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Lamicizia

Forse ti capiter spesso, nei momenti di solitudine, di domandarti chi ti amico, quanti amici hai. Magari rimani male nel constatare tante defezioni, freddezze, tradimenti. Io tinvito a sconvolgere questo ordine di idee: invece di chiederti quanti amici hai, domandati piuttosto di quante persone sei amico, amica. E quando farai lesperienza di far sbocciare un sorriso, accendere una speranza nella vita degli altri, taccorgerai che anche nella tua vita ci sar pi luce, pi senso, pi gioia.

Fondato nel 1948 Anno 64

n. 2 - marzo 2012
Sped. in abb. postale comma 20, lett. C, Art. 2 - Legge 662/96 Taxe perue -Tariffa riscossa To C.M.P.

ERA SOLO UN RAMO SECCO SOLO UNA MADRE MADRE LA MIA ESPERIENZA AL COTTOLENGO VENTISEI ANNI E GLI OCCHI GIUSTI

I l

p u n t o

Carissime Amiche e carissimi Amici,


S OMMARIO
3 Periodico della Famiglia Cottolenghina e degli ex Allievi e Amici della Piccola Casa n. 2 marzo 2012
Periodico quadrimestrale Sped. in abb. postale Comma 20 lett. C art. 2 Legge 662/96 Reg. Trib. Torino n. 2202 del 19/11/71 Indirizzo: Via Cottolengo 14 10152 Torino - Tel. 011 52.25.111 C.C. post. N. 19331107 Direzione Incontri Cottolengo Torino Direttore Onorario Don Carlo Carlevaris Direttore responsabile Don Roberto Provera Amministrazione Avv. Dante Notaristefano Segreteria di redazione redazioneincontri@hotmail.it redazione Salvatore Acquas Mario Carissoni collaboratori Mauro Carosso Fr. Beppe Gaido Progetto grafico Salvatore Acquas Stampa Tipografia Gravinese Corso Vigevano 46 - Torino Tel. 011 28.07.88 La Redazione ringrazia gli autori degli articoli, particolarmente quelli che non riuscita a contattare.

Il punto
Don Roberto Provera

4-7 8-9

Era solo un ramo secco


Chiara Bertoglio

Dallascolto nasce laccoglienza e dallaccoglienza la possibilit del confronto


Fr Emanuele Marte, Fr Lukas Benjamin Lerner, Fr Francesco Lodi, Fr Clovis Luiz Bettinelli, Fr Marco Maria Baldacci

10-11 12-13 14-15 16-17 18-19 20-21 22-23 24-25

Suor Oliva volata in cielo


Fratel Beppe

Niente down in Danimarca


Gianfranco Amato

Congedo di un laico fedele


Giuseppe Barotto

Una morte in sala


Fratel Beppe

Ventisei anni, e gli occhi giusti


Anna Pelleri

Solo una madre madre


Giovanni Donna DOldenico

Guardare con gli occhi di Ges


Stefan Tobler

Voglia di Pace e di Giustizia Lettera a Ges


Dieudonne

26-27 28-29 30 31 32

Prenditene cura
Don Franco

I diritti dei Bambini


Angelo Petrosino

Quellinfinito valore che lamicizia


Casa Accoglienza

Notiziario ex Allievi Cottolengo


Dante Notaristefano

Lamicizia
Redazione

eri sera, pensando a quanto questa mattina avrei scritto, mi frullavano nella mente svariati pensieri, per lo pi sbocciati dalla lettura del libro di Giobbe, proposta agli studenti nella lezione del pomeriggio. Questa mattina ho aperto un libro, regalatomi da una cara amica pi di un anno fa, Viaggio in India, di Kipling. Ugo Cundari ne termina lintroduzione con questo detto ricco di sapienza: lelefante, lanimale pi pesante che affondi il proprio passo sulla terra, con la proboscide punta verso il cielo. E ancora, come per farmi capire bene, la Provvidenza subito dopo ha disposto che sfogliassi un numero del periodico Crescere, espressione dellAssociazione Insieme per. Alla pagina 26 Marisa, riferendo sulla visita della Verbena Band alla succursale cottolenghina di Pisa, scrive: Dobbiamo convincerci che c un aspetto buono in ogni vicenda triste della vita umana, basta avere occhi innocenti per vederlo. Lo confesso: queste parole sono state per me come due punti di luce, che mi hanno aiutato a coagulare pensieri vagabondi. Noi cristiani non siamo in questo nostro mondo una sorta di Corrente del Golfo, le cui acque calde attraversano tutto lOceano Atlantico, senza mescolarsi, giungendo a lambire le coste dellEuropa settentrionale. No, noi cristiani non siamo affatto cos, estranei o indifferenti alla realt, nella quale invece siamo pienamente immersi. Assomigliano piuttosto a quei ruscelli, ricchi di fresca acqua e gorgogliante,

che, quando viene praticata unapertura nella loro sponda pi a valle, si espandono lietamente e imbevono tutto il prato, garantendogli la vita. S, noi cristiani camminiamo fra le pieghe di questo mondo con i piedi ben saldi per terra. Sperimentiamo, a volte sulla nostra stessa pelle, a volte intorno a noi, il male, in tutti i suoi travestimenti: malattie, invidie, discordie, egoismo, orgoglio, avidit Ma, ci nonostante, non sprofondiamo nella cupa disperazione, nel nero pessimismo, perch alziamo gli occhi al cielo, opera delle Tue dita, alla luna e alle stelle che Tu hai fissato, eleviamo lo sguardo allo splendore accecante delle montagne cariche di neve e in tutto ci riconosciamo linfinita sapienza, potenza e provvidenza di Dio. Potr Egli dimenticare questo mondo meraviglioso, scaturito dalla Sua fantasia e dalla Sua bont? Non continuer forse a prendersene amorevolmente cura, seppure in modo per noi misterioso? Sono domande, queste, ma impregnate della certezza che Dio nella Sua Provvidenza conduce questo cosmo, palcoscenico della nostra vita, alla pienezza della verit, dellamore, della gioia. Utopie? No, ma piuttosto il fondamento sicuro, su cui dobbiamo costruire infaticabilmente ledificio di una vita migliore per ciascuno e per tutti.
don Roberto Provera

La Redazione augura a tutti i suoi lettori una S. Pasqua in serenit e grazie.

INCONTRI consultabile su http://chaariahospital.blogspot.com/ Questa rivista ad uso interno della Piccola Casa Cottolengo

R a c c o n t i

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Era solo un ramo secco...


La migliore medicina, quella dellamore ...non vi nulla di pi caparbio dellamore materno
a sensazione dominante, dopo il colloquio con Lucrezia, che non vi nulla di pi tenace e caparbio dellamore materno. Un amore che sa sperare contro ogni speranza, compiere azioni al limite della follia, cullare sogni proibiti, e adoperarsi con fede e coraggio indomiti per realizzarli. Lucrezia, mamma di Barbara, Massimiliano (Max) e Gabriele. Ha lasciato il lavoro per occuparsi dei bambini. Le importava, pi di tutto, crescere bene i suoi figli, dar loro dei valori e dei principi. Massimiliano nellindirizzo professionale seguiva le orme del pap, ma desiderava quanto prima mettersi in proprio, metter su famiglia, avere tanti figli, una bella casa, con spazi per fare sport di cui era appassionato, un giardino per me, dove poter giocare con i miei futuri

nipotini. Sogni belli, puliti, di un ventenne. Peccato, dice Lucrezia, che siano stati stroncati tutti. Vacanze estive 1991, le prime che Massimiliano trascorre con amici, senza i genitori. A Vieste, dove spesso in passato erano andati tutti insieme. Gli amici di Max, presto cominciano a trovare poco attraen-

te la cittadina marittima, preferiscono i divertimenti offerti da Rimini. Max non ha per voglia di andare in campeggio, cos si avvia verso casa prima del previsto. Mattina di ferragosto, ore sette. Lasciati gli amici il giorno prima, Max si appresta a rientrare. Ormai manca poco a uscire dallautostrada. Ci sono lavori in corso, il giovane rallenta; una Porsche, che non aveva visto la strozzatura, travolge lutilitaria di Max e la sbalza fuori dallautostrada, oltre il guard-rail. A casa nessuno sa che Max in viaggio, dormono tutti, festa. Alle sette precise, la mamma si sveglia di soprassalto e agitatissima, balza dal letto. Il marito la tranquillizza: sar stato un brutto sogno. Lucrezia mi confida: Sono certa che Max, in quelle frazioni di secondo, ha gridato: Mam-

