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LA VITA DI

DANTE
Quali sono le fonti che ci consentono di ricostruire la vita di Dante?

Le notizie sulla vita di Dante si ricavano da tre gruppi di fonti:


1. documenti d’archivio;
2. riferimenti e allusioni autobiografiche contenute nelle sue opere (molto numerose, ma che
richiedono di essere interpretate);
3. le testimonanze della tradizione a lui relativa:
le vite più antiche (tra cui quella redatta dal Boccaccio);
i commenti alla commedia;
cronache o altre opere storiografiche redatte tra il 1310 e il 1450.
Tutte queste fonti richiedono una rigorosa analisi critica

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NASCITA e FAMIGLIA
La vita di Dante si snoda a cavallo tra il ‘200 e il ‘300 e si intreccia strettamente alle vicende
politiche del comune di Firenze, a seguito delle quali egli si troverà costretto a vivere gli ultimi
venti anni della sua vita esule, lontano dalla sua città.

Dante (che è un diminutivo di Durante) nasce nel 1265 (tra maggio o giugno) da una famiglia
della piccola nobiltà fiorentina di parte guelfa. l padre era Alighiero degli Alighieri e la madre tale
Bella, di cui si conosce solo il nome, ma non il casato, anche se si ritiene che appartenesse a
quello degli Abati. Bella morì quando Dante aveva 5/6 anni, e il padre si risposò con una donna,
da cui ebbe altri figli.
Alcuni critici mettono tuttavia in dubbio la sua appartenenza all’aristocrazia che viene dichiarata
da Dante stesso, ma che non trova riscontro nei documenti dell’epoca. L’ipotesi più verosimile è
che si trattasse di una famiglia di secondaria importanza all’interno dell’élite sociale fiorentina: il
Dante ricorda come suo antenato più lontano Cacciaguida vissuto intorno all’inizio del s. XII, di
cui si parla nell’Inferno.

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INFANZIA, ADOLESCENZA, STUDI
Dell’infanzia e dell’adolescenza di Dante non si sa nulla. L’unica cosa certa è che, nonostante la famiglia fosse in
ristrettesse, egli ebbe modo di coltivare gli studi letterari che rapidamente orientò verso la poesia: in questi studi egli
fu senza dubbio favorito dall’ambiente. Infatti nella 2° metà del ‘200 nessuna in nessuna regione d’Italia la lirica era
coltivata con tanto amore quanto in Toscana e specialmente a Firenze.
Con ogni probabilità egli seguì l'iter educativo proprio dell'epoca, che si basava sulla formazione presso un
grammatico (che veniva designato con il nome di doctor puerorum,) con il quale apprendere prima i rudimenti
linguistici, per poi approdare allo studio delle arti liberali che erano il pilastro dell’educazione medievale: le arti del
quadrivio (aritmetica, geometrica, musica, astronomia) e le arti del trivio (grammatica, retorica, dialettica).
Fin da giovane egli dovette studiare molto da autodidatta. L’unico maestro che egli menziona è BRUNETTO LATINI:
ne lesse le opere e probabilmente ebbe modo anche di frequentarlo.

BRUNETTO LATINI. Letterato e uomo politico (Firenze 1220 circa - ivi 1294 circa). Notaio e cancelliere del comune
tornando nel 1260 da un'ambasceria ad Alfonso X di Castiglia, seppe della rotta di Montaperti. Proscritto da Firenze,
rimase in Francia fino al ritorno in città dei Guelfi nel 1266. Tornato in patria, ebbe uffici onorevoli. Tre le sue opere più
importanti:
1. il Tresor, scritta durante l'esilio, in francese (qualche capitolo fu aggiunto poi al suo ritorno a Firenze), che è la prima
enciclopedia scritta in volgare, subito tradotta e rifatta in italiano e largamente diffusa.
2. il Tesoretto, scritto in italiano, che è un poema didattico e allegorico, rimasto incompiuto;
3. la Rettorica, un volgarizzamento di parte del De inventione di Cicerone
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INCONTRO CON BEATRICE
Un evento che Dante stesso ci presenta come centrale nella sua vita è l’incontro con Beatrice.

Beatrice era più o meno coetanea di Dante. Il loro primo incontro dovette avvenire nella prima
infanzia ( 5 anni). Ma è quanto Dante ha ormai 18 anni che Beatrice per la prima volta lo saluta e
gli rivole la parola che poi, per una leggerezza dell’autore, gli tolse. Il rapporto amoroso, già così
distaccato e immateriale s’interiorizza del tutto e si sublima: fonti dei Beatitudine, Beatrice
diventa oggetto di venerazione. Il processo di idealizzazione si compie a seguito della morte
prematura di Beatrice, avvenuta l’8 giugno del 1290.

