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Un appartamento immerso nel buio. Rumore di chiavi. Serrature che scattano. La porta si apre.
Contro la luce ocra del corridoio si stagliano due ombre. La donna entra nella stanza. L'uomo
resta sulla soglia, esitante, con la valigia in mano. Lisa si precipita sulle luci e le accende una
dopo l'altra, impaziente di rendere il luogo visibile. Dopo aver illuminato tutto, indica
l'appartamento con un gesto circolare delle braccia, come se mostrasse una scenografia da lei
realizzata.
Lui guarda i mobili uno per uno, coscienziosa mente, poi scuote il capo, vinto, distrutto.
LISA: Niente?
GILLES: No.
Per nulla soddisfatta dalla risposta, lei gli fa posare la valigia, chiude la porta, lo prende
sottobraccio e lo conduce fino a una poltrona.
GILLES: Mica c'è solo la stoffa da cambiare. C'è anche una molla, qui, che mi pare piuttosto
aggressiva.
LISA: La molla intellettuale.
GILLES: Scusa?
LISA: Tu sostieni che una poltrona non è sana se non è scomoda. Quella molla che ti entra nella
chiappa sinistra la chiami la molla intellettuale, il pungolo del pensiero, l'aculeo della vigilanza!
GILLES: Cosa sono, un falso intellettuale o un vero fachiro?
LISA: Vieni, siediti alla tua scrivania.
Gilles la segue docile, ma esamina la sedia con diffidenza. facendovi scorrere sopra la mano
Quando si siede, si sente il cigolio del metallo, sospira.
Lisa sta zitta. Poi, visto che lui rimane in attesa, finisce per ammettere con tenerezza pudica:
Rasserenato dalla dichiarazione di Lisa, Gilles sposta la sua attenzione sugli oggetti che sono nel la
stanza, sfiorando con la mano quelli alla sua portata
Lei si siede accanto a lui e gli prende le mani fra le sue per calmarlo.
Lisa lo guarda con dolore, in silenzio. Gilles riflette ad alta voce, facendo una pausa tra una frase e
l'altra.
GILLES: Io sono amato? E amabile? Magari soltanto amabile. Sono uno sconosciuto. Anche a me
stesso. Non sono neanche sicuro di apprezzarmi, mi manca il materiale…
Alza le spalle. Lisa lo fissa in maniera strana Vorrebbe dire qualcosa ma si trattiene. Pausa.
Felice per un attimo di ritrovarlo, Lisa lo bacia sulla fronte. Gilles la trattiene per il braccio, le sue
labbra sfiorano quelle di lei.
GILLES (lentamente, sottovoce): Senti, ma... c'è intesa fisica tra noi?
LISA (nello stesso tono): Molta.
GILLES: Non mi stupisce.
GILLES: Perché?
LISA: E’ troppo presto.
GILLES: Potrebbe essere lo shock.
LISA: Anche per me.
GILLES: Non capisco.
Lei sí libera con fermezza, ma senza violenza. Disorientato, Gilles percorre con lo sguardo tutta la
stanza. Poi, come umiliato, afferra la valigia.
La domanda lo inchioda.
LISA (dolcemente): Non hai nessun posto dove andare. (Pausa) E casa tua, qui. (Pausa) Casa tua.
GILLES: Ci conosciamo?
GILLES: Sto scoprendo di essere un tipo decisamente formidabile, a parte una piccola lacuna nei
lavoretti domestici: buon marito, bravo amante, pittore, scrittore, inventore di teorie... (Smarrito) Mi
avrebbe fatto piacere conoscermi.
LISA (ammiccante): Ti saresti stato molto simpatico.
Divertita, lei lo squadra per qualche secondo godendo dell'espressione angosciata che gli si dipinge
sul volto. Poi concede:
LISA: Si.
GILLES (tranquillizzato): Uff!
LISA: Almneno per quanto ne so io,
GILLES: No, non ci sarebbe motivo.
LISA (maliziosa) Più che altro, se e mi hai tradito, significa che sei un maestro nell'arte della
dissimulazione.
GILLES: E sicuramente non è cosi.
LISA: O meglio, che hai il dono dell'ubiquità. Altrimenti non vedo come avresti potuto tradirmi.
Non uscivi quasi mai di casa. Stavi sempre a scrivere, a leggere o a dipingere. Come avresti fatto?
GILLES: Già, come?
LISA: Era importante la tua fedeltà, per me. lo non possiedo quella fiducia in me stessa che mi
consentirebbe di combattere giorno dopo giorno contro rivali o... contro sospetti.
GILLES: Eppure, mi dai l'impressione di essere attrezzatissima alla tua età... per la guerra. Poche
donne alla tua età...
LISA: Ecco, appunto, il mondo non è popolato sola di donne della mia età. A vent'anni ci si puo
permettere di ignorare gli anni che passano; dai quaranta in poi, l'illusione crolla; una donna si
rende conto dell'età che ha nel momento in cui scopre che esistono donne più giovani di lei.
GILLES: Io... guardo le donne più giovani?
LISA: Sì.
GILLES: E spaventoso, sto camminando sull'orlo di un precipizio. In ogni istante potrei venire a
scenza di particolari immondi che mi trasformerebbero in un mostro. Cammino sul filo, mi
mantengo nel presente, non ho paura del futuro, ma temo questo passato. Ho il terrore che sia
troppo pesante, che mi sbilanci, che mi travolga... Procedo verso di me senza sapere se sto andando
nella direzione giusta. Che difetti ho?
LISA (riflettendo): Tu... ne hai ben pochi.
GILLES: Vabbè... ma quali sono?
LISA: Non me ne viene in mente nessuno... L'impazienza! Ecco, l'impazienza.
GILLES: Brutta cosa…
LISA: Affascinante, invece. Quando torni a casa cominci a spogliarti in ascensore. Una volta hai
spogliato perfino me. Hai…
GILLES: Veramente?
LISA: Sì, sì. Abbiamo chiuso la porta appena in tempo.
GILLES: In tempo?!
LISA: No, mi sa che era già troppo tardi.
Ridono.
GILLES: Insomma, posso aspettare che mi torni la memoria senza preoccuparmi troppo?
GILLES: Sai, certe volte mi chiedo se la mia mente non lo faccia apposta a bloccarsi. Se non tragga
vantaggio dal non ricordare.
LISA: Che vantaggio?
GILLES: Il vantaggio di non sapere. Di proteggersi con l’ignoranza. Forse rifugge da una verità.
LISA (infastidita): Credi?
GILLES: Forse lo shock che ho ricevuto non era soltanto fisico... Ci sono tanti tipi di traumi…
Lui si rilassa.
Riscoprendo quelle frasi, l'emozione travolge Lisa, riportandola a un passato che la commuove,
facendole venire le lacrime agli occhi. Lui la osserva senza intervenire, cercando di capire. Lei si
lascia cadere su una sedia, come schiacciata dal peso dei ricordi.
