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IL POSITIVISMO

CARATTERI GENERALI E CONTESTO STORICO

August Comte John Stuart Mill


(Montpellier 1798- (1806 Londra- Avignone
Herbert Spencer
(Derby 1820 - Brighton, 1903)
Parigi1857) 1873)
Caratteri generali e contesto storico del positivismo europeo

• Il positivismo è un movimento filosofico e culturale che nasce in Francia nella


prima metà dell’Ottocento e che si diffonde nel resto d’Europa nella seconda
parte del secolo.
• Si tratta di una corrente filosofica profondamente legata agli ideali della borghesia
industriale, che in quegli anni stava affermando il proprio primato economico e
politico in Europa e anche, grazie all’espansione coloniale, nel resto del mondo.
• Il tratto fondamentale che caratterizza il positivismo è la piena fiducia nei risultati
e nel metodo della scienza sperimentale, fondata sull’osservazione dei dati
concretamente riscontrabili e finalizzata a un’applicazione funzionale delle
proprie scoperte. Per questa ragione unico criterio di conoscenza dovrà essere il
fatto, prescindendo da astrazioni e fantasie metafisiche.
• Il metodo della scienza è l’unico valido e la metafisica è priva di valore («niente più
metafisica!» è il motto polemico del positivismo).
• Il positivismo, allora, recupera il progetto illuministico di promuovere
l’emancipazione sociale attraverso la diffusione della cultura scientifica .
• Il metodo della scienza va esteso a tutti i campi, compresi quelli che riguardano
l’uomo e la società.
• Il progresso della scienza rappresenta la base del progresso umano e lo
strumento per una riorganizzazione globale della vita in società.
Caratteri generali

• La Filosofia, non avendo campi privilegiati d’indagine sottratti alle scienza, tende a
coincidere con la totalità del pensiero positivo o, più specificatamente, con
l’enunciazione dei principi comuni alle varie scienze. La funzione peculiare della
Filosofia consiste nel riunire e coordinare i risultati delle singole scienze, in modo
da realizzare una conoscenza unificata e generalissima. (Filosofia come studio
delle «generalità scientifiche»).
• Se all’inizio, inoltre, nell’età della Restaurazione e nella prima metà dell’’800, il
Positivismo, con Comte, si pone come proposta del superamento di una crisi
socio-politica e culturale (quella post-illuministica e post-rivoluzionaria)nella
seconda metà del secolo il positivismo si presenta come riflesso e stimolo di un
progresso in atto .
• Così mentre Comte tenta di uscire dalla crisi mediante un modello politico
«organicistico» e antiliberale, il Positivismo posteriore, soprattutto in Inghilterra,
identifica il progresso con il trionfo del liberalismo (James Mill e John Stuart Mill).
• Il decollo del sistema industriale, della scienza, della tecnica, degli scambi e
dell’estensione della cultura su larga scala, l’aumento della produzione e delle
ricchezze, i progressi della medicina determinano in questo periodo un clima
generale di entusiastica fiducia nelle forze dell’uomo e nelle potenzialità della
scienza e della tecnica.
• Questo OTTIMISMO si traduce in un vero e proprio culto per il pensiero
scientifico e tecnico.
Positivismo e illuminismo

• Aspetti comuni Positivismo/ Illuminismo:


la fiducia nella ragione e nel sapere – l’esaltazione della scienza a scapito della
metafisica – la visione tendenzialmente laica e immanentistica della vita.
• Differenze Positivismo/Illuminismo:
- Gli illuministi dovettero lottare contro forze sociali e culturali dominanti che
contrastavano l’ascesa della borghesia, mentre i positivisti agiscono in un contesto
in cui il potere della borghesia era già consolidato.
- Minor carica polemica , filosofica e politica, dei positivisti;
- L’Illuminismo si configurava come un riformismo tendenzialmente carico di
rivoluzionarismo, il Positivismo si configura come un riformismo consapevolmente
anti-rivoluzionario (contrario alle nuove forze rivoluzionarie, rappresentate dal
proletariato e dalle dottrine socialiste)
• Gli illuministi appaiono indirizzati ad una fondazione gnoseologica e critica della
scienza (che culminerà nel kantismo) mentre i positivisti danno per scontata la
validità del pensiero scientifico e ritengono che il compito della filosofia sia quello
di ordinare il quadro complessivo delle scienze.
• Se l’Illuminismo è lontano da una dogmatizzazione dei poteri della scienza (che
vengono confutati da Hume e delimitati da Kant) il Positivismo, invece, finisce per
assolutizzare la scienza stessa.
Positivismo e Romanticismo

• Il Positivismo si rivela come una sorta di «Romanticismo della scienza», ossia


come esaltazione del sapere positivo, assunto ad unica verità e guida della vita
umana, in tutti i campi. I positivisti tendono ad attribuire alla scienza una portata
assoluta e di tipo religioso.
• I positivisti, come gli idealisti , tendono a concepire ciò che esiste mediante la
medesima categoria di base della totalità processuale necessaria.
• Gli Idealisti (con la nozione speculativa di «dialettica» ) ed i positivisti (con la
nozione di evoluzione) tendono, cioè, a far uso delle nozioni di sviluppo necessario
e divenire ascendente e ad interpretare il loro oggetto di studio a guisa di un
processo ascensionale e cumulativo, in cui ogni evento è il risultato di un
progresso rispetto al passato e la condizione di un miglioramento futuro.
Le varie forme di Positivismo

Positivismo sociale (Prima metà ‘800) Saint Simon (Parigi 1760- Parigi 1825)
Mira a costruire un sistema delle scienze, August Comte
per farne la base di una nuova società, (Montpellier 1798-Parigi 1857)
retta su leggi scientifiche.

Positivismo metodologico John Stuart Mill


Approfondisce gli aspetti logici e (1806 Londra- Avignone 1873)
metodologici dei processi conoscitivi;
posizioni liberali e anti-assolutistiche

