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Il Medioevo

Latino
DALLE ORIGINI SINO A DANTE
La citazione migliore che riflette
l'approccio adottato… "È un
piccolo passo per un uomo e un
grande passo per l'umanità."

- NEIL ARMSTRONG
Il concetto Medioevo nacque dalla riflessione degli umanisti quattro-cinquecenteschi, impegnati a rivendicare la novità della
loro cultura: essi giudicavano negativamente i secoli della storia europea seguiti dalla caduta dell’Impero romano d’Occidente,
vedendoli come un’interruzione della tradizione classica, come un lungo periodo di tenebre, che era stato superato soltanto dalle
loro moderne esperienze, tese a ripristinare i valori autentici della cultura antica, a riscoprirli nella loro integrità e originalità.
L’accezione negativa e polemica del Medioevo, elaborato dagli umanisti andò accentuandosi nei secoli successivi: prima per
effetto della Riforma Protestante, che vide in quell’età l’oscuro trionfo della Chiesa di Roma e del suo potere temporale, il
tradimento dei valori del cristianesimo originario; per effetto dell’Illuminismo, elaborarono il Medioevo come l’immagine della
notte dei tempi, cioè interpretando i secoli del Medioevo come dominanti dalle barbarie, dall’irrazionalità, dalla superstizione
religiosa. Ovvero un periodo buio, come disse Carducci, un progresso tenebroso nel cammino dell’umanità verso il progresso e
il trionfo della ragione. I termini Medioevo e Medievale, mantengono una generica valenza negativi e vengono riferiti, al di là di
quel particolare periodo storico, a ogni forma di oscurantismo, di arretratezza, di violenza sociale ecc. E’ necessario dare
comunque un nome a una certa zona storica, sia perché quella zone è oggetto di studio da parte di una disciplina ben precisa,
detta appunto storia medievale. Nel secolo 900’ questa disciplina ha avuto uno sviluppo notevolissimo, la quale analizza la vita
concreta e gli ideali di quel momento identificato come medievale. Il punto di partenza è quello del crollo dell’impero Romano
d’Occidente e la dissoluzione del mondo antico, per effetto delle invasioni barbariche. Nulla di più simbolico è la deposizione
dell’ultimo imperatore d’Occidente, Romolo Augusto, da parte dal barbato Odoacre. Una frattura molto più determinante
producono, nella penisola italiana, le devastazioni e le stragi della ferocissima guerra greco-gotica e l’invasione di una delle
stirpe più conosciute, ovvero quella dei Longobardi: la loro invasione germanica, portò a distruggere definitivamente l’unità
politica italiana. La frattura tra Medioevo ed età moderna, si colloca tra 300’ e 400’, quando operano i primi umanisti italiani, o
nel pieno 300’, quando è attivo il loro padre riconosciuto, ovvero Petrarca. Il punto di vista della storia religiosa, può giungere
sino alla rottura determinata dalla Riforma protestante (tesi di Lutero, 1517); il punto di vista della storia politica spinge sino al
1453..

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.. Con la caduta dell’impero bizantino per opera dei Turchi, o al 1492, con la scoperta dell’America. Per quanto riguarda l’Italia,
questa frattura prende l’avvio all’inizio del secolo XIII, quando si compongono i primi testi in una vera e propria letteratura
volgare, anche se molti elementi tipici della situazione precedente persisteranno in tutto l’arco dello stesso secolo. Il lento
declino del sistema romano e gli insediamenti delle popolazioni barbariche nei parsi dell’Occidente europeo avevano prodotto
una società frammentata, e ai violenti conflitti si era accompagnato un arretramento generale, mentre la quasi totalità
dell’universo sociale, si era sempre più ripiegata in una mera lotta per la sussistenza. In questa realtà disgregata, ogni rapporto
tende a concepirsi come rapporto di potere personale. Gli unici luoghi in cui si svolge un’iniziativa culturale sono i grandi centri
monastici (monastero di Montecassino di San Benedetto e il monastero di Bobbio di Sn Colombano). La nascita dell’impero di
Carlo Magno ripropone una nuova unità per tutto il mondo cristiano occidentale, ed è accompagnata dalla cosìdetta ‘rinascita
carolingia’, che vede una ripresa delle attività culturali e una parziale riorganizzazione delle strutture civili. In un mondo in cui
le istituzioni non garantiscono nemmeno la difesa fisica contro le violenze da parte dell’esterno, si impongono dei rapporti che
già caratterizzano alcune società barbariche. Facciamo riferimento al feudalesimo, derivante dal termine feudo, che indicava il
possesso di bestiame; il termine passò presto a designare beni e ricchezze mobili. Ma dato che il rapporto nei rapporti tra signori
e subalterni questi ultimi ricevevano delle terre, e passo ad indicare proprio la terra assegnata dal signore a chi gli prestava
servizi e rendeva omaggio. In origine questa terra non era ereditaria; ma coloro che ottenevano dei feudi venivano chiamati
vassalli (servo) e sottolinea il rapporto di subordinazione al proprio signore: chi chiedeva e otteneva un feudo, veniva segnato in
un atto simbolico di omaggio, in cui il subalterno offriva le proprie mani al signore e spesso le baciava sulla bocca. I feudi
divennero presti ereditari e si formo così una linea di proprietà e diritti particolari. Il massimo sviluppo della società feudale si
ebbe tra il secolo XI e XII, quando si ebbe anche una precisazione dei suoi principi giuridici e si acquisirono alcuni spazi
geografici. In Italia lo sviluppo delle civiltà urbane e mercantile è precoce (in primo luogo per iniziativa delle città marinare,
come Pisa, Genova, Amalfi, Venezia) e genera il Comune, che si svincola dell’autorità imperiale e dai poteri feudali.

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Intorno al secolo X viene maturando una concezione globale della società che distingue al suo interno tre ordini, definiti dal
vescovo francese Di Laon, ovvero: oratores, bellatores e laboratores (quelli che pregano, quelli che fanno la guerra e quelli che
lavorano la terra). Questa tripartizione semplifica la struttura del mondo feudale secondo un modello di facile e rassicurante
riconoscibilità: nella realtà, le stratificazioni sociali erano molto più complesse e spesso passavano all’interno degli ordini. Nel
clero, vi erano diverse gerarchie: il clero autorizzato a svolgere le pratiche del sacerdozio ma esistevano anche diversi ruoli non
legati a quest’ultimo esercizio. Differenza tra il clero secolare, direttamente inserito nella vita delle città e delle campagne e il
clero regolare, organizzato secondo le regole delle comunità ecclesiastiche e degli ordini religiosi. Il clero esercitava il potere
materiale sui subalterni legati ai feudi ecclesiastici, senza contare che la Chiesta riscuoteva tasse di ogni tipo. Le gerarchie
vigenti tra i bellatores erano naturalmente quelle stesse costitutive del rapporto signore-vassallo, legate all’esercizio della forza
e del rifiuto dell’universo del lavoro. Il cavallo costituiva l’elemento principale del mestiere della guerra e la cavalleria, coi suoi
rituali e ideali, sorge proprio dall’esercizio della guerra a cavallo praticato dalla classe dominante, che tende a creare istituzioni
capaci di legittimare e consolidare i rapporti di forza; la nobiltà giustifica i propri privilegi e la propria supremazia sociale con
una presunta superiorità di sangue e della nascita. La nobiltà feudale comprende ai livelli gerarchici più alti del potere politico e
al livello più basso i cavalieri erranti, che percorrono l’Europa e l’Oriente mediterraneo, pronti a porre le loro armi al servizio
di questo e quel feudatario di rango superiore. Lo sviluppo delle città e dei comuni porta all’organizzazione delle Arti, cioè
delle corporazioni professionali, a cui gli statuti comunali attribuiscono diritti e privilegi; essi possono essere designati con
l’accezione di borghesi ma i modi di produzione, continueranno a lungo ad essere di tipo feudale e quindi il termine borghesia,
nella sua accezione economica, va usata con cautela. A ogni stato corrisponde, in tale società, un particolare livello particolare;
per lungo tempo la cultura scritta è controllata quasi esclusivamente dal clero, che si pone, nell’età barbarica e nella prima fase
dell’età feudale, come il conservatore della tradizione latina classica e cristiana. Molti monasteri furono in primo piano anche
in tale attività, persino l’impero di Carlo Magno era in pugno al clero.

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I signori feudali, inizialmente non possedevano nemmeno la scrittura; ma a partire dal secolo XI, si afferma sempre più una
cultura feudale laica che elabora modelli cortesi in volgare, specialmente nei paesi in lingua d’oli e d’oc. Le interferenze tra la
cultura ecclesiastica latina e quella laica feudale sono comunque numerose, soprattutto grazie all’opera di personaggi
intermedi, come i giullari e i chierici vaganti, che adattano la loro cultura latina alle esigenze delle corti e creano una nuova
rete di comunicazioni. In una prima fase, la cultura feudale laica è essenzialmente orale, ma tra il secolo XI e XII, si tradurrà in
forme scritte. Nel mondo comunale l’iniziativa culturale è nelle mani di giuristi e funzionari amministrativi e nutrono notevoli
curiosità per i modelli feudali cortesi. Nella stessa società urbana si sviluppa poi una cultura delle classi subalterne, attenta alla
concreta esperienza quotidiana e percorsa da una forte critica contadina. In questo orizzonte, la cultura contadina vive come
una sorta di fiume sotterraneo, che ci è noto solo indirettamente: da sparsi cenni e dalla immagini negative che di essa ci ha
lasciato la cultura delle classi popolari. Un determinante ruolo di meditazione, è svolto da personaggi come mimi, giullari che
si incontrano nelle fiere popolari e nelle corti, attori vagabondi che improvvisano spettacoli nelle piazze e pellegrini che
raccontano i loro viaggi, cantastorie che trasmettono echi di tipo leggendarie: tutto ciò crea la cultura medievale. Gli uomini
della società medievale, ordinano e classificano con visione mentale, le cose in degli schemi gerarchici e scale di priorità
(dove naturalmente è essenziale il punto di vista religioso o quello elaborato nei luoghi preminenti del sistema sociale). La
natura è visto con l’occhio della cultura e i suoi oggetti vengono classificati in bestiari, erbari ecc, dove ogni elemento naturale
acquista un valore simbolico; così l’enciclopedismo medievale giustappone nel proprio orizzonte una serie disorganica e
infinita di particolari. Neanche i limiti geografici, vengono definiti con precisione: i confini tra gli Stati sono, nell’età barbarica
e nella prima età feudale, vaghi o assenti; questo mondo immobile, è percorso da molti viaggiatori, in quanto l’unico modo per
controllare i propri territori, spezzettati o proiezioni magiche-mitiche. Il viaggio per eccellenza, è quello religioso ricordando, i
cristiani a Roma, al santuario di Santiago di Compostela, al Santo Sepolcro di Gerusalemme.

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Il tempo vissuto dagli uomini di questa società, è invece ritmico, misurato secondo fenomeni stagionali o attraverso il suono
delle campane della Chiesa, col succedersi non regolare delle horae canonicae. Soltanto lo sviluppo dell’attività mercantile e
delle prime forme di lavoro urbano, introdurrà una concezione economica e quindi meccanica del tempo, insomma una sua
laicizzazione: lo strumento per misurare il tempo, verrà inventato alla fine del secolo XIII e applicato alle torri campanarie delle
città nel corso del 300’. Le notizie del mondo, anche quelle decisive, arrivano sempre con grande ritardo e subito vengono
adeguate alla memoria della vita locale. A sua volta la memoria si traduce in storia: una storia che, non si costruisce secondo le
nostre abituali coordinate cronologiche, ma tende a fondere il passato in un tutto omogeneo, in cui si sovrappongono le vicende
abituali (Specchio dei Re, Memoria dei Secoli, Il Pantheon di Da Viterbo). L’umanità presente si rapporta a un passato diverso
(quello del Vecchio Testamento), aliena da ogni moderna idea di progresso; si aspetta invece una dissoluzione della società, la
definitiva rivelazione del divino, che da alcuni viene collocato in un futuro distante, da altro invece viene avvertita come
imminente. Ma l’attesa di un radicamento rivolgimento, si converte spesso in un proposito di rennovatio: si aspira cioè a un
ritorno dei valori dell’umanità ai valori della perduta giovinezza del mondo, soprattutto ai valori del Cristianesimo delle origini
e a quelli universali dell’Impero di Roma e della cultura antica, latina. Sia il programma di Carlo Magno sia il tentativo
imperiale di Ottone III, Papa Silvestro II, alle soglie dell’anno Mille, si inquadrano in una prospettiva di rennovatio. Nell’età
medievale, il potere si traduce sempre in qualcosa di corporeo, si concretizza in immagini sensibili e agisce tramite forme
materiali. La violenza fisica circola a tutti i livelli sino alla promiscuità della vita quotidiana. Dal punto di vista relazionale, il
rapporto matrimoniale viene inteso come legame tutto materiale, in un orizzonte di mera sopravvivenza biologica: l’amore ha
spazio soltanto nell’esperienza fisica. A questo duro sistema di rapporti, si oppongono alcune azioni e fantasie, espresse dalla
cultura delle classi inferiori, che trovano celebrazione effimera e rituale del carnevale, suggerendo un mondo alla rovescia, dove
le regole della vita collettiva vengono mutate di segno. Dunque il mondo medievale, viene sdoppiato tra la concreta pratica
quotidiana e le ideologie che si rifanno ai valori cristiani: da una parte, prepotenza senza freni, dall’altro le norme evangeliche.

