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Piccoli Crimini Coniugali

Un appartamento immerso nel buio. Rumore di chiavi. Serrature che scattano. La porta si apre.
Contro la luce ocra del corridoio si stagliano due ombre. La donna entra nella stanza. L'uomo
resta sulla soglia, esitante, con la valigia in mano. Lisa si precipita sulle luci e le accende una
dopo l'altra, impaziente di rendere il luogo visibile. Dopo aver illuminato tutto, indica
l'appartamento con un gesto circolare delle braccia, come se mostrasse una scenografia da lei
realizzata.

LISA: Allora? L'uomo scuote la testa.

Lei insiste, tesa.

LISA: Ma sì! Non avere fretta. Concentrati.

Lui guarda i mobili uno per uno, coscienziosa mente, poi scuote il capo, vinto, distrutto.

LISA: Niente?
GILLES: No.

Per nulla soddisfatta dalla risposta, lei gli fa posare la valigia, chiude la porta, lo prende
sottobraccio e lo conduce fino a una poltrona.

LISA: Questa è la tua poltrona. Ti metti sempre qui a leggere.


GILLES: Ha l'aria a pezzi.
LISA: T'avrò detto mille volte che la stoffa va cambiata, ma la tua risposta è sempre stata che
dovevo scegliere fra il tappezziere e te.

Gilles si siede sulla poltrona. Fa una smorfia di dolore.

GILLES: Mica c'è solo la stoffa da cambiare. C'è anche una molla, qui, che mi pare piuttosto
aggressiva.
LISA: La molla intellettuale.
GILLES: Scusa?
LISA: Tu sostieni che una poltrona non è sana se non è scomoda. Quella molla che ti entra nella
chiappa sinistra la chiami la molla intellettuale, il pungolo del pensiero, l'aculeo della vigilanza!
GILLES: Cosa sono, un falso intellettuale o un vero fachiro?
LISA: Vieni, siediti alla tua scrivania.

Gilles la segue docile, ma esamina la sedia con diffidenza. facendovi scorrere sopra la mano
Quando si siede, si sente il cigolio del metallo, sospira.

GILLES: Ho anche una teoria sulle sedie che scricchiolano?


LISA: Certo. Mi hai sempre vietato di metterci una goccia d'olio. Sostieni che ogni scricchiolio è un
campanello d'allarme. Lo sgabello arrugginito ha un ruolo attivo nella tua lotta contro la rilassatezza
universale.
GILLES: Ma che ho delle teorie su tutto?
LISA: Quasi. Non sopporti che ti metta a posto la scrivania,e chiami il caos in cui ammassi le tue
carte "ordine di archiviazione storica". Affermi che una libreria senza polvere è una libreria a da
sala d'attesa. Pretendi che le briciole non siano sporcizia, dal momento che noi mangiamo pane.
Anzi, ultimamente hai persino sostenuto che le briciole sono le lacrime del pane, che piange quando
noi ne stacchiamo un pezzetto; conclusione: letti e divani sono pieni di dolore. Non cambi mai le
lampadine fulminate con la scusa che per qualche giorno bisogna portare il lutto della luce. In
compenso, dopo quindici anni di studi e vicinanza coniugale sono arrivata alla conclusione che le
tue molteplici teorie possono essere raccolte sotto un'unica, fondamentale tesi: non fare un accidenti
in casa!

Lui ha un sorriso desolato, dolcissimo.

GILLES: E’ un inferno vivere con me?

Lei si volta verso di lui, sorpresa.

LISA: Mi fai commuovere se mi dici cosi.


GILLES: Questa non è una risposta.

Lisa sta zitta. Poi, visto che lui rimane in attesa, finisce per ammettere con tenerezza pudica:

LISA: Si. è un inferno. Ma... in un certo senso.. è un inferno a cui tengo.


GILLES: Perché?
LISA: C'è calduccio…
GILLES: Sempre, all'inferno.
LISA: E c’è il mio posto…
GILLES: Uhm... lucidamente luciferina!

Rasserenato dalla dichiarazione di Lisa, Gilles sposta la sua attenzione sugli oggetti che sono nel la
stanza, sfiorando con la mano quelli alla sua portata

GILLES: E’ strano... mi sembra di essere un neonato. Da quando... A proposito, da quando?


LISA: Quindici giorni…
GILLES: Di già?
LISA: A me è sembrato un sacco di tempo.
GILLES: A me per niente. (Tra sé) Una mattina mi sveglio all'ospedale con la bocca impastata
come se fossi appena uscito dal dentista, le guance che mi formicolano, la testa fasciata, il cranio
che mi scoppia. "Che ci faccio qua? Ho avuto un incidente? Sono ancora vivo, a quanto pare".
Sensazione di sollievo del risveglio. Continuavo a toccarmi, come se mi avessero appena restituito
il corpo. Le ho già raccontato…
LISA (correggendolo): Ti!
GILLES (correggendosi): Ti ho già raccontato la storia dell'infermiera?
LISA: La storia dell'infermiera?
GILLES: Un'infermiera apre la porta. "Lieta di vederla con gli occhi aperti, signor Sobiri". Io mi
volto per vedere con chi ce l'ha e scopro che sono solo nella stanza. Lei insiste: "Come si sente,
signor Sobiri?”. Ha l'aria sicura di sè. Io sono stanco morto, raccolgo le forze e le e rispondo
qualcosa. Quando se ne va, mi trascino fino al fondo del letto e afferro la scheda della temperatura:
anche lì c’è scritto quel nome, Gilles Sobiri. "Perché mi chiamano cosi? Chi si è sbagliato?". Sobiri
non mi dice niente, ma allo stesso tempo non riesco a darmi un'altra identità, mi vengono in mente
solo nomi dell'infanzia, Topolino, Winnie Pooh, Pinocchio, Biancaneve. Allora mi rendo conto che
non so più chi sono, che ho perso la memoria. Questa memoria. La memoria di me. In compenso
ricordo l'alfabeto greco, tutte le declinazioni latine, le coniugazioni russe e le tabelline. Me le ripeto.
Mi dà sicurezza. Il resto tornerà. Non è possibile che sia in grado di recitare ala perfezione la
tabellina dell’otto - notoraiamente la più difficile – e non sappia chi sono. Cerco di non farmi
prendere dal panico. Arrivo persino a convincermi che è la fasciatura che, stringendomi troppo le
tempie, mi comprime la memoria; quando me la toglieranno, tutto tornerà a posto. Arrivano medici
e infermiere. Li metto al corrente della mia amnesia. Loro mi ascoltano con gravità. Espongo la mía
teoria della fasciatura. Evitano di contraddire il mio ottimismo. Qualche giorno dopo un'altra
infermiera, una bella donna, senza camice, entra nella stanza. "Carina, la nuova!" penso. "Chissà
perché rimane in borghese". Lei non parla, mi guarda sorridendo, mi prende la mano e mi carezza le
guance. Mentre sto li a chiedermi se non mi abbiano mandato un'infermiera molto particolare, una
del "servizio maschi sofferenti" in missione speciale, un’inviata dell’esercito delle puttane,
l’infermiera in borghese mi annuncia che è mia moglie. (Si gira verso Lisa) Ma ne è sicura poi?
LISA: Sicurissima.
GILLES: Davvero non è stata incaricata da qualcuno?
LISA: Devi darmi del tu.
GILLES: Non è... Non sei…
LISA (interrompendolo): Sono tua moglie.
GILLES: Meglio cosi. (Pausa) Ed è sicura.. Sei sicura dí avermi riportato a casa nostra?
LISA: Sicurissima. Lui studia ancora una volta la stanza in cui si trova.
GILLES: Senza voler trarre conclusioni affrettate, direi che mi piace più mia moglie del mio
appartamento.

Ridono. Sotto l'umorismo di Gilles trapela autentico smarrimento. Soffre.

GILLES: Che facciamo?


LISA: Stasera? Ti sistemi. Poi ricominciamo a vivere come prima,.
GILLES: E che facciamo se la memoria non mi torna?
LISA (turbata): Tornerà.
GILLES: Sono a corto d'ottimismo, ho finito le scorte.
LISA: Tornerà.
GILLES: Me lo ripetono da quindici giorni che basterebbe uno shock... Ma quando l'ho vista non
I'ho riconosciuta. E gli album di fotografie che lei mi ha portato mi facevano lo stesso effetto che
sfogliare un elenco del telefono. Torniamo qui, e mi sembra di essere in albergo. (Con sofferenza)
Niente mi è più familiare. Ci sono rumori, colori, forme, odori, ma niente ha più senso. Manca il
collegamento. C'ề un universo molto pieno, molto ricco, che ha un'aria coerente. dove io mi aggiro
senza trovarvi il mio ruolo. Tutto è solido tranne me. Me è sparito.

Lei si siede accanto a lui e gli prende le mani fra le sue per calmarlo.

LISA: Lo shock arriverà. I casi di amnesia definitiva sono rarissimi.


GILLES: Da quel poco che so di me, sono il classico tipo da "caso raro". Non trova? (lmplorante)
Che farà…
LISA: Tu!
GILLES: Che farai se non mi ritrovo? Non penserai di vivere con un mio doppio decerebrato, una
scimmia che mi assomiglia?
LISA (divertita dalla sua angoscia): Perché no?
GILLES: Non se mi ami, Lisa. Non se mi ami!
Lei smette di ridere.
GILLES: Se ami me, non ami il mio gemello. Una sembianza di me! Un involucro vuoto! Un
ricordo che non si ricorda niente!
LISA: Calmati.
GILLES: Se mi ami, mi puoi accettare sfigurato, invalido, vecchio, malato. Ma sempre a condizione
che rimanga me stesso. Se mi ami, vuoi che io sia "me". Non solamente il mio riflesso. Se mi ami...
tu…

Lisa, tormentata, si alza e comincia a camminare per la stanza.


GILLES: Lei mi ama?
LISA: Tu!
GILLES: Tu mi ami?

Lisa lo guarda con dolore, in silenzio. Gilles riflette ad alta voce, facendo una pausa tra una frase e
l'altra.

GILLES: Io sono amato? E amabile? Magari soltanto amabile. Sono uno sconosciuto. Anche a me
stesso. Non sono neanche sicuro di apprezzarmi, mi manca il materiale…

Alza le spalle. Lisa lo fissa in maniera strana Vorrebbe dire qualcosa ma si trattiene. Pausa.

GILLES: Lei lo amava?


LISA: Chi?
GILLES: Lui! lo quando ero ancora io! Suo marito!
LISA: Si calmi.
GILLES: Ah, mi dà del lei! Lo vede che non è mia moglie? Devo andarmene da qui.
LISA: Calmati, Gilles. Mi fai confondere con le tue domande. Ti ho dato del lei per riflesso.
GILLES: Riflesso?
LISA: Riflesso grammaticale! Mi dai del lei e mi parli di lui per dire te. Non ci capisco più niente.
GILLES. Nemmeno io,
LISA: Che mi avevi chiesto?
GILLES: Se amavi tuo marito. Lisa sorride. Gilles è colpito dal fatto che lei non dia una risposta.
GILLES: Se non lo amava, questo e il momento di liberarsene. Approfitti del fatto che lui non è più
lui, cioè che lui sia me, per buttarlo fuori. Butarmi fuori. Insomma, per buttarci fuori tutti e due.
Faccia pulizia! Non ha il coraggio di confessarmi che la nostra non era più una coppia felice? E’
così? Allora sfruttiamo la situazione e mettiamo le cose in chiaro. Me ne vado. Mi dica di
andarmene e me ne vado. Mi viene facile: non so più chỉ sono, non so più chi è lei! È l’occasione
ideale. Mi dica di andarmene, per piacere.

Lisa gli si avvicina, sorpresa di vederlo in quello stato.

LISA: Hai preso le medicine?


