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Bruno Volpi

Il tesoro
della baronessa
© 2023 Erba Moly Editore

Collana Giallo Cassiopea

Erba Moly Editore è un marchio di Parva Domus Chartae s.a.s.


Prima edizione 2023

Copertina da un disegno di Maria Teresa Galli

Le vicende raccontate in questo romanzo sono esclusivamente frutto della fantasia


dell'autore.
Ogni coincidenza con situazioni, ambienti e persone reali è puramente casuale.
Introduzione

Bruno Volpi sa raccontare.

Sa prendere le storie e srotolarle piano piano, con l’ac-


curata pazienza di chi ne conosce l’arte e la magia, im-
mergendo il lettore in luoghi, profumi, sapori ed emo-
zioni.
Quindi è con un “finalmente!” che ci si tuffa nella ter-
za avventura del commissario Luigi Badalotti e della sua
squadra, in servizio presso il commissariato di Alessan-
dria, con la gioia di ritrovare i cari vecchi amici certo, ma
anche con l’appassionata curiosità di conoscere i nuovi
arrivati.
Già, perché questa singolare indagine ci conduce
nell’universo palpitante e sfuggente dei “senzafissadimo-
ra”, universo che pare muoversi e vivere come un mondo
a sé e che Bruno Volpi scava con delicata ma implacabile
cura, regalandoci personaggi memorabili che, fin dalle
prime battute, sanno sbucare dalle pagine vivi e vibranti,
ciascuno con la propria voce e il proprio “io”: Pelagat-
ti, Gullit, Mohammed, Gilberto, don Lorenzo, Adelina e
ovviamente lei, la Baronessa, cane (muto!) Poirot com-
preso.
Ma leggere Bruno Volpi è anche “respirare” la vita in
tutte le sue quotidiane sfumature, vuoi perché il nostro
Badalotti è un buongustaio, ma soprattutto perché la
scrittura elegante e scrupolosa riesce a trasportarci esat-
tamente lì, davanti a un piatto di rabaton, a mordere una
fetta di farinata calda o a sgusciare un bacio di dama dal
suo involucro dorato, oppure seduti su una panchina di
Piazza Genova, sotto i portici di Piazza Garibaldi o alla
Mensa di “Tavola Amica” in via delle Orfanelle.
Motivo per cui alla città di Alessandria non è affidato
il ruolo di semplice sfondo, ma diventa un personaggio a
tutti gli effetti, pronta a regalare prospettive inaspettate e
a rivelare i segreti di una città che sa conquistare chiun-
que abbia la pazienza di scoprirla e assaporarla giorno
dopo giorno.
Proprio come un buon libro.
Insomma, che dire se non di lasciarsi catturare da “Il
tesoro della baronessa”, una storia capace di indagare non
solo i fatti, ma anche l’intimo dell’animo umano, accom-
pagnandoci così a svelare il mistero e a comprendere
quale sia in realtà il vero “tesoro” da custodire.

Grazie Bruno!

Valeria Corciolani
IL TESORO DELLA BARONESSA

Alessandria, 14 novembre, ore 15:30

– Baronessa, ma non l'hai ancora capito chi è l'assassi-


no dell'Orient Express? –
– Ragazzacci! – pensò Antonietta Fusco osservando
quel gruppo di adolescenti che era solito tormentarla, men-
tre, sulle panchine di Piazza Genova, si godeva la lettura
del capolavoro della Christie.
– Sempre con quel libro in mano, Baronessa. Lo saprai
a memoria! –
Antonietta Fusco, però, non rispondeva. In fondo, quei
ragazzetti un po' a corto di creanza erano la sola occasione
di socialità che una come lei poteva pretendere in un po-
meriggio freddo e nebbioso di metà novembre.
Avrebbe tanto desiderato la compagnia di quelle mam-
me, solitamente non italiane, che in primavera affollavano
lo spiazzo intorno alla fontana con i loro bambini. Era un
chiasso piacevole, quello. Le ricordava gli anni in cui aveva
fatto teatro. In quegli anni era stata felice, un po' come lo
erano quei bambini, dalla carnagione un po' più colorita
dei loro coetanei alessandrini, liberi di scorrazzare avanti
e indietro per la piazza senza pericoli.
Qualche passante li guardava con diffidenza, altri con
disprezzo. Per lei erano semplicemente dei compagni di
viaggio. Come quegli uomini e quelle donne che, ogni gior-
no, sostavano in fila dai cappuccini o alla mensa della Ca-
ritas per un pasto caldo.

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BRUNO VOLPI

Qualcuno di loro raccontava che, poi, la sera, andava


anche al dormitorio. Lei no, lei un letto ce l'aveva. Un vec-
chio monolocale in una via laterale alla piazza, che aveva
comprato con gli ultimi soldi che si era avanzata dal perio-
do teatrale. Lo aveva fatto per non dipendere da nessuno.
Se per il dormire era autonoma, per tutto il resto do-
veva appoggiarsi a qualche ente assistenziale, perché la
pensione sociale di cui usufruiva le bastava a malapena
per le bollette e le spese condominiali. Erano ormai quasi
trent'anni che faceva quella vita. Trent'anni di maledetta
povertà.
Ben presto, però, quella precarietà sarebbe finita. Ed al-
lora tutti quelli che, per deriderla, la chiamavano “Baro-
nessa”, avrebbero dovuto ricredersi. E tacere.
Certo, dover gestire del denaro, tanto denaro, un po' la
preoccupava. Ormai non era più una ragazzina. E quella
vita, così precaria, ne aveva accelerato l'invecchiamento.
Aveva persino paura di confondersi con le banconote.
– Quando sarà stata l'ultima volta che ho avuto il por-
tafoglio pieno? Nemmeno me ne ricordo. Di sicuro c'erano
ancora le lire! – Una preoccupata riflessione ad alta voce,
sgorgata dal profondo.
– E poi, si sa, quando hai dei soldi, tanti soldi, arrivano
tutti come avvoltoi. –
Avrebbe dovuto tenere tutto segreto e appena possibile
sparire, cambiare vita e città. Sarebbe stato tutto più diffi-
cile, più complesso. Anche la ricchezza poteva essere male-
detta per una come lei. Forse più della povertà.
I ragazzi con le bici da cross facevano a gara a chi riu-

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IL TESORO DELLA BARONESSA

scisse a passare più a filo delle sue gambe, accompagnando


il loro transito con degli “olé” di sfida, come dei toreri da-
vanti ad un animale ormai ferito e sul punto di stramaz-
zare.
– Baronessa, stai attenta che a furia di leggere di omici-
di, qualche volta fanno fuori pure te! –

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BRUNO VOLPI

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IL TESORO DELLA BARONESSA

PRIMO

Alessandria, 9 dicembre, ore 10:00

– Buongiorno dottore. No, il commissario Badalotti


non c'è. Se vuole, le passo l'ispettore Gianetti. Attenda in
linea. –
L'agente al centralino del commissariato di Alessan-
dria compose il numero dell'ufficio di Mario Gianetti,
ispettore di Polizia Giudiziaria e collaboratore diretto del
commissario Luigi Badalotti, funzionario capo del sud-
detto commissariato.
– Pronto? Ah, è lei dottore! No, il commissario è do-
vuto correre a Milano perché la madre si è improvvisa-
mente aggravata... eh, sì, era da qualche settimana che
era ricoverata, ma lo avevano subito informato che si
trattava di una cosa seria... se vuole può dire a me... Ah!
Quindi la domanda di ampliamento dell'organico è stata
accolta... sì, un nuovo agente... assegnato alla nostra uni-
tà da domani... ci manda il fascicolo con i dati tra poco...
va bene, ci penserò io, grazie dottore. Buona giornata. –
L'ispettore Gianetti aveva accolto con un certo fasti-
dio l'annuncio fatto dal questore che avrebbero dovuto
integrare nella squadra un nuovo elemento. Era certo che
Badalotti avrebbe chiesto a lui di occuparsi dell'addestra-
mento dell'agente. E già lo sapeva: sarebbe stata una son-
tuosa rottura di scatole.
L'idea di subappaltare il tutto a Bonino non tardò a

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BRUNO VOLPI

manifestarsi.
– Fulvio, puoi venire un momento nel mio ufficio? –
L'agente scelto Fulvio Bonino, secondo il tipico stile
dei nativi valdostani, alle parole era solito prediligere i
fatti. Da persona generosa quale era, non ebbe cuore di
avanzare obiezioni alla richiesta del suo superiore. Seb-
bene fossero molto diversi come carattere, li accomuna-
va, oltre alla giovane età, anche una passione esagerata
per le arrampicate, il rafting e per qualsiasi tipo di attività
sportiva lontana dal convenzionale quanto lo sarebbe un
albero di Natale a Ferragosto.
– Non si preoccupi, ispettore. Se il commissario sarà
d'accordo, mi occuperò volentieri di istruire la recluta. –
– Bravo Fulvio! Era questo che volevo sentirti dire.
– rispose Gianetti, congedando Bonino con una pacca
sulla spalla.
Fulvio Bonino ricordava che, quando più di tre anni
prima, appena arruolato nella Polizia di Stato, venne as-
segnato a quel commissariato, fu proprio l'ispettore Gia-
netti a fargli da “balia” durante le prime settimane.
Questo lo rendeva ancora più orgoglioso dell'incari-
co che Gianetti gli aveva affidato. Lo vedeva quasi come
un premio alla carriera, che, seppur breve, era stata ricca
di esperienze lavorative e di insegnamenti importanti da
parte dei suoi superiori.
Dell'ispettore Gianetti, certamente, ma, in primis e
soprattutto, del commissario Badalotti, verso cui Bonino
nutriva una profonda stima, opportunamente ricambia-
ta.

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IL TESORO DELLA BARONESSA

Nonostante una città di provincia come Alessandria


venisse, anche se erroneamente, associata ad un livello
di criminalità molto basso, da diverso tempo il commis-
sario Badalotti lamentava carenze nell'organico della
sua squadra, impegnata più frequentemente di quanto si
potesse immaginare in indagini talora anche particolar-
mente complesse.
Non avendo però grandi motivazioni per incontrare
personalmente il questore, né, tantomeno, il prefetto, si
era limitato ad indirizzare una serie di mail, senza, pun-
tualmente, mai ricevere risposte.
Il fatto, dunque, che queste sue richieste, non solo non
fossero state cestinate, ma avessero sortito, dopo molti
mesi, anche un riscontro positivo, vale a dire il tanto
auspicato ampliamento della squadra, lo avrebbe certa-
mente sorpreso.
In quel momento, però, Luigi Badalotti era attanaglia-
to da ben altri pensieri.
Alcuni mesi prima, proprio il giorno di Ferragosto,
gli avevano comunicato che alla madre era stato diagno-
sticato un tumore ai polmoni, ormai in fase avanzata, fa-
cendogli chiaramente capire che dall'ospedale in cui era
stata ricoverata per accertamenti non sarebbe più uscita
sulle proprie gambe.
La malattia si era manifestata in modo subdolo, con
l'aspetto di una banale bronchite da aria condizionata
estiva. Badalotti durante le conversazioni telefoniche con
la madre aveva avvertito che i colpi di tosse si facevano
sempre più frequenti e la voce della donna sempre più

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BRUNO VOLPI

flebile, ma lei ogni volta lo rassicurava dicendogli di non


preoccuparsi che si stava curando e da lì a poco sarebbe
tutto passato.
Proprio in quel periodo il commissario era stato im-
pegnato nelle indagini relative al caso della LightOptic1
e non aveva potuto assentarsi da Alessandria. Una volta
risolto il caso si era deciso ad andare a fare visita alla ma-
dre e l'aveva trovata molto provata. L'aveva così convinta
a prenotare una visita specialistica, che era stata fissata
proprio qualche giorno prima di Ferragosto.
La madre era stata risoluta nel non permettergli di ac-
compagnarla. Sarebbe andata con una cugina.
Così era stato proprio il primario di oncologia dell'o-
spedale di San Donato Milanese a comunicargli la ferale
notizia qualche giorno dopo la prima visita.
Badalotti si era subito recato a visitare la madre ricove-
rata. La scena che gli si era presentata davanti agli occhi,
entrando in quella grigia camera di ospedale non l'avreb-
be più dimenticata. Coperta fino alle spalle da un len-
zuolo bianco, una donna minuta, ormai già consumata
dal male che la stava divorando, sembrava riposare dalle
fatiche di una vita. Assopita, con gli occhi semichiusi, lo
sguardo fisso al soffitto, il viso del colore del lenzuolo e i
capelli grigi un po' arruffati.
– Mamma, ciao, come stai? –
Si era subito reso conto di quanto fosse stupida ed
inutile quella domanda che gli era uscita spontanea. Nel-
la sua mente la paragonò ad una tortura inflitta ad un

1 Bruno Volpi “Come in un labirinto di specchi” Erba Moly Editore (2021)

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IL TESORO DELLA BARONESSA

condannato a morte prima dell'esecuzione. La risposta


non avrebbe potuto essere che: “Come vuoi che stia? Sto
morendo!”
Lei invece non aveva detto nulla, si era limitata a sor-
ridergli e a cercare la sua mano da stringere.
Erano rimasti così per un tempo indefinito. Poi la si-
gnora Maria, come tutti la chiamavano quando si reca-
vano in negozio, la rivendita di stoffe che i coniugi Ba-
dalotti gestivano in zona Corvetto, periferia sud–est di
Milano, il luogo in cui Luigi era cresciuto, aveva giocato,
fatto i compiti, persino aiutato i genitori nella vendita, la
signora Maria aveva iniziato, con voce flebile, a fargli un
sacco di domande sul suo lavoro e sulla sua salute, lei che
dietro quel banco di lavoro non sarebbe più ricomparsa
e che dalla salute era stata ormai irrimediabilmente ri-
pudiata.
Badalotti era uscito da quella grigia camera di ospeda-
le quando ormai il sole stava tramontando. Vi era usci-
to con il cuore attanagliato da un'angoscia profonda. La
sensazione di trovarsi con un debito ormai insanabile nei
confronti di quella donna minuta, alla quale, se ne stava
rendendo conto drammaticamente proprio in quel mo-
mento, aveva sempre anteposto un'altra specie di madre,
molto più esigente e assai meno premurosa: la Polizia di
Stato.

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BRUNO VOLPI

SECONDO

Il commissario Luigi Badalotti aveva comunicato al


suo vice, l'ispettore Mario Gianetti, che sarebbe rimasto
al capezzale della madre per i giorni che le sarebbero oc-
corsi per separarsi da un corpo che, ormai, pareva quasi
irriguardoso definire tale.
Badalotti era stato di poche parole, con lo stile asciut-
to e un po' riservato che ne aveva sempre contraddistinto
il modo di comunicare. Gianetti avrebbe voluto prolun-
gare quella telefonata, magari aggiungendo qualche frase
che potesse risultare di conforto per il suo superiore, ma
non ne era stato capace.
Eppure, conoscendo le circostanze, si era preparato
frasi del tipo “Le siamo vicini” oppure “Tutto il commis-
sariato le manda un saluto affettuoso”. In quel momen-
to, però, avvertendo nella voce del commissario tutto il
dramma che l'uomo stava vivendo e che rivelava un'in-
sospettata e insospettabile fragilità, non era riuscito a
riempire lo spazio di silenzio, lasciato dal suo superiore
prima di chiudere la telefonata, con nulla che gli sem-
brasse adeguato.
Si era limitato ad un “Va bene, commissario, ci tenga
informati.” che, se si fosse trattato di una registrazione,
avrebbe subito cancellato perché, in verità, non c'era pro-
prio nulla che andasse bene in quella drammatica vicen-
da.
Gianetti, dopo il comportamento avventato che aveva

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IL TESORO DELLA BARONESSA

determinato la conclusione del suo rapporto con Tizia-


na Terenzio, riuscendo in poco meno di venti minuti a
incenerire tutto l'affetto e la stima che la giovane e bella
segretaria aveva per lui, oltre che l'appassionato rapporto
che avevano vissuto all'inizio dell'estate, si era dedicato al
lavoro con un'intensità e un'abnegazione che non aveva-
no uguali nella sua breve carriera di ispettore di Polizia.
Lo aveva fatto per dimenticare la donna che, per la
prima volta, lo aveva coinvolto in una storia che era ben
più delle avventure a cui era abituato e che gli avevano
procurato la fama di inguaribile “sciupafemmine”. Lo
aveva fatto, molto probabilmente, anche per non avere
tempo di pensare a quanto fosse stato testardo e stupido,
tanto da riuscire a compromettere in modo definitivo il
loro rapporto.
Sebbene non ci fossero state indagini complesse da
affrontare dopo il caso della LightOptic, ma solo ordina-
ria amministrazione di piccola criminalità, era riuscito
ugualmente ad immergersi talmente nelle attività quo-
tidiane da non lasciarsi pause in cui rischiare di cadere
vittima del riaffiorare di certi pensieri.
Gianetti si era dato da fare anche per occupare la mag-
gior parte del tempo libero, tornando a frequentare la pa-
lestra di arti marziali che aveva lasciato da quasi due anni
e tutti quei locali che, durante la relazione con Tiziana,
aveva evitato per non rischiare di incontrare una delle
sue tante ex o, ancor peggio, “amiche” che avevano l'abi-
tudine di presentarsi in modo un po' troppo esuberante.
Negli ultimi giorni, poi, l'assenza del commissario gli

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BRUNO VOLPI

stava fornendo l'occasione di fare delle prove tecniche di


carriera, opportunità che era deciso a non farsi sfuggire.
– Domattina, quando prenderà servizio il nuovo agente,
dirò a Bonino di portarmelo qui, così gli spiegherò subito
come deve comportarsi. – pensò l'ispettore Gianetti – E fino
a quando Badalotti sarà via, dovrà riportare a me. –
Si sentiva insolitamente a suo agio in quel nuovo ruolo
di responsabile del commissariato; un ruolo temporaneo,
certamente, ma che in un futuro, forse anche prossimo,
avrebbe potuto trasformarsi in qualcosa di permanente.
Si alzò dalla sedia con aria compiaciuta. Avrebbe do-
vuto marcare stretto il suo superiore, non appena fosse
rientrato, per apprendere da lui tutti i segreti della gestio-
ne di un commissariato.
Come un flash gli apparve l'immagine di Badalotti
piegato su un letto di ospedale. La figura un po'ingom-
brante del commissario non gli permetteva di vedere chi
giaceva nel letto. Subito si vergognò delle sue fantasie di
carriera, che di colpo aveva avvertito essere terribilmente
inappropriate al momento che stava vivendo il suo capo
e, con lui, tutto il commissariato.

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IL TESORO DELLA BARONESSA

TERZO

Alessandria, 10 dicembre, ore 10:00

– Agente Barbara Rossi, a disposizione, ispettore! –


La persona che stava ritta di fronte alla scrivania
dell'ispettore Mario Gianetti, affiancata dall'agente scelto
Fulvio Bonino, che aveva osservato in modo scrupoloso
le consegne ricevute per l'accoglienza del nuovo collega,
era senza alcun dubbio sorprendentemente diversa dal
tipo di agente che si erano immaginati entrambi.
La giovane poliziotta Barbara Rossi era un tipino al-
quanto effervescente, capelli neri e taglio da maschietto,
due occhi scuri molto vivaci e un bel sorriso. Non era
molto alta e neppure appariscente, ma aveva una grazia
naturale che ispirava un'immediata simpatia.
Nativa di Vercelli, aveva perso il padre, anch'egli ispet-
tore di Polizia, quando aveva soltanto nove anni, colpito
a morte durante una sparatoria, mentre con due colleghi
stava tentando di sventare una rapina in una gioielleria.
Il giorno del funerale, anziché piangere, aveva fatto una
promessa all'uomo in divisa che la teneva sempre sulle
ginocchia: da grande ci avrebbe pensato lei a proseguire
la sua missione.
Così, una volta terminati gli studi di scuola media
superiore, aveva fatto il concorso per entrare in Polizia,
vincendolo a mani basse.
– A nome del commissario Luigi Badalotti sono lieto

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BRUNO VOLPI

di accoglierla nella nostra squadra... – esordì l'ispettore


Mario Gianetti con fare un po' sostenuto – il collega Bo-
nino le spiegherà come siamo organizzati e le mostrerà la
sua postazione. –
– La ringrazio, ispettore. Fulvio, cioè, volevo dire
l'agente Bonino, stamattina mi ha già un po' spiegato
come funzionano le cose qui. È stato davvero gentile! –
esclamò Barbara lanciando un'occhiata di intesa al suo
nuovo mentore, il quale non tardò a ricambiare con un
sorriso, arrossendo poi in modo imbarazzante.
Tutto preso da questa fase embrionale di quello che
aveva tutta l'aria di potersi trasformare in un vero e pro-
prio flirt in divisa, Fulvio Bonino non si era accorto che
Mario Gianetti lo stava fissando con sguardo indagatore.
– Guarda, guarda, il Bonino! – pensava tra sé Gianetti
– Gli lasci un po' di spazio con le donne e ci si butta a ca-
pofitto. Vabbè, tanto ci fosse anche Charlize Theron qui
davanti, una in divisa non mi attizza nemmeno un po'! –
Uno degli aspetti che aveva da sempre caratterizzato
l'ispettore Mario Gianetti e che, fin dall'inizio della loro
collaborazione, aveva alquanto infastidito il commissa-
rio Luigi Badalotti, era la sua incontrollata attrazione per
l'universo femminile. E, dato che, oltre ad un viso inte-
ressante, sfoggiava un fisico da modello e un modo di
fare da inguaribile romantico, l'universo femminile non
sempre riusciva a rimanere indifferente al fascino del
giovane ispettore. Per questo si era guadagnato la fama di
tombeur de femmes, una fama di cui andava abbastanza
fiero, anche se l'ultima relazione, quella con la giovane

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IL TESORO DELLA BARONESSA

segretaria Tiziana Terenzio, aveva rischiato di sgretolar-


ne la solidità.
L'agente scelto Fulvio Bonino, pur essendo altrettanto
giovane e di aspetto gradevole, si portava dietro l'insicu-
rezza tipica dei montanari, abituati spesso alla solitudine
o alla relazione con creature a quattro zampe. Originario
della Valle d'Aosta, aveva un approccio al lavoro efficien-
te ma discreto e un modo di operare che il commissario
Badalotti non aveva mai nascosto di apprezzare parec-
chio.
Quando, quella stessa mattina, poco prima delle
nove, era stato avvisato dal collega addetto alla reception
dell'arrivo del nuovo agente assegnato al commissariato,
tutto si sarebbe aspettato tranne Barbara Rossi.
Lei gli aveva teso la mano, guardandolo fisso negli oc-
chi. E lui, per alcuni secondi, non aveva capito più niente,
affogando nei suoi grandi occhi scuri come in un vortice
in mare aperto, un mulinello di emozioni che lo aveva
trascinato verso il fondo.
Dopo poco, però, il primo amore era tornato a farsi
sotto, scalzando ogni altra tentazione affettiva. Sì, per-
ché anche per lui, come per il funzionario a capo di quel
commissariato, c'era una cosa che veniva prima di tutto,
a cui tutto il resto poteva, e doveva, essere sacrificato: la
Polizia di Stato.
Così aveva rapidamente ripreso il controllo, come si
deve ad un bravo agente scelto, e si era calato perfetta-
mente nel ruolo di mentore assegnatogli dall'ispettore
Gianetti, badando bene a mostrarsi cordiale, ma adegua-

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BRUNO VOLPI

tamente distaccato.
Barbara, dal canto suo, aveva subito chiesto del com-
missario Badalotti. Saputo che era al capezzale della
madre, si era mostrata molto rattristata. Molto di più di
quanto lo stesso Bonino, che pure era affezionatissimo al
suo superiore, si sarebbe aspettato da una collega appena
entrata nella squadra.

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IL TESORO DELLA BARONESSA

QUARTO

– Vedrà, signorina, che in questo alloggio si troverà


benissimo. Come vede, anche se è un po' piccolo, è stato
ristrutturato da poco su un progetto di mio figlio che è
architetto. Mobili e serramenti sono nuovissimi. E poi la
rata d'affitto è un regalo. –
Il proprietario dell'appartamento al primo piano di
via Montegrappa, che l'agente Barbara Rossi aveva deciso
di prendere in affitto, stava magnificando da ormai più di
mezz'ora tutte le ineguagliabili particolarità racchiuse in
quei poco più di settanta metri quadrati.
Dal momento in cui aveva saputo della nuova destina-
zione, Barbara si era affidata ad un'agenzia alessandrina
per cercare un appartamento in cui abitare per tutto il
periodo in cui sarebbe rimasta nella città tra i due fiumi.
– ...non troppo lontano dal commissariato, non trop-
po grande, non troppo costoso, ... – queste erano state
pressappoco le raccomandazioni, tutte a base di “non
troppo”, che aveva dato all'agente immobiliare al telefono.
Non restandole, però, il tempo per visionare più di
un alloggio, si era accontentata del primo che le avevano
proposto dall'agenzia.
– Allora, affare fatto, signorina? – aveva domandato
l'agente immobiliare, inserendosi strategicamente in una
pausa del monologo del proprietario.
– Beh, non è molto grande e, devo dire la verità, lo sta-
bile è un po' vecchiotto, ma, come avete detto, costa poco

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BRUNO VOLPI

di affitto e, dato che lo stipendio da agente di Polizia non


mi permette di nuotare nell'oro, me lo farò andar bene.
Affare fatto, accetto! – disse Barbara Rossi, tendendo la
mano prima al proprietario e poi all'agente immobiliare,
come a sancire l'accordo contrattuale trovato.
– Bene, signorina Rossi, l'alloggio è subito disponi-
bile. Vero, signor Lepore? Domattina potete passare nel
mio ufficio per le firme e il saldo. –
Ansioso di dichiarare concluso l'affare, l'agente im-
mobiliare aveva subito replicato, cercando con lo sguar-
do un cenno di consenso da parte del proprietario.
– Sì, sì, certo, si può stabilire qui quando desidera, si-
gnorina. – aggiunse il proprietario a conferma di quanto
era stato detto. – Al più presto le farò avere le chiavi. –
Prima di uscire, Barbara diede un'ultima occhiata a
quella che da lì a poco sarebbe diventata la sua dimora
alessandrina. La porta d'ingresso dava su una specie di
piccolo corridoio, sul quale si aprivano a sinistra una mi-
nuscola sala e a destra un tinello con angolo cottura. Un
pochino più avanti, affacciavano sul medesimo corrido-
io una camera da letto a sinistra e un bagno, abbastanza
spazioso, a destra. Il tinello dava accesso ad un balcon-
cino di esigue dimensioni, proteso verso il cortile inter-
no dello stabile, dove le sarebbe stato riservato un posto
macchina per la sua Fiat Panda 4x4 rosso fiammante.
Quando il signor Lepore l'aveva invitata ad affacciarsi
sul balconcino per mostrarglielo, Barbara aveva notato
che la sua futura vicina di casa, un'anziana signora dall'a-
ria simpatica, stava raccogliendo dai fili della biancheria

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IL TESORO DELLA BARONESSA

quelli che le erano sembrati alcuni stracci. Aveva notato


altresì, e, in tutta sincerità ne era rimasta molto stupida,
che gli sguardi di Lepore e della signora si erano incro-
ciati per qualche frazione di secondo, senza tuttavia che
ne scaturisse alcun cenno di saluto da entrambe le parti.
– Domani in giornata trasferirò qui i miei bagagli. –
aveva pensato Barbara – E poi suonerò alla vicina per
presentarmi. Pare simpatica. –

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BRUNO VOLPI

QUINTO

Da più di una decina di minuti Antonietta Fusco si


stava domandando cosa fosse quel vociare continuo che
proveniva dall'alloggio a fianco al suo.
Sapeva che l'appartamento era sfitto da anni in quanto
il proprietario si era sempre rifiutato di venderlo e aveva
deciso di tenerlo per sé, con l'idea di affittarlo.
Anche trovare il giusto inquilino non era stata impre-
sa da poco. Il signor Lepore lei lo aveva conosciuto anni
prima, quando utilizzava l'alloggio come ufficio, e aveva
subito capito che si trattava di persona molto pignola e
intransigente. Per anni Lepore aveva mostrato l'alloggio
a decine di persone, più frequentemente coppie, ma per
un motivo o per l'altro, nessuno aveva mai avuto le phy-
sique du role per diventare il suo inquilino.
E lei, Antonietta, ogni volta ascoltava le voci dei no-
velli sposi, voci cariche della speranza di poter rendere
quell'alloggio il loro nido d'amore, o la voce di qualche
studente, che si era trasferito in città dalla provincia per
essere più comodo con lo studio.
Nonostante tutte quelle visite, però, l'alloggio restava
vuoto, così come le sue speranze di avere dei vicini con
cui poter, ogni tanto, scambiare due parole, fossero state
anche semplicemente un “buongiorno” e una “buonase-
ra”.
Così, quel pomeriggio, quando aveva sentito la voce
tonante del Lepore affermare “...Al più presto le farò ave-

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IL TESORO DELLA BARONESSA

re le chiavi...” aveva iniziato a ridere, come fa un bimbo


quando ha tra le mani un nuovo giocattolo. Una risata
che racchiudeva tutta la speranza e il desiderio di ave-
re finalmente dei vicini di casa con cui poter ogni tanto
conversare, magari in quelle giornate fredde e nebbiose
in cui anche le tanto care panchine di Piazza Genova di-
ventano un luogo inospitale.
Aveva sentito anche una voce di donna. Abbastanza
giovane, avrebbe detto, a giudicare dal tono. Chissà, ma-
gari si trattava di una giovane coppia, forse con pochi
soldi e dei bambini da crescere.
Avrebbe tanto desiderato poter fare da nonna a quei
bambini, preparare loro una merenda improvvisata con
qualche fetta di torta che certamente le volontarie della
mensa della Caritas avrebbero saputo come procurarle.
Da anni ormai, dopo una certa ora del pomeriggio, lei
restava l'unica abitante del primo piano di quel vecchio
stabile di via Montegrappa. A parte i due piccoli alloggi,
il resto del piano era occupato da un deposito di una so-
cietà di spedizioni. Le era capitato molte volte di vedere
dei giovani con la divisa rossa che entravano ed usciva-
no sempre di corsa, preoccupati soltanto di rispettare i
tempi di consegna dei pacchi che avrebbero caricato sui
loro furgoni. Non avevano di certo il tempo di fermarsi
a conversare con lei, forse neppure se fosse stata ancora
giovane e bella come tanti anni prima.
Certo, c'era Poirot a tenerle compagnia. Aveva deciso
di chiamarlo così in onore del suo investigatore preferito:
un bastardino di piccola taglia, dal pelo marrone con una

27
BRUNO VOLPI

macchia bianca intorno all'occhio destro.


Poirot era un cane dolcissimo, molto affettuoso.
Quando la padrona era in casa, lui non perdeva occasio-
ne di saltellarle intorno, rischiando qualche volta persino
di farla cadere.
Neppure Poirot, però, riusciva a violare il silenzio an-
gosciante che regnava in quella casa quando cominciava
a scendere la sera. In ormai più di cinque anni, da quan-
do un bel giorno il cucciolo aveva iniziato a gironzolarle
intorno in Piazza Genova, mentre lei, seduta su una pan-
china, stava leggendo il solito romanzo della Christie,
e l'aveva poi seguita fino a casa, trovando così il modo
di farsi adottare, Poirot non aveva mai abbaiato. Nessun
tipo di suono era mai uscito dalla sua bocca. Antonietta
aveva dedotto che dovesse avere una qualche disfunzione
alle corde vocali. In poche parole, che fosse muto.
Il silenzio perdurante di quelle serate le aveva creato
un opprimente senso di solitudine che cresceva di giorno
in giorno. Per questo, negli ultimi mesi, aveva provato ad
ovviarvi invitando qualche amico a cenare con lei. Det-
ta così poteva sembrare una cosa normale, se non fosse
stato per il fatto che si trattava di persone che, come lei,
pranzavano ogni giorno alla Mensa “Tavola Amica” in
via delle Orfanelle e la sera non avevano un posto caldo
in cui rifugiarsi per consumare un pasto.
Così, quando venivano invitati per cena, arrivavano
portando con sé il pasto ritirato dai frati cappuccini, che
lei riscaldava e serviva a tavola con una tovaglia vera e
stoviglie vere, ricavandoci spesso anche qualche avan-

28
IL TESORO DELLA BARONESSA

zo per Poirot. Non si era mai chiesta se la sola ragione


per cui questi amici particolari accettavano l'invito fosse
quella di poter stare un po' al caldo, prima di tornarsene
chi al proprio sacco a pelo o alle proprie coperte in qual-
che angolo riparato della città, chi, invece, all'ostello di
via Mazzini.
Antonietta voleva credere che ciascuno di loro ap-
prezzasse questa insolita modalità di incontro e di con-
divisione di storie legate al passato o di preoccupazioni
per il presente e, ancor più, per il futuro, ammesso che un
senzafissadimora potesse permettersi il lusso di immagi-
narselo, un futuro.
Le sembrava quasi di fare anche lei un'attività di vo-
lontariato, un volontariato non organizzato, nascosto,
ma che davanti a Dio avrebbe avuto lo stesso valore di
quello dei ragazzi e delle ragazze che quotidianamente si
occupavano dei pasti di tanti come lei.
– Dar da mangiare agli affamati è un precetto del
Vangelo – diceva ogni sera rivolta verso il suo cagnoli-
no, dopo aver chiuso la porta del monolocale, al termine
della cena con l'amico di turno – Beh, io, più che dar da
mangiare, riscaldo quello dei frati, ma anche questo è fare
del bene, no? – aggiungeva rivolgendo lo sguardo al cro-
cifisso che aveva appeso al centro della parete contro cui
era appoggiato il tavolo da pranzo. Poirot, strusciandosi
contro le sue gambe, le confermava di essere nel giusto.
– Certo che, se adesso divento ricca, potrò assisterli
anche economicamente questi miei amici! – Riflessione
di una delle ultime sere, dopo che se ne era andato via

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BRUNO VOLPI

Martino, che passava la giornata tra incroci e ingressi


delle chiese, a chiedere l'elemosina, per poi andare a dor-
mire nell'ostello della Caritas Diocesana. Subito, però, si
era rattristata. – Come farò con tutti quei soldi? Se spa-
risco dalla città non potrò aiutare nessuno, ma se riman-
go poi finisce che me li mangiano tutti prima che possa
aiutare qualcuno... magari me li rubano... Dio, Dio, che
brutta cosa diventare ricchi! –

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IL TESORO DELLA BARONESSA

SESTO

San Donato Milanese, 12 dicembre, ore 8:00

– Pronto? Signor Badalotti? Sono Loredana, la ca-


posala del reparto dove è ricoverata sua madre. Se può
venga subito. Credo che non le resti molto da vivere. Mi
dispiace! –
Luigi Badalotti non aveva saputo replicare, aveva rin-
graziato e chiuso immediatamente la comunicazione.
Aveva avvertito un groppo alla gola come mai gli era ac-
caduto prima.
Dal giorno in cui il primario di oncologia lo aveva
informato del decorso irreversibile e inarrestabile della
malattia della madre, aveva immaginato innumerevoli
volte il momento in cui avrebbe ricevuto la comunica-
zione di pochi istanti prima.
Eppure, ciò che gli stava accadendo andava oltre ogni
previsione. Un profondo dolore allo stomaco, come se
qualcuno lo stesse passando da parte a parte con una lan-
cia, gli stava spezzando il fiato, impedendogli di emettere
qualunque tipo di suono.
Per restare vicino alla madre aveva preso una camera
in un hotel sulla via Emilia. In zona ce ne sarebbero stati
anche di più confortevoli, ma di certo non si trovava lì
per turismo.
Si avviò a piedi verso l'ospedale, con il dolore allo sto-
maco che si faceva sempre più intenso, tanto da rendere

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BRUNO VOLPI

faticosa anche la stazione eretta.


Gli ultimi cento metri li percorse quasi piegato in due,
col timore che qualcuno lo avvicinasse per chiedergli se
si sentisse bene. Per fortuna, quella sua andatura incer-
ta passò inosservata nella confusione dell'ingresso della
struttura ospedaliera.
Quando si affacciò alla camera del reparto di onco-
logia in cui era ricoverata la madre, il primo istinto fu
di vedere se vi fosse un altro letto su cui avrebbe potuto
stendersi, tanto forte era il dolore alla bocca dello stoma-
co.
Guardò in direzione della madre. Per un attimo te-
mette che fosse già spirata. Avvicinandosi iniziò ad av-
vertire che respirava affannosamente, quel respiro tipico
delle anime che provano in ogni modo a uscire da un
corpo che si è ormai trasformato in una fredda prigione.
Gli venne istintivo di prenderle la mano, come lei ave-
va fatto migliaia di volte tanti anni prima. Sentì che lei
aveva avvertito la sua presenza.
– Gino... fai sempre... la cosa... giusta! –
Non avrebbe mai saputo spiegarsi dove la Maria aves-
se trovato la forza di lasciargli quel testamento spiritua-
le, se non pensando che il rapporto tra una madre e un
figlio è in grado persino di sconfessare qualsiasi trattato
di medicina.
Gino.
Fino all'ultimo istante aveva mantenuto quel diminu-
tivo con cui lo chiamava da bambino. E lui non aveva
mai avuto il coraggio di dirle che quel nomignolo non gli

32
IL TESORO DELLA BARONESSA

andava proprio a genio.


Gino stava ancora ripensando a quelle ultime paro-
le: “Fai sempre la cosa giusta!”. Era sedata, forse delirava.
Una frase apparentemente senza senso in quel contesto.
Si senti posare una mano sulla spalla. Voltandosi ri-
conobbe il volto familiare della caposala, quella che gli
aveva telefonato poco prima.
– Signor Badalotti, ormai può lasciare la mano di sua
madre. È spirata. Penseremo a tutto noi. –
Luigi Badalotti non disse nulla. Si limitò ad uno
sguardo carico di gratitudine verso la donna e uscì dalla
camera senza più voltarsi verso il letto su cui giacevano
le spoglie mortali della Maria.
Solo in quel momento si rese conto che il dolore op-
primente allo stomaco si era dissolto. La prima “cosa giu-
sta” da fare sarebbe stato dare degna sepoltura alla madre
e mettere in vendita il negozio di famiglia, ormai chiuso
da diversi mesi, e il modesto appartamento che si trovava
al piano superiore.
Due azioni che, per il commissario Luigi Badalotti,
avrebbero sancito il distacco definitivo dal proprio pas-
sato. Un distacco certamente doloroso, forse più di quel-
la fitta allo stomaco che aveva caratterizzato gli ultimi
istanti di vita della madre. Un distacco tuttavia inevitabi-
le, perché la vita non è altro che una sequenza di periodi
con un inizio e una fine ben precisi. E, spesso, indipen-
denti dalla nostra volontà.
Così, quella frase, pronunciata a stento da una donna
morente, aveva messo la parola fine al periodo milanese

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BRUNO VOLPI

del commissario Luigi Badalotti: un periodo a cui avreb-


be ripensato più volte nei mesi a venire, con un po' di
nostalgia e un'opprimente percezione di solitudine.

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IL TESORO DELLA BARONESSA

SETTIMO

Alessandria, 12 dicembre, ore 11:00

La notizia, purtroppo attesa, della morte della madre


del commissario, aveva fatto calare un velo di tristezza
nelle diverse stanze del commissariato.
Ciascuno dei poliziotti presenti in servizio in quel
momento era andato con la mente a qualche episodio di
contatto personale col commissario, quasi che evocarne
il pensiero potesse servire di conforto a chi, in quel mo-
mento, stava provando una delle sofferenze più intense
che la vita possa riservare.
Ruggero Nobiltà, un ragazzone di due metri di altezza
per quasi cento chilogrammi di peso, che aveva sempre
supplito ad evidenti limiti di acume intellettivo con una
grande generosità e uno smisurato attaccamento alla di-
visa, stava lacrimando come una fontana.
Pur non riuscendo a ricordare degli episodi precisi,
proprio quella mattina si stava rendendo conto di tutto
l'affetto e la comprensione che, in quei tre anni di ser-
vizio con Badalotti, il commissario gli aveva riservato,
nonostante la consapevolezza che lui non era certo il più
brillante degli agenti.
Fulvio Bonino, che, per il suo carattere un po' riserva-
to, non sempre era riuscito a manifestare al commissario
tutta la stima e la gratitudine che nutriva nei suoi con-
fronti, avvertiva un forte disagio interiore che, nonostan-

35
BRUNO VOLPI

te fosse digiuno dalla sera precedente, gli aveva creato


come un tappo alla bocca dello stomaco, azzerandogli
del tutto l'appetito.
Era stato l'ispettore Mario Gianetti, poco dopo le dieci
di quella mattina, a ricevere la notizia dal commissario,
con una rapida telefonata, a cui aveva saputo replicare
soltanto con un laconico “Condoglianze, commissario!
Da tutti noi.”
Gianetti si era subito detto che avrebbe dovuto gestire
lui l'organizzazione delle convulse giornate che sareb-
bero seguite a quell'evento. Aveva avvisato il questore, il
quale avrebbe a sua volta informato il prefetto.
Aveva poi chiamato l'agente scelto Bonino, comuni-
candogli che sarebbero stati loro due a rappresentare il
commissariato durante le esequie.
Prima di congedarlo, gli aveva buttato lì, quasi distrat-
tamente, la domanda su come stesse procedendo l'adde-
stramento dell'agente Rossi. Bonino si era subito prodi-
gato nell'enunciazione di tutte le doti del nuovo agente,
enfatizzandone perspicacia e proattività.
– Mandami qui la Rossi, che voglio vedere se è già
pronta per qualche incarico! –
Non sapeva bene se impartire ordini in modo risoluto
fosse il giusto atteggiamento di un capo del commissaria-
to, ma almeno serviva ad atteggiarvisi.
L'agente Barbara Rossi non tardò molto ad affacciarsi
alla porta dell'ufficio dell'ispettore. Gianetti notò subito
che sembrava molto provata. L'espressione del viso era
ben diversa dall'aria furbetta che aveva mostrato solo

36
IL TESORO DELLA BARONESSA

due giorni prima.


– Qualcosa non va, agente Rossi? –
– No, ispettore, ma quello che è accaduto al commis-
sario... –
– Ma se non lo conosci neppure – penso tra sé Gianet-
ti – la solita donnicciola da soap opera. E pensare che mi
era sembrata una tipa sveglia. Ho fatto bene ad affidarla a
Bonino, a me avrebbe fatto scappare la pazienza! –
Lo sguardo di Barbara Rossi incrociò quello dell'ispet-
tore. Lo trovò particolarmente severo. Si chiese se avesse
fatto qualcosa di sbagliato. Decise di tenere un profilo
basso.
– Ha bisogno di qualcosa, ispettore? L'agente Bonino
mi ha detto che mi voleva parlare. –
– Desideravo solo avere un breve resoconto su come
sta andando il suo addestramento. –
– Certo, volentieri! Posso sedermi? – rispose l'agente
Rossi, esibendo un sorriso di cortesia e, indicando la se-
dia di fronte alla scrivania dell'ispettore.
– Certo che sono un bel villano, avrei dovuto invitarla
a sedersi prima che me lo chiedesse lei. – Per quanto cer-
casse di atteggiarsi a capo supremo della Polizia di Stato,
Gianetti rimaneva sempre il solito ispettore con fare da
cascamorto, indipendentemente dall'età e dal ceto so-
ciale dell'esponente del genere femminile che avesse di
fronte. – Sì, sì, certo, si accomodi pure. –
Barbara Rossi riferì all'ispettore tutto quello che aveva
fatto in quei primi due giorni di servizio, preoccupandosi
di far emergere la disponibilità e la competenza mostrate

37
BRUNO VOLPI

dall'agente scelto Bonino, facendo però ben attenzione


a non osannare troppo l'operato del collega per non ge-
nerare il sospetto di un'eccessiva dipendenza dagli altri.
Era, infatti, estremamente determinata a fare una buona
impressione nei confronti del suo diretto superiore, dato
che in quel momento era lui a reggere le sorti del com-
missariato.
Sapeva bene, infatti, che, quando Badalotti fosse ri-
entrato al suo posto di comando, tutto sarebbe cambia-
to per lei. Perché lei, Luigi Badalotti, lo conosceva bene,
tanto da nutrire nei suoi confronti un affetto intenso e
sincero.
Il giorno in cui le avevano comunicato l'assegnazione
al comando di Alessandria, alla squadra del commissario
Badalotti, avrebbe voluto urlare di gioia. Le erano tornati
alla mente i bei momenti trascorsi con lui e si era subito
chiesta se lo avrebbe trovato cambiato, ora che rivestiva
un ruolo di funzionario di Polizia.
Poi, giunta in città, aveva saputo dell'assenza del com-
missario. Ne aveva immaginato l'angoscia, quella che an-
che lei aveva provato a soli nove anni. Si era chiesta se
avrebbe dovuto chiamarlo oppure attendere il suo rientro
in servizio. E come sarebbe stato il loro primo incontro,
come avrebbe reagito rivedendola, per di più in divisa.
Si era fatta molte domande, concludendo che la scelta
più adeguata sarebbe stata quella di attendere. Luigi non
l'avrebbe delusa.

38
IL TESORO DELLA BARONESSA

OTTAVO

In coda per il pranzo alla Mensa Tavola Amica del-


la Caritas, Antonietta Fusco stava valutando chi avrebbe
potuto invitare a cena quella sera.
Anche se quello era tutt'altro che un luogo di ritrovo
della gente “in” della città, Antonietta ci teneva sempre
a sfoggiare una certa eleganza. Certo, quegli abiti erano
ormai un po' sgualciti e, a voler guardare bene, anche
scoloriti dai tanti lavaggi, ma restavano comunque capi
di alta sartoria.
Il fatto che la sua struttura corporea non fosse molto
cambiata negli anni le permetteva ancora di indossare
i vestiti che si era comprata nei pochi anni di agiatez-
za della sua vita, quelli in cui avrebbe potuto diventare
un'attrice affermata, se non avesse lasciato tutto per se-
guire il barone De Fanti, al quale era stata legata poco più
di un anno e successivamente scaricata per una soubrette
di cabaret alquanto volgare, ma, disgraziatamente, molto
più appariscente di lei.
Il cappotto color cammello con un vistoso collo di
volpe siberiana che stava indossando in quel momento,
era, appunto, uno degli ultimi capricci che si era permes-
sa grazie al ricco portafogli del nobile con cui si era ac-
compagnata.
– Gilberto, ehi, senti, perché non ti metti qui al tavolo
con me che parliamo un po'? –
Si sarebbe potuto scommettere che nessuna delle per-

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BRUNO VOLPI

sone in fila per il pasto conoscesse le vere generalità di


colui che Antonietta stava invitando al proprio tavolo.
Qualcuno dei volontari forse sì, poteva conoscerle, ma,
per tutti loro, lui era solo Gilberto.
Arrivava ogni giorno con uno zainetto di tela gialla
sulle spalle, sufficiente per contenere tutti i suoi averi.
Sempre i medesimi calzoni di due taglie più grandi, sem-
pre la solita camicia scozzese di flanella con sopra un gi-
let di quelli da cacciatore. Sempre, estate e inverno. Nelle
giornate più fredde, come lo era quel dodici dicembre,
aggiungeva uno sciarpone rosso, in cui si avvolgeva dal
collo fino alla vita.
Gilberto era una specie di spirito libero e non era ben
visto dagli altri senzafissadimora. Mostrava spesso un ca-
rattere eccessivamente scontroso e aveva sempre rifiutato
di far parte dei clienti dell'ostello notturno.
Anche per questo, Antonietta lo considerava un otti-
mo compagno per cena, dato che, soprattutto in inverno,
aveva tutto l'interesse a restare a lungo con lei dopo aver
consumato il pasto. Il calduccio di un appartamento, per
quanto poco riscaldato, era di gran lunga più gradevole
di un giaciglio di cartoni e coperte. La camera da letto di
Gilberto, sotto i portici di Piazza Garibaldi.
– Ti va di venire da me stasera? – La domanda arrivò
appena Antonietta lo vide riemergere dal piatto di pasta
al ragù su cui si era subito avventato, senza badare troppo
alle regole del galateo. – Così dopo cena ascoltiamo un
po' di musica alla radio e ti racconto qualcosa della mia
vita di attrice. Che ne dici? –

40
IL TESORO DELLA BARONESSA

Gilberto che, quasi senza prendere fiato, si era rituffa-


to su un'abbondante porzione di fusi di pollo e purè, si
era limitato ad annuire col capo.
Sarebbe arrivato verso le 19:30, lei già lo sapeva, con
due confezioni della cena da asporto offerta dai frati cap-
puccini. Avrebbe aggiunto una bottiglia di vino, presa al
discount con una parte delle monetine ricevute ai sema-
fori nel corso della giornata.
Di Gilberto, Antonietta aveva imparato a fidarsi cieca-
mente. Nonostante la lunga barba incolta e un inconfon-
dibile afrore da prolungata astinenza dal sapone, Gilber-
to non avrebbe potuto inquietare nessuno. Lo si poteva
quasi considerare un Babbo Natale clochard.
Fin dall'età giovanile, Antonietta si era sempre trovata
meglio coi maschi che con le compagne di scuola. Ami-
che vere non ne aveva mai avute, forse perché le altre era-
no animate soprattutto dall'intento di soffiarle i ragazzi,
dato il suo particolare talento ad accalappiare subito i più
belli.
Da anziana, la situazione non era molto cambiata. L'u-
nica persona di genere femminile con cui avesse qualche
dialogo era Adelina. Si incontravano al cimitero, quasi
ogni pomeriggio. Entrambe visitavano l'uomo della loro
vita: Adelina il marito, Antonietta il figlio Gabriele.
Ogni volta che si vedevano, ciascuna davanti alla fo-
tografia dell'uomo che più avevano amato, Antonietta ri-
usciva sempre ad indirizzare il discorso sulla prematura
morte di quel figlio che, pur non essendo mai stata in
grado di provarlo, era certa aver concepito durante l'ulti-

41
BRUNO VOLPI

ma notte d'amore con il barone De Fanti.


Se così non fosse stato, quale motivo avrebbe avuto
il barone di nominare anche lei nel suo testamento? La
loro era stata una relazione finita ancor prima di potersi
chiamare tale. Dunque, non ci sarebbe stato motivo per
lasciarle una tale somma. Se non per un figlio che il ba-
rone poteva aver accettato come suo soltanto grazie ad
un estremo ripensamento sopraggiunto nelle ultime set-
timane di vita.
A riportarlo alle sue responsabilità di padre doveva
certamente essere stata la preoccupazione per l'avvici-
narsi dell'incontro col giudice supremo, la consapevo-
lezza che il denaro non gli sarebbe servito per comprare
un'assoluzione.
Lei gli aveva scritto più volte informandolo di quel fi-
glio da crescere che, con ogni probabilità, aveva sangue
blu nelle vene. Non aveva mai ottenuto risposta.
Gabriele lo aveva cresciuto da sola, col denaro che ave-
va messo da parte durante la sua breve carriera di attrice.
E quel denaro sarebbe bastato per vivere entrambi più
che dignitosamente, se non fosse intervenuta la malattia.
Un male subdolo, che ti tormenta nel profondo. Il ragaz-
zo iniziava ad avere sempre più frequentemente forti cri-
si depressive, passava intere giornate senza toccare cibo,
chiuso in camera, rifiutando di parlare con chiunque.
Aveva provato a farlo visitare dai migliori specialisti di
malattie mentali. Ognuno, dopo aver preteso cifre astro-
nomiche, aveva prescritto cure, descritte come miracolo-
se, che poi, alla luce dei fatti, si erano rivelate totalmente

42
IL TESORO DELLA BARONESSA

inutili, se non dannose.


Fino a quell'ultimo giorno, il cui ricordo straziante
ancora la tormentava nei momenti di solitudine. L'im-
magine di quel giovane corpo dalla pelle bianchissima,
immerso in una vasca da bagno colorata di rosso cupo,
non sarebbe più riuscita a scacciarla dalla mente.
Appena compreso cosa era accaduto, aveva urlato,
straziata dal dolore. Spalancando la finestra del bagno
aveva chiesto aiuto a chi passava per strada. Era salito
un vigile che si trovava nei paraggi. Non aveva potuto
fare altro che sorreggerla quando, vinta dalla sofferenza,
aveva perso i sensi.
Così, in un attimo, si era ritrovata terribilmente sola
e inaccettabilmente povera. Una povertà interiore, quel-
la che faceva più male e che l'avrebbe accompagnata in
modo silenzioso per tutta la vita. Una povertà economi-
ca, quella che andava combattuta subito, se voleva prova-
re ad andare avanti anziché lasciarsi vincere dalla tenta-
zione di seguire il figlio verso l'eternità.
E Adelina, forse per pietà umana, forse perché esse-
re solidali nel dolore illude di renderlo più sopportabile,
quasi ogni giorno ascoltava pazientemente il ricordo di
tutte queste angosciose vicende.
Poi, a sua volta, rispondeva, evocando qualche pillola
di felicità vissuta col marito. Poteva trattarsi di un viag-
gio, di un soggiorno in una località delle Dolomiti, meta
costante delle loro vacanze estive, oppure dei due cani
che avevano avuto: Zeus, un possente mastino napoleta-
no, e Hermes, un setter dal tipico manto pezzato.

