elettrochimici, biologici, eventi naturali, accidentali, strutturali. | CAUSE DI DEGRADO DEL CALCESTRUZZO ARMATO (CHIMICHE + Decalcificazione EVENTI NATURALI + Espansione da + Corrosione Sirti iacendi solfati 4 + Esplosioni + Carbonatazione ¢Sismi BIOLOGICHE + Fouling FISICHE STRUTTURALI + Gelo/disgelo + Assestamenti * Variazioni dei sovraccarichi + Cambi di destinazionne d'uso 1.1.1 Decalcificazione La decalcificazione del cemento armato é dovuta alle acque piovane dolci o leggermente acide. Essa produce un aumento della porosita creando condizioni pil 19 favorevoli alla penetrazione di agenti aggressivi all’interno della strut- tura ed una perdita della resistenza a compressione, Tl cemento, a contatto con acqua piovana povera di sali, perde calce per idrolisi. A 20 °C la solubilita del Ca(OH), é di 1,6 g per Jitro d’acqua. Quando in una zona della struttura la concentrazione di idrossido di calcio in soluzione supera il valore della concentrazione in una zona adiacente, la calce migra dalla zona a pit alta concentrazione a quella a pil bassa concentrazione. Se, come avviene in un calce- struzzo permeabile, si ha un continuo rinnovo dell’acqua, per effetto del dilavamento della pioggia sulle zone esterne, si avra un flusso continuo di materiale dall’interno verso l’esterno, la cui entita andra aumentando con l’ampliarsi dei capillari per la progressiva perdita di calce. La perdita di resistenza meccanica, conseguenza dell’ aumentata porosita, comporta una diminuzione della resistenza a compressione intorno all’1+2% per ogni 1% del contenuto originale di calce di idro- lisi asportata per dilavamento. Alla decalcificazione progressiva é imputabile una particolare modalita di fessurazione. Lungo le superfici di strutture armate, con armature di parete esposte a cicli alternati di secco ed umido, si apro- no fessure parallele alla direzione delle armature. Per effetto dell’acqua piovana si ha una progressiva perdita di calce, che generalmente viene compensata dal flusso di altra calce pro- veniente dalle zone pit interne. Lungo le barre di ponte, invece, tale compensazione non pud avvenire in egual misura a causa dello spes- sore ridotto dello strato di calcestruzzo e dello sbarramento che le armature offrono alla migrazione della calce. In tali zone la decalcificazione sara pid rapida con conseguenziale allargamento dei pori e maggiore permeabilita. Lungo tali zone il tigonfiamento ed il ritiro per essicamento del calcestruzzo saranno pit marcati. D’altra parte, la presenza delle armature impedira al calce- struzzo di muoversi liberamente; si creeranno, pertanto, stati tensionali alternati che indurranno fessurazioni per fatica. Tali lesioni non posso- no essere prevedibili in sede di progetto, ma possono essere contenute 0 annullate confezionando e posando in opera un buon calcestruzzo, ricco di cemento, con basso rapporto acqua/cemento, ben costipato e correttamente maturato. 13 1.1.2 Attacco solfatico Particolarmente esposte a tali azioni disgregative sono le strutture in ambiente marino, anche se distanti alcuni chilometri dal mare. Tl vento trasporta con sé, dal mare verso |’entroterra, goccioline di acqua salata che si depositano sulla superficie del calcestruzzo e suc- cessivamente vengono assorbite per capillarita. I numerosi cicli di imbibizione ed essiccamento nel loro susse- guirsi, fanno incrementare progressivamente la concentrazione salina nei pori sino a portarla a valori prossimi a quelli dell’acqua marina (35 gr di sali per kg di acqua) ed anche superiori. L’azione distruttiva della pasta cementizia é determinata da sali solfatici: — MgSO; (solfato di magnesio), che viene portato dall’ambiente esterno; — CaSO. - 2H: O (gesso) che rappresenta il prodotto di reazione tra il solfato di magnesio e |’idrossido di calcio Ca (OH): presente nel cal- cestruzzo. Questa reazione avviene con aumento di volume del 120% circa. Il gesso prodotto reagisce con le fasi idrate provenienti dalla idra- tazione dell’alluminato tricalcico 3CaO - Al.O; formando ettrincite 3CaO - AbO: - 3CaSOs - 32H20. L’aumento di volume é del 370% circa. La stechiometria delle equazioni pud variare, ma il prodotto finale rimane comunque I’ettrincite. L’attacco solfatico si manifesta, quindi, attraverso il rigonfiamento di parti della struttura e conseguentemente un suo indebolimento. La presenza, del cloruro di sodio nei pori, favorisce la corrosione delle armature. 1.1.3 Gelo-disgelo Il congelamento dell’acqua contenuta nelle cavita di corpi porosi, pro- voca un aumento di volume capace di esercitare una pressione tale da rigonfiare il materiale e distruggerlo progressivamente con |’alternarsi dei cicli gelo-disgelo. Affinché cid avvenga, é necessario che all’interno dei corpi porosi il grado di saturazione dell’acqua sia superiore al 91,7%. a4 Tuttavia esperienze condotte dal Vuorinmen, hanno dimostrato che il calcestruzzo offre una buona resistenza al ghiaccio gia con gradi di saturazione dell’acqua del 60% circa. Questo fatto, in contrasto con la teoria classica, trova una spiega- zione (anche se non ancora verificata) con la teoria della pressione osmotica di Helmuth. In base a tale teoria la formazione del ghiaccio comporta un aumento della concentrazione salina nella fase liquida non ancora solidificata. Si genera pertanto, una forza spingente, dovuta alla pressione osmotica che si instaura tra l’acqua che bagna il calcestruzzo all’ester- no e quella contenuta nella porosita a pil alta concentrazione salina. Questo giustificherebbe anche perché gli effetti del gelo-disgelo sono pi evidenti su quelle strutture trattate con disgelanti applicati sulle pavimentazioni (viadotti, scale, anfiteatri, stadi...). L’azione del gelo-disgelo é esaltata dalla porosita sia naturale sia prodotta dalla decalcificazione; aumentando la superficie espo- sta, incrementa la carbonatazione e facilita la corrosione delle arma- ture. 1.1.4 Carbonatazione La carbonatazione del calcestruzzo, di per sé, non rappresenta un fenomeno preoccupante, ma é importante in quanto il suo evolversi pud favorire la corrosione delle armature. L’acqua contenuta nei pori di un calcestruzzo “giovane’’, presenta valori di pH intomno a 13+14. Tali valori, per effetto di reazioni di neutralizzazione tra i compo- nenti alcalini presenti negli strati esterni della superficie del calce- struzzo € sostanze acide provenienti dall’ambiente esterno, possono ridursi fino a valori prossimi alla neutralita. Queste sostanze acide sono generalmente |’ anidride carbonica CO2 contenuta nell’aria ed in particolari atmosfere industriali l’anidride solforosa SOs contenuta nella pioggia. Certamente I’anidride carboni- ca é quella che maggiormente determina il processo, per la sua costan- te presenza nell’ aria (600-1000 mg per m’. d’aria). Lanidride carbonica a contatto con gli strati superficiali del calce- struzzo reagisce secondo la reazione: 15 Foto 1:- Trave degradata per effetto della carbonatazione CO: + Ca(OH), 20+ sali, Caco; + H:0 abbassando il pH iniziale dal valore 13+14 a valori pH<9. In tale ambiente acido aumenta la solubilita del carbonato di cal- cio presente nel calcestruzzo sia sotto forma di inerte sia per trasfor- mazione del Ca(OH)2. Si innesca quindi un processo chimico che porta alla formazione di bicarbonato di calcio, solubile in acqua, quin- di facilmente asportabile dalla pioggia. La carbonatazione @ un processo lento e la sua velocita é determi- nata dalla velocita dei seguenti sottoprocessi: —formazione del bicarbonato di calcio, come appena descritto; — diffusione della anidride carbonica nel calcestruzzo gia carbonatato, - diffusione dell’acqua all’interno del calcestruzzo. Mentre il primo sottoprocesso é rapido, gli altri due sono lenti e pertanto limitano il processo della carbonatazione. In pratica, vedremo che, pil che la velocita del processo di carbo- natazione, diventa importante conoscere la velocita di avanzamento, in altre parole, i millimetri di calcestruzzo coinvolti dal processo della carbonatazione nel tempo. Da quanto detto diventano determinanti le condizioni ambientali. 16 Il calcestruzzo @ un materiale poroso e pertanto la penetrazione della CO: e dell’acqua @ determinata dalla grandezza e quantita dei pori presenti in superficie. E da tenere presente anche che la velocita di diffusione della CO2 nell’aria @ 10* volte pit alta della velocita di diffusione della CO: in acqua. Da queste considerazioni si evince che un calcestruzzo in atmosfe- ra molto umida (U.R.>80%) e molto secca (U.R.<50%) non puo car- bonatarsi. Foto 2 - Grave danneggiamento di una trave. Infatti se i pori sono secchi |’anidride carbonica diffonde all’inter- no degli stessi, ma la carbonatazione non avviene per assenza di acqua. Se, d’altra parte, il calcestruzzo é saturo d’acqua, la carbonatazio- he non avviene ugualmente per la bassissima velocita di diffusione dell’anidride carbonica in acqua. Pertanto per quantitativi d’acqua all’interno dei pori, dovuti a con- dizioni ambientali «critiche» (U.R. 60%+70%), valori che frequente- mente si riscontrano, la carbonatazione procede con la massima velo- cita verso gli strati pid interni del calcestruzzo, modificando progressi- vamente il valore del pH dell’estratto acquoso contenuto nei pori. La profondita di tali strati, coinvolti dal processo di carbonatazione, e quindi di conseguenza dalla diminuzione del pH, viene generalmente 17 chiamata “profondita di carbonatazione” e rappresentata dalla rela- zione: dove: = A x=At* é la profondita di carbonatazione espressa in mm; una costante variabile tra ivalori 1+10 che tiene conto delle condizioni ambientali, della natura e preparazione del calce- struzzzo. A=10 per calcestruzzi porosi; é il tempo espresso in anni compreso tra 0 < n $ 2 in base alla resistenza che il calcestruz- zo offre alla diffusione della CO:, Per calcestruzzi normalmen- te confezionati, porosi 0 poco compatti n = 2 Pertanto per un calcestruzzo poroso la profondita di penetrazione risulta di circa 30 mm in 10 anni. Pertanto la carbonatazione é un processo molto lento e compare dopo anni o decenni. La carbonatazione del calcestruzzo non supera la profondita di 2+3 cm dalla superficie esterna. E questa pero la zona dove sono collocate le barre di armatura. profondita di jcarbonatazione min 15 N/mng 15 25 N/mmq 35 N/mmq 45. N/mmq. 0 8 10 15 20 tempo di carbonatazione Fig. 1 - Profondita di carbonatazione in una struttura in calcestruzzo armato, in funzione del tempo. Poiché in tale zona si ha una diminuzione dell’alcalinita del calce- struzzo, per valori del pH al di sotto di 9, viene a mancare quell’am- 18 biente passivante che costituiva una naturale protezione dell’ acciaio di armatura. Foto 3 - Degrado dei travetti di un solaio. I fattori che influenzano la profondit& di carbonatazione sono in pratica: — il tipo di cemento impiegato, in quanto da esso dipende la quantita di CaO e quindi, dopo idratazione, |’ammontare di Ca(OH): contenuto nel calcestruzzo; — la quantita di cemento per m’ di impasto; — la compattazione del calcestruzzo in fase di getto; —la maturazione del calcestruzzo, in quanto da essa dipende il grado di idratazione; — le condizioni ambientali in cui la struttura é inserita. Come detto, il processo della carbonatazione riduce il valore del PH, abbassandolo al di sotto di 9, viene cosi distrutto quell’ambiente “passivante”, che costituiva la protezione dell’acciaio di armatura. Infatti dal diagramma di Pourbaix, potenziale elettrochimico -pH, per il ferro, si verifica che per valori del pH>9 si forma Fe,0, ossido fer- toso ferrico che, depositandosi sulle armature, le protegge da ulteriori attacchi (passivazione). Poiché, come detto, il processo dalla carbonatazione riduce l’alea- linita del calcestruzzo, abbassando il pH al di sotto di 9, viene distrutto tale effetto passivante. 19 1.1.5 Corrosione delle armature La corrosione delle armature é@ certamente il processo di degrado pit importante ai fini della durabilita di una struttura in calcestruzzo arma- to. E stato ormai da tempo assodato che la corrosione dell’acciaio delle armature avviene mediante un processo elettrochimico. L’anodo ed il catodo sono forniti dalla stessa armatura. Infatti lungo una stessa barra le zone rivestite di ossidi molto aderenti (cala- mina) fungono da catodo, la soluzione elettrolitica @ formata dall’ac- qua assorbita per capillarita e da un sale solubile. Il processo avviene con costante sottrazione di materiale dall’ano- do e deposito di idrato ferrico FeO;"nH,O (ruggine). Poiché la ruggine occupa un volume maggiore dell’acciaio origi- nario, si ha quindi fessurazione del calcestruzzo e la esposizione di nuovi tratti di armatura (spalling). L’acqua contenuta nei pori del calcestruzzo, per la presenza di idrossidi di calcio, sodio, potassio, prodotti della idratazione del cemento di impasto, presenta un pH = 12,5+13. Questa alcalinita, determina una naturale passivazione delle armature. Quando il pH, per effetto della carbonatazione si abbassa sotto il valore 9, l’ossigeno pre- sente nell’estratto acquoso dei pori del calcestruzzo, a contatto con le armature induce corrosione. La corrosione pud essere indotta anche per azione di sostanze aggressive (cloruri) presenti nel calcestruzzo in quanto trasportati dal- l’ambiente esterno. Tali sostanze, in presenza di acqua ed ossigeno, intaccano gli ossi- di protettivi presenti sulle armature, anche in calcestruzzi non carbo- nati, (pitting), creando quindi una zona anodica da dove si sviluppa il processo elettrochimico della corrosione, Indipendentemente dal meccanismo innescante, il processo evolve secondo le seguenti fasi: —Vacciaio si ossida all’anodo formando ioni Fe’; ~al catodo una sostanza riducente da luogo alle reazioni catodiche; ~la soluzione elettrolitica (acqua con sali disciolti) favorisce il movi- mento degli ioni dal catodo all’anodo; Il processo avviene quindi secondo lo schema: 20 | CT dall’ambiente flusso di elettroni HY dall'ambiente 2 = esterno ¢ attraverso la barra Ox+H20 esterno aO Fe ANODO CATODO + oe <2 - Bich terres presenza di acqua e eali in soluzione Da quanto detto, appare evidente che i fattori essenziali per la cor- rosione delle armature sono: la ridotta alcalinita del calcestruzzo (pH 9), che distrugge l’effetto passivante degli ossidi di ferro stabili, la presenza dell’acqua e soprattutto dell’ossigeno senza i quali il proces- so non potrebbe aver luogo. Difatti a parita di altre condizioni, la velo- cita del processo corrosivo dipende dalla quantita di ossigeno presente e si arresta quando questo viene a mancare. E da notare che, nel caso in cui vi siano riduzioni apprezzabili della sezione dei ferri d’armatura per corrosione, si ha anche una ricot- tura del materiale residuo, e le sue caratteristiche meccaniche tendono a ridursi col tempo in modo apprezzabile. 1.1.6 Effetti del fuoco Il calcestruzzo, come @ noto, é costituito da inerti granulari legati da pasta cementizia. Le varieta di cemento impiegate per la preparazione di calcestruz- zo risultano essere di varia origine; quello pil. comunemente utilizza- to é il cemento Portland. Il comportamento termico di un calcestruzzo confezionato con cemento Portland @ caratterizzato da una modesta dilatazione fino a 100 °C per poi progressivamente subire una contrazione fino a 1000 °C e nel conseguente raffreddamento fino a 0 °C. 21 Questo é dovuto alla progressiva disidratazione irreversibile con conseguente distruzione della struttura cristallina della malta cemen- tizia. Gli inerti presentano una differente dilatazione termica rispet- to alla malta cementizia che li lega, gia a temperature inferiori ai 500 °C, Foto 4 - Effetto del fuoco su una trave a spessore. Per temperature superiori, oltre i 600 °C, intervengono fenomeni di trasformazione allotropica o di dissociazione chimica che inducono grosse contrazioni. Per inerti di natura silicea si ha il fenomeno della frantumazione esplosiva, dovuta alla diversa dilatazione termica tra gli inerti stessi e la malta che li contiene. Per effetto delle alte temperature il calcestruzzo subisce dei cam- biamenti delle proprie caratteristiche meccaniche dovute alla progres- siva distruzione della struttura cristallina e per la perdita dell’acqua di idratazione. Per una valutazione sufficientemente approssimata delle caratteri- stiche meccaniche del calcestruzzo a varie temperature possono risul- tare validi i valori dei coefficienti di riduzione riportati nella Tabella 1 per la resistenza a compressione ed il modulo elastico. 