ma! Lucrezia torna a dormire, il programma della giornata stabilito. Si passer la mattina in compagnia degli anziani ospiti di una casa di riposo, che, nei giorni festivi, Lucrezia e il marito accompagnano alla Messa. Questa volta verranno anche degli amici che la famiglia aveva invitato a passare il ferragosto insieme; prima si andr dai vecchietti, poi a pranzo si festegger in compagnia. Stanno uscendo di casa, quando squilla il telefono. Allaltro capo del filo c uninfermiera dellospedale, che la sollecita a recarvisi immediatamente, poich suo figlio in fin di vita. Lucrezia, semplicemente, non ci crede: suo figlio certamente ancora a Vieste; deve trattarsi di un errore o di uno scherzo di pessimo gusto. Linfermiera, tuttavia, le declina minuziosamente le generalit trovate sui documenti. Tanto lontana dalla realt Lucrezia si immagina subito una spiegazione: gli avranno rubato la macchina con i documenti. A ogni buon conto, lasciato il figlio pi piccolo da amici, i due coniugi corrono allospedale. E l trovano il loro figlio. Sembra che dorma, bellissimo. Abbronzato, pulito, senza segni visibili dellincidente. Ed vivo. Tuttavia la situazione era gravissima, le conseguenze del sinistro potevano essere fatali; doveva essere operato per asportargli la milza, e si doveva effettuare una TAC per verificare le condizioni. I due genitori sono talmente sotto shock da perdere ogni cognizione della situazione. Invitati dal personale sanitario a telefonare a parenti e amici, non sanno neppure chi

chiamare perch non ricordano pi alcun numero di telefono. Lambulanza porta Max e loro a Milano, ospedale Fatebenefratelli. Qui, mentre Max subisce la TAC, Lucrezia apre il sacchetto che le stato consegnato, contenente suoi effetti personali. Vi trova anche lorologio da polso, fermo allora dellincidente, allora in cui lei si era svegliata di soprassalto. Lintervento riesce. Ora bisogna solo attendere. Tre medici, suggeriscono di staccare la spina dei macchinari che tengono in vita Max: tanto, non c nulla da fare. Fortunatamente,

qualche altro medico crede nelle possibilit di reazione di Max, un ragazzo di per s sanissimo. Cos, poco a poco, si effettuano dei tentativi e si verifica che il giovane riesce a respirare autonomamente. Max resta in terapia intensiva un mese e mezzo, poi lo trasferiscono nel reparto di neurochirurgia. Dopo tre mesi necessario portarlo in una struttura dove possa iniziare i primi trattamenti fisioterapici. La mamma di Max ricorda come un incubo quel periodo: L, i pazienti in coma soffrono tantissimo, commenta. Se fosse stato a casa, avrebbe subito un po meno

le conseguenze dellospedalizzazione. Ci vorrebbe la presenza continua di un genitore. Nei cinque mesi successivi, per Max stata una lotta terribile, per me una tragedia. Fino al giorno in cui un amico le segnala il caso analogo di una signora che, contro tutto e contro tutti, ha insistito per portare a casa propria il figlio in coma, e l ha assistito a progressi incredibili agevolati, dallambiente familiare. Lucrezia si mette in contatto con la mamma di questo ragazzo, e lo vede: cammina, parla... E dire che le avevano detto che un figlio cos non serviva pi a niente. Quella mamma mi disse che se volevo bene a mio figlio, dovevo portarmelo a casa. Lucrezia non se lo fa dire due volte. In ospedale, il primario le aveva indicato un albero secco in giardino, affermando senza mezzi termini che Max era cos. Ma Lucrezia non si sentiva mamma di un albero secco. Con unabilit diplomatica pari solo alla sua caparbiet, Lucrezia escogita uno stratagemma grazie a cui i medici, notoriamente contrarissimi alla dimissione di un paziente in coma, non solo glielo permettono ma ne sono quasi contenti. E cos, confida Lucrezia, una mattina siamo andati a prendere Max, labbiamo preparato, posto su una barella... ed io ho subito staccato il sondino naso-gastrico tramite cui veniva nutrito. Questo, dora in poi, non gli servir pi. I medici, vedendomi, mi hanno detto che se succedeva qualcosa a Max ne avrei pagato le conseguenze. Ma io ero pronta a tutto. Il

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figlio era mio. Il primo, immediato miglioramento si visto la sera stessa del primo giorno trascorso a casa: Max si era del tutto rilassato, completamente. Le crisi vegetative, che lo assalivano ogni notte in ospedale, a casa non si sono verificate mai. Da allora, inizia per la famiglia un periodo faticosissimo. Un gran numero di volontari, si alterna per far praticare a Max gli esercizi di fisioterapia, imboccarlo a cucchiaini, e tanti altri piccoli interventi quotidiani. In presenza di Max bisogna essere normali, parlare di tutto, non trattarlo da malato. Molti rimproverano Lucrezia di essere stata unincosciente, di aver trascurato il resto della famiglia per intestardirsi su questo figlio cos fragile. Lei non ci sta. Mi hanno insegnato i miei genitori, afferma, che il pi debole quello che ha bisogno di tutto e continua le sue battaglie. Trova una fisiatra, che elabora un programma specifico per Max che viene filmato, per dar modo che

Lucrezia di coordinare il lavoro dei volontari ed insegnar loro tutti i movimenti necessari. A poco a poco, elimina tutte le medicine che gli venivano somministrate e riscontra miglioramenti oggettivi anche dal punto di vista fisico. Un

giorno, complice una pasta al forno della tradizione pugliese preparata da Lucrezia, Max inizia a deglutire da solo: da allora riesce anche a riprendere peso e a rafforzarsi fisicamente. Portano Max al mare: gli fanno fare persino un giro in barca, e una volta al largo, gli fanno addirittura provare lebbrezza dei tuffi! Siamo andati avanti cos tantissimi anni. Nel 1993, mamma e figlio si recano a Lourdes. Certo, in fondo al cuore c il desiderio di chiedere una grazia. E tuttavia, davanti alla sfilata di bambini disabili e malati che affollano la Grotta, Lucrezia confessa: Mi sono vergognata di chiedere la guarigione di Max. In fondo, io mio figlio lho visto giocare, ridere e correre per ventanni. Questi bambini non lhanno fatto mai. Cos ho detto: sia fatta la tua volont, quello che mi dai io lo accetto. Alla Madonna ho detto che la mia croce la portavo. Non chiedevo di cederla a nessuno. Ma neppure mi si poteva chiedere di dar via la mia speranza. Questa mia, me la tengo io. Nessuno potr togliermela. Nel 1999, tuttavia, Lucrezia prossima al cedimento. Si sentiva sola, abbandonata. Andavo a letto stanca, distrutta, chiedendo aiuto al mio pap in cielo e al mattino mi alzavo piena di energia. Quellanno Max ha incominciato a dare dei segni: aveva lo sguardo un po diverso, sorrideva. Tutti per dicevano che erano cose che immaginavo io. Natale del 2000. Lucrezia non ce la fa pi. Mette a letto Max, ed talmente stanca

che gli dice: Max, questa sera non ho voglia di pregare. Se vuoi, al segno di croce pensaci tu, io sono troppo stanca. Mi stavo girando, quando vidi alzarsi il suo braccio. Si fece il segno della croce. Mi avvicinai senza parole e lui mi abbracci. Rimasi bloccata, anche se dentro di me non avevo mai perso la speranza. Quella sera lui aveva percepito che stavo crollando, cos ha pensato di aiutarmi. Fu unimmensa gioia per tutta la famiglia, per il pap, per Barbara e per Gabriele quando, la mattina, si svegliarono e videro il fratello che agitava la mano per salutarli. Lo abbracciarono e incominciarono a porgli delle domande: lui rispondeva muovendo la sua mano destra. Sentivo dentro di me una grandissima gioia; finalmente potevo dimostrare a tutti i volontari, agli amici e i parenti, che grazie alla loro collaborazione, eravamo riusciti a riportare in vita quel corpo giudicato un tronco morto. Max, con grande stupore di tutti, ci faceva capire che lui in tutti quei lunghi anni aveva

sempre compreso quanto gli accadeva. Da allora, gli obiettivi divennero sempre pi ambiziosi. Lucrezia decise che Max avrebbe potuto riprendere a parlare: cos, nel 2008, il figlio inizia una logopedia, apparentemente senza speranze, visto che da diciottanni non parlava; eppure, ancora una volta,