43
BRUNO VOLPI

Questo scambio di confidenze dal sapore agrodolce


rappresentava il modo consueto di rompere il ghiaccio
quando si incontravano. Subito dopo venivano i pettego-
lezzi e le confidenze personali.
Uno degli ultimi giorni Antonietta aveva buttato lì
una domanda. – Senti, Adelina, ti dispiacerebbe tanto se
un giorno non ci vedessimo più? –
Adelina, conoscendo il passato dell'amica, si era al-
larmata.
– Ohhh! Ma sei matta? Non penserai mica...–
Antonietta l'aveva subito interrotta con una sonora
risata.
– No, no, ma cosa dici? Stai tranquilla che non ne fac-
cio di quelle cose io! So bene quanto dolore si causa. No,
dicevo, se magari andassi ad abitare via, lontano... –
La frase lasciata volutamente in sospeso. Adelina la
osservava con un'aria a metà tra il preoccupato e lo scet-
tico.
– Ma dove li trovi i soldi per andare a vivere da un'al-
tra parte, che non hai nemmeno quelli per mangiare tutti
i giorni? –
– Tu non ti preoccupare. Al momento giusto, vedrai. –

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IL TESORO DELLA BARONESSA

NONO

Barbara stava girando la chiave nella toppa del nuovo


appartamento.
Non era stata una giornata granché faticosa. Eppure,
si sentiva stanca.
Certo, se ci fosse stato Luigi in commissariato tutto
sarebbe stato più naturale per lei. Si sarebbe trovata subi-
to a proprio agio.
Invece lui era ancora a Milano e, aveva saputo da Ful-
vio Bonino, non sarebbe rientrato prima di qualche gior-
no.
Luigi di certo le avrebbe detto cosa fare, come com-
portarsi. Le avrebbe subito assegnato qualche incarico.
L'ispettore Gianetti, invece, anche se si era atteggiato
a comandante che aveva tutto sotto controllo, in realtà le
aveva dato l'impressione di essere un po' perso in assen-
za del suo superiore. Nel primo colloquio l'agente Rossi
aveva percepito in modo chiaro come la prima preoccu-
pazione dell'ispettore fosse di magnificare l'importanza
del ruolo che stava rivestendo, evidenziandone, nel me-
desimo tempo, il carico opprimente di responsabilità ad
esso associato.
Il secondo colloquio l'aveva invece confermata nel so-
spetto che tutte le incombenze relative al suo addestra-
mento fossero state, dallo stesso ispettore, bellamente
subappaltate all'agente scelto Bonino.
Fulvio si era talmente calato nel ruolo che, all'inizio,

45
BRUNO VOLPI

le era risultato persino un po' antipatico. Lei, unica don-


na in un commissariato tutto al maschile, avrebbe voluto
anche un po' di calore umano, di familiarità, quella che,
ne era certa, avrebbe potuto trovare in Luigi.
Fulvio invece aveva esordito interpretando la par-
te del “maestrino”. Le era parso quasi più preoccupato
di far bella figura con l'ispettore e, di conseguenza, col
commissario, grazie ad un perfetto addestramento della
“recluta”, che di farla sentire a proprio agio in quella sua
nuova assegnazione.
Giunti al terzo giorno di “scuola” Barbara era sbottata.
Aveva chiesto a Bonino di accompagnarla a conoscere la
trattoria di Sergino, quella di fronte alla Questura, e, da-
vanti ad un piatto di maccheroni gratinati, gli aveva detto
tutto ciò che pensava.
Glielo aveva detto col tono di chi confida ad un amico
una serie di aspirazioni che sente disattese. Aveva accu-
ratamente evitato di parlargli della sua conoscenza pas-
sata con il commissario Badalotti, ma gli aveva detto che
sperava di essere accolta come persona e non solo come
agente, che aveva bisogno di sentirsi parte di una squadra
anche dal punto di vista umano e non solo addestrativo,
che poteva ben comprendere gli sguardi di diffidenza che
erano calati su di lei in quei giorni da parte di tutti, nes-
suno escluso, ma che avrebbe voluto che fosse stato pro-
prio lui, Fulvio, a suggerirle come guadagnare in fretta la
stima dei colleghi.
Anzitutto la sua.
Bonino l'aveva ascoltata senza alzare gli occhi dal

46
IL TESORO DELLA BARONESSA

piatto, poi era rimasto in silenzio, guardandola con l'aria


di chi avrebbe tanto desiderato assecondarla, ma faticava
incredibilmente a capire come fare.
Lei aveva compreso di averlo messo in serio imba-
razzo, si era scusata e gli aveva proposto di riparlarne il
giorno successivo, magari sempre a pranzo, tanto quel
pomeriggio si sarebbe assentata per sistemare i contratti
delle forniture per il nuovo appartamento e la mattina
successiva avrebbe avuto le visite mediche.
– Mi scusi, signorina, lei è la nuova inquilina del si-
gnor Lepore? –
Barbara si voltò di scatto, con l'istinto del poliziotto
che reagisce con immediatezza a tutto ciò di inatteso che
accade, senza chiedersi se potrà creare pericolo o meno.
La voce apparteneva ad una signora dal viso elegante,
una cascata di capelli grigi che, con ogni probabilità, fino
a qualche istante prima erano raccolti in uno chignon, e
una veste da camera, anch'essa elegante, ma che mostra-
va chiaramente di essere stata usata per un tempo forse
superiore a quanto sarebbe risultato opportuno. Alzan-
do lo sguardo, Barbara notò che dalla porta dell'appar-
tamento accanto filtrava una luce. Quella che aveva di
fronte doveva pertanto essere la vicina di casa.
– Sì, oggi è il mio primo giorno in questo apparta-
mento. – L'anziana signora le risultò subito simpatica.
Aveva il viso di una persona buona. – Mi chiamo Barba-
ra. Piacere di fare la sua conoscenza. –
Così dicendo, tese la mano verso la donna, la quale
la accolse tra le sue, sporgendosi in avanti con un movi-

47
BRUNO VOLPI

mento aggraziato del busto.


– Mi chiamo Antonietta Fusco e abito proprio qui ac-
canto... da sempre! –
Barbara accolse quel “da sempre” quasi come una bat-
tuta di spirito, anche se si era accorta che non era stato
pronunciato col sorriso sulle labbra. La signora le piace-
va “a pelle” e per questo decise di non lasciarsi andare a
dietrologie.
– Sa, io vivo da sola – proseguì Antonietta – e qualche
volta, se vuole, può venire da me, quando desidera, per
un caffè, così facciamo un po' conoscenza... sempre se le
fa piacere, naturalmente. –
Barbara notò che lo sguardo della donna aveva qual-
cosa di implorante, come se davvero questa solitudine
le pesasse oltremodo. In fondo, avere un buon rapporto
con la propria vicina di casa, in una città nella quale le
mancavano ancora i punti di riferimento, poteva avere
indubbi vantaggi.
– D'accordo, Antonietta. Anzi, se non la disturba ver-
rei questa sera stessa, dopo cena. –
Vide la donna irrigidirsi. Abbassando il capo, come
imbarazzata, le rispose: – Questa sera non potrei. Mi di-
spiace, ma ho un impegno. Mi avrebbe fatto piacere, ma
proprio non posso. Mi dispiace tanto. Davvero. Mi creda!

Poi, tornando a guardare Barbara negli occhi, lasciò
nuovamente che sulle sue labbra minute ricomparisse un
sorriso, mostrando una dentatura ancora sana, anche se
non proprio curatissima.

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IL TESORO DELLA BARONESSA

– Ma se volesse venire domani, a me farebbe davvero


molto piacere. Davvero tanto, tanto piacere. Nell'ora che
le sarà più comoda. L'aspetterò. –

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BRUNO VOLPI

DECIMO

Alessandria, 13 dicembre, ore 9:00

L'agente scelto Fulvio Bonino era arrivato in commis-


sariato molto presto quella mattina.
Dopo essere stato alcuni mesi in una camera in affit-
to in prossimità del commissariato, appena gli era sta-
to confermato che quella di Alessandria sarebbe stata la
sua destinazione per diversi anni, aveva deciso di cercare
casa fuori città. Per quanto il livello di traffico e di caos di
una realtà di provincia come Alessandria non fosse mi-
nimamente paragonabile a quello di una metropoli come
Torino o Milano, per non parlare di Genova, dove, tra
svincoli e autostrade, si rischiava di restarci inghiottiti,
quei pochi giorni di vita in centro lo avevano provato nel
fisico e nello spirito.
Allontanandosi dalla città per visionare alcune pro-
poste trovate tra gli annunci che iniziavano con la parola
“Affittasi”, era stato costretto a constatare come la campa-
gna nei dintorni del capoluogo non avesse nulla di para-
gonabile con le sue montagne d'origine.
– Se raccontassi ai miei amici che dalla Valle del Lys
sono passato alla bassa Valle Bormida, sai quante risate
si farebbero! – aveva pensato nel momento in cui aveva
firmato un contratto di affitto per il piano terra di una
villetta bipiano a Castellazzo Bormida. Il proprietario
aveva deciso di affittarla essendosi rassegnato al fatto che

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IL TESORO DELLA BARONESSA

il figlio e la nuora avessero scelto, con la scusa del matri-


monio, di andare a vivere in città.
Il paese era risultato un buon compromesso tra quello
che lui avvertiva come “caos cittadino” e il totale isola-
mento in cui gli sarebbe piaciuto risiedere, come aveva
fatto da ragazzo quasi ogni estate quando col padre e i
fratelli salivano in malga per il pascolo ad alta quota.
Castellazzo Bormida rappresentava una giusta via
di mezzo. Non troppo grande per risultare caotico, non
troppo piccolo per non poter fornire i servizi di cui si
può aver bisogno quotidianamente. E poi era pratica-
mente alla fine della tangenziale cittadina, quindi anche
gli spostamenti erano facilitati.
Fulvio, poi, per non rischiare di arrivare in ritardo al
lavoro, magari per qualche improvviso e inatteso intrap-
polamento nel traffico, partiva da casa ad ore antelucane
e, di conseguenza, quasi ogni giorno, arrivava davanti al
commissariato molto prima di quanto sarebbe stato ne-
cessario.
Così aveva preso l'abitudine di andare a prendere un
caffè al bar all'angolo, lo stesso dove, molto più tardi, era
solito passare il commissario Badalotti, animato dallo
stesso desiderio di una scossa mattutina.
Quella mattina però, all'agente scelto Fulvio Bonino,
il caffè aveva procurato forti bruciori di stomaco. Lui, al-
meno, aveva deciso di attribuirne la causa all'eccessiva
concentrazione di caffeina.
In realtà sapeva bene che l'origine di quel fastidio era
un'altra.

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BRUNO VOLPI

Che cosa aveva sbagliato nell'approccio con l'agente


Barbara Rossi?
Bonino se lo andava chiedendo dal pomeriggio del
giorno precedente. Dal momento in cui, cioè, Barbara gli
aveva esternato tutta la sua insoddisfazione per come era
stata accolta dai nuovi colleghi, lui compreso, e soprat-
tutto gli aveva fatto capire di desiderare da lui un diverso
atteggiamento.
Già, ma quale?
Quando l'ispettore Gianetti, alcuni giorni prima, lo
aveva incaricato dell'accoglienza e della formazione del
nuovo collega che sarebbe arrivato il giorno successivo,
lui si era preparato scrupolosamente su ogni cosa che
avrebbe dovuto dire e fare.
Si sentiva pronto su tutto. Su tutto, tranne che sul fatto
di trovarsi davanti una donna. Per giunta anche brillante,
forse simpatica, e con due occhi stupendi.
Per un attimo gli erano cedute le gambe.
Poi, da valdostano duro e puro quale era, aveva subito
ritrovato il giusto rigore che si addiceva, almeno questa
era la sua opinione, ad un rapporto di lavoro con una
collega. Un rapporto che doveva essere improntato alla
serietà, al rispetto e soprattutto ad un certo distacco.
– Sì, perché due occhi come quelli ti possono anche
fregare. – si era detto dopo qualche momento di esita-
zione.
E allora, cos'è che aveva sbagliato?
Ripensando a quello che Barbara aveva detto il giorno
precedente, un pensiero si stava facendo largo nella neb-

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IL TESORO DELLA BARONESSA

bia dei dubbi. Aveva parlato di bisogno di calore umano.


Forse non cercava soltanto un bravo agente, esperto
della vita di quel commissariato.
Barbara cercava qualcuno al suo livello gerarchico di
cui potersi fidare e, soprattutto, con cui potersi confidare.
Qualcuno a cui rivolgersi liberamente anche fuori dall'o-
rario di servizio per qualsiasi problema, o dubbio.
Insomma, un amico.
Ripensò alla proposta che lei gli aveva fatto il giorno
precedente.
– Ne riparliamo domani a pranzo, se vuoi... se ti va di
pranzare ancora con me... se sei libero, insomma. –
Lui, ancora in confusione totale per le cose che lei ave-
va detto, si era limitato ad annuire.
Si disse che la cosa da fare sarebbe stata accettare l'in-
vito e confidarle ciò che aveva capito della sua richiesta.
Spiegarle che anche lui avvertiva il desiderio di essere più
che un semplice collega. Poi, se nel corso del pranzo si
fosse presentato il momento propizio, avrebbe persino
potuto dirle che anche lui, che era sempre stato un po' un
“lupo solitario”, sarebbe stato ben felice e onorato della
sua amicizia.
– Ora, però, concentriamoci sul lavoro! – si disse, qua-
si scuotendosi da quell'ultimo pensiero, da cui si stava
facendo cullare, rischiando di perdere la concentrazione
che un poliziotto deve costantemente mantenere.
C'era, infatti, un fascicolo d'indagine che lo stesso
Badalotti gli aveva affidato prima di partire. Il caso del
ladro, perché dalle videocamere di sorveglianza avevano

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BRUNO VOLPI

visto che si trattava di una sola persona, e sempre la stes-


sa, che da alcune settimane stava prendendo di mira gli
esercizi cittadini, subito dopo l'orario di chiusura.
Le modalità di esecuzione erano sempre le stesse: en-
trava in azione circa un'ora dopo che i proprietari aveva-
no lasciato il locale. Fracassava le vetrine, penetrava nel
locale e arraffava qualcosa, a volta il poco denaro lasciato
in cassa, altre volte ciò che gli capitava a tiro. Dopo non
più di cinque minuti, usciva e si dileguava.
Nonostante il questore, su indicazione del prefetto,
avesse disposto di aumentare la sorveglianza serale e not-
turna, gli eventi criminosi erano proseguiti senza che le
forze dell'ordine fossero riuscite a cogliere in flagranza il
malvivente.
L'agente Bonino aprì il fascicolo che gli era stato mes-
so a disposizione. Conteneva le dichiarazioni dei vari
esercenti che avevano patito i furti con scasso e diverse
immagini estratte dai tracciati delle fotocamere di sor-
veglianza poste nei dintorni, che ritraevano una figura
dalla corporatura esile, con un giubbotto nero e dei jeans
stinti, un passamontagna a coprire il viso, nell'atto di in-
frangere le vetrine o di uscire con la refurtiva.
Unico elemento distintivo: sui guanti che indossava il
malvivente era stampato uno stemma che qualsiasi biker
avrebbe riconosciuto immediatamente. Per i non esper-
ti, invece, era stata posta una scritta alla base del guanto
stesso: “Harley Davidson”.

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IL TESORO DELLA BARONESSA

UNDICESIMO

– Oh, Mohammed, lo sai che ieri sera sono stato a


cena dalla baronessa? –
Gilberto Caruso si era seduto al tavolo con Moham-
med Fawzy, un giovane magrebino che fino a qualche
anno prima ogni italiano medio avrebbe definito “vu
cumprà”.
Mohammed aveva abbandonato da diversi mesi i con-
sueti accendini, fazzoletti e oggetti vari che da sempre
popolavano i sacchi dei venditori ambulanti in giro per i
locali della città.
Aveva deciso, o forse gli era stato imposto, ma non lo
avrebbe mai rivelato, neppure sotto tortura, di dedicarsi
alla vendita dei fiori. Anziché col solito sacco sulle spal-
le, solitamente traboccante di oggetti di ogni tipo, lo si
vedeva vagare con un grosso secchio colmo di mazzi di
fiori di vario genere, diversi a seconda delle stagioni.
La stagione invernale e l'avvicinarsi delle festività ave-
vano trasformato il suo secchio in una gerla di propo-
ste natalizie; dai rami con bacche di agrifoglio e foglie di
melograno dorate, ai mazzi con pino e spighe glitterate
in rosso.
Aveva sperato che l'avvicinarsi del Natale avrebbe
contribuito ad aumentare le vendite in modo significa-
tivo, ma così non sembrava. Immerso nelle sue preoc-
cupazioni e nei ricordi della famiglia rimasta al di là del
Mediterraneo, non si era neppure accorto che Gilberto si

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BRUNO VOLPI

era seduto a tavola proprio di fronte a lui.


– Perché tu chiami signora Antonietta con nome di
baronessa? –
– La chiamano tutti così. Non ti ha mai raccontato
la storia del suo fidanzamento con un barone? Era uno
pieno di soldi, ma a lei non è rimasto niente. Come avrà
fatto a diventare una di noi! –
– Signora è donna brava. Anche se povera, compra
sempre fiori per sua casa. Io qualche volta regala perché
lei tanto gentile. –
– Quindi invita anche te a casa sua? Ma te la soppor-
ti? Ieri sera mi ha fatto una testa così a parlare del figlio
morto. Non la finiva più. Se non facesse un bel caldo in
quell'alloggio, giuro che non ci andrei nemmeno morto.

– Signora tanto triste per morte di figlio. Lei racconta
spesso storia di figlio perché così soffre meno. –
– Bravo Mohammed, pensi davvero di essere furbo
solo tu, eh? Questo l'avevo capito anch'io, ma perché
deve rompere le balle con le sue storie? –
Mohammed decise di non ribattere. Tutti sapevano
che a Gilberto piaceva provocare; così, la maggior parte
delle volte, non replicavano alle sue sparate.
Si concentrò sul filetto di merluzzo con le patate lesse
che aveva davanti. Lui dalla baronessa andava una volta
alla settimana. L'aiutava quando c'era da fare qualche la-
voretto in casa e lei in cambio gli lavava e rammendava
i vestiti.
Sentiva che gli voleva bene, quasi come ad un figlio.

56
IL TESORO DELLA BARONESSA

E a lui, che la madre non la vedeva da più di due anni,


questa cosa faceva un gran piacere. L'ultima volta, lei gli
aveva persino detto: – Quando un giorno diventerò ric-
ca, ti regalerò un intero negozio di fiori. –
Lui si era fatto una risata, ma gli era parso di nota-
re una luce strana negli occhi di Antonietta, come se
quell'affermazione lei la considerasse una promessa, più
che una battuta scherzosa.
C'erano stati alcuni istanti di silenzio tra loro, poi
Mohammed, per rompere il ghiaccio, aveva esclamato,
ridendo: – Ma tu come fa a diventare ricca, signora! –
Antonietta, però, anziché ribattere con tono altrettan-
to scherzoso, come di certo aveva mostrato di saper fare
in altre occasioni, era rimasta in silenzio. Sembrava che
la sua mente si trovasse in un mondo fantastico, a mille
miglia da quel piccolo monolocale. Poi, una volta recupe-
rata la connessione con il mondo reale di povertà in cui
viveva, si era riscossa e aveva subito cambiato discorso.
– Allora, ragazzi, forza che qui dobbiamo sparecchia-
re per lasciare il posto ad altri amici! –
L'esortazione era giunta da Nicoletta, una delle vo-
lontarie più presenti, e forse più amate, dai “clienti” del-
la Mensa Tavola Amica. Pur avendo quasi settanta anni,
conservava la verve di una ragazza di diciassette. Sempre
sorridente e cordiale, sapeva essere anche energica quel
tanto che serviva per garantire il buon funzionamento
della mensa di via delle Orfanelle.
Mohammed il suo filetto di merluzzo lo aveva già ter-
minato da tempo. Il suo dirimpettaio, al contrario, era

57
BRUNO VOLPI

ancora nel pieno del combattimento ingaggiato con la


polenta e lo spezzatino di manzo.
– Eh, che fretta c'è? Bisogna pur finire di mangiare. Lo
sai che avanzare il cibo non va bene? –
Gilberto aveva replicato senza neppure arrestare per
un istante la sua personale sfida a quei pezzi di carne che
faticava un po' a masticare, anche per via di una dentatu-
ra largamente incompleta.
– Verissimo mio caro, ma tanto lo so che con te non
corriamo questo rischio. Ora, però, fai in fretta, sei sem-
pre il più lungo a mangiare! –
– Perché a me piace gustarla la cucina di questo ri-
storante di lusso! – dichiarò Gilberto ridacchiando. Poi
aggiunse: – Di' un po', non si è vista oggi la baronessa? –
– No, ha detto che oggi aveva degli affari da sbrigare. –
– Ieri sera ero a casa sua, ma non mi ha mica detto
niente. Certo che è proprio strana quella lì! – Detto que-
sto, Gilberto afferrò la banana che aveva preso dall'area
del self–service destinata alla frutta e, dopo averla infila-
ta nello zaino, si allontanò borbottando, come era solito
fare.

58
IL TESORO DELLA BARONESSA

DODICESIMO

L'incontro con il notaio era stato meno imbarazzante


di quanto Antonietta avesse temuto.
Maurizio, l'impiegato del patronato a cui si era rivol-
ta appena ricevuta la raccomandata che le comunicava i
dettagli del lascito testamentario, si era offerto di accom-
pagnarla, ma lei aveva preferito andare da sola.
Antonietta era consapevole che tanto, prima o poi, si
sarebbe diffusa la notizia che aveva ereditato una bella
cifra, e sapeva pure che molte cose sarebbero cambiate.
La sua, però, più che una speranza, in verità, era una pre-
occupazione.
I soldi, lo aveva sperimentato lei stessa molte volte,
cambiano drammaticamente i rapporti tra le persone. Se
non hai il becco di un quattrino, hai la certezza che le
persone non stiano con te per interesse, che i rapporti
siano genuini.
Da quanto aveva letto sui giornali o ascoltato alla ra-
dio, Antonietta aveva maturato l'idea che le fortune ac-
cumulate in breve tempo spesso hanno l'effetto di una
catastrofe, un terremoto che fa crollare in un attimo tutto
ciò che di sano e solido era stato costruito prima.
Per questo aveva intenzione di chiedere al notaio al-
cune informazioni, magari anche un consiglio, su cosa
avrebbe potuto fare di quel denaro. Aveva pensato che
sarebbe stato più saggio farlo senza testimoni, perché ciò
che aveva in mente era assai diverso dai progetti che ci si

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BRUNO VOLPI

sarebbe potuto attendere da un'ereditiera.


Non che non si fidasse di Maurizio. Quando avevano
esaminato insieme la convocazione notarile per la comu-
nicazione delle volontà testamentarie del barone Luigi
Vittorio Amedeo De Fanti, lui si era dimostrato molto
competente in questo tipo di questioni, spiegandole in
dettaglio come sarebbe avvenuto il processo di trasfe-
rimento dei beni o del denaro ereditati e quali azioni
avrebbe dovuto intraprendere lei per poter poi usufruire
di questa eredità.
D'altronde di rivolgersi al patronato e, in particolare,
al sig. Maurizio era stato don Lorenzo a consigliarglielo.
E lei di don Lorenzo aveva imparato a fidarsi, per come
sapeva parlare al cuore delle persone, per il rispetto che
mostrava verso chiunque, che si fosse trattato del Presi-
dente della Repubblica o dell'ultimo tra i derelitti che si
presentavano quotidianamente alla Caritas per chiedere
qualche tipo di sostegno.
Ora che finalmente sapeva che l'eredità consisteva in
un capitale di cinquecentomila euro, che avrebbe potuto
incassare in un'unica tranche, trasformare in un vitalizio
di venticinque mila euro all'anno per vent'anni, oppure
convertire in beni immobili, si sentiva più tranquilla.
Al notaio Antonietta aveva anche parlato delle inten-
zioni che aveva maturato riguardo all'utilizzo di quel de-
naro. Un progetto che le era balenato nella mente quando
aveva iniziato a fantasticare sull'eredità di cui era diven-
tata destinataria. Ne aveva parlato con Carletto, ma più
lui cercava di convincerla a trattenerne per sé una parte

60
IL TESORO DELLA BARONESSA

cospicua, più lei si convinceva che invece, in fondo, tanti


altri avrebbero avuto più bisogno di lei di quei soldi. D'al-
tronde, come sosteneva Carletto, lei era una gran testona.
Carlo Menapace, che lei aveva sempre continuato a
chiamare Carletto, fin da quando erano stati compagni
di scuola alle medie, con l'aggiunta di un flirt, di quelli
che si potevano avere a tredici anni negli anni Sessanta,
era il suo confidente segreto.
Dal giorno in cui lei era partita per Roma, per intra-
prendere la carriera di attrice, non si erano più rivisti.
Poi, un giorno, mentre era in coda per il pasto alla mensa
della Caritas, si era sentita chiamare per cognome: era
lui.
Professore di liceo molto impegnato nel sociale, ave-
va portato degli scatoloni di cibo a lunga conservazione
che avevano raccolto in parrocchia. Per un attimo si era
stupito che fosse proprio lei, che fosse proprio lì. Subito
dopo si erano stretti la mano e scambiati quattro frasi di
circostanza.
Giunto il turno di Antonietta, si erano congedati con
la promessa di rivedersi con più calma. Ma, quando lei
era uscita dopo il pranzo, lui era lì ad attenderla. Davanti
ad un caffè si erano raccontati le loro vite e da quel mo-
mento lei lo aveva eletto a confidente speciale. E ora che
era in pensione aveva certamente più tempo da dedicarle.
Così, quello che aveva esposto al notaio per capire se
era concretamente realizzabile, era un progetto di utiliz-
zo dell'eredità che teneva sì conto delle indicazioni del
professor Menapace, ma con una riduzione significativa

61
BRUNO VOLPI

della cifra che avrebbe trattenuto per sé.


Il progetto era di quelli semplicissimi da descrivere,
forse meno da realizzare: del denaro ereditato, avrebbe
destinato una minima quota ad un fondo di garanzia per
la propria vecchiaia e messo a disposizione tutto il resto
per gli amici “derelitti” e per le istituzioni che si occupa-
vano di loro.
Tanto lei, ormai, si era abituata a quella vita e non si
sarebbe sentita di certo più felice a vivere da signora con
la “s” maiuscola.
Certo, i primi giorni dopo aver ricevuto la raccoman-
data dal notaio, aveva fantasticato di viaggi in paesi lonta-
ni, di quelle lussuose comodità che aveva solo assaporato
durante i mesi in cui era stata la prediletta del barone. La
tentazione era stata grande.
Poi, però, col passare dei giorni, tra una pagina e l'altra
di un libro della Christie, ricercando l'ultimo sole autun-
nale sulle panchine di Piazza Genova, aveva compreso
che, in fondo, il suo mondo era quello, con i pranzi alla
mensa della Caritas e quelle strane cene nel suo apparta-
mentino, ogni sera con un amico diverso.
Il notaio le aveva suggerito di gestire il denaro attra-
verso una banca e di istituire dei bonifici mensili a be-
neficio della Caritas Diocesana, indicando quali amici
avrebbero potuto beneficiare di quel denaro, trasforman-
done il vagabondaggio in una vita dignitosa.
Sarebbero stati loro, per una volta, ad invitare a cena
lei.
E, dato che di eredi che potessero recriminare un

62
IL TESORO DELLA BARONESSA

qualche diritto su quei soldi non ne erano rimasti, si sen-


tiva libera di poterne disporre come aveva progettato in
quegli ultimi giorni.
Camminando verso casa si sentiva felice. Finalmente
avrebbe potuto contribuire a rendere più umana la vita
di diverse persone di cui aveva avuto modo di conoscere
i disagi e le sofferenze durante le loro confessioni serali,
seduti al tavolo del suo monolocale, con ancora davanti i
piatti della cena consumata insieme.
D'un tratto, le tornò in mente una frase di don Lo-
renzo. Quando lei gli aveva confidato dell'eredità di cui
avrebbe beneficiato a breve, fantasticando su una proba-
bile somma di denaro con cui eventualmente aiutare an-
che l'opera che il sacerdote e i volontari svolgevano quo-
tidianamente, lui, quasi inspiegabilmente, le aveva detto:
– Antonietta, mi raccomando, non dimenticare che con i
soldi il demonio riesce a comprare anche il cuore! –
Lei, sul momento, aveva pensato che si trattasse di
un'esortazione a utilizzare bene, e non in modo egoi-
stico, il denaro o i beni che avrebbe ereditato. Ora, che
aveva progettato il modo giusto di farlo, le stava venendo
il sospetto che Satana avrebbe potuto comprare, invece,
qualcun altro. Qualcuno che, sapendo che lei disponeva
di una cifra importante, avrebbe lasciato campo libero al
demonio che albergava dentro di lui per impossessarse-
ne.

63
BRUNO VOLPI

TREDICESIMO

– Sono proprio contenta che abbia accettato il mio


invito, signorina Barbara. Se non ci si fa un po' di com-
pagnia tra vicini... –
Barbara Rossi era rientrata in ufficio, dopo le visite
mediche del mattino, rinfrancata dal chiarimento che
aveva avuto con Fulvio Bonino durante la pausa pranzo.
L'avevano trascorsa, come il giorno precedente, alla trat-
toria di Sergino, il quale, date le temperature e la giorna-
ta nebbiosa, aveva pensato bene di riscaldarli e deliziarli
con una pasta e fagioli a cui mancava solo la parola, con
le costine di maiale e un po' di olio al peperoncino per
enfatizzare il sapore.
Una pasta così non la si poteva accompagnare che con
un buon calice di Barbera Superiore, 14,5 di gradazione.
E questo avevano fatto.
Nessuno avrebbe mai saputo se quella leggiadria pa-
pillare avesse favorito il dialogo tra i due. Di fatto, però,
a Fulvio erano subito venute le frasi giuste, lui che non
aveva certo l'attitudine da oratore, tutt'altro. E Barbara,
che si era chiesta varie volte se il giorno precedente aves-
se fatto bene o no a rivolgersi a lui in maniera così diretta
e, forse, un po' pretenziosa, si era rassicurata sul fatto di
non aver rovinato quella che poteva essere la sua prima
vera amicizia alessandrina.
Già, perché il rapporto con Luigi non lo considerava
propriamente un'amicizia. E poi, la relazione tra di loro

64
IL TESORO DELLA BARONESSA

non aveva di certo origini alessandrine.


Il pomeriggio se ne era andato rapidamente e senza
troppi intoppi. Prima di rientrare a casa si era fatta un po'
di spesa al supermercato all'inizio di via Dante Alighieri,
del quale gli alessandrini, malgrado non fossero Guelfi
Neri, ne avevano però esiliato il cognome, chiamandola,
da sempre, soltanto via Dante.
Mentre camminava verso casa le era tornato in mente
l'invito che la sera prima le aveva rivolto la sua vicina di
casa.
– Massì, dopo cena le suonerò il campanello un mo-
mento – aveva pensato mentre cercava le chiavi del por-
tone – mi sembra una donna tanto sola. Mi ha fatto pro-
prio tenerezza ieri sera! –
E così aveva fatto, intorno alle ventuno.
– Entri pure, signorina Barbara. Qui siamo un po'
allo stretto, ma così fa un bel calduccio. Gli appartamenti
grandi sono più difficili da scaldare. Ho appena finito di
ascoltare il giornale radio. Succedono sempre tante cose
brutte nel mondo. –
Barbara si stava guardando intorno. Escludendo il ba-
gno, a cui si accedeva da una porticina a fianco all'entra-
ta, il monolocale che aveva di fronte rappresentava l'inte-
ro appartamento della sua vicina. Sul fondo, in direzione
della porta finestra che dava su un piccolo terrazzino,
c'era la zona cucina, con un vecchio frigorifero, di quelli
bianchi che si usavano un tempo. Accanto al frigo, un
forno con il piano cottura, anch'esso di metallo smaltato
bianco, con sopra due pensili, bianchi anche quelli. Il la-

65
BRUNO VOLPI

vello e lo scolatoio erano in marmo. Di fronte un tavolo


in formica accostato al muro, con tre sedie ai tre lati uti-
lizzabili.
Vicino alla porta d'ingresso la cosiddetta zona notte,
con un letto a una piazza che fungeva anche da divano e
accanto una vecchia poltrona in velluto.
Tutta la stanza prendeva luce da un lampadario con
una calotta grigia e una lampada al centro che emana-
va una luce abbastanza fioca. Nessun televisore, solo una
grossa radio modello anni ‘60, appoggiata su una specie
di comodino da notte.
Davanti alla radio, a raccontare che il Natale si stava
avvicinando a grandi passi, la padrona di casa aveva di-
sposto un piccolo presepe peruviano, di quelli che solita-
mente si trovano nelle botteghe etniche o del commercio
equo–solidale.
– Ecco, lui è Poirot! – Antonietta stava indicando a
Barbara un cagnolino marrone che si avvicinava con fare
prudente per annusarla. – Non si preoccupi, non fa nien-
te. Al massimo, se le trova simpatica, come penso, le lec-
cherà la mano. Spero che non le dia fastidio, altrimenti lo
allontano. –
Barbara, senza rispondere, si chinò per carezzare Poi-
rot. E subito il bastardino dal pelo marrone e la macchia
bianca intorno all'occhio iniziò a inondarle la mano di
leccate.
– Tenga, signorina. Si asciughi la mano. Poirot, adesso
lascia in pace la signorina, abbiamo capito che ti è sim-
patica! –

66
IL TESORO DELLA BARONESSA

Antonietta Fusco aveva porto a Barbara una salvietta


umidificata che profumava di colonia.
– Non è certo una reggia questo piccolo alloggio, ma
io mi ci trovo bene. Ho tutto ciò che mi serve, Poi sa,
signorina, non ho neppure bisogno della televisione per-
ché non avrei nemmeno il tempo per guardarla. A me
piace leggere, ho tutta la collezione di Agatha Christie,
guardi! – Antonietta Fusco aveva aperto l'anta di un pic-
colo armadio che, oltre a qualche abito, in verità pochi,
conteneva diverse file di volumi tascabili, il cui dorso
mostrava chiaramente come fossero tutti opera della cre-
atività della famosa giallista britannica.
Barbara, che non era ancora riuscita a proferire nep-
pure una parola, tanto pareva un fiume in piena l'anziana
signora, si sentiva un po' imbarazzata.
Era evidente che la donna che aveva di fronte non
navigasse nell'oro. Ciò nonostante, da quello che la cir-
condava, traspariva il desiderio di presentarsi agli altri
sempre in modo dignitoso.
– Antonietta, lasci stare “signorina”, mi chiami sem-
plicemente Barbara. Se vogliamo diventare buone vicine,
e a me farebbe piacere, dobbiamo lasciare da parte le for-
malità. –
– Volentieri, allora venga Barbara, si accomodi dove
preferisce. Le fa piacere un caffè? –
– La ringrazio, ma non lo prendo mai la sera, altri-
menti faccio fatica ad addormentarmi. –
L'anziana signora raccolse l'affermazione della sua
giovane ospite con un certo scetticismo.

67
BRUNO VOLPI

– Sono le preoccupazioni a non lasciarci dormire, non


la caffeina, mia giovane amica. –
– E lei fatica ad addormentarsi, Antonietta? –
La domanda le era uscita così, istintivamente. Si era
subito chiesta se non fosse sembrata un po' troppo im-
pertinente. Per fortuna la Fusco aveva sorriso, le aveva
preso una mano tra le sue e aveva subito soddisfatto la
sua curiosità.
– C'è stato un tempo in cui faticavo a dormire. Un
tempo in cui ho tanto sofferto. Ma ora no, ora sono tran-
quilla. –
– Le farebbe piacere parlarmene? –
Antonietta non se lo fece dire due volte ed iniziò a
raccontare la storia che a tutti i suoi ospiti, prima o dopo,
era capitato di ascoltare. Una storia che raccontava di un
amore quasi impossibile, di un figlio tanto amato e poi
rapidamente perduto, delle veglie a pregare perché non
soffrisse troppo, delle notti insonni a pensare se e dove
sarebbe esistita un'opportunità per riempire il vuoto la-
sciato dalla sua scomparsa.
Barbara, dal canto suo, le aveva raccontato dei suoi
primi passi in Polizia, omettendo però il motivo per cui
aveva deciso di entrarvi. Quello lo custodiva nel proprio
cuore e solo Luigi lo avrebbe potuto comprendere.
– Deve essere emozionante condurre una vera indagi-
ne! – Antonietta lo aveva esclamato con grande entusia-
smo, aggiungendo poi: – Io cerco sempre di capire quali
tecniche investigative ci sono nei libri di Agatha, perché
le storie poliziesche mi appassionano. –

68
IL TESORO DELLA BARONESSA

– Beh, si sta facendo tardi. Ora vado, le ho già rubato


troppo tempo. –
– Oh, non si preoccupi per me. Comunque, capisco
che voi poliziotti dovete essere pronti ad intervenire a
qualsiasi ora, quindi la lascio andare. –
Le due donne si congedarono augurandosi la buona-
notte. Poi, mentre Barbara stava girando la chiave nella
toppa della porta di casa, Antonietta, che ne aveva se-
guito ogni movimento con lo sguardo, lanciò alla nuova
amica un ultimo invito: – Le sarei grata se potesse passa-
re da me anche domani sera. Vorrei raccontarle una cosa
un po' riservata. –
Barbara non rispose. Si limitò a sorridere e fare un
cenno di saluto con la mano. Poi scomparve, richiuden-
dosi la porta alle spalle.

69
BRUNO VOLPI

QUATTORDICESIMO

Milano, 14 dicembre, ore 12:00

L'impiegato dell'agenzia, a cui Badalotti aveva affidato


la vendita degli immobili posseduti dai suoi genitori, si
era appena congedato, promettendo che si sarebbe impe-
gnato a fondo per trovare un acquirente in tempi brevi.
Luigi gli aveva mostrato il piccolo appartamento che,
appena chiuso il processo di successione, avrebbe eredi-
tato, come pure i locali del negozio sottostante.
Rimasto solo, Badalotti iniziò a guardarsi attorno, cer-
cando di mettere a fuoco ogni minimo particolare.
Questa volta, però, non si trattava di deformazione
professionale, ma di bisogno di tornare agli affetti di un
tempo.
In quel piccolo alloggio Luigi era entrato quando ave-
va pochi giorni di vita e ne era uscito quando era entrato
in Polizia. In quel piccolo alloggio aveva giocato con la
prima scatola di mattoncini per costruire, ricevuta al suo
quarto Natale dagli zii che abitavano sul lago di Como.
In quel piccolo alloggio sua madre preparava, all'inizio di
ogni estate, una settimana circa dopo la fine della scuola,
la valigia per la vacanza del suo adorato Luigi.
In realtà si trattava di una vacanza molto sui–generis.
Non potendo permettersi una villeggiatura di fami-
glia, i coniugi Badalotti mandavano il figliolo a trascor-
rere alcune settimane presso una prozia di Alessandria,

70
IL TESORO DELLA BARONESSA

la quale, essendo senza figli e ormai vedova, non vedeva


l'ora di poter godere, per svariati giorni, della compagnia
dell'adorato pronipote.
Era stata proprio zia Mariolina a fargli conoscere la
città, trascinandoselo dietro per chilometri in giro per
il centro con il miraggio di un cono gelato. Gli sarebbe
piaciuto poter passare ancora del tempo con lei, ora che
era tornato nella città tra i due fiumi. La zia, però, era
mancata proprio l'anno prima della sua assegnazione al
commissariato alessandrino.
E ora che anche la madre lo aveva lasciato, Luigi av-
vertiva palpabile la totale assenza dei legami affettivi che
avevano colorato la sua infanzia.
Nel pomeriggio avrebbe lasciato la città per fare ritor-
no ad Alessandria. Il giorno successivo avrebbe ripreso
a dirigere il commissariato della città, a cui era stato as-
segnato tre anni prima, dopo averne trascorsi otto, in-
dimenticabili, a Bordighera, la sua prima esperienza da
commissario.
Prima di incontrare l'agente immobiliare aveva fatto
un giro a piedi per rivedere un po' la sua città natale. Par-
tito dall'abitazione in zona Corvetto, aveva risalito Corso
Lodi e poi Corso di Porta Romana, aveva costeggiato la
Torre Velasca e proseguito diritto, fino a quando non si
era trovato di fronte l'inconfondibile sagoma del Duomo.
Indubbiamente la città conservava il fascino di un
tempo, ma l'aveva trovata molto più caotica della Milano
a cui era abituato da giovane. Aveva avvertito quella che
molti chiamano “frenesia da Natale”.

71
BRUNO VOLPI

Osservava le persone procedere a passo sostenuto,


spesso con grandi borsoni che riportavano il logo o la
scritta del negozio di provenienza. La maggior parte del-
le persone mostrava un'incomprensibile, almeno per lui,
dipendenza dal cellulare.
C'era chi ne fissava intensamente lo schermo, come
ad attendere chissà quale rivelazione da quel rettangolo
luminoso. Altri invece, convolti in accese telefonate, lo
tenevano accostato all'orecchio oppure davanti al viso, a
seconda che avessero deciso di regalare all'interlocutore
solo la voce o anche la parte video di loro stessi.
Tutti sembravano completamente estraniati dal mon-
do che li circondava.
– Potrei morire qui, per strada, e di certo nessuno se
ne accorgerebbe! – pensò il commissario.
Più avanzava verso Piazza Duomo e più trovava fa-
stidioso il tripudio di decorazioni, di luci e di suoni con
cui l'amministrazione e i negozianti stavano tentando di
trasmettere ai milanesi e a tutti i forestieri lo spirito di
festa del Natale. Quell'atmosfera natalizia, creata artifi-
cialmente, era in evidente contrasto con la tristezza silen-
ziosa che lo stava attanagliando da qualche giorno.
Non che avesse un'avversione nei confronti del Na-
tale. Anzi, trovava che il messaggio di un Dio che aveva
scelto di nascere in totale povertà fosse dirompente.
Questo messaggio, però, era ormai talmente diluito in
un cocktail di pacchetti regalo e decorazioni “Made in
China” da non permettere più neppure di avvertire quel
profumo di muschio che aveva caratterizzato le mattine

72
IL TESORO DELLA BARONESSA

di Natale della sua infanzia, quando, correndo ad osser-


vare il presepe, scopriva che Gesù era veramente nato e se
ne stava lì, buono buono, a scaldarsi tra il bue e l'asinello.

73
BRUNO VOLPI

QUINDICESIMO

Alessandria, 14 dicembre, ore 16:00

L'ispettore Mario Gianetti, in vista dell'imminente ri-


entro in servizio del suo superiore, ben sapendo che, al di
là degli eventi luttuosi accaduti, Badalotti sarebbe senza
dubbio tornato quello di sempre, stava tentando di im-
bastire una nota di sintesi di quanto accaduto nei giorni
della sua assenza.
Questo compito, all'apparenza semplice, gli stava però
creando un'immotivata agitazione. Quasi come uno stu-
dentello, di fronte ad un compito in classe che si stava
rivelando più complesso del previsto, alternava momenti
di totale vuoto mentale, ad altri in cui i punti da inserire
nella nota arrivavano così veloci da non riuscire a frenare
in tempo per fermarsi nella sua mente.
Era il solito problema del rapporto tra lui e il com-
missario, un problema che si trascinava dal giorno di tre
anni prima in cui Badalotti aveva preso il comando di
quel commissariato.
Gli era apparso subito evidente come il suo diretto su-
periore avesse un modo di intendere la vita ben diverso
dal suo. Per meglio dire: due visioni esattamente agli an-
tipodi.
Badalotti aveva mostrato fin da subito di non gradi-
re le attenzioni che Gianetti era solito riservare alle rap-
presentanti dell'universo femminile. E, come se non ba-

74
IL TESORO DELLA BARONESSA

stasse, detestava tutto ciò da cui l'ispettore si sentiva più


attratto: palestra, sport estremi, auto scattanti, locali alla
moda.
Il fato, poi, ci aveva messo più volte lo zampino, con-
ducendo lo sventurato ispettore ad ipotesi investigative
sbagliate proprio nelle indagini più importanti che erano
capitate negli ultimi anni. E questo non aveva certo con-
tribuito a rendere più sciolto e fraterno il loro rapporto.
Era rimasta una freddezza di fondo, tanto che dopo
tutti quei mesi di collaborazione, spesso anche fruttuosa,
continuavano a darsi del “lei”.
Gianetti si sarebbe certamente sentito maggiormente
a proprio agio se fossero passati al “tu”, ma non aveva mai
avuto il coraggio di chiederlo. Non era la remota possibi-
lità di sentirsi rispondere con una frase tipo: “non riten-
go sia il caso” a farlo desistere dal formulare la proposta
al suo superiore. Si trattava piuttosto del timore che il
commissario cambiasse volutamente discorso, lasciando
la risposta a perdersi nel vento, come in un notissimo
brano di un celebre cantautore d'oltre oceano.
Lo squillo del telefono distolse Gianetti dalle preoccu-
pazioni relative alla nota per il suo superiore e da tutti i
dilemmi ad essa connessi.
– Ispettore, insomma, quanti furti con scasso dovre-
mo ancora registrare prima che prendiate quel delin-
quente? –
– Magari un “buongiorno”, un “come sta, ispettore?”
Questo qui l'educazione non sa proprio dove stia di casa! –
pensò Gianetti mentre ascoltava lo sbraitare del questore.

75
BRUNO VOLPI

– Buon pomeriggio, dottore! La informo che abbiamo


trovato alcuni indizi che ci permetteranno di arrivare ra-
pidamente a chi sta commettendo questi reati. –
– Non ci dovete arrivare, dovete sbatterlo in galera e
gettare la chiave. Ci sta facendo fare la figura dei cretini.
Se aumentiamo la sorveglianza da una parte, lui colpisce
dall'altra. Trovatelo al più presto! Ha capito, ispettore?
Tro–va–te–lo! –
La risposta ossequiosa di Gianetti arrivo fuori tem-
po massimo, dopo che già all'interno della cornetta era
echeggiato il “click” di fine comunicazione da parte del
questore.
Il gesto istintivo dell'ispettore non fu dei più cordiali.
La chiamata del questore, per quanto sgradita, aveva
però prodotto un importante risultato: indirizzare la scel-
ta delle informazioni prioritarie da inserire nel rapporto
che avrebbe passato al suo superiore il giorno successivo.
Le videocamere di sorveglianza vicine ai locali in cui
c'erano stati gli scassi avevano permesso di avere una sor-
ta di identikit del ladro e soprattutto avevano mostrato
come avesse sempre utilizzato un vecchio motorino per
i suoi spostamenti. Si trattava di un Boxer 50 grigio mol-
to diffuso negli anni ‘80 e, dato che in circolazione non
dovevano esserne rimasti molti, la squadra investigativa
aveva supposto di poter riuscire a risalire al proprietario
in breve tempo.
Bonino e il nuovo agente Rossi erano stati inviati a
mostrare le immagini del malvivente ai proprietari dei
bar che avevano subito le effrazioni. La cura con cui quel

76
IL TESORO DELLA BARONESSA

malfattore sembrava aver progettato ogni colpo faceva


pensare che avesse passato diverso tempo a studiare i
propri obiettivi. Con un po' di fortuna, uno dei proprie-
tari avrebbe potuto associare la sagoma del ladro a qual-
che cliente occasionale avvistato nei giorni precedenti lo
scasso.
L'agente Ruggero Nobiltà, invece, aveva iniziato a gi-
rare le officine per motoveicoli, mostrando la foto del
mezzo, con la speranza che il proprietario fosse ricorso,
più o meno recentemente, a qualche riparazione.
Gianetti, nel frattempo, aveva provveduto ad invia-
re tutte le immagini del malvivente e del suo mezzo di
trasporto al presidio di Polizia Municipale, per verificare
se il tizio potesse malauguratamente essere incappato in
qualche contravvenzione, da cui poterne ricavare le ge-
neralità.
Pur essendo quasi certo che non ne sarebbe uscita al-
cuna indicazione, si era detto che in quel periodo di “reg-
genza” provvisoria, ancor più che in altri, non occorreva
lasciare nulla di intentato.

77
BRUNO VOLPI

SEDICESIMO

Barbara era rientrata abbastanza tardi. Con l'agente


Bonino avevano mostrato le immagini delle registrazio-
ni delle telecamere di sorveglianza a tutti i proprietari
vittime dei furti con scasso, senza però ottenere alcun
riscontro positivo.
Sin dall'inizio, le era sembrato alquanto improbabile
che il ladro potesse rischiare di farsi notare proprio dai
proprietari degli esercizi che aveva scelto come obiettivi
delle sue azioni criminose. A suo modesto parere, qual-
che possibilità in più di successo l'avrebbe potuta avere
l'agente Nobiltà, che era stato mandato nelle officine. Un
modello così vecchio doveva certamente avere bisogno
di assistenza più spesso di quanto necessario per ciclo-
motori più recenti.
In ogni caso si era adeguata al volere comune, che poi
corrispondeva esattamente al volere dell'ispettore Gia-
netti, a cui tutti gli altri si allineavano.
Mentre stava chiudendo la porta di casa alle proprie
spalle, gettando un'occhiata verso l'alloggio della vicina,
le venne in mente la richiesta della sera precedente: – Le
sarei grata se potesse passare da me anche domani. Vor-
rei raccontarle una cosa un po' riservata. –
Si disse che la signora Antonietta avrebbe aspettato,
ma, mentre stava per entrare in casa, vide a terra un bi-
glietto che era stato infilato sotto la porta.
Lo raccolse, e subito notò che era scritto a penna e con

78
IL TESORO DELLA BARONESSA

una calligrafia molto curata.


“Buonasera, Barbara. Ho visto che all'ora di cena non
era ancora rientrata. Mi sono resa conto di essere stata
un po' maleducata ieri nel chiederle di passare anche
questa sera; in fondo la cosa di cui vorrei parlarle non
è così urgente. Possiamo fare anche una delle prossime
sere, se avrà piacere. Si riposi. Antonietta”
– Non le sfugge proprio niente! – esclamò mental-
mente Barbara – Ha notato che c'era ancora lo zerbino
arrotolato dalla signora delle pulizie. –
La rassicurazione della vicina di casa stava parados-
salmente producendo nella mente di Barbara l'effetto
contrario. Le era salita una gran curiosità di conoscere
questa “cosa un po' riservata”, questo segreto che custo-
diva la signora Antonietta.
– Lascia perdere – si disse – Fatti un bel bagno! –
E così fece. Erano ormai quasi le ventuno e trenta e, oltre-
tutto, avrebbe dovuto prepararsi anche qualcosa per cena.
Mentre si stava rilassando, immersa in una vasca pie-
na di sali del Mar Morto che, come le ricordava sempre la
sua amica erborista, oltre a contrastare la ritenzione idri-
ca e la cellulite, hanno un'azione tonificante, udì un vo-
ciare che sembrava provenire proprio dall'appartamento
a fianco.
Tendendo l'orecchio riconobbe la voce di Antonietta.
Stava controbattendo alle frasi pronunciate dalla voce di
un uomo, una voce piuttosto roca.
Non era chiaro se si trattasse di un litigio, ma, comun-
que, vi era una certa animosità.

79
BRUNO VOLPI

Barbara riuscì a cogliere solo poche parole da parte di


entrambi.
L'uomo pareva implorare l'attenzione della donna con
ripetuti “Ascoltami, ti prego!” e “Devi ascoltarmi!”.
Lei pareva di tutt'altra opinione: “Ti ho detto che non
voglio!”
Dopo qualche momento si udì il rumore della porta
d'ingresso sbattuta con decisione. Poi, più nulla.
Barbara, un po' preoccupata, dopo essersi asciugata
e rivestita in fretta, uscì sul pianerottolo. Tutto sembra-
va tranquillo. Era quasi tentata di suonare il campanello
dell'appartamento di Antonietta per accertarsi che non le
fosse accaduto nulla. Poi, accostando l'orecchio alla por-
ta, la sentì muoversi per la stanza e accendere la radio.
A quel punto si tranquillizzò.
– Bella mia, forse stai lavorando un po‘ troppo con
l'immaginazione! –
Rientrata in casa, il primo pensiero fu quello di torna-
re ai sali del Mar Morto. Si accorse, però, che si stava fa-
cendo davvero tardi. E il giorno dopo avrebbe ritrovato,
dopo tanti anni, una persona che aveva un posto speciale
nel suo cuore: Luigi Badalotti. Non poteva certo farsi tro-
vare mezza addormentata.
Decise di mangiare una ricottina, accompagnata da
un pacchetto di crackers, e un po' di frutta; poi sarebbe
subito andata a letto.
Magari, chissà, avrebbe sognato di quando, anni pri-
ma, si addormentava al suono della voce di Luigi, dopo
un'intera serata trascorsa in sua compagnia.