22 Tabella 1 Temp. °C 0 250 600 900 1000 Colore grigio grigio rosa fulvo giallo molto friabile Aspetto — = poroso poroso poroso Modulo elastico 1 1 0,50 0,20 0,10 Resistenza a compr. ; 1 1 0,45 = = i Per una prima analisi, condotta visivamente su strutture incendia- te, possono essere utili le indicazioni dei valori della resistenza a com- pressione in funzione del colore assunto dal calcestruzzo e del suo aspetto superficiale. Infatti con il variare della temperatura il calcestruzzo assume, per variazioni dei suoi componenti, diverse colorazioni passando dal gri- gio chiaro al rosa al grigio scuro al fulvo al giallo, con il variare della temperatura dai 600 °C ai 1000 °C. Parallelamente la sua superficie diventa sempre pit porosa fino a presentarsi friabile. Al crescere della temperatura |’acciaio modifica la sua struttura cristallina, perdendo le sue caratteristiche elastiche fino a diventare plastico. E importante per le armature dei manufatti in cemento arma- to, individuare la temperatura per la quale si crea una tensione nell’ac- ciaio tale da indurre allungamento pari al 2%o cioé al limite elastico. Tale temperatura é definita “temperatura critica”. Per gli acciai comu- nemente impiegati in edilizia la temperatura critica varia tra i 500+550 °C, inferiore a quella del calcestruzzo, valutabile per quanto gia detto, intorno ai 600 °C. E da tener presente anche il fatto che, mentre nel campo delle tem- perature di impiego nelle costruzioni in cemento armato, l’acciaio ed il calcestruzzo hanno uguale dilatazione termica, per temperature maggio- ri, come quelle che possono crearsi per effetto di un incendio, l’acciaio continua a dilatarsi, mentre il calcestruzzo si contrae; si creano cosi stati tensionali elevati che portano alla frantumazione del calcestruzzo. Gli elementi strutturali con un alto rapporto superficie ester- na/volume hanno un comportamento al fuoco pitt disastroso di quello di elementi massicci. D’altra parte é da dire che il raggiungimento in una sezione della temperatura critica dell’acciaio o del calcestruzzo non comporta necessariamente il collasso dell’intera struttura. La capacita di ridistribuzione delle azioni interne all’elemento, dovuta al 23 grado di duttilita dell’elemento e alla iperstaticita della intera struttura, permette il crearsi di nuove risorse statiche. 1.1.7 Degrado del calcestruzzo armato immerso in acqua marina I principali fenomeni di degrado delle strutture immerse in acqua marina, sono dovuti essenzialmente ai due componenti del calcestruz- zo che maggiormente influenzano le caratteristiche di durabilita: l’al- luminato tricalcico e i silicati di calce. Il primo, reagendo con i solfati, forma l’ettringite o sale di Cand- lot. Tale reazione avviene con un aumento di volume di circa tre volte quello dei reagenti, e cid provoca il disgregamento del calcestruzzo. Il dilavamento del prodotto di reazione da origine a fenomeni di erosione. I silicati di calce per idratazione formano l’idrato di calcio che in presenza di solfati si trasforma in gesso (solfato di calcio) che rende friabile la superficie del calcestruzzo provocando una graduale decal- cificazione del calcestruzzo. Lidrato di calcio, reagendo con |’anidride carbonica contenuta nell’acqua di mare, da origine al bicarbonato di calcio solubile in acqua. L’aggressione chimica dell’acqua di mare sul calcestruzzo si manifesta, quindi, come disgregazione espansiva dell’alluminato tri- calcico e come decalcificazione per l’idratazione dei silicati di calcio. Le armature metalliche sono pid esposte alla corrosione elettrolitica per la quale, come gia detto, @ determinante il valore del pH dell’am- biente, infatti il mare presenta un pH circa 8. Studi effettuati da Gjorw e Vennesland hanno evidenziato che l’effetto aggressivo dei sali disciolti in mare dipende in gran parte dalla “riserva di basicita” del calcestruzzo, ed in particolare é stato provato che tale “riserva di basicita” dipende dal tipo di cemento. Il Portland ben idratato ha un contenuto di Ca(OH), tale da fornire una buona riserva di basicita. Pertanto, da quanto detto, la corrosione delle armature di strutture immerse in acqua marina, dipende sostanzialmente dal tipo di cemen- to, dalla concentrazione dei sali presenti nell’acqua assorbita dal cal- cestruzzo e dal tenore di ossigeno dell’acqua marina, per cui si avra una corrosione decrescente dalla quota del pelo libero dell’acqua a 24 quella del fondale in quanto & decrescente la concentrazione di ossi- geno presente. Foto 5 - Struttura sommersa degradata. Foto 6 - Struttura sommersa ricoperta da fouling marino, 25 Foto 7 - Danneggiamento corticale di strutture. I fattori ambientali che influenzano e determinano |’insorgenza del degrado di strutture immerse in mare sono: —la salinita dell’acqua; — l’ossigenazione dell’acqua; —la temperatura ed il pH dell’acqua; —T’intensita delle correnti: —le formazioni biologiche. La salinita dei mari italiani varia tra il 35,5% + 37,2% in inverno ed in estate rispettivamente. L’ossigeno presente nei mari italiani ha un valore medio pari all’85% restando quasi costante fino a valori intorno ai 6 m dal pelo libero dell’acqua per poi decrescere. La temperatura ha un valore medio di 17 °C oscillando tra il valo- re minimo di +1,5 °C invernale e +28 °C estivo. Il pH é pari a 8. Le correnti influiscono sulla ossigenazione e le formazioni biolo- giche; sono legate ai movimenti delle maree e alla configurazione delle coste e sono responsabili di abrasioni ed erosioni. Il fouling marino é costituito essenzialmente da crostacei sedentari cirripedi, sulle cui formazioni si fissano le spugne, i mitili, i serpulidi, 96 gli ascidiacei. Lo sviluppo di tale fouling, favorito dal tenore di ossi- geno e dalla temperatura media dell’acqua marina, é dannoso per il calcestruzzo e per l’acciaio, in quanto li aggredisce con azione chimi- ca dovuta alla secrezione acida e allo sviluppo di processi putrefattivi. Foto 8 - Strutture ammallorate per effetto dello spalling. Foto 9 - Nodo danneggiato dal sisma del Nov. “80, si noti la carenza di staffe. 27 Foto 10 - Scala danneggiata dal sisma del Nov. “80, 1.1.8 Cenni statistici sul degrado Studi statistici eseguiti in diversi Paesi, su edifici con evidenti degradi strutturali, hanno evidenziato un’amara considerazione. La gran parte dei danni avviene durante la fase di esecuzione delle strutture e conseguono ad errori umani. Solo il 29% dei danni struttu- rali sono da ritenersi inevitabili. Foto 11 - Difetti in fase di getto. Nidi di ghiaia. 28 25,008 31,00% difetti in fase progettuale difett! in fase ot utilizz0 difettt in fase esecutiva 44,008 Fig. 2 - Percentuali di ripartizione dei difetti riscontrati su strutture in calcestruzzo armato. Pid in dettaglio i risultati di tali indagini possono cosi sintetizzarsi: —i danni si producono maggiormente in fase di esecuzione; ~il fattore umano é in gran parte responsabile per propria ignoranza, incuria, sottovalutazione delle conseguenze, errori. Le conclusioni che si possono trarre sono essenzialmente le seguenti: —le lesioni sono dovute, nella maggior parte dei casi, a difetti di tenu- ta d’acqua; ~il cattivo posizionamento delle armature ed il conseguente ridotto spessore del copriferro, § responsabile della fessurazione e successi- va caduta di pezzi di calcestruzzo per la spinta dovuta all’ espansione della ruggine (spalling); —le impurita contenute negli inerti mal lavati, sono responsabili della ridotta resistenza dei calcestruzzi; —il disarmo precoce, prima che il calcestruzzo abbia raggiunto la dovuta resistenza, é responsabile di lesioni nella fase esecutiva. Molti errori, quindi, potrebbero essere evitati o considerevolmente ridotti, se venisse eseguito un controllo continuo, da parte di tecnici competenti, nella fase esecutiva, affinché le difficolta, via via emer- genti, siano correttamente risolte. 29 1.2 LA ROTTURA DEL CALCESTRUZZO ARMATO 1.2.1 Rottura fragile In modo sintetico si riportano i principali tipi di stati fessurativi di ori- gine strutturale, per una migliore comprensione di quali possano esse- te state le sollecitazioni che hanno indotto tali lesioni. a) Rottura per flessione Una trave sottoposta a carichi via via crescenti, presenta, dopo una fase iniziale caratterizzata da microfessurazioni non visibili, lesioni nella parte tesa la cui ampiezza decresce verso il centro della trave e dipende dal rapporto acciaio-calcestruzzo. Al crescere dei carichi aumenta |’ampiezza delle lesioni e si ha lo snervamento dei ferri d’armatura tesi. Quando il calcestruzzo compresso ha raggiunto un accorciamento pari al 2+3% il copriferro si sgretola. Questo processo di sgretolamento continua fino a quando le barre compresse incominciano ad ingobbarsi e, superato il momento resi- stente, si ha la crisi della struttura. b) Rottura per taglio I parametri che influenzano tale meccanismo di rottura sono diver- si, importante pero risulta la percentuale, la posizione ed il tipo della armatura trasversale. Il meccanismo si evolve attraverso le seguenti fasi: ~inizialmente gli sforzi di taglio vengono assorbiti dal conglomerato, fino al manifestarsi delle prime lesioni; —al crescere delle lesioni, le armature al taglio (staffe) assorbono tutti gli sforzi fino a quando raggiungono lo snervamento; —Vincremento dei carichi, a questo punto, viene assorbito dal calce- struzzo compresso e dall’effetto bloccante delle facce opposte di cia- scuna lesione e dall’effetto “spinotto” dell’armatura longitudinale tesa; —il collasso si raggiunge per sgretolamento del calcestruzzo com- presso. 30 c) Rottura per flessione e taglio Pit’ complessa é la spiegazione del fenomeno della rottura per azione combinata di flessione e taglio. Anche in questo caso le lesioni compaiono inizialmente in zona tesa, ma non hanno andamento rettili- neo verso il centro della trave come per la flessione semplice, bensi, dopo un primo tratto rettilineo, si inclinano di 45°, Al crescere dei carichi, l’ampiezza delle lesioni aumenta e le staffe si snervano mentre si ha lo sgretolamento. del calcestruzzo in zona compressa. La presenza delle forze di taglio crea danni pid gravi di quelli per flessione semplice. d) Rottura per torsione Nel caso di travi soggette a sforzi di torsione, le lesioni si inne- scheranno al centro delle superfici laterali, dove lo sforzo tangenziale é massimo. In assenza di altre sollecitazioni interne, le lesioni hanno inclina- zione a 45° e danno luogo ad uno stato fessurativo complesso che, dopo lo snervamento delle staffe e lo sgretolamento del calcestruzzo compresso, porta alla crisi della struttura. 1.2.2 Rottura duttile Molti materiali, ma anche elementi strutturali, riescono a sostenere grandi deformazioni, sotto carichi monotoni, anche quando la loro capacita di trasmettere sforzi interni viene superata (duttilita). La crisi della struttura non coincide con la crisi puntuale come per i materiali fragili, bensi la capacita di adattamento del materiale con- sente una ridistribuzione di azioni interne chiamando a collaborare zone meno sollecitate. La crisi di una sezione duttile, quindi, coincide con la completa plasticizzazione di tutte le fibre chiamate a collaborare. La presenza di lesioni, pertanto, non @ necessariamente un sinto- mo preoccupante in presenza di strutture duttili, potrebbe anzi indicare che |’elemento strutturale ha superato una situazione di crisi locale, ristabilendo nuovi equilibri. 31 IL RISANAMENTO DEL CALCESTRUZZO Ze ARMATO 2.1 CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE SUL PROBLEMA DEL RISANAMENTO DELLE STRUTTURE IN CEMEN- TO ARMATO Parlando di risanamento di strutture in cemento armato, viene imme- diata l’associazione di idee alla scienza medica, e alle discipline che studiano sintomi, effetti, cause, rimedi delle “malattie” che colpiscono il corpo umano. Possiamo quindi, sfruttando questo paragone, confrontare la strut- tura portante, o in generale l’architettura tecnica, allo scheletro umano e alla anatomia descrittiva, la scienza e la tecnica delle costruzioni alla fisiologia, il risanamento strutturale alla ortopedia, la tecnologia dei materiali alla biochimica. La presunzione di ritenere perfette ed inattaccabili le strutture in cemento armato, ha fatto profondere tutte le energie di generazioni di ingegneri ed architetti nello studio di quelle scienze che permettessero la realizzazione di costruzioni sempre pil evolute, trascurando il pro- blema della durabilita e del degrado nel tempo. In fase progettuale, si ipotizzano le eventuali azioni perturbatrici che agiranno sulle varie strutture, i cui effetti, in parte, possono essere anche previsti. Molteplici sono le cause perturbatrici, non sempre pos- sono essere quantizzabili, o prevedibili, spesso sono dovute proprio all’uomo, ai suoi errori, a ignoranza, a incompetenza. Ill rilievo e la diagnosi delle lesioni, risulta pertanto difficoltoso, ed ancora pid deli- cato individuare una idonea terapia di risanamento. Un conglomerato armato, sotto l’azione di sollecitazioni a trazio- ne, presenta dei sensibili allungamenti, come se possedesse una eleva- ta plasticizzazione. Le esperienze dimostrano che il fenomeno pud 32 essere spiegato dal fatto che strutture in cemento armato, ben progetta- te, riescono a subire tali deformazioni flessionali, in quanto su di esse viene a crearsi uno stato microfessurativo non visibile a occhio nudo. Lampiezza di tali lesioni é in funzione dell’aderenza del calce- struzzo all’acciaio, e quando tale aderenza viene superata si passa dallo stato microfessurativo a quello di macrofessure. Come detto al § 1.1, si pud distinguere il “degrado” in due grosse categorie, indipendentemente dal fatto che sia stato causato da feno- meni disgregatori (come l’azione degli agenti atmosferici, errori umani) 0 violenti (come eventi sismici, scoppi, incendi): — disgregazione superficiale o sostanziale del calcestruzzo con 0 senza deformazione o ossidazione dell’ armatura; — presenza di stati fessurativi (lesioni) che interessano |’intera sezione della struttura o parte di essa. Gli interventi di risanamento devono realizzare: —la chiusura delle lesioni esistenti per evitare che si provochino ulte- riori fenomeni disgregatori; -il ripristino della originaria resistenza a trazione del manufatto mediante il perfetto incollaggio delle parti con il monolitismo strut- turale; — il ripristino del copriferro o delle parti mancanti del calcestruzzo; — il ripristino dell’armatura; —blocco della corrosione. I materiali da impiegarsi nel risanamento delle strutture in cemen- to armato, devono possedere caratteristiche tali da garantire essenzial- mente le seguenti funzioni: — integrare o ripristinare la carenza di armatura esistente; —ripristinare |’ aderenza ferro-calcestruzzo o calcestruzzo-calcestruzzo persa 0 compromessa; — proteggere gli acciai da ulteriore corrosione, ripristinando eventual- mente la originaria azione passivante; — integrare parti di conglomerato; —bloccare il processo di corrosione. Diversa invece é l’ottica qualora si debba intervenire su strutture ricadenti in aree considerate a rischio sismico. Tali interventi si ispira- no infatti a criteri nettamente diversi a seconda che si debba semplice- mente ripristinare ’integrita di ogni parte dell’edificio o che sia richie- sto un complesso di opere di rafforzamento che rendano I’edificio atto a resistere ad eventuali azioni sismiche. 