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Dopo la perdita di una persona cara alcune emozioni ci travolgono come un’onda del
mare. Si susseguono rabbia, senso di colpa, frustrazione, abbandono.
Col passare del tempo impariamo a conviverci, ma non andranno mai via.
Ritorneranno a galla insieme ai ricordi, che accoglieremo sempre tra un sorriso e una
lacrima.
Domenica
Una tonalità giallo-arancione colorava il cielo alle prime luci dell’alba. I nuvoloni grigi
erano scomparsi, e del temporale della notte precedente rimanevano solo poche
tracce di terreno smosso e piccole pozzanghere di acqua e fango. La natura
selvaggia dava i primi segni di vita. Nel giardino di una villa le formiche erano al
lavoro. Percorrevano, in fila indiana, il sentiero di pietra che dal cancello arrivava
fino all’ingresso principale della casa. Un topolino sgattaiolava tra i cespugli. Un
gatto bianco e nero, poco distante, ne fiutava l’odore e gli dava la caccia. Due
scoiattoli si rincorrevano, saltando da un albero all’altro.
Erano tutti felici, quella domenica mattina. Tutti tranne lei, la piccola chiocciola
solitaria.
Avanzava silenziosa, strisciando sul terreno. Si nascondeva tra un ciuffo d’erba e
l’altro.
Terminata l’aiuola, continuò a trascinarsi fino alle mura della villa. Si fermò
titubante, poi proseguì in verticale.
Arrivò all’altezza del davanzale di una finestra del pianoterra. La luce dei primi raggi
del sole filtrava all’interno, illuminando la stanza. La piccola chiocciola, curiosa,
sbirciò. Una giovane donna era seduta sul divano del salotto con la testa piegata in
avanti. Una mano copriva il suo viso. D’un tratto lo liberò. Dai suoi occhi
traboccavano lacrime che scivolavano lungo le guance rosee.
La povera chiocciola assistette inerme di fronte a quella scena, e proseguì. Raggiunse
un’altra finestra, quella del piano superiore. La trovò semiaperta ed entrò. Cercava
pace, la piccola chiocciola solitaria. All’interno di quelle mura l’avrebbe trovata di
sicuro.
Scivolò sul pavimento, lasciando dietro di sé una traccia gelatinosa e appiccicosa.
D’improvviso, si sentì staccare da terra e si ritrovò sospesa a mezz’aria.
Guardò in alto. Due occhi color nocciola la osservavano incuriositi.
Tremò, la piccola chiocciola, e il suo cuore pulsò all’impazzata.
«Sei così carina» una voce ruppe il silenzio. «Non ho mai avuto un animale
domestico, tu sarai la prima. Come potrei chiamarti?»
Io ho già un nome, la chiocciolina pensò tra sé, non rendendosi conto di parlare, in
realtà, ad alta voce.
«E quale sarebbe? Dimmelo!»
«Tu mi senti e capisci quello che dico?»
«Perché, non dovrei?»
«Sei un essere umano, giusto? Gli esseri umani non possono comunicare con noi
animali.»
«Io ci riesco. Mi chiamo Marco, e tu?»
«Il mio nome è Tessa» rispose la chiocciola con ancora un pizzico di incredulità.
«Tessa. Mi piace.»
In quell’istante, si spalancò la porta. Nella stanza entrò la donna che Tessa aveva
visto al piano di sotto.
«Sei pronto, Marco? È ora di uscire.»
«Mamma, io voglio andare al parco con i miei amici. Guarda, non piove più» il
bambino si avvicinò alla finestra.
«Più tardi verrà a prenderti zia Clara. Adesso dobbiamo proprio andare» la donna
fece un passo in avanti e allungò la mano, facendola scivolare in quella di Marco.
«Ti piace?» chiese lui mostrandole la chiocciola.
«È una…»
Il bambino non le diede il tempo di finire la frase.
«Una chiocciola. Si chiama Tessa. Posso tenerla, mamma?»