Lucrezia dimostra di aver visto giusto; dopo meno di un anno di trattamento, il ragazzo inizia a dire le vocali. Io ho detto a Massimiliano: senti, dora in poi se vuoi in caff devi chiederlo. E cos lui ha iniziato a parlare di nuovo. Tutto questo, nato dallaver sempre creduto nelle possibilit di recupero di suo figlio. Ci che ho fatto con Max era da incoscienti, ma era giusto. Mio figlio ancora oggi deve fare moltissime ore di fisioterapia per riuscire ancora a parlare, e spero tanto che un giorno riuscir anche a camminare. Una persona che la scienza aveva scaricato stata poi curata con la migliore medicina, quella dellamore. Questanno, Max ha compiuto quarantanni, e la sua mamma gli ha fatto un regalo straordinario: uscir presto un libro con la sua storia. Max commenta lui stesso, lui, uscito dal tunnel di silenzio del coma: bello vivere quando ci si sente amati: pu bastare, per un albero secco? Chiara Bertoglio

S p i r i t u a l i t

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Dallascolto nasce laccoglienza, e dallaccoglienza la possibilit del confronto


pregato assieme a loro. Tale familiarit, costruita in cos pochi giorni, ci ha sorpreso e meravigliato: molti di loro sono gente indifesa e inerme, vulnerabile, che non ha tuttavia paura di aprirsi completamente e di consegnare il proprio affetto. Basta solo una cosa, per realizzare tutto questo: lascolto.

Credevamo infatti di aiutare i bisognosi e in certa misura labbiamo fatto ma sono stati loro ad aiutare noi; forse qualcuno di noi pensava di parlare di Cristo, ma sono stati loro a testimoniare Ges a tutti noi, a convertirci gradualmente.

pesso, quando si parla di aiutare i poveri bisognosi o di assistere gli anziani soli, lo si fa nella convinzione di essere noi a fare loro un favore, di essere noi a portare loro qualcosa. Il che non del tutto sbagliato, ma neanche completamente vero. Esiste infatti un altro aspetto, il rovescio della medaglia se cos si vuol dire di cui difficilmente ci si ricorda: ovvero, ci che si riceve. E ci si accorge presto, allinizio con stu-

pore e poi con letizia, di ricevere molto pi di quanto si in grado di dare. lesperienza da noi vissuta alla

Piccola Casa della Divina Provvidenza Cottolengo di Firenze. Unesperienza di soli dieci giorni, molto stancante, ma allo stesso tempo intensa e vivificante. Noi abbiamo solo portato noi stessi, ci che siamo e quel poco che eravamo in grado di fare, e abbiamo ricevuto laffetto di tutti: non solo dei bisognosi l ospitati, ma anche delle Sorelle e delle operatrici. Non ci siamo limitati a fare da infermieri, ma abbiamo condiviso i loro bisogni e

Dallascolto nasce laccoglienza; e dallaccoglienza la possibilit del confronto. Un confronto con chi ti sta intorno e, in ultimo, con te stesso. Si ha la possibilit di rivedere completamente tutte le proprie posizioni. Ci che si credeva acquisito, una realt

ormai certa dentro di noi, viene ora rimessa in discussione in funzione di un qualcosa di infinitamente pi grande. Credevamo infatti di aiutare i bisognosi e in certa misura labbiamo fatto ma sono stati loro ad aiutare noi; forse qualcuno di noi pensava di parlare di Cristo, ma sono stati loro a testimoniare Ges a tutti noi, a convertirci gradualmente. Nessun discorso da parte loro, ma fatti concreti damore; la possibilit di incontrare un Cristo differente da come ce lo costruiamo noi. Non un Ges evanescente fatto di scritti, ma incarnato nellassiduo servizio di Sorelle e operatori che servono i bisognosi giorno e notte; non un Ges astratto e proclamato con sermoni, ma vivo negli sputi e nei graffi che spesso pu capitare di ricevere. Nel dolore, nella fatica e nella sofferenza, quando sovente si crede che Dio abbia voltato le spalle e dimenticato questi poveretti, si nasconde in realt la possibilit di un ascolto e di unaccoglienza differenti, che supera ogni nostra aspettativa, che non lascia soli loro e che, allo stesso tempo, converte noi. Provare per credere! E quando unopera gradita

al buon Dio, la sua Provvidenza non viene mai a mancare. lesperienza del centuplo che ci stata promessa, un centuplo che si concretizza in amore, fratelli e in tutto ci di cui essi hanno bisogno per vivere con la dignit che gli propria. La dignit di Cristo. Che San Giuseppe Benedetto Cottolengo, che per primo ha iniziato questopera, possa sempre vegliare sul nostro cammino e intercedere per noi, affinch la nostra conversione sia sempre pi piena.
Fr Emanuele Marte Fr Lukas Benjamin Lerner, Fr Francesco Lodi, Fr Clovis Luiz Bettinelli, Fr Marco Maria Baldacci

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Suor Oliva
volata in cielo
on dolore e commozione desidero informare tutti i lettori che, dopo lunga ed estenuante malattia durata circa due mesi, la nostra Suor Oliva andata in Paradiso oggi, 12 gennaio 2012, alle ore 18.10 circa. Suor Oliva aveva un tumore che abbiamo scoperto nel mese di novembre. La situazione apparsa subito molto avanzata ed al di l di ogni possibilit radio e chemioterapica. Sono stato io a fare la diagnosi; sono stato ancora io a dare a Suorr Oliva la devastante notizia del cancro cos avanzato, ed ho avuto la fortuna di seguirla fino alla fine. Pi volte ho tentato di convincerla ad andare in un grosso ospedale di Nairobi, dove avrebbe potuto essere assistita da specialisti pi bravi di me, e magari

avere indagini e terapie al di sopra del livello concessoci a Chaaria. Ma

Suor Oliva ha sempre insistito per rimanere a Chaaria. Mi ha scelto come suo medico fino alla fine, e questo mi commuove sinceramente. Suor Oliva ha accettato il suo male con una fede veramente commovente: quando glielho detto, lei ha risposto, con una lacrima agli occhi: sia fatta la volont di Dio!. Poi a pi riprese, quando il male la consumava e lei, per il passato cos attiva, non poteva pi alzarsi dal letto, spesso mi diceva: adesso s che sono una vera missionaria! Moltissime volte, quando la visitavo, Suor Oliva mi diceva: guarda che prego tutti i giorni per te!. Pensava a me e mi ricordava nella preghiera anche quando era moribonda! Ha ricevuto i sacramenti della fede con sere-

nit e con forza. Laltro ieri sera, cio lultima volta in cui mi ha riconosciuto e con un filo di voce cercava di dire qualcosa in un linguaggio ormai incomprensibile, con il segno delle mani giunte ha chiesto la Comunione, che Suor Anselmina le ha dato immediatamente. Dopo la Comunione di quel giorno, Suor Oliva entrata in un torpore spesso agitato da cui non si pi svegliata, fin quando volata in cielo questa sera. Abbiamo cercato in tutti i modi di sedare il dolore, e penso di

essere riuscito abbastanza a farla morire senza enormi sofferenze fisiche. Le sofferenze spirituali e morali invece solo Dio le conosce. Per grazia di Dio presente a Chaaria sua sorella Agnese, che ha potuto assisterla negli ultimi 15 giorni di vita: la sorella non ha mai lasciato Suor Oliva n di giorno n di notte, ed ha avuto il conforto di vederla spirare senza dolore. La Provvidenza ha voluto che al momento della morte fosse presente anche il Superiore dei Fratelli, Fratel Roberto Trappa. Cerano anche le suore della comunit e la volontaria Rosella. Fratel Giancarlo, Antonio ed il sottoscritto sono arrivati poco dopo, insieme al nostro parroco, che ha potuto dire con noi una preghiera prima di procedere alla composizione del cadavere e al trasporto in camera mortuaria. Suor Oliva ora di nuovo vestita da suora, dopo due mesi di pigiama... e pare quasi sorridere. Lei ce lha fatta ad arrivare alla meta! stata fedele al Signore per lunghissimi anni, e ha perseverato fino alla fine. Da Suor Oliva ho imparato moltissimo. Per me sempre stata un vero modello di vita religiosa e di donazione totale ai poveri. Con lei mi sono sempre trovato benissimo. A Chaaria abbiamo davvero lavorato molto insieme negli anni in cui rimasta con noi, e dobbiamo dire che il servizio agli orfani che ancora continua oggi, lo dobbiamo molto anche a lei. Ricorder

la sua dedizione, la sua preghiera, la sua saggezza materna che sempre mi invogliava a non dar peso alle critiche, ed a pensare che il Signore che ci giudica e non gli uomini. Uno degli ultimi giorni della sua vita, dal suo letto di sofferenza, mi ha stretto la mano e mi ha detto: ricordati che ti voglio bene!. E questo bene io lho sentito e palpato fino alla fine, quando ostinatamente lei mi ha detto che sarebbe morta a Chaaria, e non in un grande ed attrezzato ospedale di Nairobi. stato per me durissimo doverle dire che stava morendo di cancro, ma anche tale momento cos doloroso per entrambi servito a cementare ancora di pi questo bene. Sua sorella conti-

nuamente mi diceva: con tutto il bene che ha fatto, sar certamente in Paradiso... e su questo siamo pienamente daccordo! Suor Oliva stata una pioniera delle missioni cottolenghine, ed ha fatto tantissimo per i poveri a domicilio mentre era a Tuuru; a Chaaria stata una presenza materna per tutti, ha fatto pregare i malati, ha battezzato centinaia di bambini morenti, ha dato da mangiare a tantissimi degenti gravissimi. Lo sa poi solo il Signore a quanti poveracci ha pagato il conto dellospedale! Ora per lei tempo di riposare e di raccogliere il frutto di tante fatiche nella vita eterna. Fr Beppe e tutti i confratelli