80
IL TESORO DELLA BARONESSA

DICIASSETTESIMO

Alessandria, 15 dicembre, ore 5:30

Si era svegliata presto, quella mattina, Antonietta Fu-


sco. Anzi, a dire il vero, non le era proprio riuscito di
prendere sonno.
Vedendo che tanto non ci sarebbe stato verso di ad-
dormentarsi, sebbene fosse ancora decisamente troppo
presto per portar fuori il cane per l'uscita mattutina, ave-
va deciso comunque di alzarsi e provare a dedicarsi alla
lettura di un romanzo. Avrebbe iniziato uno di quelli che
ricordava meno bene: “Miss Marple ai Caraibi”.
Anche l'espediente della lettura non servì però a cac-
ciare i pensieri che l'avevano tormentata durante le ore
notturne.
– È proprio vero quello che ho detto a Barbara l'al-
tra sera. Sono le preoccupazioni a tenerci svegli, non la
caffeina! – Quel pensiero le frullava nella mente, impe-
dendole di andare oltre le prime righe di quella nuova
vicenda dell'anziana signorina di St. Mary Mead.
Non le sarebbe dispiaciuto poter vivere una delle av-
venture investigative in cui era riuscita ad intrufolarsi la
vecchietta impicciona, ma molto sagace, inventata dalla
sua amica Agatha.
Lo zampettare lento di un ancora assonnato Poirot la
distolse per un attimo dai suoi pensieri.
– Sai, amico mio, che non so proprio cosa fare? – Po-

81
BRUNO VOLPI

irot la osservava come se aspettasse di conoscere il resto


della storia.
– Vedi, forse ha ragione don Lorenzo. Davvero i sol-
di possono tirare fuori gli aspetti peggiori delle persone.
Da quando c'è in ballo questa eredità, mi prendono delle
paure che prima non avevo. –
Una pausa, quasi a voler vedere se il cane fosse in gra-
do di darle qualche consiglio. Ma lui, Poirot, se ne stava
lì, statuario, a fissarla. A tratti sembrava che potesse ca-
pire ciò che lei stava dicendo, a tratti pareva non essersi
ancora completamente svegliato.
Antonietta decise comunque di continuare a confi-
darsi con quel silenzioso amico. D'altronde, a quell'ora
del mattino, non ci sarebbe stato nessuno disponibile ad
ascoltarla.
– Nemmeno don Lorenzo, che sarà in chiesa a dire le
orazioni del mattino. – Il pensiero di uscire per andare
a cercare il sacerdote l'aveva solo sfiorata, per poi esse-
re subito accantonato. – E quella brava poliziotta, non la
posso certo svegliare a quest'ora. Soprattutto dopo che
ieri sera le ho scritto che non era urgente. Che sciocca
sono stata! Mi sarebbe proprio servito un suo incorag-
giamento. –
Non restava che Poirot.
– Meno male che ci sei tu, amico mio fedele. Tu, che
mi ascolti senza volermi comandare. Ma ti ricordi Po-
irot quando non avevamo paura di nessuno? Che cos'è
cambiato? Niente, in fondo. C'è soltanto un'ingombrante
eredità. Dei soldi. Tanti. Troppi!

82
IL TESORO DELLA BARONESSA

Mio caro Poirot, forse esagero, ma ho dei brutti pre-


sentimenti. –
A quella frase il bastardino ebbe una reazione inaspet-
tata. Si appiattì a terra, coprendosi il muso con una zam-
pa, quasi volesse nascondersi.
Antonietta interpretò questo gesto come un segnale.
Pensò che in fondo Poirot sapeva bene che, se, per qual-
che motivo, lei fosse incappata in un incidente o, forse,
ancor peggio, fosse morta, per lui sarebbe stata durissi-
ma.
– Sarà meglio che stamattina ritorni da quel notaio.
Lui certamente sarà in grado di aiutarmi. –

83
BRUNO VOLPI

DICIOTTESIMO

A osservare dall'esterno il commissariato di Alessan-


dria, si aveva l'impressione che fosse davvero un giorno
speciale quel quindici dicembre.
Il commissario Badalotti era stato il primo ad arriva-
re. Aveva salutato frettolosamente l'agente all'ingresso, il
quale, a sua volta, si era quasi messo sull'attenti, pronun-
ciando quasi sottovoce un “Bentornato commissario, ci
dispiace tanto per vostra mamma!”, frase alla quale Bada-
lotti aveva risposto con un rapido cenno di capo, ma che
gli era rimbombata dentro come una carezza al cuore,
espressione evidente dell'affetto che si era guadagnato in
quegli anni da parte di tutti, fino all'ultimo agente.
Incassata quella carezza virtuale, si era subito rifugiato
nel proprio ufficio, richiudendosi la porta alle spalle. Per
almeno un'ora avrebbe voluto restare da solo. La solita
quotidiana baraonda del commissariato quella mattina
proprio non gli sarebbe andata giù. E gli altri, se voleva-
no salutarlo o parlargli di qualche faccenda considerata
molto urgente, che meditassero qualche minuto davanti
alla porta chiusa sulle motivazioni per salutarlo o sulla
reale urgenza della faccenda.
Anche l'ispettore Gianetti era arrivato insolitamente
presto in commissariato. Era ansioso di rileggere ancora
una volta la nota che aveva preparato per il suo supe-
riore, da una parte preoccupato che contenesse qualche
errore o imprecisione, dall'altro desideroso che servisse

84
IL TESORO DELLA BARONESSA

a guadagnare qualche punto nella classifica di stima e


gradimento del commissario. Per tutte queste ragioni e,
chissà, forse anche per altre legate ancora alla turbolenta
fine della sua relazione con Tiziana Terenzio, aveva ripo-
sato malissimo e aveva una faccia che sembrava appena
uscita da una macchina per tirare la pasta.
Una faccia non certo migliore aveva esibito l'agente
Bonino, apparso sulla scena subito dopo il commissario
e appena prima dell'ispettore. Anche per lui la notte era
stata tormentata. Quasi cinque ore di insonnia a causa
di un quesito che inizialmente era apparso di semplice
soluzione: come comportarsi per mantenere il giusto
equilibro tra i due copioni che avrebbe dovuto interpre-
tare, quello di collega e quello di amico. A questo andava
aggiunto il fatto, non trascurabile, che, quella mattina, il
tratto di strada tra la sua abitazione a Castellazzo Bor-
mida e il commissariato alessandrino gli aveva regalato
una visibilità non superiore ai venti metri, con una neb-
bia che certamente avrebbe stabilito il record di tutta la
stagione invernale.
Anche Nobiltà si era presentato presto in commissa-
riato. Per sua fortuna, però, aveva riposato benissimo,
nonostante la peperonata della sera precedente. O for-
se, si sarebbe potuto ipotizzare che aveva riposato bene
proprio grazie alla peperonata. Tra le molteplici notti che
aveva già scavallato durante la sua pur giovane vita, una
sola era trascorsa insonne: quella, qualche anno prima,
quando aveva dovuto restare digiuno prima di un inter-
vento di appendicectomia. E, certamente, non era stato

85
BRUNO VOLPI

solo a causa dell'inquietudine per l'operazione del giorno


successivo.
Buona ultima, anche se arrivata con largo anticipo ri-
spetto all'orario in cui avrebbe dovuto prendere servizio,
si era presentata anche l'agente Rossi. Nella graduatoria
delle ore dormite la notte precedente, però, anche Barba-
ra annaspava in zona retrocessione.
Non erano state le preoccupazioni a tenerla sveglia.
Piuttosto l'eccitazione di rivedere Luigi dopo così tanto
tempo, il pensiero di come avrebbe reagito lui nel veder-
la, l'interrogativo su come avrebbe dovuto comportarsi,
se sarebbe stato lecito abbracciarlo come faceva un tem-
po. All'alba delle due e venti di mattina aveva preso la
decisione di vedere come si sarebbe comportato lui e re-
golarsi di conseguenza.
Pertanto, nell'esatto istante in cui il campanile della
cattedrale stava suonando nove rintocchi, Barbara bus-
sò alla porta dell'ufficio del commissario Luigi Badalotti.
Attese l'invito ad entrare e si affacciò con un sorriso.
Badalotti per un attimo rimase sorpreso. Subito dopo
ritenne di aver capito chi fosse la giovane donna in divisa
che gli si era parata davanti e gli stava sorridendo.
– Buongiorno, lei deve essere il nuovo agente asse-
gnato al nostro commissariato. L'ispettore Gianetti mi ha
riferito del suo arrivo. Venga pure avanti! –
Barbara comprese subito che Luigi non l'aveva rico-
nosciuta. D'altra parte, erano passati quasi dodici anni
e lei, indubbiamente era molto cambiata. Decise di stare
al gioco.

86
IL TESORO DELLA BARONESSA

– Ai suoi ordini, commissario! È un grande onore per


me far parte della sua squadra. Mi chiamo Barbara Rossi,
piacere di conoscerla. – Il sorriso che sbocciò sulle sue
labbra mentre gli tendeva la mano era di quelli di chi
immagina già cosa accadrà negli istanti successivi e sta
pregustando lo spettacolo.
All'udire quel nome e quel cognome Badalotti per
poco non perse conoscenza. Prese a fissare il viso grazio-
so della sua nuova agente e vi riconobbe gli occhi gran-
di e vivaci e i tratti gentili di quella bambina che aveva
tenuto sulle ginocchia un sacco di volte durante la sua
permanenza al commissariato di Vercelli.
– Barbara, ma questa sì che è una sorpresa. Vieni qui,
fatti abbracciare. Non hai idea di quanto mi faccia piace-
re vederti! – Chi avesse visto la scena dall'esterno, avreb-
be pensato che ad Alessandria fosse stato assegnato un
nuovo commissario. Di tutto ci si sarebbe potuto aspet-
tare, tranne che vedere Luigi Badalotti abbracciare tene-
ramente una donna di una ventina d'anni più giovane di
lui. E, per di più, in divisa.
– Ah, ah, non mi avevi riconosciuta vero? –
E come avrebbe potuto riconoscerla! La Barbara Rossi
che aveva lasciato qualche giorno prima della sua nomi-
na a commissario e il conseguente trasferimento a Bor-
dighera era una simpatica ragazzina che aveva appena
terminato la scuola primaria, con due lunghe trecce nere
e due vivaci occhi scuri. Di quella bambina, la donna di
fronte a lui aveva conservato solo gli occhi e, ora poteva
dirlo, anche la simpatia.

87
BRUNO VOLPI

L'incontro imprevisto aveva evocato un periodo tanto


bello, quanto triste, della sua vita.
Il padre di Barbara, Francesco Rossi, era stato, oltre
che un bravo collega, forse il suo più grande amico. Il
giorno della sua assegnazione a Vercelli, Luigi Badalotti
aveva creduto che sarebbe stato duro ambientarsi in una
nuova città e inserirsi in una squadra già affiatata.
Francesco lo aveva fatto subito sentire a casa, acco-
gliendolo come un fratello. Sapendo che era solo, lui e
sua moglie lo avevano praticamente adottato.
Dopo alcuni mesi, Luigi era diventato uno di famiglia
a casa Rossi. Almeno due sere alla settimana veniva in-
vitato a cena e nei fine settimana era spesso ospite della
casa che i Rossi avevano in affitto sul Lago d'Orta.
Così Barbara gli si era affezionata come ad un secon-
do padre. E lui a lei.
Il giorno della tragedia, lui e Francesco erano in ser-
vizio insieme. Con loro c'era anche Lo Vito, un giova-
nissimo agente il cui accento tradiva immediatamente le
origini palermitane. Avevano visto qualcosa di strano in
quella gioielleria. E l'auto ferma col motore acceso li ave-
va insospettiti.
Francesco era entrato per primo. Da fuori, lui e Lo
Vito avevano sentito due colpi secchi. Poi le urla, e i due
banditi che si dileguavano tra la folla prima ancora che
loro si fossero resi conto di ciò che stava succedendo.
Francesco, il collega, l'amico fraterno, gli era spirato
tra le braccia.
Si era incaricato lui di dare la notizia a Loretta e Bar-

88
IL TESORO DELLA BARONESSA

bara. Avevano pianto insieme, a lungo.


Da quel giorno era stato Luigi a adottarle, per tutti gli
anni in cui era rimasto a Vercelli. Con Loretta avevano
poi continuato a sentirsi regolarmente, con una frequen-
za che si era ridotta alle sole feste comandate, da quando
lei si era risposata.
Barbara l'aveva sentita qualche volta al telefono ma,
sebbene la voce gli apparisse via via più matura, lui aveva
continuato ad associarla all'immagine di quella ragazzina
ansiosa di crescere.
– Ora siediti. E raccontami un po' come mai sei entra-
ta in Polizia. –
L'agente Rossi accolse l'invito con un sorriso che sug-
gellava la gioia di aver ritrovato quello che, pur essendo
diventato il suo nuovo superiore, sarebbe rimasto per
sempre uno di famiglia.

89
BRUNO VOLPI

DICIANNOVESIMO

Dopo essersi preso il tempo necessario per controllare


la posta e le carte da firmare e per leggere la nota riassun-
tiva sulle indagini in corso preparata dall'ispettore Gia-
netti, il commissario Badalotti decise di convocare tutta
la squadra nel suo ufficio, per introdurre l'agente Rossi e
fare il punto sulle indagini.
– In questi anni che abbiamo trascorso insieme avrete
certamente capito che non sono il tipo che si perde in
salamelecchi – esordì Badalotti – ma volevo comunque
ringraziarvi perché in questi giorni non facili vi ho sen-
titi vicini. –
Aveva tenuto lo sguardo fisso al piano della scrivania.
Quando lo rialzò per guardare verso di loro non potero-
no fare a meno di notare che aveva gli occhi lucidi.
– Ora, bando alle ciance. Prima di tutto volevo dare
il benvenuto all'agente Barbara Rossi. Devo confessarvi
che conosco Barbara fin da quando era bambina. È la fi-
glia di un collega serio e coraggioso, nonché di un amico
vero, che purtroppo ha perso la vita nell'esercizio delle
sue funzioni. Se ha preso da suo padre, sono certo che
sarà un'ottima rappresentante della Polizia di Stato. Ben-
venuta tra noi, Barbara. So che i colleghi hai già avuto
modo di conoscerli. –
– Ci mancava solo la cocca del commissario, come se
non bastasse Bonino! – Il pensiero era sorto spontaneo
nella mente dell'ispettore Gianetti. Qualche istante dopo,

90
IL TESORO DELLA BARONESSA

Mario se ne era quasi vergognato. Sapeva benissimo che


il commissario non era persona adusa a fare favoritismi
tra i suoi uomini, sebbene fosse evidente la considerazio-
ne che nutriva nei confronti dell'agente Fulvio Bonino,
considerazione per altro meritata. Oltre ad essere un'ot-
tima persona, Fulvio era anche sveglio e molto volente-
roso.
– Come mai allora mi vengono certi pensieri? Sarà
forse che non mi sento abbastanza valorizzato qui? –
Le elucubrazioni mentali dell'ispettore Gianetti furo-
no interrotte dalla voce di Badalotti, con quella che da
tutti fu interpretata come una chiamata alle armi.
– Ditemi un po', cosa sappiamo di questo furbetto che
si diverte a rompere vetrine e rubare incassi in giro per
la città? –
Per dovere di grado gerarchico fu Gianetti a rispon-
dere.
– Dalle informazioni che abbiamo raccolto si possono
affermare tre cose certe: tutti e quattro i furti con scas-
so, compiuti nel quartiere Pista, sono opera della stessa
mano; le immagini delle telecamere di sorveglianza han-
no mostrato sempre una persona dal fisico minuto, pre-
sumibilmente maschio, altezza circa un metro e settanta-
cinque, vestito sempre con un giubbotto nero, dei jeans
molto stinti, col volto non riconoscibile perché coperto
da un passamontagna. –
Illustrata la prima delle famose “tre cose certe”, Gia-
netti, come era nel suo stile, si concesse una pausa per
vedere la reazione del commissario. Reazione che, come

91
BRUNO VOLPI

spesso accadeva, fu abbastanza eloquente: un invito a


proseguire che l'ispettore raccolse immediatamente,
aprendo il dito indice della mano, accanto al pollice già
aperto, come per avvisare i presenti che si stava accin-
gendo ad annunciare la seconda cosa certa.
– La seconda cosa che sappiamo è che per gli sposta-
menti utilizza un motorino direi quasi d'epoca, un Boxer
50 grigio che ci auguriamo ci permetta di risalire al pro-
prietario, dato che non ce ne sono molti in circolazione.
A questo proposito ieri ho incaricato l'agente Nobiltà di
mostrare le immagini del ciclomotore ai titolari delle of-
ficine per motoveicoli. –
– Bene, ed è emerso qualcosa? Ruggero, hai raccolto
qualche informazione importante? –
Nobiltà ogni volta che veniva chiamato in causa diret-
tamente dal commissario si agitava moltissimo. Iniziò a
sudare copiosamente nonostante la temperatura nell'uf-
ficio fosse inferiore ai raccomandati venti gradi. Per un
attimo si chiese persino se avrebbe dovuto alzarsi in piedi
e mettersi sull'attenti prima di relazionare riguardo alla
sua missione del giorno precedente.
Per fortuna di tutti, decise che poteva rimanere seduto.
– Sinceramente, commissario, non saprei. – l'espres-
sione del suo volto era a metà tra il perplesso e il ram-
maricato.
Badalotti, che ben conosceva le difficoltà che l'agente
Ruggero Nobiltà mostrava nel riuscire a dare un senso
alle informazioni che aveva raccolto, decise, come sem-
pre, di esercitare due importanti virtù che ricordava dal

92
IL TESORO DELLA BARONESSA

catechismo: pazienza e temperanza.


– Ruggero, riferisci in dettaglio ciò che hai saputo e va-
luteremo insieme se si tratta di indicazioni importanti. –
Rinfrancato da questo scarico di responsabilità su un
giudizio che non avrebbe saputo dare, Nobiltà inizio a
riferire quanto aveva saputo.
– Commissario, solo due officine hanno eseguito, ne-
gli ultimi anni, riparazioni su modelli di quel tipo. La pri-
ma è l'officina Guasco di Viale Milite Ignoto. In quel caso
il proprietario del motorino era un certo signor Duilio
Vercesi. –
– Hai preso informazioni su questo Vercesi? – Questa
volta era stato Gianetti ad intervenire.
– Signorsì, ispettore! Con mio grande rammarico,
però, ho dovuto constatare che è defunto lo scorso anno.
La moglie mi ha detto che il motorino lo aveva venduto
qualche mese prima, ma lei non ricorda a chi. –
– D'accordo, Ruggero. E il proprietario del secondo
motorino? –
– Oh, commissario, quello è vivo e vegeto, grazie a
Dio! Ma non credo che... –
– Pazienza, ancor più che temperanza – Badalotti se lo
impose mentalmente ancora una volta.
– Puoi dirci di chi si tratta, per cortesia? –
– Si tratta di don Lorenzo Cremasco. Un prete capisce,
commissario? E per di più è il responsabile della mensa
dei poveri! –

93
BRUNO VOLPI

VENTESIMO

– In tutta sincerità non abbiamo molto in mano! –


L'affermazione del commissario Badalotti non era
certamente da considerarsi una manifestazione di scon-
forto. Si trattava, al contrario, del famoso “punto zero”,
quella base consapevole di partenza di ogni indagine sul-
la quale occorreva iniziare a costruire.
Neppure la terza delle “tre cose certe” dell'ispettore
Gianetti aveva portato informazioni decisive: il fatto che
il malvivente fosse solito indossare guanti da biker col
simbolo della nota marca di motociclette Harley David-
son non sembrava poter contribuire significativamente
all'identificazione del colpevole dei furti con scasso.
– Cosa sappiamo del bottino di queste azioni crimi-
nose? –
L'ispettore Gianetti si spostò in punta alla sedia prima
di rispondere.
– Nei casi dei bar si tratta prevalentemente della par-
te di incasso quotidiano lasciata all'interno della cassa.
Poca roba, qualche centinaio di euro. Poi c'è quel furto
nell'orologeria. In quel caso sembra che il ladro non sia
neppure entrato. Ha solo arraffato un po' di orologi e col-
lanine che erano esposte in vetrina. Il proprietario par-
la di un danno di qualche migliaio di euro. Comunque,
furtarelli. Diciamo che, mediamente, il danno maggiore
sono state le vetrine in frantumi. –
– Uno strano ladro, si direbbe. Uno che rischia la gale-

94
IL TESORO DELLA BARONESSA

ra per refurtive di poco conto. Facendosi però beffe delle


pattuglie di sorveglianza notturna. –
– Beh, ora che sappiamo del tipo di motorino, a meno
che non cambi modalità operative, sarà più facile sor-
prenderlo. – Era stato l'agente Bonino a puntualizzare.
– Ad ogni modo, cerchiamo di raccogliere altre in-
formazioni: tu, Barbara, andrai a casa della moglie del
proprietario defunto del primo motorino. Anche se non
ricorda a chi fosse stato venduto, cerca comunque di sa-
pere se ha idea dei contatti che aveva avuto il marito. Mo-
strale le immagini che abbiamo del malvivente e vedi se
le viene in mente qualcuno che corrisponde alla struttura
fisica del tipo.
Fulvio, tu andrai a parlare con don Lorenzo. Chiedi
che uso fa del motorino e soprattutto se è accessibile an-
che ad altri. Sembra abbastanza evidente che non sia lui
il nostro uomo, anche perché mi sembra di ricordare che
abbia una stazza non indifferente, ma potrebbe fornirci
qualche indicazione importante. Mostragli anche le foto
del malvivente e l'ingrandimento dei guanti da biker,
chissamai!
Noi, invece, andremo a parlare con i proprietari che
hanno subito i furti con scasso. Anche se dal giro che
hanno fatto ieri Fulvio e Barbara non è emerso nulla, vo-
glio che sentano le forze dell'ordine vicine e, soprattutto,
che siano stimolati a collaborare per fermare questo scas-
sinatore seriale, come lo definivano stamattina nel tito-
lone della pagina del giornale dedicata alle sue imprese
delinquenziali. –

95
BRUNO VOLPI

Il “noi” pronunciato da Badalotti era comprensivo,


oltre che di sé medesimo, anche dell'ispettore Gianetti e
dell'agente Nobiltà.
Pur essendo consapevole che la loro missione, con
ogni probabilità, non avrebbe portato alcun contributo
alle indagini, Badalotti aveva ben chiaro quanto fosse
importante, soprattutto in quel momento storico, che la
Polizia si facesse vicina alla gente.
Il senso di mancanza di sicurezza che permeava or-
mai la vita quotidiana delle persone “normali”, sia nelle
grandi città che nei più sperduti paesini di campagna o
nei borghi abbarbicati sui monti, rappresentava una delle
preoccupazioni principali del commissario.
Lo infastidiva il fatto che i mass media spesso caval-
cassero, amplificandone la risonanza, le affermazioni di
alcuni politici o di opinionisti improvvisati e assai poco
professionali, che misuravano le loro chance di presenza
in video dal tenore delle baggianate che sapevano con-
fezionare elegantemente su presunti collegamenti tra la
delinquenza comune e l'immigrazione.
Di tutta questa “spazzatura televisiva” ciò che lo in-
nervosiva in modo esagerato era il fatto che, più costoro
sapevano mostrare aggressività e prepotenza verbale, più
aumentavano i minuti di presenza in video, con conse-
guente crescita anche dei relativi gettoni di presenza.

96
IL TESORO DELLA BARONESSA

VENTUNESIMO

– Accomodati pure, caro. Come posso esserti utile? –


Don Lorenzo Cremasco era una persona che ispirava
istintivamente simpatia. Aveva un'età quasi indefinibi-
le, che avrebbe potuto variare tranquillamente tra i cin-
quanta e i settanta. Calvo, fisico da ex–giocatore di rugby,
sport che aveva praticato per qualche anno, da giovane,
prima di entrare in seminario, aveva l'abitudine di dare a
tutti del “tu”.
La stretta di mano con cui aveva accolto l'agente Ful-
vio Bonino era stata di quelle che dissolvono ogni tipo
di diffidenza nei confronti dell'interlocutore. Lo aveva
fatto accomodare nella stanza accanto alla Mensa Tavola
Amica, uno stanzino che veniva utilizzato sia come uf-
ficio per le relazioni col pubblico che come ripostiglio e
centro stampa, vista la presenza di una fotocopiatrice e
persino di un vecchissimo ciclostile.
Bonino, dopo essersi presentato, decise di arrivare su-
bito al dunque.
– Avrà certamente sentito parlare dei furti con scasso
avvenuti negli ultimi giorni in alcuni esercizi della cit-
tà. Le telecamere di sorveglianza ci hanno permesso di
stabilire che il malvivente si sposta utilizzando un moto-
rino... questo! –
Mentre ancora stava parlando, Bonino aveva deposto
sul tavolo di fronte a don Lorenzo la foto che immorta-
lava il Boxer 50 grigio. Il volto del sacerdote, sorridente

97
BRUNO VOLPI

fino a quel momento, si era fatto serio.


– Capisco... immagino che di catorci del genere non
ve ne siano più molti in circolazione e voi state pensando
che possa trattarsi di quello che abbiamo qui. –
Il sospiro con cui il sacerdote concluse la frase lasciò
l'atmosfera come sospesa.
– Ovviamente, don Lorenzo, non possiamo essere
certi che sia proprio il motorino intestato a lei quello
immortalato dalle telecamere. – Bonino sembrava quasi
volersi scusare di aver dato l'impressione di voler mettere
il sacerdote sul banco degli imputati.
– Purtroppo, amico mio, ti confermo che è proprio il
Boxer che abbiamo qui dietro nel cortile. Guarda questa
macchia bianca, che si intravvede appena. Vieni che ti
mostro di cosa si tratta. –
Don Lorenzo invitò Bonino a seguirlo nel cortile re-
trostante. Il Boxer 50 grigio stava appoggiato al muro, in
un angolo abbastanza buio del cortile.
– Vedi, è un grosso adesivo che avevamo messo per
coprire dei disegnini non tanto simpatici che qualcuno
aveva fatto con un cacciavite o con una chiave. Ti lascio
immaginare i soggetti che “l'artista” aveva voluto rappre-
sentare. –
– Ok, quindi il sospetto che sia questo il mezzo uti-
lizzato dal malvivente è più che fondato. Mi dica, don
Lorenzo: chi, oltre a lei può avere accesso al motorino? –
– Chiunque! Sai, questo motorino ha più di trent'anni.
Lo usavo a Torino, quando, appena nominato sacerdote,
ero stato assegnato come cappellano al Ferrante Aporti,

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IL TESORO DELLA BARONESSA

il carcere minorile. Poi, quando mi hanno trasferito ad


Alessandria, me lo sono portato. È lì, a disposizione di
tutti coloro che ne hanno bisogno! –
– E non ha paura che qualcuno lo rubi? – La domanda
era sorta spontanea all'agente Bonino.
– Amico mio, ma chi vuoi che rubi quel rottame? Sì,
qualche volta è sparito per un po' di giorni, ma poi è
sempre tornato. I “fedelissimi” della nostra mensa e del
centro d'ascolto saranno anche un po' sbandati e certa-
mente qualcuno non avrà la fedina penale pulitissima,
ma credo che abbiano un loro codice di rispetto verso
chi sta dalla loro parte. Per questo il motorino è sempre
tornato. Sai cosa ti dico? Sono sicuro che se domani de-
cidessi di metterci un lucchetto con una catena, il giorno
dopo sparirebbe per sempre. Ma in questo modo sanno
che il motorino è un bene a disposizione di tutti. E come
tale lo rispettano. –
Bonino non la vedeva esattamente come il sacerdote
che aveva di fronte, ma decise di fare buon viso alle sue
convinzioni.
– Ma non c'è qualcuno di cui lei potrebbe sospettare? –
Don Lorenzo parve non gradire particolarmente la
domanda.
– Guarda, io non sospetto di nessuno. So che qual-
cuno dei miei amici ha avuto un passato di furti, tossi-
codipendenza o quant'altro. Ma, fino a quando non vi
saranno evidenze di altra natura, io lo considererò solo
un passato. Comunque, guardando le foto mi sono fat-
to qualche idea sulla fisionomia dell'uomo che cercate.

99
BRUNO VOLPI

Ti assicuro che proverò anch'io a indagare per capire se


qualcuno sia tornato ad azioni delinquenziali e, nel caso,
vi chiederò di intervenire. E terrò d'occhio anche il mo-
torino, stai tranquillo. –
Quest'ultima frase l'aveva aggiunta vedendo che l'a-
gente Bonino non staccava lo sguardo dal Boxer 50 gri-
gio col grande adesivo bianco, parcheggiato nell'angolo
buio del cortile dell'immobile di via delle Orfanelle al
numero 25.
– Mi raccomando, porta i miei saluti al commissario
Badalotti. Ci siamo incontrati una o due volte a qualche
cerimonia pubblica e devo dire che mi è sembrato un'ot-
tima persona. –
La frase suonò come un congedo che l'agente Boni-
no decise di accogliere di buon grado. Aveva capito che,
almeno per il momento, don Lorenzo non avrebbe facil-
mente permesso alla Polizia di mettere a rischio il pre-
cario equilibrio di normalità che aveva creato per tanti
“ultimi” della società del terzo millennio.
E, in fondo, non avrebbe avuto nemmeno senso met-
tersi ad interrogare tutti quelli che frequentavano le
strutture della Caritas. Sarebbe servito soltanto a mettere
in allarme il colpevole, e, al momento, quella era l'unica
cosa da evitare.

100
IL TESORO DELLA BARONESSA

VENTIDUESIMO

Era stato un altro pomeriggio impegnativo per l'agen-


te Barbara Rossi.
Fino al giorno precedente era rimasta in scia di Fulvio
Bonino. Quella mattina, il commissario Badalotti, senza
dare troppa enfasi alla cosa, in fondo, le aveva assegnato
il suo primo incarico in solitaria.
E si trattava di un incarico che richiedeva una buona
dose di sensibilità e umanità. Non era di certo una cosa
simpatica chiedere ad una vedova di ricordare aspetti e
persone del periodo di vita in cui il marito era ancora
con lei.
Infatti, nel momento in cui la signora Annalisa Lezzi,
vedova di Duilio Vercesi, le aveva aperto la porta, mo-
strando un evidente fastidio nel trovarsi di fronte una di-
visa da poliziotto, sebbene fosse indossata da una donna,
Barbara aveva avvertito un forte imbarazzo.
Aveva tirato fuori tutta la sensibilità che avrebbe volu-
to sentire per sé nei giorni difficili che erano seguiti alla
tragica morte del padre. E pian piano Annalisa aveva ini-
ziato a guardarla in modo diverso.
Le aveva raccontato dell'ultima vacanza che avevano
fatto insieme, lei e Duilio, l'estate prima che un infarto
se lo portasse via. Erano finalmente riusciti ad andare a
Capri. Era da quando si erano sposati che cullavano quel
sogno. Doveva essere il viaggio per festeggiare il primo
anniversario, ma lei era rimasta incinta e avevano deciso

101
BRUNO VOLPI

che sarebbe stato più opportuno rimandare. Così ogni


anno c'era sempre stato qualche imprevisto a mettersi
di traverso. Ma quell'estate no. Duilio aveva organizzato
tutto di nascosto. Era stata una bellissima sorpresa. Sem-
brava che se lo sentisse di avere ancora poco di vivere.
Tutto questo le aveva confidato. E anche molto altro.
A Barbara era sembrato di rivedere sua madre, quan-
do, la sera, le raccontava dei momenti belli che aveva tra-
scorso con il suo bel poliziotto, prima che due colpi di
pistola glielo portassero via.
Nonostante non avesse raccolto alcuna informazione
utile all'indagine, Barbara sentiva di aver fatto ciò che il
commissario aveva raccomandato quella mattina: stare
vicino alla gente.
Rientrando era passata al supermercato a fare un po'
di spesa. Aveva pensato di cucinarsi un arrosto di spalla
di vitello. Le sarebbe venuto comodo anche per i prossi-
mi giorni.
Giunta sul pianerottolo, notò che la porta dell'alloggio
di Antonietta era accostata. Sulla porta stava immobile
Poirot.
– Vuoi vedere che mi stava aspettando per invitarmi
da lei dopo cena? – Fu questo il primo pensiero che le
venne in mente. – Ma no! Starà soltanto portando fuori
il cane. –
– Ciao Poirot! Vai a fare la tua passeggiata? Vieni qui
che ti faccio due coccole. –
Il cane, però, anziché avvicinarsi come aveva fatto due
sere prima, rientrò verso l'appartamento della padrona.

102
IL TESORO DELLA BARONESSA

–È un po' matto come la padrona! – Fece per inserire


la chiave nella toppa. Improvvisamente si sentì tirare per
l'orlo dei pantaloni.
– Poirot, ma cosa stai facendo? –
Il cane tirava con una forza non immaginabile per un
animale di quella stazza.
Barbara avvertì una sensazione spiacevole. Accostan-
dosi alla porta, iniziò a chiamare l'anziana signora. Non
ottenne risposta.
Nella sua mente si stava insinuando una strana in-
quietudine. Chiamò di nuovo. E di nuovo non ottenne
risposta.
Scostò la porta, affacciandosi nel monolocale.
In quel momento la vide. Antonietta era distesa a ter-
ra, priva di sensi. Una manica della vestaglia da casa era
strappata e intorno vi erano i segni di una colluttazione.
Una macchia di un rosso denso le faceva come da aureola
intorno alla crocchia di capelli grigi. Sul tavolo, un maz-
zo di rami natalizi ancora avvolto nel cellophane appari-
va stonato rispetto alla tragica scena.
– Oh, mio Dio! Antonietta! –
Si avvicinò, provò a sentire il battito. Capì che era
morta.
Una striscia di fluido rosso cupo, ormai raggrumato,
ornava il bordo di marmo del piano cucina.
Le apparve subito evidente che Antonietta era morta
sbattendo la nuca contro quel marmo. Un istante dopo si
sentì raggelare il sangue constatando come fosse altrettanto
evidente che non poteva essere stata una morte accidentale.

103
BRUNO VOLPI

Estrasse il cellulare e compose un numero di telefono.


Il primo che gli era venuto in mente di digitare.
– Fulvio, sei tu? È accaduta una cosa orribile! Vieni
subito, per favore. –
Di colpo, si era sentita addosso tutto il disagio di
quella giornata nebbiosa. Una sensazione di oppressione
amplificata da ciò che non aveva previsto potesse acca-
dere così presto nella sua carriera di poliziotta: trovar-
si di fronte ad una persona privata della propria vita da
un'azione violenta.
In quel momento si era resa conto di essersi illusa che,
contrariamente a quanto era stato per suo padre, per lei
la vita da rappresentante delle forze dell'ordine potesse
rivelarsi meno drammatica.
Cercò di scuotersi. Di comportarsi da poliziotto. Do-
veva provare a mettere da parte tutto l'orrore di quella
scoperta. Dimenticare per un momento che si trattava
della sua vicina di casa, una donna con la quale aveva, sì,
familiarizzato poco, ma per la quale aveva subito provato
una grande tenerezza.
– Vorrei raccontarle una cosa un po' riservata. –
Quella frase le arrivò nella mente con la violenza di un
gancio alla mascella.
Forse Antonietta aveva bisogno di aiuto, forse di pro-
tezione. Poteva anche essersi cacciata in qualche guaio o
avere qualcuno che la stava minacciando.
Le tornò alla mente anche il vociare della sera prece-
dente.
– Chi poteva essere quell'uomo dalla voce roca che

104
IL TESORO DELLA BARONESSA

sembrava imporle qualcosa che lei non voleva fare? E


quale relazione esisteva tra lui e Antonietta? – Si rese
conto che, nella sua mente, l'aspetto investigativo stava
lentamente prendendo il posto di quello emozionale.
Dalla porta del proprio appartamento sentì suonare il
campanello del portone. Scese ad aprire.
Si trovò di fronte la figura ansimante e insolitamen-
te pallida del collega Fulvio Bonino. L'agente era corso
in suo aiuto, sfidando nebbia e limiti di velocità. Da lì
a poco, l'amico sarebbe stato pronto a raccogliere il suo
sfogo di lacrime e ad anestetizzare, con un tenero e pro-
lungato abbraccio, le ferite dell'infanzia, che gli eventi di
quella sera avevano riaperto.

105
BRUNO VOLPI

VENTITREESIMO

Il commissario Luigi Badalotti era rientrato a casa


dopo una giornata che stava per essere archiviata come
positiva.
Tra le mani teneva un pacchetto morbido e caldo, da
cui emanava un profumo assolutamente invitante.
Prima di rincasare era passato davanti a Nino, il mi-
glior farinataro della città. E non aveva saputo resistere.
Con quel freddo anche i suoi desideri culinari si erano
indirizzati verso prodotti diversi da quelli a cui non sa-
peva dire di no in altre stagioni. E la farinata, che molti
alessandrini chiamavano “bellecalda” rappresentava, in-
sieme alle caldarroste, una di queste attrazioni.
Prodotto di origine ligure, la farinata era ormai diven-
tata una specialità anche della provincia alessandrina, in
particolare di quelle località più vicine a Genova, come
Novi Ligure e Ovada.
Nino aveva una tradizione familiare nella cottura di
quella specie di torta salata a base di acqua e farina di
ceci. Aveva iniziato suo padre, in un locale che era per-
sino più piccolo di quello attuale. C'era un bancone con
tre sgabelli per chi voleva consumarla in loco, ma, tradi-
zionalmente, la farinata era sempre stata considerata un
cibo d'asporto.
Da un certo momento in poi, Nino aveva iniziato ad
affiancare il padre, carpendone pian piano tutti i segreti.
Ed ora poteva vantare, senza ombra di dubbio, la miglior

106
IL TESORO DELLA BARONESSA

farinata della città, sottile e morbida quanto serviva, con


quella crosticina che ne faceva una vera delizia per il pa-
lato e contribuiva a mantenere ben caldo l'interno.
Mentre già pregustava la sua scorpacciata, accompa-
gnata da una sontuosa weiss di un birrificio artigianale,
anche questo a chilometri zero, Badalotti ripensava agli
incontri di qualche ora prima con i proprietari dei locali
che avevano subito i furti con scasso.
Parlando con i titolari dei bar, aveva maturato la sen-
sazione che potesse esistere un filo che legava tra loro
questi eventi e che le vittime non fossero del tutto ignare
di quale potesse essere questo filo.
Gli era sembrato strano il fatto che tutti e tre, quasi si
fossero accordati tra loro, avessero cercato di minimizza-
re la gravità dell'accaduto. Il primo a cui si erano rivolti
aveva subito affermato che, a suo parere, doveva essersi
trattato dell'opera di qualche ladruncolo da strapazzo; il
secondo aveva direttamente attribuito la responsabilità a
qualcuno degli extracomunitari che sostavano spesso da-
vanti ad un vicino esercizio, aperto fino ad ore notturne e
gestito da due fratelli pakistani.
I sospetti principali gli erano venuti quando, con l'i-
spettore Gianetti e l'agente Nobiltà, erano entrati nel
Bar Rosa, gestito da una signora di mezz'età dall'aspetto
molto curato, che era letteralmente sbiancata vedendoli
entrare.
Alle domande del commissario e dell'ispettore sul
furto subito e sui relativi danni, la donna aveva risposto
in modo molto dettagliato. Quando, però, Badalotti le

107
BRUNO VOLPI

aveva chiesto se avesse qualche sospetto o avesse nota-


to qualcosa di strano nei giorni precedenti all'evento, la
donna aveva iniziato a balbettare, dicendo di non sapere
nulla e ripetendo varie volte che il locale era frequentato
solo da persone oneste.
Gli era sembrato che la donna avesse timore di rive-
lare qualcosa che la Polizia non avrebbe dovuto sapere.
Notando, poi, il volto preoccupato della donna, che era
tornato a distendersi solo quando i tre poliziotti si erano
avviati verso l'uscita, si era convinto che dovesse essere
proprio così.
La chiacchierata con il proprietario dell'orologeria
Musetti era stata di un tenore ben diverso. Ai tre si era
presentato un distinto signore con due grandi baffi bian-
chi e un'età che aveva sicuramente oltrepassato quella
della soglia pensionistica in vigore in quel momento sto-
rico.
L'uomo aveva mostrato una certa disperazione per la
vetrina fracassata, dato che, trattandosi di un vetro spe-
ciale, la sostituzione gli sarebbe costata decisamente cara.
Alla disperazione aveva però abbinato anche un certo
stupore riguardo al fatto che il ladro si fosse accontentato
solo dei pochi pezzi presenti in vetrina.
– Sa, commissario, mi hanno già derubato una volta.
E quella volta lì si son portati via mezzo negozio. Da allo-
ra ho messo un vetro blindato, ma, come ha visto, si rom-
pono anche quelli. Questo qui doveva essere un ladro da
poco. Se insisteva un po' di più, buttava giù tutta la vetri-
na e avrebbe avuto tutto il negozio a disposizione. Invece

108
IL TESORO DELLA BARONESSA

ha preso due o tre cose ed è scappato. E non mi dica che


è per via dell'allarme, che, oramai, anche quando suona,
non ci fa più caso nessuno. –
In effetti il comportamento del ladro in quel caso era
stato quantomeno strano. Nei bar aveva rischiato di es-
sere sorpreso dalle forze dell'ordine, restando all'interno
anche diversi minuti, per arraffare qualche centinaio di
euro. Nel caso dell'orologeria, dove avrebbe avuto a di-
sposizione un bottino ben più cospicuo, era andato via
subito dopo lo scasso con qualche orologio e una decina
di collanine, di cui alcune neppure in oro.
Assorto in questi pensieri, Luigi Badalotti si era quasi
scordato della farinata. Resosi conto del grave crimine
gastronomico che stava rischiando di compiere nel la-
sciar freddare la tanto agognata cena, aprì il cartoccio
ancora fumante e, senza neppure stendere una tovaglia,
impugnata una forchetta, si dispose alla degustazione di
quella che, non ne dubitava, si sarebbe rivelata una vera
prelibatezza.
Fu proprio nell'istante in cui stava portando alla boc-
ca la prima forchettata, che il cellulare iniziò a squillare.
La prima tentazione fu di far finta di nulla. Ma quel
suono fastidioso non dava l'impressione di volersi arre-
stare.
Rispose di malavoglia. Era la voce ben nota dell'agen-
te scelto Fulvio Bonino.
– Mi scusi, commissario, se la disturbo a quest'ora.
Io e l'agente Rossi abbiamo trovato un cadavere. Si tratta
proprio della vicina di casa di Barbara. Tutto fa pensare

109
BRUNO VOLPI

che ci sia stata una colluttazione e la vittima abbia perso


la vita battendo violentemente il capo sul piano in mar-
mo della cucina. –

110
IL TESORO DELLA BARONESSA

VENTIQUATTRESIMO

Il dottor Airoldi, il medico legale che già nel corso di


altre indagini aveva collaborato con il commissario Ba-
dalotti, aveva appena riposto i guanti nella valigetta con-
tenente tutti i ferri del mestiere. Non certo un mestiere
piacevole, il suo.
– Che mi dice, dottore? – Badalotti gli si era avvicina-
to per avere le prime anticipazioni. Sapeva bene che una
relazione dettagliata l'avrebbe ricevuta solo dopo l'autop-
sia, ma sapeva altrettanto bene che le prime deduzioni
del medico legale erano di estrema utilità per indirizzare
da subito le indagini nel verso giusto.
E in un'indagine per omicidio il tempo è ben più che
denaro.
– Caro Badalotti, qui la faccenda è abbastanza chiara,
purtroppo. La vittima deve aver avuto una colluttazio-
ne col suo aggressore. La manica della veste da camera è
stata strappata e la vittima ha due unghie spezzate e dei
lividi sulle braccia. Vede, commissario? –
Così dicendo, il dottor Airoldi si era chinato ad indi-
care i segni sulle braccia della vittima.
– Questi tipi di lividi possono crearsi, soprattutto in
una persona anziana, per una stretta troppo violenta.
Presumibilmente l'aggressore la stringeva per le braccia,
magari strattonandola, e lei ha tentato di difendersi con
le unghie, proprio nel senso letterale del termine. Poi, ad
un certo momento, lui deve averla spinta e lei ha battuto

111
BRUNO VOLPI

la testa sul bordo del piano cucina. Credo sia morta quasi
sul colpo. –
– A che ora potrebbe risalire la morte? – L'ispettore
Gianetti era intervenuto per tentare di dare una brusca
accelerata a quella specie di referto medico “Real Time”
che il dottor Airoldi stava proponendo.
– Non posso ancora dirlo con precisione, ma certa-
mente al tardo pomeriggio. Quando sono arrivato questa
sera l'algor mortis era già in stato avanzato. –
Così dicendo, il dottor Airoldi raccolse da terra la
valigetta medica e si avviò verso la porta del piccolo al-
loggio. – Vi farò avere il rapporto dell'autopsia lunedì.
Almeno la domenica mi lascerete riposare, spero! –
Badalotti lo avrebbe voluto per il giorno successivo,
ma non ebbe cuore di chiederlo.
– D'accordo, dottor Airoldi. Grazie e buona serata. –
– La serata ormai me la sono rovinata venendo qui a
esaminare il cadavere di un'anziana signora, che, proba-
bilmente, da viva doveva essere anche una persona ama-
bile e cordiale. Chissà, forse mi avrebbe anche offerto un
caffè o qualcosa da bere! –
– Un caffè è molto probabile, ma di alcolici non ne
teneva in casa! –
L'agente Rossi si era sentita in dovere di puntualiz-
zare, dato che aveva avuto l'opportunità di ascoltare la
narrazione delle abitudini quotidiane direttamente da
Antonietta Fusco.
– E chissà a quante persone lo aveva davvero offerto
un caffè nei suoi ultimi giorni di vita! – Il pensiero era

112
IL TESORO DELLA BARONESSA

arrivato come una saetta nella testa di Barbara.


L'anziana signora le aveva raccontato del piacere che
aveva di invitare ogni sera a cena uno dei suoi amici sen-
zafissadimora.
Questo avrebbe certamente complicato, e non poco,
le indagini.
– Con ogni probabilità sarà stato uno di loro a com-
piere questo delitto, bisognerà scoprire con chi avesse
appuntamento oggi la povera Antonietta! –
– Fulvio, Barbara, avete già chiamato quelli della Scien-
tifica? –
– Sì, commissario! Dovrebbero essere qui a breve. –
– Bene. Allora, io me ne torno a casa. Aspettateli voi,
e quando avranno finito mettete i sigilli. L'appartamento
dobbiamo metterlo sotto sequestro. E occupatevi anche
di questo cane, non possiamo lasciarlo qui. –
Poirot, che fino a quel momento era rimasto accuccia-
to sullo scendiletto utilizzato dalla sua padrona fino alla
notte precedente, alle parole del commissario si riscosse
improvvisamente, raggiungendo Barbara per strusciarsi
sulle sue gambe, come a voler chiarire che lui, di finire al
canile municipale, non aveva alcuna intenzione.
Badalotti, nel frattempo, aveva raggiunto il pianerot-
tolo. Arrestatosi di colpo, si riaffacciò alla porta, aggiun-
gendo: – E dite a quelli della Scientifica di farci sapere al
più presto se hanno trovato delle impronte, oltre a quelle
della vittima, ovviamente! –
– Tu, Barbara, fai qualche foto in giro. Ah, dimentica-
vo! Fai uno scatto anche a quel mazzo di fiori abbando-

113
BRUNO VOLPI

nato sul tavolo. –


Si trattava di un piccolo mazzo di rami con bacche
di agrifoglio e foglie di melograno dorate, che giaceva,
ancora avvolto nel cellophane, sul tavolo del monolocale.
Ciò che aveva colpito il commissario era che il mazzo
si trovasse ancora sul tavolo, come se alla signora Fusco
non fosse stato lasciato il tempo di sistemarlo in un vaso.
Poteva averli acquistati la vittima ed essere stata sorpresa
dall'assassino appena rientrata, o essere stato l'omicida
stesso ad averli portati e, in questo caso, poteva trattarsi
di un reperto fondamentale per l'indagine. –

114
IL TESORO DELLA BARONESSA

VENTICINQUESIMO

Il tentativo di riscaldare la farinata aveva avuto un ef-


fetto assai deludente.
Badalotti ne assaggiò due forchettate senza troppa
convinzione. Poi richiuse il cartoccio lasciando all'indo-
mani la decisione se fare un nuovo tentativo o sbattere
tutto nel bidone.
Come era sempre accaduto dopo la scoperta di un
morto ammazzato, anche quella sera il suo corpo e la sua
mente sembravano essere entrati in una specie di stato di
ibernazione.
La consueta attrazione per il buon cibo ne risultava
azzerata, come pure la capacità di prendere sonno.
Non si trattava solamente dell'orrore che poteva susci-
tare il corpo senza vita di una persona che era stata ucci-
sa forse da uno sconosciuto, ma, nella maggior parte dei
casi, da una persona che conosceva, con cui aveva anche
qualche tipo di relazione, di cui credeva di potersi fidare.
Di fronte a queste situazioni, la sua concentrazione
veniva totalmente catturata dal desiderio di riuscire ad
entrare nella mente di questa persona, per capire quali
fossero i suoi pensieri, le sue aspettative, persino le pre-
occupazioni che aveva qualche momento prima di essere
uccisa.
Quella sera, il bisogno di immedesimazione con la
vittima lo aveva colto già per strada, mentre rientrava
dall'alloggio di Antonietta Fusco, che distava solo qual-

115
BRUNO VOLPI

che centinaio di metri dal suo.


Attraversando Piazza Matteotti, da tutti chiamata co-
munemente con l'antico nome di Piazza Genova, aveva
immaginato la signora Antonietta seduta, a favore di
sole, su una delle panchine poste di fronte alla fontana,
mentre, durante una tiepida giornata primaverile, stava
leggendo un romanzo della Christie, uno tra quelli che
aveva notato aprendo l'anta dell'armadio in finto noce, il
solo presente in quel misero alloggio.
Barbara gli aveva rapidamente riferito del fatto che la
vittima fosse una “cliente” della mensa dei poveri della
Caritas. A Badalotti sembrò quasi di vederla, attraver-
so la cornice dell'Arco trionfale, edificato nel Settecento
al limite sud–orientale della città, incamminarsi, poco
prima del mezzogiorno, lungo via Dante Alighieri, con
quel cappotto un po' sgualcito color cammello, l'unico
presente nell'armadio, e una borsetta appesa al braccio,
come si conviene ad una signora di una certa età.
Chi mai poteva essere stato anche solamente sfiorato
dal pensiero di compiere un gesto di morte contro una
persona del genere? E, soprattutto, per quale motivo?
Proseguendo nel suo processo inconscio di imme-
desimazione nei panni della vittima, Badalotti non poté
fare a meno di constatare come vi fosse qualcosa di in-
solitamente elegante in lei, nella cura delle proprie cose,
persino nell'ordine e nella pulizia del modesto alloggio
in cui viveva.
Si convinse che la storia della vita di quella donna,
ammesso che fossero poi riusciti a ricostruirla con la

116
IL TESORO DELLA BARONESSA

massima cura, avrebbe riservato loro certamente delle


sorprese. Questo pensiero ne trascinò immediatamente
un altro. C'era una persona che avrebbe senza dubbio
potuto fornire informazioni su Antonietta Fusco, sulle
sue abitudini e le sue frequentazioni, forse anche sul suo
passato.
Questa persona era don Lorenzo Cremasco, vicediret-
tore della Caritas Diocesana e responsabile della Mensa
Tavola Amica e dell'ostello per i poveri di Via Mazzini.
– Sembra che lo faccia apposta quel prete a comparire
nelle indagini di questi giorni! –
A quel pensiero, quasi innocente, ne seguì subito un
altro, molto più consono ad un poliziotto.
– E se le due indagini, prima o poi, diventassero una
sola? –
Subito, però, il Badalotti uomo ricordò al Badalotti
poliziotto come fosse poco prudente lanciarsi in ipote-
si, magari suggestive, ma non sostenute da un numero
significativo di indizi. Gli tornarono alla mente un'aula
di liceo e un professore di matematica, che metteva in
guardia i suoi studenti riguardo all'attendibilità dei risul-
tati di un'analisi statistica: se le informazioni sono poche,
ammoniva il professor Bonetti, è facile giungere a risulta-
ti totalmente errati.
Malauguratamente, nessuno dei sondaggisti che, du-
rante il periodo elettorale, si lanciavano in previsioni che
lo scrutinio avrebbe poi beffardamente sconfessato, do-
veva aver avuto il privilegio di assistere alle sue lezioni.

117
BRUNO VOLPI

VENTISEIESIMO

Alessandria, 16 dicembre, ore 9:00

– Commissario Badalotti, ispettore Gianetti, che pia-


cere! Devo dedurre dalla vostra presenza che non siete
soddisfatti di ciò che vi ha riferito ieri l'agente Bonino? –
Don Lorenzo accompagnò l'affermazione con una
schietta risata, tendendo cordialmente la mano al fun-
zionario di Polizia.
Badalotti la strinse, ma con un umore tutt'altro che
gioioso.
– Mi dispiace, don Lorenzo, ma anzitutto siamo qui
per informarla che ieri sera, una delle persone che assi-
stite quotidianamente, la signora Fusco, è stata ritrovata
cadavere nel suo appartamento. –
Il volto del sacerdote assunse improvvisamente un'e-
spressione grave e sconcertata.
– Dio mio, Antonietta! Ma come è successo? –
– I miei uomini l'hanno trovata a terra ormai priva di
vita. Pare che abbia avuto una colluttazione con qualcuno
e, cadendo, abbia sbattuto violentemente il capo contro il
piano di marmo del lavello, morendo quasi sul colpo.
Ora, se possiamo entrare, vorremmo che ci riferisse
tutto quello che sa sulla vittima. –
– Certamente, accomodatevi! Venite, che qui fa un
po' più caldo. Anche stanotte ha fatto una bella gelata! Il
nostro dormitorio era strapieno. –

118
IL TESORO DELLA BARONESSA

In effetti, l'inverno, pur mancando ancora alcuni gior-


ni al suo inizio astronomico, aveva già preso pieno pos-
sesso della città tra i due fiumi, regalando nebbia, brinate
notturne e qualche disagio in più a tutti i suoi abitanti.
Disagi che si amplificavano esponenzialmente per i co-
siddetti senzafissadimora, alcuni dei quali, per loro for-
tuna, potevano trovare riparo nella struttura ricettiva
gestita dalla Caritas.
Don Lorenzo si accomodò su una sedia abbastanza
spartana, accostata ad un tavolo su cui erano accatastati
contenitori in alluminio per cibo, invitando i due poli-
ziotti a fare altrettanto.
– Povera Antonietta! Ha sofferto tanto nella sua vita,
avrebbe meritato qualche gioia. E invece...–
Il sacerdote si raccolse in un momento di silenzio in
omaggio alla vittima, poi iniziò a raccontare ai suoi ospiti
ciò che conosceva della vita di Antonietta. La baronessa,
come la chiamavano tutti.
Parlò del suo breve percorso di attrice di varietà e del-
la relazione con il barone De Fanti che le aveva lasciato
tanta solitudine e un figlio con gravi disturbi di persona-
lità. Accennò al triste episodio del suicidio del ragazzo e
alla determinazione con cui Antonietta aveva deciso di
restare aggrappata alla vita, sebbene poverissima e irri-
mediabilmente sola.
Nelle ultime settimane, però, era accaduto un fatto
che avrebbe potuto cambiarle la vita.
– Una mattina di qualche settimana fa, Antonietta si
presentò dicendo che aveva urgente bisogno di parlarmi.

