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La conoscenza delle arti africane tradizionali in Italia


Se da almeno qualche decennio che le arti visive africane (in particolare quelle etichettate come tradizionali) hanno acquisito una propria riconoscibilit e un proprio mercato anche in Italia - dove sono ben note a un ristretto, ma non per questo non agguerrito, gruppo di collezionisti informati e selettivi, e dove contano un discreto numero di estimatori - ci non significa che esse siano entrare nel nostro statuto culturale diffuso, a giudicare se non altro dal senso di estraneit esotica che continuano a suscitare. Di fatto nel nostro Paese non esiste una consuetudine, una familiarit con il retaggio artistico e spirituale delle culture extraeuropee, e meno che mai con la produzione artistica delle societ dellAfrica subsahariana. Va ricordato che linteresse per il primitivo un fenomeno arrivato in ritardo nella nostra coscienza artistica, e rimasto comunque estraneo a un clima culturale condizionato da forti meccanismi di proiezione identitaria che fanno riferimento alle radici e alle tradizioni artistiche greco-romane. Indubbiamente poi non ha contribuito al recupero e allintegrazione delle sculture africane in Italia il clima di provincialismo culturale che ha connotato gli anni dellItalia fascista in ottemperanza allimpostazione nazionalista e razzista del regime. E neppure ha giovato alla conoscenza e al riconoscimento degli oggetti africani il carattere tardivo e marginale della nostra esperienza coloniale (lesiguit della nostro passato coloniale non impedisce peraltro la tenace persistenza nel nostro presente di un certo immaginario stereotipato riconducibile al deprecabile genere conosciuto come mal dAfrica), nonch il fatto che nei territori delle nostre ex colonie africane non sussistevano tradizioni equiparabili, quanto a ricchezza di produzione di sculture, maschere, regalia, a quelle delle aree subsahariane e forestali dellAfrica occidentale e centrale gi amministrate dalle maggiori potenze coloniali. In conclusione, da noi a orientare il senso comune ancora sostanzialmente l invenzione dellAfrica (Mudimbe) da parte della civilt europeo-occidentale moderna denunciata dagli autori postcoloniali: lidentit africana infatti largamente associata a unafricanit di maniera fantasticata su un fondo di ignoranza, di preconcetti e di stereotipi e, analogamente, larte africana generalmente ritenuta unarte avulsa dal corso della storia, originaria per essenza.

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E anche sul versante del collezionismo pi competente e aggiornato, il primitivismo dei modernisti rimane tuttora (e non soltanto in Italia) un referente forte, considerato che la valutazione delle opere darte africane si basa sullenfatizzazione di una idea di autenticit (cui fa da sponda una definizione didentit etnica privata di qualsiasi problematicit) che non trova n cerca riscontri nelle dinamiche di trasformazione e di contaminazione da sempre presenti nei contesti africani dorigine degli oggetti. In realt, i nostri sguardi sulle arti tribali sono profondamente condizionati dal mercato dellarte dove la cosiddetta autenticit condizione irrinunciabile perch loggetto estetico africano si ritrovi trasformato in oggetto darte (autenticit, va ribadito, interpretata secondo le nostre coordinate culturali e quindi costruita in occidente, anche tramite una genealogia dellopera che si fonda sui suoi passaggi da tale o tale collezione importante). La concezione stessa di arte africana tocca da vicino la delicata questione della circolazione degli oggetti o, per meglio dire, della loro tratta.

Infine, il fatto che, per quanto riguarda i criteri espositivi, da noi si continui a centrare il dibattito inerente alloggetto africano sulla superata controversia tra sguardo estetico e approccio etnografico ulteriore conferma che, in rapporto alle modalit di ricezione delle arti africane, al loro consolidamento e alla loro storicizzazione, il nostro paese soffre di un ritardo.

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Il bianco, il rosso e il nero


Da noi il bianco il colore delle spose, in Africa il colore dei morti. Quando i Portoghesi nel 1482 sbarcarono sulle coste del Kongo non apparvero alle popolazioni africane come completamente nuovi. La loro estraneit venne ridotta trovando loro un posto allinterno della concezione locale del mondo: proprio perch bianchi, furono visti come morti ritornati in vita . Laltro vestiva cos i panni e il colore dellantenato. Le maschere e le statue funerarie dei Bakongo infatti sono bianche, come bianco il colore usato nei riti diniziazione in cui i giovani muoiono ritualmente per poi rinascere come adulti. Un percorso di maturazione che avviene dentro una cornice ciclica del tempo in cui gli estremi si toccano: i morti e i bambini che vengono dallaltro mondo condividono il colore bianco. Lessere bianchi o neri non solo una questione di pigmentazione della pelle. Presso i Fon del Benin gli uomini onesti e in buoni rapporti con tutti sono detti uomini dal cuore e dal ventre bianco mentre al contrario i malvagi e i disonesti sono uomini dal cuore nero e ventre nero. Il rosso invece la lucentezza che offende la vista, la passione che acceca, che espone al rischio e al pericolo. Il colore non una propriet degli oggetti, ma qualcosa che essi acquisiscono o perdono a seconda dellacqua colorante in cui le circostanze sociali li immergono. Il bambino piccolo ad esempio ha la carne bianca, fragile e fessurata e verr irrobustito attraverso decotti di foglie che lo renderanno pi nero colmando i suoi buchi. Il bianco in questo caso passa sotto il segno della negativit indicando la fragilit e il nero sotto quello della positivit rimandando alla solidit. Come anche noi ben sappiamo spesso lapparenza inganna. Cos per gli Igbo della Nigeria, ci che bianco fuori pu essere nero dentro, ma bianco e nero assumono valenze diverse in rapporto alle situazioni: se lavere il fegato nero rimanda alla malvagit e alla stregoneria, lavere la pelle nera pu invece rinviare allo status normale della persona, al suo essere nero come gli altri. Anche presso i Bamana del Mali il rapporto fra i colori si lega a quello fra salute e malattia, cos che operare sui colori significa intervenire terapeuticamente sul corpo. Lefficacia dei colori dipende dalla loro combinazione su di una striscia di cotone (buguni) e dal punto in cui viene fissata allindumento; il bianco (i fili dellordito) tiene prigioniero il nero (i fili della trama) allo stesso modo in cui pace e fertilit impediscono lo scatenarsi di male e sfortuna. Fra gli Yoruba alla triade di bianco, nero e rosso, si aggiunge il blu, visto come punto dequilibrio fra la luminosit abbagliante del rosso e lassenza di luce del nero. In chiara continuit simbolica con il bianco, esso indica la bellezza interiore, una vitalit controllata, improntata allideale della moderazione. Quando associato alla donna il bianco (come nel caso delle maschere notturne delle madri nelle cerimonie gelede) allude alla loro padronanza interiore, ai loro poteri nascosti legati alla stregoneria e alla purezza rituale conferita dallo stato di menopausa. Il rosso invece associato alla forza dei guerrieri e allimprevedibile e iroso dio del tuono Shango. Il significato e le emozioni associate ai colori cambiano nel tempo. Negli anni Sessanta si diceva che Black is beautiful. Oggi molte donne africane usano creme decoloranti per la pelle, anche a rischio della propria salute, mentre molti occidentali si espongono al pericolo dei raggi ultravioletti per diventare neri.