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AVANZA IL PROGETTO CHOC DI ELIMINAZIONE DEl NASCITURI DIFETTOSI

Niente Down in Danimarca

cristiano che fu Agostino dlppona laveva capito gi 1.600 anni fa, quando, nel suo scritto Contra Academicos, affermava che luomo non pu essere perfetto se non raggiunge il suo fine, che quello di cercare con tutto limpegno la verit di Dio. Ma spiegava pure che per quanto luomo cerchi di essere perfetto, tuttavia destinato a restare sempre umanamente uomo: Perfectum, sed tamen hominem. Tornando al tentativo danese, ristulta difficile sottrarsi a qualche interrogativo. Siamo davvero sicuri che possa considerarsi migliore una societ composta da esseri umani geneticamente perfetti, in cui non ci sia pi bisogno di sperimentare alcun sentimento di amore, di carit, di solidariet nei confronti di soggetti deboli e indifesi, nella quale non sia pi necessario comprendere e accogliere chi appare fisicamente diverso?

Quando la follia ad essere perfetta

el suo prometeico tentativo di diventare una societ perfetta, la Danimarca sembra procedere a tappe forzate nel progetto di eliminare tutti i soggetti affetti dalla sindrome di Down. Nel 2004 il governo danese ha impresso una possente spinta a questa battaglia eugenetica offrendo la possibilit di ricorrere gratuitamente alle diagnosi prenatali per lidentificazione, e la conseguente eliminazione a mezzo aborto, dei nascituri difettosi. Lobiettivo pare sia quello di raggiungere il primato di unico Paese al mondo Down Syndrome Free. Esiste anche una data entro

cui realizzare il sogno: il 2030. A rivelarlo stato, sul finire di questanno, un articolo del giornalista Nikolaj Rytkaard apparso sul quotidiano danese Bertingske, con linquietante affer-

mazione che presto nascer lultimo bambino danese affetto dalla sindrome di Down. Se si considera, poi, che il mezzo da utilizzare per entrare nel Guinness dei primati leliminazione fisica dei feti rischia di apparire alquanto sinistra lentusiastica definizione di impresa davvero straordinaria data al progetto da Niels Uldbjerg, professore di Ginecologia e ostetricia allUniversit di Aarhus. leterna tentazione delluomo di raggiunere la perfezione senza Dio. Un sogno che destinato come la storia dimostra sempre a trasformarsi in incubo. Quel campione di realismo

In assenza di un valore etico, su cosa si fonda il criterio per stabilire chi debba far parte della

razza geneticamente superiore autorizzata a eliminare quella geneticamente inferiore? Chi determina i requisiti per ammettere una persona nella societ perfetta? E chi garantisce i limiti di quei requisiti? Chi pu escludere, ad esempio, che il prossimo passo in Danimarca non sia leliminazione dei cittadini affetti da diabete, da malattie cardiache e da cecit...? Siamo proprio sicuri che per raggiungere la perfezione occorra far prevalere la logica spartana del Monte Taigeto rispetto allesortazione evangelica di amare il prossimo come se stessi? Molti hanno avuto la fortuna di ascoltare allultimo Meeting di Rimini la toccante testimonianza di Clara Gaymard, la figlia di Jrome Lejeune, scopritore della sindrome di Down, detta anche trisomia 21. Parlando dei propri ricordi personali, Clara ha raccontato che un giorno un ragazzo trisomico di dieci anni si present allo studio di suo padre, piangendo convulsamente. La mamma di

quel ragazzo spieg che il figlio aveva visto un dibattito in televisione, in cui si discuteva della possibilit di eliminare i nascituri affetti da sindrome di Down. Il ragazzo gett le braccia al collo di Lejeune, supplicandolo: Dottore, vogliono ucciderci tutti; la prego ci protegga, siamo troppo deboli, non sappiamo farlo da soli!. Fu da allora che Lejeune decise di dedicare la sua vita alla difesa di quelle fragili esistenze. Oggi Lejeune, purtroppo, non c pi. Ma gli sterminatori di quelli che lui definiva i miei piccoli sono ancora in circolazione, e invocano sempre lo stesso pretesto: la realizzazione di una societ perfetta. Quella in cui, ovviamente, oltre allimperfezione umana devessere bandito Dio.
Gianfranco Amato

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T e s t i m o n i a n z e

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Il congedo di un

laico fedele
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o lavorato nella Piccola Casa come dipendente per 26 anni. Ora che per pensionamento ho chiuso il mio rapporto, ripenso con riconoscente nostalgia a come ho conosciuto e vissuto la Piccola Casa. Nellanno 1985 lazienda dove lavoravo come impiegato mise in cassa integrazione molti dipendenti e anchio tra questi; cos la mia situazione cambi improvvisamente. Ero giovane, non accettavo di starmene a casa senza fare niente; cominciai cos a cercare qualche soluzione. Il primo pensiero fu quello di approfittarne per fare qualcosa per gli altri, mettendomi al servizio di chi poteva aver bisogno. Incontrai il responsabile del Cottolengo del mio paese e gli parlai del mio desiderio di iniziare un cammino di volontariato, al Cottolengo di Torino. Mi ascolt, cap e lui stesso mi accompagn a Torino alla Piccola Casa. Mi present al responsabile del volontariato e questi dopo un primo colloquio, mi port sul posto che mi avrebbero assegnato, preavvisandomi di non spaventarmi, perch in quel reparto avrei incontrato ragazzi di unet tra i 15 e i 30 anni, tutti con problemi gravi di handicap. Ricordo che fui accolto calorosamente da tutto il personale, suore, fratelli e volontari, cos da subito ebbi limpressione di trovarmi in una grande famiglia, dove ognuno svolgeva il proprio lavoro, dedicandosi a questi ragazzi con grande spirito di servizio. Compresi dopo il perch: il Santo Fondatore, San Giuseppe Cottolengo, definiva questi ragazzi i nostri PADRONI e coloro che ad essi si dedicavano i loro SERVI. Certamente allinizio furono molte le domande che mi posero; una di queste era come potessero esistere queste persone e quanta sofferenza poteva esserci dentro di loro. Si era aperto davanti a me un mondo nuovo, fatto di sofferenze e bisogni. Servire questi fratelli, prestar loro i servizi essenziali di cui avevano bisogno, ligiene personale, lalimentazione, ecc.. non era facile; non potendo poi comunicare con loro n esprimersi, qualsiasi servizio poteva lasciarti nel dubbio (sar gradito oppure no?). Diventava allora fondamentale losservazione dei loro atteggiamenti. Pian piano cominciai a conoscere me-