«Oh, santo cielo. Le chiocciole non sono animali domestici. E poi ora non avresti il
tempo di occuparti di lei.»
«Questo lo dici tu» il tono della voce di Marco si fece severo.
«Non ho voglia di discutere con te. Tienila pure.»
«Grazie, mamma» Marco l’avvolse in un tenero abbraccio.
Lei gli accarezzò la testa e fece un mezzo sorriso, ma le si leggeva chiaro in viso che
qualcosa la preoccupava.
Marco poggiò Tessa sul comodino della sua camera.
«Ci vediamo stasera, amica mia. Scusa se ti lascio da sola.»
«Non preoccuparti, Marco. Ti aspetterò.»
Il bambino lasciò la stanza e seguì la mamma che, nel frattempo, aveva raggiunto
l’auto parcheggiata lungo il vialetto.
Tessa guardò la porta chiudersi davanti a sé. Si ritrovò sola. Era la cameretta di un
bambino, non poteva che mettere allegria. Per terra erano sparse macchinine e
mostri, tipici giocattoli da maschio. Niente era al suo posto, perfino il letto era
rimasto disfatto.
Ma la piccola chiocciola non si sentiva affatto felice. Strisciò fino alla finestra e si
rannicchiò in un angolo, con la testa nascosta dentro la sua conchiglia. Iniziò a
singhiozzare.
«Chi è che fa tutto questo rumore?»
Tessa ascoltò quella voce, ma non ebbe il coraggio di rispondere. Provò a piangere in
silenzio.
Toc toc. Sentì bussare sul suo guscio.
La chiocciola rimase immobile e trattenne il respiro.
Toc toc. Qualcosa batté di nuovo.
La poverina era sempre più impaurita. Presto si rese conto di non avere altra scelta e
uscì allo scoperto.
Un piccolo verme tutto rosa la osservava curioso.
«Ce l’hai fatta a uscire» blaterò quasi spazientito.
«Che cosa vuoi da me?» domandò Tessa. «Potevi anche lasciarmi stare e proseguire
per la tua strada.»
«Questa è la mia strada. Vengo ogni mattina a fare compagnia a Marco, ma oggi
devo avere fatto tardi.»
«È un bambino molto dolce, Marco. Mi ha chiesto di restare nella sua camera. Vuoi
aspettarlo insieme a me?»
«Solo se prima mi dirai perché piangevi disperata.»
«Io non confido i miei segreti agli sconosciuti.»
«Hai ragione, non ci siamo ancora presentati. Mi chiamo Joy, e tu?»
«Tessa.»
«Adesso non siamo più estranei. Puoi parlare con me.»
«Questa non è una delle mie migliori giornate. Durante il temporale di stanotte ho
perduto la mia mamma. Non sono abituata a stare senza di lei.»
«Non ho visto altre chiocciole in giardino. Eppure, ho trascorso l’intera notte in una
delle aiuole, e per arrivare fino a qui le ho attraversate tutte.»
Tessa s’intristì e chinò la sua testolina. «Mamma era la mia migliore amica. Mi ha
insegnato che non tutti gli esseri che incontrerò lungo il cammino avranno buone
intenzioni.»
«E io come ti sembro?»
«Gentile e premuroso. Spero non sia solo una finzione, la tua.»
«Non lo è. Ma tua madre ti ha dato degli insegnamenti importanti.»
«Peccato non mi abbia insegnato a vivere senza di lei.»
Il silenzio prese il controllo. Joy non seppe dare una risposta alle parole di Tessa.
«I genitori sono un dono prezioso» continuò lei. «Avrei voluto dirle ancora tante
cose. Che le voglio bene, per esempio. Lo diamo così per scontato, ma dirlo non
costa niente.»
«Sono d’accordo, Tessa. Sei una chiocciola molto saggia. Marco apprezzerà il tuo
supporto.»
«Per cosa?»
«Sta attraversando un momento difficile. Vorrei fosse lui a parlartene.»