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Datazione delle sculture lignee africane


N date, n firme. Arti fuori dal tempo cronologico, creazioni collettive anonime (e come tali senza storia, senza evoluzione), a lungo le arti subsahariane sono state considerate cos dal pensiero etichettante del mondo occidentale. Ci dipeso anche dal fatto che, nellassenza di una documentazione scritta presso le societ in cui le opere sono state create (fino a tempi relativamente recenti le culture africane subsahariane erano culture a tradizione orale), gli oggetti estetici africani sono stati sistematicamente identificati attraverso la loro origine etnica o regionale. Non fanno eccezione le opere presenti in mostra di cui indicata la provenienza etnica, ma di cui possibile menzionare lautore o avanzare unattribuzione solo in pochissimi casi. In realt, se le opere create nel passato dagli artisti africani non venivano firmate, i loro autori non erano certo anonimi. Non soltanto il nome di uno scultore era conosciuto e tramandato allinterno della comunit di appartenenza - fra gli Yoruba, per fare solo un esempio, gli artisti rispettati erano, e sono, celebrati negli oriki (poesie encomiastiche) - ma non di rado un artista valente era riconosciuto e ricercato anche allesterno del proprio gruppo. Va aggiunto che, a differenza delle tradizioni artistiche occidentali che assegnano un valore rilevante alla permanenza delloggetto, in molte forme di arte africana laccento posto sul processo creativo o sulla performance rituale, mentre lopera in s pu essere rinnovata o sostituita. Va inoltre ricordato che le molte e diverse tradizioni scultoree locali africane (spesso presentate come se fossero statiche) si sono continuamente evolute. La maggior parte dei manufatti di provenienza subsahariana custoditi nei nostri musei e nelle nostre collezioni sono stati raccolti allinizio del secolo scorso e allepoca in genere non erano pi vecchi di un secolo. Le sculture basate sulla tradizione infatti sono in prevalenza in legno, materiale deperibile soggetto alle aggressioni del clima tropicale e degli insetti. Per questa ragione le opere africane di plastica lignea sono perlopi datate dalla fine dellOttocento alla met del Novecento, anche se si conoscono oggetti pi antichi (nelle zone aride del Sudan Occidentale le sculture di legno si sono preservate pi a lungo). In questi ultimi casi, e soltanto se gli oggetti hanno pi di 200 anni, il legno usato per la scultura pu essere approssimativamente datato tramite le analisi del radiocarbonio o carbonio 14, un metodo per calcolare let dei materiali organici (legno, osso, conchiglia) basato sulla misurazione del decadimento di sostanza radioattiva. Il tipo di legno scelto da uno scultore ha spesso un significato simbolico e il lavorarlo pu richiedere una preparazione rituale, come nel caso, fra gli altri, degli scultori dogon tenuti ad offrire un sacrificio allo spirito dellalbero prima di utilizzarne il legno. In genere le sculture africane sono ricavate da un singolo pezzo di legno (o di pietra, o di avorio) con una tecnica sottrattiva. Alcune sculture vengono levigate e lucidate, altre pitturate con pigmenti locali o importati, altre ancora ricoperte con materiali organici o di varia provenienza. Lanalisi dei legni utilizzati, delle patine, dei pigmenti e dei colori, unitamente a quella degli stili, delle forme, dei soggetti e delle simbologie (ivi compresi gesti, posture e scarificazioni) delle opere fornisce delle informazioni preziose sui criteri culturali, sullarea di provenienza e sulla autenticit dei pezzi.

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La statuaria dei Dogon del Mali


Sullidentit e funzione delle statue dogon si sono fatte molte ipotesi ma non vi sono certezze; questo perch la gran parte delle figure dogon sono arrivate in occidente prive di informazioni circa il loro originario contesto duso. Lantropologo Walter Van Beek ha per potuto osservare luso rituale di una figura di maternit fatto da una donna che non poteva avere figli. Alla statuina venivano indirizzate offerte sacrificali tra cui quella di due polli il cui sangue veniva versato sulla figura per richiamare lattenzione degli esseri soprannaturali sul suo problema. Non si tratterebbe, in questo caso almeno, della rappresentazione di un antenato ma di quella della persona stessa che officia il rito. Le incertezze sulla statuaria dogon riguardano in qualche caso anche lattribuizione di certe figure ai Dogon stessi o piuttosto ai Tellem, la popolazione che abit la falesia di Bandiagara tra XI e XVI secolo, prima dellarrivo dei Dogon. I Dogon le avrebbero infatti prelevate dalla grotte funerarie in cui giacevano e fatte proprie. Sembra comunque che le statue con patina crostosa siano da attribuire esclusivamente ai Tellem. Jean Laude ha elaborato una classificazione della statuaria dogon sulla base di alcuni temi ricorrenti distinguendo fra figure a braccia levate, maternit, coppie, cavalieri e cos via cercando poi di metterle in relazione con le variazioni di stile e le narrazioni mitologiche dogon. Le figure con braccia levate al cielo sono cos state interpretate come richieste di pioggia fatte al dio Amma o rappresentazioni della crocifissione e resurrezione del genio Nommo. Secondo Hlne Leloup invece le differenze stilistiche sarebbero da ricondurre ai gruppi pre-dogon e dogon/mande che si sono succeduti nella regione e la cui diversit fisica troverebbe riscontro nella statuaria. La scultura talvolta di tipo architettonico come nel caso dei pali dei togu-na . Il togu-na (grande riparo o riparo della madre) il luogo della parola seduta, della conversazione meditata fra gli uomini. Visibile da lontano, rappresenta la testa del villaggio ed il primo edificio a essere costruito allatto di fondazione di un villaggio. In esso gli anziani prendono le decisioni, amministrano la vita della comunit ed esercitano la giustizia tradizionale. Spesso i muretti e i pilastri in legno, pietra o banco (impasto di terra, acqua e paglia) di sostegno portano motivi simbolici. Le donne che dal togu-na sono escluse, sono per presenti simbolicamente nei molteplici riferimenti figurativi alla fertilit Elemento caratterizzante di tutti i togu-na laltezza molto ridotta dello spazio interno, che costringe gli uomini a stare seduti. Cosa che spiegata dai Dogon in vario modo: come strumento di difesa dai cavalieri nemici che cos non potevano penetrare nel riparo, come protezione dal sole e dal caldo, come dimensione propizia alla parola saggia: ci si batte in piedi ma non si litiga mai seduti.