33 E noto infatti che dalla progettazione sismostrutturale si richiede che un edificio resista senza danni, in fase elastica, a terremoti di intensita relativamente modesta, affidando alle capacita dissipative e deformative in fase post-elastica la possibilita di fronteggiare i terre- moti pid violenti; in quest’ultimo caso non si esclude |’eventualita che si verifichino danni anche agli elementi strutturali, purché di entita tale da garantire sufficienti margini di sicurezza nei confronti di possi- bili collassi parziali o globali. Il grado di danneggiamento ammesso per sismi violenti e quindi V’entita della possibile escursione delle strutture in campo elasto-pla- stico é dipendente dal valore e dalla destinazione funzionale dell’ edifi- cio e quindi dell’importanza sociale che esso riveste sia in periodi nor- mali che, soprattutto, in quelli di emergenza susseguenti ogni evento sismico. Alla luce di tutto cid, quindi, é evidente che un edificio che sia stato lievemente danneggiato da un sisma avente caratteristiche para- gonabili a quelle del terremoto di progetto per il sito in questione, pud essere, ad ogni effetto, considerato antisismico; cid é anche vero se lo studio della sismicita locale, del terreno di fondazione e della struttura portano ad escludere che |’integrita riscontrata sia da considerarsi un fatto occasionale. In questo caso gli interventi saranno orientati semplicemente a ripristinare l’integrita delle strutture esistenti (restituendo alla loro capacita portante il valore originario di progetto) e quella degli ele- menti non strutturali, lasciando sostanzialmente invariata la distribu- zione di questi ultimi. Qualora la situazione di dissesto sia pit’ pronunciata, fino a denun- ciare uno stato prossimo al collasso 0 comunque pericoloso in relazio- ne alla destinazione funzionale dell’edificio, il problema si pone inve- ce in termini di rafforzamento strutturale, per conseguire un adegua- mento sismico. Quest’ultimo problema si pone in maniera evidente anche per edi- fici integri, ovvero poco danneggiati, per i quali un’analisi strutturale abbia messo in luce una chiara situazione di insufficienza. E estremamente importante sia per valutare il degrado di resisten- za originaria, sia per definire successivamente le linee di intervento, poter disporre di un accurato rilievo delle lesioni manifestatesi negli elementi strutturali e non, si da poter correlare questo panorama fessu- tativo alle azioni che lo hanno provocato, per avere un chiaro quadro 34 dei rapporti causa-effetto e quindi delle particolari deficienze struttu- rali cui deve essere posto rimedio. I rilievi e le analisi in alcuni casi possono essere limitati a quelle parti strutturali che, ad intervento eseguito, acquisteranno un ruolo tilevante per la resistenza. Sulla scorta dei rilievi effettuati e dei dati disponibili pud proce- dersi alla valutazione delle caratteristiche residue (resistenza, rigidez- za, duttilita) dei singoli elementi strutturali e della struttura nel:suo insieme. 7 In particolare la valutazione della resistenza attuale globale della struttura pud essere fatta tenendo conto opportunamente nei calcoli del grado di danneggiamento. Una volta effettuata una stima della capacita di resistenza residua, Vintervento consistera nell’incrementare la resistenza strutturale alle azioni sismiche o nel ridurre le forze agenti e quindi i loro effetti. In generale la capacita di resistenza strutturale alle azioni sismiche puod incrementarsi: —aumentando la resistenza vera e propria che, per semplicita, trascu- rando il contributo dato dalla fase di comportamento anelastico, pud ritenersi coincidente con la resistenza al limite di elasticita; —incrementando la duttilita e le resistenze dissipative. 2.2 I[MATERIALI NEL RISANAMENTO 2.2.1 Premessa Negli interventi di ripristino o di adeguamento alla normativa sismica delle strutture di fabbricati in cemento armato, una particolare atten- zione deve essere posta nella scelta dei materiali che devono avere caratteristiche meccaniche e chimiche ben definite. Oltre ai requisiti di resistenza, che devono essere tali da garantire una efficace compartecipazione alla risposta dinamica, i materiali da impiegare devono essere poco sensibili alla viscosita e possedere sta- bilita volumetrica nel tempo. Il conglomerato di cemento & soggetto, come é noto, ai due feno- meni reologici di viscosita e ritiro. Ambedue i fenomeni possono essere negativi per la riuscita del- Vintervento. Infatti, poiché all’atto dell’intervento pud considerarsi 35 esaurito il comportamento viscoso del materiale preesistente, il mate- riale di apporto possiede per intero le caratteristiche viscose, ¢ eviden- te che nel tempo le tensioni migreranno dal materiale pid viscoso a quello meno viscoso. Poiché l’intervento mira in genere ad alleviare la struttura preesi- stente, la viscosita, facendo migrare lo stato tensionale dal materiale di apporto a quello preesistente, rendé inefficace |’intervento. Lo stato tensionale iniziale nelle strutture é tale da porle in condi- zioni precarie, per effetto della viscosita la precarieta pud ripresentarsi nel tempo. Conseguenze analoghe possono ottenersi per effetto del ritiro, con l’aggravio che quest’ultimo fenomeno si verifica indipendentemente dallo stato di sollecitazione esistente all’atto dell’ intervento. Ad evitare i fattori negativi cui si é accennato, si rende necessaria la scelta di materiali appropriati: elementi per il rinforzo in acciaio, malte a ritiro compensato, adesivi epossidici, rispondono a tali requisi- ti. Le resine epossidiche, in particolare, vengono utilizzate sia come collanti, sia come materiali di apporto, sia come conglomerato epossi- dico ed il loro impiego al posto di boiacche o malte cementizie, anche se additivate, offre i vantaggi di una protezione chimica durevole, di una ottima adesione senza ritiri, di iniettabilita in lesioni con anda- mento molto tormentato e di perfetta impermeabilita. 2.2.2 Le armature di rinforzo L’acciaio é il materiale che trova pid larga applicazione nei rinforzi strutturali come integrazione o sostituzione delle armature esistenti. In alcuni casi, ove sussistono particolari condizioni tensionali o nel caso di strutture lignee, vengono impiegate reti in fibre di vetro o barre in vetro-resina epossidica. L’acciaio Fe 430 e Fe 44B é quello pit frequentemente usato, sotto forma di profilati ad L 0 piatto o laminato piano. 2.2.3 I materiali di riporto Il calcestruzzo asportato per degrado o perché distaccato, viene inte- grato oO sostituito con malte reoplastiche a ritiro compensato. Le caratteristiche peculiari di tali prodotti sono: un ritiro contenu- 36 to, alcune di esse presentano una leggera espansione in fase di matura- zione, un’alta aderenza al calcestruzzo vecchio (> 30 kg/cm?) e alle barre di ferro d’armatura (> 100 kg/cm?).I valori della resistenza a compressione variano tra i 300+600 kg/cm?, mentre la resistenza a tra- zione & compresa tra i 70+90 kg/cm. La loro bassa porosita, ma soprattutto il ridotto diametro dei capil- lari rispetto al calcestruzzo, rendono tali malte praticamente imper- meabili. L’impiego di malte cementizie preconfezionate, ha trovato in que- st’ultimo decennio, una sempre maggiore applicazione ed un crescente interessamento da parte dei tecnici ed operatori, giustificato dal fatto che i costi globali di intervento legati, alle garanzie che l’esecutore doveva fornire al committente, sono aumentati per cui diventava indi- spensabile l’impiego di prodotti che potessero offrire un elevato rap- porto prestazioni/garanzia di risultato. Le malte cementizie preconfezionate possono essere: —monocomponenti, composti in polvere da miscelare, prima dell’im- piego, con acqua nei rapporti indicati dal produttore-formulatore; —bicomponenti, prodotti sempre in polvere, da miscelare prima del- Tuso, con un’emulsione preconfezionata e predosata, di acqua e polimeri sintetici; - tricomponenti, ottenute in cantiere, impastando nei rapporti consi- gliati, cemento, inerti di opportuna granulometria, resine epossidiche in emulsione aquosa ed acqua. Relativamente alla costanza della qualita dei vari impasti, certa- mente le malte bicomponenti risultano essere quelle che lasciano all’ operatore poche possibilita di errore. D’altra parte le malte tricomponenti, oltre ad offrire il vantaggio di poter essere confezionate in cantiere con materiale facilmente reperi- bile nel cantiere stesso, presentano una migliore lavorabilita, durabi- lita, dovute alla presenza dei polimeri epossidici, che in fase di induri- mento creano una barriera coesiva, che tende a trattenere l’acqua di idratazione permettendo cosi una pid completa idratazione dei cristalli di cemento. 2.2.4 I materiali di protezione ed inibitori Da quanto detto al § 1.1.5 la corrosione delle armature @ un processo che schematicamente pud essere cosi rappresentato: 37 Il processo avviene quindi secondo lo schema: dall’ambiente flusso di elettroni H’ —dail'ambiente ie esterno: e attraverso la barra On+H20 esterno m0 Fe" ANODO CATODO t Ox#2O cr on ‘flusso ionico attraverso il calcestruzzo per la presenza di acqua e sali in soluzione come pud notarsi sono possibili quattro punti di attacco per fermare l’intero processo: —bloccare il flusso di elettroni attraverso le barre; —bloccare il flusso ionico attraverso il calcestruzzo; —bloccare il flusso di sostanze dall’ambiente esterno; —bloccare il flusso di ossigeno. Basta quindi intervenire su un solo di questi sottoprocessi, per bloccare il meccanismo della corrosione. II flusso di elettroni attraverso le barre, potrebbe essere bloccato variando la resistenza elettrica del- l’armatura, ma cid é praticamente impossibile. Si pud invece intervenire sul flusso ionico all’interno del calce- struzzo, riducendo la quantita d’acqua. Questo é possibile mediante rivestimenti superficiali protettivi impermeabili. Tali prodotti, devono costituire perd una barriera all’acqua, ma essere comunque traspiranti. I materiali pil comunemente impiegati costituiscono anche un’ otti- ma protezione ai cloruri ed all’anidride carbonica creando quindi anche il blocco dei due fenomeni innescanti la corrosione: la carbonatazione ed il pitting da cloruri. I migliori risultati si ottengono con l’impiego di formulati epossidici in emulsione acquosa e prodotti di finitura, colora- ti, a base di resine acriliche-poliuretaniche. In ambienti con assenza di cloruri, ottimi risultati possono essere ottenuti, portando la velocita di 38 corrosione su valori praticamente trascurabili, impiegando soluzioni di silossani o silani o resine siliconiche, come trattamenti idrorepellenti. Quando I’intervento di risanamento risulta localizzato, il blocco delle sostenze aggressive pud essere fatto direttamente sulle armature corrose, mediante prodotti protettivi capaci di creare un velo separatore tra le armature e le sostanze aggressive. Nel passato spesso si faceva ricorso a convertitori di ruggine, con- vinti del fatto che attraverso la loro azione chimica di trasformazione dei residui di ruggine in prodotti metallorganici stabili e scarsamente reattivi si operasse anche un’accurata pulizia delle armature. La pratica quotidiana e la ricerca specifica, hanno mostrato che sono certamente da preferirsi i formulati epossidici, meglio in dispersione acquosa, in base cementizia che, oltre alla funzione anticorrosiva, esplicano un’a- zione di promozione di adesione tra calcestruzzo e malta di riporto. Il blocco del flusso di atomi di ossigeno pud essere possibile solo saturando le strutture con acqua, in modo da ridurre la velocita di pene- trazione dell’O: all’interno dei pori del calcestruzzo. E quindi realizza- to per strutture immerse in acqua, e certamente da escludere per quelle in atmosfera. Da quanto detto, i formulati epossidici in dispersione acquosa, rap- presentano i principali materiali impiegati nella protezione ed inibizio- ne della corrosione. Le loro principali caratteristiche sono: —capacita di passivare |’ acciaio delle armature; — Ottima aderenza al calcestruzzo e all’acciaio; — impermeabilita all’acqua, ai cloruri, all’anidride carbonica. 2.2.5 I collanti I formulati epossidici, o pid genericamente le resine epossidiche, sono i materiali impiegati per “incollare” nuove armature alle strutture o parti di esse lesionate. I formulati epossidici presentano caratteristiche e modalita di impiego completamente diverse dai tradizionali materiali impiegati in edilizia, e dunque per il loro impiego sono necessarie conoscenze pill approfondite e specifiche sul prodotto. 39 2.3 IFORMULATI EPOSSIDICI 2.3.1 Le resine epossidiche Col termine “‘epossido” si identifica una famiglia di composti chimici caratterizzati dall’anello di atomi triangolare formato da due atomi oO di carbonio ed un atomo di ossigeno, che conferisce loro particolaris- sime proprieta chimico-fisiche. La parola epossido, descrive il simbolo chimico della famiglia di composti, dal greco epi, “al di fuori di”, per indicare appunto l|’atomo di ossigeno “al di fuori” della catena di atomi di carbonio. Questi composti sono polimeri con peso molecolare variabile da 380 a 200.000, con una stabilita dimensionale notevolissima. CBs mmargncarmatras + rm —€>— LL) oF + eran ail CHa NZ ° % cay 1 Has cH cH, - o-€_>-c—-C_ > — oat pA aH, cH lee , CHy <. ; <> ae —c— Se Pa caestbesy Nach + (n+2)H,0 CH) ° Fig. 3 Schema di reazione chimica per 'ottenimento di resine epossidiche I tipi pid comuni di resine epossidiche sono sintetizzati attraverso una reazione chimica, che prevede uno stadio di copulazione, deidro- genazione e quindi di incremento del peso molecolare, tra l’epiclori- drina ¢ il bisfenolo, schematicamente rappresentata in Fig. 3. Col variare della unita di ripetizione “n” da zero a circa 12, si hanno resine liquide o solide. Controllando opportunamente le condizioni di reazione, in parti- colare il rapporto epicloridrina/bisfenolo é possibile produrre resine con pesi molecolari variabili ed equivalente epossidico e caratteristi- che fisiche diverse. 40 Lepicloridrina é ottenuta generalmente da propilene e cloro, men- tre il bisfenolo da fenoli. Le resine epossidiche cosi ottenute, sono polimeri di scarso inte- Tesse pratico. Per trasformarle in sistemi compositi termoindurenti dotati di eccezionali caratteristiche chimico-fisiche-meccaniche é necessario far avvenire una reazione di poliaddizione con sostanze sensibili alla loro funzionalita. Nell’ingegneria civile le resine epossidiche utilizzate sono nella stragrande maggioranza del tipo a basso peso molecolare, liquide bifunzionali a viscosita medio-bassa (10+140 poise) a seconda dei set- tori di utilizzo e del livello di modificazione tollerato. La sequenza del processo di polimerizzazione esotermica é cosi schematizzata: miscelazione uniforme ' ' ' RESINA 1 fen6 ispessimento | Solido 1 solido ‘ t liquid fragile {| duro t ase ; infusibile ; ‘ ‘ 1 t fase di geli- v fase di ' fase di ficazione : : polimer.} completa ' i ' utile primaria? polimeriz. 1 INDURENTE Fig. 4 - Fasi di indurimento di un formulato epossidico. 2.3.2 Gli indurenti Gli indurenti sono composti che, reagendo con i gruppi funzionali epossidi- ci ed ossidrilici, reticolano gli epossidi ottenendo delle macromolecole a struttura tridimensionale. Per le condizioni che si incontrano generalmente nelle applicazio- ni edilizie, la scelta di questi indurenti viene limitata ai tipi che reagi- scono con gli epossidi a temperatura ambiente, senza bisogno di calo- Te esterno. Questi sono di natura amminica e possono distinguersi in: ~ poliammine; — addotti epossi-amminici; — poliammidi-reattive. 