BEATRICE. Oggi considerata realmente esistita, viene identificata con la Beatrice (Bice), figlia di Folco Portinai, banchiere
molto ricco, che si era trasferito a Firenze, andando a vivere vicino alla casa di Dante. Egli è tra i fondatori dell’ospedale
di Santa Maria nuova. Beatrice andò in sposa a Simone de’ Bardi, una famiglia fiorentina di banchieri e mercanti.

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ULTERIORE FORMAZIONE
Dopo la morte di Beatrice Dante esce dall’esperienza del mondo chiuso e rarefatto del Dolce Stil Novo e ampia i suoi
orizzonti culturali in tre direzioni:
1. matura un grande interesse per la filosofia che studia intensamente, probabilmente frequentando le scuole
organizzate da Francescani e Domenicani presso le basiliche, rispettivamente di Santa Crice e di Santa Maria
Novella.
2. approfondisce la sua cultura poetica, leggendo sia i grandi poeti latini, primo tra tutti Virgilio, ma anche Ovidio,
Lucano, Cecilio Stazio;
3. riscopre i grandi poeti provenzali e si avvicina in particolar modo al loro caposcuola, DANIEL ARNAUT. Allo
stesso tempo si accosta anche alla poesia astrusa e burlesca.

Dante partecipò alla vivace cultura letteraria che ruotava rintorno alla lirica volgare. Negli anni sessanta del s. XIII, in Toscana
giunsero i primi influssi della Scuola siciliana, un movimento poetico sorto attorno corte di Federico II che rielaborava le
tematiche amorose della lirica provenzale. I letterati toscani, subendo gli influssi delle liriche dei poeti siciliani, svilupparono
una lirica orientata sia verso l’amor cortese, ma acneh verso la politica e l’impegno civile (Guittone d’Arezzo). Il poeta
fiorentino Chiaro Davanzati importò il nuovo codice poetico all’interno delle mura della città. Fu proprio a Firenze, però, che
alcuni giovani poeti (capeggiati dal nobile Guido Cavalcanti) espressero il loro dissenso nei confronti della complessità stilistica
e linguistica dei siculo-toscani, propugnando al contrario una lirica più dolce e soave: il DOLCE STIL NOVO.
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La formazione ulteriore (dopo la morte di Betarice)
Durante questi anni Dante esce dall’esperienza del mondo chiuso e rarefatto del Dolce Stil Novo e ampia i suoi
orizzonti culturali in tre direzioni:
1. matura un grande interesse per la filosofia che studia intensamente, probabilmente frequentando le scuole
organizzate da Francescani e Domenicani presso le basiliche, rispettivamente di Santa Crice e di Santa Maria
Novella.
2. approfondisce la sua cultura poetica, leggendo sia i grandi poeti latini, primo tra tutti Virgilio, ma anche Ovidio,
Lucano, Cecilio Stazio;
3. riscopre i grandi poeti provenzali e si avvicina in particolar modo al loro caposcuola, DANIEL ARNAUT. Allo
stesso tempo si accosta anche alla poesia astrusa e burlesca.

Dante partecipò alla vivace cultura letteraria che ruotava rintorno alla lirica volgare. Negli anni sessanta del s. XIII, in Toscana
giunsero i primi influssi della Scuola siciliana, un movimento poetico sorto attorno corte di Federico II che rielaborava le
tematiche amorose della lirica provenzale. I letterati toscani, subendo gli influssi delle liriche dei poeti siciliani, svilupparono
una lirica orientata sia verso l’amor cortese, ma acneh verso la politica e l’impegno civile (Guittone d’Arezzo). Il poeta
fiorentino Chiaro Davanzati importò il nuovo codice poetico all’interno delle mura della città. Fu proprio a Firenze, però, che
alcuni giovani poeti (capeggiati dal nobile Guido Cavalcanti) espressero il loro dissenso nei confronti della complessità stilistica
e linguistica dei siculo-toscani, propugnando al contrario una lirica più dolce e soave: il DOLCE STIL NOVO.
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L’IMPEGNO POLITICO