Positivismo evoluzionistico Herbert Spencer


Filosofia dell’evoluzione che fornisce , (Derby 1820 - Brighton, 1903)
sulla base di questo concetto, una
spiegazione unitaria della natura, della
società e delle scienze.
I diversi significati del termine positivo
«Considerata anzitutto nella sua accezione più antica e più comune, la parola positivo designa il reale, in
opposizione al chimerico: da questo punto di vista, essa conviene pienamente al nuovo spirito filosofico,
cosi caratterizzato dalla sua costante consacrazione alle ricerche veramente accessibili alla nostra
intelligenza, con l'esclusione permanente degli impenetrabili misteri di cui si occupava soprattutto la
sua infanzia.
In un secondo senso, molto vicino al precedente, ma tuttavia distinto, questo termine fondamentale
indica il contrasto dell'utile con l'inutile: allora ricorda, in filosofia, la destinazione necessaria di tutte le
nostre sane speculazioni al miglioramento continuo della nostra vera condizione, individuale e
collettiva, invece che alla vana soddisfazione di una sterile curiosità.
Secondo un terzo significato in uso, questa felice espressione è frequentemente usata per qualificare
l'opposizione tra la certezza e l'indecisione: essa indica così l'attitudine caratteristica di una tale filosofia
a costituire spontaneamente l'armonia logica nell'individuo e la comunione spirituale nell'intera
specie, invece di quei dubbi indefiniti e di quelle discussioni interminabili che doveva suscitare l'antico
regime mentale.
Una quarta ordinaria accezione, troppo spesso confusa con la precedente, consiste nell'opporre il
preciso al vago: questo senso richiama la tendenza costante del vero spirito filosofico ad ottenere
dappertutto il grado di precisione compatibile con la natura dei fenomeni e conforme all'esigenza dei
nostri veri bisogni; mentre l'antico modo di filosofare conduceva necessariamente ad opinioni vaghe,
non comportando una indispensabile disciplina che dopo una permanente soffocazione, appoggiata ad
una autorità soprannaturale.
Bisogna infine notare in particolare un quinto significato, meno usato dagli altri, anche se del resto
ugualmente universale, quando si usa la parola positivo come il contrario di negativo. Sotto questo
aspetto, indica una delle più eminenti proprietà della vera filosofia moderna, mostrandola destinata,
soprattutto, per sua natura, non a distruggere, ma ad organizzare. I quattro caratteri generali ricordati la
distinguono contemporaneamente da tutti i modi possibili, sia teologici che metafisici, propri della
filosofia iniziale. Quest'ultimo significato, indicando d'altronde una tendenza continua del nuovo spirito
filosofico, ha oggi una particolare importanza nel caratterizzare direttamente una delle sue principali
differenze, non più con lo spirito teologico, che fu per un pezzo organico, ma con lo spirito metafisico
propriamente detto, che non ha mai potuto essere che critico».

(A. Comte, Discorso sullo spirito positivo, 1844)


I diversi significati del termine positivo
• REALE: positivo si oppone a chimerico ed esclude il misterioso, ossia esclude ogni
spiegazione che ricorra a principi non controllabili nell’esperienza.

• UTILE: solo una conoscenza che rimanga nell’ambito dell’esperienza è utile, ossia
può contribuire a migliorare le condizioni di vita degli uomini, può vincere la
miseria, l’ignoranza e la malattia.

• CERTO: certezza si oppone a indecisione; essa implica l’eliminazione dei dubbi, dei
problemi insolubili dell’antica metafisica; non ci sono problemi che non siano
risolvibili con i risultati della scienza, altri problemi l’uomo non si deve porre
(pseudo-problemi).

• PRECISO: si oppone a vago, alla metafisica e all’antica filosofia della natura che
parlava di «qualità occulte».

• ORGANICO: capace di raccogliere insieme i risultati delle varie scienze per


approdare ad una scienza dell’uomo che possa guidare la sua condotta.
August Comte
(Montpellier 1798-Parigi1857)

• A. Comte viene considerato il padre del Positivismo francese, nonostante il termine


«positivo» fosse già stato utilizzato da Saint – Simon, di cui Comte fu, per alcuni anni, amico e
discepolo.
• Comte racconta di aver avvertito già all’età di 14 anni l’esigenza di rinnovare profondamente
i concetti religiosi e politici della società moderna ed a tale ideale decise di dedicare la vita.
• 1814: entra all’ École polytechnique di Parigi, dove le idee di Saint Simon si erano già diffuse;
• In seguito vive dando lezioni private di matematica e conosce Saint-Simon, che per aiutarlo
lo assume come segretario;
• 1822 Comte rompe con Saint-Simon quando pubblica lo scritto «Piano dei lavori scientifici
necessari per riorganizzare la società», opera in cui enuncia l’intento di pervenire ad una
«filosofia positiva»
• 1826-27: crisi nervosa che conduce Comte in manicomio
• 1830- 1842: esce in sei volumi il Corso di filosofia positiva (opera principale di Comte)
• La carriera accademica di C. risulta infelice in quanto la natura stessa delle sue ricerche, a
metà strada tra filosofia e scienza, gli alienano la simpatia di filosofi e scienziati accademici.
• 1851-1854: Sistema di politica positiva o trattato di sociologia che istituisce la religione
dell’umanità (4 volumi)
• 1852: Catechismo positivista (Comte si presenta come profeta di una nuova religione )
LEGGE DEI TRE STADI
STADIO FACOLTÁ OGGETTI METODO DI ORGANIZZAZIO
D’INDAGINE SPIEGAZIONE NE POLITICO-
SOCIALE

Teologico o Immaginazione Natura degli Agenti divini Monarchia


«fittizio» esseri, cause (animismo, teocratica e
prime e finali politeismo, militare
monoteismo) (Medioevo)
Metafisico o Ragione Natura degli Forze astratte Sovranità
«astratto» speculativa esseri, cause (essenze, Idee, popolare (spirito
prime e finali monadi, ecc.) critico)
(età moderna
fino alla
rivoluzione
francese)
Positivo o Ragione I fatti e le loro Leggi invariabili Organizzazione
«scientifico» scientifica relazioni scientifica della
società
industriale
LEGGE DEI TRE STADI
• Stadio teologico infanzia dell’individuo e dell’umanità
• Stadio metafisico giovinezza dell’individuo e dell’umanità
• Stadio positivo maturità dell’individuo e dell’umanità

• Lo sviluppo è sempre graduale, non è possibile un salto dal primo al terzo


stadio.

• Ordine teologico-feudale stadio organico *


• Ordine moderno interregno anarchico
• Ordine positivo stadio organico (sociocrazia,
regime fondato sulla sociologia)

• Secondo Saint – Simon (1760-1825) la storia è retta da una legge generale che determina la successione di
epoche organiche e di epoche critiche. L’epoca organica è quella che riposa su credenze ben stabilite , si
sviluppa in conformità di esse e progredisce nei limiti da queste stabiliti. Quando questo progresso fa
mutare l’idea centrale su cui l’epoca organica era imperniata inizia un’epoca critica. Il progresso scientifico
ha distrutto le dottrine teologiche e metafisiche togliendo così il suo fondamento all’organizzazione
sociale del Medioevo. Ci sarà, dunque, un’epoca in cui la nuova filosofia positiva sarà il fondamento di un
nuovo sistema di religione, di politica, di morale e d’istruzione pubblica. Il nuovo potere spirituale sarà in
mano agli scienziati e il nuovo potere temporale sarà affidato agli industriali.
SCIENZA E FILOSOFIA
• La scienza ha come scopo quello di ricavare «delle relazioni
costanti» esistenti tra i fenomeni, le leggi generali della natura: non
ha lo scopo di spiegare il perché dei fenomeni, ma il come i fenomeni
si manifestano. Le leggi generali, poi, ci permetteranno di prevedere
che cosa accadrà e di agire al fine di procurare il massimo vantaggio
alla collettività.

