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Con gli occhi a tre metri da terra

************** I due procedevano lentamente, lasciando alle cavalcature il compito di seguire il sentiero. Viaggiavano da quasi due settimane, spostandosi da un lago all' altro, da una boscaglia all' altra, lungo un percorso che li avrebbe condotti entro una decina di giorni a Thunder Bay. Avevano lasciato alla loro sinistra le cittadine gemelle di Sault St.Mary che si guardano dalle due sponde del Lake Superior, una canadese, l'altra americana. Un mare di tronchi, enormi isole galleggianti, li accompagnava. Tronchi che come un tappeto rotolante e ruvido nascondevano molti acri della superficie del lago. In quel modo, semplice ed economico, il lavoro di lontani tagliaboschi era lentamente avviato alle segherie, tenuto insieme lungo il perimetro da grossi ferri a U conficcati nella corteccia, guidati da piccole barche a motore. Fu grazie alle "code" cio ai tronchi che si perdevano per strada, che alcuni anni fa un gruppo di amici pot costruirsi sulla riva di un lago una grande log cabin, un bungalow cio interamente in legno. Fitte macchie di pini si alternavano a radi gruppi di betulle. Sulla corteccia, rosse

ferite sanguinanti linfa rivelavano il recente passaggio di qualche orso. Il terreno, cedevole e spugnoso per lo strato di detriti vegetali che il tempo aveva accumulato, era disseminato di bassi cespugli che ospitavano ogni genere di animali, dai conigli alle grouses, dai fagiani agli scoiattoli. I cavalli, evitando spontaneamente i folti dove sempre nella stagione calda si annidano nugoli di voracissime zanzare, preferivano muoversi ai margini delle radure. Il cavaliere che apriva la strada osservava con attenzione il terreno circostante. Da qualche minuto il suo cavallo, un quarter horse di quasi un metro e settanta al garrese, dava segni di nervosismo, scuotendo il collo e agitando le orecchie e la criniera. Frequenti orme sul terreno umido e i segni sugli alberi gli facevano temere un incontro ravvicinato con un grizzley. Pur conoscendo la scarsa aggressivit di quei mastodonti, specialmente nel corso dell' estate, sfiorava di continuo il calcio del Winchester bolt action cal. 338 Winch. Magnum che riposava nella fonda. Ottima carabina, pensava tra s. Compatta, affidabile e capace di spingere una palla da 250 grani a oltre 2600 piedi al secondo.

Non provava alcun desiderio di far strage di plantigradi e la caccia come sport non lo aveva mai interessato. Lo stesso valeva per il suo compagno che procedeva venti metri dietro di lui, ma entrambi preferivano evitare certi incontri. Ai lati del sentiero il terreno si era fatto sgombro, coperto solo di sterpaglie e radi cespugli. Procedettero ancora, superando morbide morene simili a onde di terra congelate dal tempo, ricordo di passate ere glaciali. Non avevano incontrato altro che cervi e un solitario alce che al loro sopraggiungere non si era neppure mosso dall' acquitrino nel quale pascolava. Non un uomo o tracce di uomini. Niente tralicci dell' alta tensione o altri segni della civilt. Dolcemente cullati dal lento passo del cavallo, erano liberi di osservare il paesaggio che sfilava sotto i loro occhi. Liberi di pensare. I raggi del sole piovevano dall' alto e giocavano tra i rami, sciabolando e dando all' ambiente colorazioni di volta in volta differenti, quasi da acquario; effetti speciali di una discoteca dove suoni e luci erano opera di un invisibile regista.

In altri momenti parevano sontuosi addobbi d'oro o tendoni paludati tra un tronco e l' altro. Com'era bello vivere cos, a contatto con l' ambiente! Sentire il respiro della natura invadere l'anima. Entrare davvero in sintonia con gli alberi, gli animali, l' acqua. Spostarsi sulla terra, a tre metri da terra anzi, sentendosi parte integrante di ci che li circondava e che si spostava con loro, felici e consapevoli di essere accettati, forse addirittura benvoluti. Da cosa o da chi, non sapevano esattamente. Certo da ci che regnava su quei luoghi senza tempo. Di sicuro qualcosa c'era. Era l, li guardava e li vedeva passare. Vivevano di ci che ricevevano; erba per i cavalli e pesce e bacche e funghi per loro. Ricambiavano con il rispetto e cedevano al terreno i loro escrementi, in un mutuo, reciproco scambio. Non inquinavano, non facevano danni, n lasciavano traccia del loro passaggio. Per questo evitavano i centri abitati. Gli giravano attorno, timorosi di compromettere quel meraviglioso equilibrio di energie pacifiche. Era tale il rispetto che provavano per quei luoghi e la sensazione di essere ospiti,

graditi magari ma sempre ospiti, che ogni volta che smontavano il campo per spostarsi altrove, controllavano minuziosamente di aver eliminato ogni pur minima traccia del loro passaggio. Come a dire: - Vedete... chiediamo ospitalit ma passiamo in punta di piedi, consapevoli di non essere a casa nostra ...Superato l' ennesimo rilievo, si trovarono davanti il tronco morto di un enorme pich pine. Forse venti metri di altezza e circa uno di diametro. La caduta era stata frenata dalle piante circostanti che, quasi a volerne onorare la venerabile et, lo avevano sorretto nell' agonia coi propri rami e ne avvolgevano protettivi il grande corpo che ora riposava inclinato . Chiss da quanto si era arreso ai rampicanti e all' incessante lavoro dei parassiti! Eppure aveva ancora un' imponenza che incuteva rispetto. - Potremmo fare il campo qui - propose il secondo - indicando con la mano guantata un tratto sabbioso della riva, sgombro da detriti e tronchi. - Mmmm... il posto sembra buono, e non sento zanzare, eppoi sono gi le 4. -

Sostando ora avrebbero avuto tutto il tempo per organizzare il pernottamento e rimediare anche qualcosa con la lenza prima del calar del sole. In questi quindici giorni siamo diventati proprio dei pescatori provetti - pensava - L' inverno passato aveva pescato pi volte attraverso un buco nel ghiaccio e sapeva che Gigi si era impratichito nei fiumi delle Filippine, quando viveva laggi. Tuttavia la facilit con cui trote e salmerini si facevano illamare ancora lo sconcertava. Dal momento che l'esca toccava la superficie di solito non passavano dieci minuti che questa si agitava furiosamente mentre il galleggiante spariva sott' acqua. Nelle bisacce posteriori, le pi ampie, avevano equipaggiamento e cambusa. Fagioli secchi, riso e latte in polvere, farina e bacon oltre a zucchero e the e una specie di pemmican indiano. In quelle anteriori, invece, trovava posto l' avena per Tom e Stancil, i loro cavalli, oltre all'attrezzatura per la quotidiana pulizia del mantello e degli zoccoli. L stava anche il pronto soccorso e un sacchetto stagno con il necessario per accendere il fuoco. Dietro a ogni sella era legato il sacco a pelo e la giacca a vento.

Gigi, oltre ad una carabina cal. 22, trasportava anche la tendina a due posti. In cintura portavano un solido coltello. Il suo era un Cattaraugus, vecchio di oltre 50 anni ma ancora affidabile e tagliente come un rasoio. Il suo compagno invece aveva ceduto alle lusinghe di Randall e orgoglioso ne esibiva ora uno splendido esemplare di quasi venti centimetri. Una massiccia ascia a manico lungo completava la loro attrezzatura da taglio. Facevano tappe brevi senza forzare l' andatura. Viaggiavano per circa sei-sette ore al giorno, con una breve sosta a met. In questo modo le bestie non si stancavano troppo e loro neppure. Il posto che avevano scelto, una stretta insenatura del lago, era molto gradevole. Al centro vi sfociava un torrente costellato di grandi massi bianchi. Poco pi in l un grosso viluppo di rami e tronchi, vestigia di una passata piena primaverile, avrebbe fornito legname in abbondanza. La superficie verde-bottiglia pareva denso sciroppo di menta e solo i cerchi dei pesci che salivano a galla ne rompevano di tanto in tanto la setosa continuit. - Fermo, non muovere un pelo! - bisbigliai a Gigi - guarda l in fondo, vicino al tronco marcio, ma muovi solo gli occhi. -

Al limitar di un gruppo di striminzite betulle, chiss perch, avevano sempre un' aria cos sparuta e triste, era comparso un cervo, e che cervo! Alto e imponente, forse tre quintali di peso, sfoggiava orgoglioso una folta gualdrappa quasi nera e un fantastico palco di corna. Le narici, lucide di muco, palpitavano rapide per usmare ogni pi lieve sentore. Il bellissimo animale mosse qualche passo e si avvicin alla riva, gli occhi calmi e dolci rivolti al terreno ma le orecchie ben tese in avanti. In quattro passi avremmo potuto toccarlo: evidentemente ci trovavamo sopravvento rispetto a lui e non aveva avvertito la nostra presenza. I cavalli stavano qualche metro pi indietro e pascolavano tranquilli, nascosti da una fila di piante. Non dovevano essersi accorti di nulla. - CHAC... e il cervo con un unico lunghissimo balzo, quasi un volo, scomparve leggero nel folto da cui era comparso. Gigi, alzati gli occhi al cielo, stava gi dandosi mentalmente del coglione per aver dimenticato il pentolino che dalla mano sgocciolava sulle foglie secche. In pochi minuti aveva trovato un buon posto per insidiare la sua preda. Un grosso sasso si protendeva sull' acqua creando un' ampia zona d' ombra. Forme scure guizzavano agili tra le

erbe del fondo, scomparendo a tratti fra sassi muschiati. Lasci cadere lentamente l' esca, controllando col polso il movimento del sottile filo di nylon. I pesci parevano disdegnare ma non ignorare il chicco di mais. Ci giravano attorno, lo puntavano ma all' ultimo istante sterzavano bruschi con nervosi colpi di coda e si allontanavano in un ampio cerchio che li avrebbe riportati al punto di partenza. Cominci a pensare che sarebbero dovuti ricorrere alle riserve alimentari, quando dal fondo comparve silenziosa una lunga ombra. Molto pi lunga delle altre. E pi grossa. Venne verso la superficie, deciso, senza tentennamenti, sicuro come un re. Fu questione di un attimo, poi uno strappo gli disse che aveva abboccato. - Gigi, Gigi, corri! Ho preso un mostro, una cosa enorme! Non ce la faccio da solo!! Con la coda dell' occhio lo vide mollare ci che aveva in mano e correre agile verso di lui, sbracciandosi e borbottando qualcosa che egli non intese, impegnato ad assorbire i colpi di frusta che l'enorme trota trasmetteva alle spalle con violenza terribile. Ne vedeva gli occhi impazziti e la bocca spalancata in un muto grido di ira e dolore. Chiss quanto pesava! Forse dieci chili, forse di pi. La

scura groppa schiariva verso il ventre e balenava di tutti i colori dell' iride. Balzava dall' acqua la meravigliosa creatura, sconvolgendola in milioni di lucide perle liquide, crepitante spuma di selz naturale. Piroettava e saltava con potenti colpi che le facevano toccare la testa con la coda. Gigi era al suo fianco, nell' acqua fino ai polpacci. Neppure lui sapeva che fare. Convinto che da un momento all' altro l' avrebbero persa, tent allora il tutto per tutto. Con cautela ma con tutta la forza che aveva alz verso l' alto la canna gi piegata ad un angolo assurdo. Pareva impossibile che il filo non si spezzasse sotto le tremende sferzate. Non seppero mai come, ma un momento dopo la trota schizzava frenetiche frustate di sabbia e sassi dalla riva scoscesa. - Uao! Con questa ci mangiamo anche stasera e domani - esclam felice Gigi, le mani sui fianchi e un sorriso che gli andava da un orecchio all' altro e gli illuminava gli occhi di gioia infantile. - Chiss quanto ha impiegato a diventare cos enorme! Gi - pensavo tra me e me - chiss quanti anni ci sono voluti per raggiungere simili dimensioni; quanti pericoli avr dovuto evitare, gli orsi, le linci, i rapaci ... per

finire nella padella di due brocchi come noi! Pensieroso si guardava attorno: l' acqua, le grandi rocce e la sabbia e la selva circostante. Era una sua impressione o gli alberi pi vicini parevano rivolti verso di lui. Quell' abete laggi, per esempio, aveva due grossi rami che sembravano braccia piegate sui fianchi in un muto atteggiamento di dissenso. Senza pensarci, forse nel timore di pentirmene, velocemente sfil l' amo dal labbro di quel lucido corpo vibrante di vita e con le mani a m di badile lo gett in aria e verso l' acqua. Meglio cos - mi dissi e ripetei ad alta voce - s, meglio cos. Non sarebbe stato giusto. Gigi era impietrito. Fissava il punto sulla riva dove un momento prima il pesce saltava, quasi a volerlo rimaterializzare l. Guard me poi di nuovo la riva. - Ma chi sei tu, D' Artagnan, Don Chisciotte, Robin Hood o cosa !!!! - Rabbioso prese a dar calci ai sassi e ad ogni cosa gli si parasse davanti. - Era cos... cos... cos grossa e cos forte e... e cos enorme e bella! Gi.. cos bella! - Alz lo sguardo. La rabbia se n'era andata e un sorriso fanciullesco gli illuminava il volto.

Fece una buffa smorfia, poi mi fisso ' in silenzio, le labbra mosse da un mezzo sorriso. -Ma s... in fondo hai fatto bene. Non sarebbe stato giusto... una creatura cos meravigliosa... Eppoi 'stasera ho una gran voglia di riso!- Lasciando sui ciotoli una doppia traccia umida si incammin rapido verso il campo e ancora scuoteva il capo. Si gir indietro guardandomi fisso . - Che figlio di buona donna! - lo sent borbottare - e sempre scuotendo il capo spar oltre le piante, verso i cavalli. Il sole si era appena tuffato dietro l' immensa distesa di piante, veloce come solito fare a quelle latitudini. Unica traccia un alone bordeaux che sfumava nel giallo contro i denti di sega delle cime frondute. Ora solo il baluginare sempre mutevole delle fiamme del bivacco illuminava il campo, ricacciando il buio fino al limitare del bosco. Il riso era pronto e avrebbe accompagnato il tonno che Gigi aveva appena tolto dalla scatoletta. Intanto sul focolare si scaldava l' acqua per una tisana - ... 'soir m'sieurs! -. Silenziosa, inavvertita persino dai cavalli, una figura coperta di daino si era materializzata nel campo.

I due uomini rimasero di sasso. Sapevano che nel raggio di trenta miglia non vi era traccia di villaggi o paesi, cos a quell' ora della sera non si aspettavano certo delle visite. Pareva piccolo e magro, ma il volto rimaneva avvolto nell' ombra. Il primo a scuotersi fu Alberto, una mano appoggiata all' impugnatura del coltello. Gigi giocherellava senza parere con un grosso bastone. - Benvenuto! Stavamo per cenare. Ti andrebbe di sederti con noi? - replicai nella stessa lingua. - Grazie, posso offrire del t in cambio - Si esprimeva in un buon francese leggermente sibilante, quello strano individuo comparso dal nulla. Niente bagaglio eccezion fatta per un faggottello grande come un pallone da basket. Il viso, profondamente segnato da un' intera vita all' aria aperta, pareva un misto di caratteri indiani ed europei. Su tutto spiccavano gli occhi, azzurri come lucidi frammenti di turchese. Impossibile dargli un' et, tanto pareva parte integrante del bosco circostante. Masticava il cibo con molta cura, lentamente; ogni tanto lo accompagnava con un sorso d' acqua. Gli occhi fissi sul fuoco, pareva

assorto in pensieri lontani. I due uomini si lanciavano occhiate senza saper che dire. - Ah , la grande truite! - sbott all' improvviso - Buona cosa lasciarla libera, buona cosa. Ca c'etait l' esprit du lac. ... Anche buon segno che si fatto catturare, ah oui - aggiunse, con uno strano, mezzo sorriso che dur un solo istante. - Ma allora eri qui gi da un pezzo! - Mmm no, non pezzo, no, non da molto ... ma abbastanza - L' uomo senza tempo li fissava con sguardo imperscrutabile - Meglio conoscere uomini prima di entrare nel campo. Ah oui, meglio conoscere. Bene, s ora io faccio tea poi dormo. S, dormo. Poi, rivolto a Gigi che lo stava fissando non serve preoccuparsi - quasi bisbigli- tout a va bien, Pierre, lui sta bene ora, sta bene. Lo sguardo era tornato sul mucchietto di brace. Vidi Gigi sbiancare e far la mossa di parlare, poi cambi idea, ma mentre s' infilava nel sacco a pelo era ancora colore di un lenzuolo. A due passi dal fuoco, la testa appoggiata al fagotto, il misterioso compagno di una sera gi ronfava sommesso, coperto solo della giacchetta. La mattina dopo dell'uomo non c' era piu traccia. Sparito lui, sparito il fagotto,

spariti i mocassini che aveva lasciato accanto al focolare. No, non proprio tutto. Ben in vista, su una pietra piatta un bellissimo dente di puma appeso a un laccio di cuoio. Per l'ospitalit o per la grande trota? Gigi fissava muto il punto in cui l' erba schiacciata recava ancora le tracce di un corpo. Forse per convincersi che non era stato tutto un sogno. - Perch poi ti ha chiamato Pierre? Che fosse un po' suonato, il nostro uomo? E che significava quel discorso che non ti devi preoccupare perch *lui* sta bene, Lui chi poi? Alz gli occhi, Gigi, e ci vidi qualcosa che di solito non c'era. - Mi chiamava Pierre, cio Pietro soltanto lui. Mio padre, intendo. il mio secondo nome, quello di mio nonno. Quando sono partito da La Spezia, non stava bene. Volevo aspettare qualche giorno, ma lui insistette. Aveva una cera che mi preoccupava. Eppoi, sai, dopo il tumore di tanti anni fa... Oramai nessuno, a parte lui, conosce questo nome...

Vittoria e il ragioniere
************** Come tutte le mattine l'uomo usc dall'anonimo palazzo IACP alle sette e trenta in punto. Il bus sarebbe passato di l a un quarto d'ora. Giusto il tempo per un cappuccio, un cornetto ed una scorsa al Carlino. Il rito si svolgeva sempre allo stesso bar da anni, fin da prima che il vecchio gestore morisse di un colpo apoplettico dietro la macchina del caff. Gli era subentrata una donna, un tipo indipendente che faceva tutto da sola, senza mai abbandonare il sorriso, dalle sei del mattino alle nove di sera. Prima la chiusura era a mezzanotte, ma Vittoria aveva una figlia da accudire, cos... Il marito? Vittima del fumo! No, niente carcinoma del polmone. Solamente un grosso stronzo, nel senso che era uscito per comperare le sigarette... e non era pi rientrato. Cos aveva cambiato orario, gettando nella pi nera disperazione i vecchietti che soggiornavano in permanenza ai tavolini in formica verdina. Equiseto Bianchi (ma dava ad intendere di chiamarsi Sandro, come il Grande Mazzola) ragioniere del Pier Crescenzi, era uomo abitudinario e non molto ciarliero; tuttavia

aveva gradito parecchio il cambiamento, anche perch (ma non solo!) con i vecchietti se n'era andato un persistente afrore di sigaro toscano presente nell'angusto locale fin dalle origini. Sparita la nuvola azzurrina appena sotto il soffitto, sparite cicche e scaracci agli angoli della stanza, ora i vecchi arredi, a cominciare dal grande specchio molato del Caff Sandrolini, brillavano di una dignit nuova e l'ambiente odorava di pulito e di bomboloni freschi. Quella mattina il bar era deserto e Bianchi in cuor suo se ne compiacque: per un po' si sarebbe gustato in esclusiva lo spettacolo preferito e cio le pi belle mammelle della Bolognina, alte e di attaccatura larga, cosa rarissima a trovarsi: quelle della proprietaria del bar. Per guardarsele in santa pace sfruttava lo specchio, fingendo di meditare sulle boiate della cronaca locale. Questo, pi della colazione, restituiva al magro ragioniere la serenit d'animo necessaria per affrontare un altro giorno di lavoro, dietro alla vecchia scrivania di un'impresa di pompe funebri. Oltre il vetro divisorio, un continuo viavai di facce lunghe e vedove in gramaglie che per fortuna non era compito suo accogliere. Serio e composto, pilastro dell'Ufficio Contabilit, indossava

solo completi grigi. Ne aveva tre, di differente pesantezza, ma tutti rigorosamente grigi. Fin dal giorno dell'assunzione, venticinque anni prima, aveva ritenuto giusto conformarsi all'atmosfera austera e non proprio esilarante dell'ambiente con un colore che non stridesse con lo stato d'animo dei visitatori. Ma se l'aspetto esteriore appariva cos opaco e conformista , dentro Bianchi era ben altra cosa. Capacit d'osservazione, senso dell'umorismo e una discreta cultura costruita con anni di buone letture avevano scavato profondamente nel suo animo ma non erano riuscite a scalfirne l'innata riservatezza. Del resto non glielo diceva sempre anche suo padre? :"Guarda, osserva tutto ma parla poco: la persona silenziosa sembra sempre pi intelligente di quanto non sia in realt. Ricordatelo!" Cos, anche se non si considerava un cretino, aveva preso l'abitudine di parlare poco e di guardare molto ma senza parere, ... specialmente l'ondeggiare indolente di un seno pieno o la gonna tesa dal rapido un-due, undue della commessa del primo piano. Eeeh s, perch ad Equiseto, che doveva quel bizzarro nome al padre botanico dilettante,

gli ormoni non difettavano davvero. La curva di un fianco, la lenta sfilata di glutei e cosce sotto al Pavaglione all'ora dell'aperitivo, avevano il potere di scatenare in lui tempeste di libidine, furori erotici cui non sapeva n voleva sottrarsi. C'erano giorni in cui perfino i tratti morbidi di certe automobili, la pienezza di un parafango retr, gli richiamavano alla mente immagini muliebri: all'istante un ben noto calore si diffondeva all'inguine riattivando il turbine. Il problema pi grosso era stato dissimulare certi improvvisi fenomeni diciamo cosi "meccanici" che sarebbero risultati, specialmente sul posto di lavoro, alquanto imbarazzanti. Madre Natura lo ha dotato di un gran naso, di dita lunghissime e di piedini numero 48. Indizi questi, e chi se ne intende lo sa bene, che presumibilmente anche qualcos'altro di dimensioni altrettanto imponenti. E difatti cos era: una quantit di centimetri e una borsa che sarebbe bastata anche per la spesa settimanale all'Euromercato. Roba da far vergognare perfino Rocco Siffredi, re dei porno-attori! Giorni e giorni di training estenuante, simile a quello che consente a sacerdoti tibetani

seminudi di ignorare il freddo, fecero il miracolo. Ci che neppure uno slip rinforzato avrebbe mai potuto frenare, pot la forza della mente! Finalmente era riuscito a relegare in ambito esclusivamente cerebrale il suo arrapamento, fosse anche il pi furioso e coinvolgente. Ora poteva lasciare correre la fantasia a briglia sciolta, libero di soffermarsi su culetti a mandolino, libero di osservare impassibile una studentessa sedicenne abbigliata come una battona dei viali. Si divertiva anzi ad assumere una espressione serafica e distante mentre dentro un vulcano segreto eruttava fuoco e lapilli. Un paio d'anni prima aveva avuto una storia con una bibliotecaria impiegata presso un Centro Civico. Era durata poco, anzi pochissimo. Lei non riusciva a soddisfare le voglie di lui, che anzi giudicava un po' animalesche. In compenso portava a casa ogni nuova edizione e pretendeva di passare le serate a dissertare di questo o quell'autore, del Premio Strega e di cose cos. Da allora non ha pi voluto stringere nuove impegnative amicizie femminili. Si chiuso ancor di pi in se stesso e l'unico a salire in casa sua sono io.