Fondamentale è tuttavia anche il suo avvicinamento alla vita politica e civile del comune
fiorentino in un momento centrale del suo sviluppo: nel 1293 erano stati emanati da Giano della
Bella gli Ordinamenti di Giustizia, che avevano escluso la nobiltà cittadina dalle cariche
pubbliche. Nel 1295 gli ordinamenti furono tuttavia attenuati, consentendo ai nobili di rivestire
incarichi politici, purché fossero iscritti ad una delle corporazioni delle Arti.
È proprio nel 1295 che Dante entra nell’Arte dei medici e degli speziali (più o meno i nostri
farmacisti), che richiedeva conoscenze in stretto rapporto con la filosofia e le scienze naturali che
erano al tempo considerate parte di quest’ultima. A partire da quest’anno Dante ricopre varie
cariche nel comune. La sua carriera giunge al culmine quando nel 1300 viene eletto per un
bimestre tra i Priori che costituivano la superma magistratura cittadina.

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La condanna all’esilio (1301)
Questo è un periodo difficilissimo per Firenze che è lacerata dalle fazioni interne che si polarizzano intorno a due schieramenti: i
GUELFI NERI e i GUELFI BIANCHI. Questi due schieramenti corrispondono, tra le altre cose, ad una diversa posizione nei confronti della
politica portata avanti da papa BONIFACIO VIII: costui, approfittando del fatto che gli imperatori germanici erano disinteressati in quel
momento all’Italia, mirava ad imporre il dominio della Chiesa e, nel caso specifico, sulla regione della Tuscia, formalmente posta sotto
il controllo imeriale, e dunque su Firenze.
INERI, guidati da Corso Donati, sono più vicini a Bonifacio VIII; i BIANCHI, guidata dallla famiglia dei Cerchi, sono invece più vicini al
popolo minuto e più ostili a Bonifacio. Dante si schiera con i Bianchi.
Tra il 1298 e il 1299 nel priorato prevalgono i Neri. In seguito, dopo un processo che condanna Corso Donati per corruzione e lo
bandisce, sono i Bianchi invece a conservare più a lungo il priorato.
Nel 1300 un’indagine su alcuni banchieri fiorentini attivi presso la Curia di Roma, si conclude con l’accusa per tradimento del Comune.
Bonifacio VIII reagisce, negando l’estradizione e minacciando la città. Contestualmente invia come paciere tra le fazioni il cardinale
MATTEO di ACQUASPARTA, che tuttavia non riesce a trovare un accordo e anzi viene sospettato di tramare a facore dei Neri. È
costretto così a lasciare la città.
Nel 1301 Bonifacio insiste, perché Firenze accolga come paciere CARLO di VALOIS, a cui il papa sembra aver affidato anche il compito
di sottrarre la Sicilia agli Aragonesi. All’interno del comune si riapre il conflitto: viene scoperta una riunione dei Neri nella chiesa di
Santa Trinita che viene accusata di perseguire lo scopo di prendere il potere in città. Si scatena la ritorsione contro i Neri accusati di
congiura e di tradimento. I Bianchi cercano inoltre di allontare la minaccia rappresentata da Carlo di Valois, inviando a Roma
un’ambasciata, di cui fa parte Dante. Ma nel frattempo, nel novembre del 1301, Carlo arriva a Firenze, riportando al potere i Neri, i
quali indagano sull’operato dei priori bianchi, fino a condannarli per corruzione. Tra i condannati c’è anche Dante. Probabilmente egli si
trova a Siena, quando nel gennaio del 1302 apprende di essere stato condannato all’esilio.
L’accusa rivolta a Dante è quella di ‘baratteria’ ovvero di corruzione nell’esercizio delle cariche pubbliche. Gli ordinamenti comunali
prevedevano che egli potesse presentarsi entro due mesi per discolparsi. Non avendolo fatto viene raggiunto dalla condanna definitiva
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al rogo.
I PRIMI ANNI DELL’ESILIO
Firenza si svuota così dei maggiori esponenti Bianchi, i quali si riversano nel contado e nelle città ostili al
governo dei Neri, quali Pistoia e Pisa, che era ghibellina. In questa fase si ha una generale rimescolanza
delle allenaze, che porta rapidamente a far perdere l’originaria connotazione ai Bianchi che si
troveranno a stringere allenaza con i Ghibellini pur di riprendere il controllo sulla città, per altro senza
mai riuscirci.
Essi si appoggieranno alla nobiltà del contado, che esercitava dei poteri signorili. Per questa ragione la
nobiltà del contado si trovava in perenne conflitto con Firenze che fin dall’inizio dell’età comunale aveva
cercato di osteggiarne il potere, nel tentativo di portare tutta la campagna sotto il proprio controllo.
Sin dal 1302 i fuoriusciti Bianchi cercano di operare congiuntamente, creando un’universitas, ovvero
legandosi in un’associazione dotata di personalità giuridica e politica, giudata da un Capitano: l’obiettivo
era quello di organizzare una guerra contro Firenze governata dai Neri in vista di un auspicato rientro. È
una sorta di ‘comune fuori dal comune’. Ogni tentativo di rientrare a Firenze risulterà tuttavia vano.
Quanto a Dante, egli dopo essersi in un primo momento unito agli altri esuli Bianchi, poi se ne allontanò
sdegnato, definendo quella «compagnia malvagia e scempia» e preferendo, come lui stesso dice: «Far
parte per se stesso».

