Sei sulla pagina 1di 9

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO

DIPARTIMENTO DI CULTURE, POLITICA E SOCIETÀ


CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN
COMUNICAZIONE INTERCULTURALE

DISSERTAZIONE FINALE

THOMAS LAMBO: SALUTE MENTALE E SINCRETISMO


METODOLOGICO AD ARO (NIGERIA)

RELATORE:
Prof. Roberto Beneduce
CANDIDATO:
Martina Calista
Matricola 777680

ANNO ACCADEMICO 2015- 2016


La malattia va intesa come una realtà simbolica
e la medicina come un’impresa ermeneutica.
[Arthur Kleinman]
INDICE

INTRODUZIONE………………………………………………………………..4

CAPITOLO I
Thomas Adeoye Lambo
1.1. Istituzioni coloniali e cultural psichiatry……………………………………11
1.2. Sofferenza e modernizzazione……………………………………………....14
1.3. La vita……………………………………………………………………….17
1.4. Il pensiero e il sincretismo metodologico…………………………………...24

CAPITOLO II
Aro Village e la psichiatria transculturale
2.1. Ospedale e Village System: il doppio volto dell'Aro Neuropsichiatric
Hospital…………………………………………………………………………31
2.2. Il Village Scheme e il contributo alla psichiatria transculturale……………40

CAPITOLO III
Nominare la malattia in Africa
3.1. Immaginare e incorporare significati………………………………………..49
3.2. L'universo simbolico yoruba………………………………………………...53
3.3. L'impresa ermeneutica della cultural psychiatry………………………………..64

CONCLUSIONI………………………………………………………………...73
INTRODUZIONE

Questa tesi nasce da un'epifania che mi ha riguardata personalmente ormai più di un anno fa e,
nonostante le ragioni che mi hanno condotta all'ambito antropologico-psichiatrico siano private, lo
scopo della mia tesi vuole essere la divulgazione di un pensiero e di una metodologia dal mio punto
di vista fondamentali per la cura e la comprensione dei disturbi mentali, guardandoli non come mera
materia scientifica, bensì anche come machine à communiquer di disagi profondi, culturali e
soggettivi in un'epoca che, forse tanto quanto ieri, genera sofferenza e alienazione.
È passato più di un anno da quando ho iniziato a ricercare informazioni relative ai disturbi
psichiatrici, indagandone la complessità e giungendo dunque a conoscere il dibattito che ancora oggi
ruota intorno alle psicosi. Il punto di partenza da cui si è mosso il mio interesse è stata la schizofrenia,
che a grandi linee può essere descritta come un grave disturbo psichiatrico che può determinare
riduzione del funzionamento lavorativo/scolastico e sociale e dell’autonomia esistenziale. […] La
cura deve essere tempestiva: la riduzione del periodo di psicosi non trattata, infatti, influenza
positivamente la prognosi; la cura, inoltre, deve comprendere, fin dal primo episodio, un trattamento
farmacologico, un trattamento psicologico individuale, una terapia familiare, un intervento
riabilitativo.1 Inutile aggiungere, in modo tutt'altro che oggettivo, annotazioni sulla poca positività
legata a questa sintomatologia e alle possibili terapie: se si fermasse una qualunque persona per strada
e le si domandasse che immagine associare alla psicosi, questa risponderebbe che è qualcuno che
ogni tanto dà di matto, che all'improvviso diventa fonte di pericolo per sé e per gli altri e da cui quindi
è meglio tenersi lontani.
Nella mia testa, però, ricordo di una volta in cui, in un piccolo pub della cittadina in cui abito, mi è
capitato di aver a che fare in prima persona con un ragazzo schizofrenico: aveva due enormi occhi
scuri che raramente incrociavano gli sguardi altrui, un'espressione composta nelle cui pieghe si
nascondeva il desiderio di esserci e un sorrisone timido che si accendeva a intermittenza chissà in
relazione a quali pensieri.
Mi ero avvicinata a lui semplicemente per chiedere un accendino: fa male fumare, se mai volessi fare
la cantante non potresti, lo sai? Avevo sorriso, nessuno mi aveva mai offerto una ragione simile per
incitarmi a smettere col tabacco. La voce di quel ragazzo si era imposta prepotente al centro della mia