Per quelle cose l, si arrangia. Quando non ne pu pi di guardare culi e tette, il sabato pomeriggio salta sul treno (non ha mai preso la patente) e va a Modena a trovare una Signora che ha molte nipotine... se capite cosa intendo. Scusate la verbosit ma, quale vecchio amico del Ragioniere, ritengo sia mio compito spiegarvi la natura del personaggio. Come dicevo, il locale era deserto, cosa strana data l'ora. - Il solito, Ragionier Bianchi? Sii? Glielo faccio subito, altrimenti stamattina rischia proprio di perdere il bus! Ha visto che meraviglia di bomboloni che mi hanno portato? Una blazza! - S... propri una blazza, una vera bellezza, mo megga i crafen alla crema... guerda l, guerda quanta salute! - Mi pare di sentirli i suoi pensieri, mentre cerca di concentrarsi sul cappuccino, e gli occhi vanno allo splendore del dcollet. Non c' malizia in quell'esibizione di benessere che la Vittoria ci sta offrendo, ci tengo a dirlo: non vorrei che pensaste chiss che cosa di una donna seria che sgobba tutto il giorno. Semplicemente non ci fa caso, meglio ancora non se ne cura. Solare e spontanea come una bimba dell'asilo, regala agli avventori lo sguardo allegro di una donna in pace col mondo,

ma senza concedere confidenza a nessuno, forse in attesa di quello giusto. Tuttavia con certe caratteristiche fisiche e il suo stato di "vedova" era inevitabile che qualche "galletto" si sentisse autorizzato a prendersi delle libert. Beh, vi assicuro che stato messo subito al suo posto. Un tale, certo Richetto, di sicuro ancora ricorda il peso del bricco inox che ricevette sul naso, quando pens bene di allungare ripetutamente le mani verso il grembiale! Solitamente per bastava che l'allegro tono di voce della Vittoria si facesse pacato per far rientrare nei ranghi anche i pi determinati. Era tardi e noi stavamo ancora l a sorbire l'ultima schiuma del cappuccino. Cominciavo a pensare che quella mattina ce la saremmo fatta tutta a piedi. D'altra parte l dentro si stava bene. Odor di pulito e di brioches, e la ventola che girava lenta a soffitto. Questo e il tendone verde dell'ingresso bastavano a rendere l'ambiente fresco ed invitante, in quel mattino di giugno che il sole iniziava ad arrostire. L'autobus era passato da un pezzo ma l'odore di pneumatici roventi ancora ristagnava,

quando avvertii la porta aprirsi e mi girai. Pi che altro fu il cambiamento di luminosit e uno sbuffo di gas a farmene accorgere, dato che voltavo le spalle all'ingresso e di rumore quasi non ve ne fu. In controluce sembrava un ragazzino, forse un operaio in ritardo o uno studente in vena di fughino. "Tttira su lllle mani, ccccogglione, fffammele vedere bbbene e pppure tu - sibila balbettando, rivolto a Bianchi e al sottoscritto - ... e tttu pppochi scherzi, ssstrrronza, edd-ammi la cassa, o ti bbbuco! DAI!" e alz un lungo coltello da cucina che chiss dove lo aveva tenuto infilato fino a quel momento. Non era un operaio, non uno studente, non pi per lo meno. Solo uno sfigato. Venti, forse venticinque anni, smunto e grigio in faccia, di un pallore che era denutrizione e alcool ma anche disperazione e paura. un grappoletto di orecchini e un largo tatuaggio che pareva un tappeto persiano sullo striminzito bicipite. Gli occhi, in parte nascosti da un cappelluccio a cencio che gli scendeva sulla fronte, erano profondamente infossati nelle occhiaie, rossi spiritati e stanchi.

La mano che tendeva il coltello aveva un tremito continuo e usciva magra da un polsino sporco, pi simile ad un ramo secco, tanto la pelle era tesa sull'osso. Sotto, Jeans sbiancati e rotti e l'incongruenza di due piccoli piedi infilati in mocassini di ottima fattura che non avevano nemmeno avuto il tempo di impolverarsi. Tutto questo notai, in quei pochi attimi e pensai che noi tre dovevamo sembrare statue di cera del Museo di Madame Tussaud. Farfugli qualcosa ansimando. "DDAI, CHE ASPETTI, VVVVUOI PPPROOOPRIO CHE TI BBBBUCO!!??" e continuava ad agitare il coltellone davanti alla faccia, anzi alle tette della Vittoria, mentre lanciava continue occhiate inquiete verso l'ingresso del bar. Non sapevo che pesci pigliare. Pensavo... ma porca puttana, ma mai possibile che qua fuori nessuno si accorga di niente! Guardali l, passano e non vedono un... Neanche l'acqua nel Reno troverebbero quelli l... c' anche un carabiniere... se venisse a prendere il caff... mocch, ggninta... e noi qui con 'sto malnatt! Continuavo a stare l a prendere sempre gli stessi pesci, quando sentii la voce della Vittoria, chiara e tranquilla come al solito anzi pi del solito: "Dai cinno, sta' mo'

calmo e metti gi quel coso... che cassa vuoi che ti dia... non lo vedi che non son neanche le otto? Avr fatto s e no una trentina fra caff e cappuccini, pi qualche bombolone... ci saranno appena cinquanta mila lire nel cassetto, guarda, se non ci credi!" e fece per aprirlo. Sar stata la mossa improvvisa o un tremito pi forte degli altri, fatto sta che sul bel davanzale della Vittoria sprizz all'improvviso il sangue che arriv a macchiare il secchiaio e le tazzine bianche ancora da sciacquare. Poi un gemito, quasi un gorgoglio che mi fece sussultare. "Dio Santo, le ha tagliato la gola! L'ha sgozzata!" pensai, ma quei suoni non li aveva prodotti la Vittoria. Provenivano dal tavolino dietro di me, dove fino ad un attimo prima stava seduto Equiseto. Piano piano si era alzato e ora impugnava stretto qualcosa... forse il massiccio vaso in ottone che stava sulla mensola l dietro... s, proprio quello. Avrei voluto dirgli di non fare cavolate, che quello l era fatto come un copertone e avrebbe tagliato la gola anche a noi, ma non feci in tempo. Senza neppure guardarmi, gli occhi fissi sul sangue mi stratton da una parte superando in

un lampo la distanza che lo separava dal bancone. Il pesante vaso sbatt violentemente sotto il mento del cinno con il rumore di un melone maturo che si frantuma a terra. Non riusc per ad evitare la lama che gli penetr nel braccio, mentre il balordo gli finiva addosso. Rovinarono assieme sul pavimento. Insomma, un vero casino, uno scannatoio che la Beca di Castenaso roba da ridere! Sangue dappertutto, vetri rotti... mentre sentivo una voce concitata che si avvicinava dalla strada. "Ecco, agente, entrato l il ladro ... in quel bar... in trappola!! " La porta si spalanc e comparve un tipo in doppio petto blu... e senza scarpe! Lo seguiva un agente di polizia in divisa con la pistola in una mano e un walkie-talkie spernacchiante nell'altra, grassoccio e anche lui trafelato. Vedendo la scena si bloccarono sull'uscio. "Minchia, morti sonoo, Madonna mia quanto sangue! - ebbe il tempo appena di sussurrare il poliziotto prima di rovesciare gli occhi e scivolare con gli altri sulle marmette gi piuttosto affollate. Il gag in calzini indic il tossico svenuto. "Ecco le mie scarpe! Vede? Lo sapevo che era qui! ... e dovrebbe esserci anche il mio Vacheron Constantin... sa, di platino!" Fu

allora che cominciai a ridere. Una ridarola che ancora continuava all'arrivo degli infermieri chiamati da non so chi. Per un attimo credetti che mi avrebbero trascinato via in camicia di forza. No, niente gole tagliate, anche se il taglio al petto della Vittoria era abbastanza profondo. Pure il braccio di Equiseto sembrava peggio di quanto non fosse, ma come lei aveva perduto molto sangue. Il bernoccolo sul cranio invece dovreste vederlo, uno splendore ... appena pi grande di quello che esibiva il poliziotto. Al "cinno", un sieropositivo con fedina come la barba di No, riscontrarono una frattura scomposta della mandibola e dell'osso maston... mastal... non ricordo pi come si dice, insomma quello sopra la mandibola, poi quattro denti davanti sbriciolati, un labbro spaccato e per buona misura anche la punta della lingua, tranciata dai denti all'arrivo del vaso. La Vittoria si riprese in fretta dalla paura e dai quindici punti di sutura. Prima ancora che la dimettessero gi pensava alla pulizia che avrebbe dovuto fare nel bar ... dopo aver accudito al SUO eroe! S, perch il mio amico Equiseto se le sta prendendo tutte le coccole della Vittoria, e anche quelle della figlia della Vittoria (che

non pare affatto gelosa, anzi) dopo aver fatto la ruota con i giornalisti che a cucci e spintoni cercavano di intervistare lui e fotografare lei dalla vita in su. Poi quando le sembrato sufficiente, con cortese fermezza li ha scaraventati fuori dalla porta. Mentre butto gi questi appunti che mi ha chiesto un giornalista della Repubblica ( non ho mica nessuno, io, che mi coccoli ... ) loro due, gli inseparabili, sono sul divano del salotto e li vedo riflessi nello specchio. Lei sta dicendo che il viaggio di nozze lo faranno alle Maldive, lui obbietta che sarebbe meglio usare il denaro per sistemare la casa ma intanto il suo sguardo non abbandona Vittoria e il suo dcollet Le mormora qualcosa sotto voce. Lei arrossisce e gli d uno schiaffetto, ma leggero... poi spariscono di l perch, mi dicono, c' della contabilit del bar da controllare. Beh, ora vi saluto. Ah, dimenticavo, Vittoria dice che mi deve presentare un'amica...

Virginia Jo Mary
******************* Camminavo di buon passo per via Indipendenza. Ci sarebbe un "dell' " prima, ma nessun bolognese che si rispetti lo adopera. Si cominci chiss quando per brevit; ora lo si fa per abitudine. Negozi e banche, banche e negozi, quasi tutti d'abbigliamento. Tanta gente attorno a me. Frotte chiassose di ragazzini coll'Invicta sulle spalle e grappoli di cerchietti all'orecchio, funzionari frettolosi in giacca e cravatta, massaie dai piedi stanchi e dalle borse piene di spesa. Contro una colonna un marocch... scusate un extra-comunitario espone su di un cartone la sua bottega e un altro, nerissimo, offre accendini multicolori e un sorriso a cento watt. A me piace camminare svelto. Fast walking lo chiamano gli americani. Sentire i muscoli lavorare sotto la pelle, e caldi gonfiarsi e tendersi e rilasciarsi. Per la verit preferisco farlo per sentieri di montagna, nel silenzio di un bosco, dove l'aria non sia pregna di gas e dell'acre odore di pneumatici tostati, ma quel giorno ero l. Sotto il portico le vetrine illuminate dei negozi scorrevano al mio fianco. Vivide luci passavano in rapida sequenza come un treno

nella notte ma io non ci badavo, perso com'ero sull'onda di pensieri lontani. Stava ferma davanti ad una elegante vetrina. Alta, forse un metro e settantacinque, i lunghi capelli, fitti e pesanti, le disegnavano una nera criniera sul tailleur pi chiaro. Osservava gli abiti e mi mostrava il profilo. Naso dritto dalla linea decisa, lunghe ciglia stranamente immobili, ricche labbra leggermente socchiuse. Al mio sopraggiungere si gir in qua e riprese il passo. A pochi metri alz lo sguardo e i nostri occhi s'incrociarono. Fu questione di un attimo, pochi secondi, ma in quell'istante milioni, miliardi di neutroni accelerarono o cambiarono percorso o... qualcosa del genere. Tu dirai beh che c' di strano, gli uomini sono cacciatori; quella era una bella ragazza e quindi... NO! Nulla del genere o meglio io sentii e anche lei sent che il nostro incontro casuale era in realt un reincontro ..Non facile spiegare emozioni cos sottili e profonde e fuggevoli e ...strane. Ci fermammo ambedue, imbarazzati, muti perch nessuno dei due sapeva cosa dire. Nessuno dei

due capiva il significato delle proprie reazioni. Fu lei a parlare per prima, dicendo che le pareva che ci fossimo gi conosciuti. Era indecisa, sconcertata anche e un tenue sorriso esitava a formarsi sul rosso naturale delle labbra. Bella voce. Ben modulata e ricca di vibrazioni. Un po' roca, perci ancor pi suggestiva. Sensuale, quasi. Non bolognese, pensai. Neppure italiana, anzi. Mai sentito un accento cos. Probabilmente una straniera che vive in Italia. Elementare, Uotson, elementare! - mi urlavo, imbestialito - Ma quanto sei perspicace, caro il mio Uotson! Tacevo, continuavo a tacere, immerso in uno stato d'animo strano che si era impadronito di me all'improvviso. Cavolo, eppure qualcosa dovevo pur dire, no? Risponderle, almeno. "Ma... non so ...forse... effettivamente anche a me pare di conoscerla. Ha un'idea dove potremmo esserci visti? Mi scusi, ma proprio non ricordo" Mentre pronunciavo quella frase, dentro di me continuavo a maltrattarmi ad alta voce per le abissali banalit che esprimevo. Non sapevo (o non volevo) scuotermi da quel torpore. Invece come Dio volle in qualche modo ci riuscii, riprendendo contatto con la realt.

Solo allora m'accorsi che le stavo ancora stringendo la mano e la mollai come fosse rovente. La mia espressione dovette essere a dir poco buffa. "Beh, che ne direbbe se provassimo a fare entrambi uno sforzo di memoria mentre beviamo qualcosa di caldo? Qua fa un freddo!" Gi, perch se dipendeva da me, potevamo restare l a congelarci per l'eternit! Si chiamava Virginia Jo Mary, di madre italiana e padre americano. Virginia perch era stata concepita in quello Stato durante un viaggio. Jo Mary, non so. Lei abitava a Roma da due anni e veniva spesso nel nord per motivi legati al suo lavoro di funzionario in carriera dell'American Express. Mai stata a Bologna. Io anni che non andavo a Roma. La cosa si faceva sempre pi strana. Intanto a forza di indovinelli tipo lei ha mai frequentato quel club? .. mai stata in quell'albergo? ...ha fatto vela? ...gioca a tennis? ...e cose simili, tra noi si era creata una confidenza incredibile per due sconosciuti. I nostri occhi non si lasciavano e lo strepito di voci che ci aveva accolto nel bar, era ridotto ad un indistinto brusio sullo sfondo.

Vedevo e sentivo solo lei e il suo volto riempiva i miei orizzonti. Nei grandi occhi bruni galleggiavano pagliuzze d'oro che avevano su di me un effetto ipnotico. Parlava e raccontava cose che a me pareva di conoscere gi da prima che le dicesse. Occhi negli occhi. Poi la domanda. Quella che mi ronzava in testa fin dal primo istante. Venne improvvisa, quasi brutale, e le tronc la voce in bocca. "Posso toccarti i capelli?" Ma era la mia voce, quella? Non rispose. Annu, lentamente. Due volte. Guardavo la mia mano muoversi al rallenty. Ore per arrivare al suo viso. Giorni per toccare quella massa scura, densa come una cosa sola. Anni per affondarvi al polso. Attimi per assorbir la scarica che attraverso il braccio sal alla testa, sprofond al ventre e mi avvamp dentro. Qualcosa di simile ad un orgasmo ma pi violento, molto violento. Totale. Virginia inclin la testa verso la mia mano, come un gattino che cerca la carezza. Alz una mano ad incontrar la mia in quel mare nero di seta. Restammo insieme quella sera, in quale tempo e in quale luogo non so. Telefon a qualcuno per

avvisare che si tratteneva a Bologna per un giorno. Il tono era dolce e rassicurante. Intuii preoccupazione, dall' altra parte. Non furono fatte domande, cos non servirono bugie. La notte fu un momento e il giorno dopo anche. Part con l'aereo della sera dopo avermi detto tutto. Del marito e della figlia. Una bella famiglia piena d'amore e di fiducia reciproca. Aveva gli occhi pieni di lacrime, come un bambi ferito. Lacrime che non scendevano a rigar le guance ma restavano incollate lass e come lenti ottiche ingrandivano l'oro che mi aveva stregato. Per tante altre notti la sognai e giorni e ancora notti eppoi giorni e giorni e notti e giorni. Non conoscevo il cognome e neppure l' indirizzo, ma avrei potuto facilmente chiedere alla sua Compagnia, a Roma. Quante Virgina Jo Mary potevano mai esserci all' American Express? Avrei potuto sapere tutto. Non l'ho mai fatto. Spesso mi sono odiato per non averlo mai fatto. Forse mi sarei odiato di pi se lo avessi fatto. Forse.

Viaggio in Istria
***************** E anche questa vacanza finita! Metto il naso fuori dalla finestra e mi accorgo che siamo rientrati proprio un attimo prima che l'estate ci sbatta l' uscio in faccia. Vento freddo, l'ora legale che ritorna e porta con s il buio dell' inverno, e un' insistente pioggia che fa riscoprire a malincuore l' utilit di ombrelli e impermeabili... Per stato piacevole, questo tour dell'Istria. Trieste, un misto di mediterraneo e mitteleuropeo, vedi piazza dell'Unit, che sembra rubata a Vienna. I caff, grandi e sontuosi, dove la buona borghesia amava e ama indugiare il pomeriggio per il t coi pasticcini, decine di differenti idiomi che s'intrecciano sui marciapiedi e sulle interminabili banchine del porto, facce d'ogni tipo e colore e cos pure le facciate delle case, un variopinto poutpourri di stili, dalle leziose bifore veneziane alla rigorosa geometria austroungarica al verticalismo semplice ed aggraziato del colorito stile mediterraneo. Porec, vero gioiellino, melange suggestivo di vecchie case sbilenche che si sostengono a vicenda e nobili palazzine dai frontali orgogliosi di storia e stemmi patrizi e chiese

bizantine e, ovunque, il fiero cipiglio del leone di San Marco. Rovigno, un po' ligure, un po' veneziana a seconda di come si cambia prospettiva. Fortificato e alto da una parte, dolce ed accogliente dall'altra. Scendendo verso sud sulla statale che rasenta il mare, vorremmo visitare anche l'isola Brioni ma quando a Fazana, un modesto paese di fronte all'isola, ci rivolgiamo all'agenzia dell'azienda di soggiorno, ci dicono che alberghi aperti non ce ne sono. Soltanto case private e non sa se ci accetterebbero(?) Sola alternativa, alloggiare nell'unico hotel aperto di Brioni. Chiama, l'impiegata, e sussurra nel telefono che si tratta di 3 italiani... Dopo un attimo ci dice che purtroppo non c' posto. "Sa com', i Gruppi... le Conventions". Ma quali gruppi e quali conventions se tutto appare deserto peggio di Torre Pedrera a febbraio! Per possiamo fare comunque una visita all'isola, aggiunge la cordiale impiegata (pare aver ingoiato un manico di scopa). "Ora?", domando io. "NO! - replica lei col tono amabile della maestra che riprende l'alunno - L'unica visita guidata di oggi appena partita, ma potete

tornare domani e per l'equivalente di 140.000 lire in tre potrete godere del privilegio di visitare l'isola dove il Presidente Tito trascorse per molti anni le vacanze estive!" Considerata l'affettuosa e calda accoglienza e, sentendoci tanto amati, decidiamo che Brioni potr fare a meno di noi e proseguiamo. Un paio d'ore di viaggio senza storia. La statale sempre dritta, poco trafficata (siamo in settembre) e interrotta solo da incroci spesso privi di qualunque indicazione. All'ennesimo incrocio, un'unica freccia, piccolina: Rovigno. Poche case e un grande piazzale prospicente il golfo. A ridosso della banchina un traghetto con l'indicazione Venezia. il battello che viene dall'Italia. Ci dicono che in estate fa due corse al giorno. E non l'unico. Andiamo avanti, verso il centro storico. Man mano che le strade si fanno pi strette, le case appaiono pi vecchie. Superiamo i pioppi di un piccolo giardino pubblico popolato da frotte di grossi gabbiani e da una coppia di anziani. Stranamente tengono tutti, volatili e vecchietti il medesimo passo, la stessa andatura piatta. Ci troviamo di fronte un'altra baia. Scopriamo cos che Rovigno costruita su una punta, a

cavallo di due insenature, una ampia e aperta, l'altra raccolta e protetta. Appena fuori, tutta una cintura di isole, pi o meno grandi, danno all'acqua una immobilit quasi lacustre. Giriamo un angolo e sbuchiamo sulla via principale della parte vecchia, lastricata in pietra grigia. Su entrambi i lati, numerosi vicoli solcano la schiera di casette vecchie di cinque secoli; pare quasi che si reggano l'un l'altra per meglio sopportare l'aggressione del tempo. Poi la strada si allarga gradualmente in una grande V fino a formare una spianata che domina la baia minore. Sulla sinistra una fila ininterrotta di caff e ristoranti, tutti con tavolini all'esterno, incornicia la banchina. Alla nostra destra la gradevole facciata dell'hotel Adriatico. Dopo un breve conciliabolo, decidiamo di entrare e in pochi minuti prendiamo possesso di due ampie camere arredate con mobili ottocento. C' tanta luce e le porte-finestra danno sulla baia, gremita di un naviglio coloratissimo. Proprio, come avevo chiesto. Lance a remi e a motore, gommoni e motoscafi, piccoli pescherecci e agili sloops, catamatrani pi larghi che lunghi e qualche grosso cruisers. Pi l'incongruenza di un *coso* che sembra un galeone dei pirati in

miniatura autocostruito nel garage di casa. A quanto ci sembra di una buffa coppia di tedeschi che ci vive tutto l'anno. Sapremo poi da qualcuno che sbarcano il lunario portando a spasso gruppetti di turisti da un isolotto all'altro. Appena oltre si distinguono le strutture di alcuni piccoli cantieri di rimessaggio e assistenza. Proprio di fronte a me, quello che potrebbe essere l'antico municipio: un contegnoso palazzetto con tanto di torretta, orologio e meridiana. Alle nostre spalle sta per tramontare il sole. Si accendono le luci e il borgo prende vita. Ora c' pi gente nelle strade. Si formano animati crocchi di persone che chiacchierano mentre i bambini guardano felici le barche o corrono dietro ai gabbiani che zampettano tranquilli come piccioni, obbligandoli a improvvisi decolli. Una ragazzina con la frangia e la minigonna rossa fissa sgomenta la macchia giallo-marrone del proprio cono gelato scivolato sul selciato. Contro lo sfondo pi scuro di un lungo isolotto, saetta veloce una diecina di vele impegnate in regata, impertinenti virgole bianche di un quadro in movimento. Ceniamo, maluccio e a caro prezzo, davanti al mare. Mi irrita la malagrazia dei camerieri, il sapido

gusto di piatti banali, il sorriso che compare solo all'apparire della mia Visa Card. Mi scuoto e decido di godermi il panorama impagabile e dolce che ho di fronte, simile a un quadro di Cascella che ho in studio e che raffigura Portofino. La mattina successiva apriamo gli scuri ad un gagliardo sole settembrino e poco dopo superiamo indenni un break-fast a base di caffelatte modello colonia, pane insipido e brioche sotto celofan servite da due cameriere appena scappate dal set della famiglia Addams. Montiamo sul fuoristrada, decisi a conformarci all'imperativo categorico trasmesso dalla nostra signora e padrona. "Basta scogli ruvidi e bitorzoluti: uffa... trovatemi della sabbia comoda!" Cerchiamo, ma ogni promettente stradina termina contro deliziose insenature... irte di scure rocce basaltiche! Memori delle direttive ricevute e consapevoli delle rappresaglie che seguirebbero, cerchiamo e cerchiamo, finch sul fondo di una striminzita baietta scorgiamo del chiaro. Ci avviciniamo e, gloria!, facciamo nostro l'unico scampolo di spiaggia sabbiosa di tutta la zona: forse tre chili di arenile grigiastro. Ma la signora soddisfatta. Un sorrisino, un sospiro e riesce a sdraiarcisi al centro, mentre a noi

due resta un'ampia scelta di punte e gobbe di roccia nera. :-( Beh, non si sta poi male. Il silenzio turbato solo dal fiacco sciacquettare della risacca. Ogni tanto un borbottio monocorde annuncia il passaggio di una barchetta. Sono sempre due uomini (che sia obbigatorio?), maglioni e stivali e un mucchietto di reti all'estrema prua. Seri ed impassibili, non rivolgono neppure lo sguardo verso di noi e la cosa ci va benissimo. :-) Spuntino con le cosette buone comperate al mercatino della frutta e verdura e il pane sgranfignato al break-fast e la giornata scorre fluida in pochi istanti. Ad avvertirci che il tempo passa il freddo che arriva all'improvviso e ci fa scappare. In camera per lo stretto indispensabile, una doccia e via in giro per i vicoli di Rovigno. Su nella parte pi alta fino alla settecentesca cattedrale, malconcia ma suggestiva, dove in corso la santa messa. Piccoli negozi, piccoli usci, piccolo tutto. La gente ha comportamenti molto diversi nei nostri confronti: dipende dall'etnia. Si va dall'indifferenza alla villania alla cordialit accompagnata da un sorriso. In questi angoli bui, nell'odore stantio di cavoli e fogne malmesse si respira una povert non antica ma consolidata da anni di regime. Questo nonostante ci troviamo in

zone che il turismo non ha mai abbandonato. Non voglio pensare come dev'essere l'interno del Montenegro. "Circolo Culturale d'Italia" dice la targa su un vecchio muro sbrecciato. Incuriositi buttiamo un occhio. C' un uomo sui sessant'anni che legge il giornale. il Corriere della Sera. Perplesso mi guarda. Sono dentro solo a met. Il resto ancora fuori, assieme ad Anna e Lorenzo. Poi sorride e fa segno con una mano, un mezzo cerchio nell'aria che sa un po' di toscano. Sorride d'un sorriso bambinesco e tutto il viso avvampa e si spiana e dieci anni se ne vanno assieme alle rughe. "Avanti, accomodatevi pure. Entrate tutti, prego!" L'ambiente piccolo e poco luminoso, ma oltre una porta s'intravvedono altri locali pi spaziosi. Ci giungono alcune voci smorzate dagli spessi muri. Alle pareti vecchi editti del regno d'Italia e una foto di piazza San Marco e quella di Pertini. L'uomo con piccoli gesti impacciati riassetta il piano della scrivania. Giornali, fatture, un pesante portaceneri di cristallo, penne e un pacchetto di mezzi toscani. Imbarazzato getta occhiate ad Anna.