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Esule presso le corti delle varie regioni dell’Italia settentrionale
Dante inizia così il suo pellegrinaggio fra le varie regioni italiane, svolgendo la funzione di uomo di corte di vari
signori sia di ascendenza feudale (come i Malaspina di Lunigiana) sia di origine cittadina, come gli Scaligeri di Verona
e i Da Polenta di Ravenna, i quali ospitavano uomini di cultura, sia per trarne prestigio sia per impiegarli come
segretari e ambasciatori.
Per Dante, che si era formato in un comune libero, fiero del proprio valore e geloso della propria autonomia, visse
con angustia questa condizione, che lo costringeva a mettersi a servizio altrui.
Durante gli ultimi quindici anni della sua vita egli continuò ad approfindire la sua esprienza politica, fino a maturare
la convinzione che solo con una restaurazione del potere imperiale si possa giungere ad un risanamento della vita
dei comuni italiani e del papato.
Tale sogno sembra diventare realtà nel 1310, quando il nuovo imperatore Enrico VII di Lussemburgo scende in Italia
per essere incoronato tale da Clemente V. Ogni tentativo di restaurazione imperiale svanisce sia per l’ambiguità del
papa sia per la resistenza dei città italiane, naufragendo definitivamente a seguito della morte di Enrico (1313).
Nel 1315 Dante non accoglie l’amnistia che gli avrebbe consentito di rientrare a Firenze, qualora avesse riconosciuto
le proprie colpe, facendo pubblica ammenda.
Negli ultimi anni della sua vita vive a ravenna, presso la corte dei Da Polenta. Oramai è da tutti celebrato come
altissimo poeta. Pochi giorni dopo il ritorno da un’ambasceria a Venezia muore a Ravenna il 14 settembre del 1321.
È sepolto in questa città nella Basilica di San Francesco.
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APPENDIC
E STORICA
GUELFI e GHIBELLINI

I lignaggi (famiglie nobili) fiorentine, costituivano la parte più importante della milizia armata del
Comune, quella che combatteva a cavallo nell’esercito. Anche a ragione di ciò essa godeva di particolari
privilegi.
Ogni lignaggio era suddivisio in clan che si riconoscevano in un antenato comune. I membri dei clan che
facevano capo allo stesso lignaggio vivevano in case contigue, sovente poste attarno ad un cortile,
talvolta sovrastato da una torre.
Nel corso del ss. XII e XIII questi lignaggi si contendono tra di loro le risorse (mogli e clientele), finendo
per formare delle alleanze che sotto la spinta delle vicende politiche esterne al comune.
Tra il 1230 e il 1240, sotto la spinta del grande scontro che oppone Federico II e il papato, queste
alleanze si cristallizzano e acquisiscono nelle fonti i nomi di GHIBELLINI e GUELFI, nomi che stanno ad
indicare, rispettivamente, gli alleati dell’imperatore e quanti gli si oppongono.
All’interno di questa opposizione confluiscono anche altri conflitti che fino a quel momento avevano
avuto un andamento separato:
1. il conflitto tra le varie famiglie dei cavalieri;
2. i sostenitori del controllo comunale dei beni ecclesiastici;
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3. i sostenitori della necessità di estendersi ai danni di Pisa e di Siena.
ORDINANAMENTO o REGIME DEL PRIMO POPOLO
La morte improvvisa di Federico II (1250) e lo sgretolamento del potere esercitato in Toscana dal legato imperiale, aprirono uno
spazio politico al Popolo che sosteneva le ragioni di quanti lottavano contro i privilegi delle aristrocrazie armate.
Il Popolo è formato da tutta la cittadinanza che combatte a piedi. Al suo interno avevano particolare potere le coroporazioni delle
Arti più ricche e influenti: l’Arte della Lana, l’Arte di Calimala (mercanti), la corporazione di Por Santa Maria (mercanti di livello
inferiore e Arte della seta), le Arti di Cambio (commercianti di denaro), l’Arte dei Medici e degli Speziali.
Sono i rappresentanti del Popolo, tutti iscritti alle Arti, che istituiscono proprio nel 1250 la magistratura degli ANZIANI e altre
istituzioni accanto a quelle comunali, dando origine a quello che gli storici chiamano GOVERNO DEL PRIMO POPOLO (1250-
1260)
Durante questo periodo Firenze promuove una politica innovativa:
- conia una moneta d’oro, il fiorino (= 20 solidi = 240 denari), che invade i mercati europei
- si espande nel territorio ai danni dei signori territoriali: Firenze guadagna terreno nei confronti dei comuni vicini, specialmente
Siena, che era una città tradizionalmente filoimperiale.
Nel 1260 si svolge però la battaglia di MONTAPERTI, pochi km a sud est di Siena, tra truppe ghibelline capeggate da Siena e
quelle guelfe capeggiate da Firenze. La vittoria dei Senesi, grazie anche all’appoggio delle milizie di Manfredi (figlio illegittimo
di Federico II) e dei loro alleati, segnà il dominio della fazione ghibellina in Toscana. A seguito della sconfitta molti Guelfi
lasciano Firenze, riparando a Pistoia, mentre nella città i Ghibellini prendono in potere, imponendo a tutta la popolazione di
giurare fedeltà a Manfredi.
Con l’ascesa al potere dei ghibellini finisce il governo del Primo Popolo

