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Percorsi Controcopertina Reportage letterario

Da San Francisco a Los Angeles per scoprire quanto manca David Foster Wallace. Leggere le sue opere pu ispirare tanto quanto leggere su di lui, come se alcune molecole del suo genio continuassero a fluttuare nellaria che respiro

ILLUSTRAZIONE DI FRANCESCA CAPELLINI

Cerco DFW in California


di PAOLO GIORDANO

Mi fermo davanti al suo garage Abbraccio un albero che sembra lui


personaggio di nome David Wallace, con tanto di Social Security Number, lomologo del nostro codice fiscale. plausibile che nellepoca doro del mmoire DFW volesse smontare il giocattolo dellultimo modello dintrattenimento e guardarci dentro, scoprire quali insicurezze si celavano dietro tanta morbosit da parte del pubblico e una cos favorevole disposizione a denudarsi da parte degli autori. Ovviamente, il mmoire che aveva a sua volta imbastito non era che la parodia di un racconto autobiografico, un resoconto che, nella pretesa esasperata di dichiararsi vero, non faceva altro che mostrare in continuazione la propria falsit strutturale. Che rispetto dimostrerei a DFW e alla sua ricerca, acquistando una biografia postuma che fa piazza pulita di tutti i filtri metanarrativi e se ne infischia del giusto-livello-di-trasposizione? Esco dalla City Lights con una copia della biografia di D. T. Max stretta fra il gomito e il fianco (titolo: Every Love Story Is a Ghost Story). Ho comprato anche una vecchia raccolta di Alice Munro, Runaway, per attenuare il senso di colpa. A Carmel-by-the-Sea inizio la lettura. Non c molto altro da fare in questa cittadina benestante. La descrizione dellalbergo aveva promesso una piscina riscaldata, che si rivelata uno stagno dal colore sospetto, e comunque piove. Dalla finestra, oltre la coltre di alberi, balugina un oceano appena pi chiaro del cielo. Forse non soltanto morbosit. Forse pi semplice e anche pi limpido di cos. La verit che DFW mi manUna citazione di David Foster Wallace inserita nellinstallazione dellartista finlandese Mikko Kourinki (1977), Wall Piece with 200 Letters (2011, Helsinki, Kiasma Museum)

l tempo meteorologico a San Francisco incerto, meno clemente di quanto avevo sperato: scrosci di pioggia si alternano a schiarite della stessa brevit soltanto il vento umido incessante. Mi trovo costretto a indossare uno sullaltro i vestiti primaverili che avevo previsto per la vacanza, realizzando che un giaccone invernale non equiparabile alla somma di un qualsivoglia numero di strati estivi. Per di pi, la citt spopolata durante il coprifuoco postnatalizio. Percorro a piedi i saliscendi da Marina a North Beach con una sensazione di libert che si alterna a unaltra di smarrimento: la mancanza di scopo di chi rimasto chiuso fuori casa. La City Lights tra i pochi negozi aperti, il che conferma in larga parte limpressione che si tratti ormai di un feticcio per turisti pi che di una vera libreria. Ma poco importa: straordinariamente bella, rifornita e silenziosa (come se i decametri di scaffali in legno assorbissero ogni suono), e la disposizione dei libri suggerisce la chiarezza mentale di chi lha concepita, senza rivelarne a fondo il piano. David Foster Wallace mi scruta dallalto, dalla copertina di un volume posizionato in modo che la sua facciona tenga docchio gli avventori. La fotografia traslucida una delle poche in cui sorride e il libro si rivela essere una sua biografia postuma, redatta da tale D. T. Max. Prendila, tinteressa suggerisce la mia compagna, che deve avermi visto trasalire. No ribatto io , no, no. Il punto che mi ero prefissato esplicitamente, dopo il suicidio di DFW nel settembre del 2008, che non avrei ceduto alla tentazione di leggere alcuna sua biografia, cos come non avrei considerato le pubblicazioni di lavori che lui non