GILLES (irritato): Soffro di un male che non è curabile con le medicine! Cos'è questa mania di
voler mi far prendere una pillola non appena provo un sentimento?
LISA (scoppiando a ridere): Gilles!
GILLES: Mi prendi anche in giro, per giunta!
LISA (raggiante): Gilles, è meraviglioso, stai meglio, ti stai ritrovando! "Cos'è questa mania di
volermi far prendere una pillola non appena provo un sentimento?" è una delle tue frasi classiche!
Sei tu. Sei assolutamente tu. Non hai mai sopportato le persone che scappano dalle loro collere, dai
dolori, dalle angosce e dalle indignazioni ingurgitando sedativi. Hai una teoria: la nostra epoca è
diventata talmente ovattata che cerca di curare con le medicine anche la coscienza, ma non riuscirà
mai a guarirci dall'essere uomini.
GILLES (Piacevolmente sorpreso): Ah si?
LISA: E aggiungevi che la saggezza non sta nell'astenersi dal sentire, ma nel sentire tutto. Così
come viene.
GILLES: Veramente? Significa che anche in metafisica, come nelle faccende di casa, tendo a... non
fare un accidente?

Felice per un attimo di ritrovarlo, Lisa lo bacia sulla fronte. Gilles la trattiene per il braccio, le sue
labbra sfiorano quelle di lei.
GILLES (lentamente, sottovoce): Senti, ma... c'è intesa fisica tra noi?
LISA (nello stesso tono): Molta.
GILLES: Non mi stupisce.

Rimangono naso contro naso, irresistibilmente attratti.

GILLES: Nel senso di molto forte... o molto spesso?


LISA: Molto forte. Molto spesso.
GILLES: Non mi stupisce.

Lui prova a baciarla sulla bocca, ma lei si ritrae.

GILLES: Perché?
LISA: E’ troppo presto.
GILLES: Potrebbe essere lo shock.
LISA: Anche per me.
GILLES: Non capisco.

Lui cerca di nuovo di baciarla. Lei lo ferma.

LISA: No. (Lui insiste) Ho detto di no.

Lei sí libera con fermezza, ma senza violenza. Disorientato, Gilles percorre con lo sguardo tutta la
stanza. Poi, come umiliato, afferra la valigia.

GILLES: Mi dispiace, me ne vado. Non può funzionare.


LISA: Gilles!
GILLES: Me ne vado!
LISA: Gilles.
GILLES: Si, sì. Preferisco andar via.
LISA: Dove?

La domanda lo inchioda.

LISA (dolcemente): Non hai nessun posto dove andare. (Pausa) E casa tua, qui. (Pausa) Casa tua.

Lui fa una smorfia di inquietudine.

GILLES: Ci conosciamo?

Lei annuisce sorridendo.

GILLES: Io non la riconosco.


LISA: Se è per questo, non riconosci nemmeno te stesso.
GILLES: Chi mi garantisce che lei non sia andata in ospedale come si va nei posti degli animali
abbandonati? E’ salita al piano di quelli che avevano perso la memoria chiedendosi quale adottare.
Mi ha visto e si è detta: "Questo è carino, non è più tanto giovane ma ha gli occhi buoni, sembra
pulito. Ora me lo porto a casa e gli faccio credere di essere sua moglie". Non sarà mica vedova, per
caso?
LISA: Vedova?
GILLES: Mi hanno parlato di una rete di vedove che gestisce un traffico di uomini colpiti da
amnesia.
LISA: Gilles, sono tua moglie.

Lui posa la valigia.

GILLES: Raccontami. Aiutami a ritrovare me stesso.

Lisa indica i quadri appesi alla parete.

LISA: Cosa pensi di questi quadri?


GILLES: Mi piacciono. E’ l'unica cosa che mi piace in questa casa.
LISA: Davvero?
GILLES: Sembrano tutti dello stesso pittore.
LISA: Sono tuoi.
GILLES (di riflesso): E bravo me! (Sorpreso) Miei?!
LISA: Sì.
GILLES: Oltre che scrivere, so anche... dipingere?
LISA: Così pare.

Gilles esamina i quadri, prima diffidente poi contentissimo.

GILLES: Sto scoprendo di essere un tipo decisamente formidabile, a parte una piccola lacuna nei
lavoretti domestici: buon marito, bravo amante, pittore, scrittore, inventore di teorie... (Smarrito) Mi
avrebbe fatto piacere conoscermi.
LISA (ammiccante): Ti saresti stato molto simpatico.

Gilles non coglie l'ironia.

GILLES: Mi guadagno da vivere dipingendo?


LISA: No. Scrivi romanzi gialli. La pittura è solo un passatempo.
GILLES: Ah. (La guarda a disagio) Che tipo di marito ero?
LISA: Fai una domanda più precisa.
GILLES: Ero geloso?
LISA: Per niente.
GILLES (stupito): Davvero?
LISA: Dicevi che ti fidavi di me. Una cosa che io apprezzavo molto.
GILLES: E tu.. ne approfittavi?
LISA: Per fare che?
GILLES: Per darmi motivo di essere geloso.
LISA (sorridendo): No.

Lui tira un respiro di sollievo.

GILLES: E io, ero... fedele?

Divertita, lei lo squadra per qualche secondo godendo dell'espressione angosciata che gli si dipinge
sul volto. Poi concede:

LISA: Si.
GILLES (tranquillizzato): Uff!
LISA: Almneno per quanto ne so io,
GILLES: No, non ci sarebbe motivo.
LISA (maliziosa) Più che altro, se e mi hai tradito, significa che sei un maestro nell'arte della
dissimulazione.
GILLES: E sicuramente non è cosi.
LISA: O meglio, che hai il dono dell'ubiquità. Altrimenti non vedo come avresti potuto tradirmi.
Non uscivi quasi mai di casa. Stavi sempre a scrivere, a leggere o a dipingere. Come avresti fatto?
GILLES: Già, come?

Lei si avvicina e lo abbraccia.

LISA: Era importante la tua fedeltà, per me. lo non possiedo quella fiducia in me stessa che mi
consentirebbe di combattere giorno dopo giorno contro rivali o... contro sospetti.
GILLES: Eppure, mi dai l'impressione di essere attrezzatissima alla tua età... per la guerra. Poche
donne alla tua età...
LISA: Ecco, appunto, il mondo non è popolato sola di donne della mia età. A vent'anni ci si puo
permettere di ignorare gli anni che passano; dai quaranta in poi, l'illusione crolla; una donna si
rende conto dell'età che ha nel momento in cui scopre che esistono donne più giovani di lei.
GILLES: Io... guardo le donne più giovani?
LISA: Sì.
GILLES: E spaventoso, sto camminando sull'orlo di un precipizio. In ogni istante potrei venire a
scenza di particolari immondi che mi trasformerebbero in un mostro. Cammino sul filo, mi
mantengo nel presente, non ho paura del futuro, ma temo questo passato. Ho il terrore che sia
troppo pesante, che mi sbilanci, che mi travolga... Procedo verso di me senza sapere se sto andando
nella direzione giusta. Che difetti ho?
LISA (riflettendo): Tu... ne hai ben pochi.
GILLES: Vabbè... ma quali sono?
LISA: Non me ne viene in mente nessuno... L'impazienza! Ecco, l'impazienza.
GILLES: Brutta cosa…
LISA: Affascinante, invece. Quando torni a casa cominci a spogliarti in ascensore. Una volta hai
spogliato perfino me. Hai…

Ripensando a quell'episodio della loro vita amorosa, Lisa arrossisce.

GILLES: Veramente?
LISA: Sì, sì. Abbiamo chiuso la porta appena in tempo.
GILLES: In tempo?!
LISA: No, mi sa che era già troppo tardi.

Ridono.

GILLES: Insomma, posso aspettare che mi torni la memoria senza preoccuparmi troppo?

Lisa tace, a disagio. Gilles se ne rende conto e insiste.

GILLES: Sai, certe volte mi chiedo se la mia mente non lo faccia apposta a bloccarsi. Se non tragga
vantaggio dal non ricordare.
LISA: Che vantaggio?
GILLES: Il vantaggio di non sapere. Di proteggersi con l’ignoranza. Forse rifugge da una verità.
LISA (infastidita): Credi?
GILLES: Forse lo shock che ho ricevuto non era soltanto fisico... Ci sono tanti tipi di traumi…

Si osservano a lungo. Per un attimo sembrano condividere la stessa angoscia.

LISA (in tono titubante): Credo che tu ti stia preoccupando inutilmente,


GILLES: Dici davvero?
LISA: Davvero. Non scoprirai niente... su di te che ti metterà a disagio.
GILLES: Me lo giuri?
LISA: Te lo giuro.

Lui si rilassa.

GILLES: Parlami di me. E’ diventato il mio argomento preferito.


LISA (punzecchiandolo): Lo è sempre stato.
GILLES: Ah.
LISA: Bisogna dartene atto: non sei mai stato carente di affetto verso te stesso. Una fedeltà a prova
di bomba. Guarda la tua libreria: ti sei dedicato tutti i tuoi romanzi. (Prende un libro a caso)"A me
stesso, questo mio libro, con tutto il mio affetto. Sinceramente, Gilles"
GILLES (infastidito): Odioso.
LISA: E’ umorismo.
GILLES: E’ amore.
LISA: L'umorismo permette di dire la verità.
GILLES: Spero di averne dedicati anche a te.
LISA (ridendo): Sì. (Va verso un altro scaffale da dove prende un volume) "A Lisa, mia moglie, la
mia coscienza, la mia coscienza sporca, il mio amore. Colui che la adora ma non la merita, Gilles".

Riscoprendo quelle frasi, l'emozione travolge Lisa, riportandola a un passato che la commuove,
facendole venire le lacrime agli occhi. Lui la osserva senza intervenire, cercando di capire. Lei si
lascia cadere su una sedia, come schiacciata dal peso dei ricordi.

GILLES: Lisa...
LISA: Scusami. Una folata di passato...
GILLES: Sono qua. Non sono morto.
LISA: No. Ma il passato sì che è morto. (Si sforza di sorridere fra le lacrime) Ti ho molto amato,
Gilles. Molto.
GILLES: L’hai detto come se dicessi: "Ho molto sofferto, Gilles, molto".
LISA: Forse. Non so amare senza soffrire.
GILLES (dolcemente): Ti ho fatto soffrire?
LISA (mentendo goffamente): No.

Lui non insiste. Lisa, volenterosa, cerca di ritrovare il buonumore.

LISA: Che altro dire su di te? Adori andare in giro a fare shopping, cosa rara in un uomo; reggi
persino a stare un'ora in un negozio di scarpe da donna, roba che ti dovrebbero dare una medaglia.
Hai sempre un parere preciso su quello che mi provo, un parere da esteta, non da macho che veste la
sua donna a suon di bigliettoni. Certe volte ci diamo appuntamento nelle sale da tè.
GILLES: Mi piace il tè?
LISA: Da morire. Sembri deluso...
GILLES: Mi sarei detto più virile... I vestitini, i negozi, il tè... Tipo l'amica del cuore.

Lisa scoppia a ridere.

LISA: È il tuo fascino. Offri un miscuglio delizioso di maschile e femminile.


GILLES (non particolarmente contento): Ah...
LISA: E la prova è che scrivi gialli.
GILLES: Beh, questo è virile.
LISA: Proprio per niente. Hai una teoria al riguardo. Siccome sono soprattutto le donne che leggono
e scrivono i gialli, tu sostieni che è un genere femminile dove le donne, stanche di dare la vita da
secoli, si divertono a dare virtualmente la morte. Il romanzo giallo: ovvero la vendetta delle madri...
GILLES (contrariato): Io e le mie teorie...

Si alza per prendere il libro con la dedica a Lisa.

GILLES: C'è qualcosa che non torna in quello che mi racconti. Da una parte sembro un galletto
passionale, fissato col sesso, impaziente, impulsivo, coi pantaloni calati già dal terzo piano;
dall'altra sono fedele, fiducioso, mai geloso, pronto a passare interi pomeriggi tra boutique e sale da
tè: insomma, il classico amichetto omosessuale di ogni donna che si rispetti. Le cose non quadrano.
LISA: Eppure è cosi.

Gilles prende il libro.