• «scienza, donde previsione; previsione, donde azione»

• La Filosofia positiva studia le «generalità delle diverse scienze», ha il


compito di individuare «esattamente lo spirito di ciascuna scienza»
scoprendo «le loro relazioni e connessioni»; la filosofia diventa
metodologia della scienza, ovvero epistemologia (da epistème=
scienza e logos= discorso, studio)
• Lo strumento con cui la filosofia opera è la classificazione delle
scienze al fine di costruire una nuova enciclopedia del sapere umano
CLASSIFICAZIONE DELLE SCIENZE

• Albero dicotomico
fisica celeste
(astronomia)
fisica inorganica
fisica terrestre
scienze astratte (fisica e chimica)
teoria (fenomeni generali)
fisica organica fisiologia
(biologia)
Attività umane
pratica scienze concrete fisica sociale
(fenomeni particolari) (sociologia)

• Le diverse scienze sono «come rami di un unico tronco» unità del sapere
• L’ordine logico (dal semplice al complesso e dal generale al particolare) coincide con
l’ordine storico del loro sviluppo e con l’ordine pedagogico del loro apprendimento.
LA SOCIOLOGIA
• La sociologia è la scienza a cui tutte le altre sono subordinate, come al loro fine ultimo.
Compito della sociologia: «percepire nettamente il sistema generale delle operazioni
successive, filosofiche e politiche, che devono liberare la società dalla sua fatale tendenza
alla dissoluzione imminente e condurla direttamente ad una nuova organizzazione, più
progressiva e più salda di quella che riposava sulla filosofia teologica».
• I fenomeni sociali vanno considerati come soggetti a leggi naturali che ne rendano possibile
la previsione.

• La SOCIOLOGIA O FISICA SOCIALE è divisa in:

STATICA SOCIALE Studia le condizioni di esistenza di una


società (socievolezza degli uomini, il nucleo
familiare, la divisione del lavoro, ecc.) e le
relazioni esistenti tra le varie parti del
sistema sociale

DINAMICA SOCIALE Studia le leggi di sviluppo , di progresso


della società; la legge fondamentale del
progresso sociale è quella dei tre stadi.
DOTTRINA DELLA SCIENZA

Osservazione dei fatti Momento


teorico (studio
Formulazione delle leggi della natura)
I momenti della scienza
Previsione
Momento pratico
(dominio dell’uomo
Azione sulla natura)
UTILITARISMO DI JEREMY BENTHAM (Londra 1748-1832)

• Opera principale: Introduzione ai principi della morale e della legislazione (1789)

• UTILITARISMO di Bentham: il fine di ogni attività morale e di ogni organizzazione


sociale deve consistere nella «maggiore felicità possibile del maggiore numero
possibile di persone»
• Un’azione, allora, sarà buona quando risulterà utile, contribuendo alla felicità
comune, procurando un piacere o evitando un dolore.
• Bisogna poter calcolare il piacere complessivo che i vari corsi di azione possibili
promettono di offrirci, considerando intensità, durata, prossimità, fecondità,
estensione del piacere che ci aspettiamo di conseguire.
• Bentham e James Mill (1773-1836, esponente del liberalismo inglese), vogliono,
come Comte, che morale, politica, diritto, ovvero le discipline che riguardano
l’uomo divengano una scienza positiva, simile a quella che concerne il mondo
naturale. Le finalità politiche che si crede, però, di conseguire in questo modo
sono liberali e democratiche, a differenza di quanto avveniva nella concezione di
Comte che sfociava in un regime antiliberale e antidemocratico (sociocrazia).
JOHN STUART MILL (Londra 1806, Avignone 1873)

Opere principali:
•Sistema di logica deduttiva e induttiva (1843)
•Saggio Sulla libertà (1859)
•Saggio Sulla servitù delle donne (1873)

•POSITIVISMO E UTILITARISMO
•Mill riprende da Comte l’idea della centralità della rivoluzione scientifica e la
necessità di trasformare la politica in una scienza sperimentale.
•D’altra parte Mill ritiene che Comte abbia concepito un sistema dogmatico e non
sufficientemente fondato sul piano empirico, passando velocemente dai fatti alle
leggi generali, a cui viene riconosciuta una valenza assoluta, metafisica; dal punto di
vista della politica, inoltre, Comte è approdato ad un regime antiliberale.
•Mill recupera l’utilitarismo di Bentham e del padre James, nonché la tradizione
anglosassone dell’empirismo induttivo.
LA LOGICA
Sistema di logica induttiva e deduttiva (1843)

• Scopo della logica di Stuart Mill: riportare ogni verità, principio o dimostrazione alla
validità delle sue basi empiriche.
• Mill definisce la logica come la scienza della prova e dell’evidenza; in questo modo la
metafisica è immediatamente esclusa, in quanto cade fuori dal dominio di questa scienza.
• Eliminando la metafisica Mill elimina ogni fondamento metafisico o trascendente o,
comunque, non empirico delle verità e dei principi universali.
• TUTTE LE VERITA’ SONO EMPIRICHE
• I cosiddetti assiomi (assioma = proposizione, posta a base di un ragionamento, che non ha
bisogno di dimostrazione in quanto per sé evidente) sono anch’essi suggeriti
dall’osservazione: non avremmo mai saputo che due linee rette non possono chiudere
uno spazio, se non avessimo mai veduto una linea retta. L’origine degli assiomi, come
quella di ogni nostra conoscenza, è l’esperienza.
• Persino il principio di non- contraddizione è una generalizzazione d’esperienza, in
quanto, osservando il nostro spirito, ci accorgiamo che nella stessa persona non possono
coesistere due stati opposti come il credere e il non credere, il volere e il non volere. A
tale osservazione possiamo poi aggiungere quelle che riguardano la natura e ci rivelano
l’opposizione e la reciproca esclusione di luce e tenebre, suono e silenzio, movimento e
quiete, ecc.
LA LOGICA
• Mill critica, quindi, la logica classica e, in particolare, il sillogismo (ragionamento
deduttivo):
• ESEMPIO: «Tutti gli uomini sono mortali (premessa maggiore), Socrate è un uomo
(premessa minore); Socrate è mortale (conclusione)»
• Secondo Mill la premessa maggiore non consiste, come si sosteneva nell’ambito della
logica classica, in un assioma tanto evidente da non dover essere dimostrato, ma
l’affermazione universale della mortalità umana si basa sulla generalizzazione di un
gran numero di casi particolari osservati nell’esperienza, ossia su un’induzione.
• L’induzione giunge, attraverso l’analisi di alcuni casi particolari, ad una proposizione
generale in virtù del PRINCIPIO DI ASSOCIAZIONE o dell’ANALOGIA.
• ESEMPIO: Come nasce la proposizione «tutti gli uomini sono mortali»:
Se Giacomo è mortale, se Tommaso, che assomiglia Giacomo, è mortale,
se Giovanni che assomiglia a Giacomo e Tommaso, è mortale, allora anche
Socrate, che assomiglia a Giacomo, Tommaso e Giovanni, sarà mortale; da ciò
concluderò che tutti coloro che assomigliano a Socrate, Giacomo, Tommaso, ecc. (ossia
tutti gli uomini) sono mortali.
• Quella che chiamiamo «proposizione generale» non è che un modo per conservare nella
memoria molti fatti particolari.
La logica

• L’uomo può imparare solo dall’esperienza che ci offre solo e sempre casi
particolari.