aveva autorizzato avevo assistito a uno sciacallaggio simile nei confronti di Jeff Buckley finch, a forza di acquistare dischi con versioni pessime delle sue poche canzoni, mi ero quasi disamorato di lui. Nel momento in cui mi trovo alla City Lights di San Francisco 26 dicembre 2012 sono gi venuto meno al secondo dei miei propositi (ho letto e riletto quanto emerso dagli svariati e impietosi carotaggi dellopera di DFW), ma il diktat sulla biografia ancora solido. Si tratta di una questione di principio, deontologica quasi, oltre che della paura di vedermi sgretolare un idolo davanti agli occhi: il punto che ogni narratore devolve una parte gigantesca delle proprie energie

e del proprio tempo a trovare per ogni opera che produce per ogni singola riga di ogni singola opera che produce il giusto livello di trasposizione della sua storia personale: essere troppo avari di s si traduce quasi sempre in freddezza, in sostanziale disinteresse verso la materia; eccedere comporta altri rischi pi gravi, fra cui ossessivit, autocommiserazione (quasi sempre di matrice freudiano-regressiva) e dissapori, se non proprio pasticci legali, con parenti o amici intimi. Negli ultimi anni della sua vita, poi, DFW sembrava impegnato a esplorare proprio il pernicioso confine fra privato e finzione letteraria. Nel romanzo a cui stava lavorando e che non avrebbe terminato, Il re pallido, compare fra gli altri un

che ne ormai dei suoi amori del passato, fa del suo meglio per massacrarli, con il risultato di aumentarne sempre di pi il valore mitico e quindi lindistruttibilit. Ogni volta che nelle storie di DFW compare qualcosa di analogo a una minuscola cisti sebacea, puoi stare certo che quella cisti si accrescer proprio nel tentativo di estirparla fino a sfigurare lintero organismo. Tutte le serie ricorsive costruite da DFW sono altamente divergenti, la direzione sempre quella dellaggravarsi perpetuo cosicch, una volta avviate, possono essere interrotte solamente da un atto esterno, violento, qualcosa di simile a ci che ci succede quando il nostro computer va in palla e inizia a presentare con insistenza lo stesso messaggio poco comprensibile di errore, accompagnato da quel suono che ha qualcosa di apertamente accusatorio, e noi ci rendiamo conto che non siamo in grado di fermare quanto sta succedendo, che siamo del tutto inermi e fra un attimo lo schermo potrebbe ricoprirsi di lettere e numeri o diventare inesorabilmente blu, quindi premiamo con forza il pulsante Power e se neppure quello funziona stacchiamo la spina dalla presa di corrente, percorsi noi, non pi il computer da una scarica elettrica di terrore. La sola via duscita dalle ricorsivit di DFW lo spegnimento, che in certi casi estremi, come quello del manipolatore seriale protagonista del racconto Caro vecchio neon o in quello assai pi realista della sua vita, coincide con la morte con il suicidio. A diciotto anni, il modo di procedere di DFW mi colp come un esercizio di onest dissacrante e perfetto, il genere di demistificazione che andavo cercando in quegli anni di solidificazione-del-magma-della-personalit. Il senso tragico

tante e controversa, ad altissimo rischio di scontro verbale. Arriviamo a Claremont al crepuscolo. Laria si rinfrescata di colpo. Le aiuole nello spartitraffico di Indian Hill Boulevard sono tutte fiorite, incredibilmente curate. La casa al numero 725 non ha nulla in pi o in meno delle altre, soltanto il portone del garage il garage dove DFW si ucciso mi colpisce per la sua larghezza, ma pu darsi che si tratti di una suggestione. Nel cortile c un albero di Natale composto di sole palline, un cono da cui fuoriesce un cavo della corrente lalbero spento. Sul lato opposto due limoni e un mandarino sono carichi di frutti. Il prato stato sistemato da poco, come tutti quelli del circondario, intravedo ancora i segni paralleli del tosaerba. Avanzo di qualche passo, violando la propriet privata e lintimit degli sconosciuti che ora vivono qui. I miei compagni di viaggio si sono allontanati, come per rispetto. Vorrei compiere qualche gesto simbolico, magari rubare un sasso dallacciottolato che corre lungo il marciapiede, ma sono ancora abbastanza in me per desistere. Tocco solo uno dei limoni e poi mincammino verso la macchina. Prima di salire faccio la pip contro un acero, di fretta: il genere di quartiere dove temi possano arrestarti per avere urinato contro un tronco. Il giorno seguente, dentro il parco di Joshua Tree, mi perdo di nuovo nelle fantasticherie di metempsicosi. Latmosfera del luogo contribuisce in larga parte: un deserto roccioso dove la notte puoi scommetterci gli arbusti cos distanziati parlano luno con laltro, al riparo da sguardi umani. La natura qui sembra in uno stato di quiescenza, pronta a ritornare quella prospera che era un tempo. Inizio a pensare ai jo-