GILLES: "A Lisa, mia moglie, la mia coscienza, la mia coscienza sporca, il mio amore. Colui che la
adora ma non la merita, Gilles". L'uomo che ha scritto questa frase ha qualcosa da farsi perdonare.
O no?
LISA: No.
GILLES: No? "La mia coscienza, la mia coscienza sporca"?
LISA: Perché tỉ ho obbligato a lavorare, a essere più esigente con te stesso.
GILLES: E "Colui che non la merita"?
LISA: Ti sei sempre sentito inferiore a me.
GILLES: Io?
LISA: Un complesso certamente sociale, più che intellettuale. I tuoi genitori erano caciari, i miei
ambasciatori.

Gilles è temporaneamente ammutolito. Non sa cosa rispondere, ma continua ad avere dubbi.

LISA (sorridendo): Del resto, avevi una battuta ricorrente sull'argomento: dicevi che quando uno
nasce nel camembert si sente per tutta la vita.

Lui fa una smorfia stízzita.

GILLES: Smettila di citarmi continuamente. Sembri una vedova.


LISA: E’ un po' quel che sono.

Colpito da tanta fredda precisione, lui ha un brivido. Lei sente il bisogno dí stemperare l'effetto e
aggiunge, con voce più calda:

LISA: Provvisoriamente. (Ritorna spensierata e compie un giro su sé stessa) Sono una vedova con
un'ambizione, una vedova che aspira a un grande avvenire: non esserlo più. (Lo bacia) Vedrai, la
memoria ti tornerà!
GILLES (quasi commosso): Perdonami.

Lei prepara da bere a entrambi.

GILLES: E’ dura essere costretto a fidarsi degli altri per sapere chỉ sei.
LISA: E’ cosi per tutti.

Lei torna con due whisky.

GILLES: Basta tè?


LISA: Sì.
GILLES: Tanto meglio!
LISA: Brindiamo al tuo ritorno.

Bevono.

GILLES: Immagino che faccia uno strano effetto trovarsi di fronte uno sconosciuto che è tuo
marito.
LISA: E’ strano, sì. Ma anche rinfrescante. E per te?
GILLES: Io, più che altro, ho una gran fifa.

Lei ride.

GILLES: Do spago a una bella donna che non conosco, che mi sorride, mi porta a casa sua, mi fa
capire che tra noi tutto è possibile, visto che in fondo sono suo marito... E’ come l'attesa prima di
perdere la verginità.

Lisa ride e si versa un'altra dose di whisky. Beve in fretta, e Gilles lo nota.

GILLES: In fondo, non sarebbe male se restassi senza memoria almeno fino a che... Sarebbe come
una seconda notte di nozze.

Lei ride di nuovo.

GILLES: Dove è stata la prima?


LISA: In Italia.
GILLES: Che ovvietà!
LISA: Si, ma che ricordo!
GILLES: Non per tutti.

Davanti all'incongruità della situazione, entrambi scoppiano a ridere.

GILLES: Dove mi fai dormire stanotte?

LISA (con charme): Nella camera degli ospiti.


GILLES (con disappunto): C’è una camera per gli ospiti in un appartamento così piccolo?
LISA (abbassando gli occhi): No.
GILLES (stuzzicato): Ah...
LISA (respingendolo con dolcezza): Ma c’è un divano d'emergenza.
GILLES: Emergenza? Temo proprio che sia il mio caso, purtroppo.
LISA: Non fare quegli occhi da cane bastonato che ha bisogno di coccole, sai perfettamente che con
me funziona sempre.
GILLES (contento dell'informaione): Funziona davvero?

Gilles sfrutta il momento di ascendente sensuale. Lisa lo lascia fare. Si toccano, emozionati. Ma di
colpo lei si libera.

LISA: No, sarebbe troppo facile!

La frase le è sfuggita, così come lo scatto. Si alza, è nervosa, non sa che pesci pigliare. Gilles,
rimasto solo sul divano, non capisce quell'improvviso voltafaccia.
LISA: Scusami.... Ti spiegherò.. Io.. Vado a riempire i bicchieri.

Prende il bicchiere di Gilles, ancora mezzo pieno.

LISA: Ehi, non l'hai quasi toccato.

Lei si versa un altro whisky.

GILLES: Lo sa che è già il terzo?

L'osservazione colpisce Lisa come una frustata. La reazione è brusca.

LISA: E allora?

Espressione interdetta di Gilles.

GILLES: Lisa, ma... lei beve?


LISA: No. Io no. Tu, casomai.
GILLES: lo? Io bevo?
LISA: Sì. Certe volte, la sera. Ti piace.
GILLES: Troppo?
LISA: Sì. Troppo.

Gilles riflette.

GILLES: Allora è questa la cosa orribile che dovevo ancora scoprire. L'alcol.
LISA (esasperata): Cosa, l'alcol?
GILLES: Vado avanti a whisky, mi rifugio nel bourbon, do di matto, deliro. Magari t'ho anche
picchiato!
LISA: Andiamo, stai dando troppa importanza a quello che ho detto. Ti piace berti un bicchiere o
due la sera, tutto qui.
GILLES: Non ci credo!
LISA: Ti dico di sì!

Lisa è tesa, non vuole che la conversazione ruoti intormo all’alcol.

GILLES Lisa, credo che noi avevamo dei problemi e che tu ora stia cercando di minimizzarli.
LISA: Non avevamo nessun problema!
GLLES: Non essere infantile.
LISA: Non avevamo problemi. Non più di chiunque altro! (controllandosi) Certo che avevamo dei
problemi. I normali problemi di una coppia che sta insieme da tanti anni.
GILLES: Per esempio?
LISA: Il logorio. Ma è un fatto, più che un problema. E’ una cosa normale. Come le rughe.
GILLES: E che cosa si sarebbe logorato?
LISA: Il desiderio.
GILLES: E’ per questo che mi respingi?

Lisa si rende conto che le sue risposte si contraddicono. Respira a fondo per guadagnare tempo,
cerca le parole, poi rinuncia, irritata.

GILLES: Non mi sembri molto coerente.


LISA (con vivacità): Mi hai sempre rimproverato di non avere coerenza.
GILLES: Ah sì?
LISA: Sì.
GILLES: Davvero?
LISA: Sì. Sempre.
GILLES: Suppongo di doverti credere.
LISA: Già.

Si squadrano. Dato che lei sembra sul punto di arrabbiarsi, lui cede.

GILLES: Suppongo che ti credo.


LISA: Bene.

È chiaro che sono entrambi in totale malafede. Silenzio.

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GILLES (timidamente): Passa un angelo.


LISA (prontissima): E stringe le chiappe.
GILLES: Eh?
LISA (rasserenandosi): Ti cito. Siccome hai orrore delle frasi fatte, le completi sempre in maniera
da renderle ancora più assurde. Se qualcuno dice: "Passa un angelo", tu aggiungi sempre: "E porta
un secchio" oppure: "E stringe le chiappe". Lei ride. Lui no, Le sue vecchie battute lo deludono.
GILLES: Sono costernato.
LISA: Sì.

Il disappunto di Gilles fa scoppiare a ridere Lisa.

GILLES: Vi divertivate tutti e due, eh? Per gli altri non doveva essere altrettanto divertente. (Pausa)
Ora sono io, l'altro.

Rendendosi conto che lo sta offendendo, Lisa torna seria.

GILLES: Dove è stato l'incidente?

Lisa si affretta a rispondere.

LISA: Là.

Lo prende per un braccio e lo conduce fino alla scala di legno che porta al soppalco.

LISA: Scendendo ti sei girato bruscamente, hai messo il piede in fallo, hai perso l'equilibrio e sei
andato a sbattere con la nuca su quella trave.

Gilles ispeziona il luogo dell'incidente. Non gli suscita alcun ricordo. Sospira.

GILLES: Hai avuto paura, immagino.


LISA: Eri senza vita. (Le tremano le mani) Io ti stavo parlando, quando ti sei girato. Avevo detto
qualcosa che ti aveva colpito e che ti ha fatto ridere, o che... boh. Se fossi stata zitta, non saresti
caduto. Mi sento colpevole. E colpa mia.

Gilles la fissa.
GILLES: E’ spaventoso..
LISA: Cosa?
GILLES: Non ricordare.

Scossa dalla rievocazione dell'incidente, Lisa scoppia a piangere. Lui la stringe a sé per calmarla,
ma invece di commuoversi con lei, continua a riflettere.

GILLES: Io sono un tipo maldestro?


LISA: No.
GILLES: Ero già caduto?
LISA: No, mai.
GILLES: E tu?
LISA: Io si. Qualche volta. Ecco, avrei dovuto esserci io al tuo posto! Doveva toccare a me…
GILLES: Ti farebbe sentire meglio?
LISA: Sì.

Lui la consola con gesti meccanici, cullandola piano e carezzandole i capelli.

GILLES: Su... E’ stato un incidente... Non puoi sentirti in colpa per un incidente…

Non appena lei comincia a rilassarsi, lui la lascia per andarsi a sedere sullo sgabello della scrivania,
dove compie un giro su sé stesso.

GILLES: Praticamente sono diventato l'eroe dei miei romanzi, l'ispettore James Dirdy…
LISA (Correggendolo di riflesso): James Dirty.
GILLES: Dirty. Indago sul luogo del delitto per scoprire la verità.
LISA: Delitto? Che delitto?
GILLES: E’ un modo di dire, ma chissà che davvero non sia successo un delitto, qui!
LISA: Non scherzare, ti prego.
GILLES: Entrando non ho ricordato niente, però ho avuto la netta sensazione che qui fosse successo
qualcosa di grave. Era un momento di pazzia, un'intuizione? Forse era l'inizio di un ricordo.
LISA: È deformazione professionale. Scrivi gialli. Ti piace aver paura, congetturare, sospettare e
immaginare che il peggio debba ancora venire.
GILLES: Ancora venire? Avevo l'impressione che fosse passato.
LISA: Allora sei cambiato: dicevi sempre che ci aspetta il peggio.
GILLES: Sono pessimista?
LISA: Pessimista nel pensiero, ottimista nell'azione. Vivi come uno che crede nella vita e scrivi
come uno che non ci crede.
GILLES: II pessimismo è il privilegio dell'uomo che riflette.
LISA: Nessuno ci obbliga a riflettere.
GILLES: Neanche ad agire.

Si squadrano di nuovo, come nemici. Ognuno vorrebbe dire all'altro molto di più, ma nessuno ne ha
il coraggio.

GILLES: L'amnesia è strana. E’ come una risposta a una domanda che si ignora.
LISA: Quale domanda?
GILLES: Appunto, la sto cercando.

Non si muovono più. Il tempo si è fermato.

LISA: Come va?


GILLES: Eh?
LISA: Come stai?
GILLES: Piuttosto male. Perché?
LISA (tesa): Perché intellettualmente ti trovo in gran forma. E sentendoti parlare come stai parlando
mi riesce difficile accettare che tu non abbia accesso alla tua memoria.
GILLES: Memoria e intelligenza sono collocate in aree diverse del cervello.
LISA: Se lo dici tu.
GILLES (secco): Non lo dico io, lo dice la scienza.
LISA: Se lo dice la scienza.
GILLES: Non ci credi?
LISA (altrettanto secca): C'è poco da crederci o non crederci, la scienza sforna informazioni
fregandosene altamente della nostra approvazione. O no?
GILLES: Esatto.

Si misurano con lo sguardo.