"Sa... raramente da noi capitano delle signore". Sorride ancora e un dente d'oro fa capolino all'angolo della bocca e si unisce al sorriso. Al bavero della giacca la spilla di cavaliere del lavoro. Vede il mio sguardo. Capisco che ne compiaciuto. "Che posso fare per voi?" Spiego che stavamo girando per i vicoli quando abbiamo notato l'insegna del loro circolo e, incuriositi, abbiamo voluto vedere di che si trattasse. Allarga le braccia in un gesto di sconforto e ci spiega che sono rimasti in pochi. Aggiunge che la vita, l, per gli Italiani, sempre pi grama, pi difficile e cos quel circolo diventato l'unico punto di riferimento per la loro piccola comunit. "Riceviamo alcuni quotidiani, ma impiegano tre giorni, sapete, mentre in Australia ce li hanno entro due! Fino allo scorso anno ci arrivava anche Epoca ma cosa vuole, i soldi in cassa non bastano mai, cos..." e si lancia in un accorato sfogo che tocca come in un turbine la politica, il calcio, il governo locale che se ne frega della comunit italiana, il problema del turismo che con la guerra era sparito, mettendo in enormi difficolt anche i

suoi nipoti che hanno un alberghetto un po' pi in gi sulla costa e via di questo passo. "...eppoi - conclude, rosso in volto - nel nostro Paese, in Italia, nessuno pi si ricorda di noi!". Parliamo di altre cose. Lorenzo chiede spiegazioni sulle vecchie carte che vede alle pareti e Anna raccoglie informazioni su quel che c' da vedere in paese e l attorno. Prima che ci accomiatiamo, insiste per offrirci una bibita e brindare alla nostra visita. All'improvviso scappa nella camera accanto e ritorna stringendo un librone monumentale. " il libro degli ospiti! - e ci batte sopra con la mano - Dovete assolutamente mettere i vostri nomi. Tutti... e se volete, potete anche aggiungere un commento. Sapete - dice, tutto orgoglioso - c' anche quello di Craxi e la sua firma! Era in vacanza su una barca di amici, qui vicino e venne a trovarci". A fatica riusciamo a guadagnare l'uscita, assieme al nostro gentilissimo ospite che continua a trattenere la mia mano nella sua e a fare mezzi inchini ad Anna. Continuiamo il giro ma nessuno di noi ha pi voglia di chiacchierare e per un pezzo camminiamo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Perfino Lorenzo, sempre cos ciarliero, tace.

La sera, forti del consiglio del portiere dell'hotel, italiano di Mestre, ci risaliamo una ripida stradina alla ricerca della tanto decantata trattoria. "Il miglior pesce di Rovigno e dintorni!... e vi sembrer di essere a Venezia!". Ricavato nelle cantine di una vecchia casa nella zona pi antica del paese, l'Osteria di Giannino proprio un posticino caldo e accogliente. Si scendono tre gradini ed ecco una prima saletta con un paio di tavolini. Ancora qualche gradino e un'altra spruzzatina di micro-tavoli e via cos, sempre scendendo pi in basso. Sopra, invece, altri posti sono ricavati in un precario soppalco, raggiungibile mediante una scaletta per polli. A lato, un piccolo spazio semi- aperto riservato alla cucina (il minimo indispensabile alla sopravvivenza dei cuochi, per non sottrarne ai coperti) dove 4 persone lavorano gomito a gomito come fossero nella cucina di un caravan. simpatico assistere al balletto della preparazione dei piatti, stando comodamente seduti in attesa delle pietanze. Braccia e gambe dei cuochi si muovono all'unisono per sfruttare al massimo l'esiguo spazio. Odorosi sbuffi salgono da pentole e padelle e ogni tanto il cuoco occhieggia, le mani

intente in qualche misteriosa operazione gastronomica che da qui non vediamo, e chiede notizie di ci che ci hanno appena servito. "Mmm, ottime queste cozze alla marinara commento io, impegnato fino ai gomiti in un'enorme fiamminga - ma ci sarebbe stato bene del peperoncino: i mitili per loro natura sono un po' dolci e cos...". "Ecco - sbotta il cuoco col vice (il cognato). - ti g'ha visto, bestia che ti s' ti! Te g'avevo deto che queo s' uno che l'ghe piase magnar ben, un intenditor, ostrega!" Pochi istanti e un'altra fiamminga, *corretta*, compare magicamente dal loculo-cucina, con tante scuse. Che profumi, che meraviglia! Mi spiegano che il mollusco di quelle cozze cos grosso e saporito perch non sono d'allevamento ma naturali. Selvatiche, insomma. Seguono dei tagliolini all'uovo tirati in padella con vongole e datteri di mare. Bianche, senza pomodoro. Una delicatezza, con tutti i profumi del mare! Poi un assaggio di fritto di calamari piccolissimi, trigliette e soglioline tenere e croccanti. Per finire una grigliata mista che aveva un solo torto: quello di arrivare per ultima!

Il veneziano stretto dei proprietari ci stupisce e chiedo da quant' che si sono trasferiti qui dall'Italia. "Poco, pochissimo....solo una ventina di generazioni almeno! Cossa vuol... la lontanansa, la nostalgia forse ...e noaltri gavemo conserv el dialeto dei veci ...xe l'unica cossa armasta..." Assolutamente da provare se andate da quelle parti. Osteria Giannino di Pellizer Nereo & Giovanni, via Ferri 38 - Rovigno tel. 052813402 - chiuso il luned. :) Usciti a malincuore da quell'oasi di intensi profumi e di semplice cordialit, ci sentiamo in pace col mondo, sereni. Siamo insieme, penso, a parte Alessandro. Stiamo bene, dunque ringraziamo chi ci consente tutto questo ... buio fitto nella stretta viuzza e l'acciottolato viscido per l'umidit e consunto dal passaggio di chiss quante generazioni. Non c' illuminazione e solo il bagliore tenue di qualche finestra ancora illuminata ci permette di vedere dove mettiamo i piedi. Vorrei che la serata non finisse mai, con quell'ottimo pesce e l'atmosfera che nulla aveva da spartire con la gentilezza formale di tanti locali.

La mattina scendiamo un po' tardi. Un occhiata al buffet e gi l'osteria di Giannino ci pare un sogno. Sul lungo tavolo, nell'ordine: vassoio di latta modello-mensa-aziendale-annicinquanta, numero due fettine due di pane. Accanto caraffa semi-vuota di un liquido dall'improbabile color rosso cardinale. Marmellata zero. Su gli unici due blocchetti di burro tedesco mettiamo le mani contemporaneamente, io e una corpulenta signora austriaca dai capelli gialli. La mano grassoccia, fitta di anelli, si chiude avida sulla stagnola e batte la mia d'un soffio. "Danke!", sbraita stentorea. Melliflua sorride e se ne va in una nuvola di denso profumo al mughetto. Col mio burro. Un'ora dopo siamo in strada. Prima per ho sbrigato due cose cui tenevo. Mancia al portiere che ci ha indicato Giannino e busta chiusa con tutta la valuta locale che avevo, circa centomila lire, al circolo d'Italia. A quell'ora non c' nessuno e metto la busta in buchetta. Meglio, cos evito scene imbarazzanti. Un centinaio di chilometri e siamo a Pola, dove ammiriamo l'imponente anfiteatro dalle

arcate alte pi di trenta metri. Peccato che sia cos stretto fra le costruzioni del centro e soffocato dal traffico. Lorenzo commenta: "e checcif il Colosseo a Pola?" Ed io: "Sverna sempre qua, al riparo dai turisti!" Fa un freddo boia ed nuvolo, cos, dopo un breve giro a piedi della citt, proseguiamo seguendo la costa. Troviamo da dormire a Medulin, appena oltre la punta, dove la strada comincia a girare verso nord. L trascorriamo la notte in una pensione i cui proprietari, che ci vivono, aprono apposta per noi. Si vede che a loro le nostre lirette tanto schifo non fanno! Colazione abbondante e la sensazione di essere a casa di amici. La sera prima ci avevano chiesto che cosa volevamo che comperassero. Caffelatte, succo d'arancia e iogurt, pane, brioches, burro e marmellata, tutto abbondante, tutto freschissimo. Alle nove ci rimettiamo in strada verso Abbazia. Abbiamo scelto intenzionalmente, per quella tappa, un percorso che ci avrebbe portati verso l'interno, dove le strade sono ancora sterrate ma ben tenute. La Guendalina, il nostro fuoristrada Mercedes si sente nel suo elemento e ronfa allegramente. Poche macchine ma molti carretti tirati da asini e molta povert. Sembra l'Italia degli anni cinquanta.

Quella di Coppi e della settimana Incom. Nelle borgate il vento ci porta voci dalla cadenza veneziana e, in quei casi, al nostro passaggio sono sempre espressioni di simpatia e sorrisi. Anche oggi il tempo non dei pi favorevoli. La foschia limita la vista del mare e della grande isola di Krk (ma perch non usare anche le vocali... visto che ci sono! Benedetta gente!) che si trova poco distante dalla costa. Decidiamo di tenere un'andatura meno croceristica e di andare avanti. Un'unica sosta, in un grazioso borgo di mare simile a Positano, pochi chilometri a sud di Abbazia. Giusto il tempo per un caff e per assistere ad una scenetta ai margini del porticciolo stretto tra alte rocce a picco sul mare. Poche barche, alcune gi in secca per il ricovero invernale, altre semi demolite. Un paio di pescatori all'opera su reti malridotte. Viene verso di noi un cagnone bianchiccio, un po' bastardo e un po' no (ma soprattutto s). L'aria dimessa ma buona, stringe gioiosamente tra i denti una scarpa da ginnastica che ha visto tempi migliori. Scodinzola e mi guarda. Si ferma. Allora io gli vado incontro e gli parlo, dicendo che proprio bella, quella scarpa. Un

battito muto di ciglia, un'occhiata placida ma un po' incredula. Sembra dire ma l'hai guardata bene? Ma ce li hai gli occhi? Poi per, forse convinto dal mio complimento o pensando che potesse davvero interessarmi, me la molla l e lemme lemme scompare tra due barchette sfasciate. Il tempo di considerare che fare di quell'inatteso omaggio e arriva dal molo un tale, che trotterella su una sola scarpa, compagna di quella che ho in mano io, omaggio del cagnone. Mi guarda e sorride bonario. Lo guardo e sorrido anch'io e indico con la mano fra i due relitti, dove fanno capolino un'orecchia floscia e un occhio placido. Non ci parliamo, non ce n' bisogno. Sorride ancora, scrolla le spalle, poi prende la scarpa e va in l. Da lontano sento poche frasi di una bonaria ramanzina mutilate a tratti dalla risacca. Rimango fermo l, contro un mare che sta gonfiando. Raffiche di vento intrise di sali mi schiacciano sul viso l'odore muschiato e dolce di alghe fradice, di sabbia bagnata di spuma, un lontano gracidio di gabbiani che si chiamano, bilanciandosi come aquiloni senza fili sui groppi del vento. grigio piombo, il cielo, colmo di neri ammassi di nuvole che s'inseguono basse e

screziato dell'azzurro pervinca di un sereno sempre pi assente. Resto l nel vento che sembra fumo tanto denso e crudo e... vorrei non aver pi gambe per non poter fuggire via e restare in quel turbinio, non aver pi braccia per guidare... non aver pi testa per pensare... " Rappelle-toi Barbara. Il pleuvait sans cesse sur Brest ce jour-l et tu marchais souriante sous la pluie..." "Ricordati Barbara. Pioveva senza sosta su Brest quel giorno e tu camminavi sorridente sotto la pioggia ..." Chiss perch Prevert e chiss perch ora, mi chiedo. E Brest, poi? L'immagine assurda di una donna, la veste scolpita nel vento. Ignota. Mi avvicino, la guardo e lei pure mi guarda. Occhi intensi, capelli nel fumo. Barbara? Le prendo la mano e lei stringe la mia e l, al solo contatto di una mano e uniti nell'abbraccio di uno sguardo, ci amiamo... Guardo il mare e il cielo, senza vedere n il mare n il cielo. Sento sulla nuca gli sguardi di Anna e di Lorenzo, cento metri pi indietro, al riparo del costone di roccia. Indovino i loro perch. Perch sta l? Perch non torna?

Cos quell'attimo se ne va ed io rimango solo e allora davvero meglio che ritorni dai miei. Nel naso e nella mente aromi eterni, odori primordiali, sensazioni struggenti, selvaggi moti di libert che, chiss perch, chiss da dove, sorgono e in un istante eruttando esplodono e mi lasciano vuoto e stordito come dopo un amplesso mai stato. E non capiscono, Anna e Lorenzo. Non comprendono, loro. E hanno ragione a non capire. Neppure io capisco. Neppure io.

Pini, puffi e vecchie foto


*************** Solo toni di grigio, questa mattina, dalla finestra dello studio. Ma anche una giovane coppia di lepri al limitare dell'albana. Esse cercano qualcosa di commestibile tra i ciuffi gelati che crescono ai piedi delle viti. Si muovono caute: due saltelli di qua, due di l e ogni volta che il musetto si abbassa verso terra, compare un piumino bianco all'altra estremit. L'alto pennacchio di un pioppo si agita leggero sotto le zampette di un gruppo di tortore col collare che ne dividono i rami spogli con uno stormo di passeri che svolazzano istancabili. Sembrano bambini birichini che giochino festosi mentre le mamme, nelle loro eleganti vesti rosate li guardano benevoli e garbate. Montefreddi. Il nome in s evocherebbe immagini di gelo e vento. Per me invece significa benessere e pace, natura intatta e armonia ambientale e interiore. All'epoca dell'universit, messo in crisi da un esame o da vicende di cuore, sinceramente non ricordo, trascorsi in quei boschi alcuni giorni di ritiro. Era l'inizio di giugno e se in pianura il calore del sole aveva gi intriso l'aria d'umidit, a mille metri l'atmosfera era

limpida, il sole brillava e la sera serviva un golf. Lasciata l'auto nei pressi di un casale, in prossimit del confine tra Emila e Toscana, avevo scelto un sentiero a caso, la mente persa sull'onda di pensieri densi come nuvoloni estivi. Zaino in spalla, attrezzatura ridotta al minimo, il che voleva dire almeno 14 chili, dopo un paio d'ore avevo trovato il posto che faceva per me ai bordi di un antico pascolo sul crinale a sole. Un fazzoletto di prato tra alti pini e cespugli di noccioli dove mi sarebbe stato facile nascondere la tendina canadese agli sguardi della forestale che non consente il campeggio su quei pendii. Mi sentivo come il fuggiasco di un romanzo d'avventure. Accendevo piccoli fuochi di legna molto secca per evitare che un fumo bianco potesse rivelare la presenza d'un bivacco e lo facevo sempre sotto alla chioma di un grande pino i cui rami avrebbero trattenuto e disperso il poco fumo che facevo. Mi cucinavo il riso che m'ero portato, solo quello, oltre a erbe che raccoglievo in giro e a qualche fungo, se ne trovavo. Niente piatti n posate. Solo il Cattaraugus. Venti centimetri di robusto acciaio che non mostra i

quasi sessant'anni di onorato servizio, prima nell'U.S. Army poi con me. Borraccia, gavettino inox per farsi la barba e preparare il t, una specie di pentola bassa che usavo anche come padella e l'inseparabile multilame svizzero. La mattina, una strofinata ai denti con foglie di salvia selvatica e un sorso dal sottile rivo che scorreva nel folto. Trascorrevo le giornate a pensare e a leggere. La notte restavo a lungo nel sacco a pelo ad ascoltare i suoni della natura. Il cauto raspare di un animaletto, lo stormire leggero dei rami pi alti, il frullare improvviso di un gufo che abitava nel cavo di un vecchio castagno malandato. La sottile tela della tenda mi portava il profumo dolce dell'erba umida, quello aromatico della resina dei pini e l'afrore forte dell'humus marcescente. Mi sentivo il re di quel mondo: unico, privilegiato spettatore di una prima teatrale senza poltrone n velluti, riflettori o regie. Montefreddi. Il posto estremamente suggestivo e si ha la sensazione di essere in una vallata alpina. Prati in dolce declivio attorno ai quali si stendono fitti boschi dove nereggiano le scure striature delle conifere,

uniche presenze vive durante l'inverno tra macchie di faggi, noccioli e castagni a perdita d'occhio. Montefreddi, solitario, basso e massiccio, pare sorto dalla terra come un enorme porcino. Il profondo sporto del cornicione ombreggia le vetrate che permettono la visione di tutta la vallata. Un gioco prospettico di alberi e pieghe del terreno impedisce, come quinte teatrali, la vista dei rari gruppetti di case. Sembra l'unica costruzione rimasta al mondo. Tutta la montagna di propriet di un nobile fiorentino che non ha mai voluto costruire per non danneggiare la suggestione di una natura cos integra. C' una pace magica e se ci si va in un giorno feriale i soli rumori sono quelli sordi degli zoccoli dei cavalli al pascolo e il sibilante volo delle api sui pascoli. I primi fiocchi li troviamo poco oltre Rastignano, dove inizia la statale della Futa. La fida Guendalina, il nostro fuoristrada mercedes non fa una piega e sale sicura. Quando arriviamo al passo della Raticosa, circa 900 metri di altezza, il turbinio della neve ci obbliga ad avanzare con cautela perch la visibilit scarsa davvero. Appena imbocchiamo la deviazione lo sterrato

coperto da una trentina di centimetri destinati ad aumentare rapidamente. Come superiamo la prima curva che ci nasconde all'asfalto della statale, ci rendiamo presto conto che una vettura normale potrebbe avere seri problemi ma la Guendy sembra ignorare il peso degli anni e sale sicura per gli stretti tornanti che ci portano in un altra dimensione. Tutto bianco e ogni cosa nascosta da un morbido materasso splendente. Spesse cortine di abeti si sono trasformate in scarmigliate legioni di puffi dalle cime che pencolano di lato per il peso dei bianchi cappucci. Al centro della grande sala l'enorme camino aperto sui due lati e circondato da comode panche scolpite in tronchi d'abete. Sul braciere in ferro battuto rosseggiano in continuazione giganteschi ceppi e pigne raccolte nel bosco. Alle pareti, in pietra o rivestite di pino, oggetti e immagini della cultura della montagna. Foto ingiallite dal tempo di uomini baffuti con cappello a cencio e capparella che guidano carretti carichi di tronchi e fascine. Immagini di un epoca in cui la vita in montagna era sopravvivenza e dura lotta quotidiana con una natura difficile.

Immagini di famiglie sterminate perch le braccia eran ricchezza e la morte una presenza accettata. Aie gremite per una ricorrenza festosa. Goffi, gli uomini, al cospetto della macchina fotografica e impacciati nell'abito della festa. Grandi mani e polsi nodosi sfuggono da maniche troppo corte e strette. Pi sicure le donne nei costumi tradizionali, i capelli stretti a chignon. Ampi sottanoni nascondono ci che invece gli stretti corpetti rivelano, tra ingenui ricami casalinghi. Fissano l'obiettivo con bruni sguardi di pacata diffidenza; volti induriti dalle fatiche quotidiane e a loro timorosi si stringono i bambini, scalzi e scarmigliati. Sui carri e ai finestroni del fienile fanno capolino i volti birichini e sfrontati dei pi grandicelli. Perso nell'isolamento di quei luoghi d'immutato splendore, ti senti parte di esso e sorge in te un senso di calma che di quei silenzi si nutre e rinvigorisce in lente, sincopate chiacchiere ai bordi del camino. Lo sgocciolare di una gronda, il crepitare di ceppi che offrono il calore di un'agonia annunciata. Fruscianti turbin di fumo che nella cappa neri rotolano e s'aggroppano, in lotta frenetica con quel calore che vita ma

che per loro morte e che li condurr al gelo di un mondo che ignorano. Tazze di caldo t alla menta, scroccar di cantucci e mandorle, sorrisi rossi di guizzi sempre nuovi, mani che si cercano, mentre lo spirito s'appaga in quella pace e si rigenera e rifiuta note immagini di strepiti d'auto incolonnate ai semafori. Anarchia di motorini che in quel metallico pantano si riversano e come insetti fuggono ed imperversano, ebbri di una mobilit che gioia e privilegio. Orari... scadenze... nervosi sguardi all'orologio... lavoro: tutte cose che sembrano spazzate via da una benevola Macchina del Tempo.