GILLES: Lisa...
LISA: Scusami. Una folata di passato...
GILLES: Sono qua. Non sono morto.
LISA: No. Ma il passato sì che è morto. (Si sforza di sorridere fra le lacrime) Ti ho molto amato,
Gilles. Molto.
GILLES: L’hai detto come se dicessi: "Ho molto sofferto, Gilles, molto".
LISA: Forse. Non so amare senza soffrire.
GILLES (dolcemente): Ti ho fatto soffrire?
LISA (mentendo goffamente): No.
LISA: Che altro dire su di te? Adori andare in giro a fare shopping, cosa rara in un uomo; reggi
persino a stare un'ora in un negozio di scarpe da donna, roba che ti dovrebbero dare una medaglia.
Hai sempre un parere preciso su quello che mi provo, un parere da esteta, non da macho che veste la
sua donna a suon di bigliettoni. Certe volte ci diamo appuntamento nelle sale da tè.
GILLES: Mi piace il tè?
LISA: Da morire. Sembri deluso...
GILLES: Mi sarei detto più virile... I vestitini, i negozi, il tè... Tipo l'amica del cuore.
GILLES: C'è qualcosa che non torna in quello che mi racconti. Da una parte sembro un galletto
passionale, fissato col sesso, impaziente, impulsivo, coi pantaloni calati già dal terzo piano;
dall'altra sono fedele, fiducioso, mai geloso, pronto a passare interi pomeriggi tra boutique e sale da
tè: insomma, il classico amichetto omosessuale di ogni donna che si rispetti. Le cose non quadrano.
LISA: Eppure è cosi.
GILLES: "A Lisa, mia moglie, la mia coscienza, la mia coscienza sporca, il mio amore. Colui che la
adora ma non la merita, Gilles". L'uomo che ha scritto questa frase ha qualcosa da farsi perdonare.
O no?
LISA: No.
GILLES: No? "La mia coscienza, la mia coscienza sporca"?
LISA: Perché tỉ ho obbligato a lavorare, a essere più esigente con te stesso.
GILLES: E "Colui che non la merita"?
LISA: Ti sei sempre sentito inferiore a me.
GILLES: Io?
LISA: Un complesso certamente sociale, più che intellettuale. I tuoi genitori erano caciari, i miei
ambasciatori.
LISA (sorridendo): Del resto, avevi una battuta ricorrente sull'argomento: dicevi che quando uno
nasce nel camembert si sente per tutta la vita.
Colpito da tanta fredda precisione, lui ha un brivido. Lei sente il bisogno dí stemperare l'effetto e
aggiunge, con voce più calda:
LISA: Provvisoriamente. (Ritorna spensierata e compie un giro su sé stessa) Sono una vedova con
un'ambizione, una vedova che aspira a un grande avvenire: non esserlo più. (Lo bacia) Vedrai, la
memoria ti tornerà!
GILLES (quasi commosso): Perdonami.
GILLES: E’ dura essere costretto a fidarsi degli altri per sapere chỉ sei.
LISA: E’ cosi per tutti.
Bevono.
GILLES: Immagino che faccia uno strano effetto trovarsi di fronte uno sconosciuto che è tuo
marito.
LISA: E’ strano, sì. Ma anche rinfrescante. E per te?
GILLES: Io, più che altro, ho una gran fifa.
Lei ride.
GILLES: Do spago a una bella donna che non conosco, che mi sorride, mi porta a casa sua, mi fa
capire che tra noi tutto è possibile, visto che in fondo sono suo marito... E’ come l'attesa prima di
perdere la verginità.
Lisa ride e si versa un'altra dose di whisky. Beve in fretta, e Gilles lo nota.
GILLES: In fondo, non sarebbe male se restassi senza memoria almeno fino a che... Sarebbe come
una seconda notte di nozze.
Gilles sfrutta il momento di ascendente sensuale. Lisa lo lascia fare. Si toccano, emozionati. Ma di
colpo lei si libera.
La frase le è sfuggita, così come lo scatto. Si alza, è nervosa, non sa che pesci pigliare. Gilles,
rimasto solo sul divano, non capisce quell'improvviso voltafaccia.
LISA: Scusami.... Ti spiegherò.. Io.. Vado a riempire i bicchieri.
LISA: E allora?
Gilles riflette.
GILLES: Allora è questa la cosa orribile che dovevo ancora scoprire. L'alcol.
LISA (esasperata): Cosa, l'alcol?
GILLES: Vado avanti a whisky, mi rifugio nel bourbon, do di matto, deliro. Magari t'ho anche
picchiato!
LISA: Andiamo, stai dando troppa importanza a quello che ho detto. Ti piace berti un bicchiere o
due la sera, tutto qui.
GILLES: Non ci credo!
LISA: Ti dico di sì!
GILLES Lisa, credo che noi avevamo dei problemi e che tu ora stia cercando di minimizzarli.
LISA: Non avevamo nessun problema!
GLLES: Non essere infantile.
LISA: Non avevamo problemi. Non più di chiunque altro! (controllandosi) Certo che avevamo dei
problemi. I normali problemi di una coppia che sta insieme da tanti anni.
GILLES: Per esempio?
LISA: Il logorio. Ma è un fatto, più che un problema. E’ una cosa normale. Come le rughe.
GILLES: E che cosa si sarebbe logorato?
LISA: Il desiderio.
GILLES: E’ per questo che mi respingi?
Lisa si rende conto che le sue risposte si contraddicono. Respira a fondo per guadagnare tempo,
cerca le parole, poi rinuncia, irritata.
Si squadrano. Dato che lei sembra sul punto di arrabbiarsi, lui cede.
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GILLES: Vi divertivate tutti e due, eh? Per gli altri non doveva essere altrettanto divertente. (Pausa)
Ora sono io, l'altro.
LISA: Là.
Lo prende per un braccio e lo conduce fino alla scala di legno che porta al soppalco.
LISA: Scendendo ti sei girato bruscamente, hai messo il piede in fallo, hai perso l'equilibrio e sei
andato a sbattere con la nuca su quella trave.
Gilles ispeziona il luogo dell'incidente. Non gli suscita alcun ricordo. Sospira.
Gilles la fissa.
GILLES: E’ spaventoso..
LISA: Cosa?
GILLES: Non ricordare.
Scossa dalla rievocazione dell'incidente, Lisa scoppia a piangere. Lui la stringe a sé per calmarla,
ma invece di commuoversi con lei, continua a riflettere.
GILLES: Su... E’ stato un incidente... Non puoi sentirti in colpa per un incidente…
Non appena lei comincia a rilassarsi, lui la lascia per andarsi a sedere sullo sgabello della scrivania,
dove compie un giro su sé stesso.