1
Treccani, Dizionario di Medicina.
attenzione, stimolando quella curiosità insidiosa di chi percepisce che un'anomalia è in procinto di
manifestarsi e che per questa ragione, ha bisogno di sapere.
Ripensandoci è ancora nitido in me il momento in cui io e quel ragazzo abbiamo iniziato a scrutarci:
Davide era un compositore introverso, dalle frasi caotiche e a volte sconnesse, con la passione per il
pianoforte e il rimpianto di aver perso l'opportunità di proseguire i suoi studi al Conservatorio.
Inizialmente il suo talento era stato riconosciuto all'interno dell'Istituto e per questo, una volta entrato,
era salito subito di livello, senza il bisogno di frequentare i primi anni accademici. In seguito, però,
come lui stesso mi aveva confessato, il suo stile aveva iniziato ad avere la stessa forma dei suoi
pensieri e quindi non gli era stato permesso di terminare gli studi in quella struttura. Davide mi aveva
raccontato di quando ogni tanto finiva all'ospedale e tutti lo legavano perché non lo ascoltavano, di
un amore folle per una ragazza che non avrebbe più potuto contattare, del vuoto che lo circondava
perché il mio cervello va troppo veloce e si gira come vuole, del desiderio di conoscere tutto e
dell'impossibilità che aveva nel farlo stando sempre in casa a riposare. Il suo cervello, in effetti,
pareva estremamente complesso e capace di produrre e consumare energia in brevissimo tempo,
generando intelligenza e amnesie al contempo. Non so cos'avrei pensato di lui se nessuno, durante la
nostra conversazione, mi avesse sussurrato all'orecchio che Davide era schizofrenico; ancora oggi,
per lo più, quando ascolto il cd dei suoi componimenti che mi ha regalato e autografato, mi domando
come sia possibile che una malattia possa generare così tanta bellezza.
Sebbene esistano filoni psichiatrici che ritengono che la malattia mentale non esista e sebbene si
sappia che ancora oggi non vi è una teoria universalmente corroborata che possa spiegare l'origine di
ogni singola psicosi, il disagio mentale rimane, prima di ogni altra cosa, uno stigma sociale,
un'etichetta incollata grezzamente su corpi che comunicano identità perdute, la cui parola è loro
privata perché soffocata da sterili classificazioni presuntuose e incapaci di fornire dimensione
soggettiva alla sofferenza.
Il motivetto che sempre viene ripetuto di fronte a chi piange, a chi viene internato, a chi si ferisce e a
chi arriva persino a togliersi la vita, è che tutti soffrono: nulla può essere espresso di contro a
quest'affermazione, anche se, soprattutto all'interno degli istituti psichiatrici, sembra davvero che il
dolore venga trattato sempre nello stesso modo, sempre con gli stessi strumenti e sempre reiterando
le stesse dinamiche. È come se sotto alle mani le figure specializzate avessero appunto categorie fisse
e non, purtroppo, individui pensanti ed estremamente diversi gli uni dagli altri. Eppure se ci si
guardasse intorno anche soltanto passeggiando per il Balun, penso sarebbe palese rendersi conto delle
soggettività che abitano i corpi umani, che ne veicolano i gesti, i pensieri, le abitudini: l'esperienza
dei sensi è inevitabilmente mediata dai significati e dalle rappresentazioni 2 e i significati mutano al