Sole, aragoste e tappi da bottiglia


(ovvero il Paradiso: Cancun 1975) ****************** Piccoli, tozzi e senza collo. Sembrano caricature di se stessi o tappi della Val Gardena, scolpiti nel legno in forma umana. Maya... un nome associato a reminescenze di storia. Civilt scomparse... sacrifici umani... pugnali d'ossidiana... oro... sacerdoti in abiti multicolori e piramidi a gradini strette nell'abbraccio di jungle impenetrabili. Mai invece a gente vera, magari in jeans e magliette Adidas. Fine febbraio 1975 Sono al Club Med di Cancun-Messico, postpalafitticolo agglomerato di cubetti su trampoli appena inaugurato tra il mare e la laguna interna. Quindici giorni di G.O. (Gentil Organizateur). Ginnastica ai bordi della piscina con G.O. sprizzanti attivismo e simpatia da ogni poro, animazione coi G.O., pallavolo in spiaggia con i G.O., picnic in laguna coi G.O. All'arrivo ci infilano al collo una collana di fiori di plastica alla maniera auaiana e ci consegnano una collana di palline di plastica. La prima come benvenuto, l'altra per consentirci di pagare gli extra. Un modo per evitare che nel villaggio circoli denaro.

Quello vero lo si deposita in cassaforte. Un caff = una pallina, due palline = un orange juice e via cos. Pratico e razionale. - Cos non correte il rischio di perdere i soldi e quando fate il bagno la collanina ve la mettete al collo! - strombazzano i G.O. Cos si riduce la percezione di spendere, penso io. E funziona, specialmente con gli americani e la loro fissa dei gin-martini prima di cena. Eccome se funziona: pare di essere in un negozio di bigiotteria per signore, tante sono le collanine sul bancone del bar! Cos stridente il contrasto tra il dentro e il fuori: un'isola di opulenza in un mare di povert atavica. La cameriera che rif le camere prende trentamila lire al mese mentre ognuno di noi ne paga cento al giorno. La sera tardi guardo i camerieri che se ne vanno col fagotto sotto il braccio: i resti di ci che noi *ricchi* abbiamo lasciato sui tavoli del buffet... Comincio ad andare in giro, a parlare con la gente. Giri sempre pi larghi, come gatti che prendono confidenza con un posto nuovo. Faccio conoscenza con una famiglia di simpatiche e brave persone. Un po' pescatori e un po' ortolani.

Una vera moltitudine, tra genitori, zii, figli, nonni e nipoti. Ricordo Diego e Maria Consuelo che in famiglia vuol essere chiamata col nome Maja: Oxunet o qualcosa di simile. Oggi sembrerebbe un provider di Internet. Una sera mi invitano a cena. Tortillas in quantit, verdure del loro orto, un grande tegame di coccio con mais piccante e cipollotti selvatichi e poi pesce appena pescato e frutta squisita. Alla fine uno straordinario distillato di mais e banane. - Rimaniamo in contatto - non faccio che ripetere, il giorno della partenza - perch l'anno prossimo ci ritorno, qui a Cancun. Ma basta Club Mediterrane, basta G.O. Diego ha una casetta sul mare, un po' discosta dalle altre, fatta per un figlio ora sposato altrove. Per non dimenticarla, a quella casetta scatto le ultime foto del rollino. Un cubetto bianco, due camere e una grande veranda di stuoie vegetali sul davanti. Sul retro un'altra per quando tira vento dal mare. Oltre la casa dieci metri di sabbia poi una striscia in movimento che va dall'azzurro fino al blu pi intenso. L'oceano. Niente serrature alla porta. Niente scuri alle finestre. La tonda faccia color rame di Diego

si apre in un sorriso largo cos; spalanca le braccia e alza un po' le spalle come dire tutto qui, non c' altro. Poi sparisce. Rimango l a guardarmi intorno. Tutto ordinato e sa di pulito. L'essenziale c'. Incredibile, invece, la quantit di cose inutili che mancano. Un tavolino, tre sedie tutte differenti, il secchiaio e un piano con fornello a tre fuochi. Tre finestre alle pareti. Sotto il piano un armadietto. Dentro, manco a dirlo, due tegami e una padella: sempre tre! Sistemo la sacca nella camera accanto. Il letto ampio e lo provo. Mi piace subito. Hic manebimus optime, penso fischiettando. Nell'armadio, cuscini e coperte. I due ricambi di lenzuola li ho portati io, come d'accordo. Mi muovo nella penombra di quegli spazi ancora estranei ma lo sguardo va come una calamita al blu di quel mare, vivido e vero come gli squarci del sorriso del mio padrone di casa. Stordisco tra profumi d'intensit ignota. come se in quel momento i miei sensi abbiano escluso ogni collegamento intermedio e siano in linea diretta col cervello. Dio, com' bello essere l e pensare che non esiste prenotazione per il ritorno! Neppure se mi concentro riesco a visualizzare la neve e il ghiaccio, il dover stare

rattrappiti nei giacconi per attraversare il parcheggio battuto da un vento polare, gli spilli di ghiaccio sulle guance, la testa affondata tra le spalle. Il giorno dopo sono al mercato con la lista della spesa. Tre amache. Poi piatti, posate, bicchieri. Tutto in numero di tre. La chiamer la casa del tre! Rientro carico come un mulo ma felice. Cucino seminudo nell'ombrosa veranda e seminudo mangio in amaca o al tavolino che ho sistemato fuori. Qualche bambino comincia ad occhieggiare e mi guarda curioso. Occhi grandi ed espressivi. Capelli nerissimi con riflessi bluastri. - Da bambini questi Maja - penso- sono proprio belli: si guastano col crescere . Poi mi vergogno del mio pensiero. Un paio di giorni dopo, al tramonto, arriva Diego, delegato dalla famiglia per vedere come mi sono sistemato. Si guarda intorno. Osserva i cambiamenti. Sul tavolo, un cartoccio col pesce comperato per la sera. Con un dito ne solleva la carta. Scuote il capo e spara una lunga frase di cui afferro un dieci per cento. Allora ripete pi piano. - Domani mattina alle sei, ti vengo a prendere; non hai impegni, vero?- Sorride.

Alle sei? Usciamo in mare che il cielo sta appena schiarendo dal nero della notte in tenui sfumature di azzurro. A est tutto rosso e pare che l'oceano fiammeggi. Sette metri di robusto fiberglass, la barca del mio amico tiene bene il mare. Pur vecchia di una diecina d'anni, risale con facilit l'onda lunga che ci attende appena fuori della laguna. Un cenno per indicarmi sulla bussola la rotta, un'occhiata per assicurarsi che io abbia capito, poi Diego si disinteressa di me e, lasciatomi alla barra del timone, sparisce nella microscopica cabina tra mucchi di reti e vecchie attrezzature. Peschiamo un paio d'ore. Di pi non serve, perch sembra che i pesci spasimino al solo pensiero di finire nella nostra rete. Al rientro, nei pressi di una piccola insenatura, il mio comandante ha un attimo d'esitazione e con un colpo di barra vi s'infila deciso. Gettiamo l'ancorotto. L'acqua straordinariamente limpida e posso distinguere ogni particolare del fondo marino, forse otto metri sotto di noi. La riva, poco distante, appare deserta e mossa da basse dune e radi cespugli secchi. Non si scorge anima viva. Lo scafo si orienta alla leggera brezza

che spira dal mare. Sotto di noi una lunga formazione rocciosa paludata da sinuosi filamenti verdi che danzano al tempo della marea. Ci tuffiamo nell'acqua tiepida. Io con le pinne e la maschera trovate sulla barca, Diego senza nulla, a parte un sacchetto di rete assicurato al polso. Va gi sicuro ed io dietro, curioso di capire dove mi stia portando. Branchi di pesci di tutte le fogge e colore scivolano attorno a noi, per nulla intimoriti dalla nostra presenza. Al limitare del campo visivo, dove il fondale sprofonda nel blu, sfreccia una formazione di snelli barracuda. Dovunque siano diretti devono essere in ritardo perch neppure ci guardano. Un'immersione dopo l'altra, ci stiamo gradualmente spostando verso terra. Ora ci sono meno di cinque metri d'acqua. Una macchia nera, che a distanza m'era parsa uno scoglio, si rivela un branco di grossi pesci color ardesia. Lunghi come un braccio, stanno parcheggiati l'uno accanto all'altro, cos vicini e stretti da sembrare incollati. Diego dirige verso di loro e io lo seguo. Pochi istanti prima che lo urtiamo, nel branco si apre un varco appena sufficiente per il

nostro passaggio e subito si richiude alle nostre spalle. Capisco lo scopo di quel bagno quando vedo la prima aragosta. Forse trenta centimentri, antenne a parte. Non grande, ma alla terza immersione la rete di Diego ne contiene gi sei, e due le ho prese io! - Vengono qui perch c' una corrente pi fredda che a loro piace. La senti? L'ho scoperta per caso e ora lo sai anche tu. Ma non lo dire in giro o le langostas se ne andranno! Quando tiriamo in secca la barca sono appena le nove ma mi sembra di esser rimasto in mare tutto il giorno. -Prendile pure tu, queste, per l'aiuto mormora mentre riordina le reti. E mi allunga la cassetta in cui si agitano le nostre prede. - Tanto a noi non servono . E poi di pesce ne abbiamo preso parecchio - . Ha un'altra barca - dice - pi piccola di questa, che nessuno di loro adopera. Se la voglio, posso averla per un paio di dollari al giorno. Poi allunga il ditozzo corto e scuro, puntando in direzione del posto dove poco prima ci eravamo immersi. -Meglio del mercato, no? - Sorride scanzonato. Poche, essenziali parole ma a me, cos ciarliero, serve ancora tempo per abituarmi.

Gente semplice e gentile, incapace forse di esprimere a parole i propri sentimenti, ma che sa farlo con gli occhi, un sorriso e pochi gesti. Giorno dopo giorno sto entrando in sintonia con quei ritmi. Mi sveglio presto la mattina e faccio un gioco: rimango immobile nel letto, mi concentro sui suoni che filtrano dalle sottili pareti e cerco di indovinare che tempo faccia. Sciabordio leggero significa fuori in barca. Significa pesce e sale sulla pelle. Significa gridare a squarciagola nel vento la gioia di esser l finch la bocca e il cuore ne son pieni e vedere un gabbiano solitario in equilibrio sulle termiche che china il capo e mi guarda stupito. Significa seguire la corrente e d'un tratto trovarsi parte di un branco di delfini che ti pigolano attorno. Se invece sbattacchiar di canne sulla veranda e fuori dalla porta rugge l'Atlantico e si affanna coi liquidi artigli sulla spiaggia, allora saranno lunghe camminate sul bagnasciuga per vedere che cosa regala la burrasca. Sar lasciare che la sabbia pi fine mi disegni addosso, come talco la pelle di un bimbo.

Sar aspettare di esser bianco e tuffarsi nudo tra i ruggiti bianchi come birra appena spillata. Sar sdraiarsi fradicio tra ciuffi secchi e d'improvviso scoprirsi accanto un immobile camaleonte color del nulla. Vado molto in giro, quando non sono fuori con la barca o sulle spiagge. Cammino lento per vedere di pi e perch l cos che si fa. Niente telecamera appesa al collo, nessuna cartina tra le mani. Voglio confondermi tra loro, sparire nello sfondo. A chi mi sorride sorrido e ignoro chi mi ignora. Entro nei negozi e mi guardo intorno. Quando incrocio gruppi di turisti stretti alle loro guide li evito. Un giorno una svedese m'interpella in spagnolo: cerca il museo. Glielo indico col braccio ed un sorriso. Senza parlare. Mi fissa, osserva la mia pelle scurita dal sole, il biondo quasi bianco dei capelli, guarda il mio semplice abbigliamento e i sandali poi si allontana con un perplesso muchas gracias. Ho passato l'esame? Posso sembrare uno di qui? Ma le piccole attenzioni non cessano. Una sera un mazzolino di fiori selvatici sul tavolo, un'altra volta son cespi d'insalata o un po' di frutta. Cose di poco valore, nonnulla che mi danno la costante percezione della loro amorevole assenza.

Come ricambiare tanta finezza? Dalla posada di un amico ottengo un festone di lampadine fatto per la festa del paese ed anche il pentolone indispensabile per ci che ho in mente. Riesco a farmi dare anche piatti e bicchieri: la mia la casa del tre, ricordate? Brodetto alla marchigiana. Dalla pescheria arriva un coso brutto come lo scorfano, ma di un altro colore. Debbo accettare altri compromessi ittici ma non tanti. Alla fine mi conforta il profumo che scaturisce di sotto il coperchio ampio come un sombrero. Cattivo non pare; ho lavorato come un certosino per far sparire ogni lisca e, comunque, non potranno fare confronti con la cucina dell'ottimo Mattia di San Benedetto del Tronto! Il resto me lo d il mare: involtini di cernia, con pancetta e funghi e medaglioni di aragosta all'aceto balsamico e un niente di peperoncino. Con una stretta al cuore ma orgoglioso del mio generoso impulso, sacrifico sull'altare dell'amicizia l'omaggio di un amico modenese. Trovo del bianco californiano potabile pur se fa a pugni con la cerveza arrivata assieme a Diego & Co.

Mai la veranda mi parsa tanto piccola, ma credo ci sia pi sana allegria in quei pochi metri che in tutto il Club Med un chilometro pi in l. Facce curiose sbirciano tra le stuoie e vengono subito trascinate davanti ad una birra. Scoppiano *OLA' HOMBRE!* a tutt'andare. naturale: qui tutti si conoscono! La moglie di Diego vuole la ricetta del brodetto e se ne va contenta col foglio stretto in mano. in italiano ma dice che si arranger. -Italiano, mucho gusto! - e scappa via. Sono tornato spesso nella baia delle aragoste e molte altre volte alla tavola di quella brava gente. Sono rimasto cinquanta giorni nella casa del tre. Cento dollari per restarci e un groppo alla gola per lasciarla. Quando ho fatto per pagare il conto della barca (e della rete e della lenza e di tante altre cose) si sono schermiti. - Certe cose si rovinano di pi a star ferme che ad essere usate. - spiegano. Gli ho lasciato tutto ci che avevo comperato per la casa. Le amache e il resto: cercano anche di pagarmele. Due anni dopo la posta mi port due paginette in simil-italiano da Cancun.

Stavano tutti bene. Altri quattro nipotini si erano aggiunti al branco. La casetta era disponibile in qualunque momento, le amache pure e... il "Brodetto all' Alberto" era diventato un piatto di casa. -o0oMe lo hanno detto che Cancun ora un groviglio di palazzoni assiepati l'uno contro l'altro. Ma per me rimarr sempre cos: casette e baracche, un cubetto bianco con due camere e tanta pace. Mare, sole, aragoste e care persone che, non mi so neppure oggi spiegare il perch, vollero adottarmi, per cinquanta indimenticabili giorni.

Giovanna, aragosta da corsa


**************** Correva l'anno (hee s, ogni anno che si rispetti lo fa. Il perch non lo so e pure mi scoccia. Il fatto che corra, intendo). Insomma dicevo che correva l'anno millenovecentosettantacinque. Lo so perch l'anno successivo sarei partito per il Canad. Correva, appunto ed era la met di un luglio secco e splendente a San Teodoro, qualche km a sud di Olbia in quella terra baciata dalla dea della bellezza che la Sardegna. Forse dire baciata un tantino riduttivo. Ci si sta proprio bene, a San Teodoro. Avevamo preso in affitto una villetta con veranda a poche decine di metri dal mare e poich tal Gabetti ancora non ha fatto la mala pensata di costruirvi innumerevoli cubicoli per migliaia di persone, c' calma e spazio per tutti. Anche la poca acqua in qualche modo ce la facciamo bastare. Eppoi c' sempre il vermentino... Mi trovo con un paio di amici nel ristorante di Salvatore. Dovete sapere che Salvatore una simpatica persona che tra i tanti suoi pregi ha pure quello di un fratello con peschereccio. Immaginate perci che cosa possibile trovare in abbondanza nel suo

piccolo locale? Pesce dite? Esatto, proprio pesce! Ma mica pesce qualunque. Orate, spigole, cernie, saraghi, calamari, polpi, triglioni di trenta centimetri, gamberoni, cicale, scampi, aragoste. E tutto FRESCHISSIMO! E proprio un'aragosta la protagonista di questa storia vera a lieto fine ...per l' animale. Si d il caso che i miei amici abbiano tramato col Salvatore per organizzare alle mie spalle una cena particolare per il mio compleanno che sar il prossimo mese. L' importante avere una scusa plausibile per festeggiare! Allora figuratevi la scena... Ristorante, interno sera. Piccola sala, muri a calce, vecchie reti a festone alle pareti, sugheri, antichi strumenti da pesca, lampade che sono luci di via e lumi per lampare. Le solite cose, insomma. Pochi tavoli vestiti di tanti colori, pavimento di mattoni tirati a cera. Vari gruppetti di persone, prevalentemente stranieri. Al tavolo migliore, ca va sans dire, noi tre, belli abbronzati e freschi di doccia. Alla nostra sinistra la porta della cucina ci trasmette messaggi di incomparabile libidine gastrica. Di fronte, l' ingresso al locale. OK? Sorvolo sulle cose fantastiche con le quali il padrone di casa cerca di stupirci. Vi dico

solo che i poveri di spirito dei tavoli vicini mangiano spaghetti al pomodoro e mediocri bistecche. I meschini ammutoliscono ogni volta che passa una fiamminga destinata a noi. Il movimento di teste pare quello degli spettatori ad una partita di tennis. Solo che in questo caso la pallina sta sempre dalla parte nostra, mi spiego? Ricordo uno spettacoloso guazzetto di polipetti teneri come il burro, triglioni al forno al profumo di alloro e vin bianco, cozze alla marinara con sughetto aglio olio e peperoncino che sono mondiali e tantissime. Poi una pausa. Finito? dicono gli sguardi vagamente schifati dei nostri vicini. Ma quando gi pensano che avremmo ricevuto il caff come loro, compare Salvatore. Fra le mani una *cosa* inverosimile: un'aragosta. Perch inverosimile, direte voi? Non inverosimile l'aragosta in s: inverosimili le dimensioni. Sembra venuta fuori da Jurassic park. Dagli effetti speciali di Spielberg. Lunga quasi un metro, la pi enorme che io abbia mai visto. Anzi, neppure credevo che ne potessero esistere di cos grosse. Verde scuro color del muschio vecchio, agita le ampie

chele che qualcuno ha gi provveduto a legare con spago robusto. La coda spazza l'aria in su e in gi mentre le lunghissime antenne (non ne conosco il nome corretto) non si fermano un istante. A quella vista una spilungona foruncolosa dai lunghi capelli biondi si rifugia tra le braccia del suo ragazzo, le unghie a uncinare il maschio petto. - Ora la preparo, ma tutta di Alberto, il festeggiato! Proclama, e spariscono in cucina. Dalla mia posizione scorcio dei fornelli e di un gigantesco pentolone colmo d' acqua bollente. Povera bestia..., ho appena il tempo di pensare, poi un urlo e un bestemmione in pura lingua sarda. Schizzi d'acqua e un rivolo fumante scivola dai gradini della cucina, seguito da una creatura preistorica che agita le chele ora libere da pastoie. Compare Salvatore scarmigliato che continua a tirar moccoli incomprensibili ma chiaramente truci. L' animale infila come un razzo la sala puntando ai tavoli dei tedeschi. Zigzaga stridendo sul cotto del pavimento e dietro arranca Salvatore, che cerca invano di acciuffarla. Quando lui a zig la bestia a zag: cos non riesce mai ad agguantarla. Non

avrei mai pensato che un'aragosta potesse correre cos. Certo che la prospettiva di finire nell'acqua bollente... Non corre soltanto, orrendamente agitando chele ed antenne. Fischia pure o sibila. Insomma, qualcosa del genere. Scene di panico. Un ragazzino salta in piedi sulla sedia e rovescia bicchieri e bottiglie. Due donne urlano e un'altra si tira i capelli. Chiss perch. Aiuta? Faccio appena in tempo a tuonare: "SE RIESCE AD INFILAR LA PORTA LE FACCIO GRAZIA DELLA VITA!" che la bestiola la supera d'un balzo, mandando gambe all'aria due anziani coniugi che entravano e che per la sorpresa non trovano di meglio che rovinare sul carrello dei dolci. Ve la immaginate la scena? Pareva fosse passato un tornado e la sala era un disastro. Nel frattempo all'esterno Salvatore riuscito a recuperare l'oggetto di tanto scompiglio: si era intrappolata da sola nella cabina telefonica, l di fronte! L'indomani mattina, con solenne cerimonia la nostra amica aragosta, opportunamente battezzata Giovanna d'Arco, veniva liberata nelle acque sicure e profonde di una baia poco distante. Doverosamente, all'atto della liberazione un breve discorso di commiato che suscita nei

presenti la giusta commozione e un solo atto d'ottusa incomprensione in fondo al gruppo: "Sono matti quelli l- borbotta un tale mai visto - che spaghetti che sarebbero venuti fuori!" PS Lo so che avendo le chele un astice o astaco, ma mi piaceva di pi pensarla al femminile come aragosta. Licenza crostacea!