GILLES: Praticamente sono diventato l'eroe dei miei romanzi, l'ispettore James Dirdy…
LISA (Correggendolo di riflesso): James Dirty.
GILLES: Dirty. Indago sul luogo del delitto per scoprire la verità.
LISA: Delitto? Che delitto?
GILLES: E’ un modo di dire, ma chissà che davvero non sia successo un delitto, qui!
LISA: Non scherzare, ti prego.
GILLES: Entrando non ho ricordato niente, però ho avuto la netta sensazione che qui fosse successo
qualcosa di grave. Era un momento di pazzia, un'intuizione? Forse era l'inizio di un ricordo.
LISA: È deformazione professionale. Scrivi gialli. Ti piace aver paura, congetturare, sospettare e
immaginare che il peggio debba ancora venire.
GILLES: Ancora venire? Avevo l'impressione che fosse passato.
LISA: Allora sei cambiato: dicevi sempre che ci aspetta il peggio.
GILLES: Sono pessimista?
LISA: Pessimista nel pensiero, ottimista nell'azione. Vivi come uno che crede nella vita e scrivi
come uno che non ci crede.
GILLES: II pessimismo è il privilegio dell'uomo che riflette.
LISA: Nessuno ci obbliga a riflettere.
GILLES: Neanche ad agire.
Si squadrano di nuovo, come nemici. Ognuno vorrebbe dire all'altro molto di più, ma nessuno ne ha
il coraggio.
GILLES: L'amnesia è strana. E’ come una risposta a una domanda che si ignora.
LISA: Quale domanda?
GILLES: Appunto, la sto cercando.
GILLES: Comunque sono sulle mie tracce. Certo, è strano che mi sia lasciato dietro cosi poche
tracce.
LISA (beffarda): Già, non è da te.
GILLES: Non lo trovo divertente.
LISA: Rilassati. Metti troppa aggressività nel frugare la tua mente. Non credo che questo ti aiuti.
GILLES (febbrile): Ho paura di ciò che devo ancora sapere. Ho paura di ciò che potrei essere stato.
LISA: Ma è assurdo, Eri un tipo... sei un tipo a posto.
GILLES: No, sento che non è così.
LISA: Se te lo dico io!
GILLES: No. Chi me lo garantisce?
LISA: Io.
GILLES: Non basta. Magari sono un bandito, un bandito cosi infame che non riesce nemmeno a
fare onestamente il suo disonesto mestiere, giustiziato in mezzo alla strada, a cui la moglie cerca di
far credere che ha avuto un incidente per fargli cambiare vita. Approfitti dell' amnesia per
redimermi.
LISA: Gilles!
GILLES: Forse sono un assassino non ancora sospettato e tu mi stai proteggendo non
raccontandomi niente. Oppure un maniaco stupratore di ragazzine, e tu...
LISA: Smettila! Perché ti vedi sempre cosi orribile?
GILLES: Perché ho la forte sensazione che alle mie spalle ci sia del male, un male denso, tenace.
LISA: Ti sbagli. E ti supplico di credermi.
GILLES: Ma scusa, metti che sia davvero come dico io: ti comporteresti esattamente allo stesso
modo, mi chiederesti di crederti. E faresti bene. Non stai sbagliando. Se fossi un degenerato, avresti
il dovere di approfittare della mia confusione mentale per cambiarmi, per convincermi che ero
diverso, per dotarmi di un passato migliore, inventarmi una personalità meno deviante.
LISA (ironica): È vero: ti invento, ti riciclo! Faccio il nuovo con il vecchio. Mi costruisco un uomo
migliore di quello che ho conosciuto, cancello i tuoi difetti nascondendoteli, ti infondo le qualità
che ti mancavano, ti riplasmo per la coppia perfetta, come piace a me. Sistemo all'istante la mia vita
coniugale, mantengo la facciata e rinnovo l'interno. Divertentissimo! Realizzo il sogno di ogni
donna: addomesticare il marito dopo quindici anni di vita in comune. Guardami bene: quella che hai
davanti non è un'infermiera, è una domatrice.
GILLES: Perdonami.
LISA: No! Non ti perdono più: passo alla frusta!
GILLES: Lisa..
LISA: In piedi! Seduto! E dopo mangiato, a dormire sul divano.
GILLES: No, Lisa. Questo no.
LISA: Cosa no?
GILLES (facendo i suoi famosi occhi da cane bastonato): Il divano. Il divano no, padrona.
Lei lo squadra e, improvvisamente, scoppia a ridere. Lui pure. Ritrovano la complicità. Lei si
avvicina per passargli la mano tra i capelli, quasi con tenerezza.
LISA: Non ti dico bugie, Gilles. Sei così come ti ho descritto. Un uomo. Un uomo che mi va bene.
Un uomo come a certe donne è dato incontrare.
Si baciano, questa volta abbandonandosi completamente, poi, come ubriachi, si lasciano cadere sul
divano.
Lei si alza, gli si mette davanti e lo osserva. Lui smette di protestare. Lentamente, lei capisce.
Si studiano. Girano uno intorno all'altra come belve che stanno per azzannarsi.
LISA: Io?
GILLES: Sì! Quei quadri sono i tuoi, sei tu che li dipingi! Quel Gilles che ti accompagna per negozi
ľ'hai inventato tu! Quel Gilles che non esce mai di casa e che non ti tradisce mai è quello con cui tỉ
piacerebbe dividere la vita, Lisa!
LISA (dolorosamente): Tu ricordi...
GILLES: No. L'unica cosa che ricordo è che non sono così!
LISA (lamentosa): Oh mio Dio, no, non ricominceremo daccapo!
GILLES: Cos'è che deve ricominciare?
Senza rispondere, Lisa si rianima. Avanza verso di lui, prende un cuscino e comincia a colpirlo
sulla faccia.
Lei cerca di liberarsi, ma quando si rende conto che nella sua domanda non c'è alcun sottinteso né
ironia, alza le spalle, rassicurata.
LISA: Scusami. Tu hai passato due settimane in ospedale con medici, infermiere e medicine per
rimetterti in sesto. Io sono stata qui, sola, a mangiarmi le unghie. Nessuno si è preso cura di me. Ho
bisogno di qualcuno che si occupi di me.
GILLES: La mia testa è un libro a cui mancano delle pagine. In particolare le ultime. Non ricordo il
giorno dell'incidente.
LISA: Per niente?
GILLES: Per niente. (La guarda negli occhi) Te lo giuro.
GILLES: Ho cominciato a riflettere. Ero sempre andato fiero di Piccoli crimini coniugali, ripetevo a
chi avesse orecchie per sentire che se mai si fosse dovuto conservare un mio libro, avrebbe dovuto
essere quello. E tu, lì, davanti a me, hai tranquillamente sostenuto il contrario.
LISA: D'accordo, ho spacciato un mio parere per tuo. E’ grave?