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Gli sposi dellaldil e gli spiriti della foresta dei Baule della Costa dAvorio
Malgrado limportanza che riveste il culto degli antenati, la statuaria baule non rappresenta dei progenitori ma degli spiriti della natura (asie usu) o degli sposi dellaldil (blolo bian e blolo bla). I Baule credono che venendo al mondo si abbandoni lo sposo che si aveva nellaldil provocandone il risentimento e la gelosia. Questa complicata vita relazionale che deve tenere in conto tanto i sentimenti del proprio congiunto terreno quanto quelli dello sposo ultraterreno trova nella statuaria il suo mezzo di espressione. I dissidi con i mariti e le mogli dellaltro mondo si manifestano negli incubi e nei problemi della sfera sessuale (impotenza, sterilit). Proprio per placare i loro malumori si dedicano loro delle figure che raccolgono le offerte sacrificali. Le forme stesse delle statue che rispondono ai canoni della bellezza baule e la loro espressione serena e tranquilla hanno lo scopo di garantirsene i favori. Il lavoro dello scultore in questo caso diretto dallindovino che raccoglie i desideri dellamante dellaldil circa le forme con cui vuol essere ritratto. Ad essere sottolineati sono la testa (sede della libert, dellintelligenza e della chiaroveggenza) e i caratteri sessuali, con una certa predilezione per i seni e le natiche nella donna e per il torace e i polpacci nelluomo. Non sono tratti che rinviano a una bellezza intesa in termini puramente fisici: sono i caratteri che rimandano alla fertilit nella donna e allattitudine al lavoro nelluomo. Non si tratta dunque di una bellezza naturale quanto come sottolinea lo studioso Philiph Ravenhill - di una bellezza sociale. Proprio per questo, con il mutare dei tempi, cambia anche ci che ritenuto socialmente desiderabile e nella statuaria degli sposi dellaldil compaiono le figure del poliziotto in divisa o dellimpiegato in giacca e cravatta.

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Le insegne del dio del tuono degli Yoruba della Nigeria


I miti che circondano la figura del dio del tuono Shango esprimono il carattere pericoloso e ambiguo del potere del sovrano del regno yoruba di Oyo. Si tratta infatti del quarto alafin della dinastia di Oyo, riconosciuto come dio dai suoi seguaci. ritratto come uno spietato tiranno dotato di poteri magici che lui stesso fatica a controllare, e che, cacciato dai suoi sudditi e morto suicida, si sarebbe vendicato scagliando su di loro i fulmini. Il mito di Shango insegna che la forza per essere feconda deve essere controllata: il concetto yoruba di energia (ashe) implica infatti quello di carattere (iwa) e calma mistica (ititu). Solo le devote a Shango sanno portare in equilibrio sulla testa le due pietre infuocate dellascia del tuono che sono il simbolo della divinit. Shango non mai rappresentato direttamente, il suo potere terrificante trova invece una composizione nella figura femminile, nella sua bellezza, compostezza e sobriet. Tutto contribuisce a sottolineare la centralit di un equilibrio che nel contempo etico ed estetico: la struttura a bilanciere, la simmetria delle forme e delle decorazioni incise, la dignit della postura e dellespressione. per anche vero che non si tratta di qualcosa di saldamente posseduto ma di uno stato che si vuol raggiungere: nelle danze dedicate a Shango la divinit si impossessa delle devote facendole cadere in trance; le donne agitano violentemente i bastoni di Shango sopra la testa e in direzione delle persone che sono intorno a loro mentre i canti sottolineano il carattere imprevedibile e iracondo del dio del tuono. Lesperienza che si pu fare delle sculture di Shango, anche da un punto di vista estetico, nelloccasione di queste performance quindi molto pi complessa e contradditoria di quella che ne facciamo noi quando immobilizziamo loggetto e lo isoliamo dal suo contesto. Ambiguit e duplicit non sono per in realt solo di Shango ma anche delle donne stesse. La dimensione positiva della femminilit consiste nella maternit che garantisce la prosecuzione della vita e con essa laffermazione della comunit. proprio Shango a propiziarne la fecondit e questo spiega perch le donne si rivolgono a lui.

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Yoruba world
Linsieme dei gruppi designati con lappellativo Yoruba vive da lungo tempo ad ovest del corso inferiore del fiume Niger ed concentrato principalmente nella parte sud-occidentale della Nigeria. Oggetto di attenzione fin dai primordi degli studi africanistici, larea culturale yoruba occupa sulla scena dellAfrica sub-sahariana una posizione di assoluto risalto. Lo spazio artistico yoruba rientra nella vasta zona dellAfrica occidentale in cui si sono formate e affermate, grazie alla straordinaria efficacia di formule politiche, cerimoniali e amministrative elaborate prevalentemente allinterno delle culture locali, entit culturali fra le pi complesse dellAfrica subsahariana. Al loro arrivo nel XV secolo i Portoghesi trovarono pienamente consolidato un sistema di citt-regno (la cui origine sfuma nel mito e sul cui periodo di formazione non si hanno testimonianze) governate da re divini supportati e controllati da potenti gerarchie. Archeologia e tradizione orale sono concordi nel testimoniare lantichit del manifestarsi nellarea in questione di sviluppi religiosi e artistici legati a un fenomeno di urbanizzazione gi fiorente, nel caso di Ile-Ife, la citt sacra degli Yoruba, nel XII secolo. Ad Ife, sotto il patrocinio dei re sacri (Oni) si sviluppata una sofisticata produzione di arte sculture in terracotta e fusioni in ottone a cera perduta commemorative degli antenati reali che costituisce uno dei vertici dellarte universale. Ogni forza che animi luniverso yoruba in qualche misura aperta e ambivalente, cos come ogni ordinamento, fenomeno o rappresentazione possiede pi chiavi. Ne sono esempio illuminante sia i versi terapeutici che formano il monumentale corpus di testi della divinazione Ifa, sia la stupefacente costruzione di significati e di doppi che ruota intorno a quellepitome dellambivalenza che la figura di Eshu/Elegba o Legba - il trickster del pantheon yoruba/fon. La religione yoruba venera numerosissime figure di divinit, chiamate orisha (i vodu o vodun dellarea fon del Benin strettamente imparentata con quella yoruba), fra le quali Shango, la divinit associata ai fenomeni di origine celeste (fulmine, tuono, etc. ) fra le pi conosciute e importanti.