• Le presunte verità assiomatiche nascono da un processo mentale di economia:


la mente fissa nella memoria una proposizione generale che riassume molti
fatti particolari incontrati nell’esperienza.

• Ogni inferenza (modo con il quale noi estendiamo le nostre conoscenze al di là dei
dati che l’esperienza ci offre immediatamente ricavando proposizioni conseguenti
da proposizioni precedenti) è sempre da particolare a particolare e le proposizioni
generali sono sintesi di fatti osservati in passato valide per i fatti simili che
verranno osservati in futuro.
LA LOGICA

• Non esistono scienze deduttive; tutte le scienze si fondano sull’induzione perché


non è possibile valicare i limiti dell’esperienza.
• Ciò che ci permette di ritenere che ciò che è vero in un certo momento sarà vero in
circostanze simili in ogni momento, ovvero il fondamento dell’induzione è il
presupposto dell’uniformità della natura .
• Secondo Mill anche il principio dell’uniformità del corso della natura non è una
verità evidente e ammessa a-priori, ma è una generalizzazione fondata su altre
generalizzazioni precedenti: l’osservazione di un’uniformità in una molteplicità di
casi particolari ci permette di concludere un principio generale di uniformità.

dal generale al particolare


(deduzione)
E si fonda
Bensì sul principio
Ogni inferenza dal
è empirica e particolare della
non procede al particolare uniformità
dal particolare al generale
(Induzione) della natura

«Ogni inferenza è da particolare a particolare: le proposizioni generali sono pure e semplici


registrazioni di inferenze già fatte, e formule abbreviate per farne di più»
La logica
• Ora il problema che si pone è quello della legittimità dell’induzione stessa: se, infatti,
essa è essenzialmente un passaggio dal particolare al particolare, che cosa autorizza
l’aspettativa che tale passaggio sia valido per tutti i casi particolari?
• Che cosa ci autorizza a ritenere che l’analogia associativa che applico al caso di Giacomo,
Tommaso, Giovanni e Socrate, sia perciò valida in tutti i casi affini che mi si
ripresenteranno?
• Hume riteneva che tale conclusione fosse il risultato di una semplice credenza psicologica,
basata sull’abitudine associativa.
• Per Mill, invece, noi siamo indotti a credere alle nostre generalizzazioni analogiche in
base al principio stesso dell’induzione: l’uniformità del corso degli eventi naturali. La
validità di tale principio è garantita, a sua volta, dall’esperienza, ovvero dall’induzione
stessa. Il circolo vizioso in cui sembra di cadere secondo Mill è solo apparente.
• Egli ritiene che solo l’esperienza possa essere criterio di se stessa, poiché nessun criterio
estrinseco potrebbe fondatamente renderne ragione: l’esperienza ci presenta delle
connessioni uniformi e questo basta ad autorizzarci a trarne conclusioni conformi.
• Nel momento in cui dovesse accadere che l’esperienza ci presenti casi difformi da quelli
sin qui constatati (come, per esempio, uomini che non muoiano mai) allora saremmo
anche autorizzati a modificare, sempre sulla base dell’esperienza, le nostre conclusioni
precedenti.
Sociologia e psicologia

• Mill si chiede se l’uomo può essere oggetto di studio di un sapere scientifico capace di
ridurre a leggi prevedibili il suo comportamento, sia individuale che collettivo.
• Dal momento che non è possibile prendere in esame l’infinito numero dei condizionamenti
esterni che operano su ogni singolo individuo (ambiente, famiglia, cultura, situazione
materiale, ecc) le leggi della psicologia e della sociologia non saranno certe, come quelle
della fisica, ma «quasi certe».
• Vista la complessità dell’oggetto d’indagine di tali discipline (l’uomo, appunto) limitarsi ad
una «quasi certezza» è, comunque, sufficiente a garantire il loro statuto di scientificità.
• L’uomo, secondo Mill, risulta, inoltre, condizionato da una serie di fattori esterni, ma, al
tempo stesso libero, dal momento che per mezzo della forza di volontà è in grado di
cambiare se stesso.
• La forza di volontà si configura, dunque, come una sorta di condizionamento interno,
capace di contrastare gli effetti dei condizionamenti esterni sulla formazione e sullo sviluppo
del nostro carattere.
Sulla libertà (On Liberty – 1859)
• Mill non si limita ad affrontare il tema della libertà politica, che tutela il singolo dalla
possibile oppressione dello Stato, ma estende la sua riflessione alla libertà che definisce
civile o sociale:

«L'idea secondo cui non vi è necessità che il popolo limiti il proprio potere su se stesso poteva
sembrare assiomatica in tempi in cui il governo popolare era solo un obiettivo fantasticato o
lo si conosceva attraverso le letture, come fenomeno di un lontano passato: né venne
necessariamente scossa da aberrazioni temporanee come quelle della Rivoluzione francese,
le peggiori delle quali erano opera di pochi usurpatori, e che comunque non erano proprie
del funzionamento permanente di istituzioni popolari, ma di un'improvvisa e convulsa
esplosione contro il dispotismo monarchico e aristocratico. A un certo punto, tuttavia, vi fu
una repubblica democratica che si sviluppò fino a occupare una vasta distesa di territorio e a
far sentire il proprio peso come uno dei membri più potenti nella comunità delle nazioni; e
in questo modo il governo elettivo e responsabile divenne oggetto delle osservazioni e delle
critiche che accompagnano ogni grande realtà. Ci si rese allora conto che espressioni come
"autogoverno" e "potere del popolo su se stesso" non esprimevano il vero stato delle cose. Il
"popolo" che esercita il potere non coincide sempre con coloro sui quali quest'ultimo viene
esercitato; e l'"autogoverno" di cui si parla non è il governo di ciascuno su se stesso, ma
quello di tutti gli altri su ciascuno. Inoltre, la volontà del popolo significa, in termini pratici, la
volontà della parte di popolo più numerosa o attiva – la maggioranza, o coloro che riescono
a farsi accettare come tale; di conseguenza, il popolo può desiderare opprimere una propria
parte, e le precauzioni contro ciò sono altrettanto necessarie quanto quelle contro ogni altro
abuso di potere. […]»
Sulla libertà (On Liberty – 1859)
«La società può eseguire, ed esegue, i propri ordini: e se gli ordini che emana sono sbagliati, o
comunque riguardano campi in cui non dovrebbe interferire, esercita una tirannide sociale più
potente di molti tipi di oppressione politica, poiché, anche se generalmente non viene fatta
rispettare con pene altrettanto severe, lascia meno vie di scampo, penetrando più
profondamente nella vita quotidiana e rendendo schiava l'anima stessa. Quindi la protezione
dalla tirannide del magistrato non è sufficiente: è necessario anche proteggersi dalla tirannia
dell'opinione e del sentimento predominanti, dalla tendenza della società a imporre come
norme di condotta e con mezzi diversi dalle pene legali, le proprie idee e usanze a chi dissente,
a ostacolare lo sviluppo – e a prevenire, se possibile, la formazione – di qualsiasi individualità
discordante, e a costringere tutti i caratteri a conformarsi al suo modello. Vi è un limite alla
legittima interferenza dell'opinione collettiva sull'indipendenza individuale: e trovarlo, e
difenderlo contro ogni abuso, è altrettanto indispensabile alla buona conduzione delle cose
umane quanto la protezione dal dispotismo politico. […]Di conseguenza, le opinioni degli uomini
su ciò che sia degno di lode o di biasimo sono condizionate da tutte le molteplici cause che ne
influenzano i desideri riguardanti l'altrui condotta, le quali sono altrettanto numerose quanto
quelle che determinano i desideri umani in ogni altro campo. Talvolta è la ragione; talaltra i
pregiudizi o le superstizioni; spesso le passioni sociali, non di rado quelle antisociali, l'invidia o la
gelosia, l'arroganza o il disprezzo; ma soprattutto i desideri o le paure per se stessi – gli interessi
personali, legittimi o illegittimi. Dovunque vi sia una classe dominante, la morale del paese
emana, in buona parte, dai suoi interessi di classe e dai suoi sentimenti di superiorità di classe.
[…]» (On Liberty, 1859)
Mill, in sintonia con il francese Alexis de Tocqueville, nella sua La democrazia in America (1832)
coglie il pericolo che il conformismo rappresenta per le società moderne.
Sulla libertà (On Liberty – 1859)
Mill ritiene che ogni individuo debba essere messo nelle condizioni di sviluppare a pieno le
proprie potenzialità e che la società non debba cadere nell’errore di soffocare le differenze
individuali, condannando le scelte che si discostano da quelle adottate dai più. Così facendo la
società recherebbe danno non solo ai singoli individui, ma anche a se stessa, in quanto finirebbe
per impoverirsi riducendo la creatività, la molteplicità, le differenze ed i contrasti culturali e
psicologici, ovvero quei fattori che garantiscono lo sviluppo e l’arricchimento della società stessa.
«Come è utile che fino a quando l'umanità non sarà perfetta vi siano differenze d'opinione, così lo
è che vi siano differenti esperimenti di vita; che le diverse personalità siano lasciate libere di
esprimersi, purché gli altri non ne vengano danneggiati; e che la validità di modi di vivere diversi
sia verificata nella pratica quando lo si voglia. In breve, è auspicabile che l'individualità sia libera
di affermarsi nella sfera che non riguarda direttamente gli altri. Quando la norma di condotta
non è il carattere individuale ma le tradizioni o le consuetudini degli altri, viene a mancare uno
dei principali elementi della felicità umana, e l'elemento sicuramente principale del progresso
individuale e sociale. […] Se la gente si rendesse conto che il libero sviluppo dell'individualità è
uno degli elementi fondamentali del bene comune; che non solo è connesso a tutto ciò che viene
designato da termini come civiltà, istruzione, educazione, cultura, ma è di per se stesso parte e
condizione necessaria di tutte queste cose, non vi sarebbe il pericolo che la libertà venisse
sottovalutata, e la definizione dei confini tra essa e il controllo sociale non presenterebbe enormi
difficoltà. Ma il male è che comunemente il valore intrinseco della spontaneità individuale – il
fatto che è di per se stessa degna di considerazione – è a malapena riconosciuto. I più, soddisfatti
della vita così come è (perché sono loro a renderla così come è) non riescono a capire perché non
debba andar bene a tutti[…]»
«In terzo luogo, anche se questeSulla libertà (Onsono
consuetudini Liberty – 1859)
sia positive in quanto tali sia adatte al caso
particolare, tuttavia il conformarsi semplicemente alla consuetudine in quanto tale non educa o