GILLES: No. Ma cos'e grave?
LISA (difendendosi): Piccoli crimini coniugali non ha avuto alcun successo.
GILLES: Altri miei libri non hanno avuto successo.
LISA: Piccoli crimini coniugali meno degli altri. Cè una differenza tra niente e meno che niente.
GILLES: Non ha importanza, Lisa. Quando un mio libro ti piace, non ti serve l'approvazione di
nessuno lo difendi con le unghie e con i denti contro chiunque.
LISA: E vero, io detesto Piccoli crimini coniugali e tu lo adori. Te lo richiedo: è grave?
GILLES: Piccoli crimini coniugali, una raccolta di storie brevi. O meglio, una raccolta di pessime
storie brevi, vista la teoria impregnata di pessimismo che vi è sviluppata. In questo libro ho dipinto
la coppia come un'associazione di assassini. Da principio li unisce la violenza, quel desiderio che li
porta a gettarsi l'uno sull'altra, che spinge il corpo di uno dentro quello dell'altra, quei colpi
accompagnati da rantoli, sudore e gemiti, quella lotta che solo per esaurimento di forze si risolve in
un armistizio chiamato piacere. Poi i due assassini, se intendono continuare la loro associazione
scegliendo la tregua del matrimonio, si alleano per combattere contro la società. Cominciano a
reclamare diritti, vantaggi e privilegi, ostentano i frutti delle loro risse, i figli, per ottenere silenzio e
rispetto dagli altri. E qui la truffa assurge a capolavoro! I due nemici, adesso, giustificano tutto in
nome della famiglia. La famiglia, alibi supremo delle loro millanterie! E come prima hanno fatto
passare i loro abbracci brutali e goduriosi per un servizio reso alla razza umana, così ora possono
distribuire schiaffi, calci e punizioni in nome dell'educazione, imporre la loro nocività, la loro
stupidità e il loro rumore. La famiglia, ovvero l'egoismo vestito da altruismo... Poi gli assassini
invecchiano, i loro figli se ne vanno per formare nuove coppie di assassini. Allora i vecchi
predatori, non avendo più valvole di stogo alla loro violenza, finiscono per prendersela l'uno con
l'altra, come quando si erano conosciuti, ma utilizzando altri colpi invece dei colpi di reni, ora i
colpi si sono fatti più subdoli, da vere carogne. Tutto è permesso in questa guerra: i tic, le malattie,
la sordità, l'indifferenza, il rimbambimento. Vince chi arriva a sotterrare l'altro. Ecco la vita
coniugale, un'associazione di killer che si accaniscono sugli altri prima di infierire su loro stessi, un
lungo cammino verso la morte che lascia la strada costellata di cadaveri. La coppia giovane è una
coppia che cerca di sbarazzarsi degli altri. La coppia vecchia è una coppia dove ognuno cerca di
sopprimere il partner. Quando vedete un uomo e una donna davanti al sindaco o al prete, chiedetevi
chi dei due sarà l'assassino.
GILLES: Il pomeriggio che mi hai mentito, mi sono reso conto che in fondo ero d'accordo con te.
(Si gira verso di lei) Odiavo quel libro senza saperlo. La tua bugia era la mia verità. La mia nuova
verità.
GILLES: Quel martedì ho deciso di rimanere zito e di lasciare che mi raccontassi quello che volevi.
Forse il Gilles Sobiri che mi avresti descritto, quello che rimpiangeva di aver commesso i Piccoli
crimini coniugali, si sarebbe rivelato migliore del precedente. Una versione corretta. Dovevamo
approfittarne. Il mio incidente sarebbe almeno servito a qualcosa. Mi sono trincerato nella mia
bugia, Lisa, per ascoltarti, solo per ascoltarti e capire con che tipo di uomo saresti stata bene.
LISA: Non è molto onesto.
GILLES: Cosa?
LISA: Il tuo comportamento.
GILLES: Tanto quanto il tuo. Però è istruttivo. Ho veramente ceduto alla voluttà di essere ricreato
dalla donna che amo. Avevo deciso che avrei cercato di somigliare a quello che volevi tu. Un
pezzetto di me vero, un pezzetto di me migliorato... Un marito secondo fabbisogno, un marito su
misura. Ma...
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LISA: Ma?
GILLES: Tanto per cominciare, la memoria mi stava tornando e avevo capito che di lì a poco le
cuciture della nuova personalità che mi stavi fabbricando addosso sarebbero saltate. E poi… non
capivo dove volevi arrivare. Non c’era coerenza.
LISA: Coerenza?
GILLES: Abbiamo dei problemi, questo è chiaro. Ciò nonostante, mi sono reso conto che in fondo
tu ami me per quello che sono. Non ami un altro.
Lisa sorride.
LISA: Allora?
GILLES: Allora è una buona notizia.
LISA: Ebbene?
GILLES: Ebbene, ne ho concluso che il problema non ero io, ma te.
LISA: Oh!
La stoccata, inaspettata e diretta, la lascia senza fiato. Gilles si dirige verso lo scaffale della libreria
dove si trovano i libri che ha dedicato a lei. Li rovescia tutti a terra.
Man mano che i volumi cadono, appaiono le bottiglie di alcolici che vi erano nascoste dietro. Lui le
prende.
LISA: Lo sapevi?
GILLES: Cinque bottiglie per quando sei giù di corda! Whisky da quattro soldi, per giunta. Roba da
alcolizzati! Una drogata vera e propria.
LISA: Lo sapevi?
GILLES: Da qualche mese.
LISA: Quanti?
GILLES: Devo ammettere che ti camuffi bene. Non ti si vede mai bere, e non ti ho mai beccato
ubriaca.
LISA (con fierezza): Mai!
GILLES: Come fai?
LISA: Ci sono esseri superiori.
GILLES: E una disgrazia reggere l'alcol cosi bene. Ho scoperto le bottiglie per caso, mettendo a
posto.
LISA (arrogante): Ah, perché metti anche a posto ogni tanto?
GILLES (correggendosi): Cercando un dizionario. Poi ho tí tenuto d'occhio, senza dire niente.
LISA: Smettila!
GILLES: No, non la smetto.
LISA: Lasciami stare, mi vergogno.
GILLES: Ti sbagli, Lisa. Sono io che mi vergogno. Io! Quando ho scoperto quelle bottiglie nascoste
dietro i libri, la tua vergogna è diventata la mia. Che problema hai con l'alcol?
LISA: Non ho un problema con l'alcol.
GILLES: Bevi.
LISA: Sì, bevo, ma non ho un problema conl'alcol. Ho un problemna con te.
GILLES: Quale?