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I reliquari fang e kota, Gabon


I Fang sono stanziati fra sud il del Camerun e il bacino dellOgoue, in Gabon. Luogo che stato il punto di arrivo di una successione di spostamenti nella foresta in direzione nordest sud-ovest a partire dal XVIII secolo. Invece di costruire degli altari per i propri antenati, i Fang ne conservavano il cranio e le ossa in contenitori di corteccia che potevano poi portare con s nei loro frequenti spostamenti migratori. Sulla sommit di questi reliquari venivano poste delle figure o delle teste di legno che non erano ritratti dellantenato ma guardiani che dovevano tener lontani gli estranei. Gli antenati venivano consultati prima di prendere ogni decisione importante. Oltre che per entrare in comunicazione con gli antenati e ottenerne la protezione, queste figure venivano anche utilizzate nel corso di riti di iniziazione in cui erano staccate dai reliquari e mosse scenicamente come marionette: gli antenati venivano cos riportati in vita e presentati ai giovani iniziandi. Negli anni Venti, davanti alloccupazione coloniale interpretata come una sconfitta degli antenati ad opera della stregoneria, i Fang adottavano il culto bwiti che alla venerazione degli antenati associava elementi tratti dal cristianesimo. I Kota sono una popolazione del Gabon che nel corso del tempo si progressivamente spostata verso sud sotto la pressione dei Kwele e dei Fang con cui condividono il culto delle reliquie degli antenati; le ceste venivano poste in appositi ripari ai margini del villaggio. La funzione delle figure fang e kota sostanzialmente analoga ma cambiano radicalmente iconografia e soluzioni formali.

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La statuaria dei Dogon del Mali


Sullidentit e funzione delle statue dogon si sono fatte molte ipotesi ma non vi sono certezze; questo perch la gran parte delle figure dogon sono arrivate in occidente prive informazioni circa il loro originario contesto duso. Lantropologo Walter Van Beek ha per potuto osservare luso rituale di una figura di maternit fatto da una donna che non poteva avere figli. Alla statuina venivano indirizzate offerte sacrificali tra cui quella di due polli il cui sangue veniva versato sulla figura per richiamare lattenzione degli esseri soprannaturali sul suo problema. Non si tratterebbe, in questo caso almeno, della rappresentazione di un antenato ma di quella della persona stessa che officia il rito. Le incertezze sulla statuaria dogon riguardano in qualche caso anche lattribuizione di certe figure ai Dogon stessi o piuttosto ai Tellem, la popolazione che abit la falesia di Bandiagara tra XI e XVI secolo, prima dellarrivo dei Dogon. I Dogon le hanno infatti prelevate dalla grotte funerarie in cui giacevano e fatte proprie. Sembra comunque che le statue con patina crostosa siano da attribuire esclusivamente ai Tellem. Jean Laude ha elaborato una classificazione della statuaria dogon sulla base di alcuni temi ricorrenti distinguendo fra figure a braccia levate, maternit, coppie, cavalieri e cos via cercando poi di metterle in relazione con le variazioni di stile e le narrazioni mitologiche dogon. Le figure con braccia levate al cielo sono cos state interpretate come richieste di pioggia fatte al dio Amma o rappresentazioni della crocifissione e resurrezione del genio Nommo. Secondo Hlne Leloup invece le differenze stilistiche sarebbero da ricondurre ai gruppi pre-dogon e dogon/mande che si sono succeduti nella regione e la cui diversit fisica troverebbe riscontro nella statuaria. La scultura talvolta di tipo architettonico come nel caso dei pali dei togu-na . Il togu-na (grande riparo o riparo della madre) il luogo della parola seduta, della conversazione meditata fra gli uomini. Visibile da lontano, rappresenta la testa del villaggio ed il primo edificio a essere costruito allatto di fondazione di un villaggio. In esso gli anziani prendono le decisioni, amministrano la vita della comunit ed esercitano la giustizia tradizionale. Spesso i muretti e i pilastri in legno, pietra o banco (impasto di terra, acqua e paglia) di sostegno portano motivi simbolici. Le donne che dal togu-na sono escluse, sono per presenti simbolicamente nei molteplici riferimenti figurativi alla fertilit. Elemento caratterizzante di tutti i togu-na laltezza molto ridotta dello spazio interno, che costringe gli uomini a stare seduti. Cosa che spiegata dai Dogon in vario modo: come strumento di difesa dai cavalieri nemici che cos non potevano penetrare nel riparo, come protezione dal sole e dal caldo, come dimensione propizia alla parola saggia: ci si batte in piedi ma non si litiga mai seduti.

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Madre del poro


Questa scultura della societ segreta Poro, una figura femminile seduta ed equilibrata con eleganza, non rappresenta soltanto una madre ordinaria che allatta i suoi due infanti ma unimmagine carica di significato e di forza che rinvia al concetto di fertilit, sia umana che agricola. Portata da una donna anziana seguita da una donna giovane questa statua, quando fa la sua comparsa nel contesto rituale del Poro, evoca inoltre le risorse soprannaturali delle donne in quanto detentrici di saperi e poteri magici e in quanto agenti contro la stregoneria. La testa scolpita adornata da una reminiscenza del motivo delluccello e il contrappunto di spinte e contro-spinte di forme angolari e sferiche lungo un asse verticale rigido sono tratti che ritornano nel gioco iconografico degli scultori senufo. Ancora oggi, se si attraversa la regione di Korhogo (Costa dAvorio) durante linverno non si pu non rimanere colpiti, come lo sono stati nel passato tutti gli osservatori, dalla spettacolarit e dal numero degli interventi pubblici, con ostentazione di statue e danze di maschere, della societ iniziatica maschile interetnica del Poro. I mesi della stagione secca sono animati da un caleidoscopio di celebrazioni durante le quali le statue e le maschere della societ escono dal bosco sacro per presentarsi alla comunit. Queste festivit costituiscono loccasione per mostrare come le potenze soprannaturali abitino lordine mantenuto dalla societ Poro e per stabilire una comunicazione fra il mondo invisibile e la realt del villaggio. Lo spettacolo leggibile dallinsieme della collettivit, per quanto a livelli differenti: solo gli iniziati infatti possono accedere ai segreti del culto.

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Le divinit degli Igbo della Nigeria


Gli Igbo ritraggono le proprie divinit sulla base del loro modello famigliare poligamico: anche se scolpite singolarmente, nei santuari le statue sono poi disposte in gruppo. Si tratta di divinit che rimandano agli elementi della natura e che vengono ritratte in forma antropomorfa con tutti gli attributi delle persone influenti (acconciatura, scarificazioni e ornamenti). Le statue degli Igbo centro-settentrionali sono improntate a un moderato realismo nella proporzione e rappresentazione delle parti corporee. Concepite per la visione frontale hanno disposizione simmetrica, con gambe leggermente divaricate e braccia scostate dal busto. I volumi sono pieni, tondeggianti, le spalle robuste, il collo vigoroso. Elemento ricorrente quello dei palmi delle mani rivolti verso lalto a indicare la franchezza, la disponibilit a ricevere e donare, il rapporto di reciprocit che esiste fra uomini e dei. La cura del dettaglio si concentra soprattutto sulla testa mentre mani e piedi sono volutamente scolpiti in modo piuttosto sommario. Le statue degli Igbo meridionali presentano gli stessi elementi iconografici e simbolici ma lo stile cambia, privilegiando linee rette e volumi cubici. I guerrieri per il loro marcato individualismo non sono rappresentati o raccolti in gruppi. Essi possiedono infatti degli altari riservati a una forma di culto strettamente legata alla propria persona. Questi altari noti con il nome di ikenga prendono la forma di figure dedicate allo spirito personale (chi) degli uomini igbo, alla parte pi individuale della persona, non limitata dallordine morale della parentela. Sono strumento e rappresentazione del successo individuale; ad essi ci si rivolge per sacrifici periodici e per propiziare il buon esito di unimpresa. A dare la misura dello status sociale del proprietario sono la posizione seduta, il coltello, la testa del nemico ucciso, le corna che si dipartono dalla testa; tutti elementi che esaltano la forza e la fermezza di cacciatori, guerrieri e uomini di potere.