sviluppa nell'individuo le qualità che sono patrimonio caratteristico di un essere umano. Facoltà
umane quali la percezione, il giudizio, il discernimento, l'attività mentale, e persino la preferenza
morale, si esercitano soltanto nelle scelte. Chi fa qualcosa perché è l'usanza non opera una
scelta, né impara a discernere o a desiderare ciò che è meglio. I poteri mentali e morali, come
quelli muscolari, si sviluppano soltanto con l'uso. Facendo qualcosa soltanto perché gli altri la
fanno non si esercitano queste facoltà, non più che credendo a qualcosa solo perché altri ci
credono. Se i fondamenti su cui si basa un'opinione non convincono completamente la ragione
individuale, quest'ultima non può essere rafforzata e anzi spesso viene indebolita dalla sua
adozione. Analogamente se le motivazioni di un atto non sono consone ai sentimenti e al
carattere di un individuo (in casi che non coinvolgano gli affetti, o i diritti altrui), compierlo
contribuirà a renderli inerti e torpidi invece che attivi e energici. Chi permette al mondo, o alla
parte di esso in cui egli vive, di scegliergli la vita non ha bisogno di altre facoltà che di quella
dell'imitazione scimmiesca. Chi si sceglie la vita esercita tutte le sue facoltà. Deve usare
l'osservazione per vedere, il ragionamento e il giudizio per prevedere, l'attività per raccogliere gli
elementi decisionali, il discernimento per decidere, e, una volta presa deliberatamente la
decisione, la fermezza e il controllo di sé per attenervisi. E queste qualità gli servono, e le
esercita, esattamente nella misura in cui determina la propria condotta secondo il proprio
giudizio e i propri sentimenti. Può accadere che finisca su una buona strada, e non gli accada
nulla di male, senza che faccia nulla di tutto ciò. Ma quale sarà il suo valore relativo in quanto
essere umano? Non sono soltanto le azioni degli uomini a essere realmente importanti, ma anche
i generi di uomini che le compiono. Tra le opere umane che la vita giustamente si sforza di
perfezionare e rendere più belle, la prima in ordine d'importanza è sicuramente l'uomo stesso.
«Ma oggi la società ha senzaSulla libertà
dubbio (On sull'individualità;
prevalso Liberty – 1859) e il periodo che minaccia la
natura umana non è l'eccesso, ma la carenza di impulsi e preferenze individuali. La situazione è
molto cambiata da quando le passioni di chi era più forte, per posizione sociale o per doti
personali, erano in una condizione di rivolta permanente contro la legge e l'ordine, e rendevano
necessario incatenarle rigorosamente per permettere a chi si trovava nel loro raggio d'azione di
godere di un minimo di sicurezza. Nella nostra epoca, tutti, dalla più elevata alla più infima
classe sociale, vivono come se fossero sotto lo sguardo di un censore ostile e tremendo. Non
soltanto nelle questioni che riguardano gli altri, ma anche in quelle che riguardano soltanto loro,
l'individuo o la famiglia non si chiedono "Che cosa preferisco?" oppure "Che cosa si addice al
mio carattere e alle mie inclinazioni?", o "Che cosa permetterebbe alle mie qualità migliori e più
elevate di esprimersi e di crescere rigogliosamente?": si chiedono "Che cosa si addice alla mia
posizione?", "Come si comportano abitualmente le persone della mia condizione economica e
sociale?" o (peggio ancora) "Come si comportano abitualmente le persone di condizioni
economiche e sociali superiori alle mie?". Non voglio dire che scelgono la consuetudine invece
di ciò che si addice alle loro inclinazioni: non hanno inclinazioni che non siano per la
consuetudine. Così la stessa mente si piega sotto il giogo: persino negli svaghi, gli uomini
pensano prima di tutto a conformarsi; gli piace stare tra la folla; esercitano la scelta solo tra
cose e pratiche comuni; sfuggono l'originalità del gusto e l'eccentricità di comportamento
come fuggono il crimine, finché a forza di non seguire la propria natura non hanno più natura
propria; le loro facoltà umane deperiscono e si inaridiscono; diventano incapaci di desideri
vigorosi e di piaceri naturali, e generalmente sono privi di opinioni e sentimenti
autonomamente sviluppati, o che possano chiamare propri. È questa dunque la condizione
auspicabile della natura umana?» (On Liberty, 1859)
Il progresso: un’opportunità o una minaccia?
Il progresso è considerato da Mill come:
•Opportunità, dal momento che lascia aperta la speranza di un mondo migliore, in cui vengano
sconfitte la povertà e l’ignoranza
•Una minaccia, perché una società in cui tutti i cittadini sono dotati della stessa cultura e vivono
nel medesimo modo rischia di trasformarsi in una società dispotica, ovvero una società in cui la
maggioranza opprime le minoranze imponendo i propri valori contro quelli delle minoranze,
appunto.
•Mill è consapevole, d’altra parte, del fatto che lo sviluppo industriale e la crescita della cultura
scientifica avevano reso inadeguata e anacronistica la limitazione dei diritti politici ad una
ristretta fascia di uomini possidenti e colti (come imponeva la concezione del liberalismo classico
di primo Ottocento). Occorreva tener conto dell’ingresso delle masse sulla scena sociale e
prevedere un progressivo allargamento del diritto di voto fino al suffragio universale.
•La democrazia rappresenta la migliore forma di organizzazione politica in quanto promuove la
moralità e la cultura civica dei cittadini mediante la partecipazione al governo e al dibattito
politico e culturale. Infatti, il fine di ogni istituzione politica è «di appurare fino a quale livello
possano svilupparsi le qualità morali, intellettuali e pratiche del cittadino».
•I cittadini dovrebbero, dunque, essere coinvolti nel maggior numero possibile
nell’amministrazione locale e nell’amministrazione della giustizia, in qualità di giurati; il modello
insuperato, anche se non realizzabile nell’ambito di una società moderna, rimane quello della
democrazia diretta dell’antica Atene.
La servitù delle donne (1869)
Mill, da filosofo e da parlamentare alla Camera dei Comuni, insieme alla moglie Harriet Taylor,
si impegnò contro l’oppressione delle donne e a favore della conquista della parità dei diritti
politici e giuridici fra donne e uomini.