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In questa società, la cultura vissuta dalla maggior parte dei gruppi sociali è orale, e in essa agiscono diversi motivi fiabeschi e
forme rituali di comportamento. Mentre nella cultura orale trovano spazio i nuovi volgari, quella scritta resta per molti secoli
affidata al latino ed è quasi tutto monopolio del clero: essa si impegna nella conservazione e riproduzione dei monumenta,
memoria dell’antichità cristiana e classica. Per la cultura scritta, non esiste un pubblico di lettori, dato che i documenti
circolavano all’interno del mondo dei chierici che li producono, sono destinati alla biblioteche ecclesiastiche e in rari casi anche
alle istituzioni laiche. La produzione di libri e la sua circolazione, erano limitatissime: per la loro rarità, erano spesso
considerati come oggetti preziosi, per i loro poteri magici e miracolosi. Anzitutto non si conosceva la carta in Italia nel XII
secolo; ma tramite agli Arabi, comincerà ad essere prodotta a larga scala; il materiale librario era costituito da pesanti e costose
membrane di animali, ricordando le pergamene (derivata dalla pecora), tagliate messe insieme nella forma del codice, che è la
stessa forma del libro attuale. Per il mondo della cultura manoscritta ogni libro si presenta come un unicum, ovvero proiezione
e materializzazione di un rapporto personale, diretto col testo; c’è così continuità tra il lettore e la scrittura, anche quando parla
del passato, viene a far parte in modo naturale del presente. La scrittura viene a concepirsi come un tutto omogeneo e la pagina
prevede spazi e pause dettate da ragioni visive. La paleografia cioè la disciplina che studia le diverse tecniche di scrittura in suo
nell’età precedente a quello della stampa, mostra spesso come queste tecniche siano da ricondurre a vere e proprie scelte
culturali. In Italia, ricordiamo l’affermarsi della minuscola carolina (fu diffusa dagli scriptoria di Carlo Magno, scrittura
leggibile e di rapida esecuzione). La scrittura carolina si afferma in Italia soltanto nel secolo XII ma con alcune modificazioni
che l’hanno oramai trasformata in quella che sarà definita dagli umanisti, come scrittura gotica. Ma il secolo XII vede lo
svilupparsi di un pubblico sempre più ampio, dove la circolazione dei libri non concerne soltanto gli ambienti monastici ma si
rivolge sino alle prime università. Se nel secolo precedente era ancora intensa la scrittura monastica, alla fine di esso vi è un
nuovo sistema produttivo, quello della pecia; il testo viene scritto una volta sui quaderni separati da quattro fogli ciascuno,
costituendo l’exemplar (l’originale).

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Il pubblico studentesco garantisce una pubblicazione molto vasta del libro, e questa crescita assicurata del mondo universitario
si riflette positivamente nella produzione di libri non destinati all’attività didattica. Nella Francia del secolo XII si diffondono
anche libri in volgare, per l’Italia invece occorrerà attendere sino al secolo XIII. Il sistema di valori determinante ed unificante
di questa società e di ogni suo strato culturale, il Cristianesimo, si fonde su un testo sacro, ovvero la Bibbia, un libro in cui si
concentra tutta la verità del rapporto tra mondo umano e Dio. La Sacra Scrittura si trasmette nella celebre versione pubblicata
da San Girolamo tra il 385 e il 404 e nota come Vulgata, con denominazione che risale all’intenzione stessa di far uso di un
sermone vulgato, cioè di un linguaggio popolare, lontano dalla ricercatezza del mondo classico. E’ alla base dell’intera cultura
occidentale almeno sino alla Riforma Protestante, e durante l’epoca medievale è comunque il testo più copiato nei manoscritti.
Da questo libro assoluto, in cui Dio ha rivelato agli uomini la verità, e della sua forma linguistica consacrata e definitiva non si
può evadere per cercare verità ulteriori o per formulare immagini diverse del mondo e della vita: la cultura tende così a
concepirsi come continua interpretazione della Sacra Scrittura. Nel valutare la letteratura e la retorica del mondo classico, i
Padri della chiesa sembrano oscillare tra un rigorismo intransigente e un’aperta disponibilità, motivata dalla necessità di
sostenere il Cristianesimo e di possedere il controllo totale dei valori culturali. In questa dimensione, una figura fondamentale
è quella di Sant’Agostino, che da una parte afferma la radicale diversità tra cultura pagana e cultura cristiana, dall’altra
prospetta la necessità di utilizzare l’esperienza retorico-letteraria degli antichi, e su questa linea procede gran parte delle civiltà
dei secoli successivi. Agostino con la cultura cristiana, sceglie il sermo humilis , non tanto perché amava occuparsi di
argomenti bassi ma perché vuole riferirsi a quell’umiltà, che costituisce uno degli attributi fondamentali di Cristo, e rivolgersi
a tutte le creature. In età carolingia si tentò in vario modo rilanciare l’istruzione e l’educazione linguistica-letteraria nel clero
ma la situazione rimase difficile fino al secolo XI, anche perché resistevano, specie nelle campagne, antichi culti pagani. Il
rilancio della cultura religiosa, obbedisce a una dura prospettiva rigoristica: in prima fila, ricordiamo il nuovo ordine
monastico cluniancense, fondato da Oddone di Clunny nel 910.

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Il movimento di riforma investe direttamente il Papato, che si impegna in una lotta per restaurare la disciplina e la gerarchia
ecclesiastica, per rivitalizzare la componente religiosa del monarchesimo. Questa lotta è guidata da personaggi come Umberto
di Silvacandida, Di Sovana e Pier Damiani. Nel contesto delle pratiche di devozione, ricordiamo il personaggio di San
Bernando che propugna l’ossequio alla gerarchie della Chiesa e la sottomissione della ragione ai dettami della fede. Nelle
esperienze di Pier Damiani e San Bernando di Chiaravalle si rivela un altro carattere determinante della cultura religiosa
medievale religiosa, ovvero il MISTICISMO, che concepisce il rapporto con Dio nella solitudine e nell’ascesi e si configura
come contemplazione interiore di verità assolute che stanno al di là di qualsiasi controllo razionale e logico. Parallelamente al
misticismo, si sviluppa una disposizione razionalistica, che si affida alla dialettica; Di Tours, tenta di riconsiderare la verità
della fede dal punto di vista della ragione dialettica. In questa prospettiva, che è alla base della filosofia scolastica, si distingue
Pietro Abelardo, la cui dottrina subisce una dura condanna per iniziativa dell’intransigente San Bernando. Dopo questa
condanna, la cultura cristiana mette in moto un vivissimo dibattito intellettuale, genere quesiti e interpretazioni che escono dai
confini della tradizione. Dal secolo XI e XIII nascono numerosi movimenti religiosi, che in genere si scontrano con l’ostilità
della Chiesa e finiscono spesso per acquisire i caratteri dell’eresia, ricordiamo ad esempio, il movimento della Patria che sorge
a Milano nella seconda metà del secolo XI. Gran parte dei movimenti popolari, sono riassumibili nei termini di evangelismo
(ritorno del rapporto dei fedeli col Vangelo, dunque ai valori cristiani originari) e di pauperismo (esaltazione della povertà).
L’atteggiamento della Chiesa nei loro confronti oscillò tra forme di perplessa approvazione e feroce repressione. La chiesa
cristiana si impegna sempre più nella caccia gli eretici, formando il Tribunale dell’Inquisizione, che fu organizzato nel secolo
XIII, il quale si fa unica e assoluta mediatrice tra l’uomo e il messaggio evangelico. La CULTURA CLASSICA antica mantiene
una funzione determinante in tutta la lunga fase storica che stiamo esaminando, sia per la continuità della lingua latina, sia
attraverso una persistenza di tradizioni e contenuti. I frammenti delle scritture antiche appaiono come ombre fantastiche che
possono ancora agire sul presente.

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Grandi conservatori della cultura classica, sono due personaggi che operano alla corte del re goto TEODORICO: Boezio e
Aurelio Cassidoro, furono eredi entrambi nell’aristocrazia imperiale cristianizzata, profondi conoscitori della cultura greca.
Boezio intraprende un gigantesco progetto di traduzione latina e commento dei grandi filosofi greci: progetto che non portò a
compimento, dovuto alla morte prematura, imprigionato e fatto uccidere da Teodorico; la sua opera più celebre e fortunata,
Philosophiae consolatio (La consolazione della filosofia), farà da riferimento per molte meditazioni morali. Boezio e Cassidoro
approfondiscono nelle loro opere, il sistema delle arti liberali, cioè delle discipline educative convenienti all’uomo libero e prive
di finalità economiche (ad esse si oppongono le arti meccaniche, come la pittura, la scultura, e tutte le arti manuali). Un sistema
che ha le proprie radici nella cultura antica. Marziano Capella, scrisse le nozze tra Filologia e Mercurio ed i testi fondamentali
per il suo apprendimento furono l’Ars maior (l’arte maggiore) e l’Ars minor (l’arte minore) di Elio Donato e Institutio
grammaticae (Istituzione di grammatica) di Cesarea. La retorica ebbe il suo splendore, riconosciuta come la scienza
dell’eloquenza e del parlare ornato e figurato; solo alcuni testi della retorica antica sono presenti nella cultura medievale; la
Retorica di Aristotele è praticamente sconosciuta fino al secolo XIII, mentre hanno un posto centrale il De Inventione di
Cicerone e la Rhetorica ad Herennium. La retorica fu interpretata da in un grande libro di Curtius, come elemento unificante e
della cultura del Medioevo latino; tra i numerosi, topi da lui studiati si possono ricordare le invocazioni della natura, le immagini
della giovinezza e delle vecchiaia. La nuova retorica medievale si sgancia nettamente dai modelli classici dell’elaborazione di
specifiche artes, riferite a modi particolari di scrittura. 1)L’ars dictaminis o dictandi, che adatta la retorica ciceroniana al
dictamen, cioè alla scrittura delle lettere e prende avvio dal monaco Alberto di Montecassino; 2)l’ars poetriae, che formula
regole per la composizione poetica e tra i testi più importanti, ricordiamo l’Ars versificatoria di Vendome; 3)l’ars preudicandi,
retorica della predicazione religiosa che, data la sua materia, rivela scarsi rapporti con la cultura classica. Nel sistema
dell’educazione linguistico-letteraria, un ruolo fondamentale è svolto dalla cultura classica e dalla conoscenza di alcuni autori
latini; tra questi, ricordiamo Virgilio considerato come figura suprema di poeta, immagine di civiltà e di romanità, profeta del
Cristianesimo.

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A Virgilio, segue Ovidio, come poeta d’amore e tramite della conoscenza della mitologia greca. Un posto notevole occupano
Orazio, Lucano, modello di poesia di genere storico. Stazio dalla cui Tebaide, prese avvio la fortunata serie romanzesca del ciclo
tebano e Terenzio, l’unico autore drammatico ben conosciuto. Tra i prosatori, ricordiamo Seneca e Cicerone; il primo per l’opera
considerata come cristiana, anche perché correva la leggende di una sua corrispondenza con San Paolo. Nella società medievale,
opera anche l’immagine dell’antica ROMA imperiale, dalla sua antica grandezza perduta: il confronto tra questa e lo squallore
delle sue attuali rovine genere una certa proiezione della profondità storica, una consapevolezza della irreparabile diversità dei
tempi. Il modello politico di Roma imperiale e quello culturale della letteratura latina costituiscono i punti di partenza delle
cosidette rinascite delle civiltà medievale: la rinascita carolingia, quella ottoniana e quella del secolo XII. La prima si indentifica
col tentativo di riproporre il potere imperiale nella terra dei Franchi romanizzati, col rilancio della cultura latina; la seconda
prevedeva la stretta collaborazione tra Impero e Papato; l’ultima era prodotta da un accellerato sviluppo della vita materiale,
sociale e culturale. La ricca e originale letteratura latina che fiorisce allora in Francia, ha indotto a definire questo periodo
‘l’ultimo grande secolo della poesia internazionale’; sempre in Francia, la dialettica assume uno statuto autonomo, si svincola
dalle altre arti liberali. Essa cerca le proprie radici in universi culturali molto diversi da quelli della Roma antica; soprattutto in
Aristotele e l’aristotelismo, che tornano in circolazione nel secolo XII grazie a nuove tradizioni latine e rapporti con altre civiltà.
E’ molto difficile valutare il peso che le forme culturali dei barbari invasori ebbero sulla civiltà europea medievale: troppo scarse
sono le trecce dell’influsso esercitato da quelle culture, essenzialmente orali, sulle popolazioni occidentali sottomesse, che
riuscirono ad imporre il prestigio della cultura latina e convertirli al Cristianesimo. La società dell’Europa Occidentale va
comunque considerata come il risultato di una fusione tra la componente latina e cristiana e la componente barbarica. Le altre
culture barbariche, come i Normanni, una volta insidiati nella Francia e in Inghilterra, si integrano pienamente nel sistema
europeo occidentale, divenendone, uno degli elementi costitutivi e propulsori dell’ideologia cavalleresca. In ambito culturale,
furono i rapporti con le civiltà greca, araba, ebraica. Quelli con la cultura greca non si erano mai interrotti: legami col mondo
latino e greco-bizantino..