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Fine del governo ghibellino (1267)
I Ghibellini governarono a Firenze fino al 1267, quando venne a cadere a seguito della battaglia di
Benevento, in cui Carlo d’Angiò sconfigge e uccide Manfredi.
Urbano IV riesce ad ottenere che i mercanti-banchieri fiorentini finanzino la spedizione di Carlo
d’Angio volta a riconquistare il regno di Sicilia contro Manfredi.
I Guelfi esuli rientrano in città, ma i Ghibellini rimangono in città, cercando di imporre una tassa
per sostenere i contingenti tedeschi. Si dà una fortissima tensione tra la fazione Ghibellina e il
Popolo, che infine istuituisce la magistratura straordinaria dei 36 e, dopo molti disordini,
costringe i Ghibellini ad uscire dalla città.
Nel 1267 entra in città l’esercito di Carlo d’Angiò che mette definitivamente fine al gorverno
ghibellino. Con la concessione della podestaria a Carlo d’Angiò ha inizio il goveno guelfo di
Firenze (1267-1280).
I Ghibellini sono condannati e banditi dalla città.

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Governo Guelfo (1267-1280)
Nei primi anni del governo guelfo, scompaiono le magistrature popolari come era
successo durante il governo ghibellino. Tuttavia intorno al 1270 ne vengono
introdotte di nuove. Esse segnano il passaggio da una fase in cui il governo della
città è nelle mani dei più fedeli alleati della casa d’Angiò (i nobili guelfi e i grandi
mercanti: questi ultimi in cambio del loro sostegno economico a Carlo avevano
ottenuto dei privilegi per commerciare nel Regno di Sicilia), ad una fase in cui
acquista potere il Popolo, rappresentato dagli esponenti delle Arti Maggiori.
A favorire le riforme sono gli scontri interni ai Guelfi che si aprono a seguito di:
1. una lunga vacanza del seggio vescovile (1275-86)
2. una congiuntura economica che registra varie carestie.
Si arriva così a delle modifiche istituzionali che attenuano il potere delle
componenti dei lignaggi guelfi in favore delle famiglie popolari delle Arti maggiori.