Giuseppe Rimondi esce dal coma


************* Con andatura meccanica e sempre uguale l'uomo attraversa diagonalmente Piazza Maggiore in direzione del lungo porticato che ne costituisce un lato. Le mani affondate nelle tasche del vecchio monclair, lo sguardo fisso a terra a tagliar fuori il mondo che lo circonda, non bada troppo ai passanti che incrocia. La visuale circoscritta allo sfondo grigio del selciato ritmicamente deformata dall'ipnotico dentro e fuori delle sue scarpe da ginnastica. Sinistro... destro... sinistro... destro. Altri piedi entrano di continuo nel suo campo visivo ma lui non ci bada. Prima una coppia di belle scarpine dal tacco altissimo, poi una frotta di scarpe "da palombaro", come le chiama lui. Informi blocchi di gomma dalle zeppe spropositate. Ragazzini - pensa - chiassosi e un po' volgari. Nell'aria rimane una scia che gli ricorda la manifattura tabacchi. Un'intera citt gli scorre accanto ma lui ne avverte la presenza appena quel tanto da non urtare i passanti o gli spigoli dei palazzi. Sono tante ore che cammina cos, come un sonnambulo. Da quando stato dimesso e il bus del Bellaria l'ha scaricato in pieno centro, affollato da un'umanit cui non pi avvezzo

e che lo mette a disagio. Sono passati sette mesi. Molti di coma ed altri per riprendersi dopo che un'intera parete del vecchio magazzino dove lavorava gli era rovinata addosso per un cedimento strutturale. Commozione cerebrale, trauma cranico, sei costole rotte e una vertebra incrinata. Cos gli hanno spiegato in reparto. Hee s, perch lui non si ricorda mica tanto di quel po' po' di casino! Quando ci pensa ha un senso di vertigine che gli prende allo stomaco. Si sente confuso, scrolla il capo ma il torpore che ha dentro gli avvolge il cervello come l'appiccicosa nebbia che spesso accompagnava lui e suo padre nelle tranquille giornate di pesca sul Po. Stava sistemando degli scatoloni quando aveva avvertito uno scricchiolio, il bruciare ruvido della polvere negli occhi. Poi un rumore pi forte come di mille grattugie all'opera, l'impressione di movimento dov'era sempre stata immobilit. Un peso sul petto e la sensazione che il mondo si stesse ribaltando. Infine il buio. Un buio strano, diverso da quello della sua stanza quando si sveglia in piena notte al ritmico russare del vecchio Lorenzi, di l dal pietrinfoglio. Un buio... in movimento, ecco, come se... come se stesse scivolando veloce attraverso tunnel lunghi e

stretti! Non ha il tempo di pensare, perch all'improvviso luce. Luce dorata e limpida come un tramonto di montagna. Luce che non davanti o dietro ma ovunque. Che sente filtrare nella carne come acqua in una spugna secca. L'impressione di figure indistinte, luci nella luce. D'un colpo il bagliore si restringe davanti ai suoi occhi per divenire un globo lattiginoso: quello di una camera d'ospedale. Vede un paio d'occhi su di lui, poi molti altri, sempre di pi. Attenti, scrutatori. sorpresa quella che vi legge, sconcerto? Avverte sul polso il tocco lieve di una mano fresca, negli occhi il rapido fiammeggiare di una lampadina. Bocche che si aprono, lingue in primo piano. Il bagliore caldo di un dente d'oro gli appare assurdo e fuori luogo. Le teste che lo sovrastano sembrano deformi caricature del grandangolo di un fotografo in vena di scherzi. Piccole e strette in alto, larghe e massicce verso la mandibola. Si rende conto che tutto silenzio. Vorrebbe parlare ma dov' finita la gola? Al suo posto un duro rotolo di carta vetrata. Poi un orribile gracchiare. Si guarda intorno intimorito. la sua voce. Da quel momento tutto un crescendo. Un mare di flebo, pappine per neonati, il contatto freddo del

cucchiaio. Mani calde e vigorose in ogni piega del suo corpo nudo, l dove nessuno mai, dopo sua madre, era arrivato. Intenso odore di alcol. Benessere. L'emozione di un ritorno a quotidianit smarrite. Scoprirsi capace di cose fino a ieri impossibili, irraggiungibili. Piccole gioie fatte di impercettibili miglioramenti. Una mattina la visita annunciata di un tale del Carlino, il frusciare del registratore, tante domande, tanta insistenza. Odore aspro di sigaro toscano spento. Occhi disincantati, sguardo di routine. "Ma lo sa che ha avuto una fortuna sfacciata?!" Fortuna... LUI? L'espressione del mio datore di lavoro. Ci leggo dentro il disagio. Disagio e imbarazzo. Parole di circostanza, quelle che si dicono sempre ad un malato ma anche il timore di una richiesta di danni. Cos imparo che non assicurato. Le sue mani grassocce non stanno mai ferme e in grembo s'intrecciano e si torcono come polipi sul marmo di una pescheria. povera gente, lo so, e lo rassicuro in proposito. Il sollievo evidente sul suo viso e ne approfitta per dirmi che l'uomo assunto al mio posto bravo e ha una famiglia numerosa. Mi

fissa ansioso con occhi di pecora. Vorrei sbottare e far valere le mie ragioni. In fin dei conti ho rischiato di morirci in quel fetido deposito! Lascio perdere, pronto anzi ad accettare la somma che mi offre a titolo di buonuscita - indennizzo. Tutto, pur di tagliare con quella vita. Ho ancora nel naso la muffa del seminterrato, l'umidit, l'odore rancido dell'olio idraulico che filtrava dal muletto, guasto un giorno s e uno no. Tutto vecchio, tutto moribondo e avrebbe potuto diventare la mia tomba. L'opportunit di cambiare. Un segno? Uno strillo di bambino lo fa sobbalzare e per la prima volta alza gli occhi. Si scuote. vivo e cammina. Deve ripeterselo e lo fa a voce alta. Un signore in grigio dall'aria seria e grigia lo guarda, nasconde il viso dietro al Carlino e fila via che sembra unto. Poverino, forse ha pensato che gli avrebbe chiesto soldi! Come una liberazione respira a pieni polmoni l'aria puzzolente del centro, il naso ancora colmo del tanfo penetrante del lisoformio. Impiegati, studenti e sfaccendati, distinti professionisti e casalinghe con le sporte della spesa.

Ora li guarda e li vede: non sono pi soltanto piedi su un selciato grigio. La camminata gli servita ma ha come l'impressione che il suo corpo ancora sia riluttante ad obbedirgli, come un cavallo dimenticato ad impigrire in stalla. La bruma dolorosa che gli affollava il cranio lentamente si dissolve al pallido sole primaverile. Gi, primavera - realizza - e alla fin fine con 'sto coma lui si sciroppato un inverno di meno. Come i signori che vanno a svernare in Riviera o alle Maldive, lui i mesi peggiori se li fatti sulle colline di Bologna, servito e coccolato come un principino! Strane riflessioni, se ne meraviglia lui per primo, ma che lo aiutano a ragionare in positivo. Sente nella tasca il misero rotolo di banconote e quelli che ricever dall'ex-datore se li prender quasi tutti il padrone di casa, ma in qualche modo far. Gli tornano alla mente i corridoi del Bellaria. Povere creature stese nei letti, pallide come lenzuola, gli occhi persi nel vuoto o fissi sui visitatori con sguardi che danno disagio, anche, e vergogna. Solo ora realizza di esser stato privilegiato dalla sorte e di non aver alcun diritto di lamentarsi.

Luccicano le vetrine di mille invitanti proposte. Distratto, fissa un negozio di abbigliamento e vede giacche e pullover sovrapporsi a piatti di tortellini e zamponi, patate arrosto e galantina. Si rende conto che da molte ore non mette nulla nello stomaco: possibile che la fame dia simili visioni? Poi accanto ai piatti intravvede i cartellini. Capisce, si gira ed tutto reale: i sogni non arrivano col prezzo attaccato. l'esposizione di un negozio di gastronomia. Chiuso fino alle 16, avverte una targhetta. deserto anche il portico, stranamente. Pi gi, verso piazza Galvani, un tipo curioso canta con bella voce tenorile un'aria dal sapore zigano. Usa uno sgabello e si accompagna con l'antiquata fisarmonica. Con ritmica ripetitivit d'automa si sporge in avanti spalancando le braccia per dare aria allo strumento. Ogni volta sembra spiccare il volo sulle sue note. Non c' un'anima ma lui non se ne cura e il canto fluisce potente. Rotola e rimbalza tra archi e pilastri e l'eco conferisce ai versi sonorit profonde e inconsuete, da canto gregoriano. Marca col piede la melodia struggente e vi si abbandona, il largo viso slavo nascosto da assurde lenti viola.

Accanto a lui un bastardino veglia su poche monete ed un bastone bianco. Dentro di lui si agita uno scomodo senso di vergogna per chi non l ad affollare quella platea oscenamente vuota. Piccole ombre ondeggianti segnano la lucida palladiana: due colombi di piazza che alla comodit del volo privilegiano la tranquillit lenta del passeggio. Simili a stanchi camerieri dai piedi piatti, mi fissano con occhi tondi e stupidi poi proseguono appaiati a becchettare microscopiche briciole di pane. Nella surreale poesia di quegli istanti strani, nell'esibizione del cieco e dei piccioni, sento aleggiare lo spirito birbante e fanciullesco di Fellini. Si scuote. Davanti agli occhi ancora immagini succulente. Due grandi filoni di roast-beef l'attirano particolarmente. Carne rosata e succosa dall'aria invitante. Sente la saliva aumentare di livello e lo stomaco reclamare qualcosa di pi che belle immagini a colori. Ecco, se non ci fosse il vetro gli basterebbe allungare un dito per toccare tutta quella mercanzia di lusso. Fantasticherie dettate dalla fame, lo sa bene, ma non riesce ad impedirsi di allungare

davvero una mano fino a sfiorare lo spesso cristallo e... proprio nel momento del contatto, l'inverosimile! Un leggero bruciore gli invade il braccio. un pizzicore diffuso, una tensione mai provata. Incredulo guarda le sue dita, s, proprio le sue dita, passare attraverso il vetro antisfondamento come fosse aria e proseguire senza che questo offra la minima resistenza! Spaventato ritira il braccio. Si guarda la mano. Trema, coperta da una pelle d'oca con cui ci si potrebbe grattugiare il parmigiano. Osserva il vetro: intatto. Non una macchiolina, non una screpolatura. Ha le vertigini e freddo dentro, nonostante la temperatura mite. Nel dubbio di essere defunto senza accorgersene, si morde un dito. Vede il segno dei denti. Il portico ancora deserto. Solamente verso via Rizzoli il passeggio si sta facendo pi animato. Riprovare? S, s ora ri... ecco di nuovo il pizzicore e una debole luce, come la madonnina fosforescente che in ospedale gli aveva regalato il cappellano. dentro con tutta la mano ...il braccio ora! Sente contro i polpastrelli il morbido umidore del roast-beef!

Tutto succede in un attimo. Ritira il braccio e con esso l'intero filone di carne. Senza pensarci lo infila sotto il giaccone e ripete l'operazione con l'altro pezzo. Guarda a sinistra, guarda a destra. Niente. Nessuno sembra essersi accorto di nulla. Un ultimo sguardo al piatto ora vuoto, poi via, al passo pi rapido che le ginocchia malferme gli consentono. Ha un ripensamento. Torna sui suoi passi, allunga ancora il braccio e... un largo riquadro di crescente va a raggiungere la carne. I piccioni se ne sono andati ma il cieco sempre l. Ondeggiando sul busto, distende senza sosta il soffietto e lo comprime. Per un momento rimane davanti a lui, le mani a trattenere i lembi che nascondono il bottino. Poco oltre ci sono le panchine di piazza Minghetti: l potr calmare il tremore che lo pervade. Un'elegante signora lo incrocia, guarda con diffidenza le mani strette al petto, quella protuberanza e cambia braccio alla borsa di coccodrillo. Ogni pochi passi scosta un lembo e annusa il profumo che ne emana. Ancora non ci crede ma i sogni non hanno odori - si va ripetendo - quindi tutto vero... TUTTO VERO!

La testa come un vulcano, vorrebbe urlare. Urlare la paura che lo soffoca e gli ingolfa la gola. Si guarda intorno. Sfaccendati, commessi che si affrettano per non tardare alla riapertura, gruppetti di bancari che fan ritorno al grigiore asettico dei loro pic. Apparentemente tutto come sempre e la vita scorre nei soliti argini. Invece nulla come prima, non dopo quel bruciore al braccio. Sente il suo corpo dilatarsi e fremere e si scopre, secondo se stesso, a scrutarsi dall'esterno con gli occhi di un passante e scoprirsi incredibilmente anonimo e normale. Un qualunque sfaccendato seduto sul ferro rugginoso di una panchina. Steso sul letto, nella penombra della stanza rigata dalle stecche delle persiane, ripensa immobile a ci che ha fatto. Gli pare un sogno, onirica follia generata da un cervello troppo provato. Per la carne sta l, in mezzo al tavolo. Gli basta alzare la testa per vederla. Un'idea lo scuote come una scarica elettrica. Con un balzo in piedi, il naso alla parete che lo divide dall'appartamento accanto. Si rivede in Pavaglione, risente il bruciore alla mano... Perch solo la mano? Perch non tutto? Se pu passare un braccio, cosa impedisce che passi tutto il corpo dall'altra parte? Qui per non vetro e come allunga il braccio lo

vede sparire, come amputato. Dentro la parete. Rimane cos, guardando la sua spalla tutt'uno con il bianco sporco del muro. Avverte lo stesso bruciore. S'immagina il resto, che ora sta penzolando sull'altro lato del muro, come una scultura surreale, un trofeo per cannibali. E SE CI FOSSE QUALCUNO!?! Rapido lo ritrae e sente uno strappo ma il braccio integro, intatto come se nulla fosse accaduto. Adesso passo di l - si dice - ma non sa risolversi ad infilare la testa, cos prova con una gamba. Poi l'altra e ....ssssssvvvamm... anche il resto dall'altra parte e si trova in una stanza che non ha mai visto. Deserta, provvidenzialmente deserta. Doveva esserlo per forza, altrimenti sai gli urli! una camera da letto. Canterano, due comodini, armadio con specchio nel quale vede una faccia da matto: la sua. Sedie cariche di libri, vestiti buttati alla rinfusa sulla vecchia poltrona tipo frau. Che Guevara lo fissa da un famoso poster anni settanta. Sembra perplesso o la sua immaginazione? Si sente come un guardone. In quel mentre s'accende la luce nella stanza accanto. Rumore di passi, qualcuno che fischietta, un peto. Preso dal panico si slancia verso la parete e ...opp, di nuovo in camera sua! Non ha avuto neppure il tempo

di sentire il bruciore e quel senso di stiramento della pelle sul viso che aveva provato all'andata. Vuol capire. Capire che cos' che gli sta capitando. Ma non pu andare semplicemente dal medico e domandare: Senta, scusi, come si spiega che posso passare attraverso i muri? Gi, la prima ambulanza per villa Baruzziana sarebbe la sua! Del resto neppure lui riesce a crederci. pazzesco, inaudito. Certo che se invece di un rotolo di carne di l dal vetro ci fossero stati dei gioielli.... Libri! Ecco la soluzione. Bisogna che si documenti, che capisca. Mica facile, per, trovare qualcosa su un argomento cos particolare. Infatti un fiasco totale sia alla Bibblioteca dell'Archiginnasio che a quella universitaria. Solo qualche accenno a forti cambiamenti nel comportamento di chi esce dal coma e i particolari del tunnel e della luce che molti altri riferiscono. Ha provato a chiedere ma l'espressione del commesso quando espone la richiesta gli bastata per fare marcia indietro. stufo di girare come una trottola, perdendo solo del tempo. Tanto vale accettare il fatto e smetterla con le domande.

Resta per il problema che non esistono applicazioni oneste e legali per quella sua nuova incredibile qualit che d'altronde non pu rivelare a nessuno. Se si venisse a sapere finirebbe in gabbia come una cavia. Del resto non ha neppure intenzione di mettersi a fare il ladro di professione, anche se ora nessuna serratura lo potrebbe fermare. Per un idea... s, un idea gli sta frullando in testa e pi ci pensa e pi gli sembra interessante, il giusto compromesso. Via Zamboni... Piazza Verdi... ecco, via Belmeloro quella l a destra. Zona universitaria. Pi che di studenti pare popolata di sbandati, etilici, tossici, balordi e sfaccendati. A gruppetti stazionano negli angoli e sotto i portici del Teatro Comunale, dove alcuni di loro hanno organizzato veri e propri accampamenti, con sacchi a pelo e fornelletti. Curioso: loro bivaccano l da anni indisturbati mentre sento tanta gente lamentarsi per la precisione con cui arrivano le multe pochi minuti dopo che nelle zone blu scaduto il tempo. Nell'aria un odore dolciastro. Com' che si dice in latino cannabis? Se gliel'hanno raccontata giusta, il suo uomo dovrebbe abitare l. una vecchia conoscenza, uno che un tempo stava dalle sue parti. Adesso sono

quasi le undici e la gente normale gi al lavoro da un pezzo ma quello tra osterie e discoteche difficilmente rientra prima delle 4 del mattino. Se non ha cambiato mestiere, star mettendosi in movimento ora e visto che il fine settimana appena terminato avr bisogno di rifornirsi di merce. Odore di umidit e di ascelle sudate. Di profumo da poche lire, anche. Alcuni giovinastri scarmigliati scappano fuori dal nulla assieme ad un'orrenda cacofonia metallara. Non mostrano di accorgersi di me e per poco non mi travolgono. - Scusi tanto - ridacchia una ragazzetta coi capelli a cespuglio, un grappolo di anelli ad un lobo e una sacca militare a tracolla - ma siamo in ritardo! - Terzo piano e difatti sulla porta una targa di ottone luccicante dice "Boemini Nestore". Tutto un programma. Certo per che i genitori, con un cognome cos potevano scegliere un nome normale! Al centro, la toppa cromata di una serratura di gran costo. Avvicino l'orecchio al battente che appare verniciato di fresco. Nessun rumore, salvo quello di un frigo che ricarica. Il pianerottolo deserto. Preferisco che nessuno mi veda davanti a questa porta, cos questione di un attimo.

Mi appoggio e... sono dentro. Servita a poco la Mottura, ragazzo mio... Puzza di piedi. Nella penombra verdastra delle veneziane rimango immobile per abituare la vista. Mi guardo intorno. Arredamenti e accessori costosi, risultato di una scelta non di gusto ma di portafoglio. Alla mia destra un acquario gorgoglia sommesso mentre una coppia di pesci piroetta attorno a un vasetto pseudoetrusco posato sul fondo. Inciampo in un paio di stivaletti di lucertola abbandonati sulla moquette color lattuga. Per fortuna l'abbondante peluria attutisce ogni rumore. Pareti rivestite di stoffa a colori vivaci. Qualche quadro. Le porte davanti a me son tutte spalancate. Una sembra lo studio, l'altra la cucina. Aitec, mi pare che si dica. Tutto inox e led colorati: pare di essere in un sottomarino. Mensole e armadietti modello ambulatorio rivestono le pareti. Accanto ai fornelli vari apparecchi le cui funzioni mi sfuggono. Riconosco solo il tostapane. Sembra che all'amico gli vada bene, a soldini. Peccato che la confusione regni sovrana. Bicchieri e piatti sporchi dappertutto, perfino nel bagno lastronato in virile marmo nero screziato di grigio. Biancheria sparsa sulle poltrone; un paio di boxer dolce e

gabbana, visibilmente usati spenzolano gagliardi dal bel TV Bang & Olufsen. Bel cialtrone, il signorino, ma in grana. Dorme, arrotolato al copriletto di raso azzurro. Borbotta nel sonno e si agita. Nel pigiama a righe anni sessanta sembra una vecchia pubblicit del Permaflex. Mi sa che dovr armarmi di pazienza ed attendere sulle scale. Due ore mi fa aspettare ma io ho con me la settimana enigmistica e sono paziente. Indossa pantaloni marroni quando esce e giacca di pelle nera e appoggiato su una spalla uno zainetto dello stesso materiale e colore. spettinato e visibilmente rintronato dai vizi della notte appena trascorsa. Imbocca le scale e scende senza neppure guardarsi intorno cos non nota il sottoscritto che si nascosto una rampa pi su. Lo seguo. Non devo perderlo. Per sicurezza, visto che mi conosce, ho messo gli occhiali scuri e una coppola sformata. Cammina deciso, imboccando via Zamboni poi a destra via Castagnoli. Gli sto sempre dietro, ma sull'altro marciapiedi. La strada piena di giovani che a quell'ora affollano bar e trattorie; cos posso facilmente seguirlo senza che lui se ne accorga. All'inizio di via Mascarella entra in una vecchia casa e il

portone si chiude con uno scatto alle sue spalle. Mi fermo sotto al portico, cos da farmi superare dai due che mi camminano alle spalle. Non badano a me, persi in un parlottio continuo. Si tengono stretti stretti, entrambi inguainati in jeans che potrebbero esser fatti con la vernice. Quando mi passano davanti m'accorgo che sono due donne. La pi giovane lampeggia un'occhiata dura, branca con gesto di possesso una natica della compagna e se la porta via (la compagna, non la natica). Mentre mi appoggio alla porta arriva un cagnetto sbiadito. Sembra un volpino e infatti di quella razza ha gli occhi espressivi e la coda a ricciolo. Mi ignora ma sottopone ad accurato esame olfattivo le colonne. Non pare soddisfatto e per precauzione scarica goccetti di pip ad ogni spigolo. Devo sbigarmi o non lo trover pi. Un'occhiata: nessuno. Passo. Solito senso di bruciore. Gradini stretti e lisi di un grigio indefinibile che le poche tartarughe stentano ad illuminare. La ringhiera ondeggia al mio tocco e vibra. Le scale sono deserte e silenziose. Posso solo origliare alle porte sperando di sentire la voce del mio uomo. Se gi si trova in una

stanza interna, mi toccher visitare tutti gli appartamenti. Al terzo tentativo lo trovo. Attraverso il sottile strato di compensato, la sua voce mi arriva distintamente. Sta discutendo animatamente con qualcuno, ma da dove mi trovo riesco a sentire solo lui. Azzardo un piccolo controllo e cautamente infilo la testa nella porta, rimanendo abbagliato dal lampadario che illumina a giorno l'interno. Non c' nessuno, cos m'insinuo. Voglio dare un'occhiata in giro. Un semplice sopralluogo, perch se il posto quello che penso io mi serve solo di vedere la faccia di chi ci abita. Sono seduti ad un tavolino di legno scuro, una specie di scrivania. Da una parte sta il mio uomo, che da questo momento pu andare a farsi benedire, e dall'altra uno spilungone secco secco. Naso enorme, pochi capelli in testa e un vistoso gozzo che gli sporge dal collo ossuto. Sembra l'avvoltoio di Walt Disney ma gli occhi sono piccoli e freddi come pezzetti di carbone. Bene, non avr difficolt a seguire uno cos. Sul piano, davanti a loro un bel mucchietto di soldi, un sacchettino trasparente pieno di polvere bianca nel quale il Nestore sta frugando e una bilancina da orefice. Non mi

serve altro e in punta di piedi me la svigno col solito sistema. Ho fretta di uscire dall'appartamento, cos mi dimentico di controllare se il pianerottolo libero. Per un pelo non finisco sulla schiena di un vecchio che ciabatta verso il basso senza neppure accorgersi di me. Un secondo prima mi avrebbe visto uscire attraverso il legno. Il mio uomo di via Belmeloro il primo gradino di un grosso giro di roba. Eroina, coca, hascish, marijuana, ectasis e crack e ogni altra schifezza che sul mercato si riesca a piazzare. L'idea sarebbe di risalire la catena per arrivare dove c' il denaro vero, quello a mucchi, a montagne. Finora stato facile. Si trattato di pesci piccoli, che lavorano da soli. D'ora in avanti invece trover sentinelle e guardie e io mica sono gems bond. un lavoro di attese, quello in cui mi sono messo, ma non ho alternative e se perdo un passaggio son fregato. Non mi ci trovo in questo ruolo da telefilm americano, mezzo delinquente e mezzo poliziotto. sera e piove. Un'acqueruggiola lemme lemme che entra nelle ossa e ti fa venire voglia di un camino acceso e di una comoda poltrona. L'asfalto di via Galliera lucido e riflette

i globi luminosi dei lampioni e i fari delle poche auto di passaggio. Nonostante la protezione del parka sono bagnato come un ninein, come un maialino. La macchina non ce l'ho e il motorino era l'unico modo per seguire la golf dell'Avvoltoio, come ho deciso di chiamare lo spilungone. Sono tre giorni che gli sto dietro e questo qui uno che non sta mai fermo. Shopping, barbiere, l'aperitivo da Zanarini, uffici, banche, anche un paio di cinema, insomma mai un attimo di sosta. Per evitare che s'accorga di me, ogni tanto cambio un poco aspetto: tolgo o metto il cappello (ora ne ho tre diversi modelli), gli occhiali (anche di questi ne ho tre paia) e un vecchio impermeabile comperato in Piazzola. L'ho scelto perch da un lato grigio e dall'altro nero. Ecco, questa una parte della preparazione che mi ha divertito. Sono sempre stato affascinato dalla capacit degli attori di cambiare fisionomia, di variare il loro aspetto semplicemente modificando la postura o il passo. I sistemi per alterare i tratti del viso: cuscinetti per le guance, baffi e barbe. e tanti strani ammenicoli. Suppongo che c'entri il desiderio che in ognuno di noi di

volare via da una realt troppe volte masticata. Mi sento come l'ispettor Cluseau di Piter Seller ma per fortuna non ho il patema del cameriere giapponese con i suoi attacchi a sorpresa di giudo'. L'Avvoltoio sta parcheggiando di fronte a palazzo Montanari. Lo conosco bene, perch mia mamma ci veniva tanti anni fa a comperare le fodere in un magazzino a piano terra e spesso mi portava con s. Ci serviva sempre un commesso piccolo e azzimato dal nome imponente: Dino Sauro! Chiss mai perch quando si presentava, lui metteva sempre prima il cognome. Tutte queste attese mi han fatto venire il male di schiena e la voglia di fumare. Proprio a me, che non ho mai toccato una sigaretta! L'androne signorile. Una serie di targhe indica la presenza nel palazzo di studi professionali. Secondo piano. Una grande loggia con un finestrone che d sul cortile interno. Sulla parete una lapide dall'aspetto vetusto: che Garibaldi sia passato anche di qui? Leziosi riccioli di ferro battuto non riescono a mascherare il robusto telaio di acciaio di un cancelletto in stile, cos come i pannelli di mogano che rivestono il portoncino blindato. Ecco, le luci delle scale si sono spente. Ho pensato piu' sicuro entrare dal muro, per

evitare eventuali guardie. Mi fa una strana impressione attraversare spessori cos grossi; il senso di stiramento piu' marcato e non vedo nulla, anzi tengo gli occhi chiusi. Per devo fare attenzione. La stanza in cui mi trovo sembra quella di un bambino. Devo andare oltre. Sbircio. un largo corridoio, con le pareti fittamente tappezzate di quadri: una specie di galleria d'arte. Le luci sono tutte accese e sento delle voci provenire, presumo, dalla grande porta chiusa, in fondo al corridoio. Da quella di fronte a me giungono invece suoni da un televisore: l'ennesima partita di calcio. Azzardo un'occhiata veloce. Un divano, due poltrone, alcuni tavolini antichi. Sono in due e seguono attenti l'azione che si svolge sullo schermo. Non battono nemmeno le palpebre. Davanti a loro lattine di coca, bicchieri, una confezione di popcorn e un grosso revolver. In perfetto silenzio, grazie alle suole di feltro, percorro il corridoio e le voci si fanno piu' distinte. Rumorosissimo invece il cuore che mi tuona in petto. - ...ente di roba ne ho finch ne vuoi. Roba di qualit assoluta, ma per chi vuol spendere poco c' anche la schifezza, ahahahah. L'importante che abbiano la grana! - la voce di una persona istruita, colta.