GILLES: Comunque sono sulle mie tracce. Certo, è strano che mi sia lasciato dietro cosi poche
tracce.
LISA (beffarda): Già, non è da te.
GILLES: Non lo trovo divertente.
LISA: Rilassati. Metti troppa aggressività nel frugare la tua mente. Non credo che questo ti aiuti.
GILLES (febbrile): Ho paura di ciò che devo ancora sapere. Ho paura di ciò che potrei essere stato.
LISA: Ma è assurdo, Eri un tipo... sei un tipo a posto.
GILLES: No, sento che non è così.
LISA: Se te lo dico io!
GILLES: No. Chi me lo garantisce?
LISA: Io.
GILLES: Non basta. Magari sono un bandito, un bandito cosi infame che non riesce nemmeno a
fare onestamente il suo disonesto mestiere, giustiziato in mezzo alla strada, a cui la moglie cerca di
far credere che ha avuto un incidente per fargli cambiare vita. Approfitti dell' amnesia per
redimermi.
LISA: Gilles!
GILLES: Forse sono un assassino non ancora sospettato e tu mi stai proteggendo non
raccontandomi niente. Oppure un maniaco stupratore di ragazzine, e tu...
LISA: Smettila! Perché ti vedi sempre cosi orribile?
GILLES: Perché ho la forte sensazione che alle mie spalle ci sia del male, un male denso, tenace.
LISA: Ti sbagli. E ti supplico di credermi.
GILLES: Ma scusa, metti che sia davvero come dico io: ti comporteresti esattamente allo stesso
modo, mi chiederesti di crederti. E faresti bene. Non stai sbagliando. Se fossi un degenerato, avresti
il dovere di approfittare della mia confusione mentale per cambiarmi, per convincermi che ero
diverso, per dotarmi di un passato migliore, inventarmi una personalità meno deviante.
LISA (ironica): È vero: ti invento, ti riciclo! Faccio il nuovo con il vecchio. Mi costruisco un uomo
migliore di quello che ho conosciuto, cancello i tuoi difetti nascondendoteli, ti infondo le qualità
che ti mancavano, ti riplasmo per la coppia perfetta, come piace a me. Sistemo all'istante la mia vita
coniugale, mantengo la facciata e rinnovo l'interno. Divertentissimo! Realizzo il sogno di ogni
donna: addomesticare il marito dopo quindici anni di vita in comune. Guardami bene: quella che hai
davanti non è un'infermiera, è una domatrice.

Le sue parole hanno su Gilles un effetto calmante.

GILLES: Perdonami.
LISA: No! Non ti perdono più: passo alla frusta!
GILLES: Lisa..
LISA: In piedi! Seduto! E dopo mangiato, a dormire sul divano.
GILLES: No, Lisa. Questo no.
LISA: Cosa no?
GILLES (facendo i suoi famosi occhi da cane bastonato): Il divano. Il divano no, padrona.

Lei lo squadra e, improvvisamente, scoppia a ridere. Lui pure. Ritrovano la complicità. Lei si
avvicina per passargli la mano tra i capelli, quasi con tenerezza.

LISA: Non ti dico bugie, Gilles. Sei così come ti ho descritto. Un uomo. Un uomo che mi va bene.
Un uomo come a certe donne è dato incontrare.

Le loro labbra si sfiorano.

GILLES: Parliamo troppo.


LISA: E’ quello che dici sempre quando…
GILLES: Sì?
LISA: Quando…
GILLES: Sì?
LISA: Parliamo troppo.

Si baciano, questa volta abbandonandosi completamente, poi, come ubriachi, si lasciano cadere sul
divano.

GILLES: Ho voglia di una nuova notte di nozze.


LISA: Una sfida difficile.
GILLES: Sarà altrettanto meravigliosa.
LISA: Dove ce ne andiamo?
GILLES: Perché andare da qualche parte?
LISA (squagliandosi sotto di lui): Dove?
GILLES: Qui.
LISA (raggiante): Che impazienza!
GILLES: Sei d'accordo?
LISA (con entusiasmo): Sì.
GILLES: Non c'è bisogno di andare a Portofino.

La bacia. Dopo qualche secondo, lei interrompe il bacio e lo scosta leggermente.

LISA: Cosa hai detto?


GILLES: Che non abbiamo bisogno di andare fino a Portofino.
LISA: Perché Portofino?
GILLES: E’ dove abbiamo passato la nostra notte di nozze, no?
LISA: Te ne ricordi?
GILLES: No. Me l'hai appena detto tu.
LISA: Ti sbagli. Io ho detto Italia.
GILLES (calmo): Hai detto Portofino.
LISA: Ho detto Italia.
GILLES: E’ impossibile. Come farei a saperlo?
LISA: Gilles, ti sta tornando la memoria!
GILLES: Macché! Non mi sta tornando un bel niente.
LISA: Beh, ti sei appena ricordato…
GILLES: Sono sicuro. Sei tu che hai parlato di Portofino poco fa.
LISA: Io ho detto Italia.
GILLES: Non te ne sei resa conto, ma hai detto Portofino.
LISA: Non ho detto Portofino perché prima, giustappunto, ero furiosa con me stessa perché non
riuscivo a ricordare il nome di quel posto.

Lei si alza, gli si mette davanti e lo osserva. Lui smette di protestare. Lentamente, lei capisce.

LISA: Gilles, tu non hai perso la memoria.


GILLES: Sì.
LISA: Gilles, tu mi stai mentendo!
GILLES: Pure tu, Lisa!

Si studiano. Girano uno intorno all'altra come belve che stanno per azzannarsi.

LISA: Io?
GILLES: Sì! Quei quadri sono i tuoi, sei tu che li dipingi! Quel Gilles che ti accompagna per negozi
ľ'hai inventato tu! Quel Gilles che non esce mai di casa e che non ti tradisce mai è quello con cui tỉ
piacerebbe dividere la vita, Lisa!
LISA (dolorosamente): Tu ricordi...
GILLES: No. L'unica cosa che ricordo è che non sono così!
LISA (lamentosa): Oh mio Dio, no, non ricominceremo daccapo!
GILLES: Cos'è che deve ricominciare?

Senza rispondere, Lisa si rianima. Avanza verso di lui, prende un cuscino e comincia a colpirlo
sulla faccia.

LISA (con durezza): Tu non hai mai perso la memoria. Tu ricordi.


GILLES: No. Assolutamente no.
LISA: Non ti credo. Tu ricordi.
GILLES: Solo in parte.
LISA: Non ti credo più.
GILLES: Sta tornando, ma mi mancano ancora dei pezzi.
LISA (continuando d colpirlo): Tu ricordi!
GILLES: Non l'ultimo giorno...
LISA (fermandosi con il braccio a mezz'aria): L’ultimo giorno?
GILLES: Il giorno dell’incidente. Di quello non ricordo niente.
LISA (assestandogli un’altra sene di colpi): Mi stai prendendo in giro! Sai tutto e ti stai prendendo
gioco di me!
GILLES: Tranne l'ultimo giorno!
LISA: La falsa amnesia: ecco il supplizio che hai trovato per punirmi. Mi vuoi far cuocere a fuoco
lento. Mi vuoi umiliare. Godi delle mie risposte idiote. Tu...
GILLES (con franchezza): Punirti di che, Lisa?

Lei smette di strapazzarlo. Ha un risolino forzato. Lui le afferra il braccio.

GILLES: Punirti di che?

Lei cerca di liberarsi, ma quando si rende conto che nella sua domanda non c'è alcun sottinteso né
ironia, alza le spalle, rassicurata.

LISA: Scusami. Tu hai passato due settimane in ospedale con medici, infermiere e medicine per
rimetterti in sesto. Io sono stata qui, sola, a mangiarmi le unghie. Nessuno si è preso cura di me. Ho
bisogno di qualcuno che si occupi di me.

Lui le bacia la mano, dolcemente.

GILLES: La mia testa è un libro a cui mancano delle pagine. In particolare le ultime. Non ricordo il
giorno dell'incidente.
LISA: Per niente?
GILLES: Per niente. (La guarda negli occhi) Te lo giuro.

Lei capisce che è sincero.

GILLES: Immagino di doverti delle scuse.


LISA: Sì.
GILLES: Molte?
LISA: Dubito che tu riesca a saldare il debito.
GILLES: La memoria mi è tornata lunedì. Poco per volta, come una spugna che riprende il suo
volume sotto un gocciolio costante. Lunedì tu non c'eri, non so più perché, e io ho cominciato a
riacquistare il mio volume da solo, senza dire niente ai medici. Mi tornavano in mente brandelli
della nostra storia, della nostra coppia, della nostra passione. Ero fiero. Felice. Martedì, quando sei
arrivata, stavo per annunciarti la bella notizia, ma la tua bugia mi ha bloccato. La prima.
LISA: La mia bugia?
GILLES: Mi avevi portato i miei libri, la raccolta dei gialli, per vedere se mi stimolavano la
memoria. Però ne avevi dimnenticato uno. Ricordi quale? Piccoli crimini coniugali. Consultando la
lista te l'ho fatto notare, e tu mi hai risposto che era senza importanza, che detestavo quel libro e
rimpiangevo di averlo scritto. Eccola: una bugia bella e buona, buttata lì in tono perentorio. Questo
mi ha cucito le labbra.

Lisa emette un mormorio senza cercare di negare.

GILLES: Ho cominciato a riflettere. Ero sempre andato fiero di Piccoli crimini coniugali, ripetevo a
chi avesse orecchie per sentire che se mai si fosse dovuto conservare un mio libro, avrebbe dovuto
essere quello. E tu, lì, davanti a me, hai tranquillamente sostenuto il contrario.
LISA: D'accordo, ho spacciato un mio parere per tuo. E’ grave?
GILLES: No. Ma cos'e grave?
LISA (difendendosi): Piccoli crimini coniugali non ha avuto alcun successo.
GILLES: Altri miei libri non hanno avuto successo.
LISA: Piccoli crimini coniugali meno degli altri. Cè una differenza tra niente e meno che niente.
GILLES: Non ha importanza, Lisa. Quando un mio libro ti piace, non ti serve l'approvazione di
nessuno lo difendi con le unghie e con i denti contro chiunque.
LISA: E vero, io detesto Piccoli crimini coniugali e tu lo adori. Te lo richiedo: è grave?

Lui prende il libro in questione dalla libreria.

GILLES: Piccoli crimini coniugali, una raccolta di storie brevi. O meglio, una raccolta di pessime
storie brevi, vista la teoria impregnata di pessimismo che vi è sviluppata. In questo libro ho dipinto
la coppia come un'associazione di assassini. Da principio li unisce la violenza, quel desiderio che li
porta a gettarsi l'uno sull'altra, che spinge il corpo di uno dentro quello dell'altra, quei colpi
accompagnati da rantoli, sudore e gemiti, quella lotta che solo per esaurimento di forze si risolve in
un armistizio chiamato piacere. Poi i due assassini, se intendono continuare la loro associazione
scegliendo la tregua del matrimonio, si alleano per combattere contro la società. Cominciano a
reclamare diritti, vantaggi e privilegi, ostentano i frutti delle loro risse, i figli, per ottenere silenzio e
rispetto dagli altri. E qui la truffa assurge a capolavoro! I due nemici, adesso, giustificano tutto in
nome della famiglia. La famiglia, alibi supremo delle loro millanterie! E come prima hanno fatto
passare i loro abbracci brutali e goduriosi per un servizio reso alla razza umana, così ora possono
distribuire schiaffi, calci e punizioni in nome dell'educazione, imporre la loro nocività, la loro
stupidità e il loro rumore. La famiglia, ovvero l'egoismo vestito da altruismo... Poi gli assassini
invecchiano, i loro figli se ne vanno per formare nuove coppie di assassini. Allora i vecchi
predatori, non avendo più valvole di stogo alla loro violenza, finiscono per prendersela l'uno con
l'altra, come quando si erano conosciuti, ma utilizzando altri colpi invece dei colpi di reni, ora i
colpi si sono fatti più subdoli, da vere carogne. Tutto è permesso in questa guerra: i tic, le malattie,
la sordità, l'indifferenza, il rimbambimento. Vince chi arriva a sotterrare l'altro. Ecco la vita
coniugale, un'associazione di killer che si accaniscono sugli altri prima di infierire su loro stessi, un
lungo cammino verso la morte che lascia la strada costellata di cadaveri. La coppia giovane è una
coppia che cerca di sbarazzarsi degli altri. La coppia vecchia è una coppia dove ognuno cerca di
sopprimere il partner. Quando vedete un uomo e una donna davanti al sindaco o al prete, chiedetevi
chi dei due sarà l'assassino.

Lisa gli batte ironicamente le mani.

LISA: Bravo! Applaudo per non vomitare.


GILLES: Perché ho scritto queste cose?
LISA: Quando te l’ho chiesto mi hai risposto: “Perché è la realtà”.
GILLES: Sarà pure la realtà, ma perché pensare la realtà così com'è? Perché non pensarla come uno
la vuole? Una coppia non è la realta. E’ prima di tutto un sogno che si fa insieme, no?