Nel testo La servitù delle donne Mill e


Taylor esaminano:
•I motivi della secolare subordinazione
della donna nella società
•L’ipotesi di una riforma del diritto di
famiglia sulla base dell’uguaglianza e
reciprocità dei diritti e dei doveri dei
coniugi nel contratto di matrimonio e
l’istituzione del divorzio
•La questione dell’accesso delle donne al lavoro, alle professioni e agli incarichi pubblici
•L’utilità, oltre alla giustizia, dell’emancipazione femminile per tutta la società
La servitù delle donne (1869)

«In prima l’opinione che subordina un sesso all’altro, non si basa che sopra teorie; non si è
giammai esperimentato un altro sistema, e non si può pretendere che l’esperienza, che si
riguarda comunemente come l’antitesi della teoria, abbia qui pronunciato. Arrogesi che,
l’adozione del regime della disuguaglianza non è stata mai il risultato della deliberazione, del
libero pensiero, d’una teoria sociale, o d’una cognizione qualunque dei mezzi d’assicurare il
benessere umano e di stabilire nella società il buon ordine. Questo regime non ha altra origine
che dall’essersi la donna trovata in balìa dell’uomo, fin dai primi giorni della umana società,
avendo questo, interesse di possederla e non potendo ella resistergli per l’inferiorità della sua
forza muscolare. Le leggi ed i sistemi sociali cominciano sempre dal riconoscere i rapporti già
esistenti fra le persone. Ciò che non era dapprima che un fatto brutale, divenne un diritto legale,
guarentito dalla società, appoggiato e protetto dalle forze sociali, sostituitesi alle contese senza
ordine e senza freno della forza fisica. Gli individui che erano prima costretti ad obbedire per
forza, dovettero poscia obbedire in nome della legge. La schiavitù che non era dapprincipio che
una questione di forza fra il padrone e lo schiavo, divenne così una istituzione legale: gli schiavi
furono compresi nel patto sociale per il quale i padroni si impegnavano a guarentirsi e
proteggersi reciprocamente la loro proprietà colla loro forza collettiva. Nei primi tempi storici la
grande maggioranza del sesso maschile era schiava come la totalità del sesso femminile. Molti
secoli trascorsero, e secoli illustrati da una brillante coltura intellettuale, prima che dei pensatori
avessero l’audacia di contestare la legittimità o l’assoluta necessità dell’una o dell’altra delle due
schiavitù.
«Finalmente questi pensatori comparvero, e coll’aiuto del progresso generale della società, la
schiavitù del sesso maschile finì per essere abolita presso tutte le nazioni cristiane d’Europa
(esisteva ancora or fanno appena cinque o sei anni, presso l’una di esse), e la schiavitù della
donna si modificava, poco a poco, in una subordinazione temperata. Ma questa subordinazione
tal quale sussiste oggidì, non è una istituzione adottata, dietro matura deliberazione, per
considerazioni di giustizia o di sociale utilità; è lo stato primitivo di schiavitù, che si perpetua
attraverso una serie di addolcimenti e di modificazioni dovute agli stessi fattori che hanno mano
mano civilizzato le forme e subordinato le azioni degli uomini al controllo della giustizia ed
all’influenza di idee umanitarie; la brutale impronta della sua origine non è scancellata. Non v’è
dunque nessuna presunzione da cavare, dall’esistenza di questo regime, in favore della sua
legittimità. Tutto quanto se ne può dire si è ch’esso è durato fino ad oggi, mentre altre istituzioni
escite al par di esso dalla stessa sozza sorgente, sono scomparse; ed in fondo, è appunto questo
che dà una strana fisonomia all’affermazione che la disparità di diritti fra l’uomo e la donna non
ha altra origine che la legge del più forte. […]
Qualunque sia la soddisfazione dell’orgoglio nell’esercizio del potere, e qualunque ne sia
l’interesse, questa soddisfazione e questo interesse non sono il privilegio di una classe, essi sono
del sesso maschile tutto intero. In luogo d’essere per la massima parte dei suoi partigiani una
cosa desiderabile in modo astratto, o come i fini politici, che i partiti tentano raggiungere
attraverso le loro discussioni, di mediocre importanza per l’interesse privato di tutti, i minori
eccettuati; questo potere ha la sua radice nel cuore di ogni individuo maschio, capo di famiglia,
e di tutti quelli che si vedono in futuro investiti di questa dignità. Il rustico esercita, o può
esercitare la sua parte di dominazione, al par del più eccelso personaggio.
La servitù delle donne (1869)
«Gli è anzi per questi che il desiderio del potere è più intenso, perchè colui che desidera il
potere, vuol soprattutto esercitarlo sopra quelli che lo circondano, coi quali passa la sua vita,
ai quali è unito per interessi comuni, e che se fossero indipendenti dalla sua autorità potrebbero
approfittarne per opporsi alle sue personali preferenze. Se nei citati esempi non si è rovesciato
che con tanti sforzi e tanto tempo, dei poteri manifestamente basati sulla forza sola, e molto
men puntellati, a più forte ragione il potere dell’uomo sulla donna, quand’anche non si basasse
sopra fondamenti più solidi, dev’essere inespugnabile. Noi rifletteremo altresì che i possessori di
questo potere sono assai meglio collocati che gli altri per impedire una ribellione. Qui il suddito
vive sotto l’occhio e si può dire sotto la mano del padrone, in una unione assai più intima col
padrone che non con qualunque altro compagno di servitù; non vi ha mezzo di complottare
contro di lui, nessuna forza per vincerlo neppure sopra un punto solo, e d’altra parte egli ha le
più forti ragioni per procurarsene il favore ed evitare di offenderlo. Nelle lotte politiche per la
libertà, chi non ha visto i suoi propri partigiani dispersi dalla corruzione e dal terrore? Nella
questione delle donne tutti i membri della classe in servitù, sono nello stato cronico di
corruzione e di intimidazione combinate. Quando essi inalberino la bandiera della rivolta, la
maggior parte dei capi, e soprattutto la maggioranza dei semplici combattenti, debbono fare
sagrificio pressochè completo dei piaceri e delle dolcezze della vita. Se un sistema di privilegio e
di servitù forzata, ha mai ribadito il giogo sul collo che fa piegare, è questo. Io non ho per anco
dimostrato che questo sistema è cattivo: ma chiunque è capace di riflettere sopra questa
questione deve vedere che anche cattivo, esso deve durare più che qualsiasi altra forma ingiusta
d’autorità: che in un’epoca nella quale le più grossolane esistono ancora presso parecchie
nazioni civilizzate, e non furono che da poco tempo distrutte presso altre, sarebbe strano che la
più radicata di tutte avesse toccato in qualche punto delle breccie importanti.
«V’è ben più presto da stupire ch’essa abbia sollevato proteste sì numerosi e sì forti.
Si obbietterà che non è esatto il paragone fra il governo del sesso maschile e le forme d’ingiusta
dominazione che abbiamo ricordate, perchè queste sono arbitrarie, mentre quella è naturale.
Ma qual dominazione sembra mai contro natura a coloro che la posseggono? Fu un tempo in
cui gli spiriti avanzati riguardavano, come naturali, la divisione della specie umana in due parti,
una piccola composta di padroni, una numerosa composta di schiavi, e vi vedevano lo stato
naturale della razza. Aristotile egli stesso, questo genio che tanto fece pel progresso del
pensiero, Aristotile sostenne questa opinione! Egli non ebbe incertezza, non esitò punto; egli la
dedusse dalle stesse premesse dalle quali si deduce ordinariamente che la dominazione
dell’uomo sulla donna è naturale. Egli opinava che vi erano nell’umanità, uomini di diversa
natura, gli uni liberi, gli altri schiavi; che i Greci erano di natura libera, e le razze barbare, i Traci,
e gli Asiatici di natura schiava.[…] Tanto è vero che la frase contro natura vuol dire contro il
costume, e niente altro, e che tutto quel che è abituale sembra naturale. La subordinazione
della donna all’uomo è un costume universale, una derogazione a questo costume appare
dunque affatto naturalmente contro natura. […] Non v’ha dubbio che l’esempio di Sparta non
abbia ispirato a Platone fra l’altre idee anche quella dell’eguaglianza politica e sociale dei sessi.
Se non che, si obietterà che la dominazione dell’uomo sulla donna differisce da tutti li altri
generi di dominazione in questo che non impiega la forza: essa è volontariamente accettata; le
donne non se ne lagnano e vi si sottomettono di pieno loro consentimento. In prima un gran
numero di donne non l’accetta. Dacchè si son viste donne capaci di far conoscere i loro
sentimenti cogli scritti, questo solo mezzo di pubblicità che la società loro concede, ve n’ebbe