119
BRUNO VOLPI

Mi mostrò la raccomandata del notaio Guarino, che era


stato nominato esecutore testamentario di una parte dei
lasciti del barone, quella riguardante proprio Antonietta.
Sebbene non sapesse ancora di cosa si trattava, ricordo
che Antonietta era certa che sarebbe stata una cifra im-
portante. E ne era molto preoccupata. –
– Un'eredità, dunque? Ha poi saputo di cosa si trat-
tasse? –
Il commissario Badalotti aveva tutta l'intenzione di
arrivare rapidamente a quelle informazioni che avrebbe-
ro permesso di scoprire il movente che poteva aver ani-
mato l'omicida.
– No, commissario. Antonietta, purtroppo, non ha
più fatto in tempo a parlarmene. Per saperlo dovrete in-
terpellare direttamente il notaio. –
– Ma lei certamente avrà dato alla vittima qualche in-
dicazione su come comportarsi con quell'eredità! Del re-
sto, immagino che la signora si sia rivolta a lei soprattutto
per essere consigliata da qualcuno di cui poteva fidarsi. –
– Le ho suggerito di rivolgersi al patronato, dove
avrebbe trovato un esperto che poteva seguirla e consi-
gliarla. C'è un ragazzo che conosco perché viene qualche
volta a fare il volontario. Si chiama Maurizio Reggiani ed
è molto preparato su problematiche di gestioni patrimo-
niali, successioni e grane di quel genere. Mi promise che
sarebbe andata a parlargli. Poi non ho saputo più nulla,
fino a questa mattina, quando siete arrivati voi. –
– Ci dica, don Lorenzo! Chi frequentava solitamente
la vittima? –

120
IL TESORO DELLA BARONESSA

L'intenzione dell'ispettore Gianetti era quella di esor-


tare il sacerdote ad arrivare rapidamente al dunque. Don
Cremasco, però, sembrò non coglierla.
– Quando mi informò della faccenda dell'eredità, vi
confesso, per un attimo ebbi dei brutti presentimenti.
Purtroppo, questi nostri amici abituati a barcamenarsi in
situazioni di povertà, non sono proprio capaci di maneg-
giare molto denaro; spesso, quando questo avviene, fan-
no una brutta fine. Sono persone indifese, sapete? Magari
sono anche dei ladruncoli, o, nel caso delle donne, hanno
un passato di strada, ma sono ingenui come bambini. Per
questo avevo suggerito ad Antonietta di farsi aiutare...
ah, ma tu mi chiedevi delle sue frequentazioni! –
Don Lorenzo fece una breve pausa, come a cercare di
concentrarsi per non scordare nessuno.
– Ecco, credetemi, non è facile restringere il campo
delle frequentazioni di Antonietta a poche persone. Era
una creatura accogliente e si era messa in testa di allevia-
re la sua e altrui solitudine invitando ogni sera uno dei
nostri ospiti a casa sua per cenare insieme. Aveva inven-
tato un sistema davvero originale per l'organizzazione di
queste cene: la persona ospitata passava dalla mensa dei
frati di San Francesco, i cappuccini, che svolgono questo
servizio prima dell'orario di cena, e ritirava il cibo anche
per lei. A casa di Antonietta trovava i fornelli accesi per
riscaldarlo, la tavola apparecchiata e un luogo caldo in
cui sostare qualche ora prima di tornare qui al dormi-
torio o accucciarsi sotto qualche coperta e dei cartoni in
qualche angolo della città. –

121
BRUNO VOLPI

– Lei ha idea di quali siano stati gli ospiti della signora


Fusco negli ultimi giorni? –
– Commissario, io posso anche dirti qualche nome,
ma sono più che certo che nessuno di loro avrebbe mai
fatto del male ad Antonietta. Tutti, qui, le volevamo
bene! –
– Capisco, don Lorenzo, ma si dà il caso che qualcuno
ne abbia provocato la morte proprio ieri sera e quindi tut-
ti coloro che hanno avuto relazioni strette con la vittima,
se non li possiamo considerare dei sospettati, potrebbero
comunque diventare degli importanti testimoni. –
A questa frase del commissario Badalotti, Gianetti
avrebbe volentieri aggiunto qualcosa del tipo: “E quindi
fuori i nomi, che non abbiamo tempo da perdere, noi!”.
L'impalpabile reticenza del sacerdote e quel ritmo len-
to, meditativo, che sembrava voler imporre ad ogni cosa,
persino ad un'indagine, lo stavano parecchio infastiden-
do.
Per fortuna non si rivelò necessario un secondo in-
tervento esortativo da parte dell'ispettore. Don Lorenzo,
sempre con un incedere verbale assai cadenzato, quasi
cantilenante, riprese la parola, rispondendo alla richiesta
del commissario.
– Tra gli ospiti delle ultime sere ritengo che ci sia stato
Rodrigo. Gli altri lo chiamano Pelagatti, ma non è il suo
cognome. Glielo avevano affibbiato anni fa, quando si di-
ceva che catturasse i gatti randagi per cucinarli, ma pen-
so che fosse una diceria senza senso. Rodrigo era quello
che passava più tempo con Antonietta, perché sapeva

122
IL TESORO DELLA BARONESSA

fare tanti lavoretti e lei gli chiedeva spesso di aiutarla in


casa. –
– Lei, ovviamente, conosce le generalità complete di
questo Rodrigo, vero? Dovremo convocarlo per interro-
garlo... –
Gianetti non aveva terminato la frase. Don Lorenzo lo
interruppe con decisione.
– Se li portate in commissariato, faranno scena muta.
Vi ci farò parlare io, se volete, ma a una sola condizione:
che li interroghiate qui da noi. Vi metterò a disposizione
questa stanza. –
Il tono usato non era più quello conciliante di qualche
minuto prima, e il ritmo molto più incalzante.
Badalotti decise che non valesse la pena di entrare in
conflitto con quell'insolito sacerdote.
– Per noi non c'è problema a trasformare questa stan-
za in una succursale del commissariato. Lei, però, ci pre-
para una lista con le informazioni anagrafiche degli uten-
ti del vostro servizio mensa con cui dovremo parlare e ce
li fa trovare disponibili ad orari prestabiliti. L'ispettore
Gianetti verrà qui con alcuni colleghi e procederanno ad
interrogare queste persone. –
Mario Gianetti, che, sin dall'inizio, non aveva simpa-
tizzato granché con don Lorenzo, all'idea di dover tra-
scorrere svariate ore in quei locali a fare il terzo grado a
tutta una serie di barboni, magari anche piuttosto maleo-
doranti, fu tentato di inscenare un improvviso attacco di
appendicite fulminante.
Poi, però, lentamente, una ad una, le parole pronun-

123
BRUNO VOLPI

ciate dal commissario iniziarono a scorrere nella sua


mente come dei sottotitoli di un film in lingua straniera:
– L'ispettore Gianetti verrà qui con alcuni colleghi e pro-
cederanno ad interrogare queste persone... L'ispettore
Gianetti verrà qui con alcuni colleghi... L'ispettore Gia-
netti verrà qui...–
Era chiaro che sarebbe stata un'occasione importante
per mettersi in evidenza. Badalotti, già durante la sua as-
senza, aveva affidato a lui la squadra. E in quel momento,
lo stava nuovamente mettendo alla prova. E questa volta
lui, Mario Gianetti, non avrebbe fallito.

124
IL TESORO DELLA BARONESSA

VENTISETTESIMO

Il nuovo giorno di Barbara Rossi non era iniziato con


il medesimo entusiasmo dei precedenti.
Guardandosi allo specchio dopo la doccia aveva nota-
to come il suo volto mostrasse in modo evidente i segni
di una notte insonne e, per giunta, alquanto tormentata.
Si era resa conto, istante dopo istante, rigirandosi in-
vano sotto il piumone, di quanto quella fragile figura, di
cui era diventata vicina di casa solo qualche giorno pri-
ma, avesse fatto in fretta ad entrare tra i suoi affetti.
Su questa rapida familiarizzazione dovevano aver in-
ciso senza dubbio una serie di fattori contingenti come la
lontananza da casa e la mancanza di punti di riferimento
già consolidati nel nuovo incarico.
Tutte queste considerazioni, però, non parevano suf-
ficienti a giustificare il turbamento che stava provando
per la fine di una persona che, in realtà, conosceva solo
da pochi giorni. E, per di più, anche alquanto superficial-
mente.
Barbara aveva passato tutta la notte a chiedersi come
mai quella strana signora le fosse entrata dentro così
profondamente. Era come se qualcuno, nella sua mente,
avesse schiacciato il tasto del fermo immagine proprio
mentre la pellicola mostrava Antonietta Fusco a terra,
ormai esanime, con quella strana aureola di un colore
rosso tendente al granata intorno alla testa.
A quella domanda non aveva saputo trovare risposta,

125
BRUNO VOLPI

ma almeno una certezza l'aveva maturata: non si sarebbe


data pace finché non si fosse trovato chi aveva causato la
morte di Antonietta.
Animata da quell'intento, appena giunta in commis-
sariato, aveva cercato Badalotti per raccontargli tutto ciò
che la vittima le aveva confidato sulla propria vita. Ripen-
sandoci, però, si era resa conto che, di fatto, Antonietta
non le aveva parlato nello specifico di nessuna delle per-
sone che stava frequentando in quei giorni, limitandosi a
parlare soprattutto di storie lontane negli anni.
Una vita, quella della Fusco, che, se non si fosse fat-
ta coinvolgere emotivamente in modo così profondo,
avrebbe quasi potuto associare alla trama di una fiction
televisiva. Una fiction con risvolti molto tragici, come si
conviene a quelle trasmissioni che vogliono catturare il
pubblico per migliaia di puntate.
– Questa però, non è per niente una fiction! – Il pen-
siero le era nato spontaneo, intenso come un pugno allo
stomaco.
Appurato che Badalotti e Gianetti erano fuori per l'in-
dagine, Barbara si era accomodata alla sua nuova scriva-
nia, proprio di fronte a quella dell'agente scelto Bonino.
Appena entrata in ufficio, le era bastato uno sguardo
per capire che anche per il suo mentore la nottata non
doveva essere stata delle più facili. Anche se l'aveva sa-
lutata sforzandosi di sorriderle, le occhiaie profonde e i
capelli un po' in disordine erano lì a testimoniare che an-
che Fulvio doveva aver trascorso la notte tormentato da
pensieri poco piacevoli.

126
IL TESORO DELLA BARONESSA

Nonostante la giornata festiva e il fatto che sarebbe


stato il suo turno di riposo, l'agente Bonino aveva voluto
ugualmente essere presente in ufficio, anche per cercare
di mettere un po' di ordine nella cartella dell'indagine sui
furti con scasso.
– Barbara, ieri pomeriggio, eri poi andata a parlare
con la moglie del proprietario del Boxer 50? Sei riuscita a
sapere qualcosa di importante? –
– Sì, sono andata. Ma purtroppo la signora non ri-
corda davvero chi sia stato l'acquirente del motorino. So-
stiene che poteva trattarsi di qualcuno con cui il marito
intratteneva dei rapporti di lavoro e di queste faccende
lei non si è mai occupata. –
– Non preoccuparti, forse non è così importante. Il
motorino dovrebbe essere quello intestato al prete. Ieri
sono stato da lui e lo ha riconosciuto perché quella mac-
chia bianca che vedevamo sulla parte destra posteriore è
in realtà un adesivo che avevano messo per coprire delle
righe fatte da qualche vandalo. –
A questa affermazione di Fulvio, Barbara rimase un
attimo perplessa. Se lui già sapeva che il motorino non
era quello del marito della signora da cui era stata il po-
meriggio precedente, che scopo aveva quella domanda?
Voleva forse verificare se aveva portato a termine l'inca-
rico?
– Certo che qualche volta sei un po' antipatico, agente
scelto Fulvio Bonino! – Nonostante il dubbio che conti-
nuava a frullarle nella mente, Barbara non volle appro-
fondire e decise di passare oltre.

127
BRUNO VOLPI

– Quindi vuoi dire che quel don Lorenzo può sapere


chi era alla guida del motorino, dato che è evidente che
non poteva essere lui, da come lo avete descritto. –
Alla domanda di Barbara, Fulvio si mostrò pensieroso.
– Sai che ti dico? Ho l'impressione che lui abbia rico-
nosciuto il tipo magrolino col giubbotto nero e i jeans
stinti, ma con me ha fatto finta di nulla. –
– Ma questo si chiama favoreggiamento! – Barbara
era sconcertata dall'affermazione di Fulvio riguardo al
sacerdote.
– Non corriamo troppo, collega. Don Cremasco mi ha
fatto una buona impressione. Vedrai che, se davvero co-
nosce il malvivente, troverà il modo di consegnarcelo. –
– Parli come se quel prete fosse un boss. Anche se si
tratta di un pezzo grosso della chiesa locale, non può
pensare di poter essere sopra la legge! –
– Dai, non esageriamo! In fondo ci farebbe comodo se
don Lorenzo ci portasse qui il ladro pronto a confessare.
La situazione è tale che se non confessa lui, non avremo
mai in mano nulla per incriminarlo. – Bonino fece una
breve pausa, per permettere alla sua affermazione di ri-
empire la stanza, poi riprese. – Ora, comunque, volente o
nolente, dovrà collaborare con la Polizia, dato che c'è di
mezzo un omicidio. –

128
IL TESORO DELLA BARONESSA

VENTOTTESIMO

Alessandria, 17 dicembre, ore 10:00

– Signor Mohammed Fawzy, riconosce questo mazzo


di fiori? –
Don Lorenzo Cremasco aveva mantenuto fede al pat-
to sancito col commissario Badalotti. La sera stessa ave-
va inviato all'indirizzo mail dell'ispettore Gianetti un file
contenente una tabella con un elenco di nominativi nella
prima colonna e una serie di orari nella seconda.
Il primo degli appuntamenti era fissato per le ore dieci
del giorno successivo.
Consultato il commissario Badalotti, l'ispettore Gia-
netti aveva chiamato gli agenti Barbara Rossi e Rugge-
ro Nobiltà, comunicando loro che avrebbero dovuto af-
fiancarlo in una serie di colloqui con coloro che avevano
avuto contatti con Antonietta Fusco nell'ultimo periodo.
Aveva consegnato loro la lista con gli orari in cui si
sarebbero presentate le varie persone da interrogare; li
attendeva una giornata molto intensa.
Arrivati alla sede della Mensa Tavola Amica, avevano
trovato don Cremasco ad attenderli. Li aveva fatti acco-
modare in uno stanzino sul retro, una specie di grande
ripostiglio che affacciava sul cortile. Le pareti grigie, inte-
ramente scaffalate e piene di scatoloni contenenti cibo a
lunga conservazione, facevano sembrare ancora più pic-
colo e soffocante lo spazio al centro dello stanzino, in cui

129
BRUNO VOLPI

erano stati disposti un tavolino in plastica bianca e quat-


tro sedie dalla linea molto essenziale. La presenza di una
sola finestra, per di più piccola, che affacciava sul cortile
interno, rendeva indispensabile l'utilizzo della luce elet-
trica per illuminare la stanza.
Don Lorenzo aveva motivato la scelta di quel locale
per i colloqui con la giustificazione che, essendo un po'
isolato, non sarebbero stati disturbati dal normale via
vai di persone della mensa e del Centro d'Ascolto. Ave-
va anche aggiunto che non era stato facile convincere le
persone che conoscevano meglio la vittima ad incontrare
la Polizia, ma che era riuscito a convocarli tutti per quel
giorno per favorire una rapida conclusione dell'indagine.
Prima di lasciarli si era fermato un istante sulla porta
dello stanzino, aveva assunto un'espressione seria, li ave-
va guardati fisso negli occhi, uno ad uno.
– Tra poco vi troverete di fronte delle persone le cui
vite sono già sufficientemente scombussolate per rischia-
re di aggiungervi ulteriore disagio. Anche se cercheranno
di non darlo a vedere, sono estremamente turbati dalla
notizia della morte di Antonietta. Mi raccomando, non
fatemi pentire di aver organizzato questo circo per voi! –
La frase era suonata come un'ammonizione. I tre po-
liziotti avevano notato, con un certo stupore, come la
famosa affabilità che tutti riconoscevano a don Lorenzo
fosse venuta meno, in modo sorprendentemente repen-
tino, quando si era trattato di proteggere i propri assistiti.
Dopo qualche minuto, trascorso dai tre poliziotti a
commentare questa specie di doppia personalità mostra-

130
IL TESORO DELLA BARONESSA

ta dal sacerdote, avevano visto affacciarsi sulla porta un


ragazzo dalla carnagione scura, viso da Africa mediterra-
nea, alto, magro, profondi occhi scuri.
Mohammed Fawzy era il primo nome inserito da don
Cremasco nella lista delle persone che avevano intratte-
nuto rapporti con la Fusco nelle ultime settimane. Ai tre
poliziotti era subito apparso particolarmente intimorito.
La giovane età del soggetto era parzialmente mascherata
dal viso scarno ed emaciato di chi non conduce una vita
troppo regolare e da una rasatura che doveva risalire ad
alcuni giorni prima.
Le rassicurazioni ricevute dall'ispettore Mario Gianet-
ti riguardo al fatto che non si sarebbe parlato di permessi
di soggiorno e che le domande avrebbero avuto soltanto
lo scopo di acquisire informazioni sulle abitudini e le fre-
quentazioni della vittima, sembravano non averlo affatto
tranquillizzato.
Dopo quasi quaranta minuti in cui si erano alternate
domande abbastanza chiare e dirette a risposte piuttosto
biascicate, era emerso soltanto che Mohammed faceva il
venditore ambulante e che, come tanti altri, veniva occa-
sionalmente invitato dalla vittima a casa propria, più co-
munemente per cena ma, talvolta, anche nel pomeriggio,
per prendere un the alla menta, che gli ricordava le sue
tradizioni magrebine.
La frase più ricorrente pronunciata da Fawzy era stata:
“Signora era sempre molto buona con me, io mai avrebbe
fatto male a lei.”
Ad un certo punto l'ispettore Gianetti si era fatto pas-

131
BRUNO VOLPI

sare una fotografia dall'agente Rossi, mostrandola al gio-


vane magrebino.
– Signor Fawzy, riconosce questo mazzo di fiori? –
Mohammed inizialmente era impallidito, restando
a lungo in silenzio. Poi, come se si fosse sbloccato da
un'improvvisa paralisi, del tutto simile a quella di uno
studente, quando si rende conto che gli è stata posta una
domanda chiave e che dalla sua risposta dipenderà l'esito
dell'esame, rispose senza più tentennamenti.
– Sì, riconosco mazzo. Quelli non fiori, rami natalizi.
Io portato due giorni fa, giorno che signora stata uccisa,
a casa di lei. Lei aveva chiesto qualche sera prima, ma io
non avevo, avevo finiti mazzi di Natale. Lei voleva paga-
re, ma io non voluto. Signora sempre buona con me. Io
regalato. –
– Si ricorda che ora era quando è andato dalla signora? –
– Credo cinque e mezza. Signora non c'era. Io aspetta-
ta, sapevo che alle cinque andava sempre a messa. –
– E quanto è rimasto a casa di Antonietta Fusco? –
– Poco. Lei voleva offrire me the, ma io non voluto.
Dovevo cominciare giro per vendere fiori. Prima face-
vo solo orario di cena, adesso faccio anche aperitivo. Ci
sono tanti giovani che comprano. Forse io simpatico per
loro, forse danno soldi per sentirsi buoni, che è Natale. –
Nel fare quest'ultima riflessione, Mohammed era
tornato ad abbassare lo sguardo verso le proprie mani,
che teneva appoggiate sulle cosce. Sia Gianetti, che i due
agenti, ebbero la chiara sensazione che il giovane avesse
provato un momento di vergogna per la sua situazione di

132
IL TESORO DELLA BARONESSA

dipendenza dagli altri.


A Barbara venne spontaneo pensare che forse aveva
dovuto lasciare una moglie e dei figli al suo paese e che
quel poco che riusciva a guadagnare, anziché bruciarlo
in alcool e droga come facevano tanti disperati, sarebbe
servito ad elevare un po' il livello di vita della sua fami-
glia.
– La signora Fusco le ha per caso detto se aspettava
qualcuno quel pomeriggio? –
– Io non so. Lei non detto niente a me. –
– E quando è andato via, ha visto qualcuno che cono-
sceva nei dintorni, qualcuno che si possa pensare andas-
se dalla signora? –
– Ispettore, io non capito tanto domanda. Lei vuole
sapere se io visto qualcuno andare da signora dopo me?
Io non visto nessuno. Io solo tanto triste per signora. Lei
era amica, un po' come mamma per me. –

133
BRUNO VOLPI

VENTINOVESIMO

Dopo aver spedito l'ispettore Gianetti e gli agenti Ros-


si e Nobiltà ad interrogare le persone che avevano avuto
frequentazioni recenti con la signora Fusco, Badalotti
aveva preso con sé l'agente scelto Fulvio Bonino per una
missione speciale.
Si erano infatti recati sul luogo del crimine.
Badalotti, che era da sempre allergico ai sensaziona-
lismi, ovviamente aveva usato ben altra espressione con
Bonino.
– Fulvio, vieni che facciamo due passi fino a casa della
signora Fusco. –
Bonino, che avrebbe istintivamente risposto qualco-
sa come: – Commissario, ma è morta! –, si era limitato
ad assecondare la richiesta del superiore senza chiedere
dettagli. Era andato a recuperare il cappotto e le chiavi
dell'appartamento e si erano avviati lentamente, sfidando
freddo e nebbia di una giornata che difficilmente avrebbe
mostrato qualche raggio di sole.
– Vedi, Fulvio, se fossimo al commissariato di Bor-
dighera, non ti sarebbe servito prendere il cappotto e ci
staremmo godendo una bella passeggiata al sole. Questo
clima padano ci sta rovinando la salute. Non c'è nemme-
no da chiedersi come mai metà degli alessandrini abbia
la casa in Riviera. –
Bonino ascoltava senza sbilanciarsi con risposte o
commenti. Anche per lui, cresciuto ai piedi del Rosa,

134
IL TESORO DELLA BARONESSA

quel clima era incredibilmente anomalo. Solo che a casa


sua, in quei giorni, il sole, certamente tra i più radiosi che
si potessero pretendere, non era esattamente accompa-
gnato dai quindici gradi che i meteorologi avevano pre-
visto per la Riviera Ligure.
Giunti a destinazione, erano saliti al primo piano e
avevano tolto momentaneamente i nastri bicolore che
servivano ad evidenziare che l'appartamento era stato
messo sotto sequestro finché non fossero state fatte tutte
le rilevazioni del caso.
Osservata con la luce del giorno, anche se si tratta-
va di una luce tenue, vista la giornata grigia e nebbiosa,
la stanza che fungeva da alloggio della vittima mostrava
ancora di più i segni del logorio di anni passati senza mi-
gliorie. Al commissario parve di essere tornato indietro
di trent'anni, quando la zia Mariolina lo ospitava nel suo
alloggio all'inizio di Via Marengo. I pensili della cucina,
il tavolo col piano in formica e il comò in noce, che oggi
si sarebbe definito “arte povera”, ricordavano in tutto e
per tutto quelli dell'alloggio della prozia. Al centro del
piano del comò un vasetto di ceramica, poggiato su un
centrino ricamato a mano, probabilmente dalla proprie-
taria stessa, stava ancora aspettando di accogliere quel
mazzo di rami natalizi che era rimasto abbandonato sul
tavolo.
– Sono poi venuti l'altra sera quelli della Scientifica? –
– Sì, commissario, sono arrivati che era quasi mezza-
notte. Hanno rilevato qualche impronta e del materiale
organico, ma non ci hanno ancora riferito nulla. –

135
BRUNO VOLPI

– E non ci riferiranno nulla, vedrai. Comunque stare-


mo a vedere. E hanno guardato anche sul balconcino? –
– No, commissario. Era buio, e poi si gelava ed era mol-
to tardi. –
Mentre la stava pronunciando, Bonino aveva avverti-
to quanto scricchiolante fosse la giustificazione che aveva
posto a fronte di una potenziale leggerezza commessa da
rappresentanti delle forze dell'ordine; un fatto inaccet-
tabile per una persona tutta d'un pezzo come era il suo
capo, il commissario Luigi Badalotti.
Al contrario di quanto si sarebbe aspettato, Badalotti
non formulò alcun giudizio, ma, semplicemente un'esor-
tazione.
– Dai, diamo noi un'occhiata! –
Ruotarono la vecchia maniglia della porta–finestra in
legno laccato bianco e si trovarono su un terrazzino di
due metri di profondità per quattro di lunghezza, occu-
pato da uno stendibiancheria mezzo arrugginito e da un
mobiletto da balcone in alluminio.
Badalotti aprì le porte del mobiletto. L'interno era
formato da tre scomparti. Nel primo, in alto, vi erano
detersivi e qualche straccio. Lo scomparto centrale ospi-
tava vasetti di plastica di varie dimensioni, infilati l'uno
nell'altro e ben ordinati.
Nello scomparto inferiore erano gettati alla rinfusa
alcuni strumenti di lavoro: un martello, pinze, tenaglie,
cacciaviti e un paio di guanti.
– Fulvio, guarda qui che sorpresa! –
Il commissario aveva preso in mano uno dei due

136
IL TESORO DELLA BARONESSA

guanti e lo stava mostrando a Bonino. Il primo pensiero


dell'agente fu che quell'oggetto, a rigor di logica, avrebbe
dovuto riguardare l'altra indagine che avevano in corso.
Che rapporto potevano avere infatti con l'omicidio di
Antonietta Fusco dei guanti da motociclista con il sim-
bolo Harley Davidson cucito sul dorso?

137
BRUNO VOLPI

TRENTESIMO

L'ispettore Gianetti aveva deciso di cercare di portarsi


più avanti possibile con i colloqui investigativi durante
la mattinata, prima di interrompere per la pausa pranzo.
La sua proposta aveva trovato d'accordo sia l'agente
Rossi, che essendo l'ultima arrivata non si sarebbe certo
permessa di mettere dei paletti, sia l'agente Nobiltà che,
data l'abitudine di fare colazioni in stile nord–europeo,
era abbastanza abituato a saltare il pranzo, adducendo
la giustificazione che avrebbe poi recuperato con la cena
che la madre gli preparava, abbondando nella quantità
come se ci fosse da sfamare una squadra di calcio.
Pur se la stazza di Ruggero Nobiltà era tale da poter
contenere almeno tre calciatori dal fisico di un Insigne o
un Chiesa, la parte di cibo destinata ai restanti otto cal-
ciatori veniva inevitabilmente riposta in frigorifero per
i pasti del giorno successivo, talora iniziando già dalla
colazione.
Il secondo nominativo della lista preparata dal sacer-
dote era quello di Gilberto Caruso. Di fronte ai poliziotti
si presentò quello che poteva essere portato ad esempio
come modello di moderno clochard.
Non molto alto, ma di corporatura decisamente robu-
sta, un po' curvo, nonostante l'età non avanzata, una vi-
stosa barba incolta che ricadeva su uno sciarpone di lana
rossa in cui si era avvolto, Caruso si era fermato sulla
porta dello stanzino e stava osservando a turno ciascuno

138
IL TESORO DELLA BARONESSA

dei tre poliziotti, scostando ritmicamente la testa come


in una danza tribale.
– Lei deve essere il capo. Facciamo presto così torno
in sala mensa a scaldarmi, che stanotte c'era menoquat-
tro là fuori! –
– Venga avanti, signor Caruso. Si accomodi qui sulla
sedia. –
L'invito giunto dalla donna poliziotto aveva lasciato
un po' perplesso Gilberto.
– Ma non mi volete mica far credere che avete fatto
capo una donna? Ma quelle robe lì succedono solo in te-
levisione, non fatemi ridere. –
Barbara rimase amareggiata per questa affermazione.
Possibile che ci fossero ancora questi tipi di pregiudizi
nella gente comune? A rompere il silenzio che si era cre-
ato intervenne l'ispettore Gianetti.
– E invece sarà proprio la collega a farle delle doman-
de. E lei è vivamente pregato di rispondere. –
– E, se rispondo giusto, mi date la bambolina? No?
Vabbè, facciamo che mi accontento di due fettazze di co-
techino con del purè bello bollente. –
Rinfrancata dall'implicita testimonianza di fiducia da
parte di Gianetti, l'agente Barbara Rossi decise di partire
all'attacco.
– Allora, signor Caruso, se le guadagni le sue fettaz-
ze di cotechino! Ci racconti tutto quello che sa riguardo
alla signora Fusco e alle persone che frequentava abitual-
mente. E le conviene fare in fretta, altrimenti rischierà di
saltare il pranzo. Inizi col dirci qual è l'ultima volta che

139
BRUNO VOLPI

ha visto Antonietta. –
Preso quasi in contropiede dall'affondo della donna
poliziotto e altamente preoccupato dal rischio di dover
saltare il pranzo, Gilberto Caruso decise che gli conveni-
va raccontare ciò che sapeva.
Iniziò col citare le tre persone che, a suo modo di ve-
dere, avevano avuto più a che fare con la vittima.
Mentre Gilberto le elencava, l'agente Nobiltà control-
lava che i nominativi fossero gli stessi presenti nella lista
redatta da don Cremasco.
In effetti, su quell'elenco, oltre ai nomi del magrebi-
no Mohammed e dello strano individuo che avevano di
fronte, ne comparivano altri due, che Gilberto citò, for-
nendone anche una descrizione fisica e comportamen-
tale.
– Come vi dicevo, oltre a quel fiorista, che, se non
fosse un marocchino, sarebbe anche un bravo Cristo,
c'è Gullit. No, non vi sto prendendo in giro, credo che si
chiami Salvatore, ma il cognome non lo so mica. –
– Salvatore Pugliese, soprannominato Gullit, di anni
37 – intervenne Ruggero Nobiltà che teneva sempre sotto
controllo l'elenco preparato da don Lorenzo.
– Lo chiamiamo Gullit perché da ragazzo era tifoso
del Milan e sullo zaino ha appiccicato un sacco di figu-
rine di quel calciatore lì, quello con le treccine in testa.
Ma lui è un po' di giorni che non lo vediamo. Ogni tanto
sparisce per un po'. Secondo me lo mettono in galera,
ma poi puzza così tanto di sudore che lo lasciano subito
libero. –

140
IL TESORO DELLA BARONESSA

Gilberto Caruso fu il solo a far seguire l'ultima frase


da una sonora risata, che mise in mostra una dentatura
alquanto martoriata. Vedendo come nessuno dei tre po-
liziotti che gli stavano di fronte avesse apprezzato quella
che lui considerava una battuta esilarante, decise di pro-
seguire nelle sue dichiarazioni.
– E l'ultimo che mi viene in mente è il Pelagatti, Ro-
drigo. Anche Pelagatti è un soprannome, neh! Ce l'avete
in quell'elenco il Rodrigo? –
– Rodrigo Gutiérrez, di famiglia sudamericana, ma
nato in Italia, anni 41. – Ancora una volta l'agente Nobil-
tà si era fatto trovare sul pezzo.
– Sì, il Pelagatti è un argentino. Una volta faceva anche
il ballerino di tango. Ma quello è capace a fare di tutto. La
baronessa mi raccontava... –
– Chi, scusi? – Era stato l'ispettore Gianetti a intervenire.
– Massì, la Fusco. Oh, non ditemi che non sapete che
la chiamano “la baronessa”? Ma se lo sanno tutti che da
giovane è stata l'amante di un barone. E anche il figlio che
aveva avuto, che poveretto è morto giovane, secondo me
aveva il sangue blu anche lui. –
– Bene, grazie per la precisazione! Ora vada pure
avanti. Che cosa le raccontava la signora Fusco? –
L'agente Rossi sembrava decisa a tenere il Caruso sot-
to pressione.
– Stavo dicendo che la baronessa, sì, l'Antonietta, mi
ha raccontato che Rodrigo le ha fatto un sacco di lavori
in casa, dai rubinetti che perdevano, a cambiare il tubo
del gas, dal bianco alle pareti ai ritocchi dei mobili. Co-

141
BRUNO VOLPI

nosceva la casa della baronessa come se fosse la sua. –


– Interessante, signor Caruso. E ora la cosa più im-
portante. Quando è stata l'ultima volta che ha visto la
signora Fusco? –
– Quando mi ha invitato a cena da lei, qualche sera fa.
Il 12 dicembre, mi pare. Seee vabbé, invitato! Precisiamo:
la cena l'ho portata io, cosa credete? –

142
IL TESORO DELLA BARONESSA

TRENTUNESIMO

Badalotti aveva dato appuntamento alla squadra per il


primo pomeriggio, in modo da fare il punto sulle inda-
gini, analizzando le informazioni raccolte, per poi proce-
dere con una seconda fase di “interviste” alle rimanenti
persone informate dei fatti o, per meglio dire in questo
caso, alle persone che erano venute in contatto con la vit-
tima negli ultimi tempi, i cui nominativi erano comparsi
in rapporti, chiacchierate e liste preparate da sacerdoti.
All'ora concordata erano tutti presenti nell'ufficio del
commissario, ad eccezione dell'agente Rossi. Badalotti,
conoscendo bene Barbara e sapendo che si trattava di
una poliziotta molto motivata, non fosse altro per la ra-
gione che l'aveva spinta ad entrare a far parte delle forze
dell'ordine, si stava chiedendo la ragione di tale assenza.
Gli altri presenti chiacchieravano amabilmente di argo-
menti vari, tra cui fine settimana sulla neve, pranzi di
Natale da cercare di evitare, regali che, al contrario, non
potevano essere evitati. Il clima era quello di una classe
di una scuola primaria durante la ricreazione.
In quel momento, tutta trafelata, piombò nell'ufficio
del commissario l'agente Barbara Rossi.
– Scusatemi tanto, ma Poirot ci ha messo un sacco di
tempo per decidersi a fare i suoi bisogni. –
– Poirot???? – La reazione, all'unisono, di tutti i pre-
senti, fu di evidente stupore. Tutti, tranne l'agente Boni-
no che, oltre a sapere benissimo chi fosse colui che aveva

143
BRUNO VOLPI

mutuato il nome del grande investigatore, era il solo ad


essere al corrente del fatto che Barbara avesse deciso, al-
meno per il momento, di tenere l'animale con sé, non
avendo cuore di lasciarlo al canile municipale.
– Oh, sì, perdonatemi. Dunque, Poirot è il cagnolino
che viveva con la signora Fusco... insomma, la mia vicina
di casa che è deceduta... sì, insomma, che è stata ucci-
sa... crediamo. Per il momento l'ho tenuto con me, poi
vedremo. Così, in pausa pranzo, devo passare a casa per
accudirlo e portarlo fuori. Ma è così tenero, poverino. –
L'ispettore Gianetti e l'agente Nobiltà si lanciarono
uno sguardo eloquente.
Il commissario Badalotti, non sapendo come inter-
pretare questo spirito animalista della sua agente, lui che
gli animali, come pure i bambini, li avrebbe anche amati
se fossero stati in grado di accudirsi da soli, decise di pas-
sare oltre.
– Allora, prima di sentire se avete saputo qualcosa di
interessante per l'indagine, parlando con le persone indi-
cate da don Cremasco, vi metto al corrente di una cosa
importante che abbiamo scoperto io e Fulvio. –
La premessa era stata più che sufficiente per catturare
l'attenzione di tutti i presenti. Fine della ricreazione!
– Questa mattina ci siamo recati nell'alloggio della
vittima e, tra le altre cose, in un armadio sul balcone, ab-
biamo trovato questi. –
Badalotti con abile mossa da prestigiatore fece com-
parire sulla scrivania davanti a sé un sacchetto trasparen-
te contenente due guanti da motociclista, che recavano,

144
IL TESORO DELLA BARONESSA

stampato sul dorso, l'inconfondibile simbolo della Har-


ley Davidson.
– Quindi, dato che mi sembra alquanto improbabi-
le che la vittima avesse la passione per le motociclette e,
comunque, la taglia del guanto fa pensare ad una mano
certamente più grande di quella della signora Fusco, direi
che abbiamo buone probabilità che il proprietario sia il
nostro scassinatore. Ed allora ciò che dovremo chiarire
è come il paio di guanti sia arrivato nell'armadio del bal-
cone della signora Fusco e, in caso ve lo abbia lasciato
proprio l'uomo che stiamo cercando, quali rapporti vi
fossero tra costui e la vittima. –
– Due indagini che si stanno intrecciando in modo
inaspettato! – L'esclamazione dell'agente Nobiltà era
uscita inattesa. Vedendo che tutti si erano voltati verso di
lui, iniziò ad arrossire in modo molto appariscente.
– Io, cioè, non è che volevo dire che le due indagini
dovevano rimanere due... e nemmeno che adesso sono
una sola... commissario... –
Vedendo Nobiltà che stava per affogare in un mare di
imbarazzo, Badalotti decise di lanciargli un rassicurante
salvagente.
– Sai che hai proprio ragione, Ruggero! Nessuno di
noi avrebbe immaginato alcuna possibile commistione
tra i due diversi crimini su cui stiamo indagando. E direi
che per il momento dobbiamo continuare a considerarle
indagini separate e non commettere l'errore di cedere alla
tentazione di conclusioni affrettate. Sappiamo però che il
nostro ladruncolo, ammesso che il guanto sia il medesi-

145
BRUNO VOLPI

mo che abbiamo visto dall'ingrandimento della ripresa


della telecamera di sorveglianza, in qualche modo aveva
avuto accesso all'alloggio della Fusco. –
– C'è un particolare che potrebbe metterci sulla strada
giusta. – L'ispettore Gianetti aveva approfittato del mo-
mento di pausa nella narrazione del commissario per in-
serirsi e provare a portare all'attenzione del suo superiore
anche una delle informazioni che aveva raccolto con No-
biltà e la Rossi, sperando che potesse rivelarsi determi-
nante per le indagini.
– Una delle persone di cui abbiamo raccolto le testi-
monianze questa mattina è tale Gilberto Caruso, un tipo
abbastanza strano che però conosceva bene la Fusco,
tanto da chiamarla con il soprannome di baronessa, per
via della breve relazione con il barone De Fanti. Bene,
Caruso ha detto che c'è una persona che si occupava dei
lavoretti necessari nell'alloggio della Fusco, probabil-
mente anche sul balcone: questa persona è Rodrigo Gu-
tierrez, un sudamericano tuttofare che da giovane faceva
il ballerino. Lo dovremmo interrogare oggi nel tardo po-
meriggio.
Penso sia ipotizzabile che, avendo frequentemente, e
in varie ore del giorno, accesso all'alloggio della vittima,
avesse tutto il tempo per nascondere l'attrezzatura di la-
voro e recuperarla all'occorrenza. –
– Non corriamo troppo, ispettore! – La reazione del
commissario fu ispirata alla prudenza. – Ma non posso
negare che la sua ipotesi potrebbe essere realistica. Fate
così, prima di proseguire a interrogare le persone della

146
IL TESORO DELLA BARONESSA

lista di don Cremasco, fatevi fornire da lui stesso un po'


di informazioni su questo Gutierrez e di cosa si sa del suo
passato. E anche del suo presente. – Quest'ultima frase
Badalotti l'aveva aggiunta dopo una breve pausa.
La prima cosa a cui avrebbero dovuto dare una rispo-
sta le sue “celluline grigie”, come le avrebbe definite Po-
irot, questa volta l'investigatore, non il cane ormai dive-
nuto della Rossi, era la ragione della presenza del paio di
guanti in quell'armadio. Poteva forse un ladro distratto
averlo dimenticato? Oppure era stata una scelta consape-
vole, quella di nasconderlo in un luogo in cui probabil-
mente nessuno avrebbe frugato eccetto lui stesso, avendo
capito che quello stemma della scuderia americana sa-
rebbe stato troppo riconoscibile?

147
BRUNO VOLPI

TRENTADUESIMO

– Venga pure, signor Gutierrez, si accomodi. –


Rodrigo Gutierrez, pur non esercitando più da anni,
aveva conservato fisico e portamento da ballerino.
A dispetto dell'abbigliamento, che definire un po' lo-
goro sarebbe stato decisamente generoso, aveva un'innata
eleganza nel portamento e si muoveva come volteggian-
do nell'aria. Di altezza media, con una capigliatura folta e
una pettinatura con la riga di lato, che faceva tanto anni
70, ricordava un po' nell'aspetto la mezzala del Milan e
della Nazionale Gianni Rivera, le cui origini alessandrine
venivano spesso menzionate quando si discuteva di sport
nei bar della città, soprattutto quelli frequentati da clienti
che avevano passato la sessantina.
Circa un'ora prima, sulla medesima sedia sulla qua-
le l'agente Rossi aveva invitato ad accomodarsi Rodrigo
Gutierrez, che, già da subito, aveva mostrato, con sguardi
mirati e ampi sorrisi, di essere tutt'altro che insensibile
al fascino della donna in divisa, era seduto colui da cui
era partito tutto quel “circo”, come lo aveva definito egli
stesso: don Lorenzo Cremasco.
Il vicedirettore della Caritas Diocesana aveva parlato
a lungo di Gutierrez ai tre poliziotti.
Da giovane, essendo un brillante ballerino, era stato
messo sotto contratto da un'importante emittente priva-
ta per un programma in prima serata. Insieme al denaro,
come spesso succede nel mondo dello spettacolo, era ar-

148
IL TESORO DELLA BARONESSA

rivata anche la droga.


Dopo un periodo in comunità per tentare di disintos-
sicarsi, aveva provato ad aprire una scuola di ballo. An-
cora una volta era stato fermato dalla tossicodipendenza.
I debiti fatti gli erano costati la casa, quella che era riusci-
to ad acquistare nel periodo di presenza televisiva. Finito
sulla strada, aveva trovato in don Cremasco un sostegno.
Il sacerdote gli trovava dei lavoretti saltuari per permet-
tergli di mantenersi, anche se, in diverse occasioni, il de-
naro guadagnato era poi finito in mano agli spacciatori.
Ciò nonostante, don Lorenzo non si era mai dato per
vinto. Garantendosi la presenza quotidiana di Rodrigo
Gutierrez alla mensa di via delle Orfanelle, sperava di po-
ter tamponare ogni rischio di ricaduta nelle dipendenze.
Così quando l'ispettore Gianetti gli aveva riferito dei
loro sospetti, e cioè che il paio di guanti ritrovato nell'al-
loggio della Fusco potesse appartenere proprio a Gutier-
rez, che, di conseguenza sarebbe diventato il più serio
sospettato per gli scassi delle vetrine, don Cremasco era
rimasto fortemente perplesso. Ciò nonostante, si era im-
pegnato a controllare con maggiore attenzione i movi-
menti di Rodrigo, promettendo che se avesse scoperto
qualcosa a carico dell'ex ballerino, sarebbe stato il primo
a denunciarlo.
– Rodrigo è una persona di grande generosità e proat-
tività, ma ha una mente facilmente plagiabile e una per-
sonalità molto fragile. Se si è messo nei guai, sarà meglio
per lui farsi qualche mese di carcere o di comunità, spe-
rando di toglierlo dal giro. Ma fate attenzione a non in-

149
BRUNO VOLPI

sospettirlo, altrimenti sparirà nel nulla come ha già fatto


in passato. –
Con questa frase il sacerdote si era congedato dai tre
poliziotti. Dopo una decina di minuti era comparso sulla
soglia della porta dello stanzino, provvisoriamente adi-
bito a succursale del commissariato, l'ormai famoso ex–
ballerino.
– Signor Gutierrez, avrà certamente saputo della mor-
te della signora Antonietta Fusco. Noi riteniamo si tratti
di una morte violenta. Quindi abbiamo necessità di rac-
cogliere il maggior numero di informazioni sulla vittima
e le sue frequentazioni. Ci risulta che lei la conoscesse
bene, perché si recava spesso nel suo alloggio per fare dei
lavoretti. Ci parli un po' di Antonietta! –
– Vede, ispettore, Antonietta era una brava persona.
Per tanti di noi era quasi una seconda mamma. Nessuno
le avrebbe mai fatto del male. Io ho fatto tanti lavori a
casa sua perché è un palazzo vecchio e c'è sempre qual-
che problema, una volta l'acqua, una volta la luce, e poi
ogni tanto le davo il bianco o aggiustavo qualche mobi-
le. Ma facevo tutto gratis, perché lei mi rammendava i
vestiti e mi offriva sempre qualcosa da mangiare. Ogni
tanto voleva anche darmi qualche soldo, non so da dove
li prendesse, ma io rifiutavo. –
– E la Fusco, soprattutto in questi ultimi tempi, le ha
confidato qualche preoccupazione? –
– Antonietta parlava spesso della sua vita, ma sempre
del passato. Non mi ha confidato niente, ma io l'ho visto
che era preoccupata. –

150
IL TESORO DELLA BARONESSA

– Ha mai incontrato qualcuno a casa della vittima che


non fosse una persona del vostro giro, qualcuno che la
Fusco mostrasse di conoscere bene? –
Rodrigo Gutierrez fece come per volersi concentrare
per frugare adeguatamente nella memoria.
– Solitamente incontravo persone che girano spesso
qui dentro. Antonietta aveva l'abitudine di invitare a cena
uno di noi, a turno, quasi tutte le sere. Adesso che mi ci
ha fatto pensare, però, posso dirle, ispettore, che un po-
meriggio che ero passato a lasciarle la radio che le avevo
riparato, c'era un signore anziano, vestito molto elegante,
che prendeva il caffè con lei. Non l'avevo mai visto prima,
ma sembravano abbastanza in confidenza. –
– Vorrei farle ancora una domanda, poi la lascio con
la collega Rossi a cui descriverà l'aspetto e l'abbigliamen-
to di questa persona. – Un ampio sorriso comparve sul
volto dell'ex–ballerino, evidentemente molto contento di
quel tête–à–tête con la poliziotta. – Secondo lei per qua-
le ragione si potrebbe indurre la morte di una persona
come Antonietta Fusco? –
La domanda lasciò per un attimo Gutierrez sconcertato.
– Ispettore, lei qualche volta mi confonde. Parla trop-
po difficile e fa domande strane. Le ho già detto che tutti
volevano bene ad Antonietta. E poi in casa sua non c'era
niente da rubare. Proprio niente! –
– Le credo. Ma in ogni caso verificheremo domani
stesso. Abbiamo previsto un'ispezione dettagliata dell'ap-
partamento. Speriamo di trovare qualche indizio che ci
aiuti a risalire al colpevole. Ora la lascio davvero con la

151
BRUNO VOLPI

collega. Si sforzi di ricordare l'aspetto dell'uomo che vide


quel giorno. –
In analoghe situazioni l'agente Nobiltà si sarebbe chie-
sto come mai l'ispettore non avesse mostrato a Gutierrez
l'immagine del famoso guanto, intimandogli di confessa-
re, dati i forti sospetti che appartenesse a lui. Quella vol-
ta, però, Ruggero ben sapeva che questo atteggiamento
così vago del suo superiore era parte di un piano per far
venire allo scoperto il colpevole.
Un piano che sarebbe scattato non più tardi di una
manciata di ore.

152
IL TESORO DELLA BARONESSA

TRENTATREESIMO

Mentre l'ispettore Gianetti e i due agenti Rossi e No-


biltà erano in trasferta in un buio sgabuzzino presso la
sede della mensa in via delle Orfanelle, il commissario
Badalotti aveva deciso di trascorrere il resto del pome-
riggio alla sede del patronato per incontrare Maurizio
Reggiani, l'uomo che don Cremasco aveva indicato ad
Antonietta come possibile consulente per la faccenda
dell'eredità.
Aveva preso con sé il fido Bonino e, strada facendo,
gli aveva chiesto che impressione si era fatto della nuova
agente.
Bonino era entrato in panico totale.
Non poteva certo parlarne male, sia perché non ve ne
era motivo, sia perché aveva scoperto proprio due giorni
prima che il padre di Barbara era stato un collega con cui,
in gioventù, il commissario aveva coltivato una profonda
amicizia.
Analogamente non sarebbe stato opportuno neppure
parlarne troppo bene, per non rischiare di indurre nel
commissario il sospetto di un'attrazione nei confronti
della collega.
– Accidenti a te, Barbara! Con tutti i commissariati
che c'erano in Italia, proprio qui dovevi farti mandare! –
Il pensiero, fulmineo come era sorto, così se ne andò,
scacciato da uno di natura completamente opposta.
– Però, caro mio, quando ti ha chiamato alle otto di

153
BRUNO VOLPI

sera passate, con la voce che lasciava trapelare tutto l'or-


rore che stava provando, hai lasciato lì la cena e tutto il
resto e ti sei buttato nella nebbia senza neppure chiederle
di cosa si trattasse! –
Il terzo pensiero si dimostrò sicuramente più consono
alla situazione.
– Già, ma adesso qualcosa dovrò pur rispondere al
commissario, altrimenti questo mi sgama! –
Come spesso accade nelle situazioni disperate, an-
che se quella che stava avvenendo in via Marengo tra un
commissario di Polizia e il suo agente preferito appariva
come tale solo nella testa del suddetto agente, la parte
inconscia della mente viene in soccorso. Probabilmente,
fu dunque l'inconscio ad elaborare una risposta che nep-
pure il più abile dei rappresentanti del corpo diplomatico
di stato avrebbe saputo inventare.
– Vede commissario, so che non è prudente dare valu-
tazioni su un nuovo collega dopo appena qualche giorno
di presenza dello stesso in una nuova squadra investiga-
tiva, ma, dato che lei me lo chiede, le dirò che, per quella
che è la mia esperienza e sensibilità, la collega Rossi sem-
bra avere tutte le carte in regola per fare bene. –
Badalotti stava per rispondergli istintivamente: –
Caro Fulvio, mi sembra che tu stia frequentando troppo
l'ispettore Gianetti, perché ti sei messo a parlare come
lui! –
Riuscì a trattenersi e ad optare per una risposta meno
ironica.
– Mi fa piacere sentirti dire questo, Fulvio, perché io

154
IL TESORO DELLA BARONESSA

penso, e spero, che Barbara abbia la determinazione e le


capacità per diventare un ottimo poliziotto. Conto su di
te affinché questo accada rapidamente. –
La frase fu detta quasi come una pacca sulla spalla,
una pacca che, però, il giovane agente scelto sentì pesante
come una mazzata tra le scapole. Che cosa si aspettava
da lui il suo capo riguardo all'addestramento della nuo-
va collega? Gli stava forse offrendo una maggiore libertà
d'azione, come se si trattasse della promozione sul cam-
po al ruolo di addestratore esperto, la delega ad affidare
incarichi all'agente più giovane in completa autonomia?
Tutto preso dalla ricerca di una risposta a questi inter-
rogativi, Fulvio Bonino non fu in grado di proferire nul-
la fino all'arrivo alla sede del patronato, dove avrebbero
chiesto di poter incontrare Maurizio Reggiani.
Dal canto suo, Luigi Badalotti con quell'ultima frase,
si era convinto di aver assegnato la giusta responsabili-
tà all'agente di cui, negli anni, aveva maturato un'ottima
considerazione. Non c'era, pertanto, alcuna necessità di
aggiungere altro.
Così, chiusi nel loro totale silenzio, proseguirono a
camminare lungo quel tratto di via che, molti decenni
prima, aveva rappresentato l'inizio del viale alberato che,
dall'arco trionfale dedicato a Vittorio Amedeo III re di
Sardegna, conduceva fino a Marengo, un susseguirsi ca-
denzato di platani presumibilmente voluti da Napoleone
Bonaparte per rendere onore ai caduti della battaglia.
Chiunque li avesse incrociati avrebbe avuto l'impres-
sione di due semplici sconosciuti, ciascuno immerso nei

155
BRUNO VOLPI

propri pensieri, che, per tutta casualità, si erano trovati


sul marciapiede di via Marengo l'uno a fianco all'altro,
senza, però, avvertire la curiosità, e neppure l'esigenza,
di scambiarsi uno sguardo.