41 Vindurimento @ dovuto alla presenza di atomi di idrogeno attivi del gruppo amminico, che, reagendo con il gruppo epossidico realizzano strut- ture tridimensionali compatte, senza la eliminazione di prodotti di reazione. Le caratteristiche duromere conferite dall’indurente vengono fortemen- te influenzate dai tipi di resina usati. Le resine non modificate trasmettono al sistema pili alte resistenze meccaniche, a discapito, perd,.della flessibilita. Le caratteristiche duromere vengono solo leggermente modificate dal processo d’invecchiamento. Prove eseguite hanno dimostrato come un sistema epossidico completamente indurito presenti valori diversi della resi- stenza alla trazione a discapito della capacita all’allungamento, facendo variare la temperatura. Studi eseguiti su vari sistemi epossidici induriti con diversi tipi di ammine hanno altresi dimostrato come le caratteristiche meccaniche siano influenzate dal tipo di ammina (primaria, secondaria, terziaria) ed inoltre per una stessa ammina anche dal rapporto di impiego resina/induritore. Si pud, per le varie ammine, riassumere come segue le caratteristiche che possono conferire ad una resina epossidica: © AROMATICHE: ottima resistenza chimica, buone resistenze meccani- che e al calore, colore scuro e bassa stabilita alla luce. Non permet- tono di ottenere tinte chiare e comunque qualsiasi colore tende all’ingiallimento. Sono ritenute cancerogene e richiedono cautela sia per il magazzinaggio che per l’uso. © CICLOALIFATICHE: buone caratteristiche di resistenza chimica, mecca- nica e al calore. Di colore chiaro, permettono finiture sufficiente- mente chiare. Non sono tossiche. © ALIFATICHE: come le cicloalifatiche ad esclusione delle caratteristi- che tossicologiche essendo classificate irritanti. ® POLIAMMINOAMMIDI: ottime caratteristiche tossicologiche, moderate caratteristiche meccaniche, basse caratteristiche chimiche, buona flessibilita. © POLIETERURETANAMMINE: ottima flessibilita, basse caratteristiche chi- miche. 2.3.3 I diluenti e le cariche I diluenti sono sostanze atte a modificare la viscosita delle resine epossidiche. 42 3 Vengono distinti in: a) reattivi, di natura epossidica, contengono un solo ponte epossidico per molecola, che reagisce con l’indurente. Tra quelli pit’ comune- mente impiegati citiamo il fenilglicidiletere, il butilglicidiletere; b) non reattivi, quali ad esempio |’olio di pino, gli ftalati, gli idrocar- buri polinucleari alto bollenti. Le cariche sono costituite da inerti di varia natura: talco, quarzo in varie granulometrie, carbonato di calcio, fili di vetro, catrame, che possono essere aggiunti sia in fase di preparazione industriale dei for- mulati epossidici, che direttamente in cantiere. Esse modificano alcune importanti caratteristiche chimico-mecca- niche di un sistema epossidico: —la viscosita; Coeff. dil, term, 25 (1/"F] 20 0 r > - . ~ a - 1 2 ao nt SNR ins fapp. carica/resina Fig. 5 - Coefficiente di dilatazione termica at variare del rapporto caricalresina in una matta epossidica Fonte: Aci Journal, settembre 1973. —la temperatura massima di esotermicita sviluppata durante |’induri- mento. Tale temperatura decresce all’aumentare del calore specifico e della conducibilita termica della carica presente; ~il pot-life, cioé il tempo che intercorre, una volta avvenuta la misce- lazione uniforme tra resina ed indurente, e |’inizio della fase di geli- ficazione; rappresenta anche il tempo utile per l’applicazione del- l’impasto epossidico; —la resistenza alla compressione; —la resistenza alla trazione; —la resistenza all’urto (durezza). 43 La variazione del modulo elastico puéd essere prevalentemente ottenuta, variando la miscela resina induritore ed in misura assai rela- tiva col rapporto resina : carica. In Figure 6 e 7 sono riportati i valori del modulo di elasticita tan- genziale di varie miscele resina/induritore (indicate nel grafico con 1, 2, 3) e per vari rapporti di carica, e la variazione della viscosita per diverse percentuali di diluente reattivo in vari formulati. [ ve Fi Fig. 6 - Modulo di elasticita tangenziale in funzione della temperatura. 2.3.4 Impiego delle resine nell’ edilizia civile ed industriale Le resine epossidiche furono sintetizzate per la prima volta negli anni *30. Se ne ha una vera e propria disponibilita commerciale solo nel dopoguerra, dove trovano il loro primo impiego come adesivi e verni- ci anticorrosive. Nella ingegneria civile, solo nel corso degli ultimi venti anni hanno raggiunto un ragguardevole sviluppo ed impiego. 44 ? Questo sviluppo va ricercato sia nella crescente fiducia dei tecnici, acquisita a mano a mano che i risultati teorici venivano confermati dalla pratica giornaliera, sia per la maggiore disponibilita di idonei formulati epossidici, da adottare al variare delle condizioni di impiego, conseguenza quest’ ultima della nascita di specifiche industrie di formulatori di compo- sti epossidici, che, con grossi sforzi di ricerca, hanno portato alla realizza- zione di formulati epossidici dalle diverse caratteristiche. Nell’ingegneria civile le resine epossidiche impiegate sono del tipo a basso peso molecolare, con viscosita compresa tra 4+8000 poise. Lindustria della costruzione ha imparato gradualmente a riconoscere nelle resine epossidiche un materiale sempre pit familiare. I sistemi epossidici consentono lavori in continuo, senza interruzioni € spesso sono stati scartati o sostituiti con materiali di tipo cementizio solo per considerazioni economiche. i 4G Fig. 7 - Variazione della viscosita al variare della percentuale di diluente reattivo, per vari formulati. Lo sviluppo delle applicazioni delle resine epossidiche nel risanamen- to strutturale @ stato ragguardevole negli ultimi quindici anni, poi la fanta- sia accoppiata alla conoscenza sempre pill approfondita di tali sostanze ha portato alla loro utilizzazione in altri settori dell’ingegneria civile. 45 Foto 13 - Sezione di un cavo di precompressione iniettato con formulati epossidici I campi di applicazione possono raggrupparsi sia per la diversa formulazione dei prodotti epossidici, sia per le procedure applicative. Si possono quindi elencare i seguenti campi applicativi: 46 —incollaggio: calcestruzzo vecchio con calcestruzzo nuovo garanten- do la perfetta aderenza e la monoliticita strutturale; —assemblaggio di elementi prefabbricati strutturali: la congiunzione che si determina oltre a garantire la distribuzione del carico, realizza la perfetta chiusura alla corrosione; —ancoraggio di perni, staffe, per il fissaggio di macchinari pesanti; —iniezioni in cavi di precompressione; —sigillatura di lesioni; —ripristino e riempimento di vuoti o fessure in manufatti di calcestruzzo; — incollaggio di piastre di acciaio per il rinforzo strutturale; —rivestimenti protettivi o pavimentazioni industriali. Nel 1955 negli Stati Uniti si impiegarono per la prima volta for- mulati epossidici ottenuti addizionando catrame ad una resina epossi- dica rendendola cosi plastica e resistente all’azione di diverse sostanze chimiche. Questo formulato denominato epossi-catrame, trovd largo impiego per manti stradali o membrane impermeabili di viadotti in calcestruzzo armato, come rivestimento per fognature, serbatoi di stoccaggio di greggio, prodotti petroliferi, oli minerali. L’ottima resistenza chimica, la forte adesione, il rapido indurimen- to, la possibilita di avere vari colori di finitura, le elevate prestazioni meccaniche, hanno fatto si che le resine epossidiche trovassero largo impiego nella realizzazione di pavimentazioni industriali. Tali pavimentazioni possono distinguersi in tre grossi gruppi: —pavimentazioni autolivellanti: spessore medio 2,5+3,5 mm. Sono resine scarsamente caricate, spesso addizionate con poliuretaniche; —pavimentazioni a spessore: spessore medio 5+7 cm. Sono resine caricate con sabbia di quarzo di opportuna granulometria in rapporto 1:4+1: 6; —rivestimenti: sono films sottili con spessori al massimo di 1 mm ottenuti con la stesura a pennello o rullo di due o tre mani di resina liquida mediamente caricata. Vanno inoltre ricordati i prodotti epossidici utilizzabili in immer- sione. Sono composti bicomponenti con peso specifico variabile tra 1,6+1,7 kg/dm ad indurimento e presa sott’acqua. 47 Con tali formulati epossidici sono possibili interventi di ripristino © di protezione di strutture degradate o lesionate in cemento armato sommerse. E bene ricordare che l’uso di materiali per il ripristino strutturale di elementi in cemento armato, richiede particolare cura, specialmente nella fase di preparazione dei supporti e che per questo motivo si ren- dono necessari tecnici e personale specializzati, che possano garantire la perfetta riuscita e la funzionalita nel tempo degli interventi di risa- namento. 48 3 .~ METODOLOGIE DI INTERVENTO 3.1 LA PREPARAZIONE DELLE SUPERFICI Il successo degli interventi di risanamento dipende direttamente dalle condizioni delle superfici sulle quali i materiali impiegati verranno applicati. L’intera superficie del substrato deve essere meticolosamen- te pulita. La superficie deve essere preparata in modo da assicurare che essa venga “bagnata” dal prodotto e che l’adesione venga a formarsi sul substrato e non su un qualunque materiale estraneo che per caso si trovi sul substrato stesso. Tl metodo o la combinazione di metodi usati per la preparazione della superficie dipende dal tipo, dall’estensione e dalla posizione della applicazione, come pure dal tipo di substrato da trattare. La rimozione del calcestruzzo in superficie, se necessaria, va effettuata con mezzi meccanici idonei. Tutte le superfici devono essere accuratamente pulite onde elimi- Nare tutte le sostanze che possano nuocere all’adesione. 3.1.1 Valutazione della superficie Una buona esecuzione non pud essere ottenuta con un supporto debole 0 poco resistente essendo cosi il supporto stesso causa di rot- tura. Tuttavia, come gia detto, anche se il substrato é resistente € sano, se le superfici non sono adeguatamente preparate si avranno cattivi risultati. 49 3.1.2 Metodi di prova per l’idoneita del supporto cementizio La valutazione della resistenza pud essere fatta da esperti mediante prova con martello. Questo tipo di prova é particolarmente importante quando devono essere sottoposte a prova delle aree limitate o se non si pud fare una prova a trazione. Una prova di trazione che pud essere usata in cantiere per control- lare l’idoneita di un calcestruzzo é stata suggerita dall’ American Con- crete Institute (ACI), Comitato per Adesivi per Calcestruzzo. La prova @ denominata “Field Test for Surface Soundness and Adhesion” (Prova di cantiere per la idoneita della superficie e dell’a- desione) ed & stata pubblicata come appendice della “Guide for Use of Epoxy Compound with Concrete” dell’ ACI, Titolo No. 59-43. La prova pud essere anche usata per determinare l’adesione delle resine epossidiche sul calcestruzzo. Il metodo di prova consiste nel forare un nucleo anulare nel substrato, incollare il coperchio del tubo dell’apparecchio alla superficie del disco ritagliato ed applicare un carico di trazione al coperchio del tubo ed al nucleo che sia sufficiente a separare il nucleo dal calcestruzzo. Le resistenze alla trazione inferiori a 7 kg/cm? indicano che la superficie é di dubbia resistenza. 3.1.3 Prova per la determinazione della presenza d’acqua in eccesso Quando si impiegano resine epossidiche & importante determinare la presenza d’acqua in eccesso sulle superfici. Il test dovrebbe essere anche applicato ogni qualvolta si interviene su calcestruzzi non stagionati 0 quando c’é ragione di sospettare che sussista una condizione di eccessiva umidita capillare o pressione idrostatica. Un pezzetto di polietilene o di un materiale simile, viene tenuto con un peso sulla superficie da sottoporre alla prova per 8+12 ore. I lembi del pezzetto di polietilene devono essere sigillanti con malta epossidica o resina siliconica. La presenza di acqua di condensa sotto il pezzetto di polietilene al termine del tempo previsto, é indice di condizioni critiche. 50 3.1.4 Test per la valutazione della presenza di strati di calcestruz- zo con carbonatazione La carbonatazione riduce |’alcalinita del calcestruzzo abbassando il pH al di sotto di 9, facendo perdere |’effetto passivante sulle armature. E importante quindi stabilire quali strati sono stati colpiti da tale fenomeno, per poterli asportare fino a mettere a nudo strati sani. Questa indagine viene eseguita facendo uso di un indicatore, gene- ralmente una soluzione alcolica di fenoftaleina all’ 1% in alcool etilico. Le zone che non si colorano di rosso sono zone carbonatate. 3.1.5 Le superfici in calcestruzzo Le superfici del calcestruzzo devono presentarsi sane, esenti da parti friabili e non aderenti, polverulenza, e pulite di tutte le sostanze che possono nuocere all’adesione. Foto 14 - Sabbiatura di una trave di un cavaleavia. Su superfici appena disarmate, tali sostanze sono costituite princi- palmente da: — Sali solubili originati a seguito della evaporazione dell’ acqua; —“‘latte” di cemento; — disarmante. 51 Le operazioni di rimozione sono sostanzialmente: la spazzolatura meccanica, la levigatura a secco, la sabbiatura. Le superfici di calcestruzzo stagionato o vecchio, risultano conta- minate da prodotti vari sia provenienti dall’atmosfera in cui esse sono collocate o per |’utilizzo delle strutture stesse. La sabbiatura, la bocciardatura, la levigatura ed il decappaggio termico, permetteranno I’asportazione di tali sostanze. In alcuni casi é necessario anche un lavaggio chimico con solventi o detergenti e risciacquo con acqua ad alta pressione. Foto 15 - Rimozione delle parti distaccate o degradate del calceestruzzo. La sabbiatura é considerata il metodo pit efficace di pulizia delle superfici di calcestruzzo, essa dovrebbe essere applicata ogni volta possibile. La scalpellatura e la scarificazione meccanica sostituiscono comunque molto efficientemente la sabbiatura. In tutti i casi la polvere ed altri elementi devono essere asportati dopo che la superficie & stata trattata. La pulizia pud essere effettuata mediante accurato lavaggio con getti di acqua ad alta pressione e ad essiccazione avvenuta con soffio di aria compressa asportare la residua polvere. Il decappaggio chimico con acidi é stato per il passato un metodo alternativo di preparazione delle superfici, ma l’esperienza ha mostra- 52 to che questo metodo non é tanto sicuro. Infatti |’acido penetra in profondita e difficilmente viene rimosso nella fase di lavaggio, produ- cendo cosi un supporto indebolito. 3.1.6 Le superfici metalliche Un’adeguata preparazione delle superfici metalliche interessate ad un intervento di consolidamento non é meno importante di una adeguata preparazione delle superfici in calcestruzzo. Le superfici metalliche devono essere libere da polvere, impurita, olio, grassi, ruggine, scorie di laminazione, spruzzi dovuti alle saldature ed altre contaminazioni che potrebbero pregiudicare l’incollaggio. L’o- lio ed i grassi vanno eliminati con solventi idonei. La ruggine e le scorie vanno rimosse con smerigliatura o sabbiatura. Nella maggioranza dei casi |’intervento é costituito da una sabbiatura con grado pari a SA 2.5 secondo Swedish Standard. Vale la pena ricordare che, una volta esegui- to l’intervento di preparazione, occorre immediatamente applicare il for- mulato epossidico per evitare formazione di ossidazioni che potrebbero rendere inutile l’opera di sabbiatura. Polvere e altre impurita createsi durante la pulitura meccanica devono essere tolte prima dell’applicazio- ne del formulato epossidico. L’adeguatezza della preparazione della superficie metallica pud essere accertata usando la “prova di non rottura della goccia d’acqua”. Si fa cadere con un contagocce una goccia d’ac- qua distillata. Se la superficie non é ben preparata |’acqua restera sotto forma di goccia comportandosi come una goccia di mercurio. Diversa- mente, per la bassa tensione superficiale, nel caso di superficie ben puli- ta, essa si stendera bagnando una ampia zona. 3.1.7 Considerazioni sulla preparazione dei supporti nell’impiego di resine epossidiche Luso e l’efficacia dell’ applicazione di formulati epossidici dipendono in larga misura dalla preparazione dei supporti. Una particolare atten- zione va posta anche alle condizioni ambientali. La temperatura delle superfici sulle quali il formulato epossidico viene steso dovrebbe esse- re conosciuta in anticipo. L’applicazione in condizioni ambientali sfavorevoli, quando non oo siano state prese idonee precauzioni, conduce quasi sempre a risultati negativi. E opportuno sospendere i lavori quando le temperature mini- me di applicazione vengono superate. In conclusione con una appropriata procedura di preparazione @ possibile rendere operativo un sistema di intervento che altrimenti sarebbe inutile, data la cattiva adesione al supporto non trascurando mai l’alto costo degli interventi e la loro funzionalita strutturale. 