LISA: Ce gente che beve per dimenticare. Non io. Con me non funziona. Io, al tuo posto, non sarei
riuscita a perdere la memoria. Neanche pigliando sulla testa il peggior colpo possibile, niente mi
può far perdere la memoria. La nostra memoria. Né due né tre né cinque bottiglie. Poi arrivi te con
il tuo bernoccolino…
Rendendosi conto che sta diventando cattiva, Lisa tace, confusa. Lui è altrettanto emozionato,
sinceramente emozionato. Visto che non riescono a comunicare, condvi dono lo stesso sconforto.
Lisa china la testa come un bambino abbando nato, con le lacrime agli occhi. Gilles va da lei e le
toglie il bicchiere di mano, lentamente. Lei lo lascia fare, poi si abbandona con gratitudine tra le sue
braccia, sollevata.
GILLES: Cosa c'è che non va tra noi? Cos'è che non va più?
Lei alza le spalle. Fare chiarezza su questo malessere le sembra un obiettivo troppo arduo. Si
siedono uno accanto all'altra, lui la carezza dolcemente, come si fa con gli animali, per
incoraggiarla a lasciarsi andare con fiducia.
LISA: Forse ogni cosa ha una fine, una sua durata. La coppia è... organica, sarà programmata come
un essere vivente. Morte genetica.
GILLES: Credi davvero a quello che dici?
Per tutta risposta, lei si soffia rumorosamente il naso, lui le carezza i capelli, ora con tenerezza.
GILLES: In questi ultimi tempi ho pensato molto al nostro primo incontro. Anzi, in ospedale è la
prima cosa di cui mi è tornata memoria.
Prima di rispondere, Lisa riflette. Una volta decisa, sceglie un tono freddo.
GILLES: E da prima che esamino questa scala senza riuscirea capire come ho potuto mancare uno
scalino qui e sbattere la testa là. Un volo estremamente difficile.
LISA: Ti proteggo, Gilles, come ti protegge il tuo cervello impedendoti l'accesso ai tuoi ricordi.
GILLES: Da che cosa mi proteggi?
LISA (con naturalezza): Ma da te. (Pausa) Da te.
Gilles rimane di sasso. Lisa sostiene il suo sguardo. Popo a poco lui indietreggia, sconvolto da ciò
che ha appena appreso. Lei ripete con calma:
Sollevata dalla confessione, Lisa si prepara un whisky e soda e si siede. Gilles è dietro di lei,
ammutolito.
LISA: Quando sei tornato, quel pomeriggio, mi hai trovato che stavo impacchettando le mie cose.
La valigia è ancora piena, del resto. Ti ho detto che me ne stavo andando. Anzi, per la precisione,
che ti stavo lasciando.
GILLES: Tu?
LISA: Ecco, hai reagito esattamente nella stessa maniera. Mi hai detto "Tu?" come se per tutta
l'eternità fosse scritto che se uno dei due poteva prendere il largo, dovevi essere tu e non io.
GILLES: Ma perché?
LISA: Già, infatti è stata la tua seconda domanda. (Si accende una sigaretta) Spero che la
somiglianza tra la discussione di oggi e quella dell'altra sera si fermi qui.
LISA: Quando sono scesa con la valigia, ti sei buttato su di me e hai cercato di strangolarmi. Io ho
provato a difendermi, ho preso la statuetta e…
Lisa interrompe la frase e comincia a piangere in silenzio. Gilles sembra più scioccato che pentito.
Scuote la testa, come se quel gesto potesse rimettergli le idee a posto e fargli tornare i ricordi. Dopo
qualche esitazione, si avvicina a lei e le prende la mano con dolcezza.
LISA: Qualche livido. E’ per questo che non mi hai visto, il primo giorno, all'ospedale.
Lisa annuisce sospirando. Gilles si guarda intorno come se fosse l'ultima volta.
Va verso la sua valigia rimasta vicino alla porta. Lisa solleva il volto, stupita.
LISA: No.
GILLES: Nessuno?
LISA: Nessuno.
GILLES: Ancora peggio. Addio.
Esce. Rimasta sola, Lisa sta male. Lungi dal darle sollievo, la partenza di Gilles la angoscia. Fa
qualche gesto disordinato, poi gli corre dietro e lo riacchiappa nel corridoio.
GILLES: E’ inutile, Lisa. Cosa vuoi che faccia? Che ti chieda di perdonarmi? Non potresti mai,
dopo quello che ho fatto.
LISA: Siediti. Si che posso. Rimani un minuto. Ho qualcosa da dirti.
Lui cede. Lei chiude la porta, soddisfatta di quel primo risultato. Gilles si siede. Lisa cerca le parole.
Gilles rimane zitto, scioccato. Ha bisogno di qualche secondo per riuscire a mormorare con voce
atona:
GILLES: Grazie.
Lisa sorride. Gilles pure, ma con maggior difficoltà, un sorriso stentato. Lui si alza. Lei vacilla per
la sorpresa.
Lei lo tratiene.
Lo obbliga a rimettersi seduto. Stordito, lui si lascia guidare senza opporre resistenza.
Gilles si massaggia la nuca dolorante, completamente disorientato dai continui voltafaccia di Lisa.
LISA: Allora?
GILLES: Allora...
Stavolta è Lisa che prende l'iniziativa di baciarlo, dandosi a lui come mai prima.
Sparisce in un'altra stanza, impaziente di farsi più bella. Gilles rimane solo. Fa un lungo sospiro. E’
molto emozionato, ciò nonostante è ben lontano dal provare l’allegria di Lisa. Pensa e si muove con
sofferenza. Tutto gli costa fatica. Pensieroso, va verso lo stereo, sceglie un disco e preme play. Un
jazz languido riempie la stanza. Ascolta la musica con attenzione, come se le note gli stessero
dettando qualcosa, un messaggio segreto. I suoi occhi hanno un bagliore. Ritrova energia, vigore.
Sa quel che deve fare. Riappare Lisa, bellissimna nel suo nuovo vestito, e si mostra a Gilles.
Quando gli passa davanti, Gilles la bacia sul collo. Lei lo lascia fare con voluttà. Poi tira fuori dalla
borsetta una trousse per ritoccarsi il trucco. Lui la osserva.
GILLES: Sono tornato tardi, verso le otto. Era tutto spento. Ho pensato che tu non fossi ancora
rientrata. Ho messo questo disco. Ho acceso questa lampada, sopra la mia poltrona con la molla
rotta, e ho aperto il giornale. Una volta seduto, ho sentito un rumore di stoffa dietro di me. Ho
pensato che l'aria stesse muovendo le tende. Mi sono rimesso a leggere. Poi c'è stato di nuovo un
fruscio di tessuto. Mi sono girato. Ho avuto giusto il tempo di vederti con qualcosa in mano, nella
penombra, poi ho preso il colpo.
LISA: Mi hai visto.
Lisa abbassa la testa, colpevole. Vorrebbe essere altrove. Non sa più che fare. I palmi delle sue
mani sfregano nervosamente la stoffa del divano. Poi con una mano prende al volo il libro. Lo apre
meccanicamente, fa una smorfia, poi lo restituisce a Gilles.