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che aveva avuto il suo centro a Costantinopoli, capitale dell’Impero romano d’Oriente, si erano mantenuti anche durante le crisi
più violente e nelle più gravi difficoltà materiali: nonostante ciò, la conoscenza del greco e della cultura greca antica, fu per
secoli inesistente nell’Occidente latino. L’Italia fu a lungo luogo e tramite tra il mondo greco-bizantino e quello latino: anche
dopo l’invasione longobarda, Ravenna restò per due secoli capitale della prefattura bizantina d’Italia e centro di cultura greca; I
Greci rimasero saldamente insidiati nel Meridione e in Sicilia, in particolar modo. Ravenna cadde nella mano dei longobardi nel
751 e la Sicilia fu in mano agli arabi sino al secolo IX, ma larghe zone dell’Italia meridionale continuarono a far parte
dell’Impero d’Oriente mantennero in vita la cultura greca, ricordando il monastero di Montecassino e le repubbliche marinare. La
Grecia è il segno di un’estraneità mai considerata nemica. Ma partire dal secolo XI, quando si verifica la frattura religiosa con
Costantinopoli e gli insediamenti bizantini dell’Italia meridionale cadono in mano ai Normanni, si porge un’attenzione nuova alla
Grecia antica e soprattutto alla cultura scientifica e filosofica. L’ammirazione della Grecia da parte dell’Occidente, è soprattutto
mostrato nella Quarta Crociata, attuata dall’oligarchia veneziana e dalle bande feudali francesi, che si conclude con la conquista
di Constantinopoli e con la provvisoria costruzione dell’impero latino d’Oriente. Quanto al mondo arabo, esso rappresentò
l’immagine più minacciosa della diversità; se l’invasione islamica fu arrestata dai Franchi, con la battaglia di Poitiers e con la
successiva azione di Carlo Magno sul fronte dei Pirenei, le scorrerie saracene continuarono a lungo nei secoli successivi,
arrivando a saccheggiare la Roma Papale nell’846. Non solo come minaccia ma l’Islam, venne considerato come fonte di
ispirazione. Sentendosi minacciato dal mondo musulmano, l’Occidente passa cristiano passa poi a un contrattacco, quando inizia
la Reconquista della Spagna, i Normanni si impadroniscono della Sicilia e si compie la prima crociata, culminata con la
conquista di Gerusalemme e del Santo Sepolcro (1099) e con la fondazione del Regno Franco di Gerusalemme; questi episodi,
daranno vita e luogo alla a nuova letteratura epica dei paesi latini. La cultura araba aveva mostrato una grande curiosità per la
cultura latina e una notevole tolleranza etnica e religiosa e un’attenzione anche maggiore aveva prestato il mondo musulmano
alla cultura greca.

13/02/2022
Nei paesi islamici le scienze e le tecniche, in particolare la medicina, la matematica, l’astronomia, l’astrologia, la geografia,
raggiunsero un livello molto alto; uno dei segni del nuovo rapporto tra l’Occidente e la cultura araba è data dalla traduzione
italiana del Corano, il testo sacro dell’Islamismo, commissionata dall’abate di Cluny, Pietro Il Vulnerabile, nel 1141;
l’introduzione in Europa delle cifre arabe costituisce un progresso fondamentale nel campo della matematica. Ma la cultura
araba fa anche da mediatrice per la conoscenza di questi testi greci, che non erano noti al mondo latino e che ora vengono
tradotti all’arabo. In Italia la civiltà araba lasciò segni notevoli in Sicilia e nel Meridione, non soltanto nell’ambito della lingua
e dei costumi; il Regno Normanno si organizzò tenendo conto degli amministrativi arabi, e sotto di esso continuò a svilupparsi
una cultura arabo-sicula, che tra l’altro diede luogo ad una vivacissima produzione lirica. I rapporti tra il mondo islamico
sembrano complicarsi a partire dalla fine del secolo XII; il sultano Saladino riconquista Gerusalemme nel 1187; la figura del
sultano sarà fondamentale, in quanto lasciò molte tracce relative alla letteratura narrativa volgare. Del resto la narrativa araba e
orientale (a partire da Mille e Una notte), penetrerà in diversi occasioni in Occidente nel secolo XIII, costituendo una delle basi
della novellistica romanza. Gerusalemme sarà, prima ripresa da Federico II nel 1228 e poi persa nuovamente nel 1244.
Tralasciando la cultura islamica, quella ebraica fu fondamentale altrettanto. Ai tempi della diaspora, erano insediati in diversi
luoghi dell’Europa latina; erano considerati responsabili della morte di Gesù e dunque il popolo ebraico, veniva tollerato solo
parzialmente dalla società cristiana. La cultura ecclesiastica ebbe poca considerazione riguardo il popolo ebraico, in quanto non
ne conosceva la lingua. Rari furono i casi di incontro tra la cultura latina e quella cristiana: solo ricordiamo, la Mistica della
Cabala (dottrine mistiche formatesi nell’Ebraismo occidentale), ebbe forte influenza sul pensiero cristiano nei secoli successivi,
ma intanto pesavano di più alcuni esiti scientifici e filosofici della cultura ebraica, maturati particolarmente in Spagna, nella
Sicilia Araba e nell’Italia meridionale. In Spagna, gli ebrei svolsero un ruolo di mediazione tra la cultura islamica e quella
cristiana, facendo spesso da punto di riferimento per l’attività da traduttori. In età barbarica e nella prima età feudale, la
scuola non dipende da istituzioni amministrative centralizzate ma obbedisce ad iniziative singole ed eterogenee.

13/02/2022
Le scuole si formano soprattutto là dove si trovano personalità dotate di un bagaglio di conoscenze, là dove la vita culturale è più
intensa. Fino alla prima età feudale, in alcune città con solide strutture civili continua una tradizione scolastica mai veramente
finita, ovvero in città come Ravenna, Pavia, in parte a Milano e a Verona. Tutta ecclesiastica è naturalmente l’amministrazione e
la cultura scolastica della Roma papale; infatti, i luoghi più importanti della cultura medievale sono i monasteri, che conservano
le testimonianze scritte e per l’attività educativa svolta dalle loro scuole. Il progetto culturale di Carlo Magno tende ad una
rivitalizzazione della cultura latina e ha il suo centro di diffusione nel palazzo di Aquisgrana, dove i dotti al servizio
dell’imperatore si riuniscono nell’Accademia palatina, dandosi soprannomi in genere di origine classica e organizzando una vera
e propria scuola palatina. Tra il secolo XI e XII lo sviluppo della civiltà urbana e la riforma della cultura ecclesiastica, danno una
nuova vitalità alle scuole cittadine e la più importante innovazione è, senza dubbio, quella della nascita delle università.
Dall’esperienza degli studi urbani si vengono formando organismi di insegnamento di livello superiore, gli studia generalia. Per
le università di Parigi e Bologna, furono le più celebri e frequentate; ricordiamo anche quella di Padova e Napoli, sorta nel 1224
per volere di Federico II. Il termine universitas, alludeva all’associazione di professori e studenti, dove in alcuni casi prevale il
ruolo organizzativo degli studenti (come a Bologna), in altri (come a Parigi), quello dei maestri. L’insegnante universitario riceve
una paga commisurata al suo prestigio e alla sua capacità di richiamare studenti; si forma così una nuova opinione circa l’utilità
sociale dell’uomo di cultura, in quanto fornitore di competenza teoriche, anche non traducibili in termini pratici, La vitalità della
letteratura medievale latina si esprime una serie di forme e di tecniche che non è possibile utilizzare le divisioni tra i diversi
generi letterari, come accade per la letteratura successiva. La stessa distinzione tra poesia e prosa appare oscillante, poiché lo
scrivere è considerato un’attività unitaria; oltre a molte opere che alternano prosa e versi (come la Philosophiae Consolatio di
Boezio), esistono varie sovrapposizioni tra tecniche della scrittura prosastica e tecniche della versificazione. La distinzione
prevalente è quella tra la scrittura prosaica, una scrittura metrica e una scrittura ritmica, a cui si aggiunge spesso un tipo di
prosa ritmata. La scrittura metrica segue i modelli della poesia antica.

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La versificazione ritmica, costituisce una novità radicale rispetto alla metrica classica e uno stimolo essenziale per lo sviluppo
della metrica volgare, che non si basa più sulla successione dei piedi e sulla quantità delle sillabe, ma su un’aggregazione di
queste, ritmate dal gioco degli accenti. Nella vasta produzione medievale di poesia ritmica latina verranno ricordate le raccolte
dei codici di San Gallo e di Verona, contenenti molti esempi relativi alla poesia goliardica. I ritmi goliardici si collegano al
vasto filone della parodia, volta a contraffare in tono dissacrante la poesia religiosa e liturgica, le stesse scritture sacre. Un
altro genere poetico latino che ha grande importanza per lo sviluppo della letteratura volgare è il dramma liturgico; legato ai
riti della Chiesa e alla celebrazione di particolari ricorrenze religiose, esso ha origine da schematici dialoghi tra le voci di
diversi personaggi o già nel secolo XII. Di tema più specifico sono i miracoli, ripercorrendo la vita dei santi. Vi è anche la
letteratura drammatica erudita non finalizzata alla pubblica rappresentazione, come le commedie di Terenzio; dall’altra la ricca
produzione di commedie elegiache, come i testi di Ovidio. Un altro genere di poesia erudita, è la poesia figurata, che si basa
sugli elementi metrico-ritmici ma su quelli visivi, intrecciando sulla pagina i significati e i contenuti del discorso con
particolari combinazioni di lettere e parole. Per ciò che riguarda la prosa, viene destinata soprattutto agli usi più direttamente
pratici, come la corrispondenza epistolare comune. Ma grande diffusione hanno soprattutto le prose con ambizioni retoriche,
dove la prosa ritmica e quella rimata sono le principali, riprendendo l’eleganza della prosa classica. Questo nuovo sistema di
clausole viene definito circus, come scrittorio della Curia Romana. La ricerca dei rapporti tra piani diversi del testo, trova il
suo strumento determinante nel principio dell’allegoria, che percorre tutta l’invenzione letteraria di questi secoli. Essa ha le
sue radici nella cultura greca che cercava nei poemi ovidiani, una saggezza risposta e segreta, e nella interpretazione biblica,
tesa a cercare nella Sacra Scrittura significati profondi, al di là dei termini espliciti delle cose dette e narrate. La prospettiva
figurale dell’interpretazione biblica metteva così in relazione due termini (un evento tragico e un mistero cristiano), entrambi
dotati di realtà storica: l’evento antico, trovava il proprio adempimento nelle concretezza dell’esperienza stoica cristiana.
L’allegoria può essere definita come una metafora prolungata, una sostituzione del pensiero..

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.. Per mezzo di un altro pensiero. (Lausberg). Dante, nel Convivio II, definirà il senso allegorico, ‘quello che si nasconde sotto il
manto’ delle favole dei poeti, come una ‘veritade ascosa sotto bella menzogna’. La realtà con l’allegoria ci pone in rapporto con
qualcosa che non è immediato, così come la poesia e l’invenzione classica possono leggersi dal punto di vista allegorico. La
letteratura latina in Italia presenta un numero di testi e di autori originali molto inferiore a quello di altri paesi del mondo
occidentale. Le migrazioni e gli scambi intellettuali spingono infatti moltissimi uomini di cultura delle penisola italiana a
viaggiare e soggiornare in altri paesi, mentre altri autori compiono un cammino opposto, attratti soprattutto dalle suggestioni del
glorioso passato romano e della sua presente condizione di sede del Papato. Se la letteratura latina che si produce in Italia nei
secoli XI-XII ha un ruolo marginale, rispetto alla contemporanea letteratura latina dell’area francese e inglese, al suo interno si
possono comunque distinguere alcune linee generali. Una linea ecclesiastico-rigoristica, che fa riferimento alla Chiesa romana,
ha finalità polemiche e pratiche di riforma, si sviluppa nell’Italia settentrionale (le cronache dai due Landolfi milanesi, seniore e
iuniore). Ma l’opera del secolo XII che ha lasciato più segni nella letteratura successiva è l’Elegia sulla avversità della fortuna
di Arrigo Da Settimello; attraverso una rete di riferimenti classici che da Boezio risalgono a Ovidio, l’autore dà voce a una
sofferenza personale, mettendo a confronto la capacità di resistenza morale dell’individuo e del potere assoluto della Fortuna.

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La questione delle origini della lingua italiana e delle lingue romanze è in genere la prima che si pone all’avvio di una storia
della letteratura italiana, riguardando soprattutto la linguistica. Il fascino delle prime esperienze linguistiche e letterarie volgari è
stato accresciuto dal loro collocarsi sul piano incontaminata originaria dell’oralità, dal fatto che, per conoscerle, ci si deve
affidare a tracce vaghe o testimonianze indirette, lasciate alla documentazione scritta successiva. Qui basteranno poche
indicazioni di base, mentre per i problemi più propriamente linguistici occorre rinviare a una buona storia della lingua italiana o
qualche manuale di linguistica romanza. Il sostantivo di cui linguisti e filologi fanno uso per indicare l’unitaria area linguistica
sviluppatasi del ceppo latino è la Romania, in uso già nei testi latini dei secoli IV e V d.C. per designare i paesi e i popoli che si
esprimevano nella lingua di Roma. Con la progressiva dissoluzione del latino classico e lo svilupparsi di altre lingue volgari,
l’avverbio romanice venne a distinguere la lingua parlata dai cittadini di origine romana presso le popolazioni degli invasori
barbarici. Dall’avverbio romanice e del sostantivo romancium deriva dal francese e nel provenzale antico il termine romanz, che
distingue il volgare dal latino che poi nel secolo XIX è passato a identificare discipline come la filologia e linguistica romanza.
Essendo il latino volgare il punto di partenza delle varie parlate romanze, è naturale che il termine vulgaris, ‘volgare’, passi a
designare proprio le moderne lingue parlate dal volgo. Del latino volgare si hanno scarse testimonianze, ricavabili solo qua e là
nella massiccia di testi in latino letterario. Ma i contatti con le lingue preesistenti crearono nel latino volgare varie modificazioni,
diverse da regione a regione; una reale differenziazione, la si avrà solo a partire dal secolo III d.C. La crisi sociale, economica e
politica del secolo III, ridusse in primo luogo i contatti tra le province e il controllo di queste da parte del potere centrale, finché
con l’inizio del secolo V si ebbe una violenta ondata di invasioni e migrazioni, che devastarono l’Occidente, dando luogo a
nuovi assetti etnici, politici, culturali.