3.2, LE INIEZIONI IN LESIONI Le lesioni presenti in strutture in cemento armato hanno uno spessore che pud variare largamente; esse possono penetrare nell’interno della struttura senza coinvolgere |’intera sezione, o essere “‘passanti”, cioé interessare |’intera sezione. Volendo intervenire con iniezioni occorre innanzitutto risalire alle cause della fessurazione e possibilmente eliminarle, in quanto, se la struttura dovesse subire successivi assestamenti, si creerebbero nuove lesioni diverse da quelle gia iniettate. Per la natura stessa di tali lesioni sono state messe a punto tecni- che di intervento tendenti ad assicurare la penetrazione della miscela resinosa. Normalmente si effettua un taglio a “V” sul calcestruzzo intorno alla lesione e si realizzano dei fori trapanati ad intervalli rego- lari sui lembi della fessura. Successivamente si allontana dalla lesione ogni traccia di polvere e di materiale friabile e si inseriscono nei fori degli ugelli di ottone del diametro di circa 6 mm che vengono incollati con pasta epossidica, Lo stesso prodotto viene impiegato per sigillare la lesione. Una volta che Vindurimento di questo prodotto é completo (in media circa 10+12 ore) si inietta sotto pressione controllata attraverso gli ugelli, un for- mulato epossidico di resina a bassa viscosita, senza solventi, partendo dall’iniettore pid basso e a mano a mano salendo verso I’alto fino ad iniettare da tutti gli iniettori posizionati. Inconvenienti derivanti dall’applicazione di tale tecnica di iniezio- ne, sono: la possibile otturazione delle fessure con tappi di polvere, nella fase di perforazione del calcestruzzo e di preparazione dei lembi a “V”, la non certezza che l’iniettore vada ad investire la lesione una volta applicato nel foro. 54 Per ovviare a tali inconvenienti @ stata brevettata da una ditta pro- duttrice di formulati epossidici una tecnica che prevede l’impiego di particolari iniettori piatti in PVC, che vengono incollati a cavallo delle lesioni mediante pasta epossidica, senza perforare o preparare le lesioni. Questi iniettori di circa 17 cm? di area, interessano una sezione di fessu- ta assai vasta con conseguente migliore distribuzione della resina e risparmio di tempo nell’intero ciclo lavorativo. Vengono applicati ogni 15+20 cm mentre l’intera fessura viene sigillata con pasta epossidica. L’iniezione avviene sempre dal basso verso l’alto, e gli iniettori evidenziano |’avanzamento della resina passando da un iniettore al successivo superiore © laterale, quando la resina fuoriesce dallo stesso. Foto 16 - Fase di iniezione di formulati epossidici in strutture lesionate Le resine devono esercitare una pressione controllata contro le pareti della fessura a garanzia di un sicuro aggrappaggio, soprattutto in presenza di umidita. Occorre perd fare estrema attenzione all’effetto “martinetto” dell’iniezione. 55 Le resine per iniezione sono speciali sistemi epossidici a due com- ponenti, devono essere assolutamente prive di solventi e la loro visco- sita deve variare tra 1+3 poise e 6+8 poise. Anche il pot-life deve avere un campo di variabilita ampio, normalmente compreso tra i 30 e i 120 minuti a 20 °C. Tanto é necessario per poter adeguare alle varie esigenze, derivanti dalla diversa natura delle lesioni, la pid idonea tra le resine. Le resine sono assolutamente non corrosive, hanno elevata velo- cita di permeazione, cioé alta bagnabilita e bassissima viscosita. Sono sempre resine pure. Solo per iniezioni in grosse fessure, o per intasa- menti di cavi di precompressione vengono impiegate resine caricate con particolari fillers. Elementi riparati mediante iniezioni, e soggetti a condizioni di carico simili a quelle che avevano causato il danno, hanno mostrato sempre |’apertura di nuove lesioni, come detto, adiacenti alla zona iniettata, Comunque, in genere, il meccanismo di rottura della struttura non é alterato da tali interventi di restauro. Se |’intervento, quindi, ha pieno successo, la resistenza originale dell’elemento pud considerarsi completamente recuperata. Foto 17 - Fase di iniezione di formulati epossidici in strutture lésionate. Possono verificarsi casi in cui il recupero strutturale @ valutabile intorno al 70+80%: infatti il materiale iniettato pud non aver riempito 56 completamente la lesione, ed inoltre l’iniezione non sempre riesce a ricostituire il legame di aderenza tra calcestruzzo ed armatura nei punti dove i cicli di deformazione relativa hanno ridotto il calcestruz- zo in polvere costituendo una barriera alla penetrazione del materiale iniettato, Tale difetto, oltretutto, non é rilevabile ad un esame non distruttivo della struttura, anche se tecnici esperti possono desumerlo dall’andamento della operazione di iniezione. Piccole lesioni non riparate e perdita del legame calcestruzzo- armature comportano in genere una minore rigidezza del sistema strut- turale rispetto all’ originale. E importante ancora evidenziare che il comportamento degli elementi riparati ¢ fortemente influenzato dal modulo elastico del materiale iniettato, Un modulo elevato, infatti, pud comportare, soprattutto in lesioni non sottili, pericolose concentrazioni di tensio- ni, mentre un modulo molto basso pud diminuire la rigidezza elasti- ca dell’elemento. ; In conclusione, si pud osservare che, essendosi rilevati dei danni, la struttura originale potrebbe non garantire una sufficiente Tesistenza, per cui risulta necessario valutare l’ipotesi di rinforzare la struttura mediante altri interventi. 3.3. LE RIPARAZIONI DEL COPRIFERRO Quando il danno alla struttura in cemento armato, investe solo il calce- struzzo di copriferro, lesionandolo e sfarinandolo, con o senza la ossi- dazione dei ferri di armatura, la tecnica di risanamento prevede 1’a- sportazione del calcestruzzo ammallorato fino ad arrivare a zone mec- canicamente solide, la disossidazione dei ferri di armatura con il trat- tamento anticorrosivo degli stessi mediante formulati epossidici e il ripristino della sezione originaria della struttura. Quest’ultimo, viene eseguito con impiego di malte reoplastiche e a ritiro compensato. E bene eseguire uno strato di ancoraggio mediante l’applicazione a pennello, di una boiacca ottenuta con un formulato epossidico in dispersione acquosa e cemento. Questa boiacca assicura la perfetta aderenza della malta al vecchio calcestruzzo e nello stesso tempo |’im- permeabilita delle superfici trattate, il ripristino dell’aderenza ferro- calcestruzzo, la protezione dagli agenti atmosferici, dal gelo e disgelo 57 e dalle aggressioni delle atmosfere marine e industriali. Queste resine sono speciali formulati epossidici in veicolo acquoso che presentano la caratteristica di assicurare |’aggrappaggio anche in presenza di umi- dita. Il loro peso specifico é di circa 1,20 kg/dm3. Spesso per evitare il formarsi di altri stati fessurativi, si esegue con una resina, con caratte- ristiche di elevata plasticita, generalmente una espossidica in emulsio- ne acquosa, un rivestimento della struttura composto da due o tre strati di tale resina, ed una mano di finitura a base di resine acriliche-poliu- retoniche in solventi. Lesioni localizzate in zona tesa e che interessano solo lo spessore del calcestruzzo di copriferro, non comportano particolari pregiudizi statici in quanto nelle costruzioni in cemento armato, non si fa in genere affidamento sulla resistenza a trazione del calcestruzzo. E buona norma, comunque, eliminarle per evitare l’ossidazione delle armature o un’ul- teriore degradazione del calcestruzzo per |’azione corrosiva degli agenti atmosferici o per l’effetto d’urto durante eventuali scosse sismiche. E in particolar modo importante, la chiusura delle lesioni quando esiste la possibilita di inversione del momento per effetto di carichi statici o dinamici. Le lesioni localizzate, invece, in zona compressa, in genere nei pilastri, devono essere eliminate per ricostituire la continuitd del materiale e garantire una buona distribuzione degli sforzi. Foto 18 - Ripristino di copriferro con formulato epossidico. 58 Foto 19 - Ripristino di copriferro con malta reoplastica, a) prima dell’intervento - b) ad intervento eseguito. 3.4 RIPRISTINO DELLE ARMATURE METALLICHE Quale metodo di unione irreversibile tra due corpi (come ad esempio le tradizionali chiodature, saldature, cravattature.,.) l’incollaggio di elementi di rinforzo presenta i seguenti vantaggi: —uniforme distribuzione delle tensioni; —collegamento possibile fra diversi materiali; —non necessita di superfici rettificate; —unioni possibili su vaste superfici; — tempi brevi di indurimento; —collegamenti perfettamente sigillati sia ai gas che ai liquidi; — protezione delle superfici incollate dalla corrosione; — possibilita di prove qualitative non distruttive; — buone caratteristiche antivibrazionali delle giunzioni. D’altra parte presenta, perd, le seguenti limitazioni: —accurata preparazione delle superfici da unire; —attenta esecuzione delle operazioni di incollaggio; — limitata resistenza alle alte temperature; —in taluni casi, necessita di accorgimenti pratici per tempi di interven- to e condizioni ambientali particolari. Naturalmente nella valutazione critica dei parametri citati é da 59 considerare che |’incollaggio non rappresenta in tutti i casi l’alternati- va alla tecnica di unione tradizionale, ma pud essere convenientemen- te adottato sia quale diversa e pil interessante possibilita di giunzione, che quale ulteriore elemento legante della giunzione tradizionale stes- sa, in funzione delle sue particolari caratteristiche. Il vantaggio fondamentale dell’incollaggio, consta nel fatto che le forze di legame sono distribuite sull’intera superficie di giunzione; le unioni incollate, quindi, sono meno soggette a tensioni localizzate ed hanno proprieta di resistenza statica o dinamica molto buone, se non ottime, e non presentano decadimenti di natura termica poiché la tempe- ratura rimane normalmente a valori ambiente per I’intera durata del pro- cesso di collegamento. Elementi chiodati o bullonati, infatti, a causa dei fori sono sottoposti a sensibili indebolimenti, che rendono necessario un sovraspessore degli stessi; inoltre, si ha una sfavorevole concentrazione delle sollecitazioni ai bordi dei fori o nei limitati punti di contatto. 3.4.1 Beton-plaqué Il beton-plaqué ha origini francesi, fu studiato ed applicato dal prof. Robert L’Hermite. In effetti tale tecnica di intervento, pit’ propriamen- te detta “teoria dei rinforzi lamellari” si applica ogni qualvolta si rende necessaria una nuova armatura. Cid si ottiene mediante piastre di acciaio fissate alla struttura con collanti epossidici. Alla fine del 1970 il prof. L’Hermite e Mr. Bresson eseguirono delle prove di laboratorio per conto dell’Institut Technique du Batiment e des Travaux Publics di Parigi per verificare l’adesivita tangenziale delle resine. L’esito delle prove mise in evidenza che la T,,,, a cui & soggetto il beton-plaqué coincide con la T,,ic, del calcestruzzo. Essi verificarono infatti che le tensioni tangenziali nell’adesivo epossidico espresse dalla relazione teorica: con: t=P:W 1/2 vee) d\ Et, Et, dove: G = modulo di rigidita tangenziale della resina; 60 d = spessore della resina; tet E, e E, spessore della lamiera e semispessore del calcestruzzo; modulo elastico della resina e del calcestruzzo. Foto 20 - Beton-plaqué su travetti. Foto 21 - Beton-plaqué su una trave 61 Risulta, pertanto, che il valore di P, sforzo di taglio nei supporti, & direttamente proporzionale allo spessore dell’incollaggio d ed inversa- mente proporzionale al modulo G di rigidita tangenziale della resina. Si pud, quindi migliorare l’incollaggio utilizzando resine con modulo G di diverso valore, ma soprattutto riducendo lo spessore della resina al minimo. t G1>G2 piastra acciaio S AX Mod .G1 cls Mod G2 Fig, 8 - Variazione dello sforzo di taglio su una piastra incollata con resina con modulo G di diverso valore. Per realizzare un buon placcaggio é necessario verificare: —la qualita del calcestruzzo; — la disposizione ¢ lo stato delle armature; —icarichi che la struttura deve sopportare. I rilievi partono essenzialmente da un’analisi visiva accurata della struttura, con controlli della resistenza meccanica mediante sclerome- tro o con prelievo dei materiali con carotaggi, Accanto a questi metodi tradizionali, oggi trovano ampio impiego metodi piii rapidi e precisi, basati su prove non distruttive mediante indagini radiometriche, gam- mametriche 0 acustiche. Prima di applicare il formulato epossidico, generalmente pasta epossidica o malta epossidica, é essenziale essere sicuri che il sot- tofondo di cemento sia pulito e meccanicamente solido. Ogni area poco solida deve essere rimossa. Le superfici (del calcestruzzo e della piastra di rinforzo) devono essere pulite e preparate come descritto nel § 3.1. Si fissano alcune barre filettate, il numero ed il diametro sono desunti da calcoli, alla struttura, mediante pasta epossidica. Tali barre 62 in serviranno per il serraggio delle piastre di rinforzo e per |’ assorbimen- to degli sforzi di taglio esistenti. Ad indurimento avvenuto della pasta epossidica impiegata per l’ancoraggio delle barre filettate, si applica su tutta la superficie la pasta epossidica dopo aver ben miscelato i due componenti. filettate piastra in acciaio Fig. 9 - Sezione di trave con piastra incollata (beton-plaqué). Anche la superficie della piastra deve essere accuratamente rico- perta con il formulato epossidico. Si posiziona la piastra di rinforzo contro la struttura, serrandola mediante le barre filettate e rimuovendo man mano la pasta epossidica che sborda. Tutta la superficie a vista della lamiera viene, infine, trattata con anticorrosivo epossidico. Generalmente vengono eseguiti dei normali intonaci sulle piastre, ancorati mediante idonea resina epossidica. E invece pit opportuno eseguire una protezione al fuoco pit ade- guata, mediante rivestimenti 0 strati protettivi capaci di resistere alme- no 120 minuti alla fiamma (REI 120). Un metodo semplice da eseguire, ed in grado di realizzare la fini- tura dell’intervento, @ quello di ottenere un intonaco a gesso armato con una rete portaintonaco in acciaio zincato. 63 3.4.2 Metodo del “cassero metallico” Quando la qualita del calcestruzzo non risulta tale da poter ritenere il supporto meccanicamente solido, una tecnica di intervento con il beton-plaqué non pud essere realizzata, in quanto la scarsa resistenza del calcestruzzo comprometterebbe |’ incollaggio della piastra. E il caso di strutture con superfici porose e friabili degradate dal tempo e dagli agenti atmosferici o da aggressioni di sostanze chimiche o dal fuoco. Tipico esempio sono le strutture realizzate negli anni ’50. Foto 22 - Rinforzo di strutture in cemento armato con il metodo del «cassero metallico» 64 L’uso di inerti non idonei, senza una precisa curva granulometrica, dosaggi non sempre uniformi, copriferro quasi inesistente, tecniche di realizzazione non ancora assimilate dagli operatori, facevano ottenere conglomerati cementizi porosi e facilmente attaccabili dagli agenti atmosferici e dalle nebbie marine o industriali. Il rinforzo di queste strutture, mediante piastre di acciaio pud esse- Te ottenuto con una tecnica di intervento diversa dal beton-plaqué. b infetrore | barra filet, f ar IWS DBS piastra in acciaio Nh Fig. 10 - Sezione di trave rinforzata con lamiera incollata con il metodo del “cassero metallico” . Dopo I’applicazione delle barre filettate, la pulizia e la preparazione dei supporti, si fissa la lamiera di rinforzo alla struttura mediante le barre filettate, “a secco”, senza cioé l’applicazione del collante epossi- dico. Si procede quindi alla sigillatura dei bordi della lamiera con pasta epossidica ed all’applicazione di idonei iniettori, Attraverso tali iniettori, dopo i tempi tecnici di indurimento della pasta di sigillatura, si inietta resina epossidica liquida a bassa pressione. L’alto potere bagnante e la bassa viscosita della resina permettono di saturare sia le porosita del supporto sia l’intercapedine esistente tra lamiere e calce- struzzo. La resina, spinta dalla pressione di iniezione ed in virti della sua bassa viscosita, penetra attraverso i pori e le microfessure del con- glomerato, realizzando contemporaneamente |’incollaggio ed il conso- lidamento del supporto. Esperienze eseguite su calcestruzzi impregnati con tali tipi di for- mulati epossidici, hanno mostrato |’incremento delle resistenze mec- caniche del manufatto. 