156
IL TESORO DELLA BARONESSA

TRENTAQUATTRESIMO

L'ingresso di Salvatore Pugliese nello stanzino desti-


nato alle conversazioni con le persone indicate nell'elen-
co preparato da don Cremasco fu annunciato da un acre
odore di sudore. Barbara Rossi fu tentata di portarsi una
mano a serrare naso e bocca, ma riuscì a desistere.
I tre poliziotti dovettero subito constatare che la de-
scrizione che Gilberto Caruso aveva dato di Gullit cor-
rispondeva perfettamente all'individuo che avevano di
fronte, anche se, contrariamente al suo idolo, la chioma
del Pugliese era tutt'altro che folta, somigliando più ad
un campo di grano dopo una tempesta di acqua e vento
che ad altro, forse anche per il fatto che i pochi capelli
rimasti ricordavano a stento la data dell'ultimo shampoo.
Gullit indossava un pesante cardigan di lana, con vi-
stosi rammendi che non si poteva escludere fossero stati
fatti proprio dalla vittima. Sulle spalle un consunto zai-
netto con innumerevoli adesivi, tutti raffiguranti il ben
noto giocatore del Milan di Sacchi.
– Si accomodi pure, signor Pugliese! – L'invito era
uscito un po' forzato, a causa del forte odore che aveva
già saturato la piccola stanza.
– Grazie, ma sto qui, in piedi. –
– Mi dica, lei conosceva bene la signora Fusco? –
– Chi? –
– Antonietta Fusco, che forse tra di voi chiamavate “la
baronessa” –

157
BRUNO VOLPI

– Ah, lei. Certo che la conoscevo bene. Mi rammen-


dava i vestiti, me li lavava anche, e ogni tanto mangiava-
mo insieme la sera. –
– A casa di lei, vero? –
– E dove sennò? Io non ce l'ho mica la casa, dormo
per strada, io. È duro sa, ispettore, in questi giorni. C'è da
gelare. Qualche mattina mi trovano come un baccalà. In-
vece dalla baronessa faceva un bel caldo. Perfino troppo,
che lei teneva sempre la porta–finestra aperta. –
– E quando l'ha vista l'ultima volta? –
– L'altro ieri, che sono passato a ritirare questi panta-
loni, che erano squarciati in mezzo e io avevo vergogna
a farmi vedere le mutande. Poi ieri, quando sono venuto
per il pranzo, le ragazze mi han detto che era morta, po-
vera baronessa. –
Inaspettate da tutti i presenti, forse anche dallo stesso
Pugliese, alcune lacrime scesero a rigare le guance scre-
polate del senzafissadimora.
– Che ora era quando è passato dalla Fusco? Quanto è
rimasto a casa sua? Ha visto qualcuno? –
Le domande poste a raffica dall'ispettore Gianetti pre-
sero Gullit quasi di sorpresa.
– Oh, ma non penserete mica che io c'entri con la
morte della baronessa? Ma voi siete matti! –
Il volto del Pugliese si era improvvisamente fatto pal-
lido. Agitava rapidamente la mano destra di fronte al
viso, facendo il gesto che solitamente si usa per indicare
che a qualcuno manca qualche rotella.
– Si tranquillizzi, nessuno la sta accusando di nulla.

158
IL TESORO DELLA BARONESSA

Vogliamo scoprire chi ha causato la morte di una perso-


na a cui tutti volevate bene, da quanto abbiamo capito.
Non vuole aiutarci? –
L'intervento, un po' a sorpresa, dell'agente Rossi, uni-
to ad un sorriso rassicurante, ebbe l'effetto di tranquilliz-
zare Gullit, il cui corpo, che era stato preso da una stra-
na frenesia, pian piano tornò a ricomporsi, rallentando
gradatamente i movimenti delle braccia quasi come se
le batterie avessero improvvisamente esaurito la potenza,
come accadeva agli orsetti tamburini di una nota pubbli-
cità televisiva.
Sorpreso dall'intervento della collega e dall'effetto ot-
tenuto sul Pugliese, Mario Gianetti lanciò alla poliziotta
alla sua destra un'occhiata a metà tra l'apprezzamento e
lo stupore. I loro sguardi si incontrarono per un attimo,
poi entrambi tornarono a concentrarsi su Gullit, che nel
frattempo aveva ripreso il consueto colorito rosa opaco.
– Allora, ci dica per favore che ora era quando vide
per l'ultima volta la signora Antonietta e se ha visto qual-
cuno da lei. –
L'agente Rossi, dato che ormai si era lanciata, aveva
deciso di prendere in mano la situazione e provare a ri-
portare la conversazione nel campo di interesse per le
indagini.
– Signorina, non lo so che ora sarà stata, ma era già
buio da un po'. Non lo so se c'era qualcuno con la baro-
nessa. Mi era sembrato di sentire la voce di un uomo pri-
ma di suonare il campanello. Di solito devo suonare da
basso, al portone, ma quella volta era aperto. Così sono

159
BRUNO VOLPI

salito e ho suonato alla porta. Ma poi dentro c'era solo


lei, che mi ha subito dato i calzoni. Però era un po' strana,
perché di solito mi fa sedere e mi offre qualcosa. L'altro
giorno era molto sbrigativa. Mi ha tenuto in piedi vicino
alla porta. –
– Oltre ai calzoni, si ricorda di aver lasciato altri og-
getti o indumenti a casa della vittima? Ci pensi bene per-
ché è importante. E stia attento a come risponde, perché
domani effettueremo una perquisizione nell'alloggio del-
la Fusco e su tutto quello che troviamo faremo rilevare le
impronte digitali. –
Il tono con cui l'ispettore Gianetti aveva pronunciato
la domanda, inserendosi un po' a tradimento in quello
che Gullit ormai sperava fosse diventato un molto più
rassicurante tête–à–tête con la gradevole poliziotta, con-
tribuì a raffreddare ulteriormente il clima, già decisa-
mente rigido, dello stanzino delle indagini. L'intento era
quello di verificare la remota possibilità che Gullit, messo
alle strette, tirasse fuori quello che sapeva, ammesso che
sapesse qualcosa, sui famosi guanti.
Pur non comprendendo perché fosse così importante
il fatto che egli avesse o meno lasciato cose sue a casa del-
la baronessa, intimorito dal tono inquisitorio di Gianetti,
Pugliese si sforzò di ricordare, portando le mani alla te-
sta, come a voler mostrare un elevato livello di concen-
trazione. Lo sforzo, però, non produsse alcun risultato, e
la tensione nell'uomo tornò a salire.
– Ispettore, io non saprei, non mi ricordo, ma perché
mi fate tutte queste domande? – Gullit si era preso il viso

160
IL TESORO DELLA BARONESSA

tra le mani e il suo corpo minuto aveva ricominciato ad


agitarsi. L'agente Rossi decise di rompere il freddo silen-
zio che era calato nella stanza, provando a riprendere in
mano la situazione.
– Stia tranquillo, signor Salvatore. Ancora una do-
manda e abbiamo finito. Forse le sembrerà banale quello
che sto per chiederle, ma per noi è un particolare impor-
tante. – Così dicendo, aveva estratto da una cartelletta
la foto di un mazzo di rami natalizi appoggiato su una
tovaglia di plastica con un decoro a roselline.
– Anche se la signora Antonietta non l'ha quasi fatta
entrare, è per caso riuscito a vedere se sul tavolo da pran-
zo c'era questo mazzo? –
La risposta di Salvatore Pugliese fu immediata. Il tono
quasi liberatorio.
– Sì, sì, mi ricordo che c'era. Glielo avrà portato di
sicuro il marocchino. –
– Intende il signor Mohammed Fawzy? –
– Sì, Mohammed, proprio lui. È lui che vende tutte
quelle robe lì. –
Barbara Rossi scambiò un'occhiata d'intesa con Gia-
netti e Nobiltà e poi concluse: – Bene, signor Salvatore.
Grazie per le preziose informazioni che ci ha fornito. Può
andare. –
Il volto di Gullit si aprì ad un sorriso, malaugurata-
mente, anche nel suo caso, alquanto sdentato.
– Ma allora non sono accusato di niente! Meno male.
Grazie, grazie. Grazie, signorina poliziotta, grazie ispet-
tore, grazie a tutti. Nessuno mi aveva mai chiamato si-

161
BRUNO VOLPI

gnor Salvatore. Grazie. –


Con questa pletora di ringraziamenti Gullit si conge-
dò dalla squadra di Polizia Giudiziaria di Alessandria,
temporaneamente dislocata in via delle Orfanelle al nu-
mero 25, in un ripostiglio della mensa dei poveri.

162
IL TESORO DELLA BARONESSA

TRENTACINQUESIMO

Maurizio Reggiani era seduto alla scrivania in un uffi-


cio che avrebbe dovuto ospitare altri due colleghi, alme-
no stando a quanto riportato sulle targhette poste accan-
to alla porta d'ingresso.
In quel pomeriggio di dicembre l'ufficio appariva de-
cisamente poco illuminato e anche le due lampade al
neon appese al soffitto non permettevano un'agevole let-
tura dei documenti che il Reggiani stava esaminando.
Così aveva acceso la lampada da tavolo, la cui luce
dava al suo viso un aspetto molto più sinistro di quanto
fosse in realtà.
Di altezza inferiore alla media, la testa completamente
pelata, occhi e bocca piccoli che contrastavano decisa-
mente con un naso adunco e un po'sproporzionato ri-
spetto al resto del volto, Reggiani ricordava un po' un
personaggio dei fumetti della Looney Tunes.
Davanti a lui due signore di mezz'età stavano espo-
nendo con una certa concitazione i loro problemi legati
al mancato pagamento di una liquidazione per la conclu-
sione di un contratto di lavoro.
L'aspetto fisico e, soprattutto, l'accento spagnoleg-
giante della parlata, facevano ipotizzare che si trattasse di
badanti sudamericane.
Il commissario Badalotti e l'agente Bonino attesero
sulla porta, in modo da essere visti. Infatti, dopo qualche
istante, Reggiani, alzando lo sguardo, notò immediata-

163
BRUNO VOLPI

mente la divisa da poliziotto di Fulvio Bonino. Badalot-


ti, al contrario, col suo impermeabile foderato aperto
su una giacca di flanella che tirava eccessivamente sul
ventre, avrebbe potuto essere scambiato per un normale
utente del patronato.
– Buongiorno, avete bisogno di qualche cosa? –
– Lei è il signor Reggiani, vero? – E, senza attendere ri-
sposta, il commissario aggiunse: – Dovremmo chiederle
alcune informazioni. –
– Scusatemi solo qualche minuto e sono subito da voi.
Accomodatevi nel salottino qui a fianco, nel frattempo
che io finisco con le signore. –
Il salottino, non dotato di finestre, appariva ancora
meno illuminato dell'ufficio accanto. Badalotti e Boni-
no si accomodarono su due poltrone in pelle marrone,
dall'aspetto abbastanza vintage. Maurizio Reggiani li
raggiunse dopo qualche minuto.
– Eccomi a voi, con chi ho il piacere di parlare? – La
mano tesa verso i due ospiti.
– Sono il commissario di Polizia Luigi Badalotti. Le
presento l'agente Fulvio Bonino, che collabora con me.
Vorremmo chiederle alcune informazioni riguardo
all'incontro che presumiamo abbia avuto nei giorni scor-
si con la signora Antonietta Fusco. Come penso saprà,
la donna è stata rinvenuta cadavere due giorni fa nel suo
appartamento e riteniamo possa trattarsi di morte vio-
lenta. Per questo motivo dobbiamo approfondire tutti gli
aspetti delle sue ultime settimane di vita. –
Mentre aveva iniziato a spiegare i motivi della visi-

164
IL TESORO DELLA BARONESSA

ta della Polizia negli uffici del patronato, Badalotti, che


poco prima si era alzato in piedi per stringere la mano al
Reggiani, era nuovamente sprofondato nella poltrona in
pelle, subito imitato dagli altri due presenti nel salottino.
Bonino aveva estratto dalla tasca una piccola agendina
sulla quale si sarebbe appuntato le principali informazio-
ni che Reggiani avrebbe potuto fornire.
– Abbiamo parlato con don Cremasco, che lei conosce
bene, e ci ha detto di aver indirizzato la Fusco da lei per
una questione di eredità. Ci può dire di che si trattava
esattamente? –
– Volentieri, commissario. – Senza la luce della lam-
pada da tavolo, il volto di Maurizio Reggiani aveva as-
sunto un aspetto meno spettrale, metamorfosi favorita
anche dal fatto che accompagnava ogni frase con cordiali
sorrisi.
– La povera Antonietta Fusco è venuta da me una
mattina di qualche giorno fa, su consiglio di don Loren-
zo, come ha detto lei, commissario. Aveva ricevuto una
comunicazione dal notaio Guarino che le annunciava di
essere destinataria di una parte di eredità dei beni pos-
seduti dal defunto barone De Fanti. Il notaio era stato
incaricato di dare esecuzione alla disposizione testamen-
taria che la riguardava e pertanto la convocava nel suo
ufficio. –
– E la Fusco come aveva preso questa notizia? –
– Sinceramente mi è sembrato che un po' se l'aspettas-
se. Mi ha raccontato della sua relazione con questo baro-
ne, ai tempi in cui era una giovane attrice, e del fatto che

165
BRUNO VOLPI

da questa relazione fosse nato un figlio. Lei era convin-


ta che, anche se non aveva mai pensato di riconoscerlo
come proprio, il barone sapesse di questo figlio, cresciuto
con gravi problemi di natura psichiatrica, e poi suicida-
tosi. –
– Le mostrò la lettera del notaio? –
– Sì, si trattava di una convocazione per la mattina
successiva al nostro incontro. Non vi era specificato né in
cosa consistesse l'eredità, se denaro o beni, né quanto sa-
rebbe stato il valore. Ciò nonostante, la signora era con-
vinta che si sarebbe trattato di un capitale importante. –
– E che cosa si aspettava esattamente la signora Fusco
da lei? –
– Commissario, onestamente non l'ho capito nemme-
no io. –
Maurizio Reggiani accompagnò la frase con un gesto
delle braccia, che si aprirono di fianco al tronco, ruo-
tando il palmo delle mani verso l'alto, a rappresentare
l'incapacità di trovare risposta ad un quesito che pareva
essersi posto varie volte dal giorno dell'incontro con la
Fusco. Poi proseguì: – Io mi ero offerto anche di accom-
pagnarla all'appuntamento col notaio, ma lei non aveva
voluto. Avevo insistito, ma mi aveva detto che si sarebbe
fatta accompagnare da un amico di vecchia data di cui si
fidava. –
– E poi, ebbe ancora occasione di aver a che fare con
la signora? –
– No, commissario. Le avevo raccomandato di passare
ad informarmi sui dettagli dell'eredità, che le avrei dato

166
IL TESORO DELLA BARONESSA

una mano con tutte le pratiche, ma evidentemente non


ha fatto in tempo. –
– E lei non ha più cercato di contattarla? –
– La signora non ha... pardon, non aveva né un tele-
fono fisso, né un cellulare. Avevo chiesto a don Lorenzo
di farmi sapere qualcosa, ma neppure lui si è fatto vivo. –
Ancora una volta il Reggiani aveva accompagnato la
frase col solito gesto di apertura delle braccia, che, nella
mimica dei rapporti interpersonali, si poteva equiparare
ad un laconico eiochecipossofare?

167
BRUNO VOLPI

TRENTASEIESIMO

Nonostante fosse ben conscio che la giornata sareb-


be stata pesante per tutti, il commissario Badalotti aveva
dato appuntamento a tutta la squadra per le diciassette
nel suo ufficio. Occorreva mettere in comune tutte le in-
formazioni raccolte e preparare una strategia per il pro-
sieguo delle indagini e per le azioni che avrebbero dovu-
to essere messe in campo la sera stessa.
All'ora designata erano tutti già presenti e pronti a ri-
ferire sugli esiti delle conversazioni che erano avvenute
nella giornata.
I primi ad intervenire furono i tre inviati alla “succur-
sale” di via delle Orfanelle. Di relazionare era stata inca-
ricata l'agente Barbara Rossi, in qualità di nuova arrivata.
Una specie di stecca del soldato.
Barbara presentò un resoconto preciso e circostanzia-
to, a cui fece da controcanto la lettura del taccuino degli
appunti, proposta da Fulvio Bonino.
Al termine fu il turno del commissario Badalotti. A
lui il compito di ricapitolare e di provare a dare un ordine
cronologico agli eventi.
– Dunque, proviamo ad analizzare i fatti in sequenza.
Noi sappiamo di aver a che fare con due diverse indagini:
i furti con scasso in tre locali e nel negozio di un orolo-
giaio e la morte per frattura del cranio, probabilmente
procurata da qualcuno nel corso di una colluttazione,
della signora Antonietta Fusco, che molti conoscevano

168
IL TESORO DELLA BARONESSA

col soprannome di “baronessa” per vicende che risalgono


al passato.
Queste due indagini, che al momento consideriamo
separate, sembrerebbero però poter essere collegate dal
ritrovamento che abbiamo fatto io e Fulvio nell'armadio
situato sul balcone dell'appartamento della Fusco: un
paio di guanti col marchio di una nota casa di motoci-
clette che potrebbero essere quelli indossati dallo scassi-
natore, riconoscibili negli ingrandimenti delle immagini
delle telecamere di sorveglianza.
Stando a quanto si può vedere dalle foto a nostra di-
sposizione, l'aspetto fisico dello scassinatore potrebbe
corrispondere soltanto a due delle quattro persone che
ci ha indicato don Cremasco: Rodrigo Gutierrez e Sal-
vatore Pugliese, detto Gullit. Mohammed Fawzy, il ven-
ditore di fiori, è troppo alto, mentre Gilberto Caruso ap-
pare troppo robusto e con una barba molto folta, che si
sarebbe forse notata. Data l'assiduità con cui Gutierrez
frequentava l'alloggio della vittima, saremmo propensi a
ritenere che possa essere lui il più serio indiziato per i
furti con scasso nei locali. Ma questo, se siamo fortunati,
lo scopriremo direttamente più tardi. –
La frase conclusiva, dal significato beneaugurante,
fece sorgere un accenno di sorriso sui volti dell'ispettore
Gianetti e dei tre poliziotti, che avevano seguito, quasi
senza fiatare, l'orazione investigativa del loro superiore.
Pur se ciascuno di loro aveva un rapporto differente
dagli altri tre con il commissario, tutti nutrivano grande
stima nei suoi confronti e ne riconoscevano un'indubbia

169
BRUNO VOLPI

capacità professionale.
Primo fra tutti Mario Gianetti, che, pur nell'evidente
conflittualità sottile che perdurava tra loro, sapeva bene
di aver tanto da imparare dal proprio capo e, più di una
volta, si era augurato di poter sviluppare l'acume inve-
stigativo che aveva caratterizzato le decisioni prese dal
commissario nelle indagini vissute fianco a fianco.
I tre agenti, invece, erano accomunati da un'adorazio-
ne incondizionata nei confronti del loro superiore, sia
perché ne riconoscevano l'autorevolezza, sia perché, in
modi e situazioni diverse, ne avevano sperimentato l'u-
manità.
Per Barbara Rossi i pochi giorni trascorsi dall'asse-
gnazione al commissariato di Alessandria erano stati
sufficienti per riconoscere nel commissario quella per-
sona speciale che, ai tempi in cui era bambina, le aveva
fatto quasi da secondo padre, e per mantenere intatta la
devozione alla figura di quel giovane agente che era stato
spesso suo compagno di giochi.
Fulvio Bonino aveva assunto il commissario Badalotti
a modello comportamentale del mestiere di rappresen-
tante delle forze dell'ordine e si augurava di diventare an-
ch'egli, un giorno, in tutto e per tutto simile al suo capo,
anche se un pensierino sulla possibilità di conservare
una forma fisica appena più tonica lo faceva quotidiana-
mente, ma questo non lo avrebbe mai ammesso, neppure
a se stesso.
La figura del commissario Luigi Badalotti rappresen-
tava invece, per l'agente Ruggero Nobiltà, quasi un totem

170
IL TESORO DELLA BARONESSA

verso il quale non si poteva fare altro che rimanere in


silenziosa adorazione dal mattino alla sera. Consapevole
dei propri limiti, accoglieva come dono inatteso e imme-
ritato qualsiasi attestazione di stima da parte del supe-
riore.
Luigi Badalotti, durante quei tre anni circa di perma-
nenza ad Alessandria, si era trovato spesso a chiedersi
i motivi di tanta empatia da parte dei suoi uomini. Per
sua natura, ogni volta, in un primo tempo aveva catego-
ricamente escluso un'attribuzione del merito a se stesso
e al proprio comportamento, per poi lasciare pian piano
spazio a un sottile narcisismo che si era impossessato, col
passare degli anni, del suo animo, e trovarsi costretto a
riconoscere che, sì, un po' di merito era anche suo.
– Quindi, come vi ho preannunciato, stasera siete tut-
ti precettati. Cosa faremo ve lo spiegherò più tardi. Al
momento ho messo un agente di piantone davanti all'ap-
partamento di Antonietta Fusco, in caso qualcuno pro-
vasse a forzare i sigilli già ora. Io però penso che il nostro
uomo, se si tratta di uno dei due che ho nominato prece-
dentemente, proverà a recuperare i guanti, e forse altro,
durante la notte per non rischiare di essere notato. E noi
saremo lì, a sorprenderlo.
Ora però veniamo alla morte della Fusco. Non abbia-
mo nessun indizio che la colleghi all'altra vicenda. An-
tonietta Fusco è morta battendo il capo violentemente
contro il bordo del piano in marmo della sua cucina,
spinta probabilmente da qualcuno con cui stava avendo
una colluttazione, e questo lo testimoniano la vestaglia

171
BRUNO VOLPI

da casa con la manica strappata, i lividi sulle braccia e le


unghie spezzate.
Purtroppo, non abbiamo alcun indizio per ipotizzare
chi fosse questa persona che le ha procurato la morte vio-
lenta, né quale sia stato il motivo della colluttazione. Sap-
piamo soltanto che un possibile movente potrebbe essere
associato all'eredità che la donna avrebbe ricevuto a bre-
ve, di cui dovremo chiedere il valore al notaio Guarino. –
Dato che Badalotti si era interrotto qualche secon-
do per prendere fiato e recuperare tutte le informazioni
raccolte sui contatti della Fusco, l'agente Rossi approfittò
della pausa per riferire un particolare che aveva rischiato
di omettere per dimenticanza.
– Mi sono ricordata ora che, la sera prima della morte
di Antonietta, mi era sembrato di udire una voce maschi-
le provenire dall'alloggio a fianco. Una voce tipicamente
maschile, un po' roca, che implorava la Fusco di seguire
ciò che le aveva raccomandato, ma lei pareva non volerne
sapere. –
– E non sei andata a chiedere alla Fusco se aveva biso-
gno di aiuto? –
L'ispettore Gianetti ancora rimuginava sul compor-
tamento della collega di qualche ora prima; non aveva
infatti accettato di buon grado la sua intrusione con effet-
to mitigatore, quando stavano torchiando, o almeno lui
avrebbe voluto che così fosse, Salvatore Pugliese. Si era
ben guardato, però, dal farglielo notare con un rimpro-
vero esplicito. Non era nel suo stile.
– In effetti, dopo qualche minuto, sono andata sul

172
IL TESORO DELLA BARONESSA

pianerottolo, vicino alla sua porta, per capire cosa stesse


avvenendo. Ma c'era tutto silenzio e sentivo Antonietta
muoversi all'interno del monolocale in cui abitava. Così,
lì per lì, ho pensato di essermi immaginata tutto o che
fosse un televisore. –
Gianetti stava vedendo l'occasione per prendersi la sua
piccola rivalsa. Prima che Badalotti potesse intervenire
per riprendere il filo della riunione, decise di replicare
nuovamente. E lo fece con tono un pochino inquisitorio.
– Certo che se hai aspettato del tempo prima di inter-
venire, quello, se c'era davvero, sicuramente ha avuto tut-
to il tempo di andarsene e non sapremo mai chi potesse
essere. E magari poi verrà fuori che è proprio lui l'uomo
che cerchiamo. –
Questa volta Barbara rispose di getto, un po‘ seccata,
bruciando anche lei sul filo di lana il povero Badalotti,
che avrebbe voluto subito mettere fine a quell'inutile sca-
ramuccia.
– Non sono intervenuta subito perché ero nella vasca
da bagno e c'è voluto il tempo necessario per asciugar-
mi e rivestirmi. Sarebbe stato disdicevole per una rap-
presentante delle forze dell'ordine uscire sul pianerottolo
così come mi trovavo, non credete? –
La risposta ebbe l'effetto che Badalotti aveva sperato.
Sull'onda dell'immagine evocata da Barbara il silenzio
era calato nell'ufficio. Nobiltà guardava fisso la collega,
ammaliato dalla sua personalità. Il commissario sorride-
va sotto i baffi per lo sberlone carico d'ironia che Barbara
aveva dato allo sventato Gianetti, compiacendosi per la

173
BRUNO VOLPI

grinta mostrata dalla nuova risorsa che gli era stata asse-
gnata. Lo stesso Gianetti era combattuto tra l'irritazione
per essere stato zittito da una che considerava sua sotto-
posta e l'immagine di Barbara che usciva dalla vasca da
bagno che gli si era insinuata nella mente e non sembrava
volersene andare in tempi brevi.
Immagine che, contrariamente a quanto avrebbe po-
tuto credere il commissario, si era insinuata anche nel-
la mente dello smarrito Fulvio Bonino, che, a partire da
quel momento, avrebbe avuto certamente qualche diffi-
coltà in più a concentrarsi su quello che il suo capo si
stava apprestando ad esporre.

174
IL TESORO DELLA BARONESSA

TRENTASETTESIMO

– Allora, non avendo al momento altri possibili mo-


venti se non quello dell'eredità, per quanto riguarda la vi-
cenda Fusco entrano in scena altri personaggi, di cui do-
vremo analizzare con attenzione le cose che già sappiamo
per comprendere ciò che dovremo appurare facendo le
opportune domande. –
La sintesi operativa proposta da Badalotti colse i pre-
senti decisamente impreparati. La situazione di smarri-
mento collettivo si era verificata spesso anche in passato,
ogni qualvolta il commissario si era lanciato in queste
specie di riflessioni ad alta voce, nelle quali diventava più
complesso seguirlo rispetto a quando si dedicava al rie-
pilogo degli indizi già acquisiti.
Se, a questa difficoltà intrinseca, si andava ad aggiun-
gere l'onda lunga di un'affermazione come quella che
aveva pronunciato poco prima l'agente Rossi, la frittata
era fatta. In un commissariato dove, da sempre, le dina-
miche di convivenza si erano sviluppate tra soli uomi-
ni, era facilmente prevedibile che l'arrivo di una donna
come Barbara, carina, anche se non eccessivamente ap-
pariscente, avrebbe creato qualche sbandamento.
Non lo aveva previsto il commissario, che la vedeva
ancora come la ragazzina che aveva conosciuto a Vercelli,
e neppure l'ispettore che, da sempre, era convinto di non
poter provare attrazione per una donna che indossasse
una divisa.

175
BRUNO VOLPI

E non lo avevano previsto neppure Nobiltà e Bonino.


Il primo perché non era solito lanciarsi in previsioni sui
fatti futuri, data l'evidente difficoltà a gestire già quelli che
accadevano al presente. Il secondo perché non era stato
minimamente sfiorato dall'idea che la nuova “recluta” del
commissariato di Alessandria potesse avere le sembianze
e, soprattutto i profondi occhi scuri, dell'agente Rossi.
– Questi personaggi, se escludiamo don Cremasco,
presente in entrambe le indagini, ma, mi auguro e voglio
sperare, solo con un ruolo di facilitatore, sono il nota-
io Vincenzo Guarino, che la Fusco dovrebbe certamente
aver incontrato per essere informata sulla natura dell'e-
redità, Maurizio Reggiani, l'esperto di problematiche di
gestione patrimoniale e successioni del patronato, un
fantomatico amico di vecchia data della vittima, che l'a-
vrebbe accompagnata dal notaio, almeno a quanto ci ha
riferito Reggiani, e questo altrettanto fantomatico uomo
che Barbara dice di aver sentito parlare a voce alta la sera
precedente il delitto.–
– Non possiamo comunque escludere che l'uomo sen-
tito da Barbara in casa della Fusco possa essere uno degli
altri tre. –
– Corretto, ispettore, ma in ogni caso occorre dare
un'identità almeno ad una persona, se non due. La Fusco,
parlando con Reggiani, aveva usato l'espressione “amico
di vecchia data” e Reggiani, commentando la frase, ha
aggiunto “di cui si fidava”. Se tutto ciò fosse vero, vorreb-
be solo dire che della vita della vittima sappiamo ancora
troppo poco e, soprattutto, che dobbiamo appurare chi

176
IL TESORO DELLA BARONESSA

sia questo amico misterioso. In ogni caso, se davvero l'ha


accompagnata dal notaio Guarino, sarà facile saperlo.
Ispettore, lo avverta che gli faremo visita domattina.
Ora, però, concentriamoci sulla strategia per questa
notte. Dovremo utilizzare come base il tuo appartamen-
to, Barbara. L'agente di sorveglianza all'alloggio della
vittima staccherà alle diciannove. A quell'ora tu dovrai
già essere a casa e verrà con te Fulvio. Ho chiesto alla so-
cietà di spedizioni, che utilizza l'altro appartamento sul
piano, di permetterci di usarlo solo per questa notte. Tu
Ruggero vai subito a rilevare le chiavi perché mi pare che
alle diciotto interrompano il servizio. Passa a comprarti
qualcosa da mangiare e da bere e poi resta lì finché non
verrò a darti il cambio dopo le ventitré. Lo stesso farà lei,
ispettore, con l'agente Bonino, a casa di Barbara. Quando
vi daremo il cambio, voi due andrete dritti dritti a nanna,
che domattina vi voglio sul pezzo e belli riposati. –
Nobiltà, d'istinto, sarebbe scattato sull'attenti, por-
tando la mano destra alla fronte in segno di rispetto e
obbedienza agli ordini ricevuti. Con la coda dell'occhio,
però, vide Bonino che accennava solo ad un movimento
verticale del capo e decise di limitarsi a fare altrettanto.
– E fate attenzione anche al cortile, perché il tipo, se ver-
rà, come spero, potrebbe passare anche dal terrazzino. –

177
BRUNO VOLPI

TRENTOTTESIMO

Alessandria, 18 dicembre, ore 9:30

– Signor Gutierrez, le ripeto, è molto meglio per lei


che ci racconti tutta la storia dall'inizio. Vero, don Loren-
zo, che è meglio? –
Rodrigo Gutierrez si trovava in stato di fermo da
qualche minuto, da quando cioè era arrivata la dispo-
sizione da parte del pubblico ministero secondo quan-
to previsto dal Codice Penale. Badalotti aveva deciso di
informare tempestivamente il magistrato, preferendo la
stesura di un rapporto per il P.M. alle poche ore di sonno
che avrebbe potuto godere dopo che, in piena notte, lui
e Gianetti erano rientrati in commissariato con il malvi-
vente ammanettato.
L'appostamento della sera precedente aveva dato i
frutti sperati. Messo in allarme dall'aver saputo dall'ispet-
tore Gianetti che era prevista una perquisizione dell'al-
loggio della vittima, Gutierrez aveva cercato di far sparire
le tracce che avrebbero potuto indirizzare verso di lui le
indagini. Il metodo era stato quello utilizzato probabil-
mente altre volte per entrare nell'alloggio quando sapeva
che la Fusco era fuori.
Il metodo in assoluto più semplice: aprire con le chiavi.
Con ogni probabilità, durante qualche lavoretto nella
casa, doveva aver trovato la copia di riserva delle chia-
vi del portone e dell'appartamento. Le aveva trafugate e,

178
IL TESORO DELLA BARONESSA

dopo averle fatte duplicare, le aveva rimesse al loro posto.


Di lì a poco si sarebbe scoperto che Gutierrez ave-
va fatto la medesima operazione anche con la chiave del
portone della sede Caritas di via delle Orfanelle, avendo
quindi libero accesso notturno al cortile, in modo da po-
tersi servire del famoso Boxer 50 per le sue scorribande
delinquenziali.
Così, con grande disinvoltura, come se si trattasse di
un condomino che aveva fatto tardi con gli amici, intor-
no all'una e trenta Gutierrez aveva infilato la chiave nella
serratura della porta dell'appartamento di Antonietta Fu-
sco. Nonostante avesse fatto tutto molto silenziosamente,
la sua presenza non era sfuggita ai poliziotti, appostati
negli alloggi adiacenti. In questo, i rappresentanti delle
forze dell'ordine erano stati facilitati da una telefonata
ricevuta una ventina di minuti prima, nella quale don
Lorenzo Cremasco, appositamente rimasto a vigilare da-
gli uffici del centro d'ascolto, li avvisava di aver visto il
Gutierrez mentre usciva dal cortile del palazzo a bordo
del noto ciclomotore.
Così, quando, dopo essere uscito per alcuni minuti sul
balconcino, l'ex ballerino era rientrato nell'alloggio con
in mano i guanti Harley Davidson e un sacchetto pieno
di orologi da polso, collane e braccialetti, aveva trovato
ad attenderlo, con le manette già pronte, il commissario
Badalotti, l'ispettore Gianetti e l'agente Rossi.
Badalotti, con una decisione di certo inconsueta, ma
che avrebbe potuto rivelarsi utile nel convincere il Gu-
tierrez a collaborare, aveva poi richiesto la presenza al

179
BRUNO VOLPI

suo fianco di don Cremasco, raccomandandogli di por-


tare con sé anche un avvocato, se ne aveva uno di fiducia.
– Allora, Gutierrez, dato che sembrerebbe aver per-
so la parola, proverò io a raccontare come si sono svolti
i fatti. Nelle scorse settimane, servendosi del motociclo
Boxer 50 di proprietà di don Cremasco, lei ha compiu-
to quattro furti con scasso, tre in bar del quartiere Pista,
asportando ogni volta le rimanenze di cassa, e uno nel
negozio di un orologiaio, asportando il materiale che ab-
biamo ritrovato questa notte tra le sue mani e che aveva
nascosto all'interno del vano del contatore del gas, sul
balcone dell'appartamento di Antonietta Fusco, di cui
aveva fatto fare fraudolentemente una copia delle chiavi.
Ho ricostruito correttamente le cose? –
Rodrigo Gutierrez si voltò più volte verso l'avvocato
e il sacerdote che erano al suo fianco in cerca di indi-
cazioni sul da farsi. Poi, alzando lo sguardo, avvalorò la
ricostruzione fatta dal commissario.
– Sì, commissario, è così. Sono io il ladro. – Detto
questo, tornò ad abbassare lo sguardo verso terra.
L'agente Bonino, nel frattempo, aveva iniziato a ver-
balizzare quella che si annunciava come una vera e pro-
pria confessione.
– Bene, signor Gutierrez, ma adesso lei dovrebbe
chiarirmi qualche altro punto. Il primo è questo: perché
ha commesso quei furti? –
Ancora una volta, prima di rispondere, Rodrigo cercò
il conforto dei suoi due angeli custodi.
– Perché avevo bisogno di soldi, commissario. –

180
IL TESORO DELLA BARONESSA

– E cosa ne doveva fare di questi soldi? –


Gutierrez, alla domanda del commissario, sembrò
come smarrito.
– Hai ripreso a drogarti, vero Rodrigo? – L'intervento
di don Cremasco ottenne l'effetto di vincere le resistenze
dell'accusato.
Rodrigo Gutierrez si mise le mani tra i capelli e, dopo
un momento di silenzio, riprese la confessione.
– Non riesco a stare senza quella roba, don Lorenzo.
Ci ho provato, tante volte, lei lo sa. Mi ha sempre aiutato,
ma io non ce la faccio. Così sono andato da quello che me
la dava in passato. Per questo avevo bisogno di soldi e ho
rubato nei bar. –
– Senta, Gutierrez, non so perché, ma ho l'impressio-
ne che lei non ci stia dicendo come stanno esattamente
le cose. Lei non è uno sprovveduto, abbiamo controllato
la sua fedina penale e sappiamo che in passato, oltre alla
droga, ha avuto qualche problema anche con la giustizia.
Per essere più precisi, non tutto il denaro che le serviva
per acquistare la droga arrivava da lavori puliti. In alcuni
casi, lei ha pensato di arrotondare scippando dei portafo-
gli e una/due volte è stato beccato, vero? –
Badalotti, nel frattempo, aveva lanciato un'occhiata a
don Cremasco come a volergli far capire che aver taciuto
questi aspetti sul conto di Gutierrez non aveva giovato al
suo assistito.
– Quindi, se le cose stanno così, allora mi chiedo:
come mai questa volta è andato a rompere delle vetrine,
oltretutto per portare via degli avanzi di cassa di poco

181
BRUNO VOLPI

conto, quando avrebbe potuto ricorrere a dei ben più


redditizi e meno rischiosi scippi, una tecnica con cui,
per altro, lei ha dimostrato, in passato, di avere una certa
“confidenza”? –
– Non saprei, commissario, ho deciso di fare così e
basta. –
Gutierrez pareva essersi messo eccessivamente sulla
difensiva. Badalotti colse questo atteggiamento e decise
di spingere sull'acceleratore.
– Ha deciso, o qualcuno glielo ha imposto? –
L'affermazione prese in netto contropiede l'accusato.
Anche don Cremasco e l'avvocato Bortolo mostrarono
una reazione di stupore.
Badalotti non sembrava intenzionato a mollare la pre-
sa. Sentiva di essere sulla strada giusta e che dietro i furti
con scasso poteva esserci ben di più che una mera esigen-
za di procurarsi del denaro.
– Vede, Gutierrez, io sono più che convinto che quella
di fracassare le vetrine dei bar non sia stata una sua deci-
sione, ma che qualcuno glielo abbia imposto.
Allora, o lei mi dice come sono andate veramente le
cose, o ai reati che le verranno contestati farò in modo
di aggiungere anche falsa testimonianza e intralcio alla
giustizia, il che potrebbe comportarle dai due ai sei anni
di reclusione. –
Nel pronunciare quest'ultima frase Badalotti lanciò
uno sguardo di sfida all'avvocato Bortolo, che, essendo-
si trovato coinvolto quasi per caso in quella vicenda e
sapendo bene che avrebbe avuto più da perdere che da

182
IL TESORO DELLA BARONESSA

guadagnare, ritenne più prudente non intervenire a con-


testare le affermazioni del commissario.
– Commissario, se le dico tutto, quelli mi ammazza-
no! – La risposta di Gutierrez, ormai in lacrime, era un
vero e proprio grido di disperazione.
– Ci penseremo noi a proteggerla. L'alternativa, però,
è la galera per diversi anni. Ci pensi bene, Rodrigo. –
Il sentirsi chiamato per nome ebbe l'effetto di rimuo-
vere, almeno in parte, il blocco di paura che attanagliava
Gutierrez.
– Le dirò tutto, commissario. Ma poi mi dovrete pro-
teggere perché non voglio finire nelle mani di quelli lì. –
Un lungo sospiro e la confessione, che aveva avuto un
momento di impasse, riprese a scorrere spedita.
– Avevo ricominciato con la droga quest'estate. Un
giorno di settembre il mio pusher mi dice che dovevo
fare dei lavoretti, altrimenti non mi avrebbero più dato la
roba. Io pensavo a dei lavori normali, invece avrei dovuto
fracassare le vetrine. Un avvertimento a quelli che non
volevano pagare il pizzo. Io non volevo farlo. Ho provato
a resistere, commissario, ma senza le mie dosi non ce la
facevo, diventavo matto.
Allora ho accettato. Loro ogni volta mi dicevano dove
dovevo colpire e io lo facevo. Poi arraffavo quello che c'e-
ra in cassa per farlo sembrare un furto. –
– Chi le ha ordinato di rompere le vetrine? –
– Gli ordini me li dava lo spacciatore, non so chi ci sia
dietro, ma mi diceva che se qualcosa fosse andato stor-
to, mi avrebbero fatto fuori, che ero controllato giorno e

183
BRUNO VOLPI

notte. –
– Proprio come sospettavo. Ora manca solo il nome di
questo spacciatore. –
– Non lo so come si chiama veramente. Nel giro lo
chiamano Stecca, perché gli accordi per la roba da pro-
curare li prende nelle sale da biliardo. –
– C'è ancora una cosa che non mi è chiara. Le hanno
chiesto anche di fracassare la vetrina dell'orologiaio? –
Gutierrez negò con un movimento del capo.
– E allora perché lo ha fatto? –
– L'ho fatto per Maria, commissario. –
Vedendo le facce stupite dei presenti, Rodrigo Gutier-
rez capì che doveva argomentare meglio la risposta.
– Maria è una ragazza che ho conosciuto nella comu-
nità di recupero e di cui mi sono innamorato. Volevo far-
le un regalo per Natale, qualcosa d'oro, per fare colpo, ma
con la droga non riuscivo a mettere da parte nemmeno
un euro.
Il mese scorso, passando davanti a quell'orologiaio, è
stata lei a farmi vedere un anello con una pietra preziosa.
Diceva che aveva sempre sognato di portare al dito
una cosa del genere. Non era una pietra di grande valore,
ma a lei piaceva. Io non ho mai rubato in un negozio,
glielo giuro, commissario, ma avendo visto come è facile
rompere una vetrina, non ho resistito. Glielo avrei rega-
lato tra qualche giorno, a Maria... ma ormai... –
Il Pelagatti, emesso un lungo sospiro, estrasse dalla ta-
sca un fazzoletto di carta, si soffiò il naso e proseguì.
– Dopo il primo colpo, ho capito che si trattava di

184
IL TESORO DELLA BARONESSA

un vetro blindato di quelli seri, non come quelli dei bar.


Avrei dovuto immaginarlo, ma non ci avevo pensato.
Allora mi è preso il panico. Non sapevo cosa fare e ho
cominciato a picchiare con tutta la forza che avevo. Ero
matto, non capivo più nulla. Dopo una ventina di mazza-
te sono riuscito a frantumarlo. Ho preso l'anello, che ho
ancora qui in tasca, e ho arraffato anche un po' di orologi
e braccialetti, che avrei voluto provare a rivendere. Non
sapevo dove nasconderli, perché io non ho una casa, così
ho pensato di metterli dalla baronessa, nascosti sul bal-
cone, dove li avete trovate voi. –
Soddisfatto della confessione resa da Gutierrez, Bada-
lotti si alzò in piedi come a ratificare l'avvenuta conclu-
sione dell'interrogatorio.
– Agente Bonino, faccia firmare per cortesia il verbale
di confessione spontanea all'accusato e poi disponga per
l'esecuzione del fermo. Valuterà poi il P.M. come proce-
dere. –
Lentamente l'ufficio del commissario si andava svuo-
tando. Alla fine, si trattenne solo don Lorenzo.
– Commissario, cosa ne sarà di Rodrigo? Voi pensate
che abbia a che fare anche con la morte di Antonietta? –
– Don Lorenzo, al momento abbiamo evidenze solo
per incriminarlo per i furti con scasso. Se non emerge-
ranno nuovi indizi a suo carico relativi all'indagine per la
morte della Fusco, forse se la caverà con qualche mesetto
di carcere e poi un periodo in una comunità. –
– E le informazioni che vi ha fornito sullo spaccio? –
– Sulla banda che gestisce lo spaccio e controlla i di-

185
BRUNO VOLPI

versi quartieri della città c'è già un'indagine in corso e


se ne sta occupando il nucleo operativo dei Carabinie-
ri. Pertanto, le informazioni che ci ha fornito Gutierrez
verranno passate a loro. Se alla fine risulteranno utili a
sgominare la banda, questo potrà anche essere tenuto
nel dovuto conto durante l'udienza per giudicare il suo
assistito. –
Don Cremasco tese la mano al commissario, che la
strinse con decisione.
– Allora tutte le dicerie sul fatto che coi Carabinieri
siete come cane e gatto sono false. – sentenziò il sacer-
dote con un sorriso – ti ringrazio, Luigi, anche per la tua
umanità. E scusami se non ti avevo detto proprio tutto
sul passato di Rodrigo. –
– Scuse accettate, ma non dimentichi che l'altra inda-
gine è solo agli inizi e potremo avere ancora bisogno di
lei. Quindi, a presto, credo. –
– A presto, commissario. Anzi, perché non venite, tu e
i tuoi uomini, a fare il pranzo di Natale con i nostri amici
bisognosi? Sarebbe una bella cosa per tutti. Pensaci! –

186
IL TESORO DELLA BARONESSA

TRENTANOVESIMO

Reduci da una notte alquanto movimentata e da un


inizio mattinata che non era stato da meno, il commissa-
rio Luigi Badalotti e l'ispettore Mario Gianetti si stavano
accingendo ad entrare nel palazzo che ospitava l'ufficio
del notaio Vincenzo Guarino, nel tratto iniziale di Via
Milano, che, nel diciottesimo secolo, era parte del ghetto
ebraico e dove ancora oggi si affaccia l'elegante facciata
della sinagoga.
Come era accaduto il giorno precedente con l'agente
Bonino, Badalotti aveva percorso quasi tutto il tragitto
dal commissariato fino a Via Milano chiuso in un muti-
smo quasi imbarazzante.
Questo era uno dei tanti atteggiamenti del commissa-
rio che infastidiva alquanto l'ispettore Gianetti. Se, infat-
ti, si era trovato più volte in imbarazzo quando Badalotti
gli aveva rivolto la parola, vuoi per richiedere un parere
su un aspetto di un'indagine, vuoi per impartirgli un co-
mando relativo ad un'attività da portare a termine, il si-
lenzio del superiore era la cosa che più lo destabilizzava.
Si era chiesto più volte se si trattasse dell'affiorare di
un complesso di inferiorità che nutriva nei confronti del
superiore o se fosse un naturale bisogno di dialogo sin-
cero tra colleghi, che, con il commissario, non era mai
riuscito a decollare nel modo dovuto.
Per tutte queste ragioni, i poco più di ottocento me-
tri che avevano percorso a piedi, fianco a fianco dove il

187
BRUNO VOLPI

marciapiede lo consentiva, altrimenti con il commissario


davanti e lui a trotterellare dietro come un cagnolino, gli
erano sembrati, nonostante il periodo prenatalizio, una
mezza via crucis.
Durante tutto il percorso, nella sua mente si erano al-
ternati due interrogativi ben precisi. Il primo era relativo
alla possibilità di immaginare quali pensieri occupassero
la mente della persona che gli camminava talora accanto,
talora davanti. Soprattutto se, all'interno di questi pen-
sieri, avesse trovato posto anche una valutazione riguar-
dante colui che gli stava camminando talora accanto, ta-
lora dietro.
Il secondo interrogativo ruotava intorno ad un altro
elemento della squadra: l'agente Barbara Rossi.
Nel corso delle ore trascorse la sera precedente nel suo
alloggio, durante l'appostamento che aveva poi consen-
tito di cogliere il Gutierrez con le mani nel sacco o, più
precisamente, col sacchetto della refurtiva tra le mani,
avevano avuto l'opportunità di chiarire alcuni aspetti del
loro rapporto che sembrava destinato a diventare un po'
troppo conflittuale.
Gianetti era arrivato alle ventitré in punto a sostituire
Bonino, come era stato richiesto da Badalotti che, a sua
volta, aveva dato il cambio a Nobiltà nell'appartamento
di fronte, quello destinato a deposito della società che si
occupava di spedizioni.
In auto, prima di raggiungere lo stabile di via Monte-
grappa in cui aveva abitato Antonietta Fusco fino al gior-
no in cui vi aveva trovato la morte, si era lasciato andare

188
IL TESORO DELLA BARONESSA

a fantasticare su cosa stessero facendo Bonino e la Rossi


per ingannare l'attesa. Le ipotesi erano corse dalle più ca-
ste, tipo giocare a carte o guardare qualche fiction in tele-
visione, fino a quelle un po' più hot, che però aveva subi-
to scartato conoscendo la serietà professionale di Fulvio
e la sua irreprensibilità quando si trovava in servizio.
Il suo grillo parlante interno gli aveva subito fatto
notare di aver circondato di un'aureola di santità il solo
Bonino e non la collega Rossi, facendogli rilevare la for-
se involontaria, ma non più di tanto, discriminazione di
genere.
– Certo, anche lei sarà irreprensibile quando è in
servizio. – aveva pensato mentre stava svoltando dallo
spalto in via Montegrappa. – Comunque mi sembra una
furbetta, quella. Di sicuro è molto più sveglia di Fulvio. –
Bonino, immaginando e temendo le elucubrazioni
che si sarebbero potute fare sul tempo che aveva trascor-
so in compagnia della collega, ma, soprattutto sapendo
chi aveva di fronte, appena Gianetti aveva messo piede
nell'alloggio di Barbara, si era premurato di raccontare
per filo e per segno come avevano trascorso le quattro
ore di appostamento insieme.
Gianetti, appena uscito Bonino, si era lasciato andare
ad un sorriso e aveva notato che Barbara aveva fatto al-
trettanto. L'ispettore aveva interpretato questa assonan-
za di pensiero come un passpartout per il disinnesco del
nervosismo che si era creato nel corso della giornata e
aveva pensato di proporre a Barbara di riavvolgere il na-
stro del loro rapporto e ripartire da buoni colleghi.

189
BRUNO VOLPI

Barbara, con sua grande sorpresa, aveva accettato,


confidandogli che, lungi da lei il pensiero di prevaricare
un superiore, i suoi interventi erano stati mossi solo da
un desiderio di far emergere più informazioni possibili
dalle chiacchierate che avevano avuto. Aveva poi aggiun-
to che, avendo fatto parte per alcuni anni di un'associa-
zione di volontariato di Vercelli che si occupava appunto
degli indigenti e di chi viveva per strada, aveva impara-
to che spesso queste persone si aprivano più facilmente
quando interagivano con una volontaria anziché con un
volontario.
Gianetti, in parte anche un po' ipnotizzato dai grandi
occhi scuri che lo fissavano come a cercare comprensio-
ne, aveva intimato al proprio orgoglio di dimenticare le
schermaglie di qualche ora prima e di godersi la compa-
gnia di quella che aveva capito poter essere una collega
gradevole. Su questa decisione di riallineamento del rap-
porto doveva certamente aver influito anche la tuta suffi-
cientemente aderente indossata da Barbara che, valoriz-
zandone il fisico minuto ma tonico, aveva contribuito a
rimpiazzare, nel database mentale di Gianetti, l'immagi-
ne della collega stessa in divisa da poliziotto.

190
IL TESORO DELLA BARONESSA

QUARANTESIMO

– Buongiorno commissario, buongiorno ispettore.