LISA: Piccoli crimini coniugali. Il tuo libro migliore, alla fin fine.
GILLES: Sì. Chi dei due sarà il primo a uccidere l'altro? (Pausa) Eppure avevo peccato d'ingenuità,
non ero arrivato a concepire che un coniuge potesse accusare l'altro di un delitto che ha commesso
lui. (Con un inchino) Brava, mi hai davvero superato.
LISA: Quando in una coppia s'instaura la violenza, poco importa chi la manifesta.
GILLES: I miei complimenti, avvocato! Uno spunto fantastico per l'arringa.
Lisa alza le spalle, ostile. Gilles le si avvicina e addolcisce il tono della voce.
LISA: Che ne sai, tu? Non volevo ucciderti, volevo solo smettere di soffrire.
Scoppia a piangere.
GILLES: Perché bevi? (Lei non risponde) Vuoi smettere di soffrire? (Lei fa di sì con la testa) Vuoi
diventare brutta, grassa, gonfia e fuori uso prima del tempo? (Lei fa di sì con la testa. Lui sorride)
Vuoi provocarmi? Vuoi che vada in giro con una donna gonfia come un popcorn che squadrerà le
altre pensando: "Dite quello che vi pare, alla fine è con me che sta"? (Lei fa di nuovo sì con la testa,
come una bambina) Dici di sì? Dici sempre di sì... Sì per far mi contento. Sì per quieto vivere. Sì
pur di non tirare fuori la verità. (Pausa) Dov’è che ti fa male? Sono convinto che tu sia incapace di
dirmelo, sennò non berresti di nascosto, non mi colpiresti alle spalle. Si fanno le cose che non si
riescono a dire. E però dovresti cercare di spiegarmelo…
Lisa fa un gesto di diniego. Lui insiste con dolcezza, come se Lisa fosse una bambina.
GILLES: A te sembra che sia molto difficile, invece è semplicissimo. Difficile è dirlo. Ma pensarlo
è facile, visto che ci pensi continuamente.
LISA (tra i singbiozzi): La nostra coppia…
GILLES (incoraggiante): Sì.
LISA: E’ importante per me, ma non per te.
GILLES (come prima): Non è vero, ma continua... Vai avanti…
LISA: Per te è solo una sistemazione pratica.
GILLES: Non è vero, ma continua.
LISA: L'amore è destinato a esaurirsi. L’hai scritto tu nel tuo libro, Piccoli crimini coniugali.
Orribile! Leggendolo avevo la sensazione di aver intercettato una conversazione che non avrei
dovuto sentire, una conversazione in cui tu parlavi male di me e dicevi un sacco di brutte cose su di
noi, una conversazione che mi faceva perdere ogni illusione. La decadenza dell'amore! Le termiti!
Quegli insetti che mangiano travi e pilastri. Non si vedono e non si sentono, continuano a
rosicchiare finché un giorno la casa crolla. Tutto era diventato vuoto senza che nessuno lo sapesse. I
sostegni, la struttura, tutto quello che avrebbe dovuto reggere i muri era stato scavato. Eccola, la
nostra coppia! L'amore viene rimpiazzato dalla pigrizia, le abitudini liberano i sentimenti
dall'impegno. Ha l'apparenza di una casa,ma le colonne non sono più di legno, sono di cartone, di
cartapesta. Tenerezza? All'inizio hai preferito me, ma mi preferisci ancora? Sostieni di amarmi, ma
ti piaccio ancora? Il fatto è che ci sono, quindi la domanda muore da sé, e con lei il desiderio. Non ti
va più di vivere con me proprio perché vivi con me. Non sono più la tua evasione, Sono la tua
prigione, mi sbatti contro, mi subisci.
GILLES: Ma io voglio continuare. Cioè, volevo…
LISA: Perché continuare? Anche su questo ho letto quel che scrivi. Uomini e donne restano insieme
solo per ciò che di più basso, vile e laido c'è in loro: l'interesse, l'angoscia del cambiamento, la
paura di invecchiare, il terrore della solitudine. Rattrappiscono, deperiscono, abbandonano lidea di
poter fare qualcosa della loro vita, si danno la mano solo per non andare da soli verso il cimitero.
Sei rimasto con me unicamente per delle pessime ragioni.
GILLES: Mentre tu, naturalmente, ne avevi di eccellenti, vero?
LISA: Sì.
GILLES: Quali?
LISA: Tu.
Sebbene scosso dalla violenza con cui lei gli dichiara il proprio attaccamento, Gilles non riesce a
non fare dell'ironia.
Lisa, la testa china, gli occhi a terra, mormora più per sé che per lui:
LISA: Quel giorno stavo malissimo, ero sola. Ho bevuto. Prima uno, tanto per aspettarti. Ma tu non
arrivavi. Cosi ho continuato. Più ti aspettavo, più mi mancavi. Più ti aspettavo, più lo facevi apposta
a ritardare. Più ti aspettavo, più tu mi prendevi in giro, mi disprezzavi, mi calpestavi! Il mio
ragionamento era lucido: se non mi dice mai che mi fa le corna, vuol dire che me le fa sempre; se
non mi parla mai di altre donne, vuol dire che ne vede in continuazione; se non lascia mai trapelare
indizi compromettenti, significa che è perfettamente organizzato. Bere vuol dire essere convinto di
aver chiuso la porta in faccia al nemico quando l'hai appena fatto entrare a casa tua e ce l’hai chiuso
dentro con i lucchetti del silenzio. Si beve per affogare un'idea, con l’unico risultato che l'idea
diventa un'ossessione. Cerchi di cancellare un sospetto, ma l'alcol lo rende più forte, più vivo, gli dà
tutta la scena. Cosi mi sono persuasa che mi stavi lasciando. Al primo bicchiere era una possibilità.
Alla fine della bottiglia ne ero certa. Quando sei arrivato, ero furiosa. Mi sono nascosta e ti ho
colpito.
GILLES: Hai pensato che stessi con un'altra donna?
LISA (chiusa): La cosa non mi riguarda.
GILLES: Hai pensato che stavo con un'altra donna?
LISA: Fai quello che vuoi, non ci tengo a saperlo.
GILLES: Tu hai pensato che ero con un'altra donna.
LISA: Siamo una coppia libera, tu vai dove ti pare e io pure. Su questo non si discute.
GILLES: Quindi l'hai pensato!
LISA: Ti prego. Non cercare di farmi credere che ero gelosa.
GILLES: Ma sì, invece. Semplifichiamo: eri gelosa.
LISA (fuori di sé): No!
GILLES: Su, su! Sarà pure antiquato, ma è cosi.
LISA: Non sono antiquata!
GILLES: Sì che lo sei. In società fai quella evoluta, ma in realtà non sopporti l'idea che io possa
toccare un’altra donna.