Dato che Lisa non risponde, Gilles continua con ardore.

GILLES: Il pomeriggio che mi hai mentito, mi sono reso conto che in fondo ero d'accordo con te.
(Si gira verso di lei) Odiavo quel libro senza saperlo. La tua bugia era la mia verità. La mia nuova
verità.

Lei lo guarda, interessata ma non tanto sicura di capirlo bene.

GILLES: Quel martedì ho deciso di rimanere zito e di lasciare che mi raccontassi quello che volevi.
Forse il Gilles Sobiri che mi avresti descritto, quello che rimpiangeva di aver commesso i Piccoli
crimini coniugali, si sarebbe rivelato migliore del precedente. Una versione corretta. Dovevamo
approfittarne. Il mio incidente sarebbe almeno servito a qualcosa. Mi sono trincerato nella mia
bugia, Lisa, per ascoltarti, solo per ascoltarti e capire con che tipo di uomo saresti stata bene.
LISA: Non è molto onesto.
GILLES: Cosa?
LISA: Il tuo comportamento.
GILLES: Tanto quanto il tuo. Però è istruttivo. Ho veramente ceduto alla voluttà di essere ricreato
dalla donna che amo. Avevo deciso che avrei cercato di somigliare a quello che volevi tu. Un
pezzetto di me vero, un pezzetto di me migliorato... Un marito secondo fabbisogno, un marito su
misura. Ma...

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LISA: Ma?
GILLES: Tanto per cominciare, la memoria mi stava tornando e avevo capito che di lì a poco le
cuciture della nuova personalità che mi stavi fabbricando addosso sarebbero saltate. E poi… non
capivo dove volevi arrivare. Non c’era coerenza.
LISA: Coerenza?
GILLES: Abbiamo dei problemi, questo è chiaro. Ciò nonostante, mi sono reso conto che in fondo
tu ami me per quello che sono. Non ami un altro.

Lisa sorride.

LISA: Allora?
GILLES: Allora è una buona notizia.

Anche lui sorride.

LISA: Ebbene?
GILLES: Ebbene, ne ho concluso che il problema non ero io, ma te.
LISA: Oh!

La stoccata, inaspettata e diretta, la lascia senza fiato. Gilles si dirige verso lo scaffale della libreria
dove si trovano i libri che ha dedicato a lei. Li rovescia tutti a terra.

LISA (pazza di rabbia): Che fai?


GILLES: Ti faccio vedere quello che so.

Man mano che i volumi cadono, appaiono le bottiglie di alcolici che vi erano nascoste dietro. Lui le
prende.

GILLES: Una! Due! Tre! Quattro, anche se questa è vuota! Cinque!

Spavalda, Lisa rialza la fronte.

LISA: Lo sapevi?
GILLES: Cinque bottiglie per quando sei giù di corda! Whisky da quattro soldi, per giunta. Roba da
alcolizzati! Una drogata vera e propria.
LISA: Lo sapevi?
GILLES: Da qualche mese.
LISA: Quanti?
GILLES: Devo ammettere che ti camuffi bene. Non ti si vede mai bere, e non ti ho mai beccato
ubriaca.
LISA (con fierezza): Mai!
GILLES: Come fai?
LISA: Ci sono esseri superiori.
GILLES: E una disgrazia reggere l'alcol cosi bene. Ho scoperto le bottiglie per caso, mettendo a
posto.
LISA (arrogante): Ah, perché metti anche a posto ogni tanto?
GILLES (correggendosi): Cercando un dizionario. Poi ho tí tenuto d'occhio, senza dire niente.

Lisa si nasconde la faccia tra le mani.

LISA: Smettila!
GILLES: No, non la smetto.
LISA: Lasciami stare, mi vergogno.
GILLES: Ti sbagli, Lisa. Sono io che mi vergogno. Io! Quando ho scoperto quelle bottiglie nascoste
dietro i libri, la tua vergogna è diventata la mia. Che problema hai con l'alcol?
LISA: Non ho un problema con l'alcol.
GILLES: Bevi.
LISA: Sì, bevo, ma non ho un problema conl'alcol. Ho un problemna con te.
GILLES: Quale?

Lei fa un gesto vago, Rispondere le fa talmente fatica che decide di rinunciarvi.

LISA: Ce gente che beve per dimenticare. Non io. Con me non funziona. Io, al tuo posto, non sarei
riuscita a perdere la memoria. Neanche pigliando sulla testa il peggior colpo possibile, niente mi
può far perdere la memoria. La nostra memoria. Né due né tre né cinque bottiglie. Poi arrivi te con
il tuo bernoccolino…

Rendendosi conto che sta diventando cattiva, Lisa tace, confusa. Lui è altrettanto emozionato,
sinceramente emozionato. Visto che non riescono a comunicare, condvi dono lo stesso sconforto.

GILLES: Cos'è successo l'ultima sera? La sera che non ricordo?


LISA: Niente.
GILLES: Tu mi nascondi qualcosa.
LISA: E allora?
GILLES: È odioso che tu mi nasconda qualcosa.
LISA (acida): Lo scoprirai da solo, come hai scoper to le bottiglie.
GILLES: Io non ti sono nemico, Lisa.
LISA (chiusa): Ah no?
GILLES (dolce): Io ti amo.
LISA (blindata): Le parole non hanno lo stesso si gnificato per te e per me.
GILLES (insistendo con la tenerezza): Ti amo.
LISA: E io amo il roquefort e le vacanze sulla neve! (Sull'orlo di una crisi) E anche essere lasciata
in pace! Si alza, afferra una bottiglia di whisky e se ne riempie un bicchiere guardando Gilles con
aria di sfida.
LISA: E ora me lo bevo.
GILLES: Bevitelo.
LISA: Poi ne berrò degli altri.
GILLES: Bevine quanti ne vuoi. Affogatici, visto che sai nuotare!
LISA (sfidandolo): Mi scolo la bottiglia.

Lui la guarda senza intervenire.

LISA: Non me lo impedisci?


GILLES: E perché? Non credo di doverti difendere da te stessa. Sono pronto a intervenire contro
chiunque, ma contro te stessa…

Lisa china la testa come un bambino abbando nato, con le lacrime agli occhi. Gilles va da lei e le
toglie il bicchiere di mano, lentamente. Lei lo lascia fare, poi si abbandona con gratitudine tra le sue
braccia, sollevata.

GILLES: Vivi accanto a me. Ma non con me.

Lisa sí stringe a lui con amore.

GILLES: Cosa c'è che non va tra noi? Cos'è che non va più?

Lei alza le spalle. Fare chiarezza su questo malessere le sembra un obiettivo troppo arduo. Si
siedono uno accanto all'altra, lui la carezza dolcemente, come si fa con gli animali, per
incoraggiarla a lasciarsi andare con fiducia.
LISA: Forse ogni cosa ha una fine, una sua durata. La coppia è... organica, sarà programmata come
un essere vivente. Morte genetica.
GILLES: Credi davvero a quello che dici?

Per tutta risposta, lei si soffia rumorosamente il naso, lui le carezza i capelli, ora con tenerezza.

GILLES: In questi ultimi tempi ho pensato molto al nostro primo incontro. Anzi, in ospedale è la
prima cosa di cui mi è tornata memoria.

A quel ricordo, Lisa si distende.

LISA: Te lo ricordi bene?


GILLES: Credo di sì.
LISA: Davvero bene?
GILLES: Lo spero.
LISA: Io ci ripenso spesso.
GILLES: Anch'io. Secondo te, conoscersi a un matrimonio è di buon auspicio o no?
LISA: Jacques ed Hélène, poveracci... Alla fine si sono separati. Ridono, tornando più giovani e
spensierati.
LISA: Certo che ce ne hai messo di tempo a farti avanti!
GILLES: Eravamo in gruppi diversi, e neanche allo stesso tavolo.
LISA: E anche vero che io avevo un sacco di gente intorno.
GILLES: Silenzio, più che altro. Mai visto una donna con più silenzio intorno a se. Un mistero
vivente protetto da mura invisibili ma palpabili. Distante. Inaccessibile, Mi affascinavi parecchio.
LISA: E dai!
GILLES: E il tuo sguardo... Uno sguardo saggio, antico, uno sguardo vecchio di duemila anni nel
corpo di una ragazza. (Ha un brivido) Ti tenevo gli occhi addosso dalla mattina, e quand’è calata la
sera non ero ancora riuscito ad avvicinarti.
LISA: Avevo notato le tue manovre.
GILLES: Per giunta! Mi sentivo doppiamente ridicolo. Forse
LISA: Forse è questo che mi ha stupito. M’avevano detto di te che eri uno o che rimorchiava a
colpo sicuro.
GILLES: Colpo sicuro? Non avevo mai mirato cosi in alto, però. (Afabulatore) I grandi viaggiatori
dicono che quando si muore di sete e non c'è acqua, bisogna richiamare alla memoria la prima volta
che si è bevuto. È l'unica maniera di attraversare il deserto. Torniamo a quel momento, per piacere.
(Nostalgico) Allora, io ho aspettato fino a…
LISA: Mezzanotte!
GILLES: Mezzanotte?
LISA (divertita dalla rievocazione): All’improvviso, verso mezzanotte, ti vedo lasciare di corsa la
sala del castello. Come Cenerentola! Incuriosita, mi dirigo verso la terrazza, non ti ci trovo, vado
avanti e ti vedo in fondo, proprio al di sopra del parcheggio, che..
GILLES: ...vomitavo! Scoppiano a ridere.

Lei comincia a rifare la scena. Lui sta al gioco.

LISA: Credo che lei stia vomitando sulla mia macchina.


GILLES: Oh, scusi,
LISA: Faccia, faccia. Del resto quel colore non mí è mai piaciuto. L'avrei preferita più... originale.
GILLES: Ora è uníca!

Ridono a crepapelle, come la prima volta, e continuano a rivivere l'incontro.


GILLES: Ề dall'inizio della cerimonia che volevo conoscerla, ma le cose non sono andate come mi
auguravo. Per farmi coraggio ho cominciato a bere un bicchiere dopo l'altro, volevo essere
brillante… ecco il risultato. La vita è davvero bastarda.
LISA: La vita fa di testa sua. Che ne direbbe di andarsí a dare una rinfrescata in bagno? Forse dopo
si sentirà più portato ad essere brillante.
GILLES: Lei mi aspettara?
LISA: Un uomo che ha per le macchine la cura che ha lei va sempre aspettato.
GILLES (Commentando): E cinque minuti dopo, un nuovo Gilles, fresco come una rosa, ritentava
la sorte. (Riprendendo il suo ruolo) Lei che tipo di donna è?
LISA: Il suo tipo?
GILLES: Decisamente sì. Ogni trase mi provoca un brivido lungo la schiena, mi sento il cervello
intorpidito, ho tutti i sintomi di un malessere che si chiama attrazione irresistibile.
LISA: Mi dispiace, non ho rimedi.
GILLES: Ma è lei il rimedio. (Pausa) Mi risponda: che tipo di donna è? Fredda, timida, moderata,
libertina, depravata? Glielo chiedo solo per sapere se faccio bene a insistere o no, se saltarle
addosso – cosa di cui ho una voglia matta – o tenermi a distanza. Insomma, "che tipo di donna è"
significa: "È il tipo che finisce a letto la prima sera"?
LISA: Secondo lei?
GILLES: Io sì, sono il tipo che finisce a letto la prima sera.
LISA: Come tutti gli uomini.
GILLES: E lei?
LISA: Io non sono quel tipo d'uomo.
GILLES: Non le va?
LISA: Al contrario.
GILLES: Capisco. Sta rifiutando solo per evitare che più tardi, nel corso di una scenata, io le
rimproveri di essere una donna facile che si dà al primo venuto.
LISA: Immagina un avvenire radioso, per noi!
GILLES: Sbaglio? Non rifiuta per prudenza?
LISA: Forse.
GILLES: Insomma, corre il rischio di rovinare il presente in nome di un futuro ipotetico.
LISA: Esattamente. lo sono cosi: tutto o niente. (Pausa) E poi, credo di meritare un po' di attesa, no?
Io 1'ho aspettata.
GILLES: Beh, cinque minuti.
LISA: C'è qualcuno nella sua vita?
GILLES: In questo momento c'è lei.