glio il personale, per la maggior parte suore, ed ebbi la fortuna di conoscerne una con funzioni di coordinatrice. Mi raccontava spesso la vita del Santo e citandone aneddoti e detti lo descriveva come una persona di grande umanit e sensibilit verso i pi emarginati e poi che era un uomo di grande fede. Lavorando ogni giorno accanto a queste persone, capivo sempre pi che prendersi cura dei poveri, abbandonati e bisognosi, era riconoscere in essi il volto di Ges e in ognuno, pur se diversa, una propria dignit. Descrivere cosa mi stava succedendo risulta difficile; ogni giorno e sempre pi cresceva dentro di me il desiderio di stare sempre con loro, perch vero, dedicavamo molto tempo a loro, ma un gesto, un loro sorriso, riempiva il nostro cuore di gioia... loro donavano a noi! Questo mi fece capire, che anche un laico pu vivere la propria vocazione di servizio ai poveri, ai bisognosi, alle persone malate. Il Cottolengo insegna poi anche che La Divina Provvidenza per lo pi ADOPERA MEZZI UMANI. Mi ha fatto conoscere il Cottolengo e pian piano ha dato senso alla mia vita, alla mia esistenza, realizzandomi cos desideri, non preventivati, ma che una serie di situazioni, ha resi possibili. Portandomi cos al mio grande sogno iniziale: Stare accanto alle persone malate, condividendo, come laico, linsegnamento del Cottolengo. Certo chi lavrebbe mai detto che a 30 anni la mia vita avrebbe avuto una svolta, tanto importante da cambiare il mio modo di pensare e di vivere? Provvidente poi lin-

vito dei responsabili, quando mi chiesero se volevo rimanere nel reparto come dipendente. Non esitai ad accettare, anche se le persone che mi stavano accanto mi chiesero se mi ero bevuto il cervello a fare un lavoro del genere; la mia famiglia invece non mi ha mai ostacolato. Certo questo cambio radicale ha comportato anche delle difficolt, ma dentro mi sentivo una persona serena e la Provvidenza non mi ha mai abbandonato, arrivava sempre al

momento giusto, quando meno me lo aspettavo. Dopo due anni di servizio i responsabili mi diedero la possibilit di frequentare la Scuola Infermieri (desiderio gi latente, ma abbandonato, perch ritenevo di non avere pi let per poter iniziare questo cammino). Frequentai la scuola per 3 anni e poi venni inserito nella realt del nostro ospedale. Dentro di me sempre forte lobiettivo della Piccola Casa: Prendersi cura delle persone povere, malate e bisognose, senza distinzioni. Qualsiasi lavoro, ogni gesto, fatto con amore, non solo con lentusiasmo dei primi tempi, ma conservando lideale

dellamore per luomo e per la vita. Essere infermiere, vuol dire avere obiettivi precisi, dove atteggiamenti, comportamenti e azioni verso persone malate, devono soddisfare tutti i loro bisogni: fisiologici, psicologici, sociali e spirituali. Dopo il percorso formativo, ho sentito ancora pi il dovere di prendermi cura della persona malata nella sua globalit, con stile Cottolenghino, convinto che anche noi laici dobbiamo condividere pienamente la MISSION della Piccola Casa. Questi 26 anni per me sono volati via; certamente difficolt ce ne sono state, ma condividere lideale del fondatore della Piccola Casa che ha speso la sua esistenza tra la gente pi povera, mi sempre stato daiuto e fatto superare ogni ostacolo. Della mia esperienza, vorrei ricordare che non ci sono lavori di serie A e di serie B, ma che ogni lavoro, anche se umile e apparentemente insignificante, alloperatore chiede sempre impegno e dedizione. Se si ha ben presente lobiettivo da raggiungere, anche lattivit pi insignificante, pu avere un grande valore; limportante che tutto sia orientato verso la persona, posta sempre al centro dei nostri interessi e non viceversa. Voglio ringraziare quanti ho incontrato sul mio cammino; per la fiducia e la collaborazione che mi hanno offerto e per la condivisione dei momenti lieti e non, facendomi crescere, professionalmente e umanamente. A tutti, proprio a tutti il mio sentito Deo Gratias! Giuseppe Barotto

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Una morte in sala


ono le 23.30 e il cicalino suona: C una emergenza! un trasferimento dal Tharaka!. difficile coordinare le idee quando si viene svegliati nella prima mezzora di sonno, ma mi precipito in ospedale. Si tratta di una giovane donna, che appare molto anemica e ormai in condizioni generali direi terminali. Metto insieme le idee e decido prima di tutto di eseguire unecografia durgenza: leco conferma il mio sospetto diagnostico: si tratta di una gravidanza extrauterina, ormai rotta, e con enorme emorragia interna. Non avendo laboratoristi reperibili, sono io a testare velocemente lemoglobina (che risulta di 2 g/dl) ed il gruppo sanguigno, che O positivo. Mando il guardiano a svegliare Jesse, in quanto non posso certo tentare di entrare in sala senza lanestesista, date le condizioni criti-

che della paziente... ed intanto faccio le prove crociate su sangue che temporaneamente sottraggo ad unaltra ricoverata. Prepariamo loperanda per la sala: toglierle i vestiti impolverati, lavarla, farle la tricotomia, inserire il catetere ed allestire i set chirurgici non ci richiede pi di 15 minuti. La mamma per continua a peggiorare ed il suo respiro gasping anche prima di incidere la cute. Il monitor ci rivela complessi cardiaci premortali. Io non vorrei agire, ma Jesse e

linfermiera mi spingono a farlo, dicendomi che la speranza lultima a morire: la paziente non respira, ma siccome c attivit cardiaca, Jesse la intuba, la ventila e le pratica adrenalina. Velocemente iniziamo lintervento; in un batter docchio siamo nella cavit peritoneale da cui aspiriamo almeno quattro litri di sangue, mentre una sacca di emazie entra nelle vene della donna al massimo della celerit consentita dallo spremisacca regalatomi dagli amici delle Molinette. Troviamo immediatamente la sede dellectopica: clampiamo e suturiamo, arrestando lemorragia in pochi minuti. Dal punto di vista operatorio non ci sono grossi problemi: aspiriamo il sangue dalladdome; laviamo il peritoneo con fisiologica tiepida, e chiudiamo. Ma la paziente non riprende una respirazione spontanea e pian piano anche la traccia del

monitor si trasforma dapprima in fibrillazione ventricolare seguita poi da asistolia. Appena d lultimo punto sulla cute, lECG si fa costantemente piatto. Abbiamo perso la malata in sala. Siamo tutti imbrattati di sangue che si sparso abbondantemente anche sul pavimento, e siamo molto depressi. Ora dobbiamo parlare con il marito e gli altri parenti che sono fuori in corridoio. molto dura! sempre difficile dire ad uno sposo che la giovane consorte non c pi! Ma lui e gli altri congiunti non sono stati affatto rudi con noi. Erano invece molto arrabbiati con la struttura rurale che aveva accolto la donna due giorni prima: in quel centro di salute avevano fatto una diagnosi di malaria, senza neppure un esame microscopico della goccia spessa; avevano scritto in cartella che la paziente era anemica, senza per testare una emoglobina. Ma la cosa che li rendeva tristi ed aggressivi era il fatto che la donna aveva perso coscienza alle 5 del pomeriggio, e lo staff di quella struttura aveva perso ore preziose, praticando inutili infusioni di soluzione salina, senza pensare ad un trasferimento urgente. La decisione di portare la malata a Chaaria in effetti avvenuta pi di cinque ore dopo la perdita di coscienza! Se ci avessero detto che avevano problemi con lauto, saremmo venuti a Chaaria con il matatu! Io non so cosa dire. Non voglio aumentare la tensione che c nellaria, e soprattutto non in-

tendo incitare animosit verso lo staff dellaltra struttura. Cerco di calmare i parenti affranti, e poi in privato provo a spiegare gli errori compiuti ad una delle infermiere che aveva accompagnato la malata: c sicuramente stata una catena di errori che si sono sommati dando origine ad un circolo vizioso che ha portato allesito fatale.

Prima di tutto ho consigliato di non ricoverare malati gravi in strutture dove non c un medico o dove le possibilit diagnostiche sono scarse: in caso di dubbio meglio riferire immediatamente ad una unit di livello superiore. Poi ho caldamente suggerito di non considerare automaticamente come malaria cerebrale una perdita di coscienza inspiegata, soprattutto in una donna giovane: ho ripetuto il mio assioma secondo cui tutte le donne nel nostro contesto sono gravide fino a prova contraria, e che una lipotimia un segno importante di sospetto per una ectopica.