65 barra filet, _ eo s calastrello Fig. Ll - Sezione di trave con profilati di rinforzo incollati con il metodo del “cassero metallico” . iniettore ‘\ angolare Le piastre possono essere sostituite con profilati ad “L” o ferri piat- ti; tali profilati vengono posizionati lungo gli spigoli della struttura. Si esegue, quindi, la sigillatura dei bordi dei profilati e si procede alla iniezione del formulato epossidico nell’ intercapedine tra profilato e calcestruzzo. 3.4.3 Rivestimenti e protezioni di strutture in cemento armato Questi tipi di intervento non rientrano in quelli tipicamente strutturali, ma meritano di essere citati, in quanto sono necessari per ridare 0 migliorare le capacita protettive alle superfici “a vista” dei manufatti in calcestruzzo. Dopo una accurata pulizia del supporto, generalmente un idrola- vaggio a pressione, mediante l'impiego di malte reoplastiche a ritiro compensato, si eseguono tutte le operazioni di regolarizzazione delle superfici eliminando le crepe, i nidi di ghiaia, i vaioli e qualsiasi altra imperfezione della superficie stessa. Le lesioni pit profonde vanno iniettate come descritto al § 3.2. Quando lo scopo dell’intervento é anche quello di ridare un grade- vole aspetto “a vista” al manufatto, allora gli interventi con la malta reoplastica interessano anche la ricostruzione o la ripresa delle filetta- 66 ture del tavolato impiegato per i casseri di contenimento del getto, gli spigoli. Dopo tali interventi, si esegue il ciclo protettivo, che in base alla funzionalita che dovra avere si distingue in: - ciclo idrorepellente, trattamento superficiale del calcestruzzo con for- mulati a base di silassi, 0 silossani, o resine siliconiche, in fase solven- te, tale trattamento coinvolge la superficie esterna del calcestruzzo e le superfici interne dei pori senza creare film di spessore apprezzabile. - ciclo protettivo, trattamento superficiale ottenuto con formulati a base di resine epossidiche in emulsione aquosa, ricoperti da uno stra- to di finitura generalmente poliuretanica o acrilica - poliuretanica, che, oltre a migliore l’aspetto estetico, evita fenomeni di sfarinamen- to sottostante al ciclo epossidico ad opera dei raggi U.V. Possono essere impiegati anche prodotti a base acrilica o silicati. Questo trat- tamento, a differenza del ciclo idrorepellente, crea un film sottile protettivo continuo, satura i pori, ma non impedisce la traspirazione. Tali cicli protettivi si rendono necessari ogni qualvolta si debba evitare l’aggressione da parte degli agenti atmosferici, nebbie marine 0 industriali o |’attacco chimico di soluzioni saline; ad esempio, un caso tipico, sono le strutture di viadotti o ponti dove é frequente, in periodo invernale, l’uso di sali antigelamento, sul manto stradale. 3.5 CENNI SUL CONSOLIDAMENTO E LA PROTEZIONE DI STRUTTURE IN CEMENTO ARMATO SOMMERSE Gli interventi da realizzare su strutture gia in esercizio in mare, in telazione allo stato di conservazione delle strutture stesse, possono essere distinti in: 4) opere di consolidamento e risanamento; b) opere di protezione. Laggressione esercitata dall’ambiente marino nei confronti di una struttura in calcestruzzo, inizia nel momento in cui questa viene posta in quell’ambiente; la profondita e la gravité del degrado sara inversa- mente proporzionale alla resistenza opposta all’aggressione da parte della struttura. Ne deriva la considerazione che una struttura in mare 67 impermeabilizzata e protetta all’origine avra migliori caratteristiche di resistenza e percid possibilita di restare integra pid a lungo nel tempo. Gli interventi operativi, possono essere realizzati come segue. INTERVENTI DI CONSOLIDAMENTO CON RIPORTO DI MATERIALE OLTRE | CM DI SPESSORE Scalpellatura pneumatica con demolizione del conglomerato degradato, inconsistente e ammallorato, portando eventualmente a vista |’armatura metallica in stato di corrosione. Sabbiatura 0 idrosab- biatura delle zone scalpellate ed integrazione dell’armatura ove man- cante 0 corrosa oltre il 30% dello spessore iniziale. Posizionamento di casseformi, dimensionate conformemente alla configurazione geometrica delle strutture, serrate alla stessa mediante guarnizioni a tenuta stagna. Ricostruzione dei volumi asportati o mancanti di calcestruzzo, mediante formulato epossidico applicabile e reticolante in acqua. Tale formulato pud essere: — iniettato a pressione nella cassaforma chiusa: prodotto fluido pom- pato con apparecchiatura airless avente rapporto di compressione 60: 1; —colato in cassaforma aperta: prodotto fluido; —estruso in cassaforma aperta: prodotto in pasta. INTERVENTI DI CONSOLIDAMENTO CON RIPORTO DI MATERIALE IN SPESSO- RE INFERIORE A 1 CM Pulizia delle superfici mediante asportazione del fouling marino e scalpellatura per la regolarizzazione delle superfici e per la eliminazio- ne di parti di conglomerato incoerenti. Sabbiatura o idrosabbiatura e risanamento mediante riporto a spal- matura manuale di composto epossidico pastoso in fasi successive fino allo spessore richiesto. INTERVENTO DI IMPERMEABILIZZAZIONE E PROTEZIONE Dopo le operazioni di pulizia delle superfici e la idrosabbiatura a cemento vivo, si applica a spalmatura manuale un formulato epossidi- co in pasta in spessori medi di 4+5 cm. 68 eS GLI ELEMENTI STRUTTURALI E IL - LORO CONSOLIDAMENTO 4.1 PREMESSA Per elemento strutturale si intende, nell’ambito della Scienza delle Costruzioni, identificare quegli elementi la cui forma é generata da una qualsiasi figura piana per proiezione della stessa lungo |’asse bari- centrico. Le dimensioni della figura piana (sezione) risultano essere piccole rispetto a quella lungo I’asse baricentrico dell’elemento, che risulta prevalente. Ad essi viene dato il nome generico di “travi’’, anche se poi, in telazione alla sollecitazione che maggiormente sono chiamati a sop- portare ed alla loro funzione, vengono distinti in: pilastri, archi, punto- ni (sollecitazione a compressione), travi (sollecitazione a flessione), tiranti (sollecitazione a trazione). Un intervento di consolidamento é da definirsi “strutturale” quan- do i materiali impiegati per il risanamento hanno caratteristiche mec- caniche e di aderenza al supporto tali da costituire con esso una entity, cioé, l’intervento é capace di ricostruire un nuovo elemento struttura- le, costituito dai materiali impiegati (malte, resina, piastre) e la struttu- Ta stessa. Inoltre & bene stabilire anche la differenza tra le definizioni “testauro” e “consolidamento”. Infatti per restauro si intendono tutti quegli interventi tendenti a ripristinare 1’ originaria bellezza artistica di una struttura, generalmente opere d’arte, monumenti o facciate di palazzi storici, mentre col termine consolidamento si vuole intendere tutti i tipi di intervento, sulle strutture, atti a ripristinare, migliorare 0 tidare la capacita resistente, persa 0 compromessa. 69 4.2 PILASTRI La definizione degli interventi da effettuare sui pilastri dipende essen- zialmente dagli obiettivi che si vogliono conseguire e dalla scelta del- Veventuale nuovo schema strutturale globale. Si possono, infatti, avere interventi di solo ripristino, quando si ritiene sufficiente riportare |’elemento danneggiato alla originaria capacita resistente, e interventi di rafforzamento quando la si vuole incrementare, eventualmente nell’ambito di un intervento di adegua- mento alla normativa sismica globale dell’edificio. L’alternativa che in genere si pone é di affidare al pilastro il solo sforzo assiale, inserendo opportune pareti di taglio o altri elementi per |’assorbimento delle azioni orizzontali, ovvero di garantire la resistenza a taglio e flessione del pilastro solidarizzandolo (almeno ad un estremo) al nodo che a sua volta deve essere opportunamente rinforzato. Si deve inoltre osserva- re, che in tutti i casi in cui l’intervento comporta un aumento di sezio- ne del pilastro o comunque una variazione della sua rigidezza, occorre considerare la conseguente ridistribuzione degli sforzi ed il pericolo di concentrazioni di tensioni e di carenza della resistenza a fatica. Lo scopo di questi interventi di adeguamento é di migliorare la resistenza sismica di un edificio aumentando la capacita sismica dei pilastri, e cid si pud ottenere migliorando la duttilita dei pilastri onde evitare rotture da taglio, uniformando la rigidezza dei pilastri o incre- mentandone la capacita flessionale. Sebbene sia preferibile rinforzare tutti i pilastri che non possiedo- no la sufficiente duttilita o nei quali le rigidezze al piano in esame sono considerevolmente diseguali, occorre tenere presente durante il progetto dell’adeguamento che vi é un limite all’incremento della dut- tilita dei pilastri- Lo scopo dell’adeguamento @ quindi ottenere pilastri duttili; per- tanto, nel caso di interventi diretti a migliorare la resistenza flessiona- le, @ opportuno che cid si realizzi incrementando anche la duttilita. Tendere cioé verso un tipo di rottura flessionale & l’obiettivo che occorre conseguire quando si vuole migliorare la resistenza sismica di un edificio. Gli edifici sui quali si pud intervenire mediante tali tecniche pos- Sono essere raggruppati nei seguenti tre gruppi, sempre che la resisten- zae la duttilita delle travi siano sufficienti: 70 Rinforzo di pilastri. a) Edifici nei quali le pareti di taglio siano poche, e nei quali la resi- stenza ultima a taglio dei pilastri sia minore della resistenza ultima flessionale. Per tali edifici sono pid efficienti le tecniche di adegua- mento che aumentano la duttilita dei pilastri. 71 5) Edifici nei quali la distribuzione delle forze laterali portate dai pila- stri é fortemente disuniforme a causa della presenza di muri di mar- capiano. Per questi edifici sono preferibili tecniche che tendono ad uniformare le rigidezze dei pilastri. ¢) Edifici aventi poche pareti di taglio e la cui resistenza alle azioni laterali é considerevolmente bassa mentre la duttilita ¢ sufficiente. Per tali edifici sono pid efficienti le tecniche di adeguamento che incrementano la resistenza flessionale dei pilastri. Gli interventi pid’ frequenti sono: — la sigillatura delle lesioni con iniezioni di formulati epossidici; — la ricostruzione del copriferro con malta reoplastica a ritiro compen- sato; —la ricostruzione di parti strutturali demolite 0 dissestate per forma- zione di cerniere plastiche. Tali interventi vengono in pratica effet- tuati con l’impiego di malte reoplastiche a ritiro compensato. Sono sconsigliati incamiciamenti localizzati in quanto cid comporterebbe solo lo spostamento in un’altra sezione della possibile crisi e quindi la resistenza effettiva del pilastro non risulterebbe incrementata. Qualora si voglia fare affidamento sulla resistenza flessionale del pilastro all’incastro, si possono aggiungere nuove barre longitudina- li, ancorate nel nodo in appositi fori, con resina epossidica, ed inca- miciando |’intero pilastro con angolari serrati alla struttura e ad essa ancorati con formulati epossidici; —la fasciatura o incamiciatura del pilastro con armature metalliche esterne. L’effetto conseguibile con tale tipo di interventi pud andare dal semplice contenimento del calcestruzzo compresso al sostanziale trasferimento degli sforzi del pilastro in cemento armato esistente ad un pilastro metallico sostitutivo. Il tipo pid frequente di armatura esterna viene realizzato con angolari metallici disposti lungo gli spi- goli del pilastro collegati tra loro con calastrelli in ferro piatto saldati e€ ancorati alla struttura con resina epossidica, secondo la tecnica descritta al § 3.4. Un intervento di rinforzo che comporta un maggiore aumento della tigidezza flessionale, @ realizzabile disponendo due o quattro profilati metallici aventi sezione a C su due facce opposte del pilastro e colle- gati tra loro mediante barre filettate passanti attraverso il calcestruzzo esistente ad opportune altezze ed incollati al pilastro mediante pasta epossidica. 72 Pd Fig. 12 - Interventi di rinforzo con profilati metallici. : Occorre notare che, anche nel caso di incamiciature metalli- che, qualora si voglia fare affidamento sull’aumentata resistenza flessionale del pilastro, occorre provvedere a solidarizzare le estremita delle armature alle travi e al nodo. Cid é ottenibile saldando trasversalmente alle estremita della incamiciatura, spezzoni di angolari metallici che vengono resi solidali alle travi mediante incollaggio con resina epossidica liqui- da iniettata dopo la sigillatura dei bordi. Pud essere ottenuta, anche, con una incamiciatura con lamiera del nodo e della testa del pilastro; su tale lamiera si saldano gli angolari del rinforzo del pilastro. Qualora, invece, non sia necessario fare affidamento sulla soli- darieta flessionale fra trave e pilastro, conviene prevedere un opportuno franco fra l’esterno della incamiciatura metallica e la superficie della trave. 4.3 TRAVI Le tecniche di intervento per il ripristino o il rafforzamento delle travi si differenziano a seconda del tipo e dell’entita del danno subito, ed in funzione dell’incremento di resistenza richiesto. Occorre subito osser- vare che prima di eseguire |’intervento si deve scaricare la trave dei carichi esistenti onde poter ridurre la freccia permanente e, se possibi- le, mediante puntellatura contrastante, eliminarla completamente, di 73 modo che i nuovi materiali messi in Opera, in zona tesa 0 compressa, Possano entrare completamente in tensione al momento dello scarico dei martinetti. In generale, oltre alle limitazioni per la sigillatura delle lesioni e alla sostituzione del calcestruzzo fratturato secondo le metodologie gid ampiamente descritte, si possono distinguere interventi in zona com- pressa, in zona tesa, sull’intera sezione e sull’intero elemento, Foto 24 - Rinforzo di travi. 