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Per altra via la diffusione del Cristianesimo, operò contemporaneamente come fattore disgregante della lingua latina e come
fattore di conservazione di un’unità comunicativa all’interno del mondo cristiano. Per lungo tempo si ebbero situazioni di
bilinguismo: da un lato la lingua degli invasori, dall’altro il volgare di origine latina delle popolazioni sottomesse. All’interno
dei singoli territori si dava poi una netta scissione tra lingua scritta e la lingua della comunicazione quotidiana, sempre più
lontana dal latino. La rinascita carolingia rese ancora più evidente la frattura che vi era tra lingua scritta e lingua volgare,
soprattutto nella provincia della Romania, con una distinzione tra la lingua volgare e lingua romana rustica. A prescindere dalla
vicende storiche che interessano le diverse aree, si elencano qui le varie lingua romanze: 1) il romeno, separato dalle altre lingue
romanze e sviluppatosi conservando tratti linguistici latini nella colonia romana della Dacia; 2) il dalmatico, ora estinto, parlato
in Dalmazia e nelle isole dell’Adriatico; 3) l’italiano; 4) il sardo; 5) il retoromanzo o ladino, parlato il alcune zone dell’Alto
Adige e nel Friuli; 6) il provenzale o lingua d’oc o occitanico, diffuso nella Francia meridionale; 7) il francese, che nella sua fase
più arcaica è assai diverso dal francese classico e moderno viene designato come lingua d’oil; 8) il catalano, parlato nella parte
orientale della penisola iberica; 9) il castigliano (il moderno spagnolo), la lingua più diffusa nella penisola iberica; 10) il
portoghese, parlato nel Portogallo e nel nord della Spagna. In gran parte della penisola iberica persiste tuttavia a lungo il
dominio della lingua e della civiltà degli Arabi, ancora fortissimo nel secolo XII. Tra le diverse migrazioni e invasioni di popoli,
ricordiamo 1) i Visigoti, che nel 410 saccheggiarono Roma e invasero la Gallia centro-meridionale e nella Spagna, dove
costruirono un regno cristiano, che resistette sino all’invasione degli Arabi (711); 2) i Burgundi e gli Alemanni; 3)gli Angli e i
Sassoni, che invasero le isole Britanniche; 4) i Franchi, che si estesero sulle rive del Reno a gran parte della Gallia romana; 5)
gli Arabi, che tra i secoli VII e VIII conquistarono l’Africa settentrionale e la Spagna, a nord della quale si formarono principi
cristiani che si impegnarono in un lento processo di reconquista; 6) i Vichinghi e i Normanni, che calarono in Europa a più
riprese dal secolo VIII al X, quando un loro nucleo assai consistente si stabilì nella Francia settentrionale. Nel secolo XI un
gruppo di Normanni, conquistò l’Inghilterra, diffondendo l’uso di una propria variante della lingua d’oli, l’anglo normanno..

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..spesso però soppiantata dalla lingua anglo-sassone, di origine germanica. L’Italia, dopo l’invasione dei Visigoti, che lasciò
tracce piuttosto scarse, subì nel secolo V l’invasione da parte di varie tribù germaniche; tra questi ricordiamo gli Ostrogoti di
Teodorico (489), che riuscirono a trovare un equilibrio con l’aristocrazia romana grazie alla spartizione delle proprietà fondiarie
e degli incarichi pubblici. Dopo il crollo dei Goti, i Longobardi occuparono gran parte dell’Italia settentrionale; da loro, derivano
i termini Lombardia e Lombardi, che per lungo tempo designarono l’intera area linguistico-etnica dell’Italia centrosettentrionale;
mentre il nome della Romagna deriva dalla lunga sopravvivenza, nella zona intorno a Ravenna. La Sicilia venne invece
conquistata nel secolo XI dagli Arabi, mentre la Sardegna non ebbe rapporti quasi con l’esterno. Le invasioni delle popolazioni
germaniche lasciarono alcune tracce nel volgare italiano, agendo in modo discontinuo nelle diverse regioni; all’influsso degli
elementi germanici nelle regioni centro-settentrionali, fa riscontro nell’Italia meridionale quello di elementi greco-bizantini;
mentre in Sicilia l’influenza dell’arabo risulta soprattutto sul piano lessicale. Un altro elemento decisivo lo si ha nel secolo XI,
con la conquista normanna dell’Italia meridionale e della Sicilia, che in un solo colpo eliminò il Ducato di Benevento e la
dominazione bizantina e quella araba. La separazione tra latino e volgare non si risolveva però in un vero e proprio bilinguismo,
ma piuttosto in quella che gli studiosi definiscono come disglossia: quella della comunicazione scritta (culturale o giuridica) e
quella della comunicazione orale e quotidiana. Da una parte si verificava la ripresa, entro la scrittura latina, di elementi tipici
della comunicazione orale; dall’altra si tentava di riportare in quest’ultima elementi del latino scritto. Un altro genere di
documentazione è costituito dalle glosse sparse in margine ai manoscritti latini oppure raccolte in veri e propri glossari; tra i più
importanti, ricordiamo quello di Reichenau, mentre quello di Kassel contamina termini germanici con quelli romanzi in cui
elementi volgari e latini risultano pienamente intrecciati. Alla fine del secolo VIII risale uno strano documento, quello
dell’Indovinello veronese, testimonianza delle interferenze tra latino e volgare; la novità dell’opera sta nel suo singola
linguaggio, nell’inserimento di elementi volgare in una base latina, ma elementi volgare diversi da quel latino a cui la penna del
copista soleva dedicare la propria attività. Varie sono le interpretazioni di linguisti, che di volta in volta hanno visto in questo
indovinello la prima manifestazione..

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..di un autentico volgare italiano, o lo svolgersi delle forme semivolgari. L’ipotesi più valida è quella di quanti vi scorgono un
gioco, in cui lo scriba dichiara non solo l’opposizione tra due piani linguistici ma la possibilità di sovrapporli. La storia della
letteratura italiana si inaugura dunque con l’intervento causale di un ignoto copista, che accenna al proprio lavoro con le figure
di una realtà, quella agricola e popolare, del tutto estranea al mondo delle lettere. Il primo documento di un volgare romanzo, è
costituito dai giuramenti di Strasburgo, pronunciati il 14 febbraio 842 dai nipoti di Carlo Magno, Ludovico il Germanico e Carlo
il Calvo; l’alleanza tra i due venne sancita coi giuramenti in romana lingua, sia in teudisca lingua, per renderli comprensibili ai
rispettivi eserciti, quello di Carlo dai francofoni, e quello di Ludovico da tedeschi. I due testi mostrano quanto fosse avanzata la
frattura linguistica tra i discendenti degli antichi Franchi, essendo oramai netta la separazione tra il gruppo romanzo e quello
germanico. Per quel che riguarda la lingua romanza, rivela come la corte di Carlo il Calvo fosse intenzionata a promuoverla,
sanando così lo scarto tra la lingua parlata e scritta. I primi esempi di scrittura in volgare italiano, risale al secolo XI;
un’iscrizione in una cappella della catacomba romana di Comodilla, che contiene un breve avvertimento in volgare a
proposito di un rito liturgico. Ma il vero e proprio documento ufficiale della lingua italiana è il placito capuano; risalente al 960,
il giudice di Capua, riconosce all’abbazia di Montecassino, in seguito a un accordo tra le parti, il diritto di proprietà su alcune
terre occupate dai vicini laici. Quanto all’ambito religioso, vanno menzionate una formula di confessione. Quanto all’ambito
religioso, vanno menzionate una formula di confessione umbra del 1080, e una curiosa iscrizione di San Clemente a Roma, su un
affresco della fine del secolo XI, che rappresenta il tentativo dei servi del pagano Sisinnio di catturare San Clemente; i pagani,
che credono di aver afferrato il santo, stanno invece trascinando una colonna e si scambiano esortazioni e ingiurie in volgare
romanzesco trascritte sul muro come in un moderno fumetto; qui il volgare ha funzione cavalleresca. In forte ritardo invece le
testimonianze in volgare provenienti dall’Italia settentrionale: quattro versi di un ritmo politico bellunese del 1193; una raccolta
di sermoni religiosi della Biblioteca Nazionale di Torino, noti come Sermoni subalpini, il cui dialetto piemontese,
particolarmente periferico rispetto alle altre aree di diffusione del volgare italiano, ha molti tratti in comune col francese.

13/02/2022
Il volgare non nasce come una lingua unitaria e dai caratteri uniformi, ma piuttosto si sviluppa attraverso molteplici esperienze
sostanzialmente autonome. L’immagine che possiamo avere della lingua italiana in questa fase è solo teorica, ottenuta mettendo
a confronto i dialetti e ciò che sappiamo dello sviluppo del modello unitario dell’italiano, che si sarebbe assestato molto più
tardi. I frammenti di volgare giunti fino a noi a testimonianza di questa prima fase sembrano limitarsi a spazi comunicativi
molto ristretti; ben poco, si può dire sui modi di comunicazione orale in volgare al di fuori dei confini locali. I centri comunali
più ricchi e in espansione, la corte normanna dell’Italia meridionale, alcune tra le piccole corti dell’Italia centro-settentrionale
sperimentarono certo una comunicazione orale interregionale, presupposto essenziale dei futuri tentativi di elaborazione
letteraria del volgare. La stessa individuazione di un’immagine unitaria dell’Italia e della sua lingua si lega a un lento processo,
che si compirà solo tra il 400’ e il 500’. Nella tradizione medievale il termine Italia è un punto di riferimento geografico che,
secondo l’uso latino, permette di riconoscere la nostra penisola; i suoi abitanti vengono indicati con l’antico termine Italici.
Solo nelle lotte politiche del secolo XII il termine Italia assume un significato politico, distinguendo il mondo comunale
settentrionale dal potere settentrionale germanico. Dante parlerà di lingua di sì e lingua italica: nel De Vulgari Eloquentia, egli
considera la lingua di sì come una delle tante varianti di un più vasto universo di lingue volgari. All’interno delle parlate
d’Italia e Sicilia, Dante distingue ben 14 tipi di volgare, distribuendo uno alla destra ed uno alla sinistra. Le differenze spesso
notevoli che separano i diversi volgari sono ovviamente da ricondurre alla disgregazione dell’Italia medievale; dall’originaria
matrice latina sono così scaturite molteplici linee di sviluppo, sulle quale hanno agito varie influenze. Nei secoli successive si
avranno sviluppi di realtà linguistiche ben circoscritte e identificabili, che manterranno una loro identità almeno fino alla metà
del secolo XX. Mancando un centro politico unificante, la ricerca di una lingua unitaria, e come tale in grado di imporsi, sarà
strettamente legata all’elaborazione di modelli letterari. Non mancheranno però scambi tra modelli di letteratura e dialetti,
ma di notevole importanza sarà soprattutto seguire il dialogo, lo scontro, il rapporto di influenza reciproca, spesso sotterraneo e
non immediatamente manifesto.

13/02/2022
Tra il secolo XI e XII alcune lingue romanze producono una letteratura assai ricca, che si manterrà vitale per tutto il secolo XIII,
mentre la letteratura italiana in volgare, con sorprendente ritardo è solo alle sue origini. La nascita delle letterature in volgare
spezza in modo rivoluzionario il dominio del latino, allargando il pubblico e creando generi sconosciuti alla tradizione. Il latino
mantiene naturalmente una posizione di primo piano, in quanto lingua comune a tutto l’Occidente e riconosciuta come lingua
dei dotti e dei chierici, ma la letteratura in volgare non si limita a circolare in stretti ambiti e si pone come valido modello
linguistico per gran parte delle classi feudali e cavalleresche europee. Dal mondo del folclore, cioè dai miti e dalle tradizioni
popolari europee, la grande creatività della letteratura in volgare ricava un vastissimo repertorio di generi che diverranno base
essenziale, in parte viva ancora oggi, dell’immaginario collettivo europeo. Nascono così generi della vita secolare come il
romanzo e la lirica d’amore. La letteratura volgare propone ai signori e cavalieri una definizione del prestigio, dei valori, della
dignità, della forza di espansione della loro classe. La nuova letteratura trova terreno fertile soprattutto in Francia, paese
protagonista dello sviluppo economico e dell’espansione aggressiva della società feudale; le lingue d’oil e d’oc si ispirano nei
due secoli successivi una produzione piuttosto articolata, di larga circolazione nell’Occidente europeo, attraverso una letteratura
aperta, in continua trasformazione. La lingua letteraria italiana, sviluppatasi più tardi, raggiungerà una relativa omogeneità
molto prima, grazie a Dante e agli scrittori del 300’. La produzione in lingua d’oil non solo si diffonde con successo nell’Europa
continentale, ma ha una fortissima presenza anche in Inghilterra, regalando il poema epico Beowulf e alcuni poemi religiosi,
Judith, alla tradizione letteraria anglosassone. Lo sviluppo della letteratura in volgare fu molto precoce anche in Spagna, dove
nel secolo XI iniziò il movimento della Reconquista e al 1140, risale il primo poema epico castigliano, El Cantar de Mio Cid.
Fuori dall’area romanza, tra il secolo XII e XIII, la lingua tedesca, pronta ad accogliere i nuovi modelli francesi, specialmente
nell’ambito del romanzo cavalleresco e della lirica amorosa; intorno al 1200, viene composto il Nibelungenlied (Poema dei
Niberlunghi), che raccoglie e sistema la materia delle leggende nazionali germaniche. La grande fioritura della letteratura
tedesca medievale, si ha però con la lirica dei Minnesanger (i canti delle Minne, cioè dell’amore)..