Ho anche consigliato di rimanere molto aperti nelle ipotesi diagnostiche: la mia impressione che il fatto di pensare inizialmente alla malaria, ha poi portato ad una interpretazione di tutti i sintomi alla luce di quellipotesi, senza la necessaria coscienza critica che avrebbe potuto portare a considerare altre cause. come se, il primo giorno, quelle infermiere si fossero messe degli occhiali, attraverso cui hanno poi distorto il fluire dei sintomi alla luce dellinterpretazione originaria. E da ultimo ho ricordato che ogni ritardo nel trasferimento pu essere rapidamente letale per i nostri malati, soprattutto quando si viene da lontano e la strada accidentata... per cui meglio trasferire con eccessivo anticipo che tardare! Credo che queste infermiere, visibilmente afflitte e turbate, abbiano compreso, e che non ripeteranno certo un tale errore. Ora devo cercare di rimpiazzare il sangue che ho preso in prestito dallaltra paziente di Chaaria. Mentre trasportiamo la giovane donna al mortuario, non posso fare a meno di pensare a quel marito diventato vedovo e ai suoi bambini che non rivedranno pi la loro mamma. Mi torna in mente il cactus che c davanti alla cappella della clausura di Tuuru, e mi perdo un attimo a fantasticare trasognato: per molti la vita proprio come questa pianta grassa; le spine ci sono sempre e sono molto lunghe, ma i fiori si vedono davvero raramente. Fr Beppe Gaido

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Ventisei anni,
e gli occhi giusti.
o quasi 26 anni. Sono una di quelle giovani che giornali e statistiche si sono prodigati a definire come coloro che non studiano e non lavorano. Sono una di quelle su cui peseranno i pensionati di oggi e di domani, che non godr della vecchiaia passata a badare i nipoti, che oggi non ha lavoro e alla quale stata negata una prospettiva con qualche certezza. Sono una di quei giovani per cui tutti a parole stanno lavorando dentro e fuori dai palazzi della politica o della tecno-politica. Sono una di quei giovani a cui stanno facendo credere che non v certezza ora e non ci sar domani. Allora la mattina mi sveglio, vado a prendere il metr insieme a unondata di altri coetanei che si dirigono in universit o al lavoro precario e male (o niente affatto) pagato. Vado piena di desideri, di una casa mia, di un lavoro pi certo, di un matrimonio, di figli. Ed ecco il bivio, quello davanti al quale devo scegliere: prevale la crisi, la precariet di oggi e il nulla del futuro oppure quel desiderio grande con cui la mia giornata inizia... sempre. C uno sguardo che mi accompagna in questa strada, quello dei nonni. Mai il vuoto dentro quegli occhi cos carichi di storia. Ogni volta che ho guardato bene dentro quello squarcio di vita, ho visto il dolore della

guerra vissuto con la certezza di chi sa che la realt, anche quella, data e a essa siamo chiamati a rispondere. La certezza, ecco cosa portano ancora nelle nostre vite questi nonni. Hanno edificato ci di cui adesso viviamo, mossi dal desiderio di costruire quando non cera pi nulla. Mi chiedo: cosa muove un uomo che non ha pi niente, che ha vissuto un male carnale come le bombe, la fame e la morte, a impastare ancora il pane, a mettere il primo mattone sulle ceneri di ci che fino al giorno prima era la sua vita? Solo la certezza che il desiderio di bene non sia unidea irrealizzabile, ma il perno della propria vita che fa da fondamento alla citt nuova che si sta costruendo. Quello sguardo non mi ha mai nascosto che un Altro ci d questo desiderio, cos come la realt, qualunque essa sia. E allora ecco, da quel punto fermo posso ripartire anche io, giovane del 2012, cos fluttuante in un mondo apparentemente senza confini e ncore. Quegli occhi pieni della carnalit della vita e di Chi ce la dona mi riportano a terra, attaccata a quello che c. C stato Uno, nella storia, che ha investito su ognuno di noi, il Mistero, facendosi carne, vivendo, morendo e resuscitando per noi. E il Mistero continua a investire su di me, scegliendomi. In ogni istante. E in ogni istante lasciandomi libera. Cos anchio, che per il mondo faccio parte di una generazione senza futuro, sfiduciata e schiacciata dai fuochi incrociati dei poteri che si combattono tra i mercati e i palazzi, sono salvata da Colui che abbraccia tutto di me, sceglie tutto, investe su ci che, inesorabile, emerge anche in questa realt: il mio desiderio.
Anna Pelleri

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Solo una madre madre


Dal libro Dodici di Giovanni Donna DOldenico. Il racconto, estrapolato dal romanzo quello di una donna, che allontanata dal suo bambino, ora che si avvicina al tramonto della sua vita, ne sente nostalgia, e con una lettera lo cerca, per giustificare lassenza dalla sua vita e ottenerne il perdono.

Ciao Ben. Scusa per lindirizzo: che piccolo ti ho visto; grande, qui, adesso, mentre ti scrivo, tocca immaginarti. Gi: adesso. Ma poi? Se, in questi anni, ti avessi visto crescere? Se, in realt, non ti avessi lasciato solo un attimo? Se, dunque, grande, ora, mentre mi leggi, io, proprio io, ti stessi vedendo? Hai sempre avuto una mamma laica: non ho mai creduto nella Grande Madre Terra; n, per fortuna, mai ho avuto tempo per partecipare ai suoi ridicoli riti. Mi ripugna il pensiero di essere destinata a rimestarmi, materia nella materia, nelle viscere di un globo terracqueo qualunque. Stupidaggini: o resto io, o non resta niente. La Terra terra. Solo una madre madre. E io,

per un privilegio della nostra famiglia, un segreto di cui nessuno a conoscenza, madre tua lo sono fino in fondo. Anzi, fin dal principio, tu non sei un prodotto della fecondazione artificiale. Io ti ho concepito. Io. Nel mio grembo. Io ti ho voluto da appena ho saputo, carne della mia carne; io ti ho partorito con dolore e piacere; io, commossa, ti ho accostato al mio seno. Tu. Neonato, ancora attaccato a me per un lungo istante, il pi dolce della mia vita []. Tu a vagire tra le mie braccia, cercando il capezzolo che ti porgevo. No. Io, tua madre, non posso essere scomparsa. Non me ne faccio niente di diventare una manciata di terra. Sai, ogni tanto, quandero bambina, tua nonna, alla sera, seduta sul mio letto ad accompagnarmi

al sonno, mi narrava ricordi di unantica leggenda. Ssst!, sorrideva poggiando lindice sulle mie labbra. Tutto questo sar il nostro segreto. Sempre. Prometti! Perch, mi spiegava, da secoli luomo, dopo averne cancellato tutte le vestigia, aveva condannato questantica leggenda alloblio. Peccato. Era una bella storia. Forse, da qualche parte, di nascosto, qualcuno la conosce. Prova a chiedere se mai qualche biblioteca antiquaria ne abbia conservato il racconto, che io non ho mai avuto ardire, occasione e tempo per cercare. Anche per il timore di non trovarlo; ma, soprattutto, per non tradire la promessa fatta a mia mamma; o, forse, per la paura di scoprire che si trattasse solo di una sua fantasia: che brutta sor-

presa sarebbe stata! Quante volte mi sono addormentata con le sue carezze, i suoi occhi sereni e la sua voce che mi raccontava di spirito e di carne; e della venuta di un salvatore; e di una vita oltre la vita; e di un Dio s, pensa: un Dio! al cui cospetto si vive e si muore e, dopo, si rimane. Che bello, se vero! Mi sembrava giunto il momento, per te, di conoscere tutto quanto. Avevo deciso di parlartene, come regalo, il giorno del tuo dodicesimo compleanno. Che, invece, non avremmo festeggiato insieme. Per devi sapere che, anche se questa storia non lho mai incontrata, da quando mia madre prese a confidarmene lesistenza, non ho mai smesso di desiderare che fosse vera. Di pi: ce lho messa tutta per comportarmi in modo da esserne degna, sempre, a cominciare dagli affari []. Da parte mia ho cercato di essere giusta e di riparare quando non sono riuscita a esserlo; e quando non ce lho fatta, n a esserlo, n a riparare, mi sono portata dentro un dolore, acuto come un grido. Senza risposta. Per questo, per tutta la vita mi sono sforzata di perdonare, quando ho avuto da farlo, perch avrei voluto essere perdonata, io per prima. Udire io, con queste stesse orecchie, la voce di uno che mi dicesse: ti assolvo. Per meritarmi lincontro con que-

sto Dio, se mai esiste. Ho perdonato anche tuo padre; hai letto bene: padre; non ti ho concepito facendo inserire nel mio utero un seme: ti ho generato accogliendo nel mio ventre un uomo. Un uomo grande e forte, anche se non abbastanza per esserti accanto e per essermi accanto, fino alla morte. Ma non fargli colpa di questa assenza: non servirebbe n a te, n a lui. Piutto-

sto prometti che ti sforzerai di pensarlo con affetto: chiss che, un giorno, tu non sia chiamato a generare come padre colui che non ha saputo generarti come figlio. Questo volevo dirti. E poi mille altre cose che una madre vorrebbe aver detto a un figlio. Ma la vita stata un po tiranna con noi due: ci ha dato tanto, ma non tanto tempo. Ti sembra giusto che io viva solo nel tuo ricordo? Dovr pure esserci restituito quanto ci stato tolto! Certo: ad altri andr reso molto pi che a noi; a chi, dalla vita, ha avuto solo dolore e ingiustizia. A noi mancato solo il tempo. Ma, se lantica leggenda vera, io adesso spero misericordia e domando di riavere, di l, anche questo po di giustizia che qui mi stata tolta. Non posso pretenderla. Ma domandarla, s. Quindi inutile che io ti riempia di pagine, e tu di lacrime. Lessenziale te lho scritto. Il resto te lo dir. Io. Scommettiamo? E se Colui che continuo a sperare sia, davvero , lo prego che ti si faccia incontro, prima o poi, come pu; come sa, come . Tieni gli occhi aperti, figlio mio; le orecchie aperte; il cuore aperto. E se lo incontrerai, pregalo per me! Arrivederci, allora! Ti voglio tutto il bene che posso. Ti auguro tutto il bene che so. E molto di pi. Comportati bene! Un abbraccio che non finisce pi.