I cimieri degli ejagham della Nigeria


Presso gli Ejagham del Cross River la societ ngbe unassociazione segreta di guerrieri che riveste anche funzioni commerciali e politiche. Lappartenenza di gruppo si costruisce intorno a un insieme di simboli condivisi tra cui le maschere. Celebri sono i cimieri costituiti da una testa lignea ricoperta di pelle di antilope che poggia su un disco di vimini legato al costume del danzatore. Leffetto cos quello di accrescere le dimensioni complessive della maschera accentuandone limponenza. Vi sono per anche casi di maschere ricoperte di pelle umana e si quindi ipotizzato (Leo Frobenius) che in origine si portasse sul capo direttamente la testa del nemico ucciso. La maschera stata cos interpretata come una forma di appropriazione della forza del morto.

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Le insegne funerarie dei Mahafaly del Madagascar


I Mahafaly stanziati nella parte meridionale dellisola sono noti, come i Sakalava, per la loro arte funeraria. Le tombe degli antenati sono poste allinterno di recinti quadrati in legno o in pietra che vengono riempiti di sassi, tra cui vengono piantate le insegne funebri Tra le pietre vengono poste le corna degli animali sacrificati durante la cerimonia funebre; i Mahafaly intervengono sulle corna dei loro animali in modo da orientarne la crescita ottenendo le forme desiderate. Le scene scolpite testimoniano della vita dei defunti e dei loro successi, individualizzandone la figura e serbandone il ricordo per i discendenti. Lestensione geografica delluso di insegne funerarie a sviluppo verticale dallAfrica orientale allIndonesia, passando per il Madagascar, testimonia dei rapporti intercorsi fra queste diverse aree culturali.

Opere | sala 2

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Feticci
Che cosa un feticcio? La risposta non semplice, la parola stata oggetto di infinite discussioni. Meno complicato indicare cosa fa il feticcio. Il feticcio, nelle culture africane, campeggia sullorizzonte individuale e collettivo come strumento di difesa e dattacco contro il deperimento delle forze vive. I feticci africani sono oggetti complessi che permettono di decifrare la realt del mondo invisibile, ma che a loro volta esigono di essere decifrati. Essi sono utilizzati dagli specialisti della divinazione e della terapia per orientarsi e operare nel mondo, nel quadro di societ di lignaggio e di villaggio in cui lio sempre un io plurale, un io con. Si tratta di societ in cui appartenenze e identit personali sono continuamente negoziate in modo pragmatico, nel tentativo di captare, contenere e utilizzare a proprio vantaggio le forze molteplici che compongono il mondo visibile e quello invisibile. Di questo universo i feticci, nutriti e potenziati attraverso i sacrifici, sono parte attiva: la loro materialit mette in relazione forme e forze, instaurando una relazione privilegiata fra visibile e invisibile. Attraverso i feticci si allacciano rischiose alleanze con le ambivalenti potenze dellinvisibile, ci si protegge e si aggredisce, si accrescono le proprie forze e si indeboliscono gli avversari. Piantare una gran quantit di chiodi in una figura scolpita, introdurvi pacchetti contenenti sostanze magiche in cavit appositamente ricavate, caricarla con un accumulo di materiali aggiuntivi dogni sorta, scavare nel suo ventre un reliquiario chiuso da uno specchio, sono gesti molto potenti, fortemente codificati, che contribuiscono allefficacia e allestetica del feticcio. A causa del loro carattere enigmatico e della loro materialit aggressiva, i feticci hanno messo, pi di ogni altro manufatto africano, i primi viaggiatori e missionari europei in presenza di unalterit radicale. Da antidoto contro il male e il disordine sono cos passati a segno ed evidenza della sauvagerie dellAfrica nera. Da quei primi contatti nasce linterpretazione riduttiva dei feticci che toglie la parola agli africani per donarla al nostro immaginario, impoverendo notevolmente limmagine delle culture tradizionali subsahariane, avvalorando una lettura globale delle religioni africane in termini di feticismo.

percOrsO | sala 3

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La collezione un tentativo di ordinare il mondo incasellandone le parti: ogni cosa ha il suo posto e le caselle vuote attendono solo di essere riempite. Quello della collezione un ordine mentale ma anche materiale: a far s che le cose si tengano insieme non sono solo le parentele e i rimandi che tracciamo fra gli oggetti, ma anche i luoghi in cui li collochiamo, gli scaffali, le vetrine e gli arredi che li rendono di casa, famigliari. Abbiamo collezionato le culture cos come abbiamo fatto per gli oggetti: ingabbiandole, imponendo loro delle identit rigide, rassicuranti perch riconoscibili, ma anche continuamente minacciate dal disordine, perch troppo semplicistiche rispetto alla reale complessit delle cose.

In questa sala delle maschere sono state accostate a bandiere, sotto il segno dellambiguit e della metamorfosi: la maschera come doppio che nascondendo rivela; le bandiere perch, rinviando al passato coloniale mostrano le societ africane nella loro storicit, nel loro carattere ibrido e composito. Proprio perch contrassegnate dal cambiamento, maschere e bandiere sono oggetti inquieti. Qui appaiono su una scaffalatura che non quella di un arredo domestico. Potrebbe trattarsi della scansia di un negozio o di un deposito: uno spazio vincolante ma anche precario; una griglia, che una graticola, in cui gli oggetti stanno scomodi, da cui debordano perch fuori misura, cos consegnandoci ai nostri limiti.