13/02/2022
..legati al modello provenzale, e con i romanzi cortesi che riprendono la materia arturiana. Le suggestioni cortesi vi si
sovrappongono spesso contrastano coi dati di un eroismo smisurato, dai gesti eccessivi e distruttivi: atti generosi e crudeltà
efferate si susseguono in un orizzonte primitivo e barbarico. Gli atti dei personaggi trovano giustificazione in sé stessi, in
un’identità eroica che si impone al di là dei vincoli di sangue, di famiglia, di religione, rappresentando l’incontro e lo scontro
tra diverse stirpo germaniche. In quanto al Cantar de mio Cid, è la narrazione di un cavaliere povero, che deve affermare e
difendere la propria identità e il proprio valore contro l’ostilità dei cortigiani, che lo mettono in cattiva luce di fronte al re, e
dall’alta nobiltà che a lui guarda con disprezzo, pur cercando di approfittare della sua fortuna. La figura del Cid si pone quindi
come essenziale immagine di eroismo, di capacità militare, di lealtà, che valgono come strumenti di ascesa sociale, che
garantiscono potere, onore e ricchezza alla sua famiglia. Come individuo capace di imporsi entro un mondo ostile, sulla base di
valori nobiliari che egli interpreta in modo autentico e sincero, senza l’inganno e la malafede della nobiltà gli è nemica. Il poema
è stato vissuto come espressione dello spirito nazionale tedesco, interpretato in chiave nazista. Il Romanticismo vide nel sorgere
della letteratura in volgare l’espressione diretta di forze primigenie, la voce autentica del popolo al di là della cultura chiusa dei
dotti. Quando le forme nuove, all’inizio destinate a una trasmissione orale, passarono alla scrittura, il confronto con l’unica
cultura scritta allora esistente, quella latina, risultò inevitabile; i testi più vicini a schemi di impronta popolare, estranei a
interferenze con la cultura scritta appartengono soprattutto alla lirica. I testi assolvono per lo più una funzione di sostegno per la
recitazione pubblico; per questa ragione hanno una natura drammatica, fanno continuamente riferimento al qui e ora della
rappresentazione, e alludono a comportamenti che vanno al di là dei limiti imposti dalla pagina scritta. Il romanzo cortese e la
lirica dei trovatori furono destinati in primo luogo alla recitazione all’interno dei castelli, anche se raggiunsero altre classi
sociali, specialmente l’aristocrazia e la borghesia mercantile e le sue esigenze della comunicazione orale generano strutture
costanti e ripetitive, dove si avverte il bisogno di una versificazione dal ritmo ripetitivo, sostenuto dalla rima o dall’assonanza
(la versificazione romanza). Generalmente i testi avevano un’intonazione musicale; la musica accompagnava le canzoni epiche
e la poesia lirica.

13/02/2022
I filologi hanno discusso a lungo su coloro che per primi elaborarono testi più coerenti e organizzati, passati poi alla redazione
scritta; sembra accertato che non si trattava di autori veri e propri ma piuttosto di trascrittori. Ebbe un ruolo fondamentale il
clero, con chierici giullari o giullari portavoci di chierici, la cui produzione scaturiva da un rapporto immediato con un
pubblico popolare; in seguito, si definì tuttavia l’autonomia dei giullari, i quali possedevano una buona cultura, recitavano i
poemi nelle fiere e nei luoghi di pellegrinaggio e li trascrivevano, servendosi dei manoscritti come promemoria personali in
vista delle esecuzioni. I giullari diffusero quei testi, che assunsero spesso la forma libro, destinandoli a letture individuali o di
piccoli gruppi, sia nelle corti sia in ambienti cittadini. I primi testi in lingua d’oil sono di carattere agiografico e si trovano già
nei manoscritti monastici del secolo XI; con essi il clero intendeva offrire al popolo modelli di devozione religiosa semplici e
facilmente comprensibili. Molto breve è il testo più antico del secolo X, che si è soliti indicare come Sequenza di Sant’Eulalia.
Di grande importanza per la storia della letteratura europea ha la nuova epica, che si sviluppa nelle chansons de geste, ‘canzoni
di gesta’, a partire dalla seconda metà del secolo XI. La più celebre delle chanson de geste è la Canzone di Orlando, che nella
sua forma originale risale al 1080 circa; la chansons de geste nacquero come esaltazione del valore militare della classe feudale
e cavalleresca, all’epoca della grande espansione normanna del secolo XI; gli antichi guerrieri franchi e i Paladini di Carlo
Magno vi sono rappresentati come modelli supremi di eroismo, che si oppongono vittoriosamente alla minaccia portata dagli
infedeli Saraceni. Ma si formeranno altri cicli narrativi; quello noto come gesta dei baroni ribelli e quello delle gesta delle
Crociate. In molte canzoni più tardi agli elementi eroici si intrecciano motivi realistici, comici, amorosi, fantastici, anche per
l’influenza di tematiche tipiche dei romanzi cavallereschi. Molto semplice è la struttura della Chanson de Ronald: si tratta di
una successione irregolare di lasse di endecasillabi assonanzati, la quale narra di un oscuro episodio. Mentre l’esercito di Carlo
Magno sta tornando in Francia, la sua retroguardia, capitanata da Orlando, in seguito al tradimento di Gano, viene assalita e
distrutta da uno sterminato esercito saraceno nei pressi di Roncisvalle; Orlando tarda a invocare soccorso col suo corno e resta
ucciso, ma il suo sacrificio viene comunque vendicato da Carlo con una tremenda strage di Saraceni.

13/02/2022
Nettissima e senza sfumature appare qui la distinzione tra bene e male, tra i valori positivi del mondo cristiano e quelli negativi
del mondo islamico; il carattere fondamentale della scrittura è quello epico-religioso. Gesti e parole celebrano i valori della fede
e di un destino già dato da sempre. I valori eroici e militari del feudalesimo si affermano qui come qualcosa di assoluto, che
non riguarda una classe o gruppo sociale, ma tutto il popolo cristiano. Il punto di vista della società feudale francese diventa
quello di tutta la civiltà cristiana, e non c’è spazio per prospettive alternative. Nella canzone di Orlando, possiamo riconoscere i
caratteri fondamentali dell’epica romanza: distanza dal passato, immediatezza dell’azione, rispetto alle gerarchie ecc. Il
protagonista venne definito come un eroe, modello puro e originario di valori eroici, massimo difensore dell’Occidente contro
la minaccia dell’Islamismo, divenendo uno dei personaggi più amati nella letteratura europea, e in primo luogo quella italiana.
Il genere che più caratterizza la letteratura in lingua d’oil è però il romanzo, che non a caso prende nome dalla sua appartenenza
all’ambito delle lingue romanze. Riferendosi ad avventure di singoli individui, qui l’eroe realizza sé stesso impegnandosi a
raggiungere beni preziosi, soprattutto rivolte nel conquistare l’amore di una donna. Il pubblico cerca nei romanzi modelli di
comportamenti cortesi e trova nei cavalieri figure esemplari di fedeltà; allo stesso tempo è attratto dal piacere di seguire
avventure, lontane dalla banalità quotidiana. Le tematiche del romanzo medievale risultano assai varie; un punto di riferimento
è quello del rimando all’antichità classica. Inizialmente per iniziativa dei chierici legati alle corte feudali francesi, si ebbe una
ricca produzione di romanzi ispirati a storie, leggende e capolavori dell’antichità, adattati però alla realtà del mondo feudale,
secondo l’uso medievale di appropriarsi del passato attualizzandolo: eroi ed eroine del mito o della storia antica si esprimono
perciò con lo stesso linguaggio dei cavalieri e delle dame medievali. Ricordiamo il Romanzo d’Alessandro di Picanson. Si
svilupparono inoltre forme di romanzo mitologico che combinavano motivi ricavati da Ovidio e da altri poeti latini, o di
romanzo idillico con intricate avventure di giovani amanti, riconducibili agli schemi dei romanzi greci dei secoli II-III d.C.

13/02/2022
Ma i romanzi più appassionati si basano sulla materia di Bretagna, cioè sul patrimonio delle antiche leggende celtiche, di cui
sono protagonisti il mitico re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda, suscitando l’interesse della nobiltà feudale normanna
dominante l’Inghilterra e la Francia Occidentale; è comunque assai difficile distinguere tra la materia originario del folclore
bretone e gli interventi che vi operano i creatori dei primi romanzi, influenzati dalla cavalleria e dalle corti. Nel Lancelot si ha
una delle immagini più famose dell’amore cortese, con la rappresentazione dell’amore di Lancillotto, il più forte e valoroso
dei cavalieri di Re Artù, per Ginevra, moglie dello stesso re: nel Parceval appare la figura del giovane eroe, puro e ingenuo,
votato alla ricerca del misterioso Graal, carico di significati oscuri e mistici. Vari ampliamenti e integrazioni portarono poi,
all’inizio del secolo XIII, alla nascita del romanzo in prosa, destinato soprattutto alla lettura in libro. Intorno al 1215 fu
concluso un ponderoso romanzo anonimo, che sintetizzava l’intero ciclo arturiano, dalle vicende di Lancillotto a quelle di
Perceval: l’opera è indicata dagli studiosi col titolo di Lancelot-Graal. Alla materia del ciclo bretone appartiene anche la storia
di Tristano e Isotta; la trama narra di Tristano, che mentre sta conducendo la bella Isotta in sposa allo zio, re di Cornovaglia,
per azione di un filtro magico i due si innamorarono. Perseguitati da re Marco, troveranno insieme una morte tragica. I
capolavori del ciclo bretone si pongono su un livello di raffinatissima civiltà letteraria; dal materiale folclorico e dal
meraviglioso delle antiche leggende ricavano avventure fascinose, con personaggi eroici, la cui superiorità si riconosce non
soltanto nella forza fisica o nella difesa di valori collettivi e oggettivi, ma in primo luogo nella fedeltà a un destino
individuale; attraverso l’avventura, il cavaliere si distingue dal resto della collettività e da lì nasce la concezione, dominante
in tutta Europa, che tutto ciò che è nobile, grande e importante non abbia nulla a che fare con la realtà comune (E.
Auerbach). Gli ideali cortesi si riconoscono in quelle azioni, nella costante ricerca di qualcosa che è perpetuamente al di là, di
un bene per la sua stessa natura non è mai raggiungibile e che pone l’eroe in conflitto con le norme sociali dominanti, dove il
cavaliere si caratterizza per la sua tenacia nella ricerca di un qualcosa di assoluto. Il senso della società come limite è avvertito
nell’amore cortese, la cui massima rappresentazione è l’amore di Lancillotto e Ginevra e di Tristano e Isotta.

13/02/2022
Nel mondo laico feudale si afferma una nuova immagine della femminilità: alla donna-signora si attribuisce un nuovo valore
superiore, la sua nobiltà si colloca in un piano assoluto. La tensione verso questo valore supremo indica però una distinzione tra
gli amanti e il resto della società; l’amore cortese si pone completamente al di fuori del piano sociale. Un trattato di grande
successo, è senza dubbio quello di Andrea Cappellano, il De Amore, articolati in tre libri. Alla nascita del romanzo in lingua
d’oil, si accompagna in lingua d’oc, un altro fenomeno essenziale per la storia successiva della letteratura europea, ossia la
creazione, nelle corti di Provenza e della Francia meridionale, di una nuova poesia lirica, prodotta dai trovatori. Si tratta di
componimenti, i quali si rifanno agli artifici più preziosi, ma cercano di seguire forme tradizionali della cultura popolare
dell’Europa romanza; essa crea il primo grande codice della poesia d’amore, dando voce ai segreti e agli effetti misteriosi che il
desiderio ha sull’io. I componimenti lirici provenzali richiedono un accompagnamento musicale e vengono cantati da giullari
oltre che dagli stessi autori. Il modello cortese caratterizza fortemente la poesia trobadorica, dove l’amante, essendo nella
posizione del vassallo, sarà pronto a servire in modo assoluto e disinteressato la sua donna. Anche quando la donna è
fisicamente vicina, la sua bellezza e il suo potere la pongono in una distanza assoluta, dove il canto del poeta non fa altro che
sottolineare questa distanza, animato dallo stesso tempo, da una tensione nel colmare questa distanza. Nel ribadire questa
inafferrabilità della donna, il dio Amore manifesta la sua potenza, con un intreccio tra astrazione e sensuale erotismo. Il rischio
diventa il carattere peculiare di questa poesia: la passione provoca nel soggetto effetti contraddittori, che la poesia analizza. Si
hanno diversi modi di comporre: vi è il trobar clus ‘oscuro, chiuso’, di scrittura densissima e di difficile decifrazione, e il trobar
leu, facile, scorrevole e limpido. Si sperimentano varie forme metriche nell’esprimere gli ideali amore: ricordiamo la canzone,
che trova importanti varianti come il sirventese e il compianto; molto diffuso è anche il saluto d’amore. Si inventano forme
complicate come la sestina e si riprendono la pastorella, l’alba, la ballata. A un gruppo di trovatori vissuti tra la fine del secolo
XII e l’inizio del secolo XIII appartengono i tre grandi prediletti da Dante: Daniel, notevole sperimentatore di forme e maestro
del trobar clus; De Born e De Bornelh, che da Dante viene definito come cantore della rettitudine.