- S, s, il mercato tira e i miei ragazzi stanno lavorando proprio bene. Mmm... fantastico questo cognac! - Questo invece l'Avvoltoio. - Ma quale cognac! Barbancour di Haiti! Rum, e del migliore, altro che cognac! Va be', ora parliamo di affari. La pross... - Il rumore di una sedia smossa, un'imprecazione a mezza bocca mi fan battere in ritirata verso il bagno, ma un falso allarme. - ...perci bisogna spingere. Che facciano nuovi clienti. Le discoteche, d che insistano nelle discoteche. L di coglioni se ne trovano sempre! Quanti sono questi, trecento? OK, aspetta che li metto via. - Sentendo quelle parole infilo dentro la testa. Il minimo indispensabile per poter vedere. uno studio. Molto lussuoso e quasi interamente rivestito di libri antichi. Accanto al monumentale camino un divano. Sopra, una figura sdraiata e immobile. La luce verdastra della lampada conferisce ai lunghi capelli biondo cenere un riflesso ultraterreno. Sta leggendo, la donna, e non pare curarsi della vestaglia blu che sul davanti generosamente aperta sui seni alti e sulle cosce abbronzate. Sull'altro lato una grande scrivania carica di fronzoli dorati e varie poltroncine in pelle bordeaux. Un bellissimo

soriano grigio dorme in un angolo, arrotolato come un tortellino. Mentre lo osservo alza di scatto il muso e mi fissa con liquidi occhi color del moscato. Intanto che il padrone di casa traffica nell'enorme cassaforte, l'Avvoltoio ne approfitta per dar giu' alla bottiglia di... accidenti, come l'ha chiamato? Ho la visione fugace di due ripiani carichi di mazzette prima che il pesante sportello si richiuda, la tenda copra il tutto e io ritiri la testa dal muro. - Ma ti fidi a tenere quella massa di soldi in casa? - borbotta con falsa noncuranza lo spilungone. - No, tanto vero che domani mattina porto via quasi tutto. Aspettavo i tuoi. Visto cos non sembra, ma ci sono quasi otto cucconi, sai, l dentro! Piu' del solito, vero, ma in quest'ultimo mese non ho avuto tempo e cos.... - OTTO MILIARDI?! ma s, ha detto otto cucconi e i cucconi non possono essere che miliardi. Per la miseria ...otto miliardi! Pronuncia la cifra a bassa voce mentre scende le scale. Otto miliardi... come si scriva una cifra cos manco lo sa. Ma tu pensa quanta gente lavora una vita e non vede neppure la decima parte di 'sti soldi, e questo qui li mette insieme in un mese. Un

mese!! Se ne va scuotendo la testa, si sente polemico ed esce dal portone come un forsennato. - MADONNA, MADONNA SANTISSIMA, BEDDA MADRE!!! LO GIURO, NEMMENO UN GOCCIO BERR PIU',LO GIUR!!! Pure i fantasmi che escono dal muro, ora. No, no, la devo smettere con 'sta robaccia...- Il mezzo barbone che stava accucciato di fianco al portoncino se ne va veloce senza neppure girarsi indietro. Lo guardo sparire per via Volturno, mentre il suo borbottare si fa sempre piu' indistinto. Chiss, magari la mia disattenzione lo far davvero smettere con la bottiglia. Per devo stare attento. Gi, me lo dico sempre. Sono talmente sottosopra per ci che appena successo che non riesco a riordinare le idee. - Otto miliardi ha detto, mmmm, e ha anche aggiunto che domani li porta al sicuro. - La decisione arriva da sola, si pu dire. Finita la corsa, finiti gli appostamenti, i sotterfugi e i travestimenti, che si sentiva anche ridicolo. Non pensava...credeva che avrebbe dovuto risalire altri passaggi, scoprire altri anelli della catena della droga. Invece capitato nel posto giusto al momento giusto. Quindi

per questa notte. Non pu essere diversamente. O la va o la spacca, ma lui a lavorare in una cantina non ci torna piu'. E poi gli hanno detto che ora grossi sforzi non li pu piu' fare. S, ha gi deciso. Sono quasi le nove e d'impulso decide di offrirsi una lussuosa cena. Ora che la decisione presa si scoperto una fame da lupo e la voglia di festeggiare. Torner l alle 4, perci di tempo ne ha da vendere. Antipasto di salumi misti, tortellini in brodo, tagliatelle al ragu' e bollito misto con la salsina verde che gli piace tanto. Per finire un bel cremcaramel. Un meraviglioso sangiovese come lubrificante. Una cena che gli costata ci che aveva in tasca e che ora lo fa sentire come se avesse un camion nello stomaco. Forse ha un tantino esagerato, ma ne valeva la pena. Mai avrebbe pensato che un giorno si sarebbe trovato a domandarsi che valigie servono per portare otto miliardi. Dovendo decidere su due piedi ha preso ci che era disponibile in casa e cio un'enorme valigia di finta pelle gialla e una sacca in tela con la scritta LINES - LE ALI DELLA LIBERT. Un po' ridicolo ma pensando a ci che tra poco conterr, anche ironico, no? Capisce

che non il caso, ma non riesce ad impedirselo. Si sorprende a sorridere a due ragazze orrende che ha appena incrociato davanti al Metropolitan. Quelle lo squadrano, vedono la sacca lines e accelerano alzando il mento, le principesse! Non importa: nulla, ma proprio nulla pu metterlo di cattivo umore, questa notte. Tutto come previsto. Via Galliera deserta. Unica presenza ostile, un gruppo di cassonetti stracolmi che mandano un puzzo bestiale. buio pesto nel palazzo ma lui si munito di una mini-torcia che tiene avvolta nel fazzoletto. La debole luce che ne scaturisce sufficiente a vedere dove mette i piedi. Passa attraverso i muri ma non ha mica i superpoteri di Nembo Kid. Nell'appartamento tutto tace. Non si sente neppure russare. Strano. Va diritto allo studio. La porta aperta. Allunga una mano. Per un attimo lo raggela il pensiero assurdo che la cassaforte non sia piu' dietro la tenda di velluto. E invece c', ovviamente. Ma cosa gli prende? Deve stare calmo. Cerutti-Torino, dice la targhetta sul frontale. Ci si appoggia leggermente. E se non riuscisse a entrare? Oh, basta con le masturbazioni mentali. Chiude gli occhi e...

il braccio dentro fino al gomito poi fuori. Tra le dita un pacco di soldi alto dieci centimetri. Sono pezzi da centomila. Rapidamente riempie la sacca poi passa alla valigia. Mai visti tanti soldi in vita sua. Avuti in mano poi... Ci sono anche delle banconote straniere, ma non le riconosce. Bada ad ammucchiare. Quando il fondo della valigia un materasso di carta, gli pare che non ci sia piu' niente sui ripiani. Tasta avanti e indietro finch sente una specie di cassetta e una cosa morbida. Li tira fuori in fretta perch il nervosismo comincia a farsi sentire. La cassettina sembra di pelle e la mette in valigia senza guardarci: lo far a casa con calma. Il sacchetto invece merita un po' di attenzione. Lo soppesa tra le mani. Saranno tre chili.Tre chili di polverina bianca, non sa se coca o eroina. Comunque un bel mucchio di bigliettoni anche quella. Ha un'idea. Va nel bagno e alla luce del fazzoletto - torcia squarcia il sacchetto sopra il water, in modo che una parte minima del contenuto si sparga sull' asse. Vuole che il suo regalino sia ben visibile. Butta il sacchetto vuoto a terra, recupera sacca e valigia e se la svigna. Le marmette del piccolo alloggio sembrano la moquette esclusiva del presidente della zecca

o la zona relax di Paperon de' Paperoni! Non proprio otto miliardi: sette e novecentotrentaquattromilioni piu' trecentocinquanta milioni in marchi e franchi svizzeri. Una parte l'ho destinata a gente che ne ha un gran bisogno; il resto al sicuro, sparso tra banche di vari Paesi, in attesa che io decida come investirli. Non me ne intendo e dunque devo imparare. Rattrappito sullo scomodo sgabello, ricordo di una visita al magazzino di don Marella, ho volutamente messo qualche metro tra me e tutti quei soldi. Nausea? Vertigini? Un po' di entrambi. Certo che faccio fatica a mettere ordine nel gomitolo informe di emozioni, programmi, scampoli di sogni, dubbi, desideri. Ora che i giochi sono fatti, ora che ho portato a compimento il piano che poche settimane fa ancora non sapevo se prendere sul serio oppure no, non riesco ad attivare in me il piacere che dovrebbe darmi tutto quel denaro e l'indipendenza che da esso deriva. Non sar facile portare all'Estero tutta quella carta, ma di tempo ne ho in abbondanza e di soldi per viaggiare pure. Voglio solo riposarmi e dimenticare stanzoni umidi, ospedali e impermeabili double-face. Penso a mia madre, che copiava sulla singer i modelli di Parigi e a mio padre, sempre in

tuta d'la Curtisa poi l'errore di una gru ed il lucido spettrale della bara di Golfieri. Penso alla bruna e passionale Lou e alla ridente solarit di Daniela; a Nadia, rigorosa e sfuggente ma preziosa e stimolante e a Fulvia, intrigante dottoressa, evanescente, tenera ragazza e a un tempo donna concreta e forte. Sogno, realt? Mi penso addosso, exmagazziniere, ex-ricoverato, fenomeno da baraccone multi-miliardario sradicato da un mondo che avrei creduto inevitabile e trascinato da un beffardo e ironico puparo in una dimensione ignota da novella tremila. Ah, dimenticavo ...vi ricordate la cassettina di pelle trovata in cassaforte? Beh, non ci crederete, ma sotto a tanto pelo forse batteva anche un cuore: era piena di vecchie foto di famiglia. Quelle le ho qui e ogni tanto me le guardo. "Il vero viaggio verso la scoperta non consiste nell'andare alla ricerca di nuove terre, ma nel vedere con occhi nuovi" Marcel Proust

Il bastardo di Yonge Street


**************** L'asfalto luccica come nera ossidiana mentre l'uomo risale lentamente Yonge Street verso il piccolo parcheggio dove tre ore prima aveva lasciato la macchina. A quell'ora della notte Toronto mostra la sua immagine peggiore. Le vetrine buie e le insegne spente danno alla via un'aria trasandata e squallida che ricorda quella di un night-club la mattina dopo. Agli incroci grumi di bidoni attendono di essere svuotati e cos pure i cestini appesi ai pali della luce. Una pioggerella fredda e sgarbata ha scacciato anche i pi incalliti nottambuli. Dal fondo della via giunge a tratti il sibilante rumore dei mezzi di pulizia. Intermittenti lampeggi frustano di giallo la pioggia e i muri delle case. Passano rapide due coppiette, uscite forse dallo stesso teatro che l'uomo ha appena lasciato. Ha un brivido e si stringe ancor di pi nell'impermeabile bagnato. quasi novembre e l'aria gi piuttosto fresca ma il gelo che avverte si trova dentro di lui. Proprio il giorno prima ha litigato con Maria, la sua ragazza, che se n' andata sbattendo la porta, urtata dalla sua noiosa pignoleria. Perci aveva deciso per il concerto.

Non gli andava di restare in casa da solo e aveva creduto che la musica di Gershwin e la folla sarebbero stati la miglior medicina. Si sbagliava. Come la grande porta a molla si era chiusa alle sue spalle, il buio e la puzza dell'asfalto fradicio avevano ingoiato la magia delle opulenti note di Porgy and Bess e di Un Americano a Parigi, lasciandolo pi vuoto che mai. All'angolo con Commerce Road sta accucciato un etilico che dalla rientranza di un negozio allunga una mano sporca. Lui fa finta di niente e tira dritto, poi ci ripensa e gli porge un pezzo da dieci dollari. Sgrana gli occhi e biascica qualcosa, il barbone. Homeless li chiamano da queste parti ma non solo la casa che manca loro. Biascica qualcosa, il poveraccio. Angelo non capisce ma intravvede una mostruosa chiostra di denti che ormai non ci sono pi. - Ho fatto bene - pensa - forse con quel denaro gli ho reso migliore la notte: di certo non ho peggiorato la mia - . Pensa all'Italia, mentre imbocca il vicolo che finisce contro il parcheggio. Pensa a Maria, al suo viso di oriunda Portoghese, al calore dei grandi occhi liquidi

e alla massa di capelli neri in cui bello affondare le dita. Oltrepassato un incrocio, sente un sommesso guaire, una voce strozzata e il suono molliccio, osceno, di tonfi che si succedono rapidi. Suoni strani e inquietanti. Deve essere poco pi avanti, riflette, forse oltre quell'angolo che intravvede nell'ingannevole luce dei lampioni. E gi, senza neppure rendersene conto, vecchie lezioni di tattica e di tecnica di avvicinamento affiorano nella sua mente, richiamate da inconsci meccanismi, stimolate forse dalle ombre che lo circondano. Pochi passi ancora e scorge un gruppo di bidoni stracolmi di spazzatura. I rumori provengono proprio da l, da dietro il mucchio. Lo supera con cautela, ginocchia flesse e braccia in avanti a proteggere il tronco e la testa, proprio come gli era stato insegnato, come lui aveva tante volte insegnato alle sue squadre. I piedi poggiano cauti, toccano delicati con la punta delle suole di para. Lentamente saggiano il suolo per avvertire eventuali ostacoli, oggetti che potrebbero fare rumore o sbilanciarlo. Automaticamente le mani sfiorano il corpo laddove un tempo avrebbero trovato il

cinturone tattico e l' equipaggiamento. Questa volta per niente pugnale, niente pistola. C' un uomo, infagottato in un giaccone a riquadri rossi e neri, un modello da boscaiolo molto comune in tutto il Paese. Impugna un lungo oggetto, forse un manico di scopa o un tubo di ferro, col quale sta colpendo selvaggiamente quel che sembra solo un mucchio di pelliccia scura. Un grosso cane, pensa, altro non pu essere, ma l'ombra dei bidoni non gli permette di distinguere meglio. E dire che nel reparto lo chiamavano Occhi, per la straordinaria capacit di vedere nel buio quasi totale. I colpi si susseguono ai colpi, implacabili; il povero animale reagisce sempre pi debolmente, con lamenti ora quasi inavvertibili. Un tratto di corda, forse il guinzaglio?, trattiene l'animale a una grata di ferro. Fa un altro passo avanti mosso da un istinto, da un senso di rivolta per la violenza di quella scena. Una violenza che prende alla gola come il tanfo di carne putrescente. - La smetta! Si fermi! Non vede che lo sta ammazzando!? Gli uscito cos, automaticamente e il tono non quello di sempre. tornato metallico,

un timbro di voce che un tempo provocava obbedienza, che faceva scattare gli uomini. Quello si gira e pu cos vederlo in faccia. Un viso grossolano, largo, forse slavo. alto pi di lui di una diecina di centimetri e grosso, molto grosso. Urla ancora, e cos vicino che scorge lo scintillio di due molari d' oro. "Stop you"! Ma non pare neanche avvertire l'ordine. Come in un rallenty una spalla si inarca, venendogli incontro. Flash di pochi istanti inondano la mente. L'odore acre dei corpi sudati, il frusciare dei piedi sul tatami, le ore di palestra, e i combattimenti simulati e i kat ripetuti migliaia di volte, incessantemente. Gli urli dell'istruttore, secchi come schiocchi di frusta. Cose mai lasciate, mai veramente svanite. La reazione istantanea, deflagrante, lento al confronto il movimento del bastone che sale verso il suo viso, molle come il volo di una piuma. L' adrenalina scende nelle vene a torrenti mentre la mano corre ad incontrare il polso. pesante, parecchio pi di lui, ma la presa perfetta. Una rotazione rapida e bruciante ed come se non fosse lui, l sul marciapiedi

dove gli sembra di essere spettatore e non protagonista. Non ha bisogno di pensare. Il corpo, i suoi muscoli agiscono in un riflesso condizionato, sanno gi cosa fare, ad una velocit sempre maggiore, nonostante gli indumenti lo impaccino. Colpisce ripetutamente sia col pugno che di gomito e il tubo vola tintinnando sull'asfalto. Perch tanti colpi? Forse sarebbe bastato il primo... ma aveva appreso ad una scuola in cui la cavalleria non gode di troppa considerazione. Devi badare al sodo - gli avevano insegnato. L'avversario va ridotto in condizioni di non nuocere e non semplicemente messo a terra. Altri ne potrebbero comparire dal buio e quello che credevi fuori gioco pu riprendersi e arrivarti alle spalle. In certi frangenti un rischio che non puoi correre. Vede un'espressione di sorpresa sul largo viso. Sente la gamba che si solleva, mentre tutto il corpo ruota, accumula energia e la concentra nel piede. Energia bianca e fredda. Vorrebbe fermarsi, bloccarsi l ma ha nella mente il rigagnolo di sangue e orina che esce di sotto il ventre del cane. Vede rosso e non capisce pi niente e il piede arriva, esplosivo all'altezza dello sterno e sente l'urto rimbalzare indietro, su per la gamba

fino all'addome. Avverte lo schianto delle ossa, prima che il giaccone rosso e nero venga scaraventato con tutto ci che contiene sul mucchio di bidoni che rotolano ovunque, vomitando lattine di coca e frutta marcia. Resta l ansimante, il cuore che batte e sembra invadere il petto e il vicolo. Le mani gli tremano violentemente, le braccia e il corpo tremano. Non sa che fare. Si sente stordito e non s'accorge della pioggia che gli cola sul viso, gi per il collo, fino alle mutande. Parrebbe che nessuno si sia accorto di nulla. La pioggia deve aver smorzato i suoni, eppoi in quella zona sono tutti magazzini e negozi. Guarda per terra il cane, non l'uomo di cui scorge solo le scarpe e le caviglie. Guarda il cane, solo lui. In ginocchio cerca di capirne lo stato. Gli alza una palpebra e assurdamente gli sembra la scena di un film di John Waine. Gli tocca la pupilla. Nessuna reazione. Le mandibole sono socchiuse in un ghigno che scopre denti frantumati. Un muso un po' troppo a punta, zampe un po' troppo corte per essere di razza ma neppure un bastardo meritava di morire a bastonate su un marciapiedi di Yonge Street.

Le mani pulsano e sente le nocche cominciare a dolere e gonfiarsi come ciambelle sotto l'azione del lievito di birra, tanto che fa fatica ad aprire lo sportello. Speriamo non ci sia niente di rotto. La mattina dopo scappa dall'appartamento pi presto del solito, pi in fretta del solito, in disordine, sorprendendo anche l'ingegnere pakistano della porta accanto che lo conosce tranquillo e misurato. Il Globe and Mail, il pi importante quotidiano dell'Ontario, l, al solito posto nello scatolone di rete metallica, sull'angolo di Forest Manor Road. Monetine. Pagine e pagine per trovare quella della cronaca nera. Magra, perch non sono molti gli avvenimenti di quel genere in una citt come Toronto, anzi in un Paese ordinato e civile come il Canada. Benessere, un sistema sociale ben congegnato ed equilibrato, civismo innato? Difficile dirlo. Comunque lui non ha una risposta, non quel giorno, ma solo una domanda, altro non gli importa in quel momento, non potrebbe fregargli di meno. "A MAN DEAD BESIDE A DEAD DOG!" I caratteri in grassetto sembrano uscire dal foglio e appiccicarsi al suo viso sudato. Puzzano di inchiostro appena spalmato o la

sua fantasia? Ha le vertigini, vorrebbe vomitare, l sulla strada. Si sente come drogato, anche se quella robaccia non l'ha mai provata in vita sua. Semplicemente, pensa che se lo fosse si sentirebbe cos. Passa una signora elegante con un barboncino bianco al guinzaglio. Sono uguali, stesso incedere legnoso e a scatti, stessa espressione distante e un po' vanesia. Stesso colore di pelo e capelli. Stessi riccioli. Lo guardano entrambi. Chiss perch nota quegli inutili particolari. Forse perch tutto meglio di quel titolo, di quelle poche parole alte cos. Risente lo scricchiolio delle ossa, anche un sospiro, un rigurgito, ma forse quelli sono i suoi. Il rivolo liquido sotto quel mucchio di pelo ancora caldo, il ghigno sui denti. Una morte disperata e incomprensibile, un dolore che arriva inspiegabile, dalle mani di chi magari vissuto con lui per anni. Una foto. Sull'uomo un lenzuolo. Nudo e quasi bianco nel lampo del flash il cane. Lui nessuno ha pensato a coprirlo. Lui, cane fino alla fine. "La Polizia sta indagando sul misterioso fatto di sangue che ha coinvolto un nostro concittadino ed un cane, entrambi trovati morti in un vicolo nei pressi di Yonge Street.

Previsti per domani i risultati dell'esame autoptico. Le Autorit si chiedono..." L'edizione del giorno successivo puntualmente specificher tra le altre cose: "...frattura multipla della mandibola e di quattro costole e il setto nasale deviato. Perforazione di un polmone e arresto cardiaco." Nausea e vertigini. Mi sento invaso dal sudore. Poi una mano sul braccio. Una manica blu e in cima dei gradi dorati. "Tutto bene? Qualcosa non va? Si sente male?" Un bel viso biondo, volenteroso e interrogativo. Sono tutti cos i policemen canadesi. Biondi e volenterosi. "TO SERVE AND PROTECT" recita il motto del Corpo. Sta inciso sul distintivo che gli luccica sul petto. "Beh - gli vien fatto di pensare - chi ha protetto chi, quella notte in Yonge Street? E pensa ancora - basterebbe che lo dicessi ora, a quel viso pieno di lentiggini... sarebbe sufficiente dire: "Sono stato io, l'ho massacrato io quello l... guardi le mani! Con queste l'ho fatto... con queste..." Quanti anni sono passati da allora, da quella notte nel vicolo. Se solo non fosse stato cos

pedante, cos pignolo, forse Maria non si sarebbe arrabbiata. Forse non se ne sarebbe andata sbattendo la porta e forse lui non sarebbe andato al concerto e forse... forse... forse... Quanti forse, quanti se. Tanti e tutti inutili. Tutti l, scolpiti nella mente.