Tessa guardò Joy dritto negli occhi. «Non so se avrò il coraggio di chiederglielo.»
«Lo farà lui appena ne sentirà il bisogno.»
I due piccoli amici ritornarono dentro la stanza, dove trascorsero il resto della
giornata. Faceva caldo e il sole era ormai alto nel cielo di quella prima domenica di
giugno.
Tessa non parlò molto. Nella sua mente si facevano strada troppi pensieri. Chissà
che cosa sta succedendo a Marco, continuava a chiedersi.
Nonostante l’impazienza, resistette fino al suo arrivo.
Marco e sua madre rientrarono a casa quando la luna e le stelle abbellivano già il
cielo. Tessa e Joy sentirono rumori provenire dall’esterno e raggiunsero il davanzale.
Il vialetto era illuminato; videro tre persone scendere dall’auto.
Il bambino salì subito al secondo piano della villa e raggiunse la sua cameretta. I due
piccoli amici fecero per andargli incontro, ma lui si sdraiò nel letto, stringendo al
petto il suo peluche a forma di orsacchiotto.
Tessa non capiva. Marco le aveva chiesto di aspettarlo e lei lo aveva fatto.
«Vado a dirgliene quattro» bofonchiò la chiocciola. Era adirata.
Joy le bloccò la strada. «Temo sia accaduto il peggio. Diamogli un momento.»
D’un tratto il bambino scattò in piedi. I suoi occhi erano gonfi di lacrime, ma non ne
scese neanche una. S’inginocchiò per terra. Con una mano continuava a stringere
l’orsetto, con l’altra perlustrava sotto il letto.
«Dove ti sei cacciata, Tessa?» iniziò a dire a gran voce.
«Secondo te dovrei farmi avanti?» bisbigliò la chiocciola rivolgendosi a Joy.
Il piccolo verme le fece cenno di seguirlo; insieme strisciarono fino a Marco.
«Non mi hai abbandonato» esclamò il bambino. «Ci sei anche tu, Joy? Che bello
vederti.»
«Io e Tessa ci siamo conosciuti questa mattina. Ero venuto a salutarti, ma tu non
c’eri.»
Il viso di Marco si fece cupo. «Mamma ha voluto portarmi in ospedale. L’ho salutato,
Joy. Credo sia stata l’ultima volta.»
«Chi hai salutato?» intervenne Tessa.
Si fece giorno.
«Tessa, Joy, svegliatevi.»
Marco era euforico, quella mattina.
La chiocciola uscì dal suo guscio. Era spaventata. Anche Joy aprì gli occhi di
soprassalto.
«Buongiorno, Marco. Come ti senti oggi?» chiese Tessa.
«Bene, direi. Mamma è già uscita. La signora Marta è di sotto che prepara
la colazione. Salirà tra poco. Ha detto che ha un regalo per me.»
«Chi è la signora Marta?» chiese Joy, curioso.
«La nostra vicina. È una nonnina molto simpatica. Mi fa mangiare le caramelle di
nascosto.»
I due piccoli amici notarono che il bambino era stranamente felice e cominciarono a
preoccuparsi.
Non si può essere così allegri dopo la perdita di un genitore, pensò Tessa. Io non lo
sono.
Si sentirono rumori di passi provenire dal corridoio. Marco si precipitò ad aprire la
porta.
Una vecchia signora, di piccola statura e con i capelli bianchi raccolti in uno chignon,
teneva in mano un vassoio. «Ciao, caro. Posso entrare?»
«Sì, signora Marta. Dia a me il vassoio. Deve pesare molto.»
«Non così tanto» rispose lei sorridendo.
Si avvicinò al comodino per appoggiarlo.
Tessa e Joy indietreggiarono per paura di essere schiacciati.
«Aspetti» urlò il bambino. Con una mano afferrò i suoi amici. «Ora può
appoggiarlo.»
«Che cosa stringi tra le mani?»