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La Crociata contro gli Albigesi portò ad una crisi della poesia provenzale ma l’esperienza dei trovatori continuò sino al 1250,
ma molti di loro furono costretti ad operare fuori dalla loro patria. I modelli della lirica provenzale trovarono il loro sviluppo
anche in Germania, con la poesia dei Minnesanger, ‘cantori delle Minne’, cioè del pensiero amoroso, I generi dell’epica, del
romanzo, della lirica cortese ebbero il loro sviluppo in Francia, attraverso una letteratura didattica e morale in volgare, che
prende spunto dalla morale latina, rappresentando il comportamento umano in termini concetti e realistici; ricordiamo il
Libro delle categorie sociali. L’incontro tra i diversi generi si realizza soprattutto nella letteratura comica, nella Francia del
secolo XIII sulla base di motivi, come quello carnevalesco e quello della parodia, ricordando il Roman de Renart, ottimo
esempio il quale raccoglie numerose avventure in opera di giullari e poeti. I fabliaux ebbero grande influenza, basati su beffe,
situazioni paradossali, equivoci; alcuni di loro saranno particolarmente cari al Boccaccio. Una forma mista di grande libertà,
usata spesso per rovesciare in parodia i generi narrativi seri, è il cantafavola, parte in versi e in prosa, il quale alterna canto e
recitazione. L’opera più fortunata dell’intera letteratura europea del secolo XIII, è il Roman de la Rose (romanzo della Rosa),
scritto da De Lorris e De Meung, dove l’opera si concluderà col raccoglimento della Rosa. Mentre nel secolo XII la lingua d’oc
e la lingua d’oli danno luogo a una produzione letteraria ricchissima, la lingua italiana lascia solo frammenti sparsi; sin deve
attendere il terzo decennio del secolo XIII affinché in Italia si abbiano testi di un volgare di certo spessore. Si suppone che il
ritardo italiano, sia dovuto alla nostra classe feudale difetta nell’elaborare modelli letterari, a confronto della Francia del XII
secolo e la nostra Italia preferiva concentrare le loro energie nella lotte politica e istituzionale. E’ certo che la letteratura
volgare in Italiano, si sviluppa grazie al continuo confronto con le letterature romanze, diffuse in Italia già nel secolo XII,
soprattutto grazie ai modelli impartiti dalla Francia e dalla Provenza. Tra i nuovi generi romanzi, quello che riceve più
importanza è la lirica, che tende a svilupparsi nel secolo XIII proprio in coincidenza con la crisi improvvisa della poesia
provenzale. Dalla lirica Dante sarà il più importante, raccogliendo le suggestioni più varie della letteratura d’oc e ‘oil e dando
alla Commedia una soluzione originale alla ricerca che aveva caratterizzato la nuova letteratura, apportando codici diversi.

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Quanto al Romanzo, bisognerà attendere le opere giovanili di Boccaccio per avere una sistemazione in lingua toscana della
tradizione cavalleresca. Del tutto assente in Italia, è la letteratura drammatica e teatrale, molto vivace in Francia. Sin dal XI
secolo fu naturale lo scambio con la cultura francese nell’Italia meridionale e nella Sicilia, per effetto della conquista
normanna e dell’utilizzo della lingua d’oil all’interno della corte normanna. Si diffusero soprattutto modelli francesi, come le
canzoni di gesta, avendo molte testimonianze in Italia della fama di Orlando e dei Paladini di Carlo Magno. Hanno ampia
diffusione nelle corti i romanzi del ciclo bretone: all’uso della lettura ‘per diletto’ di romanzi negli ambienti cortesi, ai quali
accenna anche Dante, ricordando il V canto di Paolo e Francesca Da Rimini; per tutto il secolo XIII vi sono inoltre numerosi
scrittori italiani che si cimenteranno con la lingua d’oil, attratti dal suo prestigio: tra gli altri, ricordiamo Brunetto Latini (tra
cui ricordiamo il Tresor, l’opera fondamentale per lo studio della retorica di Dante). La diffusione della lirica provenzale in Italia
fu dovuta in primo luogo alla presenza, nell’Italia settentrionale, di trovatori provenienti dalla Provenza, in seguito alla grave
crisi che le corti occitane attraversarono all’inizio del secolo XIII; proprio in quel periodo, nelle corti di signori dell’Italia
settentrionale sorse l’ambizione di dar vita a un’elegante cultura cortese: si distinsero le corti di Monferrato, Malaspina, Estensi.
Raimbaut interessa non solo per l’alto livello del suo trobar, ma anche per la curiosità verso le parlate italiane, che egli inserì in
alcune sue poesia; risale al 1190 ‘Donna, tanto vi ho pregata’, che presenta un dialogo tra il poeta (che parla provenzale) e una
donna genovese (che risponde nel suo dialetto): è questo il primo esempio di uso letterario di un volgare italiano, al suo livello
basso e popolare, con un’intenzione di parodia linguistica. ‘Ora che vedo rinverdire’, si tratta di un discorso in cui la passione
amorosa viene espressa in cinque lingue diverse, con risultati di grande eleganza. Gli altri trovatori che dalla Provenza si
trasferirono in Italia non avevano il genio sperimentale di Raimbaut, il cui plurilinguismo resta purtroppo un caso isolato. Si
formò una schiera di trovatori italiani, che si esercitavano direttamente nella lingua provenzale; il più antico testo scritto da un
italiano provenzale risale al 1194: si tratta di un battagliero sirventese di Pier de La Cavarana, che esorta signori e comuni della
Lega Lombarda a opporsi alla discesa in Italia da parte di Enrico VI.

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In Italia, la letteratura volgare nasce in un momento di forte espansione della civiltà comunale: in un’espansione che è
anzitutto economica e vede un grande incremento dei traffici mercantili, la diffusione di imprese artigianali piuttosto ampie; le
città sonio i veri e propri centri propulsori, come Firenze, Venezia, Genova, Milano, che costituiscono i veri e propri centri
economici, collocando i propri mercanti in ogni centro commerciale d’Europa e del Vicino Oriente. Questo nuovo mondo, se in
un primo momento appare molto più aperto rispetto a quello dei secoli precedenti, con l’emergere della classe della borghesia
mercantile, in realtà, le analisi delle strutture economiche e sociali dell’Italia, ci mostrano come questa realtà sia intricata e
contraddittoria, più che mai. Le nuove attività artigianali e preindustriali dell’Italia del secolo XIII mantengono modi e
rapporti di produzione ancora di tipo feudale; i Comuni, inoltre si organizzano in forme istituzionali che non hanno nulla di
borghese, dato che la maggior parte della ricchezza, deriva ancora dalla proprietà terriera. La nobiltà ovunque il controllo
politico e militare sulla società ed è pienamente inserita nella vita dei Comuni. In ampie regioni è assoluto il predominio della
vecchia nobiltà feudale; e signori di feudi e castelli vengono assunti spesso dai Comuni come capi militari o con particolari
incarichi di governo; per questa strada molti nobili si inseriscono in lunghi periodi nel potere cittadino, dando inizio a quel
processo di trasformazione dei Comuni in Signorie; le fazioni che si contendono il governo dei Comuni mirano spesso alla
totale reciproca distruzione: gli sconfitti vengono esiliati, i loro beni confiscati e ne derivano crudeltà e violenze interminabili.
Nella prima fase del conflitto tra l’imperatore Federico II e la Chiesa, si formano in tutta Italia i due partiti dei Guelfi e
Ghibellini, le cui contese interferiscono con gran parte delle vicende europee; capita spesso che nei centri abitati, una delle
fazioni viene sconfitta e annientata, all’interno della fazione vincitrice si creano nuove fratture, che danno luogo a ulteriori
distruzioni. Uno tra i conflitti più conosciuti è senza dubbio quelli che oppongono la nobiltà più antica, coi suoi privilegi e le
sue istituzioni, e le nuove classi mercantili e artigiane, che aspirano al pieno controllo del potere cittadino. In alcune città si
verificano comunque spaccature tra la vecchia aristocrazia (i grandi) e gli altri stati sociali emergenti (il popolo). Hanno un peso
essenziale anche le due istituzioni universali del Medioevo, l’Impero e la Chiesa.

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L’impero, che attraversa una crisi irreversibile, è incapace di controllare i numerosi e autonomi poteri feudali e comunali e di
reagire alle mire della Chiesa, che intende imporsi in tutta la penisola anche come potenza temporale. Federico II, si impegna in
una serie di guerre e conflitti contro la Chiesa e con le città del Centro e del Nord, alleate della Chiesa o gelose della propria
autonomia. Nel regno del Sud la ferrea amministrazione di Federico II porta a un rafforzamento della feudalità: propri con
Federico II diventa definitivo il distacco economico e politico del Mezzogiorno dal resto della penisola (per l’ambizione
politica culturale di questo sovrano). Tale distacco si aggrava con le vicende successive alla sua morte e con la conquista del
Regno meridionale da parte di Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia, che col suo sostegno della Chiesa, elimina il figlio di
Federico, ovvero Manfredi, ucciso nella battaglia di Benevento. La nuova dinastia angioina provoca la ribellione della Sicilia,
ovvero dei famosi Vespri Siciliani; questa ribellione si risolve con l’ingresso in Italia da parte di una nuova dinastia straniera,
quella degli Aragonesi: essi si insediano nel regno di Sicilia, che resta separato da quello di Napoli, in mano agli Angioni. Il
controllo della vita religiosa garantisce alla Chiesa un ruolo ben più incisivo e costante dell’Impero, ricordando i pontificati di
Innocenzo III e Bonifacio VIII; sotto il primo pontefice il Papato medievale vive il suo momento più prestigioso, imponendo a
tutta la società feudale e comune l’immagine della teocrazia, mirando ad un controllo dell’intera vita sociale, organizzata
secondo strutture rigide e rigorose. La lotta contra l’eresia, promossa sempre da Innocenzo III, sarà uno degli aspetti
fondamentali del suo pontificato; riuscito a debellare i movimenti ereticali, riassorbe le nuove forme di religiosità e sembra in
grado di padroneggiare quasi totalmente la politica italiana. Il giubileo indotto nell’anno 1300 da Bonifacio VIII vuol
rappresentare la conclusione simbolica e l’apoteosi della vicenda della Chiesa nel 200’; ma dietro il giubileo, si nascondevano le
contraddizioni dovute alla compromissione della Chiesa con i meccanismi e gli inganni della politica temporale. Quelle
contraddizioni dovevano esplodere ben presto, col fallito tentativo di Bonifacio VIII di sganciarsi dall’invadente tutela francese
e col trasferimento della sede papale ad Avignone.
In questo mondo così conflittuale si intrecciano e si scontrano vari modelli e valori culturali, temi e modi espressivi diversi: ai
residui tutt’altro che spenti nel Medioevo latino e feudale, si sommano le tipologie della letteratura..
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..cortese e cavalleresca francese e le nuove forme dell’immaginario che nascono negli ambienti cittadini e municipali. Oltre ai
modelli legati alle istituzioni civili, la letteratura religiosa, la poesia lirica colta e la prosa, ricordiamo altri generi che ebbero
una forte influenza nel secolo XIII, anche se non saranno delle forme letterarie durature: basterà ricordare i canoni e gli usi di
scrittura più tecnici di ambito giuridico, notarile, amministrativo; le infinite forme della tradizione orale; le permanenze della
cultura contadina e folclorica. Un discorso a parte richiederebbe poi l’opera degli architetti e degli artisti, che contribuiscono a
creare l’inconfondibile fisionomia delle città medievali italiane a definire la nuova percezione del mondo fisico e della figura
umana. Giotto e Cimabue riscontrano un ruolo primario in questa concezione. Insomma i personaggi delle opere di
Giotto hanno emozioni, sono sorpresi in posizioni e situazioni diverse, sia nelle scene di quotidianità che in quelle di miracoli e
fatti straordinari. Ma la sua rivoluzione non è stata solo in questo aspetto. I suoi personaggi infatti ci appaiono molto vivi anche
perché sono molto espressivi. I gesti, i movimenti in cui sono ritratti, ma anche i loro volti, ci indicano una vivacità molto
realistica ed umana. Le figure, da lontane e statiche come le possiamo vedere nelle opere dei suoi predecessori, ritornano
finalmente ad essere vive. In quanto a Cimabue, era un artista celebre già tra i suoi contemporanei, tanto da essere citato
da Dante Alighieri nell’XI canto del Purgatorio.
Il Vasari successivamente lo citò come colui che nacque “per dar i primi lumi all’arte della pittura” . Fu infatti proprio l’arte
di Cimabue a dare inizio a una nuova scuola pittorica che si distaccava dal quella bizantina e che era fatta anche di
sentimenti: è a lui che dobbiamo il passo fondamentale nella transizione da figure ieratiche e idealizzate verso soggetti veri,
dotati di umanità ed emozioni, che saranno alla base delle futura pittura italiana e occidentale. Il secolo XIII vede la nascita
della letteratura in volgare italiano, in generi e modi diversi: la letteratura italiana si configura appunto come un flusso
ininterrotto di scrittura che procede del Duecento fino ai giorni nostri ed è ancora aperto, in crescita. Ma non ci si può limitare a
parlare dei soli testi in volgare, in quanto il latino continua ad essere la lingua della comunicazione colta a circolazione europea
e dà luogo a una produzione letteraria ancora ricchissima. Questa continuità si realizza però soltanto entro gruppi sociali limitati
(i pochi veramente erano in possesso della cultura latina), che comunicano sempre meno con le tante e differenziate realtà locali
e quotidiane.
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Il secolo XIII vede però il progressivo sviluppo ed inserirsi del volgare, specialmente quando si vede comunicare con quanti non
comprendono il latino: così diventano sempre più numerosi gli atti notarili redatti completamente in volgare e in molti centri
comunali vengono scritti in volgare i più importanti documenti pubblici, come gli statuti e ordinamenti. L’affermarsi di una
poesia e di una prosa letteraria in volgare si lega in primo luogo al bisogno di adeguarsi alla vivacità e alla mutevolezza della
realtà sociale contemporanea: ma la varietà dei dialetti crea molte difficoltà, perché nessun volgare ha la capacità di circolare e
diffondersi su tutta la penisola. Comincia così la ricerca di una lingua letteraria unitaria, di un modello linguistico assoluto, che
costituirà una costante nella storia della cultura italiana; restano comunque, anche alla fine del secolo, molte incertezze
nell’efficacia e sui limiti del volgare italiano. Oltre la lingua d’oil e la lingua d’oc, basta ricordare che in francese antico sono
scritte tra le due opere più importanti della letteratura italiana del secolo, il Tresor di Brunetto Latini e il Milione di Marco Polo.
Al di là della tradizione latina medievale, si cerca un rapporto più diretto con Roma, come modello di civiltà, come immagine di
un glorioso passato (Leopardi). Roma e la cultura latina pagana vengono viste come la fonte dei valori essenziali della vita
sociale, sono oggetto di una venerazione particolare. I centri monastici e gli studi universitari, sono i principali luoghi di
allestimento dei manoscritti latini, destinati soprattutto a un pubblico di ecclesiastici, studenti e giuristi. Oltre alle opere della
letteratura latina, questi centri diffondono in particolare libri sacri, i testi dei Padri della Chiesa, alcuni classici antichi (come
Orazio, Ovidio, Cicerone, Lucano, Stazio); ricordiamo le versioni latine di Aristotele, quelle del fiammingo Guglielmo di
Moerbeke su richiesta di Tommaso D’Acquino. Al nuovo pubblico aristocratico e cittadino si rivolgono i manoscritti in volgare;
ma la maggior parte, andarono perduti, sia per la loro cattiva conservazione, sia per la scarsa considerazione che gli umanisti del
400’ e 500’, ebbero per le manifestazioni più antiche della nostra lingua, da loro giudicate come rozze e barbare. I primi libri
volgari, riguardano soprattutto la prosa narrativa e di intrattenimento; la poesia viene diffusa soprattutto attraverso canzonieri,
che presentano scelte ampie ed eterogenee di testi di autori diversi. Ma lo scarso materiale giunto sino a noi, ci offre un quadro
assai ridotto di quello che doveva essere la produzione reale di testi, in quanto le opere erano costantemente sottoposte a diverse
modifiche.
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Inoltre, bisogna tener presente che la maggior parte dei testi del 200’ che conosciamo, è grazie ai diversi manoscritti
duecenteschi o addirittura ancora più tardi, dunque la loro lingua non coincide più con quella dell’originaria fisionomia 200’. I
problemi della tradizione di questi testi sono insomma estremamente complicati: la ricostruzione di forme quanto più possibile
vicine a quelle originali offre uno sterminato campo di lavoro per la moderna filologia e critica testuale. Tra i molti luoghi in cui
si elabora cultura, continuano ad avere un peso notevole le corti signorili, specie quelle dei grandi feudatari del Nord; molto più
complessa è però la vita culturale alla corte meridionale di Federico II (indicata spesso come Magna Curia), che nella prima
metà del secolo aggrega intorno a sé, molteplici forme di sapere ed esperienze di scrittura legate a lingue e tradizioni di diversa
origine. Palermo e la Sicilia costituiscono il vero centro del sistema imperiale di Federico ma la sua corte è in continuo
movimento poiché segue l’imperatore in tutte le sue imprese militari e diplomatiche, accogliendo diversi personaggi e favorendo
lo sviluppo della letteratura poetica latina, di una cultura araba filosofica e letteraria, di una cultura normanna in lingua d’oil,
la diffusione della letteratura cavalleresca, di una cultura greco-bizantina e di una cultura tedesca: ha poi il merito per noi
fondamentale, di aver sostenuto lo sviluppo della nuova poesia in volgare siciliano. Un ruolo culturale fondamentale hanno, nella
sua corte, i tecnici di amministrazione (sono funzionari imperiali tutti i maggiori poeti in lingua siciliana). Estrema cura si presta
al linguaggio amministrativo e diplomatico; i documenti pubblici e la corrispondenza ufficiale vengono perciò redatti da insigni
dictatores, che elaborano una scrittura solenne e ricercata, animata dai più sottili artifici retorici e da tutte le risorse del cursus.
Maestro insuperato di prosa aulica è Pier delle Vigne, il quale morì suicida nel 1249, dopo essere stato accusato da tradimento e
imprigionato. La vicenda di Pier delle Vigne sarà narrata anche all’interno della Divina Commedia dantesca, collocando tra i
suicidi nel II cerchio dell’Inferno, le cui anime sono imprigionate nella pianta di una selva. Una prestigiosa scuola di ars
dictandi opera all’inizio del secolo a Capua, patria di Pier delle Vigne: darà un contributo essenziale alle strutture ufficiali della
Chiesa, secondo una collaudata sapienza retorica. La chiesa continua ad avere un ruolo primario, un gran numero di istituzioni
culturali: i monasteri consacrano la loro fama ma i nuovi ordini mendicanti, creano nuovi modi di trasmissione della cultura
religiosa.