74 A) In zona compressa, le tecniche di intervento per il risanamento di travi nelle quali i danni subiti sono dovuti a sollecitazioni troppo eleva- te nel conglomerato cementizio per le insufficienti caratteristiche mec- caniche del materiale, devono generalmente tendere a modificare |’al- tezza dell’elemento. L’aggiunta, infatti, di materiale di qualita, in corri- spondenza delle zone pit sollecitate della sezione, non produce effetti benefici significativi in quanto le tensioni specifiche non si modificano non essendo aumentato il braccio della coppia flettente interna. Occor- te subito osservare che risulta opportuno in questi casi far precedere gli interventi da indagini sulla eventuale carbonatazione del conglomerato che pud ridurre il pH dal suo usuale valore di circa 12 a valori anche inferiori a 9, che segna il livello al di sotto del quale cessa la passiva- zione alcalina. Questo fenomeno, come ampiamente detto ai § 1.1.4, 1.1.5 pid frequente in calcestruzzi di mediocre qualita, comporta l’os- sidazione delle armature metalliche in quanto una piccola quantita di ossigeno é sufficiente per dare inizio all’ attacco da ruggine. Al lembo compresso, quindi, la sezione reagente pud essere incre- mentata mediante: —malta reoplastica a ritiro compensato; ~il getto di una soletta armata con rete metallica; —la realizzazione di un vero e proprio cordolo in cemento armato. La solidarizzazione tra il vecchio e nuovo getto @ ottenibile mediante idonei formulati epossidici che presentano adesione anche su supporti umidi, mentre la trasmissione degli sforzi di taglio viene assi- curata mediante opportuni connettori, barre ad aderenza migliorata opportunamente sagomate e di lunghezza tale da penetrare nel calce- struzzo esistente fino alle fibre corrispondenti all’asse neutro ed anco- rate con formulato epossidico: in tal modo si cerca di trasferire le ten- sioni che sorgono nel nuovo materiale al conglomerato che inizial- mente si pud ritenere scarico, Per ridurre, o addirittura annullare, l’aumento di sezione ma incre- mentare contemporaneamente il braccio della coppia interna, si opera con un beton-plaqué, incollando una piastra di acciaio sulla superficie compressa della trave, dopo aver predisposto un letto di resina epossi- dica, Occorre in questo caso, prestare particolare attenzione al perico- lo di instabilita della piastra per cui, se possibile, é preferibile sago- 75 marla a C, con le ali disposte sui fianchi della trave e aventi lunghez- za opportuna. In tal modo la funzione della trave in cemento armato si riduce sostanzialmente alla trasmissione degli sforzi di scorrimen- to tra l’armatura tesa e la piastra che viene a fungere da armatura compressa. B) Gli interventi in zona tesa consistono essenzialmente nella aggiun- ta di nuove armature che permettono di scaricare le barre preesistenti o di incrementare |’effettiva armatura tesa. A tal fine, asportato il copriferro, le nuove armature vengono saldate in pid punti alle barre preesistenti mediante opportuni spez- zoni distanziatori di diametro pari a quello delle staffe; successiva- mente vengono racchiuse da monconi di staffe sagomati ad U, inse- riti nella struttura e ad essa ancorati con formulati epossidici. Dopo Vapplicazione di resina epossidica per ancoraggi, viene realizzato il nuovo copriferro con malta a ritiro compensato. L’operazione di sal- datura deve essere effettuata per tratti onde evitare danni dovuti alle variazioni di temperatura. E opportuno iniziare dalla sezione di mezzeria e procedere simmetricamente verso le sezioni estreme. Occorre inoltre tenere presente il pericolo di un indebolimento del- Vacciaio nei punti di saldatura, e rivolgere particolare cura all’anco- raggio dell’armatura aggiuntiva che deve essere prolungata in zona sicuramente compressa, operazione che spesso risulta complessa. II rinforzo pud essere realizzato mediante la disposizione di una lamiera 0 di angolari di acciaio, solidarizzati mediante resina epos- sidica e serrati con barre filettate (beton-plaqué; cassero metallico §§ 3.4.1; 3.4.2). Esempi tipici di conformazione delle piastre sono riportati in Fig. 13. Yi Bs Y a \ Fig. 13 - Disposizione di piastre di armatura: a) armatura a flessione ; b) armatura a taglio; c) e d) alter- native ad a) e b); e) armatura a flessione é taglio; f) alternativa a e). 76 E indispensabile, inoltre, che la lamiera sia estesa a tutta la lun- ghezza della trave, o almeno per una sufficiente lunghezza nella zona compressa, C) Nel progetto degli interventi di consolidamento delle travi é prefe- ribile prevedere che la resistenza a taglio sia affidata integralmente ad armature trasversali. Un tipo di intervento, soprattutto nel caso di risanamento, potreb- be consistere nell’aggiunta di una sufficiente quantita di staffe in modo tale da poter non fare affidamento sui ferri piegati. Anche l’applicazione di piastre di acciaio laterali con la citata tec- nica del beton-plaqué, permette il rinforzo della trave nei riguardi della sollecitazione di taglio. Quando é possibile, @ sempre preferibile disporre la lamiera anche all’intradosso della trave. Nel caso, comunque, che vengano disposte solo lateralmente, é consigliabile risvoltare la lamiera sul bordo inferiore per assicurare una lunghezza di incollaggio sufficien- te a prevenire il pericolo di rotture premature, soprattutto a taglio della trave. Nel caso di travi a T, inoltre, é preferibile collegarle alla soletta mediante opportuni denti di ancoraggio o meglio con profilati metallici a L. In alternativa @ possibile avvolgere la trave con una cerchiatura esterna; questo intervento risulta in genere pid laborioso che nei pila- stri, richiedendosi in questo caso una chiusura della staffatura in zona compressa realizzata mediante perforazioni e l’inserimento di barre filettate ancorate con resina epossidica alla struttura. D) Qualora la trave risultasse fortemente danneggiata da flessione alternata @ possibile ricorrere ad un intervento di sostituzione del cal- cestruzzo danneggiato e incamiciatura con struttura metallica opportu- namente sagomata. Anche in questo caso |’intervento risulta pitt labo- rioso rispetto all’analogo su strutture verticali. E) Fra gli interventi di rinforzo delle travi occorre ricordare la tecnica della precompressione, mediante la quale € contemporaneamente pos- sibile richiudere in parte eventuali lesioni. Migliori risultati sono perd Ottenibili se l’intervento viene eseguito con iniezioni o sigillature con resina epossidica in quanto la precompressione da sola non permette di ottenere la chiusura completa delle lesioni. Su tutto occorre perd osservare che |’intervento diventa estrema- a7 mente delicato e di difficile progettazione nel caso di possibili inversioni di momento nella trave e cioé proprio nel caso di sollecitazioni sismiche. 44 NODI Negli interventi di consolidamento dei nodi trave-pilastro devono essere rispettati i medesimi principi fondamentali validi per il progetto di telai in cemento armato in zona sismica: non & ammesso, cioé, che plasticizza- Zioni si formino all’interno del nodo e, se possibile, neanche nei pilastri, Gli interventi sui nodi sono quindi strettamente collegati a quelli previsti per gli elementi strutturali che vi concorrono ed in particolare alla riparazione dei pilastri. Foto 25 - Rinforzo nodi. 78 Occorre inoltre ricordare che la continuita delle armature di travi e pilastri ¢ necessariamente realizzata nei nodi e costituisce un elemento fondamentale di un buon intervento di riparazione o rinforzo della struttura. In funzione dello stato di degrado, gli interventi sui nodi possono essere costituiti da iniezioni di formulati epossidici quando le lesioni sono piccole e non si é raggiunto il collasso e da riempimenti con malta di resina quando le lesioni hanno ampiezza maggiore. Qualora si é invece raggiunto il collasso accompagnato da una parziale espul- sione del calcestruzzo si pud intervenire sostituendo tutto o parte del nucleo, previa eliminazione del calcestruzzo fratturato, con getti di malte reoplastiche a ritiro compensato. Quando possibile é preferibile inserire staffe chiuse e normalmente tale tipo di intervento prevede un ringrosso delle dimensioni del nodo. Occorre ancora osservare che risulta necessaria una puntellatura temporanea di tutti gli elementi strutturali che convergono nel nodo stesso onde poterli scaricare total- mente, e cid in genere é realizzabile solo ai piani alti o in strutture non multipiano. Comunque, nel progetto di interventi sia su nodi non danneggiati sia su nodi da riparare, é opportuno prevedere |’ancoraggio delle armature principali sostanzialmente realizzato al di fuori del nodo stesso, Qualora siano presenti lesioni diagonali locali, queste dovrebbero essere attraversate da staffe chiuse in tutte e due le direzioni. Numero- si Autori concordano che, qualora non siano effettuati calcoli pit sofi- sticati, sia opportuno prevedere staffe chiuse, aventi diametro di 10 mum, disposte al di fuori del nodo come segue: —nei pilastri ogni 10 cm e per una lunghezza di circa 50 cm 0 comun- que superiore alla maggiore dimensione dei pilastri; —nelle travi, ad una distanza pari a h/4 0 comunque non superiore a 15 cm, e per una lunghezza uguale a 2h, dove h é l’altezza della trave. Quanto detto, pud essere ottenuto, realizzando un cassero metalli- co intorno alle travi ed ai pilastri per una lunghezza pari a quelle prima definite, relativamente ai due elementi strutturali, serrato con barre filettate ed ancorato alla struttura con resina epossidica. Operare come descritto determina in genere un miglior comporta- mento dei nodi. Infatti una sufficiente resistenza a taglio e a flessione alle estremita del nodo, oltre ad una elevata duttilita, é assicurata dal 79 contenimento laterale. Inoltre la tensione nel calcestruzzo aumenta per la realizzata cerchiatura. Per tali motivi molti interventi di consolida- mento dei nodi tendono a creare, dopo l’eventuale ricostruzione del nucleo, stati di leggera precompressione ottenuti in genere come segue: —posa in opera di collari metallici cerchianti il nodo, serrati con barre filettate passanti ed iniettati con resina epossidica; —inserimento di barre di acciaio in fori trapanati incrociati ad X in direzione trasversale da estradosso ad intradosso delle travi contigue e pretensione con tiri non troppo elevati. Cid pud far parte di un intervento che prevede la precompressione delle travi contigue con armature inclinate ed incrociate nel nodo, Come gia ricordato gli interventi di consolidamento di nodi e pila- stri devono essere condotti concordemente per poter opportunamente intervenire sulle caratteristiche di rigidezza o duttilita, soprattutto quando si prevede un intervento sul pilastro che ne aumenti la sezione e |’armatura. A tal proposito i collegamenti con il nodo possono essere realizza- ticon una delle seguenti tecniche: —ancoraggio dei profilati d’acciaio occorsi nella riparazione dei pila- stri superiore ed inferiore mediante barre d’acciaio o piastra: in tal modo si realizza la perfetta solidarieta nodo-pilastro; —realizzazione di ancoraggio nelle travi adiacenti il nodo mediante saldatura dei profilati di rinforzo alla casseratura cerchiante il nodo. Lancoraggio nelle travi @ comunque necessario in presenza di inter- venti di incamiciatura o ringrosso armato dei pilastri. Una tecnica di messa in forza di profili in ferro, & quella del riscal- damento alla fiamma a color rosso di un tratto di calastrello saldato da un solo lato, pari a 1/4+1/5 della sua lunghezza. Dopo la esecuzione della seconda saldatura ed il successivo raffreddamento si raggiungo- no tensioni dell’ordine di 1000+1500 kg/cm?. 45 SOLAI Le principali funzioni cui devono assolvere i solai ai fini della resi- stenza sismica di un edificio intelaiato sono un buon collegamento dei 80 telai ai vari livelli e la ripartizione delle forze sismiche fra tutte le strutture verticali resistenti. Per l’adempimento di tali funzioni e per l’assorbimento dei relati- vi incrementi di sollecitazione sono necessarie opportune armature di collegamento alle strutture perimetrali, la presenza di una soletta ben armata e di spessore adeguato, l’assenza di eccessive inflessioni e la perfetta aderenza fra travetti e laterizi. | requisiti ora evidenziati guida- no quindi la concezione degli interventi di ripristino o rinforzo dei solai. Occorre subito rilevare che non risulta raro il caso di edifici che presentino poche o addirittura nessuna trave in una direzione, per cui sono inadeguati a sopportare carichi orizzontali agenti in tale direzio- ne. E possibile comunque effettuare una verifica considerando contri- buenti alla resistenza opportune fasce di solaio; & opportuno quindi tinforzare i solai stessi, considerando in particolar modo I’inversione del segno dei momenti in corrispondenza degli appoggi dovuta agli effetti sismici. Foto 26 - Fasi di intervento su solai. 81 In tale ottica, ed in quella di casi analoghi, si sono considerate alcune tecniche di intervento utilizzate in genere quando si rileva una carenza strutturale ai carichi verticali e pertanto gli interventi possono essere rivolti a rinforzare o incrementare la capacita portan- te e possono essere suddivisi in interventi in zona tesa e in zona compressa. Come gia evidenziato per le travi, é necessaria, prima di eseguire l’intervento, una puntellatura eliminabile solo quando si @ raggiunto Vindurimento del nuovo getto, che permetta di mettere in tensione il nuovo materiale di rinforzo e di ridurre gli sforzi agenti sulla vecchia struttura. Gli interventi in zona tesa di solai misti possono essere condotti con la finalita di migliorare le condizioni statiche dell’elemento o per aumentare considerevolmente il carico utile applicabile. In generale cid é realizzabile ricostruendo le parti di calcestruzzo degradato o distaccato, con l’impiego di malta a ritiro compensato, quando i ferri d’armatura risultassero in buono stato, ovvero con il posizionamento di strisce di lamiera di piccolo spessore, previa interposizione di strato di adesivo epossidico, all’intradosso dei travetti, laddove l’ossidazione dei ferri d’ armatura risulti particolarmente grave. Le metodologie di intervento sono le stesse descritte per le travi, e possono riassumersi in: — incremento dell’armatura esistente o sua totale sostituzione, median- te il placcaggio a pressione o mediante il metodo del cassero metalli- co, di profilati in ferro piatto o strisce di lamiera di idoneo spessore. Tali profilati vengono serrati alla struttura con barre filettate ed ancorati con formulati epossidici; —ricostruzione parziale o totale di parti di travetto degradate o lesionate, con l’impiego di malte reoplastiche a ritiro compensa- to. Gli interventi in zona compressa permettono di ridurre le tensio- ni specifiche nel conglomerato quando risultano superiori ai valori ammissibili: si deve necessariamente ottenere un aumento del brac- cio della coppia interna di modo che a parita di momento flettente esterno si verifichi una diminuzione della massima sollecitazione. Si cerca quindi di conseguire un aumento dello spessore all’estradosso 82 con getti di solette di calcestruzzo armato con reti di acciaio. Si ese- gue una leggera scalpellatura del calcestruzzo esistente per migliora- re l’aderenza tra i due materiali, si asportano tutte le impurita pic- chettando e graffiando con spazzole di acciaio fino a mettere a nudo il supporto ben solido. Si eseguono sulle travi portanti dei fori di diametro 12 mm posti ogni 30 cm e dopo la pulitura mediante aria compressa vengono ancorati, mediante colata di resina epossidica liquida, tondini ad aderenza migliorata sagomati ad L con diametro 8+10 mm. E bene realizzare tali perforazioni anche in corrispondenza dei tra- vetti e lungo il loro asse longitudinale ad interasse di 45+50 cm. Si colloca la rete elettrosaldata serrandola ai tirafondi realizzati sui tra- vetti e sulle travi portanti. Su tutta la superficie viene, infine, stesa a pennello o spruzzo una resina epossidica per ancoraggi, e quando quest’ultima é ancora appic- cicosa, si esegue la nuova soletta in calcestruzzo, che si incollera alla vecchia soletta in modo monolitico. 4.6 SCALE Gli interventi su tali elementi strutturali presuppongono un esame delle tipologie costruttive adottate e del grado di danneggiamento: se le scale fanno parte di un nucleo irrigidente in cemento armato, la riparazione non pud prescindere dagli interventi sulle pareti del nucleo; se sono realizzate con solette appoggiate o con gradini a sbalzo incastrati in travi a ginocchio, l’intervento di riparazione risulta in genere pil’ semplice e si possono utilizzare tecniche ana- loghe a quelle descritte per i solai. Qualora il corpo scala risulti fortemente danneggiato é invece opportuno prevedere la ricostru- zione integrale. Non é infine poco frequente in interventi di ade- guamento sismico trasformare il corpo scala in un nucleo rigido di controventamento a cui viene affidata la resistenza ai carichi oriz- zontali ottenendo in tal modo una sostanziale variazione dello sche- ma resistente. 83 Foto 27 - Rinforzo rampante scala. 