perCOrsO | sala 3

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Ci Wara
Fra i coltivatori Bamana (gli stessi che per i colonizzatori erano i Bambara) del Mali sud-occidentale i rituali preminenti sono legati alle societ iniziatiche. Societ che si richiamano a credenze religiose complesse concernenti lorigine delluniverso, gli esseri soprannaturali che lo hanno creato e le forze spirituali che continuano ad operare in esso. Implicate tanto nellincremento delle forze vitali quanto nel contenimento delle forze distruttive, ma anche nella politica, nelleconomia, nelleducazione, nella medicina, nel controllo sociale e nellintrattenimento, tali associazioni sono fra le pi potenti istituzioni della cultura bamana. Ogni societ incorpora un insieme di conoscenze, spesso codificate in un linguaggio segreto o in una simbologia complessa, gradualmente rivelate e spiegate ai membri durante liniziazione. Uomini e donne hanno le loro societ separate, anche se le associazioni pi conosciute - Ndomo, Komo, Nama, Kono, Ci Wara, Kore - sono quelle maschili. Le associazioni iniziatiche maschili rivestono un ruolo importante come committenti delle arti bamana: molti tipi di maschere, copricapo, costumi, sculture, strumenti musicali e oggetti rituali sono fatti esclusivamente per il loro uso. Alla societ Ci Wara pertiene la conoscenza dellagricoltura. Conoscenza trasmessa, secondo la versione mitica, agli antenati dei Bamana dalla divinit Ci Wara, unentit met uomo e met antilope che, dopo aver offerto agli uomini i primi cereali, insegn anche loro come coltivarli. Durante le cerimonie tenute in occasione delle semina e del raccolto dalla societ iniziatica Ci Wara, maschere copricapo maschili e femminili incorporanti i motivi dellantilope nelle versioni pi diverse antilope-formichiere, antilope camaleonte, antilope-pangolino (formichiere, camaleonte, pangolino sono animali associati al potere di scavare la terra, quindi allagricoltura), due antilopi sovrapposte accostate o no a un terzo animale, oppure combinate con una figurina antropomorfa, etc.) sono indossate da giovani uomini che danzano in coppia. Ogni stile tipico di una particolare area geografica. Esistono poche sculture cosiddette tradizionali in Africa che abbiano suscitato tanta ammirazione negli amatori e nei collezionisti (a possedere un cimiero ci wara sono stati, fra gli altri, Derain, Brancusi, Braque, Lger). Se oggi si utilizza un buon motore di ricerca su Internet digitando Ci Wara compaiono pagine e pagine di risposte, dalle gallerie darte, dalle sale di vendita, dalle librerie, dai musei e dai dipartimenti universitari. In declino sul terreno, questi oggetti darte religiosa raggiungono somme molto elevate nel mercato dellarte. Se infatti il rapporto fra maschere e societ si andato, per certi aspetti, attenuando, per altri aspetti si sono ampliati gli spazi acquisiti dalla maschera relativamente alle nuove costruzioni identitarie e ai nuovi ambiti di consumo. Del resto, lautenticit originaria non che un mito occidentale. Come dimostra anche il cimiero ci wara, ormai diventato un autentico simbolo del Mali contemporaneo.

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Maschere
Appese al muro o confinate in una vetrina, le maschere africane quando arrivano in occidente perdono non solo la loro funzione ma gran parte della loro forza estetica. Private del costume, del corpo in movimento che d loro vita e dei suoni che le accompagnano, rischiano di ridursi a un guscio vuoto: la maschera esiste solo nella performance. Ma se questo accade non per caso: il frutto della decisione di privilegiare la sola parte lignea, quella che con pi facilit possiamo riconoscere come scultura. In certi casi, come quello delle maschere-cimiero ci wara dei Bamana del Mali, loggetto diventa allora una scultura autonoma a tutti gli effetti senza che vi sia pi nulla che lo colleghi visibilmente al corpo e che lo renda riconoscibile come maschera. E tuttavia raro che davanti a una maschera si resti indifferenti. Il gioco degli sdoppiamenti e delle trasformazioni, del rivelare velando, che alla base della maschera tanto in Africa quanto in occidente continua a esercitare su di noi il suo fascino ambiguo, in un continuo mischiarsi di attrazione e repulsione. Il mascheramento (si pensi solo alle tante maschere sociali di cui facciamo uso ogni giorno) fa parte dellesperienza di tutte le societ e di tutte le persone. Questo ci consente forse una via daccesso alle maschere africane ma comporta anche il rischio del malinteso, di annacquarne la particolarit irriducibile. In Africa la maschera, tranne rare eccezioni, monopolio maschile e alle donne fatto spesso divieto di vederle e di toccarle, pena la sterilit. Essa funziona come uno strumento di controllo sociale degli uomini sulle donne e degli anziani sui giovani. I contesti in cui appare sono i funerali, lesercizio della giustizia, la guerra, la lotta alla stregoneria e le societ diniziazione a carattere pi o meno segreto. Attraverso la maschera si manifestano antenati o spiriti della foresta e della savana: forze oltreumane che ne rendono efficace lazione. Le maschere possono essere terribili ma anche divertenti. Quando prevale lintrattenimento spesso lo vediamo come il segno di una perdita di credenze, di un fenomeno di folclorizzazione indotto dalla modernit, dal turismo e dalle politiche internazionali del patrimonio culturale, ma accade anche il serio e il faceto siano fra loro mischiati e convivano. In unAfrica che cambia, le maschere sembrano resistere, trasformandosi talora nel segno ambiguo di unautenticit perduta, vagheggiata nostalgicamente tanto dagli occidentali che dagli africani e alimentata dal mercato internazionale dellarte e dei falsi.

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Le maschere femminili della Liberia e della Sierra Leone


Solitamente luso della maschera prerogativa maschile; presso diverse popolazioni della Liberia e della Sierra Leone (Vai, Gola e Mende) esistono per maschere legate ad associazioni segrete femminili che preparano le donne alla vita adulta. Gli uomini sono membri dellassociazione Poro mentre le donne si riuniscono nella societ Bundu (o Sande) istituzioni che si dedicano alla formazione dei giovani, a questioni di tipo politico ed economico e alla pratica della medicina tradizionale. Fra i Gola le due associazioni, opposte e complementari, scandiscono ritmicamente il tempo della vita sociale, governandola in modo alterno gli uni per quattro anni e le altre per tre. Parte della loro autorit dipende proprio dal controllo che sono in grado da esercitare sugli spiriti attraverso le maschere. Le maschere sowei esprimono lideale della bellezza femminile: i tratti sottili del viso, la pelle lucida, i rotolini di grasso del collo e la suntuosa acconciatura sono segno di buona salute e di agiata condizione sociale. Le maschere rappresentano anche degli spiriti delle acque attratti dalla forma dellelmo e le pieghe del collo rimandano allora allincresparsi delle acque da cui emergono. Lartista svolge unimportante funzione di mediazione fra uomini e donne nel momento della fabbricazione della maschera. Si crea infatti una relazione basata su scherzi e allusioni sessuali, dietro la quale si cela una lotta molto seria intorno alla posizione assunta da ciascuno nei confronti del soprannaturale. Per le donne si tratta di fornire allartista le indicazioni indispensabili per la realizzazione della maschera senza svelare i propri segreti. Lartista partecipa cos agli affari della societ Bundu in una misura che non consentita ad alcun altro uomo a eccezione di qualche anziano.