LISA: Che c'entra! Quelle sono scemenze che uno dice alle cene per avere l'aria smaliziata tra un
piatto e l’altro!
GILLES: Allora non sei di larghe vedute?
LISA: Neanche per sogno!
GILLES: Quindi sei gelosa.
LISA: Molto!
GILLES: Quindi non siamo più una coppia libera?
LISA: Solo in teoria. In maniera molto astratta. Tra la frutta e il caffè. Il resto del tempo, no.
GILLES: Non sono d'accotdo.
LISA (Con violenza): Nemmeno io sono d'accordo con me stessa. E sai perché? Perché non ho un
cervello, Gilles, ma due! Due cervelli. Quello moderno e quello arcaico. Quello moderno rispetta la
tua libertà, s’inebria di tolleranza, dà prova di comprensione in modo molto sofisticato, mentre
quello arcaico ti vuole solo per me, rifiuta di condividerti, sobbalza alla prima telefonata non
identificata, fa congetture di fronte a un conto di ristorante che non sa spiegare, si preoccupa al
minimo cambiamento di profumo, s’inquieta se riprendi a fare sport o compri un vestito nuovo,
sospetta di un tuo sorriso mentre sogni, la notte, progetta un omicidio alla sola idea che un’altra
donna ti baci, che due braccia ti circondino il collo, che due gambe si aprano sotto di te… C’è un
serpente annidato nel fondo di me stessa, con gli occhi gialli e penetranti, vigile, che non riposa
mai, e sono io, Gilles, sono sempre io. Non bastano corsi intensivi e duemilacinquecento anni di
educazione, non potrai mai strapparmi ciò che di animlae, d’istintivo c’è nell’amore.
GILLES: Lisa, la coppia è una casa i cui inquilini hanno la chiave. Se li chiudi dall’esterno, la casa
diventa una prigione, e loro prigionieri.
LISA: Hai presente quelli che pur di evadere escono in continuazione, ecco, tu sei così.
GILLES: No.
LISA: Ti vedi con altre donne, hai appuntamenti, sei malato di desiderio.
GILLES: La mia salute sei tu. Mi viene la febbre solo all'idea di un incontro galante.
LISA: Ti ammali spesso, allora.
GILLES: Questo è quello che credi tu. Non ne sai niente.
LISA: No. Ma immagino...
GILLES: Sai o immagini?
LISA (urlando): Immagino! Ma è uguale. Fa male lo stesso!
GILLES: Forse anche di più. (Pausa) Altro che termiti! Lo so io dove sono, le termiti: nella tua
zucca.
LISA: Che altro posso fare? Non mi dici mai niente!
GILLES: Raccontare tutto mi sembrerebbe irrispettoso. Comunque, guarda, avevi ragione su quella
sera: ero con una donna.
LISA (trionfante): Ah! Lo vedi?
GILLES: Ero con Roseline, il mio editore.
LISA (Spiazzata): Roseline?
GILLES: Sì. L'enorme Roseline, la donna dalla circumnavigazione impossibile. Quella che tu
definisci graziosamente la vacca senza corna.
LISA: Beh, è vero che non ha le corna, no?
Gilles e Lisa si guardano e scoppiano a ridere. E’ una risata breve, ma li distende un po'.
GILLES: Riassumendo, sono colpevole della tua immaginazione. Il processo si è svolto qui senza di
me, senza contraddittorio, senza difesa, tra due bottiglie di whisky ficcate dietro i miei libri. Il
Gilles virtuale delle tue fantasie non ti filava abbastanza, se ne fregava di te per andarsi a buttare tra
le braccia delle altre, cosi mi hai accoppato! Il problema è che la botta non l’hai data a una testa
immaginaria, l’hai data a me.
LISA: Scusa.
GILLES: È anche vero che le altre volte te la prendevi con te stessa, ingurgitando veleno. Si vede
che stavolta toccava a me.
LISA: Scusa.
GILLES: Forse sei fatta solo per le storie corte. le storie che cominciano.
LISA (protestando): No.
GILLES: Dentro di te c'è qualcuno che si rifiuta di invecchiare con me, qualcuno a cui piacerebbe
che la nostra relazione finisse.
LISA: Non è vero.
GILLES: Mi sa di sì, invece. Mi sa che preferisci le storie che si riescono a gestire: forse non
sopporti l'abbandono.
LISA: L’abbandono?
GILLES: Sì, che le cose ti sfuggano di mano. Che le situazioni siano troppo forti. Che i sentimentí
siano troppo grandi per te. Se si vuole essere sicuri di tutto, bisogna accontentarsi di storie corte. Di
legami delimitati chiaramente, riconoscibili, con un inizio, un mezzo, una fine e un percorso
segnato da tappe ben precise: il primo sorriso, il primo scoppio di risa, la prima notte, il primo
litigio, la prima riconciliazione, la prima seccatura, il primo malinteso, le prime vacanze andate
male, la prima separazione, la seconda, la terza e poi la separazione vera. Dopo si ricomincia.
Uguale, ma con qualcun altro. Viene definita una vita piena di avventure, ma in realtà più che
avventurosa è una vita in serie. Non è sensato amare sempre, amare a lungo, è follia pura. La cosa
più ragionevole è amare finché è gradevole. Si chiama razionalismo amoroso: amarsi finché durano
le nostre illusioni; appena crollano, lasciarsi. E appena abbiamo a che fare con persone reali, non
più con immagini della fantasia, separarsi.
LISA: No, no, questo no.
GILLES: E’ contro natura amare per sempre, amare a lungo.
LISA: Non è vero.
GILLES: Per fare in modo che duri bisogna accettare l'incertezza, bisogna avanzare in acque
pericolose, avventurarsi là dove si procede solo con la fiducia, riposarsi galleggiando su onde
contraddittorie, certe volte di dubbio, certe volte di fatica, certe volte di serenità, ma mantenendo
sempre la rotta.
LISA: Tu non ti scoraggi mai?
GILLES: Altroché.
LISA: E allora?
GILLES: Ti guardo e mi chiedo se malgrado i miei dubbi, i miei sospetti, le mie inguietudini e la
mia stanchezza ho davvero voglia di perderti. E la risposta mi viene sempre. Sempre la stessa. E
insieme a lei mi viene il coraggio. Amare è irazionale, è una tantasia che non appartiene alla nostra
epoca, non si giustifica, non è pratico, la sua unica giustificazione è che c'è.
LISA: Se mai arrivassi ad aver fiducia in te, smetterei di aver fiducia in me stessa. Mi riesce
difficile avere fiducia.
GILLES: "Avere" fiducia! Non si può “avere” fiducia. La fiducia non si possiede. Si dà. Si "dà"
fiducia.
LISA: E’ proprio quello, che non mi riesce.