Le loro labbra si sfiorano.

LISA (mormorando): Non ancora.

Gilles insiste, si fa più tenero.

LISA: Non ancora.

Lei lo respinge con gentilezza.

GILLES: Stai recitando la scena del nostro incontro quella di stasera?


LISA: La risposta è comunque: “Non ancora”.
GILES (sconcertato): Non ti sei stufata di ritiutare continuamente?
LISA: Io non rifiuto, rimando.
GILLES: Le donne hanno la spiccata tendenza a trasformare gli uomini in mendicanti. Mi fa
l'effetto di chiedere l'elemosina, quando cerco di farti capire che vorrei andare a letto con te. (Pausa)
E quando mi fai questa carità, l'impressione immediata è quella di ritrovarmi davantia una suora,
che non è esattamente l'immagine che uno vorrebbe avere in quel momento.
LISA (prendendolo in giro): Ma come, non vuoi ap profittare delle mie grazie, figliolo?
GILLES (con calore): Perché una donna non prende mai l'iniziativa?
LISA: Perché è maligna abbastanza da dare all'uomo la sensazione di essere lui ad averne voglia.
GILLES: Allora, in questo momento, chi sta manipolando chi?
LISA: Bella domanda. Piccoli crimini coniugali.

Ridono, quasi complici.

GILLES: E chi vincerà?


LISA: Quella che ha il potere di cedere. Lei sola controlla il gioco.
GILLES (ammirato): Troia!
LISA: Grazie. Piccoli crimini coniugali.

Non ancora pronta a riconciliarsi con lui, Lisa si svincola.

GILLES: Devi dirmi la verità, Lisa. Cosa è successo?


LISA: Quando?
GILLES: La sera che sono caduto, Perché non riesco a ricordare quel momento?

Prima di rispondere, Lisa riflette. Una volta decisa, sceglie un tono freddo.

LISA: Forse perché ti conviene.


GILLES: In che senso?
LISA: Nel senso che trai vantaggio dal non ricordare.
GILLES: E successo qualcosa di orribile?
LISA: Orribile?... Si.
GILLES: Cosa?
LISA: Se il tuo cervello ha scelto di dimenticarlo, è per risparmiarti la verità. Perché dovrei dirtelo
io? Forse è meglio cosi.

Lui va verso la base della scala.

GILLES: lo non sono caduto, vero?

Lisa non risponde.

GILLES: E da prima che esamino questa scala senza riuscirea capire come ho potuto mancare uno
scalino qui e sbattere la testa là. Un volo estremamente difficile.

Lisa lo raggiungee annuisce.

LISA: Temo di aver improvvisato la mia spiegazione un po' troppo in fretta.

GILLES: Lisa, mi hai mentito!

LISA: Ti proteggo, Gilles, come ti protegge il tuo cervello impedendoti l'accesso ai tuoi ricordi.
GILLES: Da che cosa mi proteggi?
LISA (con naturalezza): Ma da te. (Pausa) Da te.

Su questa rivelazione, Gilles si accascia. I suoi peggiori timori sembrano giustificati.


GILLES: Lo sapevo! Lo sapevo entrando qui che c'era qualcosa di pesante, di doloroso, di
insopportabile ad attendermi. Cos'è accaduto?
LISA: Smettila di cercare, Gilles. Se trovi, starai ancora peggio.

Lui le afferra il braccio, implorante.

GILLES: Cosa è successo?


LISA: Non te lo voglio dire. Anch'io sto cercando di dimenticarlo.
GILLES: Lisa, un po' mi ami, vero?
LISA: Sennò perché cercherei di dimenticare?
GILLES: Lisa, se un po' mi ami, ti supplico, dimmi cos' e successo quella sera.
LISA: Ma niente, Gilles, niente.
GILLES: Lisa, ti prego.
LISA: Non è niente di grave, dopo tutto. Siamo qui, è passato.
GILLES: Cosa? Cosa è passato?
LISA: Hai cercato di uccidermi.

Gilles rimane di sasso. Lisa sostiene il suo sguardo. Popo a poco lui indietreggia, sconvolto da ciò
che ha appena appreso. Lei ripete con calma:

LISA: Hai cercato di uccidermi.

Sollevata dalla confessione, Lisa si prepara un whisky e soda e si siede. Gilles è dietro di lei,
ammutolito.

LISA: Quando sei tornato, quel pomeriggio, mi hai trovato che stavo impacchettando le mie cose.
La valigia è ancora piena, del resto. Ti ho detto che me ne stavo andando. Anzi, per la precisione,
che ti stavo lasciando.
GILLES: Tu?
LISA: Ecco, hai reagito esattamente nella stessa maniera. Mi hai detto "Tu?" come se per tutta
l'eternità fosse scritto che se uno dei due poteva prendere il largo, dovevi essere tu e non io.

GILLES: Ma perché?
LISA: Già, infatti è stata la tua seconda domanda. (Si accende una sigaretta) Spero che la
somiglianza tra la discussione di oggi e quella dell'altra sera si fermi qui.

Lisa attende una risposta. Pallidissimo, Gilles borbotta:

GILLES: Ti prometto che resterò calmo.


LISA: Bene. Ti annunciavo che mi separavo da te perché ero... stanca... Sì, stanca di questa coppia
che dava più soddisfazione a te che a me. Ti ho chiesto di rispettare la mia decisione e di non
chiedermi altre spiegazioni. Da principio sembrava che tu mi lasciassi andare, poi all'improvviso ti
sei messo a urlare: "Chi e? Chi è? Con chi te ne vai?". Io ti ho risposto: "Con nessuno" e tu non ci
hai creduto Mi hai rifilato la tua vecchia teoria secondo cui un uomo prende un'amante per restare
con sua moglie, mentre una donna lo prende per lasciare il marito.
GILLES: E vero!
LISA: E’ la tua teoria. A me non si applica.
GILLES: Come faccio a crederti?
LISA (stanca): Non ricominciare, ti prego.
GILLES (ammansito): D'accordo.
LISA: Da lì in poi, la discussione è degenerata. Sei diventato violento. Hai..
Ha difficoltà a continuare. Lui non si muove, confuso. Cercando di trattenere le lacrime che le
vengono agli occhi, lei afferra una scultura di una trentina di centimetri da sopra un mobile.

LISA: Quando sono scesa con la valigia, ti sei buttato su di me e hai cercato di strangolarmi. Io ho
provato a difendermi, ho preso la statuetta e…

Lisa interrompe la frase e comincia a piangere in silenzio. Gilles sembra più scioccato che pentito.
Scuote la testa, come se quel gesto potesse rimettergli le idee a posto e fargli tornare i ricordi. Dopo
qualche esitazione, si avvicina a lei e le prende la mano con dolcezza.

GILLES: Ti ho fatto male.

Spontaneamente, Lisa fa di no con la testa. Poi ci ripensa e si porta la mano al collo.

LISA: Qualche livido. E’ per questo che non mi hai visto, il primo giorno, all'ospedale.

Gilles annuisce lentamente.

GILLES: Ora capisco meglio perche non vuoi che ti tocchi…

Lisa annuisce sospirando. Gilles si guarda intorno come se fosse l'ultima volta.

GILLES: Tocca a me, adesso.

Va verso la sua valigia rimasta vicino alla porta. Lisa solleva il volto, stupita.

LISA: Dove vai?


GILLES: Non posso restare, Lisa. Non dopo quel che ti ho fatto.
LISA: Ma…
GILLES: Ho fatto la sola cosa che non si può perdonare. Ho commesso l’unica azione che poteva
annientare la tua fiducia verso di me. Distrutto, prende la valigia e apre la porta. Lisa abbassa la
testa, non trovando niente da rispondere.
GILLES: Lisa, una domanda. Una sola, prima di andarmene.
LISA: Sì.
GILLES: C’è un altro uomo?

Lei aspetta un attimo prima di rispondere.

LISA: No.
GILLES: Nessuno?
LISA: Nessuno.
GILLES: Ancora peggio. Addio.

Esce. Rimasta sola, Lisa sta male. Lungi dal darle sollievo, la partenza di Gilles la angoscia. Fa
qualche gesto disordinato, poi gli corre dietro e lo riacchiappa nel corridoio.

LISA: No, Gilles, torna.

Lo tira per il braccio per farlo rientrare nell'appartamento.

GILLES: E’ inutile, Lisa. Cosa vuoi che faccia? Che ti chieda di perdonarmi? Non potresti mai,
dopo quello che ho fatto.
LISA: Siediti. Si che posso. Rimani un minuto. Ho qualcosa da dirti.

Lui cede. Lei chiude la porta, soddisfatta di quel primo risultato. Gilles si siede. Lisa cerca le parole.

LISA: Tu scopri la situazione adesso, ma oo la conosco da quindici giorni, la situazione, e da


quindici giorni ci rifletto sopra, me la giro e rigiro nel cranio. Se ho preso l'iniziativa di venirti a
trovare in ospedale e poi di riportarti qui, l'ho presa.. a ragion veduta. Sapevo che la memoria ti
sarebbe tornata, o quanto meno che io avrei potuto ridartela.
GILLES: Non capisco.

Lisa si mette in ginocchio davanti a Gilles.

LISA: Ti perdono, Gilles.


GILLES: Cose così non si perdonano.
LISA: Sì, invece. E’ da quella sera che voglio perdonarti. E ci sono arrivata. (Pausa) Ti ho
perdonato.

Gilles rimane zitto, scioccato. Ha bisogno di qualche secondo per riuscire a mormorare con voce
atona:

GILLES: Grazie.

Lisa sorride. Gilles pure, ma con maggior difficoltà, un sorriso stentato. Lui si alza. Lei vacilla per
la sorpresa.

LISA: Che fai?


GILLES: Me ne vado. Grazie per avermi addolcito la partenza.

Lei lo tratiene.

LISA: Gilles, non hai capito cosa ti ho detto.


GILLES: Sì, credo di sì.
LISA: Voglio che tu resti.

Lo obbliga a rimettersi seduto. Stordito, lui si lascia guidare senza opporre resistenza.

LISA: Vorrei che continuassimo a vivere insieme.


GILLES: Ma... Ma... Quindici giorni fa mi stavi lasciando.
LISA: Quindici giorni fa.
GILLES: E cos'è cambiato? Che ti ho aggredito e ho perso la memoria.
LISA (energica): Non ti lascio più.

Gilles si massaggia la nuca dolorante, completamente disorientato dai continui voltafaccia di Lisa.

LISA: Io ci tengo alla nostra coppia.


GILLES: Perché?
LISA: Non se ne parla di romperla. Ci ho lavorato sopra quindici anni. E’ opera mia.
(Correggendosi) Opera nostra. Non ne sei fiero anche tu?
GILLES: Tenere in piedi una coppia per orgoglio vuol dire obbedire all'amor proprio, non
all'amore.
LISA: Rimani.
GILLES: Mi dispiace, Lisa. Non ti capisco. Già non ho capito perché ci stavamo lasciando due
settimane fa, ancora meno capisco perché dovremmo restare insieme oggi.
LISA: Non si può eludere il proprio destino. (Pausa) Tu sei il mio destino. (Dolcemente) Noi non ci
apparterremo mai fisicamente, ma ci apparteniamo mentalmente. Tu ti sei immerso nei miei abissi
più profondi, io nei tuoi, siamo schiavi l'uno del l'altra. Anche se non nella carne, sei il mio uomo
nei miei ricordi, nei miei sogni, nelle mie speranze. E’ questo che mi lega a te. Possiamo anche
separarcı, ma non potremo mai lasciarci. Tutti questi giorni in cui tu non ceri, eri assente da qui,
assente da te stesso, io continuavo a rivolgerti i miei pensieri, a farti partecipe dei miei umori. Sai
cosa vuol dire amare un uomo con amore? Vuol dire amarlo malgrado te stessa, malgrado lui,
contro tutto e tutti. Vuol dire amarlo in un modo che non dipende più da nessuno, Amo i tuoi
desideri e amo anche le tue avversioni, amo il male che mi fai, un male che non mi dà dolore, che
passa subito, un male che non lascia tracce. Amare vuol dire avere quella resistenza che ti permette
di passare attraverso tutti gli stati con la stessa intensità, dalla sofferenza alla gioia. Io ti amavo
prima che tu volessi uccidermi. E continuo ad amarti dopo. Il mio amore per te è un nucleo, una
nebulosa nel profondo della mia anima, qualcosa che non posso più raggiungere né cambiare. Una
parte di te è in me. Anche se tu te ne andassi, quella parte resterebbe. In me c'è una tua forma. Io
sono la tua impronta, tu sei la mia, nessuno dei due può esistere separatamente dall'altro.