84 5, METODOLOGIE DI CALCOLO 5.1 PREMESSA Come pit volte ricordato gli interventi sulle strutture tendono essen- zialmente ad aumentare la duttilita, ma alcune tecniche di rinforzo per- mettono inoltre un incremento delle capacita flessionali modificando- ne in genere anche le rigidezze. Gli interventi che consentono di migliorare la duttilita, sono generalmente tesi a fasciare la struttura con camicie di lamiera o con strutture di carpenteria metallica cala- strellata o ad aumentare le dimensioni mediante incamiciatura armata di calcestruzzo. Per il ripristino delle caratteristiche meccaniche degli elementi strutturali risanati (resistenza, rigidezza, ecc.) divenute insufficienti in seguito a danni oppure a nuove impreviste condizioni di carico, @ tichiesta la collaborazione statica dei nuovi materiali incorporati con quelli preesistenti. Di conseguenza, indipendentemente dalla scelta della tecnologia restaurativa e dei materiali impiegati, il successo del consolidamento dipende principalmente dal grado di monoliticita rag- giunto tra le sezioni a contatto. Un’accurata preparazione dei supporti ed un’attenta esecuzione della tecnica di consolidamento eliminano in pratica la discontinuita delle interfacce. La resistenza offerta dagli elementi strutturali risanati supera spes- so quella originaria, anche a parita di sezione iniziale. Cid é da attribuire alle migliori caratteristiche meccaniche dei materiali impiegati nei ripristini strutturali, ed in parte agli sforzi rela- tivamente ridotti cui essi vengono sottoposti a consolidamento effet- tuato. La puntellatura, laddove viene fatta, pud non eliminare del tutto 85 i carichi permanenti agenti sulla struttura. Cosi l’impegno statico dei materiali nuovi, integrativi di quelli preesistenti, risulta inferiore nella condizione di esercizio successiva al risanamento. Conseguentemente il calcolo delle sezioni parzialmente danneggiate e restaurate con l’ag- giunta di nuova armatura, deve essere condotto prendendo in conside- razione la deformazione dell’armatura preesistente. Una corretta impostazione del problema della sicurezza delle strutture intelaiate in cemento armato risanate deve tener presente tutti gli aspetti del comportamento della costruzione in relazione alle modalita di risanamento adottate. Cid in quanto il comportamento della struttura risanata pud risultare variamente differenziato rispetto a quello della struttura originaria in funzione dell’intervento di consoli- damento adottato. Quanto detto € maggiormente messo in rilievo nei casi in cui si vogliano applicare dei rinforzi locali, le variazioni bru- sche di sezione (geometria, materiali, armature) e le concentrazioni di deformazioni imposte possono diminuire la resistenza globale della struttura a sollecitazioni cicliche. Se il rinforzo @ esteso a tutto un elemento strutturale, l’aumento della sua rigidezza pud comportare una ridistribuzione delle sollecita- zioni tale da richiedere il proseguimento e |’estensione del rinforzo a parti della struttura che non siano state danneggiate. Come gia detto, in linea di principio, le caratteristiche sismiche relative a resistenza, rigidezza e duttilita (e smorzamento), specialmente a flessione, si pos- sono dedurre dalle caratteristiche statiche, a certe condizioni. Difatti é in genere accettato che i diagrammi momento-curvatura per carichi monotoni siano le curve d’inviluppo per carichi ripetitivi, almeno per un notevole numero di cicli successivi. Il calcolo delle sezioni pud essere eseguito col metodo delle ten- sioni ammissibili, tenendo presente che al momento dell’applicazione dei materiali di rinforzo, la struttura é caricata dalle sollecitazioni rela- tive al carico permanente. Col metodo delle tensioni ammissibili, la sicurezza di una sezione viene realizzata verificando che le tensioni indotte dai carichi, calcola- te ipotizzando il comportamento elastico dei materiali, risultino sem- pre inferiori alle relative tensioni ammissibili, cioé al valore delle ten- sioni a rottura ridotte di un opportuno coefficiente. Col metodo di calcolo semiprobabilistico allo stato limite a rottu- ra, che ipotizza il comportamento plastico della struttura, si tiene 86 conto anche di una possibile deformazione plastica della struttura senza che per si generi crisi. Tale metodo é in grado di dare l’esatto legame fra le sollecitazioni esterne e la resistenza dei materiali in caso di crisi della struttura, per cui @ possibile scongiurarne il crollo, pur ipotizzando un suo possibile danneggiamento. Nello studio di un intervento di rinforzo e quindi delle lamiere o dei profilati da impiegare é bene non eccedere con gli spessori; la struttura deve possedere dopo il rinforzo una duttilita tale da consenti- re sensibili deformazioni sotto l’azione dei carichi esterni senza indur- te indebolimenti nelle strutture vicine, dove non si é operato alcun intervento di risanamento. Le metodologie di calcolo sviluppate nei prossimi paragrafi, sono collegate ai diversi elementi strutturali e per ognuno di essi alla diver- sa tipologia di intervento ed alla sua collocazione (zona tesa, zona compressa, ecc.). §.1.1 Simbologia e valori caratteristici ammissibili 1) SIMBOLI A area modulo di elasticita longitudinale momento di inerzia forza normale modulo di resistenza larghezza altezza utile resistenza di un materiale altezza totale della sezione lunghezza di un elemento altezza dell’asse neutro altezza del diagramma rettangolare delle tensioni normali braccio delle forze interne coefficiente di sicurezza dilatazione percentuale geometrica di armatura NO@NC KX HT wATs ZO m 87 © tensione normale T tensione tangenziale @ diametro di una barra o di un cavo = sommatoria 2) INDICi calcestruzzo acciaio stato limite ultimo deformazione snervamento €s 94 il conglomerato ha subito una contrazione: &c = 3,5%0 Il coefficiente di posizione dell’ asse neutro k risulta: K.1edessendo0 6,. Tale aumento di resistenza a rottura fa si che a parita di qualita del conglomerato e di coefficiente di sicurezza, la portata dei pilastri risulti aumentata. 108 Per una valutazione analitica della aumentata portata del pilastro cosi risanato, risulta valida la relazione: 6. =[1+w Au(1—2i/a) fy / R'c] 6 con la limitazione: 6. = 14,5 ./G.; dove: Au = volume dell’armatura trasversale per unita di volume del con- glomerato; i = interasse dei calastrelli; a =dimensione pil piccola della sezione del pilastro; w =coefficiente di forma pari a 1,50 per pilastri quadrati 0 circolari, e 1,50 a/b per pilastri rettangolari; fy =tensione di snervamento dell’ acciaio; R‘c= resistenza a compressione del calcestruzzo. Si noti che, per ottenere un idoneo frettaggio dei pilastri, @ neces- sario che |’interasse dei calastrelli risulti sempre inferiore ad a/2, dove aé la misura pit piccola dei due lati del pilastro, ed inoltre si faccia uso di ferri piatti ad alto spessore, maggiore di 8+9 mm. E opportuno notare che per pilastri rettangolari con un alto rappor- to dei lati b/a, & necessario ridurre la lunghezza libera dei calastrelli mediante barre filettate inserite nella struttura e passanti, in modo da serrare i due calastrelli contrapposti. Le considerazioni su esposte possono trasferirsi anche alle parti di calcestruzzo compresso di travi inflesse. 5.6 VERIFICA DEI NODI E DEI PILASTRI PRESSO-FLESSI Quando si effettua un rinforzo lamellare di una trave, ed in particolar modo quando tale rinforzo é prossimo ad un nodo e riguarda un pila- stro perimetrale, opportuna la verifica a presso-flessione del pilastro 109 sul quale la trave induce momento, onde scongiurare una possibile crisi per cedimento del pilastro. Come gia detto nel § 4.4, sui nodi si interviene mediante applica- zione a pressione di lastre di acciaio di spessore contenuto (3+4 mm). Tale intervento di risanamento del nodo, teso a realizzare la necessaria continuita delle armature di rinforzo, si prolunga sui pilastri e sulle travi. L’ampiezza di tale prolungamento risulta essere valutata come di seguito: —per i pilastri, almeno quanto la lunghezza della cerniera plastica che si genera per effetto di una traslazione del telaio sotto l’effetto di carichi orizzontali ovvero una lunghezza che risulti maggiore tra: 1) b - lato pid lungo della sezione del pilastro; 2) 1/6 dove / & l’altezza del pilastro; 3) 45 cm; —per le travi, fin oltre la sezione di momento nullo e nella zona di massimo sforzo di taglio e comunque per una lunghezza non inferio- re a “2h” dove h é l’altezza della sezione della trave. Si consideri il nodo A trave-pilastro della Fig. 22. Nella ipotesi di incastro perfetto nei punti B, C, D. Sia Mi il momento agente sulla trave. Supponendo valida l’ipotesi di nodo fisso, possiamo scrivere: MA = Mi (UAD + WAC / WAC + LAD + LAB) MAD = MA (wAC / WAC + LAD) MAC = MA (AD /HAD + LAC) dove: HAC = IAC/h> HAB = IAB/: HAD = IAD/hi sono i coefficienti di rigidezza dei pilastri e della trave, mentre MAD e MAC sono i momenti alla testa del pilastro AD e alla base del pilastro AC rispettivamente. 110 Fig. 22 - Sezione di telaio e diagrammi degli sforzi. 1, ie op 2A Cg Ag) SH p24 C9 yg) Sa Gee tee + v v Fig. 23 - Esempio di domini di interazione adimensionalizzati lx, ly, v sono i movimenti lungo gli assi x, y, € lo sforzo normale, agente sulla sezione. E necessario sapere se l’aver rinforzato la trave o le travi collega- iil te, non abbia indotto nel pilastro momenti che lo porterebbero a crisi prima della trave stessa, condizione quest’ ultima da scongiurare. La verifica viene eseguita utilizzando i “domini di interazione”, cioé mediante la identificazione delle coppie di valori di m ed n che deter- minano condizioni di rottura n = NidbR’c m = Ne/d bR’c=neld e = MIN Si rimanda alla letteratura la trattazione sui domini di interazione. Noto il dominio di rottura relativo alla struttura in esame, si verifi- ca la stabilita e si determinano i punti di “crisi”, cio@ i valori di n e m che per incremento dei carichi porterebbero a rottura. Sia la curva con @,= 0,50 di Fig. 23 rappresentativa del dominio di rottura del nodo A della Fig. 22 e che il punto P identifichi la condi- zione di carico della struttura, con coordinate: n= NAI/db R’c m= MADI@ bR*c La struttura andra in crisi in corrispondenza dei punti P, e P., che si riferiscono alle due condizioni di carico: a) incremento del solo sforzo normale NA; 4) incremento del solo momento MAD. Deve comunque risultare, affinché la sezione sia verificata, che: m, > MAC 1,75/ @ bR’c n, > NA 1,75 /dbR’c Ed inoltre, ai fini del rinforzo delle travi collegate: M,=m,b @ R’c MA‘ = M, (UAC + LAD / LAD) Mu = MA’ (AD + LAC + LAB / WAD + LAC) e dovra essere: da cui: da cui: Mu > 1,75 Mi 112 Se cio non accade si dovra intervenire con un rinforzo lamellare anche sul pilastro, se non é gia stato eseguito, ovvero incrementare il valore gia progettato. 5.7 RINFORZO DI SOLAI MISTI CON LATERIZI, AD ARMA- TURA PARALLELA Gli interventi di risanamento dei solai, come gia detto, sono rivolti al recupero 0 all’incremento della capacit’ portante. Tali interventi pos- sono essere eseguiti in zona tesa 0 in zona compressa 6 in ambedue le zone. L’intervento in zona tesa é generalmente ottenuto mediante plac- caggio a pressione di piastre di acciaio incollate con formulati epossi- dici. In zona compressa si interviene realizzando una nuova soletta armata incollata alla esistente mediante formulati epossidici. Si debbano rinforzare i travetti del solaio la cui sezione @ rappre- sentata in Fig. 24. Fig, 24- Sezione di solaio. I ferri d’armatura preesistenti vengono trascurati ai fini del calcolo della piastra di rinforzo, in quanto, se essi sono ancora efficienti, il calcolo delta piastra di rinforzo € limitato al solo carico accidentale, ovvero a tutto il carico gravante sul solaio se i ferri sono da ritenersi del tutto inutili per l’avanzato stato di ossidazione ¢ la ridotta sezione reagente, Per il progetto della lamiera di rinforzo si fa l’ipotesi di armatura equilibrata e si considera ai fini della resistenza la sezione rettangola- re, posta in mezzeria, con base pari alla larghezza dei travetti “b’’, ed 113 altezza h, semplicemente armata, e sia M,,,, il valore del momento massimo agente su di essa. Per la condizione imposta si ha: fpkIEs < €5,< 10%o [39] con Es = 2,1 10*6 kg/cm? Definito il tipo di piastra da impiegare e quindi il valore di fpk, si stabilisce un valore di €s, nell’intervallo imposto dalla [39] e quindi dalla equazione di congruenza; sapendo che €c = 3,5%o abbiamo: LUE et 1425 14286 6s éc [40] con la [40] si calcola K, e quindi dalle equazioni: 0,8K = go, [41] m= Gon [42] sostituendo la [41] nella [42] ed essendo n = 1-0,4K si ha: m = 0,8K - 0,32K? da cui si ricava il valore di m e quindi si verifica che risulti: Mu = mF? b R’c > 1,75 My, [43] Se la [43] & soddisfatta abbiamo: G = 0,8K/a, dove ot, = fpk/R“c e quindi: A, = G/hb 114 5.8 VERIFICA DEI TRAVETTI PER INTERVENTO DI RIN- FORZO IN ZONA COMPRESSA Vintervento consiste nella realizzazione di una nuova soletta armata, generalmente con rete elettrosaldata, ed incollata alla vecchia soletta con idoneo formulato epossidico. OF b Fig, 25 - Sezione di travetto con intervento di risanamento in zona compressa. La sezione che viene presa in considerazione é quella d’incastro con sezione rettangolare piena pari a quella del travetto, doppiamente armata. Sia M’,,,, il valore del momento massimo negativo agente. La perfetta aderenza tra vecchia e nuova soletta dovuta sia al for- mulato epossidico che a tirafondi ancorati nei travetti fin oltre l’asse neutro, permette di considerare il tutto come nuovo sistema reagente, € riconduce il procedimento di calcolo a quello descritto per le travi a sezione rettangolare doppiamente armate. 5.9 VERIFICA A TAGLIO DELLE PIASTRE DI RINFORZO Quando si opera un beton-plaqué, le piastre d’acciaio vengono serrate alla struttura mediante barre filettate ancorate nella struttura stessa con formulati epossidici. Tali barre hanno anche la funzione di resistere agli sforzi di taglio che si verificano nel piano di contatto tra i due materiali ed allo sforzo di sollevamento dell’acciaio rispetto al calcestruzzo. 115 La perfetta aderenza dell’acciaio al calcestruzzo, realizzata con i formulati epossidici, porta ad una migliore ripartizione delle tensioni tangenziali su tutta la superficie di contatto e non si ha pit la loro con- centrazione in punti singolari in corrispondenza, cioé, degli ancoraggi meccanici ottenuti con le barre filettate di serraggio. Comunque una verifica va fatta. La tensione di taglio sul piano dell’incollaggio é data da: ~ 15, I dove: T =sforzo di taglio; S, = momento statico della sezione rispetto al baricentro; ! =larghezza dell’ incollaggio; 7 = momento di inerzia della sezione. Esperienze dirette condotte su strutture con piastre incollate, hanno dimostrato quanto gia noto teoricamente, che la limitazione degli incollaggi sotto gli sforzi di taglio @ dovuta al calcestruzzo ed alla sua 7 critica. Il distacco della piastra in ogni esperienza condotta é avvenuto sempre per cedimento del calcestruzzo. La larghezza dell’incollaggio, come visto, ¢ importante in quanto al suo aumentare diminuisce il valore della t. Essendo / al massimo pari alla larghezza della sezione dell’ ele- mento strutturale, la t potra al massimo essere ridotta al valore: TS, bl mn = dove b é la larghezza della sezione dell’elemento strutturale. Tale valore dovra essere contenuto tra i due limiti: t° = 4 + Rbk — 150/75 1 = 14+ Rbk - 150/35 TSTST [44] Qualora la [44] non risultasse verificata, gli sforzi di taglio saran- no assorbiti dalle barre filettate la cui sezione e numero saranno deter- minati in base al valore dello sforzo di scorrimento residuo. 5.10 DUTTILITA Una struttura adeguata sismicamente deve possedere, dopo |’interven- to di rinforzo, nel campo delle deformazioni plastiche, sufficiente resi- stenza da sopportare senza crolli, anche se con sensibili danneggia- menti, terremoti anche violenti. La capacita di una struttura di assorbire deformazioni plastiche senza crolli, ci viene data dal valore della duttilita. Per un edificio le deformazioni plastiche pit’ importanti, si verifi- cano in corrispondenza degli incastri trave-pilastro. Col termine duttilita di una trave si intende il rapporto @./@, tra la curvatura ultima della sezione in corrispondenza del momento fletten- te massimo Mu e la curvatura all’inizio dello snervamento. Quando si esegue il calcolo della piastra di rinforzo, come detto, si impone la condizione di percentuale d’armatura equilibrata: G

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