Ivo lo sgombracantine - parte I


****************** Traballante e sbilenco l'ape apparve scoppiettando da Vicolo Ranocchi e inchiod davanti al bar. Ne discese una figuretta male in arnese e cos minuta da far apparire spaziosa la piccola cabina. Lo vedevo muoversi a scatti come un criceto mentre gli occhi non cessavano di lanciare intorno rapidi sguardi. La barba incolta e scura e l'eterna camiciola rappezzata gli conferivano un'aria da barbone ma chi conosceva Ivo Bini detto Il Furtivo sapeva bene che barbone non era. Semplicemente non dava grande importanza alla forma. Quando molti mesi prima aveva trovato quella camicia nel corso di uno sgombro, gli era piaciuta subito. L'aveva provata. Gli stava giusta giusta. Un caso? Un segno del destino? Mah, comunque non se l'era pi tolta. Di colpo si blocc e dai jeans trasse un rotolino di scotch e un foglietto sgualcito che appiccic sul cassonetto della spazzatura. "BINI IVO SGOMBRACANTINE, DITTA REGOLARMENTE AUTORIZZATA" e sotto "PORTO VIA TUTTO QUEL CHE TROVO E NON VI CHIEDO UN SOLDO PERCI NIENTE SCHERZI SE C' QUALCOSA CHE VI INTERESSA VE LO PRENDETE PRIMA CHE ARRIVO IO". Seguiva un numero telefonico.

Oramai era difficile fare un passo per il centro storico di Bologna senza imbattersi in uno dei suoi avvisi, grandi come una mano e fatti con la fotocopiatrice. All'inizio gli spazzini li strappavano ma lui pareva avere il dono dell'ubiquit e le sue locandine pure. Per uno che toglievano venti ne comparivano, cos avevano lasciato perdere. - il posto migliore - diceva sempre - l prima o poi ci capitano tutti! - e a forza di patacchini era diventato un personaggio. -Vedi, quello l Ivo - se lo indicavano per la strada le signore - se hai bisogno di fare spazio nella cantina o in solaio, chiama lui. L' cinein mo l' una furia. Va come treno! S, perch Il Furtivo non stava fermo un momento e, salvo i pisolini che schiacciava nell'ape all'ombra di un platano, pareva non riposare mai. Di giorno e di notte, a piedi o pi facilmente sull'ape stracarico di mobili in equilibrio precario, lo si poteva incontrare ovunque. Io lo avevo conosciuto per caso nel laboratorio di un amico al Pratello. Da allora mi era capitato un paio di volte di scambiare con lui due chiacchiere o di offrirgli il caff.

Un giorno mentre passavo dalle parti di via Pietralata, regno un tempo di vecchie battone e magnaccia, mi sentii chiamare da un androne. - Dottore, Dottore! - per lui tutti quelli che portano la cravatta lo sono - se ha un attimo, venga su che ci faccio vedere qualcosa di bello! Cos scoprii che Ivo abitava l. Scale strette e malconce, ringhierina di ferro e, alta sul muro, una impolverata madonnina di coccio dall'aria rassegnata. Primo piano. Dentro, una quantit esagerata di mobili d'ogni genere, un vero bazar. Qualche canterano dell'otto, sedie e soprammobili ammonticchiati ovunque, un paio di vecchie radio dai pomelli in bachelite rossiccia. In un angolo un'elegante vetrina liberty e una grande sagrestia settecentesca in noce, tante cornici vuote, ombrelli malconci e un'aria di chiuso come se nessuno aprisse mai le finestre. Dal lampadario un Cupido grassoccio e dorato puntava con aria sfiduciata la sua unica freccia. - Venga, entri e scusi il disordine... da quando non c' pi mia mamma... io con le faccende domestiche non ci so mica molto fare eppoi sa com', con il lavoro...Sgusciava tra tutta quella roba come un'anguilla. Compariva e scompariva di

continuo e gli stretti passaggi parevano fatti a misura delle sue microscopiche dimensioni. L nel suo mondo sembrava un altro. Aveva perso i modi circospetti che gli avevano valso il soprannome e non la smetteva di illustrarmi questo o quell'oggetto. Di ognuno si ricordava dove lo aveva trovato e in che circostanza, il nome della ex-proprietaria, tutto insomma. Non facevo in tempo a fermare lo sguardo su una cosa che gi lui mi trascinava avanti. - Guardi, guardi questo qui! Vede? Puro Liberty! E guardi 'sta cassapanca...vede? Tutto noce massiccio...senta, senta che peso! A dir il vero piena di roba. Tant' che quella volta, saran tre mesi, mi dovetti fare aiutare da Stufilein, quello sfaticato. La portammo via cos piena perch non trovavano pi la chiave. Quaderni... vecchi registri del nonno che doveva essere un fascistone o roba del genere. Pensi che non l'ho ancora aperta. Appena trovo il tempo... Stufilein, un ex manovale chiamato cos perch fischiettava di continuo canzoni di San Remo, completava la forza lavoro della Premiata Ditta Bini Ivo, che per ricorreva a lui quando proprio non poteva farne a meno. Di solito Ivo si arrangiava da solo, con l'unico aiuto di qualche metro di cinghia da tapparella.

Su quella schiena di bimbo riusciva a caricare le cose pi incredibili. - Il segreto sta nel trovare il giusto equilibrio - tagliava corto, con rapidi gesti e il busto tutto curvo in avanti. Lo avevo perso di vista in quella specie di deposito, tra bei mobili e orrendi zavagli per i quali pareva avere una strana simpatia. All'improvviso mi comparve davanti, come un folletto. - Cos' che le volevo mostrare, ch'an m'arcord pi? Ah, s, certo, la Silviona! di l, venga. Che gliene pare, non stupenda? L'ho chiamata cos dal nome della proprietaria. E con gesto solenne, come un ministro all'inaugurazione di un monumento, strapp il lurido lenzuolo, scoprendo un lungo e basso buffet anni sessanta impiallicciato in ciliegio. Sfavillante di coppale e arricchito da vetri con scene campestri e leggiadri piedini d'ottone a punta, mi parve davvero orripilante specie se confrontato con la madia che gli stava accanto. - Questo qua non lo do via - e con gli occhi e la mano ne sfiorava amorevole la superficie lucida come una caramella appena leccata - ma se c' qualcosa che le interessa lo dica pure. A lei ce la do e le faccio pure bene, Dottore! - Quel misto di animalesca furbizia e di

ingenua ignoranza mi aveva preso in simpatia fin dal primo giorno. Forse perch non avevo mai cercato di approfittarne o forse perch, diceva, tanti anni prima aveva sgomberato il garage di mia nonna. - Una vera signora, sua nonna e che cuoca! Me la ricordo, sa? Assieme al caff mi offr della torta squisita. - Questa casa mia, sa? - e mi fissava con piccoli occhi da mustelide - mica un negozio. Mai portato nessuno qui. Lei il primo, sa? S, capivo che lo aveva detto d'impulso ed ero portato a credergli. - Guardi qui, ne vuole qualcuna? - era gi sparito, piegato in due dentro a un baule da viaggio e ricomparendo dopo un attimo con una scatola da scarpe in mano. - Questa viene da via Gandino, una zona di signori, vedesse che case! Chiss perch le misero in cantina, comunque sono pi di duemila, vede?- Roba da non credere!. Un mucchio di monete da 500 lire, di quelle d'argento con le caravelle. La scatola ne era piena, alcune opache ed ossidate, altre ancora lucide e brillanti. Gli occhi gli sfavillavano di piacere nel vedere la mia sorpresa davanti a quel piccolo tesoro e intanto ne muoveva la superficie con leggeri

colpetti delle dita. Lentamente, come godesse a sentirne il debole tintinnio.

se

- Uno di questi giorni vado da Gaudenzi a sentire cosa mi d.Veramente lo dico da un pezzo poi vengo qui, le guardo, le rimescolo e mi pare di essere Paperon d Paperoni - e gi una risatina che scopr piccoli denti come chicchi di riso. - Ci guardi, ci guardi pure con comodo, che intanto vado di l a fare il caff...perch un caff lo prende, vero Dottore? Lo sentivo trafficare in cucina. Distratto mi guardai intorno senza quasi vedere ci che mi circondava. Troppo spesso, pensavo, incontriamo persone che per fretta o superficialit o perch ci appaiono troppo diverse da noi non degnamo d'uno sguardo. Le teniamo a distanza, le ignoriamo, inconsapevoli che dietro a un viso, a un comportamento impacciato si nascondono a volte sentimenti feriti o un animo logorato da anni di fatiche e di frustrazioni. Sedevo nella grande cucina e guardavo il sole giocare tra i puntini di polvere sospesi nell'aria. Mentre la Bialetti sbuffava odorosi baffi di caff, Ivo mi raccont la storia di un padre mai stato e di una madre sempre a letto.

- La pensione era sempre pi striminzita Dottore o meglio erano le medicine che crescevano, di numero e di prezzo - e mentre ricordava si passava a pettine le mani nei capelli crespi e grigi. Fuori, sul davanzale coperto di cacche due piccioni si arruffavano per un'invisibile briciola. - Non avevo un mestiere ma l'ape s, non questo un altro. Cos vent'anni fa cominciai a dire in giro che facevo sgomberi. - Riguardati, - mi diceva mamma - attento alla schiena che sei un scricciolo. Fa puliid - Lei il bolognese lo capisce, vero Dottore? Si raccomandava che facessi attenzione, che con quelle robe pesanti facile farsi male. Ma io ero robusto o forse nostro Signore mi ha dato una mano perch in tanti anni mai neppure un graffio. Cos con il mio ape ho svuotato le cantine di mezza Bologna. Me la sono sempre cavata. Non pass molto che i signori antiquari, quelli del Centro, cominciarono a venirmi a cercare, corteggiandomi. - - Ora che ho di pi di quel che mi serve sono rimasto solo... ancora del caff? Mamma se n' andata tre anni fa , fratelli non ne ho, figli neppure. Del resto chi se lo sarebbe mai preso uno sfigato come me? - e sorrideva , ma gli occhi mica tanto.

Quella sera tornai a casa meditando sui casi della vita, pensando a quell'ometto e cercando di ricordare una sua frase, qualcosa che aveva detto e su cui avevo tentato inutilmente di ottenere spiegazioni. Ivo invece aveva tagliato corto. Avevo avuto l'impressione che fosse imbarazzato, che si vergognasse. Qualcosa che riguardava delle suore... ecco, s, delle suore! Un convento o un istituto condotto da religiose, dove lui era stato pi volte, il perch non lo so. Mi pareva che avesse parlato del Meloncello.Curioso mi ripromisi di fare un tentativo alla prima occasione. Lo trovai, infatti, e proprio dove pensavo. Un piccolo istituto, una casa dove alcune suore ospitavano delle persone affette da gravi malformazioni, fisiche o psichiche. - Certo che conosciamo Ivo - ammise l'anziana Superiora stringendo forte le mani, con un sorriso che presto si appann di preoccupazione perch, gli successo qualcosa? No, vero? Una persona tanto a modo, cos generosa e disponibile! Lo conobbi in ospedale, quando ricover la madre, tre , forse quattro anni fa. Era molto malata e anni di trascuratezze avevano aggravato il quadro clinico. Rimase l circa un mese e in quel frangente ebbi modo di parlare a lungo sia con

lei che con il figlio. Persone cui la vita aveva dato poco di cui rallegrarsi e molto di cui dolersi, ma che tuttavia non serbavano rancore. Capisce cosa intendo, vero? - In seguito quel buon giovane, cos schivo e ritirato, venne a trovarci portando tante cose che erano della povera mamma. La Superiora mi raccont cos delle molte gentilezze ricevute, di quanto quel giovanotto fosse paziente e disponibile anche con le povere creature ospiti della Casa, come lei la chiamava. - E le assicuro che con loro, di pazienza ce ne vuole tanta! Quando per mi resi conto che mi credeva un poliziotto o qualcosa del genere, imbarazzato bofonchiai un saluto e sgombrai velocemente. Fuori, per strada, rimuginavo. Mi sentivo confuso e i pensieri si accavallavano tumultuosi, cos aggrovigliati da non riuscire a dar loro un ordine, una collocazione. L'indomani dovetti allontanarmi dalla citt per lavoro e pensai che fosse un bene. Mi sarei distratto e tutto si sarebbe sistemato. Al mio ritorno invece bast la vista del familiare bigliettino su una colonna della stazione per risvegliare in me l'immagine di

Ivo, solo in quella grande casa piena di mobili e cianfrusaglie. Venti minuti di buon passo ed ero sotto casa sua. A quell'ora della sera la strada aveva perso l'aria pittoresca che tanto colpiva i turisti durante il giorno. Ora, buia e sporca faceva tristezza e un p paura. Mi strinsi nel cappotto mentre allontanavo un cagnetto che con aria speranzosa aveva preso ad annusarmi il pantalone. - Ecco - pensai nervoso - adesso ci vorrebbe solo che 'sto qua mi pisciasse addosso! Non sapevo che pesci pigliare. Era tardi, quasi le undici, e io non conoscevo abbastanza le abitudini di quell'uomo. Per esserci in casa c'era di sicuro, perch l'ape stava l, in un cantuccio del cortile e Ivo non andava mai in giro senza, ma... se fosse stato gi a dormire, che figura ci avrei fatto? Dopo un attimo di indecisione e anche per cavarmi di dosso quell'animale appiccicoso come una cicles, imboccai le scale al buio. Del resto non sapevo neppure dove fosse l'interruttore eppoi erano solo tre rampe. Trovai la porta a tentoni e cercai, smanazzando sul muro, di ritrovare il vecchio campanello.

Evidentemente toccai la porta, perch sentii uno scricchiolio e una lama di luce tagli il buio che mi circondava. - Come in un film di Dario Argento - pensai e spinsi il battente, dandomi mentalmente del coglione. Meglio cos - mi dicevo - se c' la luce accesa, significa che Ivo ancora alzato. - Hei, di casa, c' nessuno? Ivo... sono io...disturbo? - e intanto avanzavo esitante per il corridoio, certo che da un momento all'altro mi sarei trovato di fronte il padrone di casa in mutande o peggio. Del resto uno in casa propria ha diritto di stare come gli pare, no? Ecco l il canterano e gli ombrelli ... l'attaccapanni nero coi riccioli di ferro... - Hei, Bini, posso entrare? ... Guardi che lei ha lasciato tutto aperto! Varcai la porta del soggiorno. Anche l luci accese, per quel che potevano fare poche lampadine da 40 watts coperte di ragnatele. - Nel cesso, ecco dov', logico, e da l non ha potuto sentire i miei richiami. Magari adesso esce con le brache in mano ed io... Ecco l la madia e la grande sagrestia ...Ehi, no, un momento, la sagrestia non c'era pi! Avanzai nel camerone per vedere meglio, incuriosito. No che c'era la sagrestia, solo

che era rovesciata a terra e dal corridoio rimaneva nascosta da qualcos'altro. C'era e dal di sotto spuntava un paio di piccoli piedi scalzi. Un po' pi in l una cassettina di legno con arnesi d'ogni genere. Davanti, una manciata di viti e chiodi di varie misure sparpagliati a terra. Rimasi come congelato, l nel mezzo del soggiorno, un braccio alzato in avanti e, di sicuro, la bocca spalancata. - Ma no, noo, non possibile...- Fissavo quei piedi e quei calzini. Uno era rammendato, il sinistro. Assurdamente pensai che era stata una sciocchezza andare intorno al mobile senza le scarpe nei piedi, cos scalzo, e con tutti quei chiodi in giro. Poi volsi lo sguardo e vidi il telefono. Arrivarono in pochi minuti, anche perch il Comando della Legione Carabinieri era l a due passi. Prima due pattuglie, poi una ambulanza con le sirene spiegate che svegliarono tutto il quartiere. Per ultimi, chiss a che servivano, quattro vigili del fuoco nei loro giacconi arancione. Io mi aggiravo per le stanze. Mi pareva di galleggiare, di non toccar terra coi piedi. Come Dio volle arriv anche il magistrato, un tale in jeans e piumone. Ma non dovrebbe

portare la cravatta, un magistrato? Fu autorizzata la rimozione del corpo. La pesante credenza l'avevano gi alzata con l'aiuto dei pompieri( che li avessero chiamati per quello?), ma io non me l'ero sentita di guardarci sotto. Ora facevano foto a tutt'andare e i lampi dei flash baluginavano tra comodini e canterani. Pareva ci fosse un temporale. Erano in tanti ad affacendarsi attorno a quei poveri piedini rammendati e a me parve cos grottesco che temetti di scoppiare a ridere. - stato lei a scoprire il corpo ? Mi girai perch quella voce si rivolgeva a me. Apparteneva - vidi - ad un ossuto spilungone con i gradi di maresciallo. Le mani, lunghissime e rosee, spuntavano con tutto il polso dalla manica della giacca bordata di rosso che sembrava appartenere a qualcun altro. Dalla parlata doveva essere veneto. curioso come in certi momenti si notino i particolari pi assurdi e inutili. Con una certa rapidit raccolse la mia dichiarazione. Come mai mi trovavo l... se avevo mosso qualcosa, ecc., ecc. Era quasi l'una quando potei imboccare il corridoio per andarmene. Certo che era ben insensato e paradossale che uno morisse schiacciato da un armadio dopo aver trascorso

una vita intera a caricarli e scaricarli! Assurdo e strano, molto strano e all'improvviso capii cos'era cambiato in fondo al corridoio. Tornai indietro di corsa, affannato. - Maresciallo, Maresciallo! Avete spostato voi la cassapanca che stava laggi? - No, non ne sapevano nulla, loro, di una cassapanca, e, vagamente infastiditi data l'ora, riabbassarono la testa sui moduli. Me ne andai. Ma la cassapanca l'ultima volta stava l e ora non c'era pi.La cassapanca piena di carte, quella che Ivo non aveva avuto il tempo di aprire, quella del vecchio che era stato un fascista importante, sessant'anni prima. E se anche le carte fossero state importanti, MOLTO importanti per qualcuno? Certo, poteva anch'essere che Ivo l'avesse spostata altrove o che l'avesse venduta... ma le carte, tutte quelle carte che ci dovevano essere dentro? Eppoi, mettersi a lavorare intorno a un mobile senza le scarpe, lui che di mobili ne sapeva ... Ne parlai col maresciallo e anche con altri, finch mi feci la nomea del rompicoglioni. - E il fatto che fosse scalzo, non sospetto? - insistevo io- Naturale che sospetto, infatti sospettiamo che fosse ubriaco fradicio! Su su, vada a casa,

Dottore! Vada a casa e ci lasci fare il nostro lavoro - E la cassapanca? Dov'era finita la cassapanca? - Ma come facciamo a sapere dove ha messo quella benedetta cassapanca!? Guardi che abbiamo controllato e non c' da nessuna parte, quindi vuol dire che l'ha venduta. Niente di strano, e quello l mica si faceva fare la ricevuta fiscale! Macch sparizioni, macch misteri, tutto chiarissimo, invece! Quel fesso l se lo tirato addosso, l'armadio, altro che mistero! Pure del vino rosso gli hanno trovato nello stomaco, quindi... e non ci parli ancora della porta, che era aperta. La Scientifica ha controllato e ha stabilito che la serratura non stata forzata e che logora e in pessime condizioni. Probabilmente il Bini quella sera ha creduto di chiudere e in realt lo scrocco non scatt Cos liquidarono tutta la faccenda, senza indagini, senza niente perch Ivo Bini non era nessuno, solo uno sgombracantine, uno che probabilmente viveva di espedienti, ebbero il coraggio di dire. Ma io sapevo che non era cos e quella cosa sugli espedienti fu ci che mi fer di pi. Aveva fatto per tutta la vita lo sgombracantine, vero! Ma in modo pulito e non vivendo di espedienti. Come una ballerina dev'essere per forza una poco di buono, cos

uno sgombracantine doveva per forza esser stato un mezzo delinquente, uno sulla cui morte non valeva la pena di perder tempo. E questo tutto. Per ora.

Ivo lo sgombracantine - parte II


************** Angolo galleria del Toro e via Testoni. Risalendo via Ugo Bassi mi ero fermato da Altero per una pizza e una coca. - Continuando cos - mi dicevo - ti farai venire l'ulcera -. Stavo sull'incrocio da una decina di minuti. L'acquerugiola mi scendeva sul collo e raffreddava la pizza appena sbocconcellata. Distratto coglievo gli sguardi perplessi dei passanti che mi vedevano l a prendere la pioggia al limitar del portico. La mia attenzione era tutta su un quadratino di carta poco pi grande di una mano. - BINI IVO SGOMBRACANTINE - si leggeva sulla prima colonna - e una mano incerta vi aveva scarabocchiato di traverso un perentorio "ROBERTO TI AMO DA MORIRE!". E sotto un anonimo moralista : "TROIONA!". Quelle locandine mi perseguitavano. Ne trovavo ovunque, su ogni muro e alle fermate del bus. Avevo a volte la sensazione che palpitassero di una sorta di luminescenza, come per assicurarsi che non li avrei mancati. Erano trascorsi tre mesi dalla sera del funerale. Pioveva, allora come ora. Poche persone strette nei cappotti, nascoste sotto ombrelli lucidi come catrame.

Facce del Pratello, visi tirati, a disagio o distratti, sguardi tra il perso e l'etilico, l'espressione di circostanza di un paio di donne anziane curiose della sofferenza altrui. Da ultimo, un vecchio curvo sul suo bastone, la faccia invasa da una grande voglia, rossa come lambrusco. Fra tutti un incongruo impermeabile giallo canarino con su scritto a caratteri cubitali "LINES... E VOLI LIBERA COME UNA PIUMA!". Gi, libero... libero di far cosa? Libero di morire sotto una credenza di noce... e ora? Dove sar ora? Chiss se attacca patacchini anche l dove si trova. Pensieri aggrovigliati come serpentelli, elucubrazioni che non mi davano pace, masturbazioni mentali che mi trovavano la mattina stremato e scontento, ma di che cosa? Morte per cause accidentali - si erano affrettati a dichiarare gli inquirenti e a quanto pareva andava bene a tutti. Magari era pure vero. Ma io continuavo a ripensare alle parole di Ivo e alla cassapanca scomparsa. Anche a casa cominciavano a guardarmi strano. Coglievo i loro sguardi ansiosi. Parevano chiedersi "Ma sta bene? Che gli succede?". Sentivano la mia inquietudine, intuivano che mi portavo dietro qualcosa di greve. Qualcosa che non volevo o non sapevo

condividere e questo li rattristava e li indispettiva . Mi dicevo che le mie erano assurde fantasie alla Steven King, che Ivo era morto da fesso, magari con un litro di Lambrusco in corpo. Ma qualcosa in me non si lasciava convincere e scavava, scavava come il rodi-legno nel tenero tronco di un pioppo. Mi conoscevo, sapevo che non sarei mai riuscito a buttarmi quella faccenda dietro le spalle se non avessi almeno tentato qualcosa... ma cosa? Non ero mica l'ispettore Sarti di Loriano Macchiavelli e neppure Sherlock Holmes. Da che parte cominciare? - mi chiedevo - e il gesto di stizza che segu per un pelo non scaravent a terra la vecchietta in nero che mi stava passando accanto. Basta! Cos non potevo andare avanti! A casa, quella sera, cercai di apparire a tutti pi calmo, normale insomma. Appena possibile filai in studio. Avrei ripreso fuori tutti gli appunti di quei giorni. Le idee, le impressioni le avevo buttate sulla carta, fermate su foglietti. Appunti d'ogni genere, frasi mutile, frammenti di una tragedia che a me solo dicevano qualcosa, appigli per la mia memoria, altrimenti cos labile.