RRR

I libri di DFW mi spingono a scrivere come lui, con una forza di attrazione plagiatoria che nessun altro autore ha mai pi esercitato su di me. Devessere per quella sua spacconeria irritante e cos fascinosa, per la sua esigenza di attraversare tutti i livelli di profondit
ca. E mi manca con unintensit maggiore di quella con cui mi mancano, per dire, certe persone in-carne-e-ossa scomparse in modi altrettanto improvvisi/cruenti dalla mia vita, tanto che mi trovo spesso a fantasticare su forme strane di metempsicosi, nelle quali alcune molecole aeree del suo genio e della sua umanit fluttuano attraverso latmosfera fino a me, che le inalo, e diventano mie e lui diventa me. Tutto ci suona un po vergognoso, ad ammetterlo. Ma la disponibilit a innamorarsi dellirreale tanto quanto del reale mi sempre apparsa come una premessa essenziale della narrativa. Pu darsi si tratti, pi precisamente, di un disturbo, una sorta di ametropia del sentimento, per la quale non si riesce a focalizzare esattamente gli oggetti nel campo dellaffetto, a collocarli in profondit secondo quello che si presume lordine giusto. DFW mi manca, s, mi manca il suo essere-nel-mondo, quindi escogito dei modi per averlo vicino, e lultimo che mi si offerto questa biografia. Come per i Grandi Amori Romantici, esiste unet favorevole anche per i Grandi Amori Letterari, e DFW capitato al centro della mia pi fertile: avevo diciotto anni. Le passioni che si instaurano in quella fase tardoadolescenziale, quando il magma della personalit inizia a solidificare, diventano i miti fondanti del nostro carattere culturale, ci restano addosso, ostinate e prive di senso, come quelle cisti sebacee che capita facciano la loro comparsa in punti imprevisti del corpo. Di passioni-cisti io ne avevo una miriade oltre a DFW e al gi citato Jeff Buckley: certe serie televisive pi strappalacrime del sopportabile come The OC, Tori Amos, Chuck Palahniuk, i frozen cocktail, Kirsten Dunst, il Natale in famiglia, Bret Easton Ellis... Spinto da una voglia iconoclasta di rinnovamento, verso i ventisei anni le sottoposi tutte quante a un check-up severo, casomai nel frattempo qualcuna fosse diventata maligna o invalidante. DFW ha superato il test, Chuck Palahniuk no, ma adesso mi chiedo se dopotutto fosse cos necessario e salubre tentare di sbarazzarsi di tutte quelle passioni, magari un po ossidate, magari ormai poco rappresentative, che quando ero ancora semiliquido mi fecero palpitare. davvero questa la via della nostra realizzazione di adulti, toglierci dal naso tutte le lenti deformanti che da ragazzi ci facevano ingigantire o mortificare gli oggetti (sentimentali) che si offrivano alla nostra considerazione? O questa smania di aggiornare anche i nostri affetti solo lennesima lente deformante che poniamo in cima alle altre? Ecco il genere di domanda sulla quale DFW avrebbe facilmente costruito un racconto ricorsivo di venti o pi pagine: la storia di un ragazzo che, nel tentativo di guardare con onest a ci che stava alla base dei suoi ragionamenti si accostava bene con quello residuale della mia adolescenza; lo sfoggio di intelligenza, poi, era proprio il traguardo che mi ponevo a quel punto. Tutto questo stabil la nostra affinit segreta quasi ultraterrena , indusse la crescita della mia passione-cisti pi che per qualunque altro scrittore mi fosse capitato di leggere fino a quel momento. E, anni dopo, rese il suo suicidio doloroso quanto un tradimento personale. Nel suo pseudo-mmoire, oltre al codice fiscale, DFW aveva riportato per intero anche il suo indirizzo. Durante unincursione dentro una Books Inc. ho ritrovato la pagina dove scritto e lho ricopiato sul retro di un ticket di parcheggio: 725 Indian Hill Bldv., Claremont. Obbligo i miei compagni di viaggio a seguirmi in quel pellegrinaggio un po macabro attraverso la periferia senza fine di Los Angeles. Non protestano neppure, devono