Clarence, tua mamma.

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Nel torinese battezzati 12 bimbi del Camerun:

Cos diventiamo fratelli


scere insieme e del consorzio Connecting People dalla Piccola Casa della Divina Provvidenza. In tutto gli aspiranti rifugiati in attesa dellesito dei colloqui per la richiesta di asilo politico sono una quarantina. I bimbi ne sono nati tre da maggio hanno ripopolato la scuola, mentre i grandi si sono fatti conoscere dalla comunit per il contributo dato come ringraziamento dellospitalit: hanno sistemato le aree gioco per i bambini, ripulito il bosco dai rami secchi, spalato la neve. Queste persone hanno voglia di integrarsi, racconta suor Elisa Scalabrino, cottolenghina, medico che insieme a un pediatra volontario visita i profughi una volta alla settimana. I genitori di David, un bimbo di tre mesi del Congo, hanno voluto lei come madrina di battesimo. Tra i regali, magliette e bavaglini fatti a mano dagli ospiti del Cottolengo. La cerimonia di oggi ci insegna che siamo tutti fratelli, ha detto dal pulpito padre Paul Nde, camerunense, della pastorale migranti della diocesi di Torino, che ha celebrato messa in italia-

no, inglese e francese, accanto al parroco don Bartolomeo Giaime. In chiesa cera tutta Lemie, a partire dal sindaco Giacomo Lisa, nel primo banco in veste di padrino della piccola Aaliya. I nostri valori tradizionali ci portano allaccoglienza e la comune fede cristiana un punto dincontro con gli immigrati sostiene anche se non mancano le tensioni. Ci preoccupa il futuro di queste persone: da soli non possiamo garantire a tutti un inserimento lavorativo. Il lavoro infatti al primo posto nel desiderata dei profughi: un sogno dautonomia per il quale la cooperativa Crescere insieme sta cercando soluzioni in primis nelle aziende della Valle, anche per combattere il suo progressivo spopolamento. Fabrizio Assandri

aliyah la prima camerunense nata a Lemie, a settembre, nellalta Val di Vi, in provincia di Torino. Cerano anche il fratello Libu e la sorella Milima tra i dodici bambini profughi battezzati ieri mattina nella chiesa di San Michele Arcangelo coperta dalla neve, tra danze dellAfrica sub sahariana e riprese coi telefo-

nini dei genitori emozionati, tirati a lucido e con indosso labito della festa.

Per noi questo un giorno molto importante racconta il padre di Aaliyah, Jurg Azah Baniedig. Faceva il muratore in Libia, ma allo scoppio della guerra dovuto scappare in Italia insieme alla moglie incinta e ai due figli. Sbarcati a Lampedusa, hanno trovato accoglienza nella sperduta Lemie, un paesino montano di appena 90 abitanti, in una casa messa a disposizione della cooperativa Cre-

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Voglia di Pace e di Giustizia


Lettera a Ges Caro Ges,
ti scrivo perch so che tu mi puoi capire, anche tu sei stato straniero e profugo, e con la tua famiglia hai provato cosa significa essere respinto e privato di ogni gesto di accoglienza.
Chi ti scrive uno dei tanti migranti che oggi vive in questa citt, uno dei tanti viaggiatori che ha lasciato il proprio Paese alla ricerca di un futuro migliore, di una prospettiva di vita che gli consentisse di realizzare quei sogni che ogni uomo porta nel proprio cuore. La voglia di pace e di giustizia, la possibilit di un lavoro e di una vita dignitosa hanno dato forza al mio progetto e oggi sono qui. Un progetto che mi ha portato lontano dal mio Paese e dai miei affetti, per arrivare in unaltra parte del mondo, dove per molti sono lo straniero, quello di cui aver paura perch ruba il lavoro e perch un pericolo per la sicurezza. Tu capisci che vivere cos non facile. A volte vorrei avere la possibilit di incontrare le persone, per dimostrare quello che sono veramen-

te, per fargli capire che quello che gli sta davanti un uomo come loro, una presenza da riconoscere e valorizzare. Ti scrivo perch so che tu mi puoi capire, anche tu sei stato straniero e profugo, e con la tua famiglia hai provato cosa significa essere respinto e privato di ogni gesto di accoglienza. E forse per questo nei tuoi insegnamenti hai sempre raccomandato di amare lo straniero, di vedere in lui la tua presenza e di assicurargli lospitalit. Quante volte questospitalit ci viene negata da una societ chiusa nel timore del diverso, incapace di comprendere le necessit di chi vive lontano dal proprio Paese.

Mi sembra che tante volte si facciano le leggi per complicarci la vita piuttosto che per sostenere la nostra integrazione e soprattutto in questo periodo di crisi forte la paura di non farcela a mantenere la stabilit che sono riu-

scito a raggiungere. E purtroppo, molto spesso, lospitalit manca anche nella tua Chiesa, quella che Tu hai voluto aperta alla comunione e alla condivisione, nella prospettiva dellunica famiglia umana. Ho deciso di scriverti questa lettera in un periodo particolare. La Santa Pasqua tempo di Resurrezione e di speranza ed a te che io voglio affidare le mie attese e le mie speranze: la speranza di sentirmi pienamente parte di questa chiesa locale e di avere riconosciuto il mio ruolo allinterno di questa societ. Tuo Dieudonne

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Prenditene cura
Qualunque cosa avete fatto ad uno di questi piccoli, lavete fatto a me.
(dal Vangelo di Matteo)
e hai deciso di dedicare un po del tuo tempo ad assistere i poveri e gli ammalati, fallo con il cuore di una mamma quando assiste il suo figlio infermo.

Se devi dargli da mangiare, fa attenzione che sia comodo, che il cibo sia tenero, non scotti n sia freddo. Se poi non vorr mangiare, esortalo con dolcezza, senza eccessiva insistenza.

Quando stai alla presenza del malato, comportati con ogni diligenza, rispetto, mansuetudine e piacevolezza. E se mai fosse necessario rivolgergli un rimprovero, fallo con benevolenza, senza umiliarlo o alzare la voce.

Quando devi lavarlo o cambiarlo, fallo con delicatezza e sveltezza senza scoprirlo pi del necessario, perch non prenda freddo, non si affatichi, non ne provi imbarazzo per il suo pudore. Quando lo accompagni, non pretendere che cammini speditamente come te. Piuttosto, adatta il tuo passo al suo e rimani al suo fianco facendoti per lui un appoggio sicuro.

Quando il malato si aggrava, riserva per lui una particolare attenzione e vedi che: appoggi bene sui cuscini, non lo disturbino i rumori o la troppa luce, non abbia sete ma la bocca sia ben inumidita. Di tanto in tanto, rassicuralo con qualche buona parola.

Quando ti chiama, accorri subito, presentati sorridente, poi ascoltalo con attenzione.

Quando il malato prega, non disturbare il suo colloquio con Dio e lascia che sfoghi con spontaneit i suoi sentimenti.