Era tutto l nell'ultimo cassetto della mia scrivania a serrandina, roll dicono i colti. Ecco... allora... vediamo... qua mi ero scritto qualcosa riguardo gli ambienti che frequentava. Un paio di bar, le osterie del Pratello, anche Lamma, ma quella aveva chiuso anni fa. Poi Stufilein, che dopo quella sera non riusciva pi a fischiettare. Gi, Stufilein... Allora glielo avevo domandato della cassapanca ma pareva in trance. Sembrava non rammentare pi nulla in proposito. Ma chiss, magari ora... Amici veri e propri non ne aveva. Solo il lavoro e la madre da accudire, poi le suore. LE SUORE! Qual il bus che va al Meloncello? Il modesto ingresso dell'istituto sapeva di pulito. Tutto era come l'altra volta. Da dietro la porta chiusa filtrava il ticchettio di una macchina da scrivere vecchia maniera. La battuta era esitante. Spesso si bloccava e tornava indietro. Al di sopra del semplice divanetto una vecchia carta geografica, di quelle che un tempo ornavano le pareti di ogni aula scolastica. CASSA DI RISPARMIO IN BOLOGNA, diceva la didascalia. Un millennio prima che andassero di moda certi imperscrutabili

acronimi. Carisbo, Rolo, Cariplo, Biessegiessepi... E un'ipotetica Cassa Udinese Liberi Imprenditori cosa sarebbe diventata? Cess il ticchettio e comparve la Superiora. Solo un paio di occhiali cerchiati di metallo si erano aggiunti all'espressione composta e tranquilla che ricordavo. Rosse e robuste mani unite in una muta preghiera, il capo un poco flesso da un lato. Occhi limpidi e buoni, del tenero azzurro di certi bassorilievi del Della Robbia. Un attimo di esitazione quindi un luminoso sorriso di riconoscimento. - Buongiorno e perdoni l'attesa ma sa com'... neppure qui siamo esenti da burocrazia e io sono proprio una dattilografa da poco! - D'un tratto si fece seria. - Lei mi venne a chiedere di Bini, vero? La prego, accomodiamoci di l - Il piccolo refettorio pareva l'anticamera asettica di una sala operatoria. Tutto luccicava e i lunghi tavoli di formica verdina parevano nuovi di fabbrica. In un angolo una madonna di gesso ci osservava muta. Accanto alla mano che si levava dal mantello azzurro cielo un distratto aveva dimenticato una scopa, cos ora sembrava la Ma...donna

delle pulizie! - Che le posso dire di Ivo che non le abbia gi detto l'altra volta? - le mani ora giocherellavano con la croce di legno appesa al collo - ci aiutava e contribuiva con tanta generosit al nostro povero bilancio. Non passava giorno che non sentissimo il rumore di quel vecchio triciclo a motore ... ape lo chiamano, vero? Beh, insomma, ci portava tante cose che pensava potessero esserci utili. Ma non mi fraintenda. Utili lo erano sempre! - Se non vi servono - ripeteva spesso - potete sempre venderle al Mercatino e farci qualche soldo Il Mercatino, sa, quello che organizziamo per arrotondare i nostri magri bilanci. Due volte all'anno mettiamo in vendita ci che non riusciamo a utilizzare. Cos ci portava di tutto ... povero figliolo. Ci man...- Anche una cassapanca ? - la interruppi d'impulso. Suor Casimira si scosse dai ricordi, guardandomi sconcertata. - Cassapanca ... quale cassapanca? - Voglio dire ... per caso vi port anche una cassapanca di noce scuro? Intendo negli ultimi giorni prima dell'incidente. - Nn..no, no! Nessuna cassapanca, no. Anzi, quando venimmo a sapere della disgrazia era

gi un po' che non lo vedevamo. Tanto che Suor Cristina manifest il desiderio di informarsi se non fosse indisposto. Lei capisce, una persona cos sola ... Ma perch mi chiedeva di una cassapanca? - No, niente di importante solo che... la prego, mi scusi se le faccio perdere tanto tempo. Un'ultima domanda. Come avete saputo ci che era capitato? - Ma da Manaresi, naturalmente! E da chi senn?! Venne lui, apposta, il giorno successivo. - Manaresi? - Ma s, quello che tutti chiamano con un buffo soprannome! La persona che a volte lo aiutava nel suo lavoro. - Mi guardava incerta. - Stufilein, per caso? - Ecco s, proprio lui! che io ancora col bolognese non ho molta confidenza, anche se ho lasciato la mia Bolzano trentacinque anni fa. Certo, fu lui che ci inform. Avesse visto che faccia aveva! Terreo come uno strofinaccio e tremava tutto, cos che lo facemmo sedere e io stessa gli portai un bicchierino di cordiale. Tutto d'un fiato lo mand gi. Me lo ricordo bene -. Mi tocc di fare tutto il Pratello prima di riuscire a rintracciarlo. Era appena mezzogiorno e nelle poche osterie aperte di

lui non c'era traccia. Poi qualcuno mi disse che Manaresi abitava accanto alla chiesa della Grada, l vicino. Trovai la casa in fondo a un angusto cortile ingombro di casse da imballaggio. Nell'androne, stretto e buio, un fortissimo odore di cavolo bollito mi aggred alla gola e al naso come qualcosa di solido. strano, pensai, che solo le povere case puzzino sempre di cavolo. I casi sono due: o i ricchi non mangiano mai certe verdure oppure i loro cavoli puzzano di meno. Comunque, cavoli loro. Appunto. Scale scomode e ripide fatte in economia forse cinque secoli fa. Appena l'indispensabile per salire e scendere. Macchie di umidit sull'intonaco e scritte oscene sovrapposte in strati successivi. Dal tappetino di una soglia un gattino nero mi fissava silenzioso e composto come una chioccia in cova. In alto, forse tre piani pi su, sentii sbattere una porta. Passi strascicati che scendevano cauti, i passi di un vecchio. Il rumore secco di qualcosa che aveva urtato il ferro della ringhiera. Salendo alzai lo sguardo e appena sopra di me intravidi i lembi di un cappotto scuro tra i ritti neri del corrimano. Un bastone, anche, col puntale di gomma.

Pochi gradini ancora e mi strinsi al muro per farlo passare. Era abbastanza corpulento e si gir di taglio anche lui ma dall'altra parte. Per un attimo scorsi un viso largo, il rosso violaceo di un'ampia voglia e subito dopo una chierica bianca. Il portone cigol e fui solo. Che strano, dov' che avevo visto una voglia uguale a quella? Stufilein stava all'ultimo piano, mi avevano detto. "Manaresi Luigi", diceva il semplice cartoncino tenuto su con due puntine da disegno. Il rauco gemito del campanello echeggi per tutto l'androne, sgradevole. Niente. Ritentai e questa volta si apr una fessura nel battente. Comparve una massa di ispidi capelli bianchi. Un occhio mi guardava interrogativo, un po' acquoso e madreperlaceo per una evidente cataratta. - S? - Stufilein, vero? Mi perdoni Manaresi se la disturbo qui a casa sua... Si ricorda? Ci siamo conosciuti una volta che lei era con Ivo, sotto un portico di Strada Maggiore. Passavo di l e voi stavate caricando sull'ape un enorme armadio. Si rammenta, ora? - Ohh, certo, certo, come va dottore? - Permette che entri un attimo ... posso? -

- Ohh, certo, entri, si accomodi, venga ben di l che c' la stufa -. Mi precedette, dandomi modo di osservarlo con pi comodo. I movimenti lenti ma ancora sicuri e il viso cotto dal sole e coperto da una fitta ragnatela di rughe ne dichiaravano l'origine contadina o forse montanara e davano al personaggio un'aria senza tempo. Un totem indiano in abiti civili mi pareva e lo avrei visto meglio paludato di daino e pelliccia piuttosto che negli sformati pantaloni marroni dalle cui tasche stava estraendo un mezzo toscano. Dai vecchi infissi filtravano i rumori del traffico della circonvallazione. Un traffico che non dava pausa, neppure la notte quando, anzi, a quello delle auto se ne aggiungeva un altro, sui marciapiedi. - Spero non le dia fastidio il toscano, dottore. Una vecchia abitudine che mia moglie sopporta a fatica ma, cosa vuole, di vizi non m' rimasto che questo! Ne approfitto perch a servizio e non pu brontolarmi dietro -. Parlava, nervosamente mi pareva, e andava avanti e indietro per la stretta cucina senza mai fermarsi. Sembrava che cercasse sempre nuovi pretesti per non stare fermo, per evitare il mio sguardo. Una toccatina al fuoco nella stufa, un'occhiata al traffico, e poi di qua, poi di

l spostando ora un oggetto ora l'altro, girandomi quasi sempre le spalle. Io lo guardavo agitarsi cos e mi chiedevo quale potesse essere l'approccio migliore. Lo conoscevo poco. Poteva anche darsi che quello fosse il suo abituale modo di essere. Magari era timido. - L'ha trovato lei, eh? - borbott, girandosi all'improvviso verso di me, il viso avvolto in un penetrante sbuffo di toscano - e, afferrata una sedia, mi si sistem proprio di fronte. Pareva essersi calmato, come se fosse finalmente arrivato a una difficile decisione ma in quegli occhi che fissavano i miei vedevo dolore e preoccupazione e che altro ancora? - Me lo hanno detto. Eppoi ricordo di averlo anche letto sul Carlino che stato lei a chiamare la Celere (che per la gente di una certa et sarebbe come dire la polizia). L'ho vista anche al funerale...Ma certo, sussultai, il funerale! Ecco dove avevo visto il vecchio con la voglia di vino e il bastone. Era l'ultimo della fila al funerale di Bini. Che bestia! Come avevo fatto a dimenticarlo, che razza di memoria! Stufilein, che non aveva taciuto un attimo, vedendo la mia espressione si ferm interdetto.

- Cosa c' dottore, ho detto qualcosa di male? - No, no, mi venuta in mente una cosa ... ma vada, vada avanti, cosa diceva? - Oh, certo, certo. Dicevo che mi ero meravigliato di vederla l quel giorno. Lei non era certo suo amico. Scusi sa, non volevo mica mancarle di rispetto, ci mancherebbe, ma cos, volevo dire ... - E alz le spalle ancora forti e muscolose in un gesto che voleva dir tutto e niente, sconforto e dubbio, fatalismo e rabbia impotente. Con un gesto analogo risposi io. Ci guardammo ancora e ancora e con gli sguardi riuscimmo a dirci ci che non sapevamo tradurre in parole. - Quella sera andai a casa sua perch pensavo a quanto dovesse sentirsi solo fra tutti quei mobili, cos, per far due chiacchiere. E al funerale ci andai anche se in effetti lo conoscevo poco. Continuavo a pensare che non poteva essere successo. Davvero. Morire a quel modo... quei piedi che spuntavano da sotto la credenza, cos piccoli e assurdi. Non mi davo pace e neppure ora me ne do, se per questo. Eppoi la scomparsa della cassapanca e l'accenno di Ivo al contenuto... - In un gesto di rabbia ghermii il toscano che giaceva sul bordo di un piatto e umido com'era della sua

saliva, tirai con forza, riempiendomi i polmoni di fumo denso come panna montata e nel fumo lo guardai. Era pallido come un morto. - Ma allora lei crede... - No! Io non credo niente! So solo che fin dall'inizio mi parso che ci fossero delle discrepanze. Bini non si ubriacava mai, me lo han confermato anche nelle osterie. S, vero che beveva qualche bicchiere ma non tanto da andar gi di testa. Poi la cosa di lavorare scalzo e la porta aperta e la cassapanca sparita: non esiste! Vede, signor Manaresi, la polizia, gli Investigatori come pomposamente si definiscono, hanno fatto tutto in fretta e furia, accontentandosi di ci che appariva, senza approfondire. Non hanno cercato di ricostruire gli ultimo giorni di Ivo, n di capire davvero con chi avevano a che fare. Come un mezzo delinquente lo hanno trattato! Nella foga della mia dialettica mi sbracciavo e percorrevo la cucina a lunghi passi, costringendo Stufilein a torcere il collo come a una partita di tennis. D'un tratto mi bloccai davanti a lui. - Quel vecchio, quello con la voglia di vino che ho incrociato per le scale... chi ? Che ruolo ha in questa faccenda? Sar meglio che lei mi dica tutto! Del resto non

pu essere una coincidenza che si trovasse al funerale di Bini e ora qui in casa sua. A dir il vero avevo bleffato un poco, mostrandomi cos sicuro. Avrebbe potuto addurre pi di un buon motivo per giustificare la presenza del vecchio in casa sua. Invece si afflosci su una sedia e mi raccont ogni cosa. L'uomo con la voglia era stato l'attendente del vecchio gerarca e ancora oggi sbrigava piccoli lavoretti per la famiglia ricevendone in cambio un modesto sussidio ed un alloggio. - Lui sapeva che io lavoravo con Ivo, capisce? e un paio di settimane dopo lo svuotamento della loro cantina, nella grande villa sui colli, mi venne a cercare. - Il fatto - mi spieg - che qualcuno si era reso conto che nel mucchio era finita anche la cassapanca e si era ricordato che doveva contenere non so quante carte e fotografie del loro congiunto. Roba compromettente, non so. Vede, dottore, il fatto che il nipote, un tipo ambiguo e introverso, ha recentemente intrapreso la strada della politica, e non certo sul medesimo versante del nonno! Di sicuro non avrebbe mica gradito di essere messo in relazione con fatti e persone di quel lontano regime, capisce? A quanto mi disse, avevano tentato di riprendersi indietro la cassapanca ma Ivo, lei

lo sa come la pensava in proposito, si era dimostrato irremovibile. Pare anzi che fosse andato in bestia, dicendo che i termini dell'accordo stavano ben scritti sui suoi patacchini e che lui si ripagava con ci che trovava sul posto e che bastava che togliessero prima del suo arrivo ci che preferivano tenere! Questo aveva detto e ripetuto infinite volte a Lucchini (sappiamo quanto capoccione potesse essere Ivo se gli prendevano i cinque minuti!) rifiutando perfino di trattare sul prezzo. Cos venne da me una prima volta perch voleva che convincessi Bini a cambiare atteggiamento. Pensi che arriv a offrire tre milioni senza cavarne un ragno dal buco. Poi un giorno venne a cercarmi al Cantinone, l'osteria del Pratello. Io stavo facendomi il solito mezzo toscano innaffiato con un bicchiere di Sangiovese: sa, cos ci guadagnano tutt'e due... ma questo non c'entra. Si sedette al mio tavolo e mi offr dei soldi perch mi occupassi di quella maledetta cassapanca. Come - tir via - per i suoi padroni non aveva alcuna importanza. Non mi lasciava in pace! Mi creda, dottore, non sapevo pi come cavarmelo di dosso, azzidant a cla penca e azzidant a lo', n-noo non a lei... a quello l!! -.

Tirava su col naso intanto, mentre la grande mano mandava di continuo indietro i capelli ancora folti. Notai che aveva unghie ben squadrate e in ordine. - Lo mandai a quel paese, ma lui torn il giorno dopo e cos... cos dissi c-che che avrei fatto del mio meglio - allarg le braccia in un gesto d'impotenza che rivel i tre bottoni di un'antiquata maglia di lana. Sbuffando si rificc tra i denti il puzzolente mozzicone e fiss torvo le auto di l dai vetri appannati. - E allora lei cosa fece? - lo incoraggiai, ansioso. - Io? Io non sapevo che pesci pigliare. Poi mi venne un idea. Mi ricordai che spesso Ivo teneva le chiavi di casa sotto al sedile dell'ape e il giorno successivo approfittai di una sua lunga sosta al bar per prenderle e correre in ferramenta a farne una copia. Alla fine della settimana Ivo - me lo aveva detto al bar - sarebbe andato a vuotare un solaio in Saragozza. - Lavoro lungo e anche scomodo, ma non pi di tanto - aveva aggiunto - potendo adoperare l'ascensore -. - Decisi che lo avrei fatto allora. Aiutato dal Lucchini e con un carretto che mi ero fatto prestare, ce la cavammo in meno di un

quarto d'ora e senza che ci vedesse nessuno. Cerchi di capirmi, dottore! Non l'ho fatto per i soldi! Sono ancora tutti di l, nascosti per via di mia moglie. Quello non mi lasciava in pace e pensai che Ivo di mobili ne aveva tanti e che uno in pi o uno in meno avrebbe fatto poca differenza e cos... -. Mi raccont tutto, mentre la stufa, dimenticata, lenta si spegneva e il cielo sfumava silenziosamente al nero. Mi raccont che avevano scaricato il mobile in un garage della periferia e riportato il carretto al proprietario e mi disse anche quanto denaro aveva ricevuto. Particolari che poco m'importavano, perch erano ben altre le cose che volevo sapere. - Bene! Adesso non ci rimane altro che andare a trovare quel signore, il Lucchini. Lui l'unico che pu dirci il resto. - Ci!?!- chiese sgomento Stufilein. - Certo, "ci" perch viene anche lei. Non pu tirarsi indietro, oramai! Un'ultima domanda ... e le chiavi? Che fine hanno fatto le chiavi di Ivo? - PORCA...! Quelle non me le sono pi ritrovate. Le cercai, vero, quando andammo a rendere il carretto, ma senza trovarle.

Lucchini disse che probabilmente le avevo perse lungo la strada. Erano due sole e piccole, cos non ci pensai pi -. - Sa invece cosa penso io? Penso che le chiavi se le sia messe di nascosto in tasca il suo amico ... - NON IL MIO AMICO !! - ... e penso anche, non m'interrompa, che sia tornato ancora l, magari quella sera stessa, poco prima che arrivassi io, per controllare che non ci fossero in giro altre cose del suo padrone, da schiavo fedele qual era. Forse Ivo lo sorprese a frugare per casa e lui, preso dal panico, ha inscenato l'incidente del credenzone che crolla sul povero Bini. S s, pi ci penso e pi mi convinco che le cose siano andate proprio cos. Allora si spiega come la serratura non mostrasse segni di scasso ... VENGA! -. Meno male che Manaresi conosceva l'indirizzo dell'uomo con la voglia di vino. Erano gi quasi le otto di sera ed era probabile che lo avremmo trovato in casa. - Vive solo - aveva aggiunto il mio compagno di avventure - vedovo da alcuni anni -. - Meglio - borbottai cupo tra me e me - cos non ci disturber nessuno -.

I palazzoni, lunghi e tutti uguali sembravano immagini in bianco e nero di vecchi cinegiornali anni '60. Neppure le piante, cresciute alte rigogliose, riuscivano a nascondere la stanchezza dei lastroni di calcestruzzo prefabbricato costellati di crepe e macchie d'umidit. Il 48 era l'ultimo dell'interminabile edificio. A quell'ora della sera la strada era deserta, salvo una coppietta di teen-agers che in silenzio si sbaciucchiavano su un vespino. Ambedue paludati di nero come prescrive l'attuale moda giovane (sponsorizzata da qualche potente lobby di necrofori?!) ben s'intonavano con le ombre e i colori circostanti. Le asfittiche scale in cemento grezzo e le ringhiere di tubo metallico parevano la versione high-tech delle poetiche casette del centro storico, povere anch'esse, s, ma ricche di patina, storia e umanit. Primo piano ... Voci di bambini, stracci di discussioni familiari, l'eco di un alterco tra donne, usci che sbattevano. Un televisore intonava il motivetto del solito detersivo. Niente odor di cavoli qui, ma quello nauseante dell'urina di gatto. Fumo stantio anche. Meglio il cavolo.

Manaresi mi indic una porta grigia sul fondo. Suonai, o meglio schiacciai il pirolo del campanello perch non si ud alcun suono. Riprovai. Stesso risultato. Ci guardammo in faccia. Forse era gi uscito o non era ancor rientrato... - E se il campanello fosse rotto? - osserv Stufilein. Giusto, poi mi venne un'idea e gli feci cenno di seguirmi. Tornai all'esterno. I due in nero nel frattempo erano rientrati, forse richiamati all'ordine dalle rispettive famiglie o, pi semplicemente, da un piatto di pasta. Camminai verso il fondo della casa facendo un rapido calcolo dei passi, fino a trovarmi, almeno cos mi parve, sotto le finestre del nostro uomo. Vidi che una era illuminata e schermata da una tendina a fiori. S, doveva essere per forza la sua. Due metri, forse qualcosa di pi, mi separavano dal davanzale. - Aspetti qui! - e andai a recuperare l'auto che avevamo lasciato in cima alla via. un fuoristrada, alto e dotato di portapacchi e forse forse... - Infatti ci arrivava giusto un pelo sotto.

Veloce mi arrampicai sul tetto della macchina e di l potei comodamente sbirciare da un angolo della finestra, il naso ficcato tra le foglie secche di un geranio imbalsamato. Sperando che non capitasse nessuno a curiosare. Era la camera da letto. Intravedevo un angolo del materasso, per il resto nascosto dalla sporgenza di un grosso armadio. Se mi spostavo un po'... ecco ora riuscivo a vedere di pi... un paio di gambe nude... ancora un metro. L'uomo era immobile, gli occhi spalancati verso il soffitto, la bocca semiaperta che lasciava intravedere la lingua. La voglia sul viso pareva ora ancor pi scura, di un color viola melanzana, quasi nera. Addosso, soltanto mutande vecchio stile, quelle col tessuto che s'incrocia davanti. Rimasi l, gelato da ci che vedevo, incapace di muovere anche un solo muscolo. Impossibile che sia vivo - continuavo a ripetermi - impossibile che uno dorma a occhi spalancati e con quell'espressione. Pensai anche, assurdamente, di battere contro il vetro. A scuotermi fu il Manaresi che da sotto badava a chiamarmi e a tirare il bordo di un pantalone, ansioso di sapere, di capire anche lui.

Chiamammo i carabinieri da una cabina che pareva reduce dal Vietnam e ce la filammo senza dare le generalit. Il brivido di una notte tra poliziotti e pompieri mi era bastato una volta. Il gioco oramai lo conoscevo. Gi me l'immaginavo quello che avrebbero detto... infarto del miocardio o qualche altro parolone da addetti ai lavori... la vecchiaia, magari una mangiata eccessiva... qualche foto e tanti saluti. In compenso sarebbe piovuto un sacco di domande imbarazzanti per noi, soprattutto per Stufilein, che avrebbe dovuto raccontare del furto della cassapanca. Certo, una certa responsabilit pure lui ce l'aveva ma giunti a questo punto a che sarebbe servito? Senza pi uno straccio di prova e l'unico che poteva raccontare come si erano davvero svolti i fatti morto stecchito, eravamo nella m... e Ivo con noi. Certo, caro Ivo, morto sei e morto rimani ma mi sarebbe piaciuto svergognare quelli che non si erano neppure presi la briga di indagare sulla ridicola scena della tua fine "accidentale". Mi sarebbe piaciuto... oh se mi sarebbe piaciuto, perch quei piccoli piedi sotto la credenza e quei patetici calzini non me li potr scordare pi.

Mi sarebbe piaciuto, perch no? di portare in tribunale chi ti aveva voluto morto ma questo ci che avviene nei telefilm. La realt tutta un'altra storia. Unica consolazione per me, la morte del tuo assassino. Mi piace ancora oggi pensare che forse senza il mio intervento pure lui, l'uomo dalla voglia di vino, se la sarebbe cavata. Magra consolazione, certo, ma, come diciamo noi a Bologna, piotost che gninta... l' mej piotost.

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Con gli occhi a tre metri da terra Vittoria e il ragioniere Virginia Jo Mary Viaggio in Istria Pini, puffi e vecchie foto Sole, aragoste e tappi da bottiglia Giovanna, aragosta da corsa Giuseppe Rimondi esce dal coma Il bastardo di Yonge Street Ivo lo sgombracantine - parte I Ivo lo sgombracantine - parte II

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