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Le maschere dei Dan della Liberia e della Costa dAvorio


Fra i Dan della Liberia e della Costa dAvorio le maschere sono incaranzioni degli spiriti della foresta. Essi contrappongono maschere belle (le maschere di tipo femminili gle mu) e maschere brutte (maschere di tipo maschile gle gon). Le maschere femminili riprendono il volto ideale delle donne dan: la forma ovale con il mento a punta, denti limati e appuntiti. Elemento di grande importanza la simmetria del volto enfatizzata dalle scarificazioni verticali sulla fronte e dallacconciatura bipartita; gli occhi sono stretti come fessure e le donne si sforzano di accentuarle evitando di aprirli completamente o dipingendo una striscia bianca che corre da un occhio allaltro. Il comportamento che la maschera assume consonante alle sue forme: i suoi modi sono affabili e scherzosi e con la sua gentilezza mira ad accattivarsi la simpatia delle donne e ottenere cibo per i ragazzi chiusi nei campi di iniziazione, in cui sono chiamati a superare le prove che li condurranno verso la vita adulta. Analogamente accade per le maschere maschili: i loro tratti angolati e spigolosi e la loro bruttezza sono appropriati a quelli che sono il loro temperamento e il loro atteggiamento: quando si esibiscono servendosi di un bastone a uncino rubacchiano i beni di coloro che assistono alla loro performance. Le maschere con becco duccello sono maschere di intrattenimento che, accompagnate da musica e cori, si muovono circolarmente stendendo le braccia come se stessero per spiccare il volo. E possibile che in passato fossero associate ai miti che circondano la figura del tucano, animale civilizzatore che port agli uomini la noce e lolio di palma. Il tucano sarebbe stato il primo essere vivente creato da Dio, prima ancora che fosse creata la terra. Per questo motivo, non trovando altro che il vuoto, avrebbe seppellito la madre nel proprio becco.

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Le bandiere delle compagnie militari asafo dei Fante del Ghana


Liconografia delle compagnie asafo dei Fante del Ghana nasce alla confluenza delle tradizioni guerriere precoloniali e di quelle militari europee. La pratica del marciare in formazione e del saluto alla bandiera sono riprese direttamente da quelle delle guarnigioni coloniali europee; resoconti europei testimoniano delluso di bandiere da parte dei Fante gi nel XVII secolo. Questi gruppi organizzati su base patrilineare e in modo militare costituivano un tempo un contrappeso alla burocrazia reale e garantivano la difesa delle citt. Destituite delle loro funzioni dal governo inglese prima e da quello ghaniano poi sono oggi delle associazioni civiche. Lorgoglio dappartenenza che oppone in modo competitivo le diverse compagnie, sia fra citt e citt che fra i diversi quartieri di una stessa citt, si esprime nelluso esclusivo di divise, emblemi, bandiere e nelledificazione di altari monumentali. Il conquistare o il donare una bandiera erano i mezzi e modi con cui si stringevano alleanze o scatenavano conflitti. Oggi le bandiere, il cui disegno pu essere anche intenzionalmente provocatorio, vengono portate in sfilata anche nei quartieri delle compagnie avversarie, talora scatenando la rissa. Queste bandiere il cui disegno creato applicando sulla stoffa dei ritagli di tessuto, sviluppano una complessa iconografia che non si limita a identificare la compagnia di cui lemblema ma ne ricorda e celebra i momenti storici salienti. Esse funzionano come simboli di appartenenza, come un supporto della memoria collettiva e come strumenti di comunicazione e lotta fra gruppi in competizione. Vengono solitamente realizzate al momento della nomina di un nuovo capo che attraverso il disegno che compare sulla sua bandiera d limpronta del proprio comando assumendo nel contempo la tradizione militare della compagnia. Quando poi un capo muore proprio attraverso le bandiere se ne perpetua la memoria e se ne chiede la protezione. Bandiere particolari possono essere realizzate anche in occasione di certi eventi. Liconografia di base poggia su alcuni motivi condivisi da tutte le compagnie e che rimandano a storie e proverbi che fanno parte del senso comune. Spesso, in alto a sinistra, compare la bandiera britannica, talvolta riprodotta fedelmente e tal altra profondamente alterata o sostituita da quella ghanese. Frequente la presenza di figure di animali, associate simbolicamente a determinati tratti del carattere umano: lantilope ad esempio rimanda alla mansuetudine e alla saggezza, il gallo allorgoglio, lelefante alla forza, mentre il gatto visto come un ladro. I significati di base sono per rimodulati sulla base della particolarit di ciascun gruppo e in relazione al corso degli eventi. Una stessa immagine pu volere dire cose diverse in rapporto alle circostanze di tempo e di luogo. Il loro significato poi reso palese gridandolo agli spettatori nel corso delle esibizioni delle compagnie asafo, che consistono spesso in rievocazioni o simulazioni di battaglie.

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Maschere gelede
Chi non ha visto le Gelede ha mancato lo spettacolo supremo (detto popolare yoruba) Fra i gruppi yoruba occidentali e costieri le due diverse forme di potere, maschile e femminile, trovano scenografico risalto nelle tradizioni locali del mascherarsi. I rituali delle maschere - qui, come quasi ovunque nellAfrica nera, monopolio maschile trasmettono complessivamente una sensazione di disordine e di pericolosit nei confronti delluniverso femminile. In tutta larea dellAfrica occidentale del resto si osserva, in relazione alla sessualit femminile, questo bilanciamento fra incorporazione e rigetto da parte delle societ. Nel pensiero yoruba la concentrazione di she (energia vitale) nelle donne, il loro potere di portare allesistenza le cose, crea uno straordinario potenziale che pu manifestarsi in maniera sia positiva che negativa. Le donne di et, le donne di successo - ricche commercianti che operano nei mercati - e le donne di potere - sacerdotesse delle divinit, donne che ottengono qualifiche in organizzazioni prestigiose o che occupano posizioni di rilievo a corte - sono chiamate collettivamente le nostre madri e sono le figure che pi incarnano tale caratterizzazione ambivalente di una femminilit vissuta al contempo come principio di vita e come concentrazione di aggressivit distruttiva. Si ritiene infatti che proprio queste donne, celebrate nei rituali quali progenitrici, protettrici e moderatrici di tensioni allinterno della 1 comunit, celino una carica fortemente aggressiva in grado di provocare ogni sorta di calamit e di consumare, divorare, distruggere una persona. Madri e streghe: come conseguenza dellassegnazione di straordinari poteri da parte di Olodumare, lEssere supremo, a Iyanla, la madre primordiale, che tutte le donne hanno, in forma latente, la facolt di attivare un canale col mondo invisibile della stregoneria. Al contrario dellaggressivit maschile che si manifesta apertamente nelle espressioni di una sessualit impulsiva e nei temi della guerra e della caccia, laggressivit femminile, associata allimpurit, al fascino perturbante dellelusivit e allesercizio della stregoneria, si avvale di un gioco di ombre e di maschere, e implica segretezza, dissimulazione, ambiguit. Il potere delle donne uccide in silenzio rimandando a un quadro di false apparenze dove si insinuano tutti gli stereotipi legati al genere femminile: imprevedibilit, inafferrabilit, inaffidabilit. Tale sconvolgente percezione della doppiezza muliebre - rientrante in un insieme di fantasie maschili rinvenibile peraltro in molte societ, africane e non - un fantasma culturale delle societ patrilineari e virilocali yoruba, societ dove apertamente dominano gli uomini. Nella consapevolezza di questo insopprimibile legame fra maternit e stregoneria le societ del Gelede allestiscono periodicamente elaborate performance di maschere conosciute come Efe/Gelede e strutturate in due parti: una notturna, lEfe,