Se farai queste cose con umilt e con amore, sarai stimato per la tua saggezza e umanit. Don Franco

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Lettera di un maestro

I diritti dei bambini


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o sempre avuto dei bambini disabili in classe. E ho sempre difeso i loro diritti. Ai miei alunni che potevano correre, saltare, prendersi e fare la lotta, ho sempre detto che dovevano essere orgogliosi di aiutare chi quelle stese cose non poteva farle. Linsegnante di sostegno una presenza essenziale per molti bambini. Non perch faccia loro da badante. Ma perch questi bambini possano ricevere aiuti precisi da una persona competente, per diventare pi capaci di controllare la loro vita. Non ho mai considerato la maestra di sostegno come una stampella di qualcuno. Perci lho sempre inclusa nel lavoro della classe. Questo vuol dire che in tanti momenti della giornata, quando gli alunni erano divisi in gruppi, anchio mi occupavo direttamente di un bambino con dei bisogni speciali: se non

Il contatto con bambini gravemente disabili mi ha sempre spinto a chiedermi chi sono veramente e in che conto tengo la mia vita e quella degli altri. Un bambino che ha bisogno di tutto non ti permette di guardare altrove. Ha bisogno qui e ora di un sorriso, un gesto, una parola. Non dimentichiamocelo. I bambini ci guardano: tutti.
Angelo Petrosino

avevo le competenze tecniche, avevo per lumanit, che spesso pi che sufficiente per parlare a chi non pu parlare. Ai miei alunni che a volte mi chiamavano pap, ho sempre ricordato che io ero il loro maestro, un compagno di strada pi grande sul quale contare per crescere meglio, imparare, conoscere. Ma questa ovviet non mi ha mai impedito di trattare come un figlio un bambino bisognoso di aiuto. E non ho mai atteso che venisse linsegnante di sostegno a sollevare una testa che non riusciva a stare diritta, ad asciugare una saliva che non poteva essere ingoiata, a guidare una mano su un foglio di carta, per tracciare lombra di un desiderio o di un sogno che non poteva raccontarsi. Ho sempre cercato di essere una persona intera, un uomo che non si nasconde dietro astratti diritti e burocratici doveri per non mettere in gioco i suoi sentimenti e le sue emozioni.

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QUELLINFINITO VALORE CHE LAMICIZIA

CONVEGNO ANNUALE
dellAssociazione ex allievi e amici del Cottolengo
10 giugno 2012
PROGRAMMA

LA FESTA DELLA FAMIGLIA

Queste poche note, ci sono pervenute dopo che il numero natalizio era gi in stampa. La redazione vuole comunque proporle, perch i contenuti, pur nella loro semplicit, rivelano ed evidenziano lanimo dei nostri volontari, Cottolenghini a tempo pieno con le opere, ma soprattutto con il cuore.

Ore 10,00: ritrovo, ricevimento e saluti (cortile davanti alla Chiesetta Casa di Dio, via S. Pietro in Vincoli 9) Ore 11,00: Santa Messa celebrata da Padre Lino Piano Ore 11,45: Assemblea, relazione del Presidente e conseguente discussione Ore 13,00: Pranzo sociale Attenzione: assolutamente necessario che gli ex allievi ed amici intenzionati a partecipare al pranzo facciano pervenire la loro prenotazione entro l8 giugno alternativamente a: DANTE NOTARISTEFANO, via Crimea 6, 10133 Torino, tel. 011/6608499 ANNA TERESA GRASSO COSTAMAGNA, via Garibaldi 48/A, 12068 Narzole, tel.0173/77092 FRANCO ROSSO, via Castelgomberto 40, 10136 Torino, tel. 011/3115581

ei primi giorni di dicembre, fratel Stefano in una riunione preparatoria, ci comunic che causa la crisi, il dono natalizio per i poveri di Casa Accoglienza, non si sarebbe potuto distribuire. Noi volontari, Lucia, Laura, Sara, Roberto, Sergio e Rodolfo, avvertimmo subito dispiacere, ma comprendevamo il momento difficile. Lucia per, tramite sua sorella era venuta a conoscenza dellesistenza di una possibilit, che avrebbe potuto aiutarci, e rendere dolce la vigilia del S. Natale dei nostri ospiti, cos con le sue conosciute doti di caparbiet e dinamismo, si mobilitata. Una persona autorevole, amica della sorella e dipendente di una nota industria dolciaria piemontese, laveva informata che con una specifica richiesta scritta alla citata industria, si sarebbero potuti ottenere quantit ragguardevoli di pro-

dotti, gratuitamente. Subito ha informato fratel Stefano, che ha gioito per tale possibilit e subito, dalle parole passato ai fatti. Cos che 3 giorni prima della vigilia, Lucia,Laura, Maria, Suor Irene, Vanni (un ospite) e il sottoscritto, un pomeriggio si ritrovarono e diedero inizio al confezionamento, uno per uno di 400 sacchetti regalo. Lucia ricorda un pomeriggio di sereno divertimento; Laura: un momento condiviso tra volontari, con gioia, da trasmettere ai nostri poveri. Si arriv cos alla vigilia di Natale e allincontro per il pranzo natalizio. Terminato con lofferta a ogni convenuto di una bella fetta di panettone e un buon bicchiere di spumante. Prima di congedarli, alluscita, auguri e dono a tutti dei nostri sudati sacchetti. Quanta gioia e che soddisfazione nei volti dei nostri amici, annota fratel Stefano, e aggiun-

ge: stato proprio un successo. Deo gratias!. Ha poi fatto seguito una lettera di ringraziamento; per la disponibilit della persona che stata il nostro tramite e allindustria citata. Con la lettera, una documentazione fotografica, con il nostro fratel Stefano, felice in mezzo ai suoi sacchetti. Quanto raccontato, a noi sembra naturale e normale; la conferma che la Piccola Casa vive il quotidiano nella consapevolezza che la Divina Provvidenza agisce, tramite esseri umani, profondamente e Provvidente, si che un semplice gesto pu rendere felici molte persone e donare loro la percezione, che al di l del gesto materiale di cui hanno beneficiato, sono considerate importanti, e possono sempre contare, sul dono di quellinfinito valore che lamicizia. I volontari

La conoscenza anticipata del numero dei partecipanti consentir una migliore organizzazione e un risparmio di spesa. La quota pranzo stabilita in Euro 20,00

APPELLO DEL PRESIDENTE

ome ormai consuetudine, aggiungo alla convocazione un appello e, a costo di apparire noioso, ripeto che, essendo il Convegno il momento pi importante nella vita dellAssociazione, necessario che registri una consistente partecipazione per continuare a costituire la vera occasione di riflessione e di confronto sul nostro impegno e sulle prospettive future del sodalizio. Confido pertanto che siano veramente numerosi gli ex allievi e amici che vorranno rispondere al richiamo e ritrovarsi alla Piccola Casa per quella benefica pausa di riflessione e per la necessaria ricarica dello speciale Spirito Cottolenghino che deve sempre caratterizzare la nostra vita quotidiana. In attesa, porgo a tutti il pi affettuoso saluto.

Dante Notaristefano

omenica 11 dicembre 2011, come da programma a suo tempo annunciato, si svolta la tradizionale Festa della Famiglia. La partecipazione stata abbastanza numerosa e il clima particolarmente gioioso. Ex allievi ed amici sono tornati con vero piacere a quella Piccola Casa cui sono rimasti molto legati e verso la quale sentono viva riconoscenza per quanto in essa e da essa hanno ricevuto. Lorganizzazione, particolarmente curata dal giovane Tesoriere Mattiotto e dal Segretario Franco Rosso, risultata anche in quella occasione perfetta, riscuotendo il generale apprezzamento degli intervenuti. La presenza di Padre Gemello, storico Assistente Ecclesiastico dellAssociazione, giunto nonostante le non proprio ottime condizioni di salute, conferiva maggiore importanza alla nostra riunione che si svolgeva in un clima di festosa amicizia con uno scambio di auguri ancora addolcito da panettone, cioccolatini e spumante rigorosamente italiano. Nel corso della riunione si provvedeva, dopo approfondita discussione, a fissare la data di domenica 10 giugno 2012 per il nostro convegno annuale, come viene ricordato in altra parte del giornale. Questanno il programma del convegno, che ricalca quello tradizionale degli anni precedenti, sar arricchito da una approfondita discussione sul necessario rinnovo degli organi dellAssociazione (Presidente e Consiglio Direttivo) ormai scaduti da troppo tempo, al fine di rivitalizzare lAssociazione che purtroppo sembra vivere un momento di stanca, sperando anche di riuscire a individuare e motivare alcuni volenterosi che intendano impegnarsi con entusiasmo apportando possibilmente nuove idee. Sar quindi un convegno particolarmente importante, al quale speriamo di ritrovarci ancora pi numerosi del solito per rivivere insieme intensamente una giornata in quel clima di carit e di spiritualit cottolenghina che sempre aleggia nella Piccola Casa. Dante Notaristefano

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