sempre, e ve n’ha ogni giorno di più, per protestare contro la loro attuale condizione sociale.
La servitù delle donne (1869)
«Recentemente, parecchie migliaia di donne, principiando dalle più distinte, hanno diretto al
parlamento delle petizioni per ottenere il diritto di suffragio nelle elezioni parlamentari. I
reclami delle donne che chiedono una educazione solida ed estesa come quella degli uomini si
fanno ogni dì più calzanti, ed il loro successo pare dover essere sicuro. D’altro lato le donne
insistono per essere ammesse alle professioni ed alle funzioni che furono loro fino ad oggi
negate. Senza, dubbio in Inghilterra, come negli Stati Uniti, non esistono convenzioni
periodiche, né v’è un partito organizzato per far propaganda in favore dei diritti delle donne, ma
v’è una società composta di membri numerosi ed attivi organizzata e diretta dalle donne per
uno scopo meno radicale, cioè di ottenere il diritto di suffragio. Non è soltanto in Inghilterra ed
in America che le donne cominciano a protestare, alleandosi più o meno contro le incapacità
che le colpiscono. La Francia, l’Italia, la Svizzera e la Russia ci offrono lo spettacolo di un egual
movimento. Chi può contare quante donne nutrono in silenzio le stesse aspirazioni? Vi sono
molte ragioni per presumere che queste sarebbero ancora assai più numerose, se non si
addestrassero così bene a reprimere queste aspirazioni come contrarie alla parte assegnata al
loro sesso. […] Tutte le condizioni sociali e naturali concorrono a rendere pressappoco
impossibile una ribellione generale delle donne contro l’autorità degli uomini. La loro
posizione ne è ben diversa da quella delle altre classi di sudditi. I loro padroni ne esigono assai
maggiore servitù. Gli uomini non s’appagano dell’obbedienza delle donne. Essi si arrogano un
diritto anche sui loro sentimenti. Tutti, i più brutali eccettuati, vogliono avere nella donna che è
loro strettamente unita, non una schiava sol-tanto, ma una favorita. Conseguentemente, essi
nulla trascurano per educare il suo spirito al servilismo. I padroni d’altri schiavi, contano sul
timore che ispirano essi stessi, o che ispira la religione, per assicurarsi la loro obbedienza.
«I padroni delle donne vogliono più dell’obbedienza, per cui han rivolto a profitto dei loro
disegni tutte le forze dell’educazione. Tutte le donne si allevano dall’infanzia nella credenza che
l’ideale del loro carattere è l’antitesi di quello dell’uomo: esse sono educate a non volere da sè
medesime, a non condursi dietro la volontà loro, ma a sottomettersi e cedere all’altrui. Ci si
dice, in nome della morale che il dovere della donna è di vivere per gli altri, ed in nome del
sentimento che la natura lo vuole: s’intende ch’ella faccia abnegazione completa di sè stessa,
ch’ella non viva che dei suoi affetti, cioè dei soli affetti che le si permettono dall’uomo al quale è
unita, o dai figli che costituiscono fra lei e l’uomo un vincolo novello ed irrevocabile.[…] Oggi nei
paesi più avanzati l’incapacità delle donne è l’unico esempio, uno eccettuato, in cui le leggi
colpiscono un individuo dalla sua nascita e decretano ch’egli non sarà mai tutta la sua vita
durante, autorizzato a concorrere a date posizioni. La sola eccezione è la dignità reale. Vi sono
ancora persone che nascono pel trono; niuno può salirvi, a meno di essere della famiglia
regnante, ed in questa stessa famiglia, niuno può arrivarvi che per le norme della successione
ereditaria. Tutte le altre dignità, tutti gli altri vantaggi sociali sono aperte al sesso maschile tutto
intero; parecchi non possono, è vero, essere conseguiti che colle ricchezze, ma tutti hanno
diritto di conquistare la ricchezza; e molti arrivati dalle più umili classi la conseguono. La pluralità
incontra, è vero delle difficoltà che non possono superarsi che coll’aiuto di propizi accidenti, ma
nessun individuo maschio è colpito da legale interdizione; niuna legge, nessuna opinione
aggiunge agli ostacoli naturali, un ostacolo artificiale. […] Se si fossero trovate delle società
composte d’uomini senza donne, o di donne senza uomini, o d’uomini e di donne non posti fra
loro in rapporti di sovranità e sudditanza, si potrebbe sapere qualche cosa di positivo sulle
differenze morali ed intellettuali inerenti alla costituzione dei due sessi.
La servitù delle donne (1869)
«Ciò che si chiama oggi la natura della donna è un prodotto eminentemente artificiale; è il
risultato di una compressione forzata in un senso, e di uno stimolo fuor di natura in un altro. Si
può arditamente affermare che il carattere dei sudditi non è mai stato così completamente
deformato dai rapporti coi loro padroni nelle altre sorta di dipendenza; poichè se razze schiave,
o popoli sottomessi dalla conquista furono sotto certi aspetti più energicamente compressi,
tutte le loro tendenze che un giogo di ferro non ha schiacciate, se esse hanno avuto qualche
agio di svilupparsi, hanno seguito una evoluzione naturale. Ma per le donne, si è sempre
adoperato, a sviluppare date attitudini della loro natura, una coltura di serra calda, in vista
degli interessi e dei piaceri dei loro padroni. […]
Dopo le necessità di primo ordine, il cibo e il vestimento, la libertà è il primo superiore bisogno
della natura umana. Finchè gli uomini non avevano diritti legali, essi agognavano ad una libertà
senza limiti, dacchè hanno imparato a comprendere il senso del dovere, ed il valore della
ragione essi tendono di più in più a lasciarsi guidare dal dovere e dalla ragione nell’esercizio
della loro libertà, e non sono disposti ad accettare l’altrui volontà qual rappresentante ed
interprete di questi principi regolatori. Al contrario le comunità dove la ragione è stata più
coltivata e dove l’idea del dovere sociale è stata più possente sono le stesse che hanno più
fermamente affermato la libertà di ciascuno a regolare la sua condotta dietro il sentimento che
ha del dovere, e dietro le leggi e norme sociali alle quali la sua coscienza può sottoscrivere».
(Jhon Stuart Mill, La servitù delle donne)
La servitù delle donne (1869)
• La situazione analizzata da Mill, ovvero l’esclusione delle donne dalla piena titolarità dei
diritti, è un fatto antistorico, dal momento che la società moderna si caratterizza come una
società fondata sul principio che ogni individuo ha la libertà e la responsabilità di
progettare la sua vita.
• Le leggi che precludono alle donne l’accesso alla proprietà e al lavoro sono leggi che
vorrebbero lasciare metà del genere umano fuori dalla modernità e per questo sono
destinate ad essere travolte dal progresso.
• La condizione giuridica del matrimonio nel corso dell’Ottocento era tale da negare alla
donna la possibilità di detenere qualsiasi proprietà privata; i figli stessi dipendevano solo
dalla volontà del marito; nel caso in cui la donna si separasse dal marito perderebbe ogni
bene e dovrebbe rinunciare ai figli. Violenze e maltrattamenti subiti dal marito non erano
motivi sufficienti per concedere separazioni legali.
• Mill riteneva che fosse, di conseguenza, necessaria una legge che tutelasse le donne rispetto
all’arbitrio di eventuali mariti violenti dal momento che le leggi servono a prevenire e
vietare i reati e quindi «non devono adattarsi agli uomini buoni, bensì a quelli cattivi».
• Tutti gli argomenti che fanno appello alla «natura della donna» per giustificare la sua
esclusione dall’attività pubblica e, in generale, dalle professioni, sono frutto di un
pregiudizio, visto che la natura delle donne non è conoscibile in assenza di una scienza
oggettiva del comportamento umano.
La servitù delle donne (1869)
• L’emancipazione delle donne sarà possibile solo con la presa di coscienza da parte delle
oppresse della loro condizione di oppressione.
• Tale emancipazione, oltre ad essere giusta, si rivelerà utile per l’intera società in quanto
contribuirà a fare avanzare il principio individuale del merito. La società premoderna, infatti
si basava sul privilegio e sull’esaltazione del fattore della nascita, mentre la fine del
pregiudizio contro le donne determinerebbe un superamento definitivo di questa logica e
l’affermazione piena del valore dell’intraprendenza.
• La partecipazione delle donne al mondo del lavoro, della politica, delle arti e delle scienze
garantirebbe grandi passi avanti in ognuno di questi ambiti, grazie alla concorrenza fra i
talenti e all’aumento delle ore di lavoro spese per il benessere individuale e collettivo.
• Il vantaggio maggiore sarebbe, infine, quello della libertà stessa, intesa come libertà e
responsabilità di progettare la propria esistenza senza sottostare ad alcun
condizionamento.

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