Prego, accomodatevi pure, il dottor Guarino vi riceverà
tra un attimo. –
Al loro ingresso nell'appartamento che fungeva da
studio notarile, Badalotti e Gianetti erano stati accolti
da un giovane apprendista, che, dopo essersi presentato
come Francesco Massone, collaboratore del notaio Gua-
rino, li aveva fatti accomodare in un'ampia sala, al fondo
della quale era posta una scrivania in noce, che, presumi-
bilmente, di lì a poco sarebbe stata occupata dal notaio.
Vincenzo Guarino li raggiunse dopo qualche minu-
to, scusandosi di essersi fatto attendere. Era un distinto
signore sulla settantina, con un elegante paio di occhiali
dalla montatura un po' antiquata che gli conferiva un'a-
ria da professore di liceo degli anni Sessanta.
Calvo, di statura media, con una struttura fisica nella
norma e una postura leggermente curva, indossava un
completo scozzese sopra un gilet rosso in cachemire e
una cravatta regimental blu con una sequenza di sottili
righe trasversali del medesimo rosso del gilet.
– Bene, ditemi pure: in cosa posso esservi utile? –
Badalotti e Gianetti erano stati fatti accomodare su
due comode poltrone che erano disposte intorno ad un
tavolino da the. La terza poltrona l'aveva occupata il no-
taio, accomodandosi rigorosamente solo dopo che i suoi
due ospiti, alzatisi per stringergli la mano, si erano rimes-

191
BRUNO VOLPI

si a sedere. Questa specie di salottino si trovava subito


accanto alla porta d'ingresso dell'ufficio, mentre per rag-
giungere la scrivania del notaio si sarebbero dovuti per-
correre ancora una decina di metri. Le pareti dei lati più
lunghi della stanza erano arredate con armadi da ufficio
che traboccavano di dossier pieni di documenti.
– Ci siamo permessi di disturbarla perché stiamo in-
dagando sulla morte della signora Antonietta Fusco, che
pare sia stata provocata da qualcuno con cui la donna
stava avendo una colluttazione. Sappiamo che la Fusco
era stata da poco indicata come destinataria di un lascito
ereditario e che lei è il notaio incaricato dell'esecuzione
di questa volontà testamentaria. Vorremmo sapere qual-
cosa in più su questa eredità. –
– Capisco, commissario. E vi dirò tutto ciò che so. –
Prima di iniziare l'esposizione delle informazioni che
riteneva poter essere utili per l'indagine, il notaio si si-
stemò meglio sull'accogliente poltrona in alcantara, ag-
giustandosi bene la giacca e il nodo della cravatta. Ad
un osservatore esterno avrebbe dato l'impressione di un
conduttore televisivo un attimo prima di andare in onda.
– Come ha detto lei, commissario, io sono stato desi-
gnato come esecutore testamentario della parte di eredità
che il defunto barone Luigi Vittorio Amedeo De Fanti
ha destinato alla signora Antonietta Fusco. Il testamento
non specificava la motivazione di tale gesto, ma è stata la
signora stessa a suggerirmi quale poteva essere la ragio-
ne, che credo voi già sappiate: tra la signora e il barone vi
era stata una breve relazione, per così dire, giovanile, ai

192
IL TESORO DELLA BARONESSA

tempi in cui lei era a Roma come attrice, e la signora so-


steneva che, pur non avendolo mai riconosciuto ufficial-
mente, il barone sapesse di essere il padre del bambino
che lei aveva successivamente dato alla luce. –
– Ci può dire in cosa consisteva il lascito? –
– Questa sarebbe da considerarsi un'informazione con-
fidenziale ma, date le circostanze, non c'è motivo per il ri-
serbo: si trattava della somma di cinquecentomila euro, da
mettere a disposizione secondo le preferenze che avrebbe
espresso la beneficiaria, ad esempio con depositi bancari,
oppure attraverso beni immobili o altro. –
– E la Fusco quale preferenza aveva espresso? –
– Commissario, qui iniziano le cose un po' strane. Il
giorno in cui l'ho informata dell'eredità, la Fusco mi dis-
se che aveva pensato di far depositare la cifra in banca e
poi di far predisporre dei versamenti mensili a beneficio
di persone povere come e anche più di lei, che avrebbe
voluto aiutare. Una parte di quel denaro l'avrebbe poi
destinata alla Caritas diocesana e avrebbe trattenuto per
sé poco più di cinquanta mila euro che, a suo parere, le
avrebbero consentito di vivere una vecchiaia serena e
magari di fare ancora qualche viaggio. Io, dopo essermi
accertato che la signora possedesse un conto bancario,
le dissi che avrebbe dovuto informarsi nella sua filiale su
come concretizzare questi suoi progetti, perché avrebbe
certamente dovuto fornire una serie di informazioni e
documenti. E comunque le feci presente che ci sarebbero
voluti un po' di giorni per avere la disponibilità del de-
naro sul conto e mi permisi di consigliarle di pensare a

193
BRUNO VOLPI

qualche investimento. –
– Non mi pare che ci sia nulla di strano nell'aspira-
zione di una persona di condividere una fortuna inattesa
con i propri amici. – Gianetti, avendo percepito dai vari
colloqui che avevano avuto il giorno precedente in via
delle Orfanelle che la vittima era benvoluta un po' da tut-
ti e diversi senzafissadimora la consideravano quasi come
una seconda mamma, non si era mostrato molto sorpre-
so dalle parole del notaio.
– Ispettore, anche per me è comprensibile questo de-
siderio della Fusco. Lo strano viene ora. La signora mi
contattò poi il giorno seguente dicendomi che, dato che il
processo per realizzare ciò che aveva in mente le sembra-
va lungo e complesso, preferiva garantirsi già da subito
che il denaro sarebbe stato comunque utilizzato secondo
i suoi desideri, qualunque cosa fosse accaduta. In poche
parole, mi chiese di fare testamento. –
La frase ebbe l'effetto che il notaio aveva immaginato.
Per un istante, sia Badalotti che Gianetti saltarono sulla
sedia, in questo caso, sulla poltrona di alcantara.
Ripresosi per primo dallo stupore, Badalotti volle ap-
profondire.
– Quindi la Fusco voleva assicurarsi che il denaro
sarebbe arrivato a destinazione. Le ha detto a chi aveva
intenzione di lasciare il tutto? –
– Ha fatto di più, commissario. Dopo un'ora dalla te-
lefonata, si è presentata qui in studio per redigere il testa-
mento e farlo autenticare. –
– E cosa ha chiesto di scrivere sul testamento? –

194
IL TESORO DELLA BARONESSA

Il notaio Guarino, facendo leva con gli arti superiori


sui larghi braccioli della poltrona, si alzò di scatto e, con
una rapida torsione, dischiuse una delle ante dell'arma-
dio vicino alla sua poltrona e ne trasse un fascicolo, che
porse al commissario. Badalotti vide che conteneva un
foglio scritto a mano in bella calligrafia. Sul fondo, a fian-
co della data, la firma leggibile di Antonietta Fusco e il
timbro e la firma del notaio per autentica. Iniziò a leggere
ad alta voce ciò che vi era scritto.
– Io, Antonietta Fusco, nata ad Alessandria, eccetera
eccetera, residente eccetera eccetera, nel pieno possesso
delle mie capacità mentali con il presente testamento di-
spongo che, alla mia morte, la quota disponibile dei miei
beni vada interamente alla Caritas Diocesana di Alessan-
dria, con la prescrizione di utilizzarli per il sollievo dei
poveri e senza tetto. Luogo, data, firma e autenticazione –
– Si direbbe che si sentisse minacciata. E questo è
avvenuto la mattina del quindici dicembre, poche ore
prima di morire. Bisogna capire cos'era cambiato nella
mente della Fusco rispetto al giorno precedente. –
Sia Badalotti sia il notaio pensarono che Gianetti ave-
va centrato il punto chiave dell'indagine: scoprire quale
fosse la ragione, maturata senza dubbio tra la mattina del
quattordici dicembre e quella del giorno successivo, per
cui la baronessa, come la chiamavano tutti, aveva deciso
di fare testamento.
– Notaio, ancora una domanda, per cortesia. La Fusco
è venuta da lei sola, o si è fatta accompagnare da qualcu-
no? –

195
BRUNO VOLPI

– Commissario, in studio è entrata da sola, sia il gior-


no in cui l'ho informata dell'eredità, sia il giorno seguen-
te. Poi, non saprei dire se si fosse fatta accompagnare da
qualcuno fino qui. –

196
IL TESORO DELLA BARONESSA

QUARANTUNESIMO

Le esequie di Antonietta Fusco erano previste proprio


quel pomeriggio. Don Cremasco aveva avuto il consenso
per la celebrazione dato che non vi era più necessità di
trattenere il corpo per accertamenti.
L'autopsia era stata molto rapida e aveva confermato
ciò che il dottor Airoldi aveva anticipato alla Polizia la
sera del delitto. La morte sembrava a tutti gli effetti essere
stata procurata da una caduta in seguito ad una collutta-
zione tra la vittima e il suo aggressore.
L'orario della celebrazione era stato fissato per le
quindici nella chiesa di San Pio V.
Barbara aveva deciso di parteciparvi. Ogni giorno che
passava dal primo incontro con quella donna la rafforza-
va nella convinzione che averla conosciuta non era stata
una semplice casualità.
Non poteva dirsi casuale quella prossimità affettiva
che aveva subito avvertito nei confronti di quella donni-
na minuta così provata dalla vita, eppure, così innamora-
ta della vita stessa.
Non poteva dirsi casuale il fatto che fosse stata pro-
prio lei a scoprire il cadavere, quasi che Antonietta avesse
pregato Colui che la stava attendendo sopra le nubi di
fare in modo che l'indagine finisse nelle mani di qualcu-
no di cui si fidava.
Ancor più, non poteva dirsi casuale l'attaccamento
che Poirot, il cane di Antonietta, aveva maturato nei suoi

197
BRUNO VOLPI

confronti e tutto l'affetto che le riservava in quelle poche


ore in cui erano insieme.
Non se l'era sentita di lasciarlo al canile municipale e
sembrava che Poirot questo l'avesse capito e avesse deciso
di ricambiare la scelta con una perenne gratitudine e una
sconfinata riconoscenza.
Così, quando era rientrata durante la pausa pranzo e
lo aveva visto come sempre, arrivare a tutta velocità per
riempirla di leccate, le era venuto spontaneo dirgli che
quello era il giorno in cui avrebbero sepolto la sua vera
padrona.
Era rimasta sorpresa, quasi spaventata, dalla reazione
dell'animale. Antonietta le aveva spiegato che con ogni
probabilità Poirot doveva avere una lesione alle corde vo-
cali per cui non riusciva ad emettere suoni. Quella volta,
però, le parve di sentire come un lamentio sommesso che
fuoriusciva dal muso allungato di Poirot, praticamente
accostato al suo.
– Lo so che le volevi bene, cucciolino. Stai tranquillo,
non la lascio sola in questo ultimo viaggio. –
Nel pronunciare quella frase lo aveva preso in brac-
cio. Poirot aveva appoggiato il capo sulla spalla di Bar-
bara, come un bimbo che si stesse per addormentare. Lo
strano lamentio era gradualmente scomparso. Barbara,
dopo averlo lungamente accarezzato, lo aveva deposto
nella cuccia di panno che aveva acquistato il giorno pre-
cedente, gli aveva lasciato accanto l'acqua e la ciotola di
croccantini ed era tornata in commissariato.
Osservandosi nello specchietto retrovisore della sua

198
IL TESORO DELLA BARONESSA

Fiat Panda, si era accorta di avere gli occhi lucidi.


Quando aveva chiesto a Badalotti il permesso di po-
ter partecipare alle esequie, il commissario aveva pensato
che potesse trattarsi, oltre che di un gesto di sensibilità,
anche di un'occasione per vedere se vi erano altre per-
sone a cui la Fusco stava a cuore, oltre a quelle che fre-
quentava quotidianamente, vale a dire volontari e clienti
della Mensa Tavola Amica, a cui andava aggiunto colui
che avrebbe celebrato il rito funebre.
Aveva, pertanto, concesso, senza alcuna esitazione, il
permesso all'agente Rossi, raccomandandole di farsi ac-
compagnare da un collega, perché – Quattro occhi vedo-
no meglio di due. –
Barbara era stata tentata di chiedere a lui se non gli
avesse fatto piacere accompagnarla, ma, ripensando al
lutto che lo aveva da poco colpito, ne aveva concluso che
sarebbe stato doloroso riaprire ferite appena rimarginate.
Nell'uscire dall'ufficio incrociò l'agente Bonino che
stava anch'egli tornando dalla pausa pranzo.
– Fulvio, oggi vorrei andare al funerale della Fusco. Il
capo è d'accordo, anche per osservare chi partecipa. Non
è che avresti voglia di venire anche tu? –
Bonino osservò che non aveva usato l'espressione
“avresti voglia di accompagnarmi”, ma subito si disse che
forse non è proprio di buon gusto chiedere a qualcuno di
accompagnarti ad un funerale.
– Sì, va bene, se il commissario vuole che facciamo gli
osservatori... –
Non era ancora riuscito bene ad elaborare l'atteggia-

199
BRUNO VOLPI

mento da tenere con la collega. A volte gli sembrava che


Barbara fosse più amabile nei suoi confronti, altre più di-
staccata. La sua naturale diffidenza nei confronti di ciò
che non riusciva a catalogare, si trattasse di persone, cose
o avvenimenti, lo portava a fare molta attenzione a non
sbilanciarsi mai, restando sempre un po' nel vago, senza
mai fare la prima mossa.
Era esattamente quello che stava succedendo con Bar-
bara. Una parte di lui si sentiva attratta da quella giovane
donna dagli occhi bellissimi, l'altra parte lo metteva in
guardia dai mille rischi che avrebbe potuto comportare
un qualsiasi errore di valutazione di un gesto o una paro-
la della collega di lavoro.

200
IL TESORO DELLA BARONESSA

QUARANTADUESIMO

Uscendo per recarsi al funerale, Bonino e Rossi incro-


ciarono Nobiltà che stava rientrando in commissariato
tutto trafelato. Sembrava avesse importanti informazioni
da riferire al commissario.
Appena Badalotti lo vide comparire sulla porta del
proprio ufficio intuì che, anche se aveva altro da fare in
quel momento, non avrebbe potuto far attendere oltre il
suo agente.
– Entra pure, Ruggero, cosa mi devi riferire? –
– Commissario, come ha fatto a capire che ho una
cosa importante da dirle? –
– Sembravi una pentola a pressione pronta ad esplo-
dere e spandere minestrone in tutta la stanza! –
Questa la risposta che era passata per la mente al com-
missario Badalotti, che invece virò verso una più social-
mente corretta: – Quando ti vedo così carico, Ruggero,
vuol dire che hai notizie importanti, accomodati. –
– Commissario, io non saprei se è importante, ma
vede, manca un orologio! –
– Spiegati meglio. –
– Si ricorda che stamattina mi ha mandato dal pro-
prietario del negozio di orologi per chiedergli se ricono-
sceva la refurtiva che avete recuperato da quel Gutierrez,
che l'aveva nascosta in casa della Fusco? –
– Certo che mi ricordo. –
– Ecco, lui ha riconosciuto tutti i pezzi, ma ha detto

201
BRUNO VOLPI

che manca un orologio, un Citizen da uomo, questo. –


Nobiltà aveva porto al commissario la pagina di un
dépliant pubblicitario della marca svizzera di orologi,
su cui campeggiava la foto di un bel giovane, in camicia
bianca con le maniche arrotolate e, al polso, proprio il
modello che mancava dalla refurtiva recuperata.
– Commissario, io ho pensato che forse il Gutierrez
se l'è tenuto per sé, perché è un bell'orologio, oppure l'ha
venduto per comprare la roba. –
– Forse hai ragione, ma la cosa più semplice è chiede-
re a lui cosa ne ha fatto. Incaricatene tu e poi mi dici cosa
hai saputo. –
L'agente restò per qualche minuto rigido come un
baccalà. Non accadeva frequentemente che il commis-
sario gli affidasse un compito; questa volta, per di più,
a lui soltanto. Quando si schiodò da quella posizione si
era ormai convinto che alla fine non doveva trattarsi di
un incarico così importante, altrimenti sarebbe toccato
all'ispettore o a Bonino, che era senz'altro più capace di
lui. Questa consapevolezza che la natura non l'avesse do-
tato di un elevato acume investigativo aveva da sempre
rappresentato per Nobiltà uno sprone a mettere il mas-
simo dell'impegno e dell'abnegazione nell'esercizio del
proprio ruolo di agente di Polizia. Per questo motivo il
commissario non si era mai trovato nella posizione di
dovergli rivolgere un rimprovero; al contrario, ne aveva
spesso elogiato l'operato.
Non era passata neppure mezz'ora quando l'agente
Nobiltà si era nuovamente palesato alla porta dell'ufficio

202
IL TESORO DELLA BARONESSA

del commissario. Per un attimo Badalotti pensò che fosse


rimasto lì davanti, in silenzio, per tutto quel tempo.
– Ruggero, già di ritorno? –
– Sì, commissario, le celle di sicurezza della Questura
sono qui a fianco. E il fermato me lo hanno fatto vedere
subito. –
Badalotti scrutò il suo agente. Aveva l'aria di uno che
portava “carico”, come avrebbe detto l'ispettore Fazio, en-
trando nell'ufficio del Commissario Montalbano. Nobil-
tà sembrava talmente ansioso di rivelare questo famoso
carico, che quasi perdeva l'equilibrio, tanto erano protesi
in avanti i suoi cento chilogrammi.
– Allora, mi dici cosa hai saputo o vuoi tenermi sulle
spine ancora per molto? –
– Mi scusi, commissario, ma stavo meditando sul fat-
to che il mistero si infittisce. –
Badalotti ebbe un leggero fremito di paura all'idea che
Nobiltà stesse meditando sul caso, ma non disse nulla.
Al contrario, con un gesto della mano, lo invitò a prose-
guire.
– Gutierrez non ce l'aveva quell'orologio e non sape-
va neppure che mancasse. Lui ha detto di aver nascosto
il sacchetto con tutta la refurtiva nel vano del contatore
del gas il giorno dopo il furto, ma poi di non averlo più
recuperato. Immaginava che lì nessuno sarebbe andato a
curiosare, dato che era raro in questa stagione che qual-
cuno, a parte lui, andasse sul balcone. –
– E ti ha detto come mai non lo aveva più recupera-
to, ad esempio per collocare la refurtiva presso qualche

203
BRUNO VOLPI

ricettatore? –
– Gutierrez ha detto che, appena fracassata la vetri-
na, aveva sentito avvicinarsi qualcuno; per questo aveva
arraffato ciò che poteva e poi era fuggito. Però, dato che
non era in grado di stabilire il valore di quello che aveva
rubato, aveva deciso di lasciare tutto dalla Fusco fino a
quando non avesse trovato qualcuno in grado di valutare
i diversi pezzi della refurtiva. –
Badalotti rimase per alcuni secondi a meditare ciò che
Nobiltà gli aveva riferito. Fu lo stesso agente a rompere
il silenzio.
– Commissario, ma se non è stato Gutierrez a sottrar-
lo, cosa può essere successo? –
– Non so, ma ho la sensazione che questa sia una cosa
di una certa importanza. Segui il mio ragionamento: se
l'orologio è sempre stato nel sacchetto col resto della re-
furtiva, ma noi non l'abbiamo trovato e non è stato Gu-
tierrez a prenderlo... –
– Umh... vuol dire che l'ha preso qualcun altro, com-
missario! –
– Esatto, Ruggero. Quindi possiamo dedurre che Gu-
tierrez non era il solo a sapere della refurtiva. Qualcu-
no deve aver scoperto il sacchetto nascosto nel vano del
contatore del gas. E questo qualcuno può essere soltanto
la signora Fusco o una delle altre persone che frequenta-
vano abitualmente la sua casa. Nessuno che fosse capita-
to lì occasionalmente avrebbe avuto accesso al balcone. –
L'agente Nobiltà aveva seguito la disquisizione del suo
superiore senza fiatare. Aveva addirittura trattenuto il re-

204
IL TESORO DELLA BARONESSA

spiro, tanto che il suo viso si stava arrossando in modo


preoccupante. Badalotti riuscì a terminare l'ultima frase
appena in tempo per permettergli una lunga inspirazio-
ne che ne evitò una potenziale perdita di conoscenza.
Il commissario, per parte sua, si era ormai concentra-
to sul filo che aveva iniziato a seguire e non si sarebbe
forse neppure reso conto di un eventuale svenimento del
suo agente, a meno che costui non si fosse rovesciato sul-
la scrivania con tutto il suo peso.

205
BRUNO VOLPI

QUARANTATREESIMO

Barbara Rossi stava riferendo al suo superiore alcu-


ni particolari relativi al funerale a cui aveva partecipato
poco prima con l'agente scelto Bonino.
In realtà, nel corso della cerimonia, aveva provato un
coacervo di emozioni, dalla serenità al turbamento, da
un apparente distacco ad un forte coinvolgimento emo-
tivo. Sapeva, però, che al commissario avrebbe dovuto ri-
ferire solo ciò che poteva essere pertinente alle indagini.
Sentiva dentro di sé il bisogno di condividere con
qualcuno queste sensazioni, ma non sapeva con chi sa-
rebbe stato opportuno farlo. Con Luigi c'era, è vero, mol-
ta confidenza, ma adesso lui era il suo capo e avrebbe
dovuto imparare a rapportarsi in modo diverso nei suoi
confronti. Con Ruggero non aveva confidenza, anche
perché ogni volta che provava ad avvicinarlo, lui si chiu-
deva a riccio, imbarazzatissimo di avere a che fare con
una collega donna.
Poi c'era Mario. Le due ore trascorse insieme la notte
precedente avevano contribuito a disinnescare la tensio-
ne tra di loro. Si era resa conto come il comportamento
un po'altezzoso che aveva mostrato nei giorni preceden-
ti verso di lei fosse frutto anche della difficoltà del suo
rapporto con il commissario e di un inconscio bisogno
di conferme riguardo alle proprie aspirazioni di carriera.
Aveva provato persino un po' di tenerezza quando lui
le aveva raccontato quanto era stato male, qualche mese

206
IL TESORO DELLA BARONESSA

prima, per aver mandato all'aria una relazione a cui si


era accorto di tenere molto. Quell'essere la destinataria
di una confidenza così privata l'aveva scossa come un pu-
gno allo stomaco e appagata come una carezza sul cuore.
La cosa più naturale sarebbe stata confidarsi con Ful-
vio. In fondo era stato per tutto il tempo al suo fianco.
Erano l'uno accanto all'altra quando l'umile bara in
larice aveva fatto il suo ingresso in chiesa. L'uno accanto
all'altra quando don Lorenzo, durante la predica, con la
voce rotta dalla commozione, aveva ricordato la genero-
sità di Antonietta verso chi stava peggio di lei. Così era
stato anche quando il sacerdote aveva benedetto la salma
per rendere più sicuro questo suo ultimo viaggio. E Ful-
vio le era stato accanto fino a quando gli operai del cimi-
tero non avevano murato il loculo con calce e mattoni.
Durante tutta la cerimonia funebre, di tanto in tanto,
aveva sbirciato il volto del collega per cercarvi un'emo-
zione, una smorfia di sofferenza per una donna che aveva
avuto una vita tragica, chiusasi ancor più tragicamente.
Poteva forse aver sbirciato nei momenti sbagliati? Pos-
sibile che un ragazzo sensibile come lui potesse rimanere
di ghiaccio davanti alle lacrime di tutti quei senza tetto
per cui Antonietta era davvero una seconda mamma?
Se solo avesse trovato uno sguardo di comprensione,
se solo avesse visto un segno di umanità da parte di Ful-
vio quel pomeriggio, certamente lo avrebbe scelto come
confidente di quel tourbillon di emozioni. Lui, invece,
era rimasto rigido, silente, senza far trapelare alcuna
emozione da quella divisa sempre impeccabilmente pu-

207
BRUNO VOLPI

lita e in ordine.
Non le restava che Poirot. Quel tenero cucciolo avreb-
be di certo ascoltato il suo racconto, magari riempien-
dola di affettuose leccate, perché doveva ammetterlo, era
più lui a colmarla di attenzioni di quanto facesse lei nei
suoi confronti. Sembrava quasi che Poirot avesse intuito
da subito il suo bisogno di sentirsi coccolata, in modo
particolare durante quei giorni in cui tutto era accaduto
così in fretta, dal nuovo lavoro, ai rapporti da costruire
coi nuovi colleghi, alla vicenda tragica di Antonietta.
– Allora Barbara, mi stavi parlando di queste due per-
sone presenti al funerale che, da quello che avete capito
tu e Fulvio, potrebbero fornirci ulteriori informazioni
sulla vita di Antonietta Fusco e sui suoi ultimi giorni di
vita. –
– Al funerale abbiamo notato che, oltre ai poveri che
le erano più affezionati e qualcuno dei volontari, in pri-
ma fila c'era un signore distinto, che don Cremasco ci ha
poi detto trattarsi di Carlo Menapace, professore di liceo,
di cui Antonietta gli aveva parlato come di un amico di
lunga data. Così lo abbiamo avvicinato all'uscita dal ci-
mitero e si è detto disponibile a collaborare con le inda-
gini. Ha confermato che con la vittima erano compagni
di scuola e che avevano ripreso a frequentarsi in modo
amichevole da un po' di anni. Gli abbiamo chiesto di pas-
sare domattina in commissariato. –
– Avete fatto benissimo. E poi mi parlavi anche di una
signora più o meno dell'età della Fusco. –
– Sì, l'ho notata perché era rimasta in fondo alla chie-

208
IL TESORO DELLA BARONESSA

sa, in un angolo, quasi avesse paura di disturbare.


Così, alla fine della funzione in chiesa, mentre Fulvio
si informava sul professore con don Cremasco, io l'ho av-
vicinata e le ho chiesto se fosse un'amica di Antonietta.
Mi è sembrato quasi che non aspettasse altro che qual-
cuno, rivolgendole la parola, la facesse sentire, non saprei
come dire, anche lei parte di questa storia. Mi ha rac-
contato che si incontravano sempre al cimitero, lei che
andava dal marito e Antonietta dal figlio. Così le ho pro-
posto di accompagnare la salma fino al cimitero insieme
a me. Mi ha mostrato le lapidi del marito e di Gabriele, il
figlio di Antonietta, che, affetto da disturbi psichici fin da
giovane, si era tolto la vita più di vent'anni fa. –
– Hai chiesto anche a lei di passare in commissariato? –
– No, Luigi... scusa, volevo dire commissario, credo
che le avrebbe creato una tensione inutile. Pensavo di an-
dare io da lei domattina, a farmi raccontare cosa sa di
Antonietta. Posso? –
– Va bene, poi ci riferirai. –
L'agente Rossi prese quest'ultima frase come un con-
gedo. Mentre era quasi giunta alla porta, si sentì chiama-
re dal suo superiore.
– Barbara, ho notato che ti stai facendo coinvolgere
molto da questa tragica vicenda. –
Lei, arrossendo visibilmente, annuì.
– Non c'è niente di male, stai tranquilla. Anzi, un po'
di umanità in più in questo mestiere non guasta mai. Ri-
cordati, però, che un poliziotto deve sempre essere libero
da qualunque tipo di legame che abbia a che vedere con

209
BRUNO VOLPI

l'indagine in corso.
A proposito, come si chiama questa signora? –
– Adelina, Adelina Serioli. –

210
IL TESORO DELLA BARONESSA

QUARANTAQUATTRESIMO

Il Commissario Badalotti stava passeggiando nervo-


samente avanti e indietro nel proprio ufficio, all'interno
del commissariato.
La sera era ormai calata da più di un'ora, ma la neb-
bia aveva fatto sì che il passaggio dal giorno alla notte si
manifestasse soltanto con un lento affievolirsi della già
scarsa luce diurna.
E dato che il neon sopra la scrivania era rimasto acce-
so tutta la giornata, Badalotti non si era quasi reso conto
che fuori dalla finestra fossero scese le tenebre.
La giornata era corsa via rapida senza lasciargli il tem-
po di meditare a sufficienza su come riordinare le infor-
mazioni che erano arrivate dai diversi fronti d'indagine.
E questo un po' lo innervosiva.
Era certo che, per arrivare in fretta ai nodi da scioglie-
re, avrebbe dovuto trovare tempo e concentrazione per
riflettere, ma sentiva che non sarebbe riuscito a farlo re-
stando in ufficio. Decise quindi di uscire a fare due passi,
nonostante il freddo e la nebbia.
Infilò l'immancabile soprabito imbottito tinta “Te-
nente Colombo”, si avvolse in una sciarpa stile Burberry
e si calcò in testa il Borsalino che aveva acquistato appe-
na trasferito ad Alessandria, sull'onda dell'avvertimento
ricevuto dall'agente Nobiltà di proteggersi dalla tipica
scarnebbia alessandrina, quella che lo stesso Nobiltà ave-
va definito come “...quella cosa che gli manca un cicinino

211
BRUNO VOLPI

per essere nebbia e un altro cicinino per essere pioggia”.


Appena varcato il portone del commissariato, inspirò
profondamente. Pur consapevole che stava facendo un
vero e proprio pieno di umidità e polveri sottili, sentiva
il bisogno di un'aria nuova, diversa da quella dell'ufficio.
Senza quasi pensarci, si era diretto verso Corso Cento
Cannoni, aveva superato l'imponente facciata della Ca-
serma Valfré e costeggiato il retro di un noto supermer-
cato, per arrivare all'incrocio con Via Cavour. Lì si era
fermato ad osservare la grande foto che copriva l'origi-
nario ingresso del palazzo Borsalino, l'antica fabbrica di
cappelli.
L'immagine, che, a giudicare dagli abiti e dalle ac-
conciature poteva risalire agli anni 50–60 del Novecen-
to, rappresentava le operaie all'uscita dal lavoro mentre
salivano sulle loro biciclette per fare ritorno a casa. Gli
venne spontaneo chiedersi se ognuna di quelle giovani
lavoratrici avesse avuto consapevolezza che stava con-
tribuendo alla realizzazione di un prodotto che avrebbe
rappresentato per decenni il made in Italy nel mondo.
A quel primo interrogativo ne seguirono altri. Si chie-
se cosa pensassero le operaie mentre facevano le prime
imbastiture del feltro, o mentre cucivano le falde alla ca-
lotta centrale, o quando ancora si cimentavano nella co-
loritura; se avessero mai desiderato di poter un giorno far
dono di quei copricapi ai loro mariti o fidanzati; o se, in-
vece, sognassero di essere baciate da una star del cinema,
un Amedeo Nazzari o un Vittorio De Sica, ad esempio.
Un bacio che, come talvolta accadeva nei film, sarebbe

212
IL TESORO DELLA BARONESSA

stato in parte nascosto al resto del mondo dalla larga tesa


di un cappello, chissà, forse proprio quello che stavano
maneggiando con perizia.
La nebbia non permetteva quasi di individuare gli
estremi laterali del palazzo, né capire quanto si estendes-
se in altezza.
Ancora pochi passi e si trovò in Piazza Garibaldi,
quella che i più anziani chiamavano ancora Piazza Sa-
vona.
L'umidità stava picchiando forte, tanto che decise di
rifugiarsi nel primo bar che avrebbe trovato sotto i porti-
ci della piazza, per rifocillarsi un po'.
In quel momento vide un barbone che si stava rasset-
tando il letto per la notte. Aveva poggiato a terra un po'
di cartoni del supermercato e si era tirato addosso alcune
vecchie coperte. In quel rifugio di fortuna si era messo a
frugare in due buste di plastica, traendone alcuni pezzi
di pane e una coscia di pollo, che aveva iniziato e rosic-
chiare.
Badalotti avvertì un forte disagio e decise di tornare
sui propri passi. Non che patisse la presenza di quel senza
tetto. Era il fatto che fosse costretto a dormire per strada
a dargli fastidio. Al di là di ciò che potevano fare la Cari-
tas e le altre associazioni di volontariato, non avrebbe do-
vuto essere l'amministrazione pubblica a trovare il modo
di farsi carico di queste persone?
In quel momento gli venne in mente ciò che faceva
la Fusco, che ogni sera invitava uno di loro a casa sua,
lei che una casa ce l'aveva. E permetteva al suo ospite di

213
BRUNO VOLPI

consumare la cena in un luogo caldo e trattenersi per un


po' di tempo anche dopo cena. Pensò che quella piccola
donna avesse avuto un'idea che solo le anime generose
sono in grado di concepire.
In fondo Barbara aveva ragione ad essersi presa così
a cuore la faccenda della morte della Fusco. Avrebbero
dovuto impegnarsi tutti di più per catturare il colpevole.
Glielo dovevano, a quella piccola donna tenace.
Riprendendo il cammino, provò a ricapitolare i prin-
cipali punti aperti dell'indagine. Occorreva stabilire chi
fosse a conoscenza dell'eredità, oltre a don Cremasco, al
notaio, a Maurizio Reggiani e a questo professor Carlo
Menapace che aveva partecipato al funerale e, che, forse,
poteva essere l'ipotetico uomo misterioso da cui la Fusco
aveva detto che si sarebbe fatta accompagnare all'appun-
tamento col notaio.
Sempre ammesso che fosse l'eredità il movente che
aveva determinato la violenza di cui era stata vittima.
Ci sarebbero state poi da mettere in ordine cronolo-
gico le visite che la vittima aveva ricevuto il giorno della
morte, per capire, magari andando per esclusione, chi
potesse essere con lei al momento della colluttazione
violenta. E occorreva capire a chi appartenesse la voce
che Barbara aveva udito nell'appartamento della Fusco la
sera precedente il delitto.
C'era, infine, quella storia dell'orologio scomparso. Se
davvero non lo aveva preso Gutierrez, dove caspita era
finito? Possibile che qualcuno avesse scoperto il nascon-
diglio di quella refurtiva? E perché non l'aveva semplice-

214
IL TESORO DELLA BARONESSA

mente segnalato alla Polizia?


Si disse che, dopo una pasta e fagioli da Sergino, am-
messo che il locale non fosse pieno di tavolate per gli au-
guri natalizi, cosa che non avrebbe sopportato, ci sareb-
be stata la giusta concentrazione per passare la serata a
rivedere tutta la documentazione dell'indagine, raccolta
in una cartella che, data la peculiarità dell'omicidio, pre-
sumibilmente legato all'eredità, era stata denominata “Il
tesoro della baronessa”.

215
BRUNO VOLPI

QUARANTACINQUESIMO

La serata stava scorrendo via come al solito, tra svaria-


ti caffè e un po'di musica italiana.
La trattoria di Sergino l'aveva trovata abbastanza affol-
lata e, appena messo il naso dentro aveva subito pensato
di rinunciare e tornare sui suoi passi. Il proprietario lo
aveva visto con la coda dell'occhio e, prima che riaprisse
la porta del locale per uscire, lo aveva quasi afferrato per
il bavero del soprabito, rassicurandolo subito che aveva
per lui un tavolo in saletta, dove non sarebbe stato distur-
bato dagli schiamazzi dei festanti avventori.
Col senno di poi, aveva concluso di aver fatto più che
bene a lasciarsi convincere. La pasta e fagioli di Sergi-
no era sempre stata una delizia papillare assoluta. Quella
sera, in aggiunta, lo chef l'aveva profumata con del ro-
smarino selvatico e questo tocco ne aveva ulteriormente
aumentato, se fosse stato possibile, il gradimento.
Il proprietario gli aveva proposto di accompagnarlo
con un calice di Rubino di Cantavenna, un rosso pro-
dotto in una ristretta zona del Monferrato casalese, un
pregiato mix di Barbera, Freisa e Grignolino dal gusto
morbido ed armonico. Una proposta insolita, per un
vino più comunemente abbinato alle carni, che il com-
missario mostrò di gradire particolarmente. Sergino ave-
va sempre rivelato una certa creatività negli abbinamenti
tra i piatti e le bevande e questo contribuiva ad accrescere
la fama della sua trattoria. Ovviamente, rispetto ai pran-

216
IL TESORO DELLA BARONESSA

zi di lavoro, l'offerta serale era molto più raffinata e, di


conseguenza, costosa. Per questo Badalotti si concedeva
questo piacere solo nei giorni in cui avvertiva la necessità
di una carica particolare.
Rientrato a casa, si era messo subito al computer per
studiare i documenti contenuti nei fascicoli delle due
indagini. C'era quella storia dell'orologio mancante che
continuava a ronzargli in testa come una mosca fastidio-
sa, una di quelle che solitamente in inverno, durante la
notte, riescono ad infilarsi tra le tapparelle e le finestre,
così da entrare in casa la mattina, appena si aprono gli
infissi per far prendere un po' d'aria all'alloggio.
D'improvviso gli venne un'ispirazione. Cercò nel fa-
scicolo Fusco la lista degli oggetti presenti sulla scena del
crimine che erano stati inventariati dalla Scientifica.
A metà lista lo trovò: orologio da uomo marca Citi-
zen, modello Citizen Supertitanium, presente nella tasca
della veste da camera della vittima.
Vi era anche la foto. La confrontò con la pagina del
dépliant che il proprietario del negozio aveva dato all'a-
gente Nobiltà: identici.
Sull'orologio erano state rilevate soltanto le impronte
della vittima.
– Ma come è possibile? – penso tra sé.
Questo stava a significare che, con tutta probabilità,
Antonietta Fusco aveva casualmente scoperto la refurti-
va nascosta nel vano del contatore del gas.
– Ma allora perché non prendere tutto il sacchetto? –
La mente di Badalotti era un frullatore di interrogativi. –

217
BRUNO VOLPI

Forse aveva capito chi poteva aver nascosto lì la refurtiva


e non voleva che si insospettisse non trovandola più. –
In breve tempo Badalotti si rese conto che questo
poteva voler dire una sola cosa. E cioè che la posizione
di Gutierrez si aggravava, e di molto, perché una delle
ipotesi che il PM avrebbe subito avanzato è che la Fu-
sco, scoperta la refurtiva, avesse affrontato Gutierrez per
dirgli che era intenzionata a rivelare tutto alla Polizia, o
forse soltanto a don Cremasco. E il malvivente, per non
rischiare di essere smascherato, l'avrebbe minacciata e,
nella colluttazione che ne era seguita, Antonietta avrebbe
sbattuto il capo sul piano della cucina, perdendo la vita.
– Se così fosse, però, perché Rodrigo Gutierrez non
si è portato via la refurtiva? Forse è subito scappato, spa-
ventato per quanto era accaduto... ma avrebbe poi potuto
tornare dato che possedeva le chiavi... magari la Fusco
non aveva fatto in tempo a mostrargli l'orologio e lui ha
pensato che comunque la refurtiva sarebbe ugualmente
rimasta al sicuro ancora per un po', dato che Antonietta
era la sola a sapere e non aveva fatto in tempo a rivelarlo
a nessun altro...
o forse sì? –

218
IL TESORO DELLA BARONESSA

QUARANTASEIESIMO

Alessandria, 19 dicembre, ore 9:00

– Professore, mi permetta anzitutto di ringraziarla per


la sua disponibilità a fornirci informazioni sulla vittima. –
Carlo Menapace era un uomo sulla settantina, dall'a-
spetto ancora abbastanza giovanile, i capelli brizzolati,
un viso un po' allungato e un fisico asciutto. Indossava
una giacca di un bel blu elettrico con una serie di origi-
nali bottoni a forma di ancora a chiudere la manica, e un
paio di jeans di una marca molto nota.
– Commissario, Antonietta era un'amica di lunga data
e, sinceramente, fatico a pensare che qualcuno le abbia
voluto fare del male, perché era generosa verso tutti, a
volte persino troppo. –
– Ci parli un po' di lei e del vostro rapporto, se non le
dispiace. –
– Come le ho detto, commissario, eravamo amici fin
dai tempi della scuola. Poi, dopo il liceo, abbiamo preso
strade diverse. Io la laurea in matematica, lei ha tentato
la fortuna col teatro. Credo che fosse anche brava nella
recitazione, ma quello è un tritatutto dove un giorno sei
una star e l'altro puoi finire in mezzo ad una strada. Così,
quando andò a Roma, ci siamo persi di vista. Poi, una de-
cina di anni fa, mentre portavo del vestiario alla Caritas,
l'ho vista lì, in fila per un pranzo alla mensa dei pove-
ri. L'ho riconosciuta immediatamente. Anche se cadi in

219
BRUNO VOLPI

disgrazia, l'eleganza, quella non la perdi. E lei è sempre


stata una donna elegante. –
Una pausa, forse per provare a ricordare l'immagine
di Antonietta da giovane.
– Le confesso che a vederla così mi si è stretto il cuo-
re. Non sapevo che fine avesse fatto, nemmeno che fosse
tornata in città. Così l'ho aspettata all'uscita della mensa
e l'ho invitata in un bar. In due ore mi ha raccontato tutta
la sua tragica vita, mi ha detto della disgrazia del figlio
e di tutti i soldi che aveva speso per cercare di curarlo.
Così si era ridotta a vivere quasi come una barbona. Vo-
levo aiutarla finanziariamente, ma lei non ha mai voluto.
Diceva che ormai si era adattata a vivere così, che quel-
lo era il suo mondo. Lei non sa quante volte ho cercato
di proporle di provare ad uscire da quella situazione, ma
non ne ha mai voluto sapere. –
Badalotti approfittò di una nuova pausa per interveni-
re e cercare di portare la conversazione sugli aspetti più
interessanti per l'indagine.
– Poi, però, in queste ultime settimane, è arrivata la
notifica dell'eredità. Lei ne è al corrente, vero? –
– Sì, commissario, appena ricevuta la lettera dal no-
taio, Antonietta mi contattò tutta agitata. Nei giorni se-
guenti abbiamo discusso a lungo di come avrebbe potuto
impiegare quel denaro. Lei voleva a tutti i costi aiutare la
Caritas e i suoi amici poveri, e io ho cercato di aiutarla a
pianificare come avrebbe potuto fare, anche se non cono-
scevamo ancora a quanto ammontasse questa eredità. –
– E l'accompagnò dal notaio, la mattina in cui aveva

220
IL TESORO DELLA BARONESSA

l'appuntamento? –
– Avrei dovuto, ma proprio la sera prima mi ammalai.
Niente di grave, un classico virus influenzale, ma non mi
reggevo in piedi. Così, quando mi citofonò quella matti-
na, le dissi che stavo male e che appena fossi guarito, sarei
passato da lei per farmi raccontare tutto. Antonietta non
possedeva telefoni e quindi non avrei potuto rintracciar-
la in altro modo. Purtroppo, non ho fatto in tempo... –
I presenti videro il professore abbassare il viso verso
terra, per nascondere, con ogni probabilità, gli effetti di
una forte emozione ancora viva.
– Lei si è fatto un'idea di ciò che può essere accaduto
quel tardo pomeriggio in cui la signora Fusco ha perso
la vita? –
Carlo Menapace tornò ad alzare il capo e a guardare
dritto in viso il commissario.
– Commissario, e come faccio ad essermi fatto un'i-
dea? Io so quello che ho letto sui giornali. Parlavano di
una violenta colluttazione. Io le avevo sempre detto di
stare attenta a quelli che frequentava. Lei aveva l'abitudi-
ne di far entrare in casa chiunque. Si fidava troppo degli
altri. –
– Ancora una domanda, professore, non vorrei abusa-
re troppo del suo tempo. –
– Non si preoccupi, dottore, io di tempo ormai ne ho
da vendere. Non sono sposato, vivo da solo e, ormai che
sono in pensione, faccio solo delle attività di volontariato
in parrocchia. –
– La ringrazio. Le volevo chiedere se in questi anni ha

221
BRUNO VOLPI

avuto modo di incontrare le altre persone che frequenta-


vano l'alloggio della signora Fusco. Ad esempio un certo
Rodrigo Gutierrez. –
– No, quel nome non mi dice nulla. –
Badalotti trasse da un fascicolo che aveva sul tavolo
alcune foto e le mostrò al professore.
– Riconosce qualcuna delle persone ritratte in queste
foto? –
Menapace le fece passare più volte, soffermandosi
lungamente su ciascuna delle fotografie.
– Commissario, mi pare di aver visto qualcuna di que-
ste persone in giro per la città o davanti alla sede della
Caritas, ma mai a casa di Antonietta, di questo sono si-
curo. –
Badalotti si alzò e porse la mano al professore, in se-
gno di congedo.
– Grazie, professor Menapace! E se le venisse in mente
qualcosa sulla vita della signora Fusco che pensa potreb-
be risultare utile alle indagini, ci avvisi, per favore. –
– Non mancherò, commissario. Ero molto legato ad
Antonietta; anche per questo vorrei che chi le ha fatto del
male fosse assicurato alla giustizia il più presto possibile. –

222
IL TESORO DELLA BARONESSA

QUARANTASETTESIMO

L'ispettore Mario Gianetti e l'agente scelto Bonino


erano stati incaricati dal commissario di interrogare il
Gutierrez in merito alla faccenda dell'orologio e della
presunta scoperta da parte della Fusco del suo coinvolgi-
mento nella faccenda dei furti con scasso.
Gianetti aveva accolto l'incarico con un po' di disap-
punto, perché avrebbe voluto presenziare al colloquio
con il professor Menapace. Si era infatti convinto che il
professore avrebbe potuto dare delle indicazioni impor-
tanti sull'indagine e temeva che, una volta passate attra-
verso il filtro del commissario, qualcosa di importante
potesse finire nel dimenticatoio.
Riteneva infatti che la prontezza mentale di Badalot-
ti fosse ancora un po' condizionata dal lutto vissuto nei
giorni precedenti che, a suo modo di vedere, non era sta-
to ancora completamente metabolizzato.
In aggiunta il commissario non aveva voluto nessu-
no a verbalizzare la sua chiacchierata col professore, ad-
ducendo la scusa di non voler creare il dubbio che fosse
sospettato di qualcosa, rischiando così di indurlo a non
rivelare tutto ciò che sapeva.
Sapendo poi che Badalotti non era un campione di
comunicazione, vedeva davanti a sé il rischio concreto di
venirsi a trovare ai margini dell'indagine, senza neppure
che qualche superiore avesse deciso in tal senso.
Accortosi che anche quel viaggio, dal commissariato

223
BRUNO VOLPI

fino al carcere dove avevano trasferito il Gutierrez, ri-


schiava di trasformarsi in un ennesimo pellegrinaggio
silenzioso, in quanto l'agente Bonino sembrava immerso
nei suoi pensieri, tanto che in un'ipotetica lista dei pre-
senti sull'auto di servizio, accanto al suo nome si sarebbe
letto un laconico “non pervenuto”, decise di rompere il
ghiaccio con la prima domanda che gli passò per la men-
te.
– Fulvio, dimmi un po', che cosa pensi della nuova
collega? –
– In che senso? –
Bonino cercava in ogni modo di non far trasparire
l'imbarazzo che gli aveva suscitato l'inattesa domanda,
ma si sentiva preda di un immotivato calore, tanto più
immotivato considerando che la temperatura esterna
continuava ad essere preceduta da un segno negativo.
– Come in che senso? Ti sembra sveglia, ti piace come
tipo, la ritieni intelligente, sensibile... insomma, come la
trovi? –
– Ma... come collega? –
– E come vuoi che te lo stia chiedendo, come amanti?
Siete amanti? No, e allora te lo chiedo come collega. –
La risposta fu accompagnata da una risata che, anzi-
ché ottenere l'effetto di sdrammatizzare l'impatto della
domanda, ebbe l'effetto di mandare ancora più in confu-
sione il povero Bonino.
Nella sua mente, due diverse interpretazioni da dare
alla domanda di Gianetti stavano facendo a pugni per ve-
dere quale sarebbe rimasta in piedi. Sfortunatamente per

224
IL TESORO DELLA BARONESSA

lui, in entrambi i casi, si trattava di opzioni per le quali


non aveva pronta alcuna risposta.
Se la sua mente fosse stata il ring del Madison Square
Garden il 28 gennaio del 1974, il ruolo di Joe Frazier sa-
rebbe toccato alla convinzione che l'ispettore sospettava
che tra lui e la Rossi fosse nata una storia; il sospetto, al
contrario, che fosse l'ispettore stesso, noto tombeur de
femmes, a volerci provare con la Rossi e cercasse il suo
avallo, avrebbe avuto il volto di Muhammad Ali.
E, come avvenne in quel match passato alla storia,
Muhammad Ali avrebbe dominato l'incontro e vinto con
giudizio unanime.
La convinzione, quindi, che Gianetti volesse includere
nel suo palmarès anche un'avventura con Barbara, sbara-
gliò, in breve tempo, l'idea che sospettasse di una relazio-
ne tra i due agenti.
Così, pian piano, l'imbarazzo che aveva colto Fulvio
Bonino qualche decina di secondi prima, venne sostitui-
to da una leggera irritazione, che si fece via via più consi-
stente. Ma chi si credeva di essere? E che donna credeva
che fosse Barbara?
– Già, ma che donna è Barbara? Il tipo di donna giusta
per te? –
Il solito tarlo, quello che iniziava a roderlo da dentro
ogni volta che pensava a quale avrebbe potuto essere la
donna con cui trascorrere gli anni della maturità.
– Allora, Fulvio, ti sei addormentato? –
– Barbara Rossi è una ragazza seria e una brava poli-
ziotta, io la stimo molto. –

225
BRUNO VOLPI

Si accorse che gli era uscita una frase alla “Fantozzi” e


subito se ne pentì. Forse però, quella frase rappresentava
veramente ciò che provava per lei. L'avrebbe certo voluta
come amica, come compagna da frequentare nel tempo
libero.
Ma da questo a condividere una vita la distanza era
ancora molta, moltissima.

226
IL TESORO DELLA BARONESSA

QUARANTOTTESIMO

Adelina Serioli aveva dato appuntamento all'agen-


te Barbara Rossi intorno alle undici della mattina. A
quell'ora, le aveva detto, sarebbe stata di ritorno dal mer-
cato alimentare di Piazza Marconi e avrebbe avuto un po'
di tempo prima di prepararsi qualcosa per pranzo, che
poi, il pomeriggio, lo avrebbe passato al cimitero, come
era solita fare da quel giorno di luglio in cui il marito se
ne era andato, così all'improvviso, senza avvisare.
Alle undici in punto Barbara aveva suonato al citofo-
no che recava ancora entrambi i cognomi: Lo Bianco–Se-
rioli. La voce di Adelina l'aveva invitata a salire.
L'appartamento al secondo piano di via Fiume era ab-
bastanza signorile, anche se il mobilio appariva un po'
datato. Alle pareti alcuni quadri di un pittore locale ab-
bastanza noto. Il tratto dell'artista appariva sufficiente-
mente netto, con figure squadrate e soggetti di vita quo-
tidiana.
– Sta guardando i quadri, signorina? Le piacciono?
Sono di un pittore alessandrino del secolo scorso. Si
chiamava Pietro Morando. Sa, mio suocero aveva un ri-
storante e lui, ogni tanto, veniva a mangiare lì, quando
era già anziano. E pagava coi quadri. Ma si accomodi, la
prego. Posso farle il caffè? –
Nonostante non fosse per nulla abituata a bere caffè di
mezza mattina, a stomaco vuoto, l'agente Rossi, per non
sembrare scortese e provare ad accorciare le distanze, de-

227
BRUNO VOLPI

cise di accondiscendere alla richiesta.


– Signora Adelina, immagino che abbia saputo che la
morte di Antonietta non è stata accidentale. Capirà bene
che più informazioni riusciremo a raccogliere su di lei e
sulle sue frequentazioni e più possibilità avremo di arri-
vare a ricostruire quello che è accaduto quel pomeriggio
a casa sua. –
La signora Serioli non se lo fece dire due volte. Iniziò
a raccontare all'agente Barbara Rossi come si erano co-
nosciute con Antonietta. Riferì tutto quello che sapeva
della vita di quella che era diventata la sua “amica genia-
le”. Un'amicizia che era riuscita a radicarsi in profondità
perché era cresciuta nel terreno fertile della sofferenza.
– Come ha trovato la signora Antonietta negli ultimi
giorni? Le è sembrata serena? –
Adelina si chiuse in un sorprendente silenzio.
– C'è qualcosa che non va, Adelina? –
– No, no, signorina Barbara. È solo che Antonietta,
ultimamente, era strana. Per un po' di giorni è stata ra-
diosa, così di buon umore come non l'avevo mai vista.
Sembrava quasi che avesse vinto al Superenalotto. –
– Era come se avesse vinto, Adelina. Penso che lei non
sia informata, ma aveva ricevuto la notifica di un lasci-
to. Il barone le aveva destinato del denaro come eredità.
Cinquecentomila euro. –
– Il barone, quello che era stato il suo amante da gio-
vane? Antonietta ne parlava spesso, diceva sempre che
era lui il padre di Gabriele, ma io credevo fosse una sua
invenzione. –

228
IL TESORO DELLA BARONESSA

Lo stupore della donna fu evidente.


– E poi, cinquecentomila euro! Avrebbe potuto fi-
nalmente fare la signora. Si capiva che lo aveva sempre
desiderato. –
– E invece, no, Adelina. Antonietta alla fine aveva de-
ciso di donare quasi tutto alla Caritas e ai poveri. Non
glielo aveva detto, vero? –
– No, però l'ultimo giorno, quello in cui è morta, non
era più la stessa. Ci siamo incontrate come sempre al ci-
mitero, io le parlavo ma lei sembrava che non ascoltasse.
Quando le ho chiesto se andava tutto bene, mi ha rispo-
sto con una frase così strana. Pareva che se lo sentisse che
poteva accaderle qualcosa. Mi ha detto “Adelina, magari
un giorno non ci vedremo più.” e poi ha aggiunto “Fai
buon uso delle mie confidenze!”
Io le ho chiesto che cosa volesse dire, erano giorni che
parlava di non vedersi più, ma con una luce ben diversa
negli occhi. Quell'ultima volta l'ho vista davvero preoc-
cupata, quasi spaventata.
Non ha risposto alle mie richieste di chiarimenti, mi
ha abbracciata, un abbraccio più lungo del solito. E poi se
n'è andata. –
L'ultima frase, seppur pronunciata inconsciamente,
provocò un momento di grande tristezza in quella signo-
ra dall'abbigliamento raffinato e dai modi eleganti. Un
fazzoletto con fiori ricamati corse in aiuto ad asciugare
alcune lacrime.
Barbara attese il momento giusto per formulare una
nuova domanda.

229
BRUNO VOLPI

– Adelina, immagino che lei abbia ripensato a queste


ultime parole della sua amica Antonietta. Si è fatta un'i-
dea su come interpretarle? –
Lo sguardo che Adelina rivolse all'agente Rossi era a
metà tra lo sconsolato e il confuso.
– Non ne ho proprio idea. Me le sono ripetute nella
mente un sacco di volte, ma niente. – Adelina aveva al-
largato le braccia, sconsolata.
– Per il momento la ringrazio, ci ha fornito delle infor-
mazioni molto utili. Se avrò ancora bisogno di chiederle
qualcosa, mi permetterò di disturbarla ancora. –
Barbara fece per alzarsi, avviandosi alla porta. Adeli-
na la trattenne.
– Aspetti, questo è il mio numero di telefono. – le dis-
se, porgendole un foglietto scritto a mano – mi chiami
pure quando vuole, anche se non sarà per l'indagine. –
Scendendo le scale dell'elegante palazzo di via Fiume,
Barbara, pensando a quanto può far male la solitudine in
cui la vita ti può trascinare, anche improvvisamente, av-
vertì un forte dolore alla bocca dello stomaco, che subito
decise di imputare al caffè bevuto a digiuno.