2
Adriano Favole (2015): La bussola dell'antropologo. Orientarsi in un mare di culture, Laterza Editori, Roma, p. VI.
mutare delle circostanze in cui un individuo nasce e apprende la realtà a cui appartiene. In questo
senso la dimensione culturale acquisisce un ruolo determinante nell'analisi dell'uomo: è attraverso la
cultura che le persone danno significato all'esperienza e comunicano la propria sofferenza. Un
individuo che soffre è un individuo incapace di ritrovare la sua identità e lo studioso che consideri
l'evento singolare, e voglia cogliere il significato di questa crisi e dei conflitti psicologici che la
sostengono, dando scarso rilievo al contesto, rischierebbe di perdere di vista il movimento duplice e
incessante che sempre inteccia senso soggettivo, registro simbolico e ordine sociale.3
Forse influenzata da quel relativismo culturale di cui mi è stato tanto parlato fin dal primo giorno
universitario, in seguito a queste riflessioni è stato quasi automatico per me guardare alle patologie
privandole del loro guscio idiomatico in cui sono scomodamente circoscritte: la biomedicina sembra
non essere sufficiente a comprendere le dinamiche che risiedono dentro e attraverso i disturbi mentali
e l'antropologia potrebbe in questo senso supportare la scienza nella comprensione di tali dinamiche.
Non ovunque l'origine della sofferenza viene ricondotta alle medesime cause e non ovunque la cura
corrisponde ai canoni occidentali che sempre sono presentati come assoluti: gli assolutismi sono i
valori degli ottusi, sono la ragione per cui non ci si accorge che gli afflitti provano una costante
sensazione di inadeguatezza e di oblio; sensazione che raddoppia se a soffrire è, per esempio, una
donna africana immigrata che sente Mami Wata4 dentro sé. Come può un medico saper interpretare
la divinità in quanto elemento d'alterità e riconoscere i sintomi associati all'ipotetico delirio, se questi
non presenti del DSM-V? Come si può indagare le psicosi senza considerare la dimensione soggettiva
degli individui e la realtà culturale in cui sono immersi? E' da questi interrogativi che sono inciampata
in quell'agglomerato di fili che lega tra loro psichiatria e antropologia.
Il rapporto tra questi due saperi è da sempre fonte di complessi dibattiti, la cui ragione può essere
semplificata tenendo presente che entrambe le discipline possiedono il medesimo oggetto di studio:
l'uomo con la sua esperienza. Riuscire a individuare in modo nitido l'origine dell'incontro di questi
due campi d'indagine risulta ostico; se infatti venisse chiamato in soccorso uno psichiatra,
probabilmente egli menzionerebbe Emil Kraepelin, che con la sua attenzione alle variabili
psicologiche legate all'ambiente, cercò, già verso la fine dei XIX secolo, di comparare la propria
nosologia psichiatrica con altre realtà, alla ricerca di valori universali. Egli ebbe incontri fecondi per
i propri studi con l'antropologo americano Franz Boas5, e nel 1904 pubblicò una proposta

3
Roberto Beneduce (2002): Trance e possessione in Africa. Corpi, mimesi, storia, Bollati Boringhieri Editore, 2006 p.
28.
4
Mami Wata è una divinità diffusa in tutta l'Africa Occidentale ed è uno spirito delle acque dal valore ambivalente:
infatti è dotata di poteri che possono apportare tanto benefici quanto eventi nefasti.
5
Franz Boas (Minden, 9 luglio 1858, New York, 21 dicembre 1842) in La mente dell'uomo primitivo (1911) elabora
un'interessante definizione di cultura, che viene vista come la totalità delle reazioni e delle attività intellettuali e fisiche
che caratterizzano il comportamento degli individui che compongono un gruppo sociale in relazione al loro ambiente
naturale, ad altri gruppi umani, ai membri del gruppo stesso, nonché quello di ogni individuo rispetto a sé stesso.
programmatica di creare una nuova Psichiatria Comparativa.
Potrebbe in seguito saltar fuori anche la figura di Sigmund Freud, con la nascita di Totem und Tabu
del 1913: attribuendo alle proprie teorie carattere universale, egli inizia concretamente a stimolare
l'interesse dei viaggiatori.
A questo punto, se invece coinvolgessimo un antropologo, quasi certamente egli parlerebbe di
Malinowski e di Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi del 1927. La questione interessante, però,
è che tra questi perni delle scienze umane, tra i primi del '900, sono intercorsi differenti studiosi:
Ernest Jones, per esempio, neurologo fortemente affascinato dalla differenza etnica, è noto soprattutto
per il testo che pubblicò nel 1912 riguardante l'importanza del sale nella simbologia della
superstizione, testo che discusse con Freud e che ispirò proprio quest'ultimo nella stesura di Totem
und Tabu.
Fu poi Charles Seligman, medico di vocazione antropologica, che domandò a Malinowski di appurare
le teorie freudiane sul campo, alle Trobriand, come tra l'altro lo stesso Malinowski ricorda nella
prefazione del suo elaborato, dove nomina persino anche Jones, con il quale aveva avuto un aspro
dibattito sul complesso di Edipo.6