pi segreta e incentrata sui canti, e una diurna, o Gelede propriamente detto, pi dintrattenimento e basata sulle danze delle maschere. Straordinariamente spettacolare, la cerimonia del Gelede di giorno finalizzata ad ammansire le streghe. Per il piacere degli occhi delle madri i loro figli, consci del debito di riconoscenza da parte dei generati nei confronti delle progenitrici, vestono i panni femminili, si travestono con voluminosi glutei e seni posticci, mettono le elaborate maschere tipiche del Gelede e i sonagli in metallo alle caviglie e danzano.

Il culto delle maschere gelede fornisce uninterpretazione della realt estetica e culturale yoruba alla luce di una chiave interpretativa, quella dellambivalenza, portata alla bipolarizzazione pi estrema nella figura della madre-strega, il simbolo pi carico di quellambiguit inconciliabile che per gli Yoruba lautentica cifra del vivere e del vivere insieme (le contraddizioni dellidentit femminile riflettono le contraddizioni del sociale).

Il complesso delle maschere gelede dichiarato patrimonio dellumanit


Le maschere gelede sono recentemente assurte alla qualifica di patrimonio dellumanit: nel 2001 lintero complesso dei culti, rituali, sculture, costumi, scenografie, letteratura orale, musiche e danze che le concerne stato inserito dallUNESCO nella prima lista delle forme despressione tradizionali e popolari e degli spazi culturali da salvaguardare. La candidatura vincente del complesso presentata dal Benin, con il sostegno della Nigeria e del Togo, faceva riferimento allorigine mitica del culto, allo spessore cronologico e alla rilevanza storica e sociale del rituale presso le comunit Nago-yoruba del Benin, allo straordinario insieme di maschere scolpite, musica, danze, canti, che anima i festival annuali, al ruolo delle donne allinterno dellassociazione delle maschere.

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Le maschere femminili della Liberia e della Sierra Leone


Solitamente luso della maschera prerogativa maschile; presso diverse popolazioni della Liberia e della Sierra Leone (Vai, Gola e Mende) esistono per maschere legate ad associazioni segrete femminili che preparano le donne alla vita adulta. Gli uomini sono membri dellassociazione Poro mentre le donne si riuniscono nella societ Bundu (o Sande) istituzioni che si dedicano alla formazione dei giovani, a questioni di tipo politico ed economico e alla pratica della medicina tradizionale. Fra i Gola le due associazioni, opposte e complementari, scandiscono ritmicamente il tempo della vita sociale, governandola in modo alterno gli uni per quattro anni e le altre per tre. Parte della loro autorit dipende proprio dal controllo che sono in grado da esercitare sugli spiriti attraverso le maschere. Le maschere sowei esprimono lideale della bellezza femminile: i tratti sottili del viso, la pelle lucida, i rotolini di grasso del collo e la suntuosa acconciatura sono segno di buona salute e di agiata condizione sociale. Le maschere rappresentano anche degli spiriti delle acque attratti dalla forma dellelmo e le pieghe del collo rimandano allora allincresparsi delle acque da cui emergono. Lartista svolge unimportante funzione di mediazione fra uomini e donne nel momento della fabbricazione della maschera. Si crea infatti una relazione basata su scherzi e allusioni sessuali, dietro la quale si cela una lotta molto seria intorno alla posizione assunta da ciascuno nei confronti del soprannaturale. Per le donne si tratta di fornire allartista le indicazioni indispensabili per la realizzazione della maschera senza svelare i propri segreti. Lartista partecipa cos agli affari della societ Bundu in una misura che non consentita ad alcun altro uomo a eccezione di qualche anziano.

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Collezioni africane
Siamo partiti da noi, dal collezionismo italiano darte africana per arrivare allAfrica. Ma nel far questo dobbiamo lasciarci le collezioni alle spalle? Il collezionare in realt non unesclusiva delloccidente, ma una pratica transculturale e diffusa, presente anche in Africa sia pure con caratteristiche molto diverse. Gli oggetti raggruppati in un altare ad esempio o che compongono un corredo funebre o il tesoro di un re africano, possono essere considerati delle collezioni nella misura in cui si tratta di oggetti raccolti e conservati in uno spazio apposito, che stabiliscono fra loro relazioni che non sono casuali, ai quali si prestano delle cure e che sono (talvolta) trasmessi a successori, discendenti o ceduti ad altre figure. In nessuno di questi casi per lintento quello di collezionare arte africana: la finalit non estetica o documentaria, ma politica e religiosa. Non meno importanti sono per allora le differenze tra cui, spesso, lalto grado di sostituibilit degli oggetti, la scarsa importanza conferita alla loro anzianit, la poca attenzione alla loro preservazione (almeno secondo gli standard occidentali), limportanza assunta dagli aspetti rituali e simbolici, spesso non legati alla dimensione visibile delloggetto che viene anzi sovente sottratto alla vista (cosa che per altro succede anche in occidente). I tre video nellultima sala della mostra costituiscono una sorta di controcanto africano alle collezioni italiane: girati nel 2009 nella cittadina camerunese di Bandjoun, sugli altopiani bamileke, propongono diverse modalit del collezionare in Africa oggi. Nel primo di questi video Wabo Tekam, capo tradizionale, parla (e non parla) degli oggetti che stanno nella casa dei crani (la costruzione in cui sono custoditi i teschi degli antenati) mostrando alcune delle statue che contiene. Nel secondo a parlare Nouaye Taboue Flaubert, curatore del museo della chefferie di Bandjoun che accoglie il tesoro reale e altri oggetti comunitari. Nel terzo video invece il Prof. Lazare Kaptu, medico e docente universitario, ci accompagna tra gli oggetti e i souvenir che ha collezionato nella sua vita e che arredano la sua villa. Mondi molto diversi ma che coesistono fianco a fianco. Ne esce limmagine di unAfrica in movimento, aperta alla modernit cos come alla tradizione, per certi versi molto distante da quella che ci mostrano le collezioni italiane di arti africane.

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