Lui la guarda con occhi sgranati, sconcertato dalla dichiarazione.

LISA: Allora?
GILLES: Allora...

Lui esita ancora. Tenera, vulnerabile, lei lo supplica con lo sguardo.

GILLES: Allora.. visto che sono già qua, rimango.

Stavolta è Lisa che prende l'iniziativa di baciarlo, dandosi a lui come mai prima.

GILLES: Valeva la pena: questo era diverso dagli altri.


LISA (Contenta): Usciamo. Andiamo a bere una cosa da qualche parte, ti va?
GILLES: Ai suoi ordini.
LISA: Vado a cambiarmi.

Sparisce in un'altra stanza, impaziente di farsi più bella. Gilles rimane solo. Fa un lungo sospiro. E’
molto emozionato, ciò nonostante è ben lontano dal provare l’allegria di Lisa. Pensa e si muove con
sofferenza. Tutto gli costa fatica. Pensieroso, va verso lo stereo, sceglie un disco e preme play. Un
jazz languido riempie la stanza. Ascolta la musica con attenzione, come se le note gli stessero
dettando qualcosa, un messaggio segreto. I suoi occhi hanno un bagliore. Ritrova energia, vigore.
Sa quel che deve fare. Riappare Lisa, bellissimna nel suo nuovo vestito, e si mostra a Gilles.

LISA: Faccio schifo cosi?


GILLES: Sei inguardabile!
LISA: Allora è perfetto.

Quando gli passa davanti, Gilles la bacia sul collo. Lei lo lascia fare con voluttà. Poi tira fuori dalla
borsetta una trousse per ritoccarsi il trucco. Lui la osserva.

GILLES: Che ti ricorda questa musica?


LISA: Boh, non lo so. Niente, credo.
GILLES: E’ la musica che c'era quella sera.
Lisa si blocca. Sente che c'è una minaccia dietro ciò che ha detto Gilles, una minaccia che decide di
ignorare mentre si sforza di continuare a truccarsi.

GILLES: Sono tornato tardi, verso le otto. Era tutto spento. Ho pensato che tu non fossi ancora
rientrata. Ho messo questo disco. Ho acceso questa lampada, sopra la mia poltrona con la molla
rotta, e ho aperto il giornale. Una volta seduto, ho sentito un rumore di stoffa dietro di me. Ho
pensato che l'aria stesse muovendo le tende. Mi sono rimesso a leggere. Poi c'è stato di nuovo un
fruscio di tessuto. Mi sono girato. Ho avuto giusto il tempo di vederti con qualcosa in mano, nella
penombra, poi ho preso il colpo.
LISA: Mi hai visto.

Lisa abbassa la testa, colpevole. Vorrebbe essere altrove. Non sa più che fare. I palmi delle sue
mani sfregano nervosamente la stoffa del divano. Poi con una mano prende al volo il libro. Lo apre
meccanicamente, fa una smorfia, poi lo restituisce a Gilles.

LISA: Piccoli crimini coniugali. Il tuo libro migliore, alla fin fine.
GILLES: Sì. Chi dei due sarà il primo a uccidere l'altro? (Pausa) Eppure avevo peccato d'ingenuità,
non ero arrivato a concepire che un coniuge potesse accusare l'altro di un delitto che ha commesso
lui. (Con un inchino) Brava, mi hai davvero superato.
LISA: Quando in una coppia s'instaura la violenza, poco importa chi la manifesta.
GILLES: I miei complimenti, avvocato! Uno spunto fantastico per l'arringa.

Lisa alza le spalle, ostile. Gilles le si avvicina e addolcisce il tono della voce.

GILLES: Che violenza, Lisa?


LISA (esplodendo): La violenza che sono passati quindici anni! La violenza che tu mi piaci allo
stesso modo! La violenza che ti vedo invecchiare, mi vedo invecchiare, e non riesco a rinunciare a
noi. La violenza che dovrei mollare e non mollo! La violenza che sei bello! La violenza che ho
paura che tu te ne vada! La violenza che tu sei un uomo e io sono una donna! Gli uomini
invecchiano meglio, o comunque ne sono convinti, e anche le donne ne sono convinte: tu sei
brillante, piaci, continui a piacere, le ragazze ti sorridono per strada più di quanto i ragazzi non
sorridano a me. Tu potresti tranquillamente fare a meno di me, mentre io mi sento incapace di
vivere senza di te.
GILLES: Non è vero!
LISA: Sì che è vero!
GILLES: Tì sbagli. Ti sbagli con sincerità, ma ti sbagli.
LISA: E allora?
GILLES: Lisa, non si uccide per questo.

La voce di Lisa è di una sincerità straziante.

LISA: Che ne sai, tu? Non volevo ucciderti, volevo solo smettere di soffrire.

Scoppia a piangere.

GILLES: Perché bevi? (Lei non risponde) Vuoi smettere di soffrire? (Lei fa di sì con la testa) Vuoi
diventare brutta, grassa, gonfia e fuori uso prima del tempo? (Lei fa di sì con la testa. Lui sorride)
Vuoi provocarmi? Vuoi che vada in giro con una donna gonfia come un popcorn che squadrerà le
altre pensando: "Dite quello che vi pare, alla fine è con me che sta"? (Lei fa di nuovo sì con la testa,
come una bambina) Dici di sì? Dici sempre di sì... Sì per far mi contento. Sì per quieto vivere. Sì
pur di non tirare fuori la verità. (Pausa) Dov’è che ti fa male? Sono convinto che tu sia incapace di
dirmelo, sennò non berresti di nascosto, non mi colpiresti alle spalle. Si fanno le cose che non si
riescono a dire. E però dovresti cercare di spiegarmelo…

Lisa fa un gesto di diniego. Lui insiste con dolcezza, come se Lisa fosse una bambina.

GILLES: A te sembra che sia molto difficile, invece è semplicissimo. Difficile è dirlo. Ma pensarlo
è facile, visto che ci pensi continuamente.
LISA (tra i singbiozzi): La nostra coppia…
GILLES (incoraggiante): Sì.
LISA: E’ importante per me, ma non per te.
GILLES (come prima): Non è vero, ma continua... Vai avanti…
LISA: Per te è solo una sistemazione pratica.
GILLES: Non è vero, ma continua.
LISA: L'amore è destinato a esaurirsi. L’hai scritto tu nel tuo libro, Piccoli crimini coniugali.
Orribile! Leggendolo avevo la sensazione di aver intercettato una conversazione che non avrei
dovuto sentire, una conversazione in cui tu parlavi male di me e dicevi un sacco di brutte cose su di
noi, una conversazione che mi faceva perdere ogni illusione. La decadenza dell'amore! Le termiti!
Quegli insetti che mangiano travi e pilastri. Non si vedono e non si sentono, continuano a
rosicchiare finché un giorno la casa crolla. Tutto era diventato vuoto senza che nessuno lo sapesse. I
sostegni, la struttura, tutto quello che avrebbe dovuto reggere i muri era stato scavato. Eccola, la
nostra coppia! L'amore viene rimpiazzato dalla pigrizia, le abitudini liberano i sentimenti
dall'impegno. Ha l'apparenza di una casa,ma le colonne non sono più di legno, sono di cartone, di
cartapesta. Tenerezza? All'inizio hai preferito me, ma mi preferisci ancora? Sostieni di amarmi, ma
ti piaccio ancora? Il fatto è che ci sono, quindi la domanda muore da sé, e con lei il desiderio. Non ti
va più di vivere con me proprio perché vivi con me. Non sono più la tua evasione, Sono la tua
prigione, mi sbatti contro, mi subisci.
GILLES: Ma io voglio continuare. Cioè, volevo…
LISA: Perché continuare? Anche su questo ho letto quel che scrivi. Uomini e donne restano insieme
solo per ciò che di più basso, vile e laido c'è in loro: l'interesse, l'angoscia del cambiamento, la
paura di invecchiare, il terrore della solitudine. Rattrappiscono, deperiscono, abbandonano lidea di
poter fare qualcosa della loro vita, si danno la mano solo per non andare da soli verso il cimitero.
Sei rimasto con me unicamente per delle pessime ragioni.
GILLES: Mentre tu, naturalmente, ne avevi di eccellenti, vero?
LISA: Sì.
GILLES: Quali?
LISA: Tu.

Sebbene scosso dalla violenza con cui lei gli dichiara il proprio attaccamento, Gilles non riesce a
non fare dell'ironia.

GILLES: Mi ami e quindi mi uccidi, no?

Lisa, la testa china, gli occhi a terra, mormora più per sé che per lui:

LISA: Ti amo e questo mi uccide.

Gilles capisce che è sincera.

LISA: Quel giorno stavo malissimo, ero sola. Ho bevuto. Prima uno, tanto per aspettarti. Ma tu non
arrivavi. Cosi ho continuato. Più ti aspettavo, più mi mancavi. Più ti aspettavo, più lo facevi apposta
a ritardare. Più ti aspettavo, più tu mi prendevi in giro, mi disprezzavi, mi calpestavi! Il mio
ragionamento era lucido: se non mi dice mai che mi fa le corna, vuol dire che me le fa sempre; se
non mi parla mai di altre donne, vuol dire che ne vede in continuazione; se non lascia mai trapelare
indizi compromettenti, significa che è perfettamente organizzato. Bere vuol dire essere convinto di
aver chiuso la porta in faccia al nemico quando l'hai appena fatto entrare a casa tua e ce l’hai chiuso
dentro con i lucchetti del silenzio. Si beve per affogare un'idea, con l’unico risultato che l'idea
diventa un'ossessione. Cerchi di cancellare un sospetto, ma l'alcol lo rende più forte, più vivo, gli dà
tutta la scena. Cosi mi sono persuasa che mi stavi lasciando. Al primo bicchiere era una possibilità.
Alla fine della bottiglia ne ero certa. Quando sei arrivato, ero furiosa. Mi sono nascosta e ti ho
colpito.
GILLES: Hai pensato che stessi con un'altra donna?
LISA (chiusa): La cosa non mi riguarda.
GILLES: Hai pensato che stavo con un'altra donna?
LISA: Fai quello che vuoi, non ci tengo a saperlo.
GILLES: Tu hai pensato che ero con un'altra donna.
LISA: Siamo una coppia libera, tu vai dove ti pare e io pure. Su questo non si discute.
GILLES: Quindi l'hai pensato!
LISA: Ti prego. Non cercare di farmi credere che ero gelosa.
GILLES: Ma sì, invece. Semplifichiamo: eri gelosa.
LISA (fuori di sé): No!
GILLES: Su, su! Sarà pure antiquato, ma è cosi.
LISA: Non sono antiquata!
GILLES: Sì che lo sei. In società fai quella evoluta, ma in realtà non sopporti l'idea che io possa
toccare un’altra donna.
LISA: Che c'entra! Quelle sono scemenze che uno dice alle cene per avere l'aria smaliziata tra un
piatto e l’altro!
GILLES: Allora non sei di larghe vedute?
LISA: Neanche per sogno!
GILLES: Quindi sei gelosa.
LISA: Molto!
GILLES: Quindi non siamo più una coppia libera?
LISA: Solo in teoria. In maniera molto astratta. Tra la frutta e il caffè. Il resto del tempo, no.
GILLES: Non sono d'accotdo.
LISA (Con violenza): Nemmeno io sono d'accordo con me stessa. E sai perché? Perché non ho un
cervello, Gilles, ma due! Due cervelli. Quello moderno e quello arcaico. Quello moderno rispetta la
tua libertà, s’inebria di tolleranza, dà prova di comprensione in modo molto sofisticato, mentre
quello arcaico ti vuole solo per me, rifiuta di condividerti, sobbalza alla prima telefonata non
identificata, fa congetture di fronte a un conto di ristorante che non sa spiegare, si preoccupa al
minimo cambiamento di profumo, s’inquieta se riprendi a fare sport o compri un vestito nuovo,
sospetta di un tuo sorriso mentre sogni, la notte, progetta un omicidio alla sola idea che un’altra
donna ti baci, che due braccia ti circondino il collo, che due gambe si aprano sotto di te… C’è un
serpente annidato nel fondo di me stessa, con gli occhi gialli e penetranti, vigile, che non riposa
mai, e sono io, Gilles, sono sempre io. Non bastano corsi intensivi e duemilacinquecento anni di
educazione, non potrai mai strapparmi ciò che di animlae, d’istintivo c’è nell’amore.
GILLES: Lisa, la coppia è una casa i cui inquilini hanno la chiave. Se li chiudi dall’esterno, la casa
diventa una prigione, e loro prigionieri.
LISA: Hai presente quelli che pur di evadere escono in continuazione, ecco, tu sei così.
GILLES: No.
LISA: Ti vedi con altre donne, hai appuntamenti, sei malato di desiderio.
GILLES: La mia salute sei tu. Mi viene la febbre solo all'idea di un incontro galante.
LISA: Ti ammali spesso, allora.
GILLES: Questo è quello che credi tu. Non ne sai niente.
LISA: No. Ma immagino...
GILLES: Sai o immagini?
LISA (urlando): Immagino! Ma è uguale. Fa male lo stesso!
GILLES: Forse anche di più. (Pausa) Altro che termiti! Lo so io dove sono, le termiti: nella tua
zucca.
LISA: Che altro posso fare? Non mi dici mai niente!