230
IL TESORO DELLA BARONESSA

QUARANTANOVESIMO

Badalotti aveva dato appuntamento a tutti i compo-


nenti della squadra nel primo pomeriggio, per fare il
punto e valutare la strategia da seguire.
Qualche ora più tardi sarebbe stato a colloquio col
Pubblico Ministero, nell'ufficio del questore, per aggior-
nare entrambi sullo stato delle indagini.
Avrebbe dovuto, quindi, essere in grado di fornire
un'interpretazione dei fatti suffragata da indizi precisi e
presentare un piano che lasciasse intravvedere la possibi-
lità di una rapida conclusione dell'indagine per la morte
di Antonietta Fusco, in quanto quella per i furti con scas-
so ormai sembrava arrivata al capolinea.
In aggiunta, quella mattina stessa, imbattendosi quasi
per caso nell'abete con tanto di luci intermittenti che era
stato allestito da alcuni agenti all'ingresso del commissa-
riato, si era reso conto che avrebbe dovuto considerare
un'altra variabile fortemente negativa, che rischiava di
vanificare anche i pochi passi avanti fatti dall'indagine:
l'avvicinarsi del Natale.
L'avvicinarsi del Natale, lo sapeva per esperienza,
avrebbe avuto un impatto nefasto. Già presagiva che
avrebbe incontrato una maggior difficoltà ad intercetta-
re le persone coinvolte nell'indagine, che l'attenzione dei
suoi uomini sarebbe stata immancabilmente assorbita
dai preparativi per le feste e dalla ricerca dei regali, e che
la frenetica accelerazione della vita, in quei giorni ante-

231
BRUNO VOLPI

cedenti la festività, avrebbe tolto a tutti, persino a lui, la


necessaria concentrazione sul caso da risolvere.
– Bene, riepiloghiamo ciò che abbiamo in mano. L'in-
dagine dei furti con scasso si può considerare conclusa.
Gutierrez ha ammesso tutto, anche se ha confermato di
non sapere nulla dell'orologio ritrovato nella tasca della
vestaglia della vittima, vero ispettore? –
– Questo è quanto ha dichiarato Gutierrez questa
mattina a me e all'agente Bonino, mentre lei, commissa-
rio, interrogava il professor Menapace. –
Gianetti aveva messo una punta di acredine in quell'ul-
tima frase. Non aveva ancora digerito il fatto che Bada-
lotti non lo avesse “voluto tra i piedi” per l'incontro col
professore. Per fortuna il commissario, ormai totalmente
concentrato sull'indagine, non ci fece caso.
– Immagino quindi che il P.M. lo rinvierà a giudizio
per il reato di furto continuato, aggravato da scasso. Cer-
tamente avrà delle attenuanti, considerato che è stato in-
dotto al furto con minacce da parte del clan che gestisce
lo spaccio.
La posizione di Gutierrez potrebbe però essere ben
più grave per quanto riguarda il caso della morte della
Fusco. Esiste infatti la possibilità che la colluttazione che
ha causato la morte della donna sia avvenuta proprio con
lui, nell'ipotesi che la povera Antonietta gli avesse rivela-
to di aver scoperto la refurtiva e aver capito che era stato
lui a nasconderla nel vano del contatore gas, sul balcone.
Questa ipotesi sarebbe avvalorata dal fatto che sull'o-
rologio che era stato sottratto dal sacchetto della refurti-

232
IL TESORO DELLA BARONESSA

va siano state trovate solo le impronte della Fusco. –


– Questo è vero, commissario, ma Gutierrez con me e
l'ispettore ha continuato a negare. – L'agente scelto Ful-
vio Bonino era intervenuto per ribadire quanto successo
in mattinata. – Noi lo abbiamo messo di fronte alle evi-
denze che lei ha appena citato, ma lui ha continuato a
sostenere che quel giorno non andò a casa della Fusco,
che si trovava addirittura fuori città. –
– E ha dei testimoni che potrebbero confermarlo? –
– Ovviamente no, dice che era a Casale Monferrato,
che avrebbe dovuto incontrarsi con uno che gli aveva
promesso un lavoro, ma questo non si è presentato. Se
avesse avuto un cellulare, questa fandonia gliela smon-
tavamo in mezz'ora! – L'ispettore Gianetti sembrava al-
quanto infastidito da tutta quella vicenda.
– Ma come c'è andato a Casale? – Questa volta l'a-
gente Rossi aveva bruciato sul tempo il commissario, che
stava per chiedere la stessa cosa.
– Glielo abbiamo chiesto, ovviamente. Dice in treno,
ma ha viaggiato senza biglietto ed è riuscito ad evitare il
controllore spostandosi da una carrozza all'altra nelle va-
rie stazioni. Così non ha né un biglietto, né qualcuno che
possa testimoniare in suo favore. Secondo me ci racconta
delle balle. –
– È probabile, ispettore. A questo punto non possia-
mo fare altro che lasciare che sia il P.M. a decidere se in-
criminarlo. –
– Ma, commissario, quindi dobbiamo considerare il
caso chiuso? –

233
BRUNO VOLPI

– No, Ruggero, ci sono troppe domande che non


hanno ancora una risposta in questa indagine. E, fino a
quando tutti i pezzi del puzzle non andranno al loro po-
sto, non ci sono ferie per nessuno! –
Badalotti si era alzato in piedi e stava fissando uno ad
uno i componenti della sua squadra. Quella frase l'aveva
messa lì quasi come una battuta, ma si era subito accorto,
dalla reazione del viso di ciascuno di loro, che era suona-
ta come una sfida.
E fissandoli, uno ad uno, aveva letto nei loro occhi la
stessa determinazione che sentiva dentro. Indipendente-
mente da ciò che avrebbe deciso il PM, nessuno di loro
era convinto che un'eventuale incriminazione di Gutier-
rez avrebbe rappresentato la parola fine di quella storia.
Si sentì fiero di loro. L'orgoglio per i suoi poliziotti
non rappresentava un impulso che era solito provare.
Forse, in modo latente, era presente ogni giorno. Solo
a livello inconscio, però. E lui, Badalotti, non aveva l'a-
bitudine di interrogarsi sulla loro affidabilità. L'attacca-
mento alla divisa era qualcosa che dava per scontato. In
se stesso e negli altri.
Si accorse che quel silenzio tra loro stava diventando
imbarazzante.
– Allora diamoci da fare. Io andrò a colloquio col PM
e col questore, ma voi, nel frattempo, andrete avanti con
le indagini. Dobbiamo scoprire chi c'era nell'alloggio di
Antonietta Fusco quel pomeriggio. –
– Certo, commissario, che se avessimo potuto contare
su qualche vicino che aveva visto qualcosa, ma su quel

234
IL TESORO DELLA BARONESSA

piano non abita nessuno. – L'agente Nobiltà si sentiva


schiacciato tra la rassegnazione alla quasi totale impos-
sibilità di trovare nuovi indizi e la preoccupazione legata
alle aspettative che Badalotti aveva su di loro. – Voglio
dire, a parte Barbara, che però era in commissariato a
quell'ora. Dall'altra parte c'è il deposito della ditta di spe-
dizioni. –
– Ruggero, sei un genio! E noi, investigatori da quat-
tro soldi! –
L'esclamazione del commissario aveva colto tutti di
sorpresa. Sembrava essersi caricato a molla.
– Seguitemi nel ragionamento. Come ha ricordato
Ruggero, accanto all'alloggio che fu della Fusco, c'è un
deposito di una ditta di spedizioni. Siamo vicini al Nata-
le. Secondo voi non sarà entrato o uscito nessuno da quel
deposito con qualche pacco da consegnare? –
I poliziotti si guardarono l'un l'altro. Come avevano
potuto non pensarci?
– Allora, supponiamo che la nostra ipotesi iniziale
fosse giusta. E cioè che la colluttazione che ha causato la
morte di Antonietta Fusco abbia avuto come motivazio-
ne l'eredità. Se escludiamo don Cremasco, che non mi
sentirei di sospettare, e la signora Adelina, l'amica del ci-
mitero, che lo ha saputo questa mattina da Barbara, chi
era a conoscenza della faccenda dell'eredità? Di certo il
notaio Guarino, Maurizio Reggiani, l'impiegato del pa-
tronato, e il professor Menapace. Di altri non sappiamo
con certezza.
In aggiunta, sappiamo, per loro ammissione, che sia

235
BRUNO VOLPI

Mohammed Fawzy, il venditore di fiori, che Salvatore


Pugliese, detto Gullit, sono stati quel pomeriggio a casa
della Fusco, il secondo subito dopo il primo perché il
mazzo di rami natalizi che aveva lasciato Mohammed
era ancora appoggiato sul tavolo. E, a detta del Pugliese,
forse in casa con la Fusco c'era qualcuno.
Quindi, rintracciate tutti i corrieri che hanno ritirato
pacchi da consegnare quel pomeriggio e mostrate loro le
foto delle persone che abbiamo nominato, incluso Gu-
tierrez, chiedendo se hanno visto qualcuno di loro nel
palazzo dopo le sedici, ora in cui presumiamo che la Fu-
sco fosse rientrata dal cimitero.

236
IL TESORO DELLA BARONESSA

CINQUANTESIMO

L'incontro con il pubblico ministero a cui era stato


assegnato il caso, avvenuto nell'ufficio del questore, era
stato relativamente breve.
L'avvicinarsi del Natale stava mettendo una certa
pressione un po' a tutti e anche i magistrati e i funzionari
incaricati della sicurezza pubblica non erano esenti da un
certo stress da festività incombente.
Sulla base di quanto aveva riferito il commissario
Badalotti, il P.M. aveva deciso di confermare il fermo di
Gutierrez, aggiungendo a quella dei furti con scasso la
ben più grave imputazione di omicidio, invocando, for-
tunatamente per il Gutierrez, l'articolo 586 del Codice
Penale, che prevede che la morte non sia intenzionale,
ma avvenuta a seguito di altri fatti delittuosi, come una
colluttazione.
Il questore, da parte sua, aveva visto in questa decisio-
ne del magistrato un segnale inequivocabile della con-
clusione delle indagini. Aveva subito sottoposto al ma-
gistrato l'opportunità di informare la stampa del felice
esito dell'indagine. Sfortunatamente per lui, però, il P.M.
aveva subito frenato su questa eventualità, spiegando che
sarebbe stato opportuno cercare prima di ottenere una
confessione dall'incriminato.
Badalotti aveva accolto questa affermazione del ma-
gistrato con un contenuto ghigno di soddisfazione, che
aveva fatto da contraltare alla smorfia di delusione ap-

237
BRUNO VOLPI

parsa sul volto del questore. Oltre al sottile piacere prova-


to dal goal in contropiede incassato dal superiore, c'era,
di fatto, un via libera alla prosecuzione delle indagini.
Certo, avrebbe dovuto inviare una seconda volta i suoi
uomini a torchiare inutilmente il Gutierrez, ma, nel frat-
tempo, sarebbe stato libero di battere altre piste.
– Uomini? Potrò ancora chiamarli così ora che è arri-
vata Barbara? –
Quell'interrogativo, arrivato di soppiatto a bussare alla
mente del commissario, in pochi minuti si trasformò in un
vero e proprio esame di coscienza sul maschilismo ende-
mico delle forze dell'ordine e dei suoi rappresentanti.
Badalotti ne fu investito come da uno tsunami, tanto
da isolarsi completamente dalle battute di saluto e dagli
immancabili auguri di Natale che il pubblico ministero e
il questore si stavano scambiando e che, da lì ad un atti-
mo, avrebbero rivolto anche a lui.
– Commissario, che fa? A cosa sta pensando? Noi,
qui, avremmo finito. Può andare. E tanti auguri a lei e ai
suoi uomini e alle rispettive famiglie! –
– E dagli con ‘sti uomini! – Il messaggio augurale che
gli aveva rivolto il questore nel congedarlo lo aveva con-
fermato nella convinzione che anche il mondo delle forze
dell'ordine della sua città era viziato, spesso inconsape-
volmente, dal tarlo della discriminazione di genere.
Aveva distrattamente ricambiato gli auguri ed era
uscito in fretta dall'ufficio del questore. Aveva percorso
quasi di corsa, nonostante l'handicap di un fisico non
proprio atletico, i gradini dello scalone che conduceva

238
IL TESORO DELLA BARONESSA

nel cortile della questura e, appena fuori, aveva respirato


forte. A lungo.
Contrariamente a quanto era spesso accaduto nei pre-
cedenti incontri avuti con il superiore, questa volta la re-
sponsabilità del disagio che stava provando era solo sua.
Era una delle tante volte in cui la vita gli aveva dimo-
strato che, in fondo, sia lui sia lo stato che quotidiana-
mente serviva, avevano ampi margini di miglioramento
sulla parità di genere.
In quel momento, non seppe neppure lui spiegarsi per
quale motivo, gli venne in mente don Cremasco e tutto
ciò che stava facendo coi suoi volontari per i bisognosi.
– Forse il vero pranzo di Natale è quello che organiz-
za lui con tutti i poveri che accudisce quotidianamente.
Per tutti gli altri è solo un pretesto per strafogarsi più del
normale. –
Gli venne spontaneo osservare come la camicia tiras-
se più del solito nel girovita. Si chiese se provare a viziarsi
un po' meno a tavola, a mantenere una dieta più sobria,
oltre ad essere una scelta di salute, potesse anche rappre-
sentare un gesto di giustizia sociale.
Probabilmente furono tutti questi interrogativi, più
che il freddo del periodo invernale, a spingerlo, per una
volta, a rinunciare alla cassata siciliana “annientaquesto-
ri” che, fin dalla prima, indimenticabile, lavata di capo
che il neonominato commissario di Bordighera aveva ri-
cevuto dal questore di Imperia, rappresentava per Luigi
Badalotti il modo più efficace di rialzare il morale dopo i
cazziatoni dei superiori.

239
BRUNO VOLPI

CINQUANTUNESIMO

Mentre il commissario era a colloquio con il pubblico


ministero e il questore, l'ispettore Mario Gianetti stava
meditando su un aspetto che avrebbe potuto condizio-
nare seriamente il rendimento della squadra della Polizia
Giudiziaria alessandrina: come avrebbe dovuto compor-
tarsi nei confronti dell'agente Barbara Rossi.
Per poter avere il tempo e la concentrazione neces-
sari per ragionare su questo interrogativo, Gianetti ave-
va mandato Bonino e Nobiltà alla società di spedizioni
a richiedere la lista dei corrieri che avevano lavorato il
pomeriggio della morte di Antonietta Fusco. Li aveva
istruiti anche riguardo al fatto di cercare di rintracciarli
subito e poter così mostrare loro le foto di chi era a cono-
scenza della faccenda dell'eredità, come aveva ordinato il
commissario.
In questo modo riteneva di essersi assicurato che sa-
rebbero rimasti fuori per almeno un paio d'ore.
La sua strategia sull'affaire Barbara prevedeva due
tempi, come una partita di calcio: un primo tempo da
giocare in difesa, restando nel proprio campo per cerca-
re di capire se quella giovane donna, non appariscente
come piacevano a lui, ma comunque intrigante, potes-
se rappresentare una possibile preda; un secondo tempo
per agire di conseguenza nei suoi confronti.
Se avesse concluso che Barbara lo attizzava, allora,
dato che era rimasta in ufficio, avrebbe provato a lan-

240
IL TESORO DELLA BARONESSA

ciarle qualche amo per vedere la sua reazione; in caso


contrario, avrebbe cercato di capire se fosse interessata
a qualcun altro (n.d.r.: Fulvio Bonino), che, a propria
volta, aveva inscenato brillanti interpretazioni del ruolo
dell'innamorato cotto, che non erano sfuggite all'atten-
zione dell'ispettore.
L'uscita dei due agenti, direzione via Montegrappa,
erano state come il fischio d'inizio della partita.
– Quando l'ho vista la prima volta in divisa, non mi
aveva fatto né caldo, né freddo. – La formulazione della
frase lasciava presagire che la successiva sarebbe iniziata
con un “ma”. E così fu.
– Ma quando l'ho vista l'altra sera con quella tuta da casa
aderente, beh, le cose sembravano ben diverse. E anche lei!
Sembrava più affabile, più dolce... più disponibile. –
Un noto modo di dire riporta “Prima il dovere, poi
il piacere”. Mario Gianetti ne stava sperimentando uno
simmetrico. Il senso del dovere stava lentamente rim-
piazzando nella testa dell'ispettore quel piacere legato
all'attrazione provata per Barbara due sere prima, che
forse avrebbe potuto sfociare in qualcosa di concreto già
allora, se Badalotti non avesse rotto l'incantesimo, avvi-
sando con una chiamata che il Gutierrez stava arrivando.
– Mario, lascia perdere, con una collega di sicuro ti
vai a mettere nei guai. Tanto più che questa è la cocca del
commissario! – Il suo grillo parlante interno non avreb-
be potuto essere più esplicito.
La parola commissario ebbe l'effetto di un formida-
bile deterrente. Occorreva stare alla larga dalla fanciulla.

241
BRUNO VOLPI

Una nuova fiamma, capace di fare pulizia delle macerie


lasciate dalla relazione con Tiziana Terenzio, non avreb-
be tardato ad arrivare.
A questo punto, chiusa la prima parte della sfida con
una buona prestazione e un finale di tempo condotto con
la giusta determinazione, occorreva affrontare con deci-
sione la seconda fase, dove entrava in gioco il futuro di
Bonino.
Non si sarebbe potuta sopportare a lungo la faccia da
pesce bollito che gli veniva in presenza della collega. Oc-
correva farle un discorso molto chiaro, per capire se lei
nutrisse delle intenzioni nei suoi confronti e, in caso af-
fermativo, quali.
Pur non sapendo come affrontare l'argomento, decise
di non tergiversare e sfruttare tutto il tempo che avreb-
be avuto a disposizione prima del rientro dei due agenti
dalla loro missione.
Entrò nell'ufficio della collega mentre era intenta a ri-
leggere la nota che l'agente Bonino aveva trascritto sulla
base degli appunti presi durante la chiacchierata che, in-
sieme al commissario Badalotti, avevano fatto con Mau-
rizio Reggiani.
– Barbara, volevo parlarti un momento, se puoi. –
– Sì, Mario, finisco di leggere questa nota e vengo nel
tuo ufficio. –
Dalla sera dell'appostamento si davano del tu. Gianet-
ti le aveva proposto di farlo, ma non in presenza del com-
missario o degli altri colleghi. In una situazione pubblica
sarebbe stato più opportuno da parte di Barbara mante-

242
IL TESORO DELLA BARONESSA

nere il “lei” e continuare a chiamarlo ispettore.


Barbara, una volta rimasta sola dopo la cattura di Gu-
tierrez, aveva riso molto di quella raccomandazione, ma
aveva deciso di adeguarsi per il quieto vivere in commis-
sariato. Aveva capito quanto fosse importante per Mario
Gianetti percepire esplicitamente la considerazione e il
rispetto dei colleghi per la sua posizione e aveva accon-
disceso volentieri a quel bizzarro protocollo.
– Barbara, dovrei parlarti subito. –
– Certo, arrivo subito. Sai, mi chiedevo una cosa,
dopo aver letto questa nota che Fulvio ha scritto molto
dettagliatamente. Perché non facciamo una richiesta per
consultare le situazioni patrimoniali delle persone coin-
volte? Magari potremmo trovare... –
– È proprio di Fulvio che ti vorrei parlare. –
Barbara lasciò cadere sul piano della scrivania i fogli
pinzati che teneva in mano e alzò il viso verso Gianetti,
che era rimasto in piedi di fronte a lei. Lo sguardo della
poliziotta sembrava voler esortare l'ispettore a “tirar fuo-
ri il rospo”.
Gianetti decise di essere diretto.
– Avrai visto anche tu che Fulvio si comporta in modo
strano da quando sei arrivata. Forse lo conosci da troppo
poco tempo, ma ti posso assicurare che in questi giorni
sembra un pesce lesso. –
Barbara sorrise. Non si trattava di un sorriso di scher-
no, ma di estrema tenerezza.
– Ascolta. Io penso di aver capito di non essergli in-
differente, se è questo che vuoi dire. E credo anche che

243
BRUNO VOLPI

Fulvio non abbia un'esperienza approfondita in fatto di


relazioni affettive, come invece forse ha qualcun altro qui
dentro! –
Il sorriso complice di Barbara, mentre pronunciava
quelle ultime parole, ebbe l'effetto di strappare una risata,
anche un po' liberatoria, all'ispettore Gianetti.
– E brava Barbara. Sei davvero sveglia! - pensò - For-
se non usciremo mai insieme, ma credo che diventerai
un'amica importante, magari una confidente. –
– Sarò sincera con te. Credo di potermi fidare. Io a
Fulvio voglio bene, è una bella persona. Ma non sono
ancora in grado di capire se lo vorrei solo come amico,
un amico con la “A” maiuscola, certamente, o se potrebbe
esserci qualcosa di più. Ci conosciamo da troppo poco
tempo e, talvolta, nei miei confronti, lui riesce a tirare
fuori soltanto qualcuno tra i pochissimi difetti che ha,
piuttosto dei tanti pregi... quel testone.
Se la mia presenza crea problemi, posso provare a par-
larne con Luigi, a tu per tu, da figlioccia, diciamo, e ma-
gari farmi assegnare altrove, anche se mi dispiacerebbe
tantissimo lasciarvi. Ma tutti voi, e Luigi per primo, mi
insegnate che, per chi ha deciso di arruolarsi in Polizia, il
servizio viene prima di tutto. E io questo servizio ce l'ho
nel DNA, in tutto quello che mi ha passato mio padre e
nelle sofferenze che ho visto sul viso di mia madre. –
Avrebbe voluto proseguire spedita nel suo ragiona-
mento, ma il ricordo la stava costringendo a fermarsi un
momento. Il cuore aveva accelerato i battiti e diversi bri-
vidi le stavano facendo accapponare la pelle.

244
IL TESORO DELLA BARONESSA

– Barbara, io penso che nessuno di noi vorrebbe per-


derti. Io per primo. Proviamo a chiudere in fretta questa
indagine e forse poi avremo un po' di tranquillità per ca-
pire tante cose: tu, Fulvio, tutti noi. –
–D'accordo. –
Poi, mentre Gianetti si stava avviando verso la porta
dell'ufficio per tornane nel proprio: – Ispettore... grazie
di cuore. Ti avevo giudicato male all'inizio. Sei una bella
persona anche tu! –
Poi, lasciandosi andare ad una risata, tanto spontanea,
quanto fragorosa, aggiunse: – Metterò una buona parola
per te col capo. –

245
BRUNO VOLPI

CINQUANTADUESIMO

Ancora una volta era calata la sera di una giornata


decisamente intensa per i componenti della squadra del
commissario Badalotti.
E, per la seconda volta in quel pomeriggio, erano nuo-
vamente tutti riuniti nell'ufficio del capo.
– Allora, ragazzi, pare proprio che la vostra missione
abbia portato frutto. –
Fu Bonino il primo a rispondere.
– Siamo riusciti a rintracciare quattro dei sei corrieri
che hanno ritirato o depositato dei pacchi nell'alloggio
accanto a quello della Fusco tra le sedici e le diciannove
di quel quindici dicembre. Domani, forse, riusciremo a
mostrare le foto agli altri due. –
– E mi dicevate che uno dei corrieri ha riconosciuto la
foto di Reggiani. –
– Sì, tale Ovidio La Giara, ventinove anni, lavora
come corriere da sei mesi. – L'agente Nobiltà si era mo-
strato ancora una volta pronto nel fornire le generalità
del testimone.
– Gli abbiamo mostrato la foto e ha detto che si sono
incrociati sulla scala che scende dal primo piano verso il
portone. Dato che nell'androne era buio, il Reggiani ha
dovuto accendere la luce, così La Giara ha avuto modo di
vederlo bene in volto. Non ha avuto dubbi. –
– Si è ricordato che ora fosse? –
– Ha detto verso le 17.30. – Bonino e Nobiltà si stava-

246
IL TESORO DELLA BARONESSA

no alternando nelle risposte. Il primo raccontava lo svol-


gimento dei fatti, il secondo forniva generalità e orari.
– Immagino che qualcuno di voi abbia già raccolto
informazioni aggiuntive su Reggiani, vero? –
Badalotti sembrava un professore durante un'interro-
gazione.
– Abbiamo controllato io e l'ispettore Gianetti. L'i-
spettore mi ha dato l'incarico di fare dei controlli sulla
situazione bancaria di Reggiani. – L'intervento dell'agen-
te Rossi aveva colto tutti di sorpresa, compreso l'ispettore
Gianetti che sapeva di non averle affidato alcun compito.
– Così ho chiamato il patronato e mi sono fatta dire in
quale banca veniva versato lo stipendio di Reggiani.
Poi, sempre con l'ispettore, abbiamo contattato il di-
rettore della filiale. E abbiamo scoperto due cose. Vuole
esporle lei, ispettore? –
Gianetti, che era stato colto totalmente in contropiede
da questa sparata dell'agente Rossi, non sapendo dove in-
tendeva andare a parare la collega, ma avendo intuito che
il tutto avrebbe potuto portare lustro anche a lui, decise
di stare al gioco.
– Barbara, si tratta di informazioni che hai raccolto
tu ed è giusto che sia tu ad illustrarle al commissario e ai
colleghi. – Professionalmente impeccabile!
– D'accordo, ispettore, grazie. Dunque, dicevo, abbia-
mo scoperto due cose: la prima è che Reggiani ha un mu-
tuo da estinguere, ottenuto per una casa che si è costruito
fuori città, per il quale risulta però il mancato pagamento
delle ultime due rate; la seconda è che, proprio negli ul-

247
BRUNO VOLPI

timi giorni, lo stesso Reggiani, dopo aver garantito che,


entro pochi giorni, avrebbe saldato le rate non evase, ha
anche chiesto informazioni al consulente su investimen-
ti che potessero garantire una resa importante in tempi
brevi. –
– Devo complimentarmi con voi, davvero interessan-
te ciò che avete scoperto. Reggiani faceva quindi affida-
mento su un congruo gruzzolo di soldi di cui avrebbe
potuto disporre a breve. Il sospetto che tutto ciò abbia
a che fare con l'eredità della Fusco è più che legittimo. –
– Potrebbe essere andato da lei per convincerla ad affi-
dargli una parte dell'eredità che lui avrebbe poi investito,
promettendo anche a lei un tornaconto economico. Lei
non ha accettato, magari ha minacciato di parlarne con
don Cremasco; ne è nata una colluttazione e lei ha avuto
la peggio. –
L'ispettore Gianetti, ringalluzzito dalla bella figura
che gli aveva fatto fare l'agente Rossi, si stava lanciando
verso la conclusione dell'indagine con un approccio si-
mile a quello mostrato più volte dal questore. Badalotti
ritenne opportuno smorzare un po' l'entusiasmo.
– Questa potrebbe essere una delle ipotesi, ispettore,
ma preferirei non correre troppo. Visto che siete stati così
brillanti, lei e Barbara andrete domattina ad interrogare
Reggiani, a fronte delle evidenze che abbiamo raccolto.
Se necessario, portatelo in commissariato. Fulvio e
Ruggero, voi due darete la caccia ai due corrieri che an-
cora mancano, rispetto alla lista che vi ha dato la ditta, e
mostrerete anche a loro tutte le foto. Poi, prima di pran-

248
IL TESORO DELLA BARONESSA

zo, ci ritroviamo tutti e facciamo il punto, d'accordo? –


Il consenso alla richiesta del commissario era ovvia-
mente scontato. Nessuno dei presenti si sarebbe mai né
sognato né permesso di non essere d'accordo con una di-
sposizione impartita dal superiore. Un consenso formale
che, però, non corrispondeva perfettamente ai pensieri
di tutti i presenti.
Nella mente dell'ispettore Gianetti, infatti, si era insi-
nuato il solito tarlo da “gioco del gatto col topo”.
– Ecco, noi tutti in giro e lui? Cosa avrà in mente per
domattina, dato che ci vuole tutti fuori dai piedi? Non
sarà che ha già scoperto una pista che ci tiene nascosta e
poi arriva al colpevole per conto suo? –
Questi, e molti altri interrogativi iniziavano ad affol-
lare la mente del povero ispettore, facendolo passare in
pochi minuti da uno stato di euforia mentale, scatena-
ta dall'apprezzamento immeritatamente ricevuto grazie
all'ingegnosa recita dell'agente Rossi, ad un disagio da
traffico intasato, dettato dai mille pensieri che si stavano
affollando, senza alcun controllo, né direzione, nella sua
testa.
Un'analoga confusione stava affollando anche la men-
te dell'agente Bonino, che mal sopportava il fatto che l'in-
tesa tra Barbara Rossi e Mario Gianetti sembrasse fun-
zionare a meraviglia.
– Ecco, domattina di nuovo insieme, Barbara con l'i-
spettore. E oggi, mentre eravamo tutti fuori, saranno stati
insieme tutto il pomeriggio. E chissà cosa le ha detto o
cosa le ha fatto! Da come ne parlava all'inizio sembrava

249
BRUNO VOLPI

che Barbara non fosse il suo tipo. E invece! Ecco perché


mi ha chiesto cosa penso di lei: voleva sapere se ha cam-
po libero. –
Anche se per motivi assolutamente diversi da quel-
li dell'ispettore, il disagio da traffico intasato albergava,
dunque, anche nella mente dell'agente scelto Bonino, con
la differenza che, nel suo caso, regnava ormai da diver-
si giorni, senza essere stato preceduto da alcuna euforia
mentale.

250
IL TESORO DELLA BARONESSA

CINQUANTATREESIMO

Nonostante l'ora tarda, don Lorenzo Cremasco era


ancora al lavoro, davanti al computer del suo ufficio nella
sede della Caritas Diocesana.
Oltre all'organizzazione dei servizi consueti, quelli
che venivano erogati quotidianamente come l'ascolto,
la mensa, il dormitorio, la distribuzione degli abiti e de-
gli alimenti, in quei giorni c'era da organizzare anche il
pranzo di Natale per gli assistiti, in collaborazione con
altre associazioni di volontariato cittadine.
Non si trattava solo di predisporre un pasto un po' più
ricco di quello che veniva offerto quotidianamente, ma
di organizzare la cucina e il servizio a tavola per qualche
centinaio di persone, di preparare per ciascuno un pac-
chetto regalo, di addobbare la sala, di fare in modo che
tutte le associazioni invitassero i loro assistiti e di man-
dare gli inviti a presenziare anche alle autorità cittadine,
almeno per un saluto.
Mentre era concentrato sui numeri legati all'evento,
sentì bussare alla porta. L'invito ad entrare fu seguito
dall'apparizione della figura esile e dell'inconfondibile
zainetto di Salvatore Pugliese, detto Gullit.
– Gullit, cosa ci fai qui a quest'ora? Devi andare al dor-
mitorio di via Mazzini, è tardi. Hai mangiato qualcosa? –
– Sì, sì, don! Sono passato dai frati a prendere il cesti-
no con la cena e l'ho mangiata su una panchina dei giar-
dini. Ma, mentre mangiavo, mi è venuta in mente una

251
BRUNO VOLPI

cosa. E penso che sia importante. Allora volevo dirla a


quella brava poliziotta che mi ha interrogato l'altro gior-
no, ma non ci voglio andare in commissariato. Così ho
pensato di confidarmi con te, don. –
– Cos'è che ti sei ricordato? Riguarda l'indagine sulla
morte di Antonietta? –
– Sì, don. Io alla poliziotta avevo detto che ero passato
a casa dalla baronessa quel pomeriggio che poi è mor-
ta. Mi aveva cucito i pantaloni e dovevo prenderli. Era
strana. Non mi ha quasi fatto entrare. Io sono convinto
che con lei c'era qualcuno, ma nell'alloggio non ho visto
nessuno. –
– E perché non l'hai detto alla Polizia? –
– No, don, questo gliel'ho detto. Ma poi mi è venuta in
mente un'altra cosa. All'ingresso dell'alloggio della baro-
nessa era appeso un impermeabile da uomo. Un imper-
meabile marrone con un cappello, anche lui marrone, di
quelli che non si bagnano. Li ho notati perché erano di
quella marca sportiva, quella col coccodrillo. –
– Magari glieli avevano lasciati per farci dei lavori,
come per i tuoi pantaloni. –
– No, don, erano bagnati di scarnebbia. Doveva es-
serci qualcuno in casa. Magari è lui che l'ha ammazzata,
povera baronessa. –
All'idea dell'omicidio, o forse solo per il freddo che
aveva incamerato in giro per la città in quella fredda e
nebbiosa giornata, Gullit aveva iniziato a tremare.
– Stai tranquillo, Salvatore. Hai fatto bene a dirmelo.
Lo riferisco subito al commissario. Vedrai che sarà un'in-

252
IL TESORO DELLA BARONESSA

formazione utile per le indagini. Dai, andiamo giù che


prendiamo un caffè bello caldo, poi vai di corsa al dormi-
torio, che, altrimenti, ti chiudono fuori. –
Così, dicendo con un sorriso e una pacca sulla spal-
la, don Cremasco condusse Pugliese nella sala dove era
installato un distributore di bevande, trasse dalla tasca
degli spiccioli e li inserì nell'apposita fessura.
– Come lo vuoi il caffè? –
– Don, se non ti dispiace, io prendo una cioccolata
calda, che ne viene un bel bicchiere pieno. –

253
BRUNO VOLPI

CINQUANTAQUATTRESIMO

Il commissario Badalotti stava dedicando le ultime


ore della giornata, che sarebbero poi inevitabilmente sfo-
ciate nelle prime ore del giorno successivo, a rivedere tut-
to il materiale che avevano raccolto sull'indagine Fusco.
Uscito dal commissariato, dopo aver realizzato che,
una volta giunto a casa, avrebbe trovato, come spesso ac-
cadeva, il frigorifero desolatamente vuoto, era passato in
un locale che faceva anche cibo d'asporto e si era fatto
preparare una porzione di rabaton e dell'ossobuco con
patate al forno.
I rabaton, una delle scoperte più piacevoli della cucina
locale alessandrina quando era stato trasferito da Bordi-
ghera. Una specie di gnocchi a cui veniva data la forma
di un cilindretto allungato e sottile.
Ed era proprio questo movimento per arrotolare
l'impasto di bietole, ricotta, uova e parmigiano, a dare il
nome al piatto, dato che in dialetto alessandrino il verbo
“rabatè” significa proprio rotolare o far rotolare.
Cotti in acqua e gratinati al forno, i rabaton diven-
tavano un primo piatto vegetariano che molti ristoranti
proponevano, soprattutto nel periodo invernale.
La prima volta che li aveva assaggiati, con una certa
diffidenza legata, forse, all'eccessiva semplicità della pre-
parazione che gli era stata spiegata dal proprietario del
ristorante, ne era rimasto estasiato. Da quel giorno, ogni
qualvolta se ne presentava l'occasione, i rabaton rappre-

254
IL TESORO DELLA BARONESSA

sentavano una scelta obbligata.


Anche quella sera non avevano tradito le aspettati-
ve. E l'ossobuco, che gli richiamava odori e sapori della
sua gioventù milanese, aveva fatto il resto, preparandolo
spiritualmente a vivisezionare i documenti dell'indagine
per scovare qualche particolare che fino a quel momento
gli era sfuggito.
Man mano che rileggeva un verbale, piuttosto che il
referto dell'autopsia sul cadavere della Fusco o il rappor-
to della Scientifica sui suoi abiti e sugli oggetti trovati
nell'alloggio, Badalotti iniziava a formulare una serie di
ipotesi che poi si sforzava di smontare poco dopo.
Era questa, infatti, la sua modalità investigativa pre-
ferita: formulare molte ipotesi, dalle più plausibili fino a
quelle più improbabili e fantasiose, per poi trovare degli
indizi per smontarle una ad una. Quelle che rimanevano
in piedi dopo queste fasi preliminari del processo, acce-
devano poi a una seconda parte dell'analisi investigativa,
dalla quale scaturivano le azioni da prevedere per arriva-
re alla stretta finale.
Due ore di lavoro e quattro tazzoni di caffè nero ave-
vano portato ad un processo molto selettivo, che aveva
lasciato in piedi solo tre ipotesi. Sembrava quasi che il
commissario stesse replicando una fase di “Cluedo”, ab-
battendo, con la stessa frequenza del famoso gioco da ta-
volo, le pedine della maggior parte dei sospettabili.
Una seconda rilettura degli atti avrebbe forse aiutato
ad attribuire una probabilità a ciascuna delle tre ipotesi.
Badalotti avvertiva l'importanza di questo approfondi-

255
BRUNO VOLPI

mento ma, allo stesso tempo, si sentiva stanco e un po'


svuotato di energie. Pensare ad altri caffè avrebbe rap-
presentato quasi un accanimento terapeutico. Sarebbe
occorso un altro tipo di propulsore.
Ricordò di aver portato a casa, qualche giorno prima,
un sacchetto contenente dei baci di dama di una nota pa-
sticceria alessandrina, incartati in un lucente involucro
dorato. L'aveva posato in un angolo e poi se ne era di-
menticato.
L'aprì, accompagnando il gesto con un carico di aspet-
tative.
Decise che un dolcetto sarebbe stato l'ideale per re-
cuperare subito un po' di calorie da bruciare nel nuovo
sforzo intellettivo. Alla fine della serata avrebbe realizza-
to, con grande rammarico per l'ennesima constatazione
della sua totale incapacità di autocontrollo sul cibo, che i
baci di dama sono come le ciliegie, soprattutto quando ti
trovi ad averne a disposizione un numero significativo in
una solitaria e lunga serata invernale.
Il flusso ininterrotto di dolcetti che erano usciti dal
sacchetto per non farvi ritorno aveva accompagnato il
commissario durante l'analisi del rapporto della Polizia
Scientifica. Aveva scelto di leggere ad alta voce per evitare
il rischio che la lettura a mente facesse sfuggire qualcosa.
– L'abito della vittima presenta diversi strappi lungo
la manica destra, indotti da trazioni violente esercitate
sul tessuto durante la colluttazione e sovrapponibili alle
parti di braccio e avambraccio destri dove, dalla relazio-
ne del medico legale, risultano lividi generati da pressio-

256
IL TESORO DELLA BARONESSA

ne eccessiva esercitata da... rilevata abrasione del tessuto


sulla manica sinistra, presumibilmente prodotta dallo
sfregamento di un oggetto appuntito... in corso analisi
del DNA su alcune tracce biologiche raccolte, in parti-
colare capelli, di colore grigio e lunghezza variabile... evi-
denziate impronte latenti presenti su due tazze da caffè e
un bicchiere, trasmesse alla sezione competente per pro-
cesso di riconoscimento con AFIS...
Che fastidio tutte queste sigle, tanto non succede mai
che le impronte servano a qualcosa! –
Mattia Rondani, il responsabile della Polizia Scientifi-
ca, che aveva instaurato un buon rapporto con Badalotti,
aveva tentato più volte di far entrare nella testa del com-
missario il significato di AFIS, che stava per “Automated
Fingerprint Identification System”, cioè il sistema auto-
matico di confronto di un'impronta, o una parte di essa,
con quelle di soggetti sospetti, memorizzate nella banca
dati della Polizia. Gli aveva spiegato che ogni impron-
ta possiede dei punti caratteristici che la rendono unica,
riconoscibile automaticamente in modo inequivocabile.
L'esperienza, però, aveva dimostrato a Badalotti che
il contributo del riconoscimento delle impronte alla so-
luzione delle indagini era quasi sempre stato nullo, sia
per l'assenza di impronte interpretabili sulla scena del
crimine, sia, soprattutto, perché chi aveva commesso il
crimine spesso era un soggetto incensurato e insospet-
tabile. Questa specie di rassegnata rinuncia ad affidarsi
ad un potenziale strumento d'indagine aveva l'effetto di
indurre il commissario a dimenticare tutte queste cose

257
BRUNO VOLPI

un attimo dopo che gli erano state spiegate, costringendo


così il povero Rondani a ricominciare ogni volta la lezio-
ne dal primo capitolo.
Badalotti decise quindi di interrompere la lettura del
documento e, constatato il fatto che le carte dorate dei
baci di dama, private del loro contenuto, avevano ormai
creato un mucchietto di tutto riguardo, e che la lancetta
corta dell'orologio della cucina aveva abbondantemente
superato il numero uno, si convinse che era arrivato il
momento di trasferirsi nella camera da letto.
Gli era rimasta però la sensazione che qualcosa di im-
portante gli stesse sfuggendo. Un passaggio del rapporto
della Scientifica gli aveva dato l'impressione di poter es-
sere collegato con un particolare che lo aveva colpito nei
giorni precedenti, ma non riusciva a ricordare quale.
Così, come tutte le volte che gli era accaduto un fatto
analogo, trascorse tutta la notte a rigirarsi sotto le coper-
te senza riuscire a prendere sonno.

258
IL TESORO DELLA BARONESSA

CINQUANTACINQUESIMO

Alessandria, 20 dicembre, ore 10:00

Il detto che il Natale rende tutti più buoni quella mat-


tina distava da Badalotti come Sirio, la stella più lucente
del cielo notturno, dal pianeta Terra. Già la notte, tra-
scorsa pressoché insonne, aveva contribuito a fargli ini-
ziare la giornata, oltre che sufficientemente intontito, an-
che di pessimo umore.
Così, aveva riposto le speranze di un inizio di progres-
sivo raddrizzamento dell'umore, nel caffè con cui era so-
lito iniziare la giornata lavorativa nel bar all'angolo dello
stabile che ospitava il commissariato.
Un caffè nero, bello lungo, per incamerare ancora più
caffeina.
Mentre lo sorseggiava gli era caduto l'occhio sul titolo
di un articolo sulla prima pagina del quotidiano locale:
“Svolta nell'indagine sul delitto di via Montegrappa. Ar-
restato un barbone amico della vittima.”.
Immediatamente si era sentito ribollire il sangue. Da
dove era uscita la soffiata? Non era pensabile che il que-
store fosse stato così avventato da far trapelare qualcosa,
quando il magistrato gli aveva detto che le indagini non
erano affatto concluse. E dei suoi uomini sapeva di po-
tersi fidare.
Il problema, in quel momento, non era scoprire chi
avesse informato la stampa, ma arrivare al più presto alla

259
BRUNO VOLPI

soluzione del caso, in modo da consentire di scrivere su


quelle stesse pagine una verità acclarata.
Trangugiò il caffè lungo, pagò e si diresse subito verso
l'ufficio.
Non ebbe il tempo di sedersi alla scrivania che il tele-
fono squillò.
– Commissario, sono don Lorenzo, devo riferirti una
cosa che riguarda l'indagine per la morte di Antonietta. –
In pochi minuti don Cremasco riferì al commissario
ciò che aveva saputo la sera precedente da Gullit.
– Ah, ti ricordo che il mio invito ad essere con noi per
il pranzo di Natale è sempre valido. –
Badalotti ringraziò, mantenendosi volutamente vago,
e si dispose ad annotare al computer l'informazione che
il sacerdote gli aveva riferito. Quello di aggiornare i file
delle indagini era un compito che solitamente lasciava
volentieri ad altri, in particolare all'agente scelto Bonino,
che aveva il dono di essere particolarmente preciso e di-
dascalico.
Avendo però mandato tutti i poliziotti in missione,
quella mattina l'aggiornamento ero a suo carico.
Mentre era ancora intento a scrivere, il telefono tornò
a suonare. L'agente in servizio al centralino lo avvisò che
un certo Menapace insisteva per parlare direttamente
con lui.
– Buongiorno, commissario. Sono Carlo Menapace. –
– Equestocosavuoleadesso? Già sono nei casini con
questo cavolo di computer... Buongiorno professore,
come sta? –

260
IL TESORO DELLA BARONESSA

Una delle regole alle quali Badalotti non avrebbe mai


derogato era che una prima risposta di cortesia non do-
veva essere negata a nessuno. Riguardo al tono della ri-
sposta successiva, ci sarebbe stato il tempo per pensarci.
– Commissario, mi scusi se la disturbo, ma ho letto
sul giornale che avete scoperto chi ha procurato la morte
della cara Antonietta. –
– Eccolo qui anche lui, maledetti scoop!... L'indagine
è ancora in corso, comunque mi dica. Aveva bisogno di
qualcosa? –
Il tono della seconda risposta era stato molto meno
cordiale, come d'altronde sarebbe stato prevedibile, visto
l'umore del commissario e il tema proposto dal profes-
sore.
– No, nulla di particolare, è che io penso che quel ra-
gazzo non l'abbia voluta uccidere, che sia stato un inci-
dente. Lei diceva sempre che le volevano tutti bene, quei
ragazzi. Non so, lei pensa che si possa fare qualcosa per
lui? –
– Ascolti, professore! Come le ho detto, l'indagine è
ancora in corso. Se il colpevole sarà incriminato, avrà di-
ritto ad una difesa, come tutti. E se avrà delle attenuanti,
sicuramente ne sarà tenuto conto. –
Il tono forse eccessivamente risoluto indusse l'interlo-
cutore a non insistere.
– La ringrazio, commissario. E mi scusi se l'ho distur-
bata. La saluto e le faccio tanti auguri. –
– Auguri anche a lei e buona giornata. –
Indispettito per l'interruzione che lo aveva distolto da

261
BRUNO VOLPI

ciò che stava facendo con una concentrazione e un impe-


gno forse sproporzionati rispetto alla difficoltà dell'ope-
razione, riprese a trafficare coi file.
Una voce da dentro lo invitò a riaprire ancora una vol-
ta il file della Scientifica. Rilesse le pagine già meditate
non molte ore prima e si trovò ad evidenziare in giallo
alcuni passaggi del testo, usando l'icona dell'evidenziato-
re come aveva visto fare più volte da Bonino.
Sin dalle prime indagini operate presso il commissa-
riato alessandrino, aveva trovato originale, e forse anche
un po' strana, l'abitudine di Bonino di chiamare i file con
i nomi delle persone che avevano fornito la testimonian-
za. C'era un file che si chiamava don Cremasco, un altro
col nome di Reggiani, uno ciascuno col nome e relativo
soprannome dei barboni interrogati.
C'era persino un file col nome del notaio Guarino.
– Ecco dove l'ho visto il cappello marrone Lacoste! –
In un attimo l'immagine di quel copricapo, appeso
all'attaccapanni all'ingresso dello studio del notaio, si in-
sediò nella mente del commissario, intenzionata a spaz-
zar via in breve tutte le inquiline precedenti.

262
IL TESORO DELLA BARONESSA

CINQUANTASEIESIMO

L'ispettore Gianetti e l'agente Rossi erano seduti di


fronte alla scrivania di Maurizio Reggiani. Avevano do-
vuto aspettare quasi un'ora affinché venisse smaltita la
coda di persone in cerca di assistenza o semplicemente
di un consiglio, un'indicazione che potesse essere loro di
aiuto per risolvere una qualche questione legata a con-
tratti di lavoro, salari, incombenze fiscali o quant'altro.
Trattandosi di un'esigenza dettata da ragioni di Poli-
zia, avrebbero anche potuto mostrare il tesserino e saltare
la coda. Avevano però preferito non fare troppo clamore
ed avevano aspettato pazienti il loro turno.
La vista dell'agente Rossi con la divisa d'ordinanza
smorzò subito il sorriso con cui Reggiani aveva accolto
l'ispettore Gianetti che la precedeva in abiti borghesi.
– Buongiorno, signor Reggiani, sono l'ispettore Ma-
rio Gianetti e questa è la collega Barbara Rossi. Vorrem-
mo farle alcune domande a proposito dell'indagine sulla
morte di Antonietta Fusco. –
Reggiani si pose immediatamente sulla difensiva.
– D'accordo, ispettore, ma ho già detto tutto quello
che sapevo al commissario l'altro giorno. –
– Sì, ma c'è una cosa che il commissario non le ha
chiesto: cosa ci faceva nell'immobile dove abitava Anto-
nietta Fusco, intorno alle diciassette del quindici dicem-
bre, il giorno in cui è stata uccisa? Abbiamo dei testimoni
che l'hanno riconosciuta. Sappiamo inoltre che lei ha in

263
BRUNO VOLPI

sospeso il pagamento delle ultime rate di un mutuo e che


ha chiesto informazioni su come investire ingenti quan-
titativi di denaro ottenendo profitti in tempi brevi. –
L'ispettore Gianetti era stato volutamente molto diret-
to. Sarebbe stato inutile cincischiare. Forse anche contro-
producente, perché avrebbe lasciato a Reggiani il tempo
per costruirsi una risposta.
L'impiegato aveva in effetti accusato il colpo. Pallido
come un cencio, non riusciva quasi a proferire parola.
L'agente Rossi decise di metterci il carico.
– Si rende conto, vero, signor Reggiani, che la sua po-
sizione si è fatta molto delicata? –
– Va bene, vi dirò come sono andate le cose. Sì, sono
andato dalla Fusco quel pomeriggio. Non aveva telefono
e volevo sapere come era andata dal notaio. Quello che
avete saputo sulla mia situazione bancaria è vero. Ho un
mutuo da estinguere entro il prossimo anno e, ultima-
mente, dato che mi sono separato e devo passare a mia
moglie un assegno importante, mi sono trovato un po' in
difficoltà.
Così, se l'eredità di cui mi aveva parlato la Fusco, le
avesse portato del denaro disponibile in tempo breve, ero
pronto a propormi come suo amministratore finanzia-
rio. Don Cremasco le aveva parlato bene di me e quindi
speravo che si sarebbe potuta fidare. Avrei avuto un po'
di denaro da gestire e con una parte degli interessi, avrei
pagato il mutuo, per non rischiare il pignoramento della
casa. Poi, appena possibile, le avrei restituito tutto. –
– Ma dato che la Fusco non ne ha voluto sapere, lei

264
IL TESORO DELLA BARONESSA

l'ha minacciata, ne è nata una colluttazione e la donna ha


avuto la peggio. Non è così? –
– No, ispettore. No! La signora Antonietta mi ha chie-
sto perché avessi bisogno di soldi, sembrava che, invece
di ascoltare le mie parole, mi avesse letto nel pensiero.
Allora sono scoppiato a piangere e le ho raccontato tut-
to. E lei mi ha detto che i soldi me li avrebbe prestati,
che potevo starci anch'io nel gruppo di amici che voleva
aiutare. Ma poi è morta e io sono di nuovo nei guai col
mutuo. E ora voi mi accusate anche di averla ammazzata.
Ma non sono stato io. Quando sono venuto via, lei era
viva e vegeta. –
Lo sfogo era stato sufficientemente straziante e Reg-
giani non riuscì, ancora una volta, a trattenere le lacrime.
– Mi spiace, ma ci deve seguire in commissariato. –
La frase pronunciata dall'ispettore Gianetti calò come
un macigno sul povero impiegato. Il pallore che si mate-
rializzò sul suo volto per un attimo fece sorgere il sospet-
to che Reggiani stesse per perdere i sensi.
Non fu che un attimo. Poi, mantenendo il capo chino,
l'accusato si alzò e si accinse a seguire i due poliziotti.
– Sono a vostra disposizione, permettetemi solo di
avvisare il mio responsabile. –
Così dicendo, si avviò nell'ufficio accanto, da cui rie-
merse qualche minuto dopo, con gli occhi ancora lucidi,
a rivelare quanta sofferenza avesse comportato informare
il suo superiore di ciò che stava accadendo.
Si avvicinò ai due poliziotti, porgendo in avanti i polsi
accostati, in attesa di ciò che aveva visto fare spesso nelle

265
BRUNO VOLPI

fiction televisive.
L'agente Barbara Rossi, prima ancora che l'ispettore Gia-
netti potesse intervenire, si affrettò a confortarlo: – Non ser-
vono le manette, signor Reggiani. Stia tranquillo! –

266
IL TESORO DELLA BARONESSA

CINQUANTASETTESIMO

Al loro rientro in commissariato, Gianetti e Rossi fe-


cero accomodare Maurizio Reggiani in un salottino che
veniva saltuariamente utilizzato per gli interrogatori.
– Barbara, tu resta col signor Reggiani, che io vado ad
informare il commissario. –
All'agente Rossi risultò evidente che l'ispettore volesse
prendersi il merito, di fronte al proprio superiore, dell'o-
perazione di Polizia che avevano appena compiuto. La
cosa non le diede più di tanto fastidio. In fondo quest'an-
sia da prestazione che Gianetti nutriva nei confronti di
Badalotti le faceva quasi tenerezza.
Sorrise, senza dire nulla, preoccupandosi di riusci-
re a mantenere lo stesso rassicurante sorriso quando,
da lì a pochi istanti, avrebbe iniziato a conversare con
Reggiani. In fondo, le era parso sincero, quando, circa
un'ora prima, aveva dato la propria versione dei fatti. Pur
consapevole che un poliziotto debba sempre conserva-
re obiettività e distacco nei confronti di un indagato, la
disperazione di quel giovane uomo le aveva subito fatto
pensare di trovarsi di fronte ad una persona incapace di
fare del male a qualcuno.
Nel frattempo, l'ispettore Gianetti aveva iniziato a ri-
ferire al commissario Badalotti quanto avvenuto nell'uffi-
cio del patronato e come, a suo modo di vedere, Reggiani
potesse essere uno dei principali sospettati dell'omicidio
di Antonietta Fusco.

267
BRUNO VOLPI

Si era però accorto che, mentre stava riferendo tutte


queste cose, il commissario appariva distratto, come se
stesse pensando ad altro. Decise di provare a chiamarlo
in causa direttamente.
– Lei che ne pensa, commissario? –
Badalotti lo guardò con espressione a metà tra lo stu-
pito e l'interrogativo.
– A proposito di che cosa? –
– Del fatto che Reggiani possa essere l'assassino che
stiamo cercando. –
– È presto per dare una risposta, mio caro Gianetti.
Questa mattina mi ha telefonato don Cremasco. Per la
sera dell'omicidio dobbiamo cercare qualcuno che in-
dossasse un impermeabile e un cappello marrone, marca
Lacoste. E un cappello così ricordo di averlo visto sull'at-
taccapanni all'ingresso dello studio del notaio Guarino. –
L'ispettore Gianetti aveva faticato non poco a segui-
re il discorso del proprio superiore. Cosa c'entrava don
Cremasco con due capi di abbigliamento della famosa
marca sportiva? Non ebbe cuore, però, di chiedere chia-
rimenti e attese con pazienza che Badalotti riprendesse il
discorso.
– Quindi, ispettore, dica subito a Bonino e Nobiltà di
chiedere ai corrieri se hanno visto qualcuno con questo
tipo di abbigliamento, impermeabile e cappello marro-
ne. Raccomandi loro di aggiungere la foto di Guarino tra
quelle da mostrare per un eventuale riconoscimento. In-
tanto io andrò a chiedere due cosette al notaio. –
Badalotti fece per alzarsi e uscire dall'ufficio.

268
IL TESORO DELLA BARONESSA

– Ma come? Io gli porto qui il possibile colpevole e,


anziché interrogarlo, lui cosa fa? Se ne va a spasso! –
Gianetti, a metà tra lo stupito e il seccato per il com-
portamento poco comprensibile del superiore, non riu-
scì a restare in silenzio.
– E di Reggiani cosa ne facciamo? –
La domanda gli era uscita con tono assai perentorio,
lasciando trasparire una certa scocciatura per il fatto che
Badalotti non se lo fosse filato più di tanto. Il commissa-
rio si bloccò sulla porta.
– Vede, Gianetti, io penso che lei e l'agente Rossi ab-
biate fatto un buon lavoro, ma sembra che quel pomerig-
gio l'appartamento della povera Fusco fosse più affollato
di un ufficio postale. Abbiamo almeno cinque persone
tra cui potrebbe celarsi l'assassino e, certamente, sareb-
be prematuro trattenere Reggiani. Non abbiamo alcuna
prova nei suoi confronti, se non che sia stato uno di quel-
li che ha visitato la vittima quel pomeriggio.
La spiegazione che vi ha dato riguardo al fatto che vo-
lesse proporre alla Fusco di farle da amministratore fi-
nanziario potrebbe anche essere vera; in fondo, don Cre-
masco ci ha detto che si tratta di una persona di cui si è
sempre fidato.
Dato, però, che è qui in commissariato, direi che sa-
rebbe opportuno raccogliere una sua deposizione uffi-
ciale, magari cercando di metterlo un po' alle strette, per
capire se ci stia dicendo tutta la verità. E di questo po-
trebbe incaricarsene lei, con l'agente Rossi a verbalizzare.
Che ne pensa, ispettore? –

269
BRUNO VOLPI

Gianetti non pensava proprio nulla.