Marco mostrò Tessa e Joy alla sua cara vicina.
«Sono davvero carini. Hanno un nome?»
«La chiocciola si chiama Tessa e il verme Joy. Loro parlano, signora Marta.»
L’anziana frugò in una delle tasche del suo vestito e tirò fuori un fiore.
«Tieni, caro. Questo è il mio dono per te.»
Marco prese il fiore. Sul suo viso comparve un velo di delusione.
La signora Marta riprese a parlare. «Osservalo bene, è molto raro e prezioso. Lo
chiamano il fiore delle emozioni. Ha cinque petali, ognuno di colore diverso. Non ha
bisogno dell’acqua e vivrà il tempo che servirà. Mettilo sul tuo comodino. Farà
compagnia a te e ai tuoi piccoli amici.»
«Grazie, signora Marta. È davvero una persona gentile. Lo tratterò con cura.»
«Ne sono certa. Adesso ti lascio fare colazione. Se quando avrai finito vorrai ancora
parlare, mi troverai di sotto. Se vorrai restare da solo, lo capirò.»
L’anziana strinse forte il bambino in un abbraccio. Lui ricambiò con tenerezza. La
donna lo salutò con un cenno della mano e gli strizzò l’occhio. Poi uscì dalla
stanza, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle.
Marco prese il vassoio e lo trasferì sulla scrivania. Poggiò lì anche il fiore e si sedette
a consumare la sua tazza di latte con i cereali al cioccolato, i suoi preferiti.
«Il mio papà ritornerà da me, lo so. Lui si risveglierà.»
Il bambino continuava a ripetere quelle parole all’infinito.
«Non può lasciarmi così. Non deve. Io ho ancora bisogno di lui.»
Tante lacrime inondarono il suo viso innocente, ma lui le asciugò subito.
Tessa e Joy lo raggiunsero. «Coraggio, piccolo amico umano» intervenne Joy. «Il tuo
papà non vorrebbe vederti così.»
Sonia svegliò Marco all’alba. Il bambino salutò Tessa e Joy, che ricambiarono il suo
affetto con parole di incoraggiamento.
«Sei una roccia, piccolo amico umano» gli disse Joy, trattenendo le lacrime con
fatica.
«Non ci saremo fisicamente, ma saremo presenti col cuore» aggiunse Tessa.
Lui fece un sorriso amaro e si allontanò dalla stanza in silenzio, portando con sé
l’adorato peluche.
«È solo un bambino» continuò Joy. «Era così felice fino a pochi mesi fa, quando il
suo papà stava bene.»
Il verme si voltò verso Tessa e vide le lacrime fuoriuscire dai suoi occhi.
«Ero così triste per Marco che mi sono dimenticato della tua perdita.»
«Non preoccuparti per me, me la caverò. Per gli esseri umani è diverso. Loro vivono
insieme ai genitori per lungo tempo. Quando non li hanno più, non riescono ad
accettarlo.»
I due amici rimasero in pensiero per Marco durante tutta la mattinata. Nel primo
pomeriggio il bambino fece ritorno a casa.
Era silenzioso e un velo di tristezza ricopriva il suo viso.
Poi, d’improvviso, si sfogò: «Mentre salutavo papà per l’ultimissima volta, mi sono
sentito in colpa. Mamma mi chiedeva ogni giorno se volevo accompagnarla in
ospedale, ma io avevo sempre degli impegni con i miei amici. Volevo essere felice
come lo erano loro. In quei momenti ci riuscivo. Ora, però, mi rendo conto che
quelle erano le ultime ore che avrei potuto trascorrere con lui. Adesso non posso più
tornare indietro.»
Marco si sedette per terra con la schiena poggiata contro il letto e le gambe al petto.
Nuove lacrime gli annebbiarono la vista.
Sollevò lo sguardo verso Joy e Tessa, che si trovavano sul comodino. Lo guardavano
con tenerezza. Dalle loro bocche non riusciva a farsi strada alcuna parola.