ormai avere capito quanto la questione sia imporshua tree e ai cactus e alle palme giganti come a incarnazioni di morti, la cui forma specifica dipende dalle qualit possedute in vita. Lalbero che attribuisco a DFW unimpalcatura di tronchi e rami spogli, con la corteccia elegantemente attorcigliata su se stessa, un albero che non ho mai visto dalle nostre parti, complicato eppure razionale contro il cielo azzurro. Mi faccio scattare una foto l accanto, poi cerco di rubargli lenergia, abbracciandolo: conosco persone che con gli alberi fanno cos. Ci che devo ammettere lungo la strada di ritorno verso Palm Springs, e con un po di delusione per me stesso, che leggere DFW mi ispira almeno quanto leggere di DFW. Seguire le sue vicissitudini mi suscita la stessa irreprensibile voglia di sedermi alla scrivania e di scrivere a profusione, come avvenne dopo La scopa del sistema quando, senza premeditazione alcuna, mi avventurai nei miei primi goffi racconti. E non soltanto questo: DFW i suoi libri e, scopro ora, anche i libri che parlano di lui mi spingono a scrivere come lui, con una forza di attrazione plagiatoria che nessun altro autore ha mai pi esercitato su di me. Devessere per via di quella sua spacconeria irritante e cos fascinosa, della sua smania di essere a tutti i costi pi lungo, digressivo e interconnesso di quanto sia davvero necessario, della sua esigenza di attraversare sempre tutti i livelli di profondit di un fenomeno fino a sbattere il sedere contro il cemento armato dellunica verit fondamentale sottesa a tutti: la consapevolezza, in questo mondo, di essere soli e irraggiungibili. Sul volo San Francisco-Zurigo dove con ogni probabilit contraggo linfluenza virale con complicazioni urinarie che mi terr a letto nei successivi quattro giorni, termino di leggere Every Love Story Is a Ghost Story. Nelle ultime pagine si avverte limbarazzo di D. T. Max nel fare i conti con il suicidio di DFW. Il biografo sceglie la via pi sobria: poche frasi di storia medica, molto nette, che accreditano in pieno la tesi della cessazione volontaria del Nardil da parte di David dopo anni di trattamento, e del suo conseguente tracollo. Il finale lo conoscevo gi, eppure ha il potere di annientarmi. Complice il jet-lag, la prima notte a casa non mi addormento fino alle cinque del mattino. Ho una sola consolazione in mezzo al fluire dei pensieri: sembra che la casa di DFW che ho visitato non fosse davvero quella dove si tolto la vita. Dopo essere vissuti in affitto al 725 di Indian Hill Blvd., lui e la moglie ne acquistarono unaltra non troppo distante. Il portone del garage che ho visto era solo un normale portone di garage, dal quale DFW entrato e uscito insieme ai suoi cani. Saperlo abbastanza per farmi sentire meglio.
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Bibliografia

Scrittore infinito di tutto e di pi


] Di David Foster Wallace (1962-2008) sono stati ripubblicati presso Einaudi Stile libero i romanzi La scopa del sistema e Infinite Jest (gi uscito presso Fandango), le raccolte di racconti Brevi interviste con uomini schifosi, Oblio e Questa lacqua, la collezione di saggi Considera l'aragosta. Nel 2011 sono usciti il romanzo inedito e incompiuto Il re pallido, sempre presso Einaudi, e Tutto, e di pi. Storia compatta dellinfinito, presso Codice edizioni. Nel 2012 Einaudi ha pubblicato la nuova edizione di La scopa del sistema (Super ET) e Il tennis come esperienza religiosa (Stile libero). Presso Minimum fax uscito La ragazza dai capelli strani (2003) e il reportage Una cosa divertente che non far mai pi (2001). ] Il testo che pubblichiamo di Paolo Giordano compare, in forma di saggio pi ampio, nel numero 61 di Nuovi Argomenti che sar in libreria dal 12 marzo 2013. Per il sessantesimo anniversario della rivista prevista una nuova veste grafica e il lancio di un sito web.

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