13/02/2022
Nei loro conventi, operano importanti scuole che formano veri e propri tecnici, capaci di intervenire nelle contese di una società
in movimento, di controllare la religiosità spontanea e popolare, di immettersi nelle nuove istituzioni religiose di matrice laica,
le confraternite. Queste ultime si formano sotto la spinta collettiva alla penitenza e alla preghiera e vengono pure considerati
strumenti di solidarietà e di collaborazione, luoghi di meditazione e di scambio culturale e contano su una forte coesione tra i
diversi membri. Per quanto riguarda l’istruzione, si assiste allo sviluppo delle università; Bologna ha un dominio assoluto per
quanto riguarda il diritto, registrando diversi progressi nel campo della medicina e del suo insegnamento. Nelle città comunali,
si registrano interessanti novità nel campo dell’istruzione primaria: si sviluppa sempre più l’attività dei maestri laici, e
dappertutto, l’insegnamento di base riguarda la lingua latina: il gradino più basso è dedicata all’apprendimento della scrittura e
della lettura, quello più alto invece a quello della grammatica, cioè all’interpretazione degli autori. Un rilievo particolare viene
soprattutto riconosciuto all’arte della parola, la retorica: dalla prima forma volgare più diffusa, rretorica, si usa ricavare una falsa
etimologia, che la definisce come l’arte dei rettori, cioè di quelli che governano. A Bologna l’insegnamento dell’ars notaria si
intreccia con quello dell’ars dictandi e proprio dalle necessità pratiche legate al lavoro notarile nasce un insegnamento retorico
anche per il volgare; ricordiamo Da Signa, autore di numerosi volumi manuali, che divengono modello per tutta l’ars dictandi in
latino del 200’. Altro personaggio fondamentale, non solo per la retorica ma anche per la stessa prova volgare, viene dal
fiorentino Brunetto Latini: dotato di ricca cultura, egli traduce in volgare nella sua Rettorica, parte del De Inventione di
Cicerone; è anche abile nel saper risolvere gli strumenti retorici in una pratica piena di concretezza e di dignità. Col suo
atteggiamento nei confronti della cultura e della scrittura, Brunetto crea la figura dell’intellettuale civile, che fa convergere il
proprio fare letterario con la propria esistenza individuale e la propria attività politica. L’uomo colto si riconosce nel modo in cui
si applica il suo sapere a un giudizio e a un intervento morale sul mondo, campo del suo operare: in ciò consiste senza dubbio il
senso dell’insegnamento trasmesso da Brunetto a Dante (XV Inferno). In toscano, Brunetto redasse invece un poemetto
enciclopedico-morale in settenari, rimasto incompiuto, il Tesoretto, seguendo modelli di alcuni poemi latini del secolo XII.

13/02/2022
Al poeta che viaggia nella Francia meridionale, si fanno incontro alcune visioni, dalle quali egli trae spunto per costruire una
rapida sintesi della storia universale, pe definire le virtù e per descrivere l’amore e i peccati capitali; il poemetto si interrompe
all’inizio della trattazione delle arti liberali. Oltre ai luoghi istituzionali di cui si è parlato, ricordiamo anche la poesia popolare,
affidata alla tradizione orale, che lasciano pochissime tracce nella documentazione scritta. Un carattere dominante della poesia
popolare è costituito dalla ripetizione di forme e motivi costanti, intrecciandosi col canto, la musica e la danza; i testi vengono
trascritti, solo nel momento in cui interviene la curiosità di un pubblico non popolare. I professionisti dello spettacolo sono i
giullari, che fanno da mediatori tra i motivi di origine popolare e quelli derivanti dalle culture superiori; il loro pubblico
comprende tutti gli strati sociali. Tra le diverse espressioni della poesia popolare, ricordiamo il Ritmo laurenziano, Ritmo
cassinese, Ritmo su Sant’Alessio. Più consistenti tracce di argomenti e moduli popolari e giullareschi sono conservate da
documenti piuttosto tardi; la documentazione più fitta è fornita dai Memoriali Bolognesi, cioè dai Libri Memorialium,
comprendendo documenti che vanno dal 1265 al 1463. Lo schema più diffuso è quello del contrasto, che prevede alterchi tra
voci diverse e in cui ha particolare rilievo la recitazione; tra i testi diffusi ricordiamo colui che canta della fuga dell’usignolo e
quello in forma di contrasto tra una madre e una figlia che vuole a ogni costo marito. Si hanno anche dei lamenti in cui il
giullare narra eventi della cronaca politica contemporanea, adattando all’orizzonte comunale i toni delle canzoni di gesta, ed
esprimendo il timore che tanti sanguinosi conflitti interni possano portare alla distruzione della vita civile. I testi giullareschi
sono per lo più anonimi; fatta eccezione il Contrasto di Cielo D’Alcamo e il piccolo gruppo di componimenti del giullare senese
Ruggieri Apugliese, che per la sua spregiudicatezza fu anche accusato di eresia. L’affermazione del volgare nella letteratura
italiana nel secolo XIII si appoggia su molteplici tradizioni locali, sviluppandosi in forme diverse da città a città a da regione a
regione: ne è seguito esplicito la varietà estrema delle forme dialettali. L’eccessiva frantumazione può rendere troppo
difficoltosa la comunicazione tra diverse aree: si cerca dunque di costruire un tipo di volgare che sia alla portata di tutti,
capace di comunicare a livello più ampio; l’affermazione del toscano come lingua letteraria media e alla conquista della città
fiorentina su tutte le altre città italiane.
13/02/2022
Il Cristianesimo costituisce nel secolo XIII il riferimento essenziale per le esperienze che hanno luogo in tutti gli strati della
società. Forse come non mai in questo secolo la società medievale ha voluto ricavare dal messaggio di Cristo una sollecitazione
a rigenerarsi, dove le condizioni della vita terrena, cercano uno stretto contatto tra il Vangelo e la vita quotidiana. La grande
espansione della civiltà occidentale del secolo XII ha portato ad un notevole miglioramento, soprattutto dal punto di vista
materiale; e tra la fine di questo secolo e l’inizio di quello successivo, si sparge la convinzione che il mondo, dominato dalla
violenza e dalla prepotenza, possa trasformarsi e divenire realmente e totalmente cristiano. Questa convinzione però si scontra
con gli obiettivi di chi detiene il potere e con le strutture ufficiali della Chiesa, ed è costretta a esprimersi soprattutto nelle forme
dell’eresia e dell’escatologismo e millenarismo. Molti di questi movimenti si evolvono in eresie solo in seguito alla condanna
della Chiesa; in opposizione alla Chiesa di Roma si svolge l’eresia dei catari (puri), basata su una teologia dualistica, che
distingue nettamente dagli uomini prigionieri del male i pochi eletti, i predestinati alla beatitudine. Nei confronti dell’eresia la
risposta della Chiesa di Roma è spietata, andando verso forme di sterminio (guerra contro gli Albigesi, 1209) sino alla
persecuzione, col fondarsi del Tribunale dell’Inquisizione, fondato nel 1233. La caccia all’eretico diverrà una crudele attività,
nelle quali le autorità laiche offrono il loro pieno appoggio nei confronti della Chiesa. Altri ordini; ricordiamo la nascita degli
ordini mendicanti, quello domenicano (o dei predicatori) e quello francescano (o frati minori). Questi ordini ribaltano la
concezione della vita monastica, chiusa nella contemplazione e nella preghiera. In poco tempo conventi domenicani e
francescani sorgono in quasi tutta Italia, espandendosi anche in Europa. I domenicani sono più legati alle strutture della Chiesa e
i loro sforzi sono prevalentemente indirizzati verso la predicazione e si pongono come primo scopo la lotta dell’eresia; invece i
francescani, sono in stretto rapporto con l’esistenza di ogni giorno e contano sulle eccezionali personalità del suo fondatore,
ovvero Francesco d’Assisi. La figura di S. Francesco sorprende e affascina ancora oggi per l’intensità con cui rivive il
messaggio di Cristo, avvertendo un bisogno assoluto di uscire dalla normalità e ritornare a Cristo.