Il bambino si alzò e si avvicinò alla scrivania. Prese il fiore che gli aveva regalato la
signora Marta. Lo toccò e cadde a terra un secondo petalo, quello rosso.
Marco lo raccolse e andò a conservarlo dentro una scatola dove aveva riposto anche
il petalo nero.
«Quale magia è questa?» mormorò il bambino.
«Ci hai fatto caso, Marco?» intervenne Tessa. «Questo fiore perde un petalo ogni
volta che parli di tuo padre.»
«Forse dovrei smettere di parlare di lui.»
«Affatto!» lo rimproverò la chiocciola.
«Domani chiederò a mamma di invitare la signora Marta. Le chiederò di spiegarmi
perché mi ha regalato proprio questo fiore.»
Tra un sorriso, una lacrima e un senso di colpa, quella lunga giornata giunse al
termine. All’interno della villa regnava un silenzio quasi irreale. L’atmosfera era
pesante. Perfino le stelle erano coperte dalle nuvole, quella sera, e il buio
accentuava quel senso di inquietudine che affollava la mente di Marco.
Mercoledì
Il bambino non riposò bene durante la notte. Una miriade di emozioni lo perseguitò
fino al mattino.
Tessa e Joy, giorno dopo giorno, lo vedevano cambiare. Fino a quel momento non
aveva accettato la morte del suo papà e, addirittura, si era sentito in colpa per non
avergli donato la sua presenza nei giorni in cui ne avrebbe avuto più bisogno.
Marco si alzò dal letto gettando a terra coperte e cuscino. Perfino il suo peluche finì
sul pavimento. Lui lo guardò, ma non s’inchinò a raccoglierlo.
I due piccoli amici si fecero da parte. Capirono che la rabbia stava prendendo il
sopravvento nel cuore del loro amico umano.
Marco litigò con sua madre, quel giorno. Tessa e Joy sentirono le urla provenire dal
piano di sotto.
Quando tornò in camera sua il bambino chiuse forte la porta. Tirò fuori dai
contenitori dei giocattoli tutte le macchinine che gli aveva regalato suo padre e le
gettò dentro una busta.
A quel punto, Tessa si fece avanti. «Che cosa fai, Marco?»
«Pulizia» rispose lui.
«Marco, la signora Marta sta venendo da te» la voce di Sonia rimbombò per tutta la
casa.
Lui aprì la porta e si sedette sul letto ad aspettare l’anziana.
Lei arrivò poco dopo. «Ciao, caro» prese posto accanto a lui. «Tua madre mi ha
detto che volevi parlarmi.»
«Prima, sì. Adesso non più.»
«Qualcuno ti ha fatto arrabbiare?»
«Tutti mi fanno arrabbiare.»
«Anche io?»
«No, lei no.»
La signora Marta notò la busta con le macchinine. «E quella cos’è?» chiese,
indicandola.
«Stavo riordinando i giocattoli. Alcuni non mi servono più.»
La donna si alzò in piedi e si avvicinò alla busta. Infilò una mano e afferrò una
macchina. «Non sembra rovinata.»
«Lo so, ma non mi serve più. Niente di quello che mi ha regalato papà mi servirà più.
Può metterci dentro anche l’orsetto.»
«No, caro. Questi non sono solo giocattoli, ma ricordi. Ricordi di una persona
importante. Anch’io conservo tutti i regali che mi aveva fatto mio marito quando era
ancora in vita.»
«Io sono arrabbiato con mio padre. Mi ha lasciato solo, signora Marta. Non posso
vivere senza di lui. Sono troppo arrabbiato» Marco scoppiò a piangere.
«Non ogni volta che parli di lui, ma quando provi un’emozione diversa. Stai
elaborando il tuo lutto, tesoro. Ci vogliono cinque giorni per accettarlo. Anche se
non completamente.»
«Lei mi ha regalato questo fiore per aiutarmi?»
«Il fiore delle emozioni non si regala a chiunque.»