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Il governo del Secondo Popolo (1282-1295)
Nel 1282, in concomitanza dell’indebolimento del potere angioino provocato dalla conquista della Sicilia ad opera
della corona d’Aragona, il Popolo guadagna ulteriore terreno, dando vita ad un nuovo assetto istituzionale che
caratterizzerà a lungo Firenze. Viene infatti inaugurata una nuova magistratura, i PRIORI delle ARTI che si installa al
vertice della città.
Nel primo decennio del Priorato (dal 1282 al 1292) gli eletti a questa magistratura provengono soprattutto dalle
cinque Arti maggiori più potenti (Calimala, Giudici e notai, Cambio, Lana, Por Santa Maria) o da esperti di diriritto. I
Priori rimangono in carica due mesi e le procedure di reclutamento cambiano ogni due mesi. In questo periodo si
riprende anche la politica di espansione ispirata al governo del Primo Popolo: a seguito della sconfitta di Pisa ad
opera di Genova nella battaglia della Meloria (1284), Firenze si allea con quest’ultima e Lucca e ottiene il diritto di
costruire un porto nella parte della costa maremmana sotto Volterra (1284).
Firenze ha inoltre mire sul contado di Arezzo, che è in mano ai Ghibellini e dunque alleata di Pisa. Firenze batterà gli
Aretini nella battaglia di Campaldino (1289).
Nel decennio tra il 1282 e il 1292 si avvia una politica sempre più radicale, volta al mantenimento dell’ordine
pubblico e che passa attraverso la redazione di elenchi di magnati, cioè di persone potenzialmente pericolose a
casua della loro forza che dipende dall’appartenenza ad un lignaggio e da uno stile di vita violento, dimostrabile sulla
base della pubblica fama.
Al volgere del 1290 le tensioni si aggravano ulteriormente, contrapponendo in modo radicale lo scontro tra Magnati
e Popolani. La situazione è aggravata dalle fratture all’interno delle Arti, dove coesistono ceti sociali diversi.
Nel 1293 i Priori in carica approvano i cosiddetti ORDINAMENTI di GIUSTIZIA, decreti che stabiliscono alcuni17 principi
NERI e BIANCHI
Il governo guelfo si divide dunque in due partiti contrapposti che vengono denominati NERI e BIANCHI: i NERI,
guidati da Corso Donati, sono più vicini a Bonifacio VIII; i BIANCHI, guidata dallla famiglia dei Cerchi, più vicino al
popolo minuto e più ostili a Bonifacio.
Tra il 1298 e il 1299 nel priorato prevalgono i Neri. In seguito, dopo un processo che condanna Corso Donati per
corruzione e lo bandisce, sono i Bianchi a conservare più a lungo il priorato.
Nel 1300 un’indagine su alcuni banchieri fiorentini attivi presso la Curia di Roma, si conclude con l’accusa per
tradimento del Comune. Bonifacio VIII reagisce negando l’estradizione e minacciando la città. Invia poi come
pacieri il cardinale MATTEO di ACQUASPARTA, che tuttavia non riesce a trovare un accordo e anzi viene
sospettato di tramare a facore dei Neri. È costretto così a lasciare la città.
Nel 1301 Bonifacio insiste perché Firenze accolga come paciere CARLO di VALOIS, a cui il papa sembra aver
affidato anche il compito di sottrarre la Sicilia agli Aragonesi. Si riapre il conflitto: viene scoperta una riunione dei
Neri nella chiesa di Santa Trinita che viene accusata di perseguire lo scopo di prendere il potere in città. Si
scatena la ritorsione contro i Neri accusati di congiura e di tradimento. QI Bianchi cercano di allontare la minaccia
rappresentata da Carlo di Valois inviando a Roma un’ambasciata, di cui fa parte Dante. Ma nel frattempo, nel
novembre del 1301 Carlo arriva a Firenze, riportando al potere i Neri, i quali indagano sull’operato dei priori
bianchi, fino a condannarli per corruzione. Tra i condannati c’è anche Dante, il quale non avrà più modo di
rientrare a Firenze-
La maggior parte dei condannati reagisce abbandonando la città e subendo il bando.

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1302-1308
Sin dal 1302 i fuoriusciti Bianchi cercano di operare congiuntamente, creando
un’universitas, dotata di personalità giuridica e politica, giudata da un Capitano:
l’obiettivo è oragnizzare una guerra contro Firenze governata dai Neri in vista di un
auspicato rientro. È una sorta di ‘comune fuori dal comune’. Essi si appoggiano alla
nobiltà del contado, così come ai fuoriusciti ghibellini. Molti delle stipi con cui i
Bianchi si alleano esercitano poteri signorili ai bordi del contado fiorentino e in
quelli confinanti. Essi sono in perenne conflitto con Firenze che fin dall’inizio
dell’età comunale ne osteggia il potere.
I Bianchi avranno varie circostanze a loro favore, che non riuscirono mai a sfruttare
fino in fondo. I Neri si ritrovano indeboliti a seguito del fallimento da parte di Carlo
di Valois di sottrarre la Sicilia agli Aragonesi. In questo frangente si ha un completo
rimescolamento delle alleanze, durante la quale l’opposizione tra Guelfi e Ghibellini
perde sempre più di senso effettivo.

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