13/02/2022
Con uno spirito di carità che si indirizza a tutti, Francesco esprime il suo rifiuto nei confronti del mondo e della violenza non
attraverso la ribellione ma assumendo un atteggiamento spirituale e fisico. Le autorità ecclesiastiche furono molto caute
nell’accettarne e riconoscere tutte le implicazioni. Ma alla morte di S. Francesco, il suo ordine cominciò a lacerarsi da aspe
contese tra loro, che intendevano restare fedeli al messaggio di povertà di Francesco (chiamati spirituali) e coloro che
propugnavano l’acquisizione dei beni materiali e dei poteri temporali (chiamati conventuali). Gli spirituali opponevano la mistica
attesa di un rinnovamento radicale, collegandosi all’insegnamento di Gioacchino da Fiore. Il breve pontificato di Celestino V,
offrì l’ultima occasione affinché agli spirituali venisse riconosciuto, dalla Chiesa, un ruolo positivo: ma, dopo la sua forzata
abdicazione, il successore Bonifacio VIII promosse contro gli spirituali una violenta persecuzione, che spinse molti di loro su
posizioni ereticali; attraverso i diversi conflitti che seguirono, l’ordine francescano finì comunque per venire quasi
completamente integrato nel sistema ecclesiastico. Ma nel 200’ si manifestarono anche altri molteplici slanci di autentica vita
religiosa: ricordiamo in particolare, i movimenti di massa collegati all’origine della lauda e alcuni eroici tentativi eterodossi,
come quello dei cosìdetti fraticelli. Alla fine del secolo, la Chiesa di Roma comunque aver vinto la sua battaglia per la
distruzione dell’eresia e del controllo della nuova vita religiosa. La ricca vita religiosa del secolo XIII dà luogo a una grande
varietà di scritture, tra le quali possono ricordare anzitutto quelle, ovviamente in latino, più direttamente legate alle istituzioni
ufficiali della Chiesa. Il testo più influente di questo genere di letteratura è il trattato in tre libri De miseria humanae conditionis
(La miseria della condizione umana), detto anche De contempu mundi (Il disprezzo del mondo), scritto alla fine del secolo XII
dal cardinale diacono Lotario dei Conti di Segni, prima che divenisse papà col nome di Innocenzo III: all’interno del
componimento, analizza la miseria e la vanità dell’esperienza umana. Lotario tende a trasferire tutto il senso dell’esperienza
umana al di fuori della realtà terrena e corporea, che è solo corruzione e disfacimento; ma la contemplazione della pochezza
dell’uomo e l’invito a una dura ascesi religiosa sono anche un monito a rinunciare a ogni iniziativa individuale e a delegare ogni
giudizio sulla vita alle autorità ecclesiastiche. Molti teologi e ecclesiastici italiani operano presso l’università di Parigi: oltre a
Bonaventura e a Tommaso, si può ricordare anche Ronaldo da Cremona. Allievo a Parigi di Tommaso d’Acquino, e poi lui stesso
insegnante a Parigi, fu il frate agostiniano Romano:
13/02/2022
Insieme a vari scritti di metafisica, egli compose il De regiminie principium (Il governo dei Principi), un trattato di grande
successo che definiva una politica cristiana e sosteneva la necessità di sottomettere ogni potere temporale alla legge di Dio, e il
De ecclesiastica potestate (La potenza ecclesiastica), rivendicando il potere temporale della Chiesa e la superiorità papale su
quella imperiale. Tommaso D’Acquino, il filosofo domenicano, ‘il dottore angelico’, compie una rigorosa sintesi tra il sapere
cristiano e l’insegnamento di Aristotele; formatosi a Montecassino e Napoli, soggiornò a lungo a Parigi e frequentò vari studi
domenicani. Tommaso polemizza con le interpretazioni del pensiero aristotelico che si richiamano ai commenti di Averroè,
molto diffuse nelle scuole parigine e tendenti a mostrare la non coincidenza tra fede cristiana e fondamenti del sistema
aristotelico (questo orientamento avveroistico, che in futuro favorirà la nascita di forme di pensiero materialistico, avendo una
fortissima presenza in tutta la filosofia della seconda metà del secolo XIII). Per Tommaso è invece possibile uno stretto accordo
tra Cristianesimo e filosofia aristotelica; la ragione naturale, che nel mondo antico ha avuto la massima valorizzazione in
Aristotele, anche se la sua giustificazione finale deriva sempre dalla fede e dalla rivelazione cristiana, che essa non contraddice
in nessun modo. Egli insegue con logica inflessibile la molteplicità del reale, in cui tutto si lega, secondo un ordine che ha in Dio
la sua ragione suprema, la sua perfezione assoluta. Il senso della conoscenza umana è tutto nella ricerca della perfezione, nel
movimento verso quella perfetta intelligenza che è Dio. La filosofia tomistica sarà per secoli il più sicuro sostegno teorico
dell’ortodossia cattolica, la filosofia ufficiale della Chiesa di Roma. Senza negare alcun momento dell’esperienza umana, il
pensiero di Tommaso aspira a sottoporre tutto al controllo al ratio: questo ‘potere della ragione’ è sostenuto da una lingua di
tranquilla e monotona pacatezza, che continuamente distingue, precisa, crea simmetrie e gerarchie. La coesistenza di lingua
diverse, che caratterizzava tutta la cultura del 200’, agisce sulla prosa in modo assai più netto che sulla poesia; nonostante il
legame della nuova lirica italiana coi modelli provenzali e il permanere di esperienze poetiche in lingua provenzale, la
separazione linguistica tra lirica italiana e lirica provenzale è comunque chiara. La prosa non si chiude invece in codici
vincolanti ed è molto più traducibile rispetto alla poesia; avendo nella prosa, il francese e il provenzale, una fortissima presenza,
è possibile notare un constrasto..
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..delle occasioni di confronto con queste lingue. Opere di successo della recente letteratura e francese vengono tradotte con molta
frequenza, mettendo a punto una prosa di solida struttura e di grande comunicatività. La tradizione manoscrita ci ha fatto perdere
gran parti degli esperimenti compiuti in dialetti diversi dal toscano; la nostra documentazione è fatta soprattutto di prosa toscana;
e abbiamo del resto già visto, come in Toscana ci fossero numerosi centri di scrittura e di produzione di libri volgari, rivolti a un
pubblico molto vario, aristocratico e borghese, che intendeva ricavare dalla lettura occasioni di generica formazione culturale, di
insegnamento morale o di puro diletto. Una stretta associazione tra gli elementi comunicativi e quelli artistici comporta invece la
prosa più alta, che si lega all’esercizio della retorica e che mira a trasferire nel volgare la dignità del latino; in questo modo il
volgare diventa degno di poter comunicare ed esprimere tutto ciò che è essenziale per la vita degli uomini. Ma nella prosa del
secolo XIII, è difficile distinguere tra opere originali e traduzioni, in quanto quest’ultima distinzione sfugge alla coscienza
culturale del tempo. Nella prosa volgare duecentesca si accumulano motivi del tipo più diverso, ma che in massima parte si
incarnano in narrazioni, fino a quando si insinua il racconto, nella sua forma più lineare e schematica, ovvero parliamo
dell’exeplum, il quale ha bisogno di comunicare, raccontando. La tendenza enciclopedica della cultura medievale, raggiunge nel
secolo XIII il più alto grado di sistematicità; si compongono delle summae, opere che organizzano in un rigido ordine la pluralità
delle nozioni. Un esempio tipico è quello delle Summae di S. Tommaso ma le opere più divulgate non possiedono quel rigore
razionale delle opere del filosofo, in quanto trattano di compilazioni erudite, senza discriminazioni tra realtà e fantasia. Queste
enciclopedie si presentano come immagini, specchi del mondo: la più fortunata, fu prodotta da Vincenzo di Beauvais e reca
appunto il titolo di Speculum; a questo tipo di scritture appartiene anche il Tresor di Brunetto Latini, opera redatta in volgare. La
materia di tipo scientifico, ricavata soprattutto da fonti di origine araba, è organizzata secondo l’ordine aristotelico e si regge su
un linguaggio faticoso e su una operazione per opposito. I cultori di scienze e tecniche particolari elaborano invece una
trattatistica direttamente tecnica in latino, tenta forme di più diretta osservazione e interpretazione della realtà; il capofila della
trattatistica matematica, è Leonardo Fibonacci detto Pisano; accenniamo a quella medica e astronomica.

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Un’altra tradizione medievale che si prolunga nel secolo XIII è quella delle storie universali in latino, che partono dall’origine
del mondo e accumulano le più diversi notizie, ricavate d fonti disparate, senza alcun controllo critico; molte quelle in latino
dedicate a eventi e situazioni che hanno avuto risonanza nel mondo contemporaneo: numerosi soprattutto i cronisti meridionali,
che narrano le vicende di Federico II, degli ultimi Svevi o dei Vespri Siciliani. Un caso a sé è costituito dalla Cronaca scritta
nella vecchiaia da Salimbene De Adam da Parma, nel quale narra di eventi verificatasi durante la sua esistenza, utilizzando
prima di tutto ricordi personali, oltre a fonti scritte. Egli si preoccupa di dare il più ampio risalto al prestigio e al peso politico
del suo ordine, mostrando una religiosità corposa, ben calata nella vita materiale del tempo. In volgare francese (fortemente
diffuso nell’area veneta) sono scritte le Estories De Venise (Storie di Venezia) dal veneziano Martin Da Canal, che percorre la
storia della città ligure dalle origini sino al 1275 con l’intento di esaltarne la gloria e lo splendore presso quanti potevano
intendere quella lingua, ‘la più piacevole da leggere e da udire’. Cronache in volgare italiano vengono invece redatte, nella
seconda metà del secolo nella Toscana comunale; in questo contesto, il testo più interessante ed efficace è quello della Sconfitta
di Monte Aperto, scritto da un autore di parte ghibellina e di parte senese, della famosa battaglia del 1260, in cui furono sconfitti
i Guelfi Fiorentini. E’ difficile inserire il Milione, che è il libro più universalmente noto alla letteratura italiana del 200’,
all’interno di un genere preciso: per la sua scrittura esso può far pensare da una parte alla cronaca, dall’altra alla trattatistica
storico-geografica; per la sua materia può essere collegato alle relazioni di viaggio, che molti viaggiatori e missionari
compilarono nel corso del secolo. Il lungo viaggio in Oriente del veneziano Marco Polo, ebbe luogo dopo un precedente viaggio
compiuto sia dal padre Niccolò e dallo zio Matteo. Dopo il loro ritorno a Venezia, i due mercanti partirono nuovamente per
l’Asia, portando con sé il giovane Marco, con una missione inviata da parte Gregorio X. Marco si inserì nella gerarchia feudale
mongola, divenendo uno degli uomini di fiducia dell’imperatore e percorrendo a più riprese la Cina e altre regioni di quel
continente, con vari compiti. Tornato a Venezia, fu fatto prigioniero dai genovesi, e dentro la prigione, incontrò Rustichello Da
Pisa, autore di romanzi in prosa in lingua d’oil. Da questo incontro, dopo esser tornato da Venezia nel 1299, si occupò della
diffusione del libro, tradotto in diverse lingue.
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Il titolo Milione, figura nella più antica redazione cristiana, che risale all’inizio del 300’ ed è quella adottata nelle moderne
stampe italiane; il testo è distinto in capitoli, con rubriche, che ne riassumono il contenuto. Un vero e proprio prologo racconta
brevemente l’avventura personale di Marco e i tempi del suo lungo viaggio, affermandone l’eccezionalità. Intrecciando
informazione e racconto, il libro fa riferimento ai valori religiosi, cavallereschi, mitici, fantastici, economici della cultura
occidentale medievale, aprendo inoltre diversi squarci verso una realtà geografica e culturale ancora prima sconosciuta. Il
Milione offre così un capitale modello letterario del viaggio e della conoscenza geografica: raccontare un simile cammino
significa parte dall’osservazione concreta ed empirica per trascriverla su un piano che sconfina nell’immaginario. Spesso, nel
ritrarre quei paesi lontani, il Milione utilizza moduli della letteratura cortese, ma nello stesso tempo ci porta alla conoscenza di
una nuova realtà geografica. L’avventura di Marco Polo si configura come componente essenziale dell’immaginario europeo.
Notevole spazio e diffusione ebbe la prosa di divulgazione morale, piena di insegnamento che dovevano additare il retto
comportamento nella vita sociale, familiare, individuale: essa è strettamente legata alla dominante prospettiva cristiana, ma
tendeva anche a fornire norme e modelli da realizzare nell’esistenza quotidiana più pratica e più laica. La letteratura morale si
può accostare, più che alla letteratura religiosa, alla poesia didattica e utilizza largamente il metodo dell’exemplum. L’opera più
fortunata, in Italia e fuori Italia, fu il libro della consolazione e del consiglio, scritto in latino nel 1246 da Albertino da Brescia
(morto verso il 1270), dove viene impressa una morale piena di buon senso e di moderazione attraverso il racconto delle vicende
di una coppia. Un aspetto fondamentale è la tematica dei vizi e delle virtù, alla quale è dedicato un vasto repertorio divulgativo
toscano di grande fortuna, che risale agli anni del 300’, il Fiore di virtù. Boezio, nel De consolatio, cade in uno stato di
disperazione e di angoscia ma viene rincuorato dalla figura consolatrice della Filosofia; quest’ultima gli fa intraprendere un
viaggio, nel corso del quale egli incontra le varie virtù e assiste alla loro battaglia coi vizi. Il tema ispirerà lo stesso Dante
all’interno del Convivio. Il trasferimento del romanzo cortese in volgare italiano avvenne, nel secolo XIII, soltanto attraverso la
prosa. Tra la fine del 200’ e del 300’ si producono, specialmente in area toscana, varie traduzioni e riadattamenti dei romanzi
francesi..
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..in prosa; il pubblico è particolarmente affascinato dalla narrazione ampia della tematica amorosa, cavalleresca, magica, del
ciclo arturiano. Tra i testi volgare più importanti ricordiamo Roman de Tristan in prosa e la Tavola Ritonda, che segue le tracce
di diversi romanzi francesi. L’suo degli exempla della letteratura moralistica sollecita una nuova curiosità per le forma narrativa
breve. Si volgarizzano e si adattano numerose opere che inseriscono racconti ed exempla entro cornici o situazioni più ampie,
atte a motivare quelle narrazioni. Determinante per lo sviluppo della novella, è il rapporto con le fiabe popolari e coi racconti
orali delle brigate aristocratiche e cittadine, che incarnano il gusto della parola precisa e graffiante. Il narrare breve manifesta
una crescente autonomia, come testimoniano soprattutto le circa 100 novelle del cosìdetto Novellino, una raccolta di ambiente
fiorentino la cui redazione originaria risale agli anni tra il 1280 e il 1300. Il più antico manoscritto, confezionato intorno al 1300,
reca il titolo Libro delle Novelle e di bel parlar gentile, mentre la prima edizione a stampa del 1525, ha come titolo Le ciento
novelle antiche; il titolo di Novellino fu messo in uso da Giovanni Della Casa in una lettera al curatore di quella prima edizione,
Carlo Gualteruzzi. Il libro delle novelle viene dunque presentato come un insieme di atti, parole e gesti che i ‘nobili e gentili’
possono riprendere e imitare per dilettare tutti gli altri, attraverso componimenti brevi e rapidi. All’interno del Novellino sono
presenti temi cavallereschi, feudali, dalle versioni cortesi della storia antica, dagli exempla; e molte sono le novelle dedicate a
personaggi importanti, come Federico II e il Saladino.

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