GILLES: Perché ti poni come spettatrice, come giudice. Ti aspetti qualcosa dall'amore.
LISA: Sì.
GILLES: Invece è lui che aspetta qualcosa da te. Tu vorresti che l'amore ti dimostrasse che esiste. È
una strada sbagliata. Tocca a te dimostrare che esiste.
LISA: Come?
GILLES: Dando fiducia.
Lisa capisce, ma non può ammettere né accettare ciò che dice Gilles. E’ oppressa da un senso
d'insicurezza. Non sa che fare di sé stessa, del suo corpo.
Aspetta un cenno di approvazione da parte di Gilles, ma lui non reagisce. Lei insiste.
Gilles non batte ciglio. Lei sale la scala e scende con la valigia, fermandosi tuttavia davanti a lui.
GILLES: Ricordo tutto. E’ da quando ho ripreso coscienza sulla barella che sono tornato ín me.
Non ho mai perso la memoria.
LISA: Cosa?
GILLES: L'amnesia era un modo per indagare, per capire, volevo scoprire perché mi odiavi tanto da
farmi fuori. L'amnesia era un trucco per tornare, per ritrovarti. Ti ho mentíto, ma per amore.
GILLES: Dopo quindici anni c’era rimasta solo lo menzogna per arrivare alla verità.
LISA (Aggressiva) La verità? Eccola, ora la sai, la verità! E allora? Che ci fai con la verità? Eh?
Che ci fai? Niente!
GILLES: Forse in una coppia quello che bisogna condividere non è la verità, ma il mistero. II
mistero che mi piaci. Il mistero che ti piaccio. Il mistero che non passa.
LISA: Passerà!
Lisa si versa un whisky e lo trangugia d'un fiato. Poi prende la valigia e va verso la porta.
Colpita dall'idea, Lisa si ferma sulla soglia. Poi si gira con rabbia.
Furiosa per la provocazione, Lisa afferra la bottiglia, se la porta alle labbra e la scola fino all'ultima
goccia.
Apre la porta.
GILLES: Gli uomini sono pusillanimi, rifiutano di vedere i problemi che hanno, vogliono
continuare a credere che tutto vada bene. Le donne non girano la testa dall’altra parte.
LISA: Scrivilo nel tuo prossimo libro, guadagnerai lettrici.
GILLES: Le donne affrontano i problemi, Lisa, però hanno la tendenza a credere di essere loro
stesse il problema, pensano che l'usura della coppia dipenda dall'usura del loro potere di seduzione.
Si ritengono responsabili, colpevoli, si fanno carico di tutto.
LISA: Gli uomini peccano di egoismo. Le donne di egocentrismo.
GILLES: Uno a uno. Niente di fatto.
LISA: Zero a zero. Niente di niente. Addio.
GILLES: Sono tornato, Lisa, sono tornato qui, nella nostra vita, nella nostra coppia. E’ vero, dopo
l'incidente non ho perso la memoria, ma prima dell'incidente sì che l'avevo persa. L'avevo persa
perché passavo i miei giorni e le mie notti con te ma mi raccontavo una storia diversa. L’avevo
persa perché mi eccitavo con te ma mi guardavo sfacciatamente intorno alla ricerca di altre donne.
Persa perché per te provavo un sentimento ineguagliabile ma preferivo parlare delle mie piccole
pulsioni. Persa perché in fondo ero fedele, ma mi sarei fatto tagliare la gola piuttosto che
ammetterlo. Ti adoravo e dimenticavo di dirtelo. Non sono che un uomo, Lisa, e la caratteristica
degli uomini è che rifiutano il loro destino. Preferiscono la libertà. Ma cos'è una libertà che non
agisce? È una libertà cava, vuota, senza consistenza, una libertà che non sceglie, una libertà
velleitaria, una libertà preventiva. Gli uomini vagheggiano la libertà, più che utilizzarla. La
ripongono con attenzione su una mensola, più che farne uso. E là lei si secca, si incartapecorisce e
muore molto prima di loro. Perché la libertà esiste solo se uno se ne serve. Sotto sotto gli uomini
sono romanzeschi: vivono qualcosa e si raccontano tutt'altro. Alla loro vita ne sovrappongono
un'altra segreta, immaginata, di cui sono i poeti muti. Ero tra le tue braccia, felice per la
milionesima volta, e mi vedevo predatore in grado di sedurre tutte le donne. È dal giorno stesso che
abbiamo comprato questa casa che mi riservo la possibilità di prendere il largo in qualsiasi
momento. Marinaio a terra e stanziale sul mare. Innamorato, mi volevo senza pastoie. Sposato, mi
desideravo infedele. Ero doppio, Lisa, doppio e fiero di esserlo. Camminavo al fianco di me stesso
incapace di trarre soddisfazione dalla realtà, incapace di meravigliarmi, abitando da qualche parte
solo per poterne evadere. Non riuscivo a dirti quanto ti amavo: sarebbe stato come mettere le
manette al mio doppio. Ammettere che la nostra coppia era la mia avventura più grande avrebbe
permesso al mio doppio di sfottermi. Ora sono tornato. Eccomi, ho lasciato il mio doppio
all'ospedale. E’ morto con la botta in testa. Pace all’anima sua tormentata. Nessuno lo rimpiange.
(La guarda addolorato) Ti amo, Lisa. Sono geloso di quello che hai fatto per noi. Ti amo perché non
sei tenera. Ti amo perché mi tieni testa. Ti amo perché sei capace i colpirmi. Ti amo perché rimarni
sempre una bella straniera. Ti amo perché fai l'amore con me solo se ti va davvero.
LISA: E se ti ammazzo?
GILLES: Se devo morire, voglio che venga da te. Il tuo non esserci non mi fa morire, mi avvelena.
Ti prego, resta, resta con me. Non voglio nessun'alta donna, nessun altro assassino.
LISA: Addio.
Esce. Rumore di passi che si allontanano. Rimasto solo, Gilles esita. Non sa che fare. Poi decide di
spengere tutte le luci, come se andasse a dormire. Lascia accesa solo la lampada che illumina la sua
poltrona. Passando vicino allo stereo, rimette lo stesso pezzo di jazz, poi va a sedersi nel cono di
luce, pensieroso. Lisa rientra lentamente, timorosa, titubante. senza la valigia. Lui la sente, ma non
si gira apposta. Aspetta. Lei gli arriva alle spalle.
LISA: Temo di aver vomitato sulla tua macchina.
Gilles è felice, ma controlla la sua emozione. Senza guardarla, decide di risponderle con
naturalezza, rifacendo la scena del loro primo incontro.
GILLES: Comunque, quel colore non mi è mai piaciuto. L'avrei preferita più... originale.
LISA: Ora è unica!
Ridono. Lisa capisce che può continuare così, su questo tono leggero. Dice le battute che la prima
volta erano di Gilles.
Si sorridono.