Con un elegante giro di parole Badalotti gli aveva fat-
to capire che, a suo modo di vedere, portare Reggiani in
commissariato era stato un provvedimento eccessivo e
forse, ripensandoci bene, anche un po' crudele, nel caso
in cui il giovane impiegato fosse risultato davvero inno-
cente.
– D'accordo, commissario. Faremo così. – Certamen-
te ci sarebbero state risposte molto più brillanti, ma, in
quel momento, Mario Gianetti non ne aveva trovate.
– E poi, dopo la deposizione, facciamolo tornare al
proprio lavoro, il Reggiani. –

270
IL TESORO DELLA BARONESSA

CINQUANTOTTESIMO

Uscito dal commissariato, Badalotti si era messo in


cammino verso l'ufficio del notaio Guarino, determina-
to a chiarire la faccenda del cappello. Ciò che lo lasciava
perplesso era il movente. Guarino era notoriamente una
delle persone più facoltose in città. Non avrebbe certa-
mente avuto bisogno di aggiungere cinquecentomila
euro alle sue finanze.
– Già! E poi come la chiarisco la faccenda del cappel-
lo? Mica gli posso raccontare che sospetto di lui. –
I rintocchi della campana del duomo lo distolsero da
questi interrogativi. Li contò. Erano dodici. Certamente
non sarebbe stato l'orario più opportuno per piombare
nell'ufficio del notaio. Optò per rimandare al pomerig-
gio.
La giornata si presentava insolitamente soleggiata.
Alcune folate di tramontana di prima mattina avevano
scongiurato, per una volta, il rischio di nebbia. Decise
di camminare un po'. Il sole e l'aria frizzante avrebbero
sicuramente stimolato a dovere le cellule grigie e qualche
chilometro, percorso di buon passo, avrebbe contribuito
alla forma fisica.
Era questo uno dei crucci principali che tormentava il
commissario ormai da diversi anni. Non che da giovane
avesse avuto un fisico da atleta, come, ad esempio, era
quello dell'ispettore Gianetti, ma, almeno, non doveva
combattere quotidianamente con la chiusura dei panta-

271
BRUNO VOLPI

loni o con i bottoni della camicia, costretti a sopportare,


giorno dopo giorno, una prova di resistenza sempre più
improba.
Spronato da tali pensieri affrettò il passo, muovendosi
in direzione di Piazza Garibaldi, apparentemente senza
una meta precisa. Per pranzo aveva deciso che avrebbe
mangiato qualcosa di leggero, un panino, magari un piat-
to di verdure. Sergino, per una volta, se ne sarebbe fatto
una ragione.
Sedutosi al tavolo di un bar tavola calda, compose il
numero dell'agente scelto Fulvio Bonino, per farsi ag-
giornare su quella parte di indagine da cui sperava sareb-
bero arrivate informazioni utili per riuscire ad archiviare
in fretta il fascicolo “omicidio Fusco”.
– Buongiorno, commissario. Non viene oggi da Sergi-
no? Pensavamo di trovarla già qui, così le avremmo rife-
rito a voce. Oggi c'è una polenta con la salsiccia che mi
sembra di essere in montagna dalle mie parti. –
– Tu quoque, Fulvio! – L'ultima frase di Bonino si era
rivelata una stilettata, soprattutto considerando il triste
piatto di verdure grigliate che aveva di fronte. Provò a far
finta di nulla.
– Dimmi, Fulvio, avete saputo altro dai corrieri? –
– Per il momento niente di nuovo, commissario. Solo
qualche conferma che riguarda il fatto che altri corrieri
hanno riconosciuto Fawzy e Pugliese. Non era la prima
volta che li vedevano e sono certi che quel pomeriggio
fossero lì. –
– Siete riusciti ad interrogare tutti quelli che erano in

272
IL TESORO DELLA BARONESSA

servizio quel giorno? –


– Ne manca ancora uno, un ragazzo rumeno, Stelian
Niculescu, che ieri e stamattina non era in servizio. Do-
vremmo riuscire a intercettarlo prima di sera. Speriamo
che lui abbia visto qualcos'altro. –
– Mi raccomando, non dimenticate di chiedere anche
dell'impermeabile e del cappello marroni marca Lacoste.
Magari i corrieri non hanno visto bene i volti, ma quegli
indumenti dovrebbero essere più facili da ricordare. –
Bonino rimase un attimo in silenzio, domandandosi
quale vantaggio avrebbe portato il riconoscimento di un
cappello e un impermeabile, senza poi essere in grado di
sapere chi lo stesse indossando. Come sempre, però, non
osò chiedere nulla, limitandosi a confermare che avreb-
bero fatto del loro meglio.
Terminata la telefonata, Badalotti riprese a dedicarsi
alle verdure grigliate, anche se appetito e motivazione
erano crollati a livelli prossimi allo zero. Nel mentre, sta-
va mentalmente cercando di ricostruire a ritroso le visite
ricevute da Antonietta Fusco il pomeriggio del quindici
dicembre.
Era chiaro che l'ultima persona ad averla vista viva
doveva essere stato l'assassino. Poteva trattarsi di Salva-
tore Pugliese, detto Gullit. Ma, in questo caso, che biso-
gno avrebbe avuto di inventare la storia del cappello e
dell'impermeabile bagnati dalla nebbia? Probabilmente
c'era veramente qualcuno nell'appartamento di Anto-
nietta Fusco nel momento in cui Pugliese aveva suonato
alla porta. Avrebbe potuto trattarsi di Reggiani? Forse del

273
BRUNO VOLPI

notaio Guarino o di qualcun altro?


C'era poi un ultimo interrogativo che aveva iniziato a
ronzare nella mente del commissario e vi sarebbe rima-
sto per l'intero pomeriggio di quel venti dicembre: – Se è
vero quanto affermato da Gullit, e cioè che la Fusco sem-
brava sbrigativa e non lo ha neppure fatto entrare, chi
poteva essere la persona che era meglio non rivelare alla
vista del suo amico barbone? E, soprattutto, perché? –

274
IL TESORO DELLA BARONESSA

CINQUANTANOVESIMO

Maurizio Reggiani lasciò il commissariato che erano


ormai le diciassette passate.
L'ispettore Gianetti, nel congedarlo, gli aveva intimato
di non allontanarsi dalla città. Gianetti sapeva benissimo
che si trattava di una richiesta che non aveva alcun fon-
damento giudiziario, ma riteneva comunque che fosse
un modo assai convincente per ribadire al destinatario
dell'affermazione che la Polizia continuava a considerar-
lo come un sospettato.
Le quasi tre ore che l'ispettore aveva dedicato a cercare
di estorcere a Reggiani, se non una chiara ammissione di
colpevolezza, almeno qualche ulteriore informazione sui
fatti accaduti quel pomeriggio, avevano portato poco o
nulla più di quanto già non si sapesse.
Reggiani aveva confermato di essere stato nell'appar-
tamento della Fusco per una ventina di minuti che, però,
non era in grado di collocare temporalmente in modo
preciso; era certo che fosse tra le diciassette, orario in cui
era uscito dal patronato e le diciotto, quando vi aveva fat-
to ritorno.
In quei venti minuti la Fusco gli era parsa abbastan-
za tranquilla. Si era soltanto un po' inquietata di fronte
all'insistenza nel chiederle di affidargli il denaro da inve-
stire. Ma poi era tornata serena, quando gli aveva garan-
tito che lo avrebbe aiutato, che gli avrebbe prestato ciò
che gli occorreva per il mutuo.

275
BRUNO VOLPI

In aggiunta, Reggiani aveva implicitamente confer-


mato la versione di Fawzy e cioè che il nordafricano era
stato il primo ad incontrare Antonietta quel pomeriggio,
dato che anche l'impiegato aveva notato la presenza del
mazzo natalizio sul tavolo, ancora avvolto nel cellophane.
– Sai, Mario, che a me quel Reggiani sembra proprio
una brava persona. E per quanto ho potuto conoscere
Antonietta, non stento a credere che lei lo avesse tran-
quillizzato, assicurandogli che gli avrebbe prestato del
denaro per aiutarlo col mutuo. –
– Anche secondo me è una brava persona. Ma questo
non significa che non possa aver avuto una colluttazio-
ne, seppur breve, con la Fusco, magari solo uno scatto di
rabbia perché lei non voleva affidargli tutto il denaro da
investire, e che, lei, per divincolarsi, sia caduta battendo
la testa. Una dinamica di questo tipo non ne farebbe au-
tomaticamente un criminale, ma costringerebbe comun-
que il P.M. ad incriminarlo. –
– Credo che in quello che hai detto si nasconda una
profonda verità. Sono convinta che le cose siano andate
come tu le hai descritte e cioè che chi ha causato la mor-
te di Antonietta in realtà non la volesse affatto uccidere.
Proprio per questo, per scoprire chi fosse questa persona,
dobbiamo conoscere il movente che ha generato la col-
luttazione. –
– Barbara, ti stai lentamente trasformando in Badalot-
ti? Mi sembra di sentir parlare il capo! –
L'agente Barbara Rossi scoppiò in una sonora risata,
che ebbe anche l'effetto di far evaporare parte della ten-

276
IL TESORO DELLA BARONESSA

sione accumulata durante l'interrogatorio di Maurizio


Reggiani.
Gianetti la lasciò sfogare, poi riprese.
– Ma quale vuoi che sia il movente, se non l'eredità?
Ricordati che si uccide per potere, ma questo non mi
sembra proprio il caso, per denaro e per amore. E qui
abbiamo soltanto il denaro. –
Barbara rimase qualche istante a fissare Mario Gianet-
ti. Quando riusciva a non farsi condizionare dall'ansia da
prestazione nei confronti di Badalotti, era davvero un
poliziotto in gamba. E, in fondo, anche simpatico.
Mentre era immersa in questi pensieri, il jingle di un
noto pezzo dei Queen echeggiò nella stanza.
Si trattava della suoneria del suo telefono. Uscì in cor-
ridoio per rispondere.
– Signorina Barbara, è lei? Sono Adelina, la disturbo? –
Barbara fu un po' stupita di sentire la voce della si-
gnora Serioli, ma comprese subito che doveva trattarsi di
qualcosa di importante.
– Buongiorno signora, sono in servizio, ma se è una
cosa urgente mi dica pure. –
– Oh, mi dispiace di avere disturbato. Volevo solo dirle
che ho trovato una cosa che potrebbe essere importante
per l'indagine sulla morte di Antonietta. Se può passare
da me, gliela mostro. –
– Passerò da lei domattina presto, grazie Adelina! –

277
BRUNO VOLPI

SESSANTESIMO

Luigi Badalotti stava rientrando in commissariato


dopo un lungo pomeriggio.
Al pranzo con verdure grigliate, una macedonia e un
caffè non zuccherato, era seguita una camminata un po' a
zonzo per la città, accompagnata dal pensiero costante di
come sarebbe stato più opportuno approcciare il notaio.
Aveva percorso Corso Roma, in direzione di quel-
la che era comunemente chiamata Piazzetta della Lega,
dato che l'aggettivo “Lombarda” era ormai rimasto sol-
tanto nella targa posta all'angolo della piccola e suggesti-
va piazza dalla caratteristica forma triangolare.
Non aveva percorso che pochi metri, quando, all'al-
tezza della Chiesa di San Giovannino, il cellulare aveva
iniziato a squillare. Il numero comparso sul display lo
aveva subito rimesso di buon umore, cacciando la malin-
conia indotta dal misero pranzo.
– Eleonora, che sorpresa, come stai? –
– Dai, non male! Inizio ad abituarmi alla vita da single. –
La voce, inconfondibile ed ammiccante, era quella
di Eleonora Monticelli, quarantenne di grande fascino,
conosciuta nel corso di una precedente indagine. Nono-
stante la donna fosse a piede libero in attesa di giudizio,
Badalotti aveva deciso di accettare la proposta di fre-
quentarsi sporadicamente, come amici, ogni qualvolta se
ne fosse presentata l'occasione.
In realtà, da quando si era conclusa l'indagine della

278
IL TESORO DELLA BARONESSA

LightOptic, di occasioni ve ne era stata una sola. Un fine


settimana trascorso nella villa di famiglia a Chiavari, che
Badalotti aveva molto gradito, tanto da augurarsi di po-
ter ripetere l'esperienza in tempi brevi.
Al contrario, nei mesi a seguire, Eleonora era scom-
parsa. E lui, assorbito da altre indagini e dalla malattia
della madre, se l'era quasi dimenticata.
– Mi fa piacere che tu mi abbia chiamato... sei qui in
città? –
L'apprendere che la donna si trovava nella casa di pro-
prietà ad Entreves, per approfittare un po' della neve, ca-
duta copiosa nelle ultime settimane, gli aveva smorzato
in parte l'entusiasmo.
– Cosa sto facendo in questo periodo? Sai che non
posso rivelare nulla delle indagini... va bene: ti dirò sol-
tanto che sono alla ricerca del proprietario di un cappello
marrone di Lacoste... come dici? Chiedere al negozio se
ricordano a chi è stato venduto... ma io in realtà lo so chi
è il proprietario... o almeno credo. –
A quel punto Eleonora gli aveva detto che non ci sta-
va capendo nulla e così avevano cambiato discorso. Alla
fine, si erano scambiati gli auguri per le festività immi-
nenti e si erano congedati con la promessa che avrebbero
trovato il modo di incontrarsi presto per trascorrere un
po' di tempo insieme.
Riposto il cellulare nella tasca dell'impermeabile, Ba-
dalotti aveva ripreso a guardarsi intorno, accorgendosi
che, tutto preso dal pathos della telefonata, aveva attra-
versato la città da una parte all'altra. Stava ripensando al

279
BRUNO VOLPI

suggerimento che gli aveva dato Eleonora. Lei, espertis-


sima di marchi sportivi rinomati, gli aveva garantito che
i capi di abbigliamento di quella linea, ad Alessandria, si
potevano trovare soltanto in un negozio, tra i più presti-
giosi della città. Gli aveva anche assicurato che i titolari
e il personale del negozio conoscevano ad uno ad uno i
loro clienti e anche le loro preferenze nel vestire.
Poteva non essere affatto una brutta idea, quindi,
quella di andare a chiedere se per caso il notaio Guarino
avesse acquistato, prima o poi nella sua vita, anche un
impermeabile lungo, dello stesso colore del cappello.
L'idea di chiedere in negozio gli avrebbe permesso, in
effetti, di evitare una situazione imbarazzante con il no-
taio.
Appena entrato, era stato avvicinato da un commes-
so con un elegantissimo completo blu, gilet grigio e pa-
pillon, la cui immagine, unità allo sguardo interrogativo
che gli aveva lanciato prima di aprirsi ad un accogliente,
quanto fasullo, sorriso, lo aveva un po'infastidito.
Aveva deciso, perciò, di mostrare il tesserino, gesto
che aveva avuto l'effetto immediato di cancellare il sorri-
so dal volto del lavorante, che, dopo un istante di eviden-
te imbarazzo, era corso nel retro ad informare il titolare
della presenza del funzionario di Polizia.
– Buongiorno commissario, in cosa posso esserle uti-
le? –
Alla domanda di Badalotti, dopo qualche resistenza
dovuta alla riservatezza che erano soliti garantire ai loro
clienti, tutti stimatissimi professionisti, il proprietario si

280
IL TESORO DELLA BARONESSA

era convinto a fornire le informazioni richieste, disser-


tando anche approfonditamente delle preferenze di Gua-
rino nel vestire.
– Ah, no, commissario! Escludo categoricamente che
il dottore faccia uso di impermeabili. Lui non ama capi
di abbigliamento di quel genere, sa, per via dell'altezza.
Il lungo è appropriato solo per persone alte e slanciate. –
Badalotti aveva preso quest'ultima affermazione come
un invito a rottamare l'immancabile soprabito che indos-
sava anche quel giorno. Al momento si era leggermente
alterato, ma poi era tornato a concentrarsi su quanto il
titolare stava raccontando.
– Vede, il dottore preferisce giacconi corti. Ne ha ac-
quistato uno molto elegante proprio ad inizio autunno. –
– E, che lei sappia, ha mai comprato un cappello, sem-
pre impermeabile, di colore marrone? –
– Si vede che lei è un ottimo investigatore, commissa-
rio! Il dottore lo ha comprato proprio qualche giorno fa.
Un cappello marrone di Lacoste, il suo marchio preferi-
to. Ricordo che è venuto in negozio in compagnia della
signora. Era la mattina del diciassette dicembre, all'aper-
tura. –
- È sicuro che fosse proprio il diciassette e non qual-
che giorno prima? –
- Sicurissimo, commissario! Non mi posso sbagliare
perché era il giorno del suo compleanno e il cappello rap-
presentava proprio uno dei regali scelti dalla signora. –

281
BRUNO VOLPI

SESSANTUNESIMO

Alessandria, 21 dicembre, ore 9:30

Nonostante Gianetti avesse insistito per accompa-


gnarla a casa della signora Serioli, l'agente Barbara Ros-
si era riuscita a convincerlo a lasciarla andare da sola,
perché la presenza di un'altra persona, soprattutto di un
funzionario di Polizia, avrebbe messo in serio imbarazzo
la donna.
Gianetti aveva deciso di accondiscendere, ancora me-
more dell'ingegnosa messinscena fatta dalla collega di
fronte al loro superiore, che gli aveva permesso di vedersi
attribuiti dei meriti investigativi che, in realtà, erano tutti
della Rossi.
Barbara, seduta sul divano accanto alla signora Serio-
li, stava ascoltando il suo racconto.
– Vede, signorina Barbara, io quel pomeriggio, l'ulti-
ma volta che ho visto l'Antonietta, avevo portato un maz-
zo di agrifoglio e bacche rosse da mettere a mio marito
per il periodo delle feste. Avevo anche una borsa della
spesa per i fiori finti che avrei ritirato per portarli a casa
e lavarli, perché poi, dopo Natale, quando il mazzo verrà
brutto, gli rimetto quelli finti.
Ieri sono andata a prendere la borsa coi fiori finti per
lavarli e ho trovato questo. –
Adelina stava porgendo a Barbara un'agendina.
– Mi sono permessa di leggere quello che c'è scritto e

282
IL TESORO DELLA BARONESSA

ho capito che si tratta di una specie di diario dell'Anto-


nietta. Non penso che le sia caduto. Io credo che abbia
voluto lasciarmelo perché sentiva che le sarebbe potuto
accadere qualcosa di brutto. Si ricorda, signorina Barba-
ra, che le avevo parlato di quella frase che la mia amica
mi aveva detto: “Fai buon uso delle mie confidenze!”
Adesso, forse, ho capito cosa intendesse dire. –
Barbara iniziò a scorrere le pagine del piccolo diario.
In ciascun giorno c'era una parola, una piccola frase, un
appunto, talvolta persino un disegnino, dall'aspetto quasi
infantile.
Giunse ai primi di dicembre. In una delle prime pagi-
ne del mese trovò la parola “eredità”. Nei giorni seguenti
i nomi di chi era prenotato da lei per la cena. Riconobbe
alcuni dei personaggi che aveva incontrato nel piccolo
locale, adibito a ripostiglio della mensa dei poveri, che
aveva messo loro a disposizione don Cremasco.
Sul foglio del dieci dicembre lesse una frase che non
riuscì ad interpretare: “Partire o restare?”.
Voltò pagina. Una parte della frase della pagina prece-
dente era scomparsa. Vi era scritto soltanto “Restare” con
tre punti esclamativi.
Alcuni fogli dopo, alla pagina del tredici dicembre,
un'altra frase enigmatica: “Mi costringe a fare una scel-
ta!”
Al quattordici dicembre l'enigma si faceva ancora più
fitto: “Il diavolo mi tende la mano”.
– Giri, giri ancora le pagine, signorina Barbara, io mi
sono quasi spaventata. –

283
BRUNO VOLPI

Barbara passò alla pagina successiva, quella del quin-


dici dicembre. Prima di leggere quello che Antonietta
aveva scritto, forse poco prima di essere uccisa, si sentì
travolgere da una sequenza di immagini che non era an-
cora riuscita ad archiviare negli angoli più remoti della
mente, quelli in cui le emozioni provate nella vita posso-
no finalmente riposare.
Rivide Poirot che stazionava davanti alla porta dell'al-
loggio della sua padrona.
Rivide il corpo di Antonietta steso a terra, ormai sen-
za vita.
Rivide la striscia di sangue ormai raggrumato sul bor-
do del piano cucina.
E rivide la propria mano che digitava il numero di cel-
lulare di Fulvio.
Che strano pensare a Fulvio proprio in un momento
così particolare, un momento che avrebbe potuto portare
un'informazione preziosa, se non decisiva, per le indagi-
ni.
Si sforzò di mettere a fuoco l'ultima frase scritta da
Antonietta su quell'agendina, che aveva poi deciso di la-
sciar cadere nella borsa della sua migliore amica. Miglio-
re, forse, perché la sola di cui era certa di potersi ancora
fidare.
Era una frase di quattro parole, che iniziava con un
nome proprio, un nome che suonava di affetto tradito.
“Carletto mi fa paura!”

284
IL TESORO DELLA BARONESSA

SESSANTADUESIMO

Mentre si accingeva a suonare il campanello, Badalotti


si accorse che la porta d'ingresso dell'appartamento del
professor Carlo Menapace era accostata.
La mattinata era iniziata con la chiamata dell'agente
Bonino, che lo informava dell'ultimo, determinante tas-
sello aggiuntosi all'indagine sulla morte di Antonietta
Fusco.
– Pronto, commissario, sono Fulvio. Siamo a casa del
signor Niculescu. Ieri non si era presentato al lavoro per-
ché si è infortunato ad un braccio. Così, con Nobiltà, sta-
mattina siamo venuti a casa sua. Gli abbiamo chiesto di
quel pomeriggio e lui ci ha riferito che, mentre era all'in-
terno del deposito, ricordava bene di aver sentito suona-
re insistentemente il campanello della porta della Fusco.
Allora aveva guardato dallo spioncino e aveva visto
un uomo con un impermeabile e un cappello marrone
che aspettava sul pianerottolo. Quando gli abbiamo mo-
strato la foto l'ha subito riconosciuto. –
Alla luce di quella rivelazione, Badalotti aveva chia-
mato il professore, invitandolo a recarsi in commissariato
per alcuni chiarimenti. Menapace, però, aveva affermato
di sentirsi poco bene e aveva invitato il commissario a
fargli visita, nel caso si fosse trattato di una cosa urgente.
La porta accostata provocò un brivido alla schiena del
commissario. Per un attimo non seppe cosa fare, né cosa
pensare. Provò a bussare, prima con discrezione, poi con

285
BRUNO VOLPI

maggior vigore.
– Entri, entri pure, commissario. Grazie per essere ve-
nuto. Mi sono preparato a riceverla, per questo le avevo
lasciato la porta accostata. Mi perdoni se non le vengo
incontro, ma mi sento un po' debilitato oggi... –
Il professor Carlo Menapace aveva fatto accomodare
Luigi Badalotti nell'elegante salotto del suo appartamen-
to di Corso IV Novembre. Appariva molto più pallido ed
emaciato di quando si era presentato in commissariato
qualche giorno prima. Appena varcata la porta, il com-
missario aveva notato sull'attaccapanni ciò che si aspet-
tava di trovare.
– La prego, mi dica subito come avete fatto a capire
che l'ultima persona ad aver visto viva Antonietta sono
io... mi incuriosisce comprendere come funzionano le
menti di voi poliziotti. –
– Professore, in questo caso è stato più semplice di
quanto lei immagini. C'è un testimone che l'ha ricono-
sciuta mentre suonava insistentemente il campanello e
un altro testimone che ha riconosciuto il suo imperme-
abile e il suo cappello appesi nell'ingresso dell'apparta-
mento poco dopo. –
– Commissario, non cerchi di farmi credere che uno
come lei rinuncia a fare delle ipotesi su come si sono
svolti i fatti... che si accontenta di avere dei testimoni che
possano inchiodarmi, suvvia! –
Badalotti non poté fare a meno di notare che il profes-
sore faticava a parlare, ansimando vistosamente.
– Vede, professore, noi possiamo fare tutte le suppo-

286
IL TESORO DELLA BARONESSA

sizioni di questo mondo, ma poi occorrono le prove per


inchiodare i colpevoli. Comunque possiamo fare un pat-
to: io le racconterò la mia versione dei fatti, che sarà ine-
vitabilmente incompleta; ma soltanto se lei si impegna a
completarla. –
– Non dubiti, commissario. –
– Che con la signora Fusco eravate amici fin dall'in-
fanzia non è mai stato un segreto. Forse avrebbe anche
potuto esserci qualcosa di più, ma lei partì per Roma con
il miraggio di fare l'attrice e la lasciò solo. Lei ne perse le
tracce e non seppe mai che era tornata ad Alessandria.
Averla ritrovata, quasi casualmente, anche se ormai era-
vate entrambi avanti con gli anni, le ha riacceso la spe-
ranza di poterla avere come compagna per il periodo
della vecchiaia. –
– Già, commissario, lei non sa quanti progetti avevo
fatto sulla mia vita con Antonietta... e quanto mi avesse
fatto male la sua partenza. –
– Così, professore, lei ha iniziato a cullare dei sogni. E
quando ha saputo dell'eredità, ha pensato che finalmente
avreste avuto il denaro necessario per cambiare vita, for-
se, chissà, poter fare come tutte quelle coppie in pensione
che si comprano una casa al mare e vanno a viverci, e poi
magari fanno dei viaggi. Antonietta, però, le ha detto che
non aveva nessuna intenzione di lasciare il suo mondo
di disperati, che voleva utilizzare tutta l'eredità per aiu-
tare gli altri, senza tenere nulla per sé. E lei non avrebbe
potuto sopportare di essere messo ancora una volta da
parte. –

287
BRUNO VOLPI

– Li avrebbe potuti aiutare lo stesso! Che cosa le costa-


va tenere una piccola parte per sé... per noi? Glielo dissi,
la sera prima della sua morte... È stata la prima volta che
ho alzato la voce con Antonietta, commissario. Pensavo
di averla convinta. E invece... –
Il professore aveva avuto quasi uno scatto di rabbia,
ma la sua voce appariva insolitamente flebile.
– Invece lei disse che aveva già dato disposizione di
dare tutto agli altri, che solo così si sarebbe sentita felice,
felice come era ogni sera quando ospitava uno dei suoi
amici senza fissa dimora. –
– Non capivo perché li amasse così tanto... sporchi,
maleodoranti, vestiti di stracci, senza alcuna cultura. –
Una pausa, come per riprendere fiato.
– Soggetti che non hanno futuro, con cui non puoi
costruire nulla... perché perdeva tutto il suo tempo con
loro, quando c'ero io che ne avevo così bisogno... del suo
tempo? Lei sa spiegarmi perché, commissario? –
Un altro scatto di rabbia, a cui seguì un accasciarsi
contro lo schienale del divano. Il corpo del professore
sembrava svuotato da ogni energia.
Badalotti ne attribuì la colpa a quanto era accaduto
con la vittima. Decise di attendere un momento per la-
sciare che le domande perdessero il loro carico di rim-
pianti e di attese tradite. Non appena il professore tornò
ad alzare lo sguardo verso di lui, proseguì con la ricostru-
zione dei fatti.
– Così quel pomeriggio del quindici dicembre lei è
andato dalla signora Fusco per provare ancora una volta

288
IL TESORO DELLA BARONESSA

a convincerla. Ma Antonietta le ha detto che ormai aveva


deciso e che aveva pure redatto un testamento in cui ave-
va fissato le sue volontà di destinare tutto alla Caritas. Per
lei è stato come veder svanire in un attimo tutti i sogni di
una vita a due. Così ha reagito come mai avrebbe voluto
e pensato, vero professore? –
– Commissario, a questa storia manca una cosa, che
lei purtroppo non può sapere... io sto morendo... un tu-
more al pancreas mi sta consumando... –
Una nuova pausa, questa volta più lunga. La fatica nel
rivelare questa tragica verità pareva insopportabile.
– Non è operabile e ha già fatto un sacco di metastasi...
l'oncologo voleva farmi bombardare di chemioterapici,
ma io non voglio aggiungere sofferenze a sofferenze... la
notizia che iniziavo a morire l'ho avuta quel giorno... lo
stesso in cui Antonietta avrebbe finalmente potuto co-
minciare a vivere... –
Badalotti si stava rendendo conto di quanto fosse op-
primente la sofferenza fisica che il professore stava cer-
cando di nascondere.
– Professore, lei non sta bene. Vuole che chiami un
medico? –
– Mi lasci finire, poi chiameremo il medico. –
Imperioso, ma con una fatica sempre più crescente.
– Volevo dirle tutto, ma era così euforica... questi ul-
timi mesi di vita... volevo passarli con lei, noi due soli...
lontani da quel mondo di derelitti... ho cercato di convin-
cerla, ma invano... –
Una lacrima era scesa a rigare la guancia sempre più

289
BRUNO VOLPI

pallida del professore.


– Quel maledetto pomeriggio avevo deciso di dirle
tutto... magari avrebbe cambiato idea, si sarebbe impie-
tosita... ma lei non mi credette... disse che pensavo solo
al denaro... la strattonai per farla tornare in sé... lei cercò
di difendersi, poi cadde all'indietro e... in quel momento
siamo morti entrambi! –
Il respiro di Carlo Menapace si faceva ogni secondo
più affannoso.
– Mi sono spaventato... ho pensato di far accusare
uno di quei ladruncoli... avevo trovato il sacchetto con
la refurtiva un giorno che Antonietta mi aveva chiesto di
leggere il contatore... e avevo capito tutto. –
La voce del professore era ormai diventata quasi un
rantolo.
– Ho preso un orologio... ho fatto in modo che le dita
di Antonietta vi lasciassero delle impronte... e poi gliel'ho
messo nella tasca della vestaglia... così avreste pensato
che fosse stato il ladro ad ucciderla... –
– Professore, si corichi, ora le chiamo un'ambulanza. –
– Stia tranquillo, commissario... la vita non conta più
nulla per me... ma per quel poveraccio che avrei mandato
in galera sì... non è stato solo il cancro a consumarmi...
ma il rimorso per il male che ho causato...–
– Basta, professore, ora chiamo i soccorsi. – Badalotti
aveva estratto il cellulare dalla tasca della giacca e stava
componendo il 118.
– Commissario, io non voglio più soffrire... ho regi-
strato tutto su un vocale... l'ho spedito al mio confesso-

290
IL TESORO DELLA BARONESSA

re... lui glielo farà avere... così potrete chiudere l'indagi-


ne... grazie... di avermi... ascoltato... e buon... Natal...–
Carlo Menapace non terminò la frase. Prima che Ba-
dalotti potesse intervenire, si accasciò su un fianco e sci-
volò a terra, esanime.
L'immagine del professore, steso a terra, ormai pri-
vo di vita, richiamò immediatamente quella di mamma
Maria, quando, in punto di morte, gli aveva sussurrato
quella frase, che allora gli era apparsa così strana: “Gino,
fai sempre la cosa giusta!”.
Una raccomandazione che, in quel momento, stava
suonando come un rimprovero. Quale sarebbe stata la
cosa giusta da fare in quei pochi minuti in cui aveva as-
sistito in diretta alla morte che un uomo aveva probabil-
mente deciso di procurarsi, giocando d'anticipo rispetto
ad un drammatico calvario a cui la malattia stava per
obbligarlo? Avrebbe forse potuto salvarlo, se solo fosse
intervenuto chiamando i soccorsi? Ma sarebbe poi stato
giusto costringerlo a confrontarsi ancora con il fardello
dei propri errori e le beffe del destino? Forse ne avrebbe
salvato il corpo; ma l'anima, quella, non sarebbe morta
comunque?
Badalotti avvertì che gli stava tornando il tremendo
dolore allo stomaco che l'aveva attanagliato il giorno in
cui la madre era spirata. Il carico di tensione che stava
provando in quel momento doveva, dunque, essere simi-
le a quello che aveva accumulato al capezzale della ma-
dre.
In quell'istante il cellulare, lo stesso con cui non aveva

291
BRUNO VOLPI

ancora chiamato il 118, iniziò a vibrare.


– Dimmi Barbara... sì, lo so che è stato il professore...
ma non lo potremo più arrestare... Barbara, sono a casa
sua, temo che si sia avvelenato... e io non sono stato ca-
pace di aiutarlo. –

292
IL TESORO DELLA BARONESSA

SESSANTATREESIMO

Alessandria, 24 dicembre, ore 13:00

– Sai, commissario, mi hai fatto un gran bel regalo ad


essere qui con noi, insieme ai tuoi collaboratori. –
Don Lorenzo Cremasco aveva deciso di sedere a ta-
vola al fianco di Badalotti e dell'ispettore Gianetti, in una
tavolata da dodici coperti, occupata da qualche cliente
abituale dei servizi offerti dalla Caritas e qualche volto
nuovo, che aveva accettato di partecipare alla festa di
Natale per mettere da parte, anche se solo per qualche
ora, la desolazione di una quotidiana solitudine con cui
si trovava a convivere negli altri trecento sessantaquattro
giorni dell'anno.
Il commissario non avrebbe saputo spiegare la ragio-
ne per cui aveva deciso di accogliere l'invito del sacerdote
a presenziare al pranzo di Natale offerto ai poveri, ma ap-
pena arrivato nell'ampia sala allestita con allegri festoni,
lunghi tavoli con tovaglie coloratissime, un gigantesco
albero di Natale a vegliare su un presepe con grandi sta-
tue di tela di sacco, si era sentito imbarazzatissimo.
Piano piano, uno dopo l'altro, aveva visto arrivare gli
invitati. Aveva così potuto osservare come ciascuno di
loro avesse fatto del proprio meglio per essere all'altezza
della giornata di festa. Tutti i presenti si erano sforzati, in
effetti, di sfoggiare un abbigliamento insolitamente ordi-
nato, i maschi erano tutti rasati di fresco e alcune signore

293
BRUNO VOLPI

indossavano persino scarpe con tacchi importanti.


In aggiunta, don Cremasco era riuscito a coinvolge-
re molte delle autorità cittadine, alcune intervenute solo
per un saluto, altre sedute a tavola come lui e l'ispettore
Gianetti.
Gli agenti Barbara Rossi, Fulvio Bonino e Ruggero
Nobiltà si erano invece offerti di aiutare i volontari nel
servizio ai tavoli e guizzavano rapidi con grandi vassoi
carichi di piatti con pietanze fumanti, quasi avessero la-
vorato da sempre nel mondo della ristorazione.
Il pranzo era corso via veloce. Il commissario aveva
constatato con sorpresa che il menù avrebbe potuto tran-
quillamente competere con quelli che i principali risto-
ranti della città stavano preparando per il giorno succes-
sivo.
Prima del brindisi e dei dolci tipici natalizi, ogni par-
tecipante aveva ricevuto un regalo accuratamente im-
pacchettato. Si era stupito che anche per gli ospiti come
lui, l'ispettore e le autorità, fossero stati predisposti dei
pacchetti. Don Cremasco e tutti i volontari avevano fatto
davvero le cose in grande.
Quando anche l'ultimo degli invitati ebbe lasciato la
sala, si erano fatte ormai le quindici e trenta passate. Don
Cremasco aveva pregato Badalotti, l'ispettore e gli altri
poliziotti di trattenersi ancora. Li invitò a seguirli in un
altro locale. Gianetti e gli agenti Rossi e Nobiltà riconob-
bero subito il ripostiglio in cui, un po' di giorni prima,
avevano interrogato alcuni tra coloro che avevano rivisto
a tavola poco prima.

294
IL TESORO DELLA BARONESSA

– Bene, amici, qui è iniziata l'indagine e qui vorrei che


si chiudesse. Questa storia avrebbe potuto sconvolgere il
fragile equilibrio intorno a cui ruota tutto ciò che stiamo
facendo da anni. Ma voi avete agito con grande rispetto
e delicatezza. E anche se questa vicenda ha creato tanta
sofferenza in persone che non la meritavano, compreso
il povero professore, che il Signore lo voglia accanto a sé,
io credo che anche questa volta Dio saprà trasformare il
male in bene. –
Don Cremasco si voltò di scatto, aprì uno scatolone e
ne trasse cinque pacchetti di biscotti, porgendoli ai poli-
ziotti.
– Permettetemi dunque di farvi i miei personali augu-
ri di gioia, serenità e buona salute. Questi sono biscotti
preparati dai ragazzi in carcere. Forse anche Rodrigo sarà
messo a lavorare con loro. Penso che potrà solo fargli del
bene. –
– Grazie, don Lorenzo, abbiamo conosciuto un mon-
do incredibilmente vivo, anche se ciò che ci ha portato a
lavorare insieme è stata una vicenda di morte. –
Il commissario Badalotti non sapeva bene, in realtà,
da dove gli fossero uscite quelle parole, ma si era comun-
que reso conto di averle pronunciate. Realizzò in quel
momento il contrasto stridente tra la realtà che si mani-
festava ogni giorno tra quelle mura e l'ingannevole mon-
do patinato del Natale dei media. Le frasi di congedo di
don Cremasco confermarono quella percezione.
– Amici miei, vi confesso che quando organizziamo
queste feste di Natale sono sempre combattuto tra gio-

295
BRUNO VOLPI

ia e preoccupazione. Gioia perché li vedo felici, almeno


per un giorno. Noi offriamo loro un senso di famiglia, di
festa e di affetti che non hanno più da molto tempo o, in
alcuni casi, forse non hanno mai avuto. –
La pausa di sospensione sembrò quasi creata ad arte
per assicurarsi l'attenzione di tutti gli occupanti della pic-
cola stanza poco illuminata.
– E a questo punto vi starete chiedendo da cosa na-
sce la preoccupazione. Vedete, noi oggi abbiamo fatto
sperimentare ai nostri amici della strada delle emozioni,
dei sentimenti, forse dei bisogni che non sapevano più di
avere. Abbiamo risvegliato sensazioni che forse non pen-
savano potessero essere ancora presenti dentro di loro.
Domani sarà ancora più duro per loro tornare a speri-
mentare solitudine, fame, freddo. Inizieranno a farsi del-
le domande alle quali né io, né voi, né tutti i volontari di
questo mondo possono dare pienamente risposta.
Non c'è cosa peggiore, sapete, del rendersi conto che
la vita è un viaggio bellissimo per il quale, però, tu non
hai il biglietto. –

296
IL TESORO DELLA BARONESSA

SESSANTAQUATTRESIMO

Alessandria, 25 dicembre, ore 13:00

– Dai, la stanza non è molto grande, ma ci stiamo


tutti. E state tranquilli che non ho cucinato io. Ho preso
quasi tutto in gastronomia, così non avrete paura che vi
avveleni! –
Barbara Rossi aveva compiuto quello che poteva es-
sere definito un vero miracolo: riunire tutta la squadra
intorno ad un tavolo per festeggiare il Natale, commis-
sario compreso. Mancava solo l'agente Nobiltà, che non
aveva avuto cuore di lasciare da sola la madre proprio
quel giorno.
In verità, Badalotti era stato il più difficile da convin-
cere. Due pranzi natalizi così ravvicinati non avrebbe
mai pensato di poterli sopportare.
In realtà, sarebbe stato relativamente facile dire di no
a chiunque altro, ma né a don Cremasco né a Barbara
aveva trovato il coraggio di negarsi. Mentre nel caso del
sacerdote era stata quasi una forma di rispetto, Barbara ave-
va saputo invece toccare le corde del cuore, ricordandogli i
Natali che aveva passato con lei e la sua famiglia a Vercelli,
prima, quando suo padre era ancora con loro, e poi, quando
si erano trovate sole, lei e sua madre. Luigi era sempre stato
uno di loro e lei avrebbe tanto desiderato, ora che poteva,
trascorrerlo con lui quel Natale, dato che la madre lo avreb-
be trascorso con la famiglia del suo nuovo compagno.

297
BRUNO VOLPI

Glielo aveva chiesto a tradimento, entrando di sop-


piatto nel suo ufficio, dopo che erano tornati dal pran-
zo coi poveri. Badalotti aveva ormai preso l'abitudine di
considerare il Natale come tutti gli altri giorni, provando
anche un notevole fastidio quando gli chiedevano come
lo avrebbe trascorso. L'ultimo ricordo di un pranzo di
Natale risaliva a diversi anni prima, quando si era seduto
a tavola con Loredana. Era stata tutt'altro che una festa:
entrambi sapevano che la loro storia era ormai giunta al
capolinea.
Da quella volta non ne aveva più voluto sapere. Ed ora
era arrivata quella che lui ricordava come una piccola pe-
ste, con l'idea di provare per un giorno a trasformare il
commissariato in una famiglia, dato che tutti loro, tran-
ne Ruggero Nobiltà, sarebbero stati soli in quel giorno
di festa. Aveva anche aggiunto che soltanto trascorrendo
il Natale insieme avrebbero potuto esorcizzare la scia di
malinconia rimasta da quell'ultima indagine.
In effetti, nella mente del commissario, era ancora
viva l'ultima confessione del professor Carlo Menapace e
come aveva saputo organizzare meticolosamente il pro-
prio suicidio. Nei giorni che erano seguiti a quella dram-
matica conclusione dell'indagine si era più volte chiesto
se non avrebbe dovuto intuire che il professore gli stava
morendo di fronte. Anche l'arrivo dell'ambulanza era
stato inutile. Il suo fisico ormai debilitato dal male incu-
rabile non aveva retto all'overdose di ansiolitici che aveva
ingerito qualche ora prima della visita del commissario.
Non se la sarebbe proprio sentita di festeggiare il Na-

298
IL TESORO DELLA BARONESSA

tale con quell'amarezza nel cuore. Era stata la luce pro-


fonda che aveva visto nei grandi occhi scuri di Barbara a
vincere ogni reticenza.
Gli occhi di una bambina che, ai tempi in cui era sol-
tanto un giovane poliziotto assegnato al comando di Ver-
celli, lo avevano intenerito fino a desiderare un giorno di
poter essere padre anche lui.
Aveva serbato nel cuore tante immagini di quegli oc-
chi. Una certamente non l'avrebbe mai dimenticata. Li
ricordava nitidamente, pieni di lacrime davanti al feretro
del padre, mentre lo fissavano sgomenti, mostrando tutto
il tragico stupore di chi aveva appena scoperto quanto la
vita possa essere crudele anche con gli innocenti.
Così aveva accettato di assecondare Barbara in quel
suo progetto di festeggiamenti natalizi. Un progetto che,
però, era riuscito solo in parte. Per tutti era stato tanto
impegnativo, quanto imbarazzante, sforzarsi di lasciare
da parte le dinamiche ormai rodate del mondo lavora-
tivo. Così, alla fine del pranzo, quando già era pomerig-
gio avanzato, vedendo che di argomenti di discussione
in comune non ce n'erano molti, erano finiti a parlare
dell'indagine.
Era stata Barbara stessa ad introdurre il tema.
– Commissario, anche se il corriere lo ha visto entra-
re nell'alloggio della vittima, come facevi ad essere certo
che fosse stato proprio il professore a causare la morte di
Antonietta? –
– Barbara, siamo qui per festeggiare. Non è il momen-
to di parlare delle indagini. –

299
BRUNO VOLPI

– E dai, svelaci i tuoi segreti, commissario! –


– Sì, sì, commissario, ci racconti come ha fatto a so-
spettare del professore. –
Bonino e Nobiltà, che nel frattempo si era unito al re-
sto della squadra per un brindisi finale, erano intervenuti
quasi all'unisono. Gianetti seguiva in silenzio l'evolversi
della situazione.
Con una claque di tutto rispetto come quella, Badalot-
ti capì che doveva stare al gioco.
– Vedete, ciò che non mi convinceva era la faccenda
dell'orologio. Se davvero fosse stata la vittima a scoprire il
nascondiglio della refurtiva, con ogni probabilità avreb-
be sottratto tutto il sacchetto. Che senso avrebbe avuto
portare in casa un solo orologio, per di più da uomo? Lo
stesso avrebbe fatto Gutierrez, che era l'autore dei furti,
una volta che avesse trovato un ricettatore. A quel punto
mi è venuto il sospetto che si trattasse di una messin-
scena creata appositamente per farci credere che furti e
omicidio avessero la stessa matrice e quindi far accusare
Rodrigo.
Inoltre, a conoscenza del fatto che la refurtiva fosse
lì doveva essere qualcuno che avesse avuto necessità di
aprire il vano del contatore del gas recentemente. Di solito
lo si apre quando viene richiesta una lettura. Ho contat-
tato l'azienda che si occupa della distribuzione, conosco
il responsabile del marketing. Così sono risaliti all'ulti-
ma lettura, che era stata comunicata telefonicamente. Ma
la Fusco non aveva telefoni e quindi doveva averlo fatto
qualcun altro, che probabilmente aveva effettuato anche

300
IL TESORO DELLA BARONESSA

la lettura. Ho chiesto di controllare i tabulati telefonici ed


è risultato che il telefono era quello del professore.
Infine, nel rapporto della Scientifica, mi aveva col-
pito il fatto che segnalassero che, sulla manica sinistra
dell'abito da camera, quella che non era stata strappata
durante la colluttazione, vi fosse un'abrasione causata da
un oggetto acuminato. Ricordavo che mi avevano colpito
gli strani bottoni a forma di ancora delle maniche della
giacca del professore. Niente di più facile che il vestito si
fosse impigliato in uno di quelli. –
Per i due minuti che Badalotti aveva impiegato a scio-
gliere i loro dubbi investigativi, Gianetti e i tre agenti
erano rimasti in totale silenzio, come rapiti da quel fi-
nale che il commissario aveva gestito un po' alla Poirot.
A confermare la corrispondenza con il modo di operare
dell'investigatore belga inventato dalla Christie ci pensò
il Poirot a quattro zampe, che, per tutto il pranzo, aveva
gironzolato a elemosinare pezzetti di salumi o bocconi di
carne dai convitati. Non appena, infatti, Badalotti ebbe
terminato il suo spiegone, senza alcun invito né preavvi-
so, Poirot gli saltò in grembo, iniziando a leccargli il viso.
La reazione del commissario, dapprima di spavento
per l'inatteso balzo dell'animale, poi di disgusto per il
viso inumidito da quella che tutti interpretarono come
una dimostrazione di gratitudine per aver risolto il caso
della morte della sua precedente padrona, ebbe l'effetto
di suscitare un'incontenibile risata in tutti i presenti. Tut-
ti tranne lui, ovviamente. Alzatosi di scatto, si fiondò in
bagno a cercare di ripulire il viso.

301
BRUNO VOLPI

Mentre si stava asciugando con la morbida spugna


che Barbara aveva predisposto per gli ospiti, la vide com-
parire alle proprie spalle.
– Grazie per questo Natale, Luigi. Grazie per avermi
permesso di organizzarlo con tutti voi e grazie per aver
partecipato. –
Così dicendo lo aveva abbracciato cingendogli la vita
come era solita fare da bambina.
– So bene quanto ti è costato accettare, ma se avessi
dovuto trascorrerlo da sola, questo giorno di festa, mi
sarebbero tornati in mente i Natali trascorsi con papà, e
avrei pianto, tanto, da sola. Con te, con voi, è stato come
essere in famiglia, con quel calore che provavo da piccola
e che non ho più scordato. Grazie ancora! –
Per un attimo Barbara ebbe come la sensazione che
anche Luigi la stesse stringendo come un tempo. Fu un
istante, poi l'abbraccio si sciolse. Lei lo fissò e, ridendo,
aggiunse: – E poi, vedi, sei simpatico anche a Poirot.
Davvero, non l'avrei mai creduto! –

302
IL TESORO DELLA BARONESSA

SESSANTACINQUESIMO

– Grazie di essere rimasto a darmi una mano, Fulvio!


Qui sembra che sia passato Attila con tutti i suoi Unni. –
Barbara si era infilata un grembiule rosso sull'elegante
abito nero corto, con le maniche di voile, che era solita
indossare per le occasioni importanti. Si era anche sfilata
le decolleté tacco dodici e zampettava per casa con due
ciabatte a forma di muso di husky, che ricordavano dei
peluche.
– Tanto non avevo niente da fare a casa. Di certo sta-
sera non cucino. Non mi andrebbe giù nemmeno una
goccia d'acqua. –
– Ma dai, che abbiamo mangiato solo due cosucce. –
Barbara sembrava parecchio su di giri. Fulvio si sta-
va chiedendo se attribuire questa euforia alla gioia della
festa o all'eccessiva quantità di alcool ingerito dalla col-
lega. Per un attimo gli venne spontaneo chiedersi se, per
sbaglio, il fatto di trovarsi lì con lui stesse contribuendo a
mantenere elevato il livello di eccitazione.
Aveva parecchio meditato, tra una missione per conto
del commissario e un verbale da ultimare, su come clas-
sificare il caleidoscopio di sensazioni che stava provando
nei confronti della nuova collega. Si era reso conto che
quell'amicizia che si erano promessi davanti ad una pasta
e fagioli non rappresentava la casella giusta in cui inseri-
re i propri sentimenti.
Avrebbe dovuto provare a vedere se c'era posto in una

303
BRUNO VOLPI

casella un po' più in alto. Certo, forse non proprio tra


quelle che erano classificate con il termine “amore”, con
tutte le varie sfumature in cui lo si poteva declinare.
Magari a metà, dentro ad un contenitore che avrebbe
potuto chiamarsi “amicizia speciale” oppure “affinità di
sentimenti”, qualcosa che avrebbe avuto tutte le opportu-
nità di salire in classifica, ma anche tutti i rischi di preci-
pitare verso una pericolosa indifferenza.
– Certo che il destino è stato davvero crudele con il
professore e la povera Antonietta, non pensi? Avrebbero
potuto farsi compagnia per il tempo che restava ancora
da vivere a Menapace, se solo lui avesse capito quanto
erano importanti per lei i senza tetto che aveva conosciu-
to alla mensa della Caritas. Ripensandoci, ieri sera, ho
capito che abbiamo fatto tutti lo stesso sbaglio del pro-
fessore. Ricordi che abbiamo più volte parlato del fatto
che in tanti ambivano ad appropriarsi del tesoro della
baronessa? Vedi, abbiamo sempre pensato al vocabolo
“tesoro” al singolare, mentre invece dovevamo capire che
per la Fusco quel termine aveva senso solo al plurale. –
Fulvio Bonino guardò Barbara Rossi con sguardo in-
terrogativo.
– Sì, Fulvio, tutti abbiamo pensato al “tesoro della ba-
ronessa” come al gruzzolo di soldi dell'eredità. Abbiamo
creduto che questo tesoro potesse cambiarle la vita, ma
avrebbe significato dover rinunciare a quelli che ormai
erano i suoi veri tesori: gli amici di tutti i giorni, poveri
come lei o anche di più. Menapace, inconsciamente, ha
fatto lo stesso errore. E così ha perso Antonietta ancora

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IL TESORO DELLA BARONESSA

prima di ucciderla. –
– Già, ma forse anche lei ha sbagliato. Erano amici da
lunga data, avrebbe dovuto ascoltarlo. –
– Eh, sì, tanto è sempre colpa delle donne! –
Barbara l'aveva buttata lì tra il serio e il faceto.
– Non volevo dire questo. Ma bisognerebbe sempre
cercare di ascoltare gli altri. È una delle prime cose che
ho imparato dal commissario. Lui dice sempre che anche
nelle indagini la cosa più importante è saper ascoltare
con attenzione. –
– Fulvio, cosa rappresenta per te Badalotti? –
– Domanda di riserva? –
Barbara scoppiò a ridere, avvicinandosi a Fulvio fino
a trovarsi a pochi centimetri dal suo viso.
– Ma dai! Era una domanda seria. –
– Che vuoi che ti dica, gli sono molto affezionato. Non
vorrei sembrarti esagerato, ma per me è quasi come un
padre. –
– Anche per me, sai? Ti ho raccontato di come lui sia
stato uno di famiglia quando ero piccola. Dal giorno in
cui io e mia madre siamo rimaste sole, ci ha quasi adot-
tate. –
Gli si era avvicinata ancora di più, aveva posato le
mani sulle sue spalle e accostato il capo al suo petto. Il
cuore di Fulvio aveva improvvisamente accelerato.
– Così siamo un po' fratello e sorella! –
Una battuta per cercare di sdrammatizzare quella si-
tuazione che iniziava ad imbarazzarlo. Appena detta,
però, si era subito accorto di quanto gli fosse venuta male.

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BRUNO VOLPI

Avrebbe voluto aggiungere qualcosa per provare a ri-


scattare quella stupidaggine, ma non ne ebbe il tempo.
Barbara aveva avvicinato le labbra alle sue e le stava
premendo dolcemente. Erano calde e ancora profumate
di moscato.
Quando si staccarono, lei gli sorrise.
– Barbara, ma allora noi... –
– Fulvio, non fare domande, ti prego. –
Barbara aveva accostato l'indice alle labbra di Fulvio.
– Oggi mi va così, domani non so come sarò, che cosa
penserò di noi due, per il futuro. Io so che ti voglio bene,
ma ho bisogno di tempo per capire quanto. –
Lui avrebbe voluto dirle che si trovava nello stesso ma-
rasma, ma era sicuro che gli sarebbe uscita un'altra frase
infelice. Preferì tacere e stringerla a sé. Almeno quello,
grazie anche all'alcool che aveva in corpo, gli stava riu-
scendo particolarmente bene.

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IL TESORO DELLA BARONESSA

Le indagini del Commissario Badalotti:

- L'occhio di drago

- Come in un labirinto di specchi

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