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Marsilio
Della stessa autrice nel catalogo Marsilio
La ragazza selvaggia
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Abstract - Autrice
Frontespizio
Della stessa autrice - Copyright
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SIRENE
per Elio
1
Erano passati cinque mesi e mezzo. Mia era quasi pronta per
la sua prima monta. Se fosse risultata sterile, per il macello.
Erano le regole, e poi era arrivato un grosso ordine di vitello di
sirena.
Se voleva portarla via, Samuel doveva agire in fretta. Ma
portarla dove? Il suo appartamento non era certo un posto
adatto.
Mi serve una barca, pensò Samuel. Una lancia da caccia.
Aveva tre settimane di tempo, calcolò. Doveva farsele bastare.
Quella sera, finito il turno, scese a Underwater on-the-beach,
che prima dell’epidemia era stato un posto meraviglioso.
Hassan aveva una lancia. Un vecchio modello, col fondo di
vetro piatto.
Anni prima, Hassan cacciava le sirene selvatiche di frodo.
Rivendeva le carni ai ristoranti yakuza. Con i primi soldi aveva
aperto il beach club. Era stato un locale di successo, e lui un
uomo di successo, ma l’epidemia aveva distrutto tutto.
Le spiagge a sud di Underwater ormai erano luoghi recintati,
discariche di moribondi. Un giorno, la polizia aveva requisito il
beach club per accatastarci i contagiati. Poi l’aveva restituito al
legittimo proprietario, ma l’alone della malattia era dappertutto.
Il posto sembrava maledetto.
Era lì, al beach club parzialmente abbattuto, che Hassan
teneva ancora la barca, forse perché non avrebbe saputo cosa
farci, se non affondarla nell’oceano. Nessuno navigava di giorno,
sotto il sole nero.
Con gli ultimi soldi del beach club, Hassan aveva comprato un
buco in uno dei nuovi bunker, il Megaï, un posto decente, vicino
alla zona dei resort. Aveva ancora qualche affare con la yakuza.
Probabilmente lavori sporchi, pensò Samuel. Ci mancava poco
che si facesse amputare il mignolo.
Era all’ex beach club che Hassan gli aveva dato
appuntamento, quando Samuel gli aveva telefonato. Gli aveva
dato la lancia e non aveva fatto domande.
Mettersi in mare aperto, sotto il sole, con tutta la biacca
protettiva equivaleva a un tentativo di suicidio con ottime
possibilità di successo. Ma il suicidio era diventato tanto comune
che persino i cattolici dei Territori avevano assunto posizioni più
aperte. I primi tempi dell’epidemia, i praticanti di Underwater si
rifiutavano di accogliere i corpi dei suicidi in terra consacrata,
ma ormai nessuno seppelliva più i cadaveri. Erano troppi. La
cremazione era la regola. Le Chiese Libere avevano legalizzato il
suicidio sin da subito, e per questa ragione erano diventate un
culto di successo.
Insieme, lui e Hassan, avevano spinto la lancia in acqua.
Samuel era salito a bordo, aveva acceso il motore. Sotto lo strato
di biacca, erano entrambi coperti di sudore. Poi Hassan era
tornato a riva.
Samuel aveva spinto il motore al massimo. Le acque di
Underwater erano deserte. Poco lontano iniziava la riserva
yakuza. Bisognava incrociare molto al largo per imbattersi in
qualche mezzo sottomarino del governo dei Territori.
Quel giorno Samuel non era di turno agli impianti. Nessuno si
aspettava di vederlo, e forse nessuno avrebbe pensato di
imputare a lui la sparizione di un esemplare pregiato.
Entrò nelle acque della riserva, che conosceva palmo a palmo
dalle battute di caccia alla sirena con i grandi yakuza. Si
avvicinò agli impianti a motore spento, manovrando la lancia col
remo a membrana in dotazione.
Era ora di pranzo. Il giovane Ken’nosuke sarebbe stato chino
sulla sua bento box. Ricordò l’espressione di piacere del ragazzo
mentre succhiava un uovo crudo dopo avervi praticato un foro
con un ago. Nella bento box di Ken’nosuke c’erano sempre uova
crude. A volte metteva l’uovo intero in bocca per romperlo con i
denti, e il rosso del tuorlo gli colava dagli angoli. Ken’nosuke si
leccava le labbra per pulirle e ingoiava anche i frammenti del
guscio. Fosse stato un animale, sarebbe stato un predatore che
ruba le uova agli uccelli, gli diceva Samuel. Un piccolo
predatore. Un ermellino, una volpe.
Con una cima, Samuel legò la lancia alla piattaforma più
esterna degli impianti. Si issò sulla superficie viscida, battuta
ininterrottamente dall’oceano, attento a non perdere
l’equilibrio.
Hassan sarebbe stato il suo alibi. La yakuza si fidava di lui.
Samuel era svenuto. Riaprì gli occhi. Mia, sotto di lui, era
legata e insensibile. Sentì un movimento sul corpo, rivoli
d’acqua calda che defluivano sul fondo della vasca. Il livello
dell’acqua, che già si era ridotto a pochi centimetri, presto
sarebbe sceso a zero.
Qualcuno aveva azionato i comandi della Jacuzzi.
Ken’nosuke, sulla porta del bagno privato di Hassan, li stava
guardando. Più vicino, e intorno a lui, una squadra yakuza.
Bravo Samuel. Che bello spettacolo.
Ci hai fatto strada.
La vasca si svuotò del tutto.
Samuel era ancora incastrato nel corpo di Mia. Il legamento
della copula, si chiamava. Non si sarebbe liberato tanto presto,
lo sapeva, non prima di una mezz’ora. La vagina di una sirena si
apre facilmente solo nel vero estro. Era un problema che i
frequentatori dei bordelli yakuza conoscevano bene. Gli
estrosimulatori erano stati inventati per questo – oltre che per
sopprimere l’istinto assassino nella specie.
Ken’nosuke non sembrava avere fretta, e neanche i suoi
uomini.
Si sedette sul bordo della vasca, fumando una sigaretta.
Afferrò Samuel per la nuca.
L’hai tatuata come Sadako.
Mia aveva gli occhi chiusi, la bocca semiaperta. I denti di
madreperla affilata sporchi di sangue, lo stesso che colava dalla
spalla di Samuel.
Credevo tu fossi un animalista, proseguì Ken’nosuke. Uno del
Mermaid Liberation Front.
Smettila, riuscì a dire Samuel. Sentiva un riflusso di sangue in
bocca.
Più tardi, staccarono i corpi.