Marco si tuffò tra le braccia della donna. Lei gli accarezzò la testa e sorrise
compiaciuta.
«Ora devo proprio andare, caro. Se avrai ancora bisogno di me, saprai dove
trovarmi.»
«Arrivederci, signora Marta. Grazie.»
Marco dormì fino a tarda mattina. Le energie lo stavano abbandonando. Tessa e Joy
erano davvero preoccupati per il loro amico umano.
«Secondo te tornerà a essere felice?» domandò la chiocciola, osservando il bambino
che dormiva beato.
«Col tempo, sì. Non si dimenticano le persone che si amano. Ci si abitua, però, a
vivere senza la loro presenza fisica.»
«Hai ragione, ci si abitua» Tessa lanciò uno sguardo triste fuori dalla finestra.
Il bambino si voltò verso il comodino e si stropicciò gli occhi. Una nuova giornata
aveva inizio.
«Amici miei, non mi avete abbandonato un momento.»
«I veri amici restano con te nei giorni felici e, soprattutto, in quelli tristi» rispose
saggiamente Joy.
«Oggi rimarrei a dormire per tutto il giorno. Sono stanco e mi sento come se si fosse
creato un vuoto dentro di me.»
«Non è giusto che un bambino di undici anni si senta così» bisbigliò il verme
all’orecchio di Tessa. «A questa età si dovrebbe vivere senza pensieri.»
Marco, anche se a fatica, si mise in piedi. La madre entrò nella stanza pochi istanti
dopo.
«Dovresti prepararti per uscire.»
«Non ho voglia di andare da nessuna parte.»
«Neanche al cimitero a trovare papà?»
Il bambino esitò prima di rispondere. «Non ne sono sicuro.»
«Non puoi fare così, amore mio. Non mi abbandonare» lo supplicò lei.
«Mamma, la mia bocca si rifiuta di sorridere. Perché?»
«Sei triste, è normale che tu lo sia.»
Il fiore delle emozioni perse il suo quarto petalo: il grigio.
Sonia lo vide fluttuare, lo seguì con lo sguardo fino a quando toccò terra.
«E quel fiore dove lo hai trovato?»
«Me lo ha regalato la signora Marta. Perde un petalo ogni volta che io provo
un’emozione diversa.»
«Soltanto lei poteva inventarsi una storia simile» nelle sue parole si scorgeva un velo
di incredulità. Poi scattò in piedi. «Bene, ti aspetterò di sotto.»
«Ma mamma…»
Marco non riuscì a finire la sua frase perché lei lo interruppe bruscamente. «Niente
mamma. Tu verrai con me.»
La madre camminò a passo svelto, dirigendosi fuori dalla stanza.
Il bambino, senza dire una parola, raccolse il petalo e lo mise insieme agli altri.
Al fiore ne rimaneva solo uno, quello di colore giallo.
Tessa e Joy, in cuor loro, sapevano che la caduta di quel petalo non avrebbe certo
segnato la fine della sofferenza del loro amico umano, ma l’inizio dell’accettazione
per la morte di suo padre. Così non si sarebbe sentito più arrabbiato, triste e in
colpa.
Madre e figlio tornarono a casa stremati e visibilmente scossi dal dolore.
Sonia quasi si pentì di aver trascinato Marco in uno dei luoghi più tristi che esistano
al mondo.
«Scusami, amore. Io pensavo che portandoti lì sarebbe cambiato qualcosa.»
«Mamma, io sento papà più vicino di quanto tu possa pensare. Lui è qui» il bambino
prese la mano della madre e la poggiò sul suo cuore.
Sonia pianse a lungo. Per la prima volta fu Marco a consolare sua madre.
Anche Joy e Tessa non riuscirono a trattenere le lacrime.
Spesso si crede di fare la cosa giusta per aiutare gli altri, senza pensare che l’aiuto
più grande è concedere a ognuno la propria libertà di scelta.
Venerdì.