Come antropologo, sono più sensibile al fatto che le teorie ambiziose sui selvaggi […] dovrebbero fondarsi su
una conoscenza solida della vita primitiva tanto quanto gli aspetti consci e inconsci della vita umana. Dopo
tutto, né il matrimonio di gruppo, né il totemismo, […] né la magia avvengono nell'inconscio; sono tutti fatti
sociali e culturali concreti e per trattarli in termini teorici è necessaria un'esperienza che non può essere
acquisita in ambulatorio.7

È noto che in quel periodo, soprattutto in Gran Bretagna, l'antropologia stava passando un momento
di profondo cambiamento: ci fu un incremento delle partenze per il campo, inizialmente seguendo il
modello delle survey e in seguito ricercando un'esperienza etnografica intensiva e partecipante.
L'attenzione verso l'esplorazione dell'esotico dipendeva largamente dalle politiche di espatrio
sviluppatesi in quegli anni di colonialismo inglese. Africa, Asia, America erano quasi completamente
sotto il controllo britannico e per questo divennero le mete degli studiosi inglesi bramosi di imparare
a nominare l'altro. Essi iniziarono a orbitare istrionicamente intorno a significati a loro estranei,
ostracizzandoli: la relazione coloniale è ancora reificatrice dei dominati, sradicati dalle loro radici per
lasciar spazio al seme della modernità.
Se la psichiatria è la tecnica medica che si propone di consentire all’uomo di non essere più estraneo
al suo ambiente, scrive Frantz Fanon nel 1956, in Lettera al Ministro residente, ho il dovere di

6
Per un approfondimento: Bertrand Pulman, 1991: «Les anthropologues face à la psychanalyse», Revue Internationale
d'Histoire de la Psychanalyse vol. IV: 427-445.
7
Bronslaw Malinowski (1927): Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi, Bollati Boringhieri Editore, Torino.
dichiarare che l’arabo, alienato cronico nel proprio paese, vive in uno stato di totale
spersonalizzazione.
L'unico modo possibile per tamponare le ferite inferte dispoticamente ai popoli dominati, pare dunque
essere la restituzione della loro identità rubata, che risulta possibile se applicata a una metodologia di
cura che si impegna attivamente in tale scopo. Il sincretismo metodologico dello psichiatra nigeriano
Thomas Adeoye Lambo sembra in questo senso aver compreso quanto importante sia nella cura, la
compenetrazione di dimensione scientifica e culturale: con l'istituzione del primo villaggio
terapeutico africano in Nigeria, appena dopo la Seconda Guerra Mondiale, egli fonde insieme
medicina occidentale, terapie tradizionali e dimensione sociale, mettendo in moto un lento processo,
il cui obiettivo è quello di ridare dignità all'intera Africa.
Aro Village infatti è un luogo che, in contrasto con le politiche passate degli asylum e con la distruttiva
psichiatria coloniale, si erige sicuro al centro della storia della psichiatria e ne muta il paradigma; gli
operatori sanitari si trovano a collaborare con gli abitanti dei villaggi e con i guaritori tradizionali,
creando una rete di trattamenti nuova, che devia dall'ortodossia e sviluppa un sistema che tiene conto
del tradizionale sistema di credenze indigeno. I pazienti, invece di essere rinchiusi in anguste stanze
isolate, vengono ospitati nelle abitazioni delle famiglie yoruba e prendono parte concretamente alla
vita quotidiana nei villaggi: per Thomas Lambo questo è il più importante momento terapeutico,
poiché le persone hanno possibilità di sentirsi utili, di interagire e di contribuire concretamente allo
sviluppo economico del Paese. Inoltre, nelle società africane in particolare, il collettivismo è un
elemento portante del benessere psichico che non dovrebbe assolutamente essere escluso durante il
percorso riabilitativo; l'integrazione relazionale ha forse la più alta influenza sullo sviluppo di un
disturbo mentale.
Le considerazioni antropologiche sul modo in cui gli individui producono la loro visione del mondo
sono pertanto fondamentali nell'ambito della comprensione delle manifestazioni della sofferenza
psichica, nella sua interpretazione e, ovviamente, nella sua cura: l'interazione tra più discipline è
fondamentale per lo psichiatra nigeriano L'essere umano è un organismo sociale la cui cultura svolge
un ruolo primario sulla costruzione della sintomatologia psicotica, e per questa ragione è sempre bene
tenere presente nella diagnosi e nella cura il contesto in cui l'individuo afflitto vive il proprio disturbo.
L'oggettività può alcune volte essere un ostacolo nella ricerca della verità8, perché incapace di
indagare i soggettivismi di cui la realtà è intrinsecamente ricoperta.
I particolarismi di cui tanto parla Thomas Lambo in relazione alle psicosi, però, non devono essere
intesi in quanto segni di profonde differenze organico-genetiche: egli crede nell'universalità biologica

8
Thomas A. Lambo: «The role of cultural factors in paranoid psychosis among the Yoruba
Tribe», The Journal of Mental Science, 1955, vol 101, p. 241.
dell'essere umano e proprio per questo, con il Cornell-Aro Team, nel 1958 indaga e compara i diversi
disturbi che si presentano in Africa e in Canada, in vista di un esito definitivo che sradichi i pregiudizi
infondati della dominazione.
Attraverso gli elaborati, le intuizioni, l'amore per l'essere umano, Thomas Lambo è stato capace di
far in modo che psichiatria e antropologia si tenessero per mano, dimostrando alle comunità dell'epoca
i benefici che tutt'oggi ne potrebbero derivare.

Ho introdotto in Africa questa particolare forma di sincretismo metodologico: ho legato insieme cultura
tradizionale e cultura occidentale. I guaritori tradizionali adesso fanno uso di tranquillizzanti, clorpromazina e
altri farmaci psicotropi, combinati con psicoterapia, rituali e interpretazione dei sogni. Essi, inoltre,
somministrano antibiotici laddove i pazienti presentano pneumonia o infezioni toraciche. Ho cercato di
persuaderli che solo in casi estremi i pazienti devono essere trattenuti. Hanno iniziato a essere più moderni.
Hanno realizzato di essere capaci a sincretizzare entrambi gli approcci. Come non vi è un'unica religione, così,
anche, non vi è un'unica medicina. Vi sono molte medicine. 9

In un articolo che è stato per me impossibile ritrovare, avevo letto che egli, qualche mese prima di
morire, aveva espresso il desiderio di riprendere in mano il progetto di Aro Village, esauritosi nel
corso del tempo a causa di moltemplici ragioni, quali per esempio, problemi politici connessi alle
violenze e al succedersi dei regimi dittatoriali che hanno coinvolto la Nigeria, le difficoltà
economiche, i conflitti nella gestione dell'esperienza.
Quell'articolo con la sua evanescenza è stato per me un segno che ho voluto afferrare e che mi ha
forse illusoriamente spinta a continuare ad approfondire questo argomento, e oggi mi ritrovo a mettere
il punto su quello che è stato il mio percorso iniziatico all'antropologia.
Sperando di aver, nel mio piccolo, ricordato la determinazione e l'innovazione del pensiero del
professor Lambo, lascio a lui la possibilità di percepire, chissà da quale dimensione, che il suo
progetto, anche a distanza di mezzo secolo, è ancora tra le mani di qualcuno che desidera che la sua
cultural psychiatry sia oggi ancora più efficace e determinante di ieri.

9
Vicende bibliografiche narrate da Thomas A. Lambo e raccolte in Thomas A. Bass (1994): Reinventing the Future:
Conversations with the World's Leading Scientists, p. 81.

Potrebbero piacerti anche