GILLES: Raccontare tutto mi sembrerebbe irrispettoso. Comunque, guarda, avevi ragione su quella
sera: ero con una donna.
LISA (trionfante): Ah! Lo vedi?
GILLES: Ero con Roseline, il mio editore.
LISA (Spiazzata): Roseline?
GILLES: Sì. L'enorme Roseline, la donna dalla circumnavigazione impossibile. Quella che tu
definisci graziosamente la vacca senza corna.
LISA: Beh, è vero che non ha le corna, no?

Gilles e Lisa si guardano e scoppiano a ridere. E’ una risata breve, ma li distende un po'.

GILLES: Riassumendo, sono colpevole della tua immaginazione. Il processo si è svolto qui senza di
me, senza contraddittorio, senza difesa, tra due bottiglie di whisky ficcate dietro i miei libri. Il
Gilles virtuale delle tue fantasie non ti filava abbastanza, se ne fregava di te per andarsi a buttare tra
le braccia delle altre, cosi mi hai accoppato! Il problema è che la botta non l’hai data a una testa
immaginaria, l’hai data a me.
LISA: Scusa.
GILLES: È anche vero che le altre volte te la prendevi con te stessa, ingurgitando veleno. Si vede
che stavolta toccava a me.
LISA: Scusa.
GILLES: Forse sei fatta solo per le storie corte. le storie che cominciano.
LISA (protestando): No.
GILLES: Dentro di te c'è qualcuno che si rifiuta di invecchiare con me, qualcuno a cui piacerebbe
che la nostra relazione finisse.
LISA: Non è vero.
GILLES: Mi sa di sì, invece. Mi sa che preferisci le storie che si riescono a gestire: forse non
sopporti l'abbandono.
LISA: L’abbandono?
GILLES: Sì, che le cose ti sfuggano di mano. Che le situazioni siano troppo forti. Che i sentimentí
siano troppo grandi per te. Se si vuole essere sicuri di tutto, bisogna accontentarsi di storie corte. Di
legami delimitati chiaramente, riconoscibili, con un inizio, un mezzo, una fine e un percorso
segnato da tappe ben precise: il primo sorriso, il primo scoppio di risa, la prima notte, il primo
litigio, la prima riconciliazione, la prima seccatura, il primo malinteso, le prime vacanze andate
male, la prima separazione, la seconda, la terza e poi la separazione vera. Dopo si ricomincia.
Uguale, ma con qualcun altro. Viene definita una vita piena di avventure, ma in realtà più che
avventurosa è una vita in serie. Non è sensato amare sempre, amare a lungo, è follia pura. La cosa
più ragionevole è amare finché è gradevole. Si chiama razionalismo amoroso: amarsi finché durano
le nostre illusioni; appena crollano, lasciarsi. E appena abbiamo a che fare con persone reali, non
più con immagini della fantasia, separarsi.
LISA: No, no, questo no.
GILLES: E’ contro natura amare per sempre, amare a lungo.
LISA: Non è vero.
GILLES: Per fare in modo che duri bisogna accettare l'incertezza, bisogna avanzare in acque
pericolose, avventurarsi là dove si procede solo con la fiducia, riposarsi galleggiando su onde
contraddittorie, certe volte di dubbio, certe volte di fatica, certe volte di serenità, ma mantenendo
sempre la rotta.
LISA: Tu non ti scoraggi mai?
GILLES: Altroché.
LISA: E allora?
GILLES: Ti guardo e mi chiedo se malgrado i miei dubbi, i miei sospetti, le mie inguietudini e la
mia stanchezza ho davvero voglia di perderti. E la risposta mi viene sempre. Sempre la stessa. E
insieme a lei mi viene il coraggio. Amare è irazionale, è una tantasia che non appartiene alla nostra
epoca, non si giustifica, non è pratico, la sua unica giustificazione è che c'è.
LISA: Se mai arrivassi ad aver fiducia in te, smetterei di aver fiducia in me stessa. Mi riesce
difficile avere fiducia.
GILLES: "Avere" fiducia! Non si può “avere” fiducia. La fiducia non si possiede. Si dà. Si "dà"
fiducia.
LISA: E’ proprio quello, che non mi riesce.
GILLES: Perché ti poni come spettatrice, come giudice. Ti aspetti qualcosa dall'amore.
LISA: Sì.
GILLES: Invece è lui che aspetta qualcosa da te. Tu vorresti che l'amore ti dimostrasse che esiste. È
una strada sbagliata. Tocca a te dimostrare che esiste.
LISA: Come?
GILLES: Dando fiducia.

Lisa capisce, ma non può ammettere né accettare ciò che dice Gilles. E’ oppressa da un senso
d'insicurezza. Non sa che fare di sé stessa, del suo corpo.

LISA: Io... io... vado a prendere la mia valigia.

Aspetta un cenno di approvazione da parte di Gilles, ma lui non reagisce. Lei insiste.

LISA: E’ pronta da quindici giorni.

Gilles non batte ciglio. Lei sale la scala e scende con la valigia, fermandosi tuttavia davanti a lui.

GILLES: Non ti sfiora neanche l'idea che possa perdonarti?

Lisa rifiuta l'offerta.

LISA: C'è molto da perdonare. I miei sospetti... la botta in testa... le bugie…


GILLES: Possiamo fare tutto un pacchetto.
LISA: Ti ho fatto troppo soffrire.
GILLES: Mi va bene anche soffrire, se è il prezzo da pagare per noi due.

Lisa rifíuta di nuovo scuotendo la testa, come una bambina.

GILLES: Poco fa mi hai perdonato, tu.


LISA: Era più facile. Tu non avevi cercato di ammazzarmi.
GILLES: Lisa, era un'altra canzone quella che avevo in testa. Era: “Voglio vívere con te”.
LISA: Sì.
GILLES: Tu non vuoi più?
LISA: No. Prima non sapeví. Eri convinto di essere stato tu a...
GILLES: Non è vero. Lo sapevo anche prima.

Lisa non crede alle sue orecchie. Lui contínua, lentamente.

GILLES: Ricordo tutto. E’ da quando ho ripreso coscienza sulla barella che sono tornato ín me.
Non ho mai perso la memoria.
LISA: Cosa?
GILLES: L'amnesia era un modo per indagare, per capire, volevo scoprire perché mi odiavi tanto da
farmi fuori. L'amnesia era un trucco per tornare, per ritrovarti. Ti ho mentíto, ma per amore.

Lei lo guarda con durezza. Lui invece continua con dolcezza.

GILLES: Dopo quindici anni c’era rimasta solo lo menzogna per arrivare alla verità.
LISA (Aggressiva) La verità? Eccola, ora la sai, la verità! E allora? Che ci fai con la verità? Eh?
Che ci fai? Niente!
GILLES: Forse in una coppia quello che bisogna condividere non è la verità, ma il mistero. II
mistero che mi piaci. Il mistero che ti piaccio. Il mistero che non passa.
LISA: Passerà!

Lisa si versa un whisky e lo trangugia d'un fiato. Poi prende la valigia e va verso la porta.

GILLES: Ti perdono, Lisa.


LISA: Buon per te!
GILLES: Accetta di essere perdonata, per piacere.
LISA (di malumore): Sei magnifico, un gran gesto.
GILLES: Ma non serve a niente che ti perdoni io, se non ti perdoni da sola.

Colpita dall'idea, Lisa si ferma sulla soglia. Poi si gira con rabbia.

LISA: Non ne hai abbastanza di fare la parte del buono?


GILLES (massaggiandosi la ferita): Il buono? Questa m'era sfuggita.
LISA: Non ne posso più. Non ne posso più che tu rivolti la merda che ho nel cervello, non ne posso
più che tu mi comprenda, mi scusi, mi perdoni. Vorrei che tu mi odiassi, che mi menassi, che mi
insultassi. Vorrei che tu stessi male quanto sto male io.

Gilles le indica la bottiglia di whisky.

GILLES: Il bicchiere della staffa?

Furiosa per la provocazione, Lisa afferra la bottiglia, se la porta alle labbra e la scola fino all'ultima
goccia.

LISA: Ecco fatto.


GILLES: Perfetto.
LISA: Non ne posso più che tu sia meglio di me.
GILLES: Poco fa ero peggio.
LISA: Alla fine sei meglio. Comunque non lo sopporto.
GILLES: Scusami se sono quello che sono.

Lei va verso la porta. Lui cerca di trattenerla.

GILLES. Noi ci amiamo, Lisa. Non lasciamoci!


LISA: È vero. Ci amiamo. Ma ci amiamo male. Addio.

Apre la porta.

GILLES: Lisa, ti devo ringraziare.


LISA: Eh?
GILLES: Non facevo più attenzione a te. Ti avevo ricoperto di di tenerezza, come un velo dietro a
cui non vedevo più i tuoi lineamenti. Non avevo neanche il coraggio di domandarti perché bevevi.
Mi adagiavo sulla durata della nostra unione, quindici anni, senza realizzare che il tempo non è un
alleato in amore. Ti ringrazio per aver ammazzato la coppia che dormiva, per aver ucciso gli
estranei che eravamo diventati. Solo una donna poteva avere un coraggio del genere.

Lisa alza le spalle. Lui continua, pur di trattenerla.

GILLES: Gli uomini sono pusillanimi, rifiutano di vedere i problemi che hanno, vogliono
continuare a credere che tutto vada bene. Le donne non girano la testa dall’altra parte.
LISA: Scrivilo nel tuo prossimo libro, guadagnerai lettrici.
GILLES: Le donne affrontano i problemi, Lisa, però hanno la tendenza a credere di essere loro
stesse il problema, pensano che l'usura della coppia dipenda dall'usura del loro potere di seduzione.
Si ritengono responsabili, colpevoli, si fanno carico di tutto.
LISA: Gli uomini peccano di egoismo. Le donne di egocentrismo.
GILLES: Uno a uno. Niente di fatto.
LISA: Zero a zero. Niente di niente. Addio.
GILLES: Sono tornato, Lisa, sono tornato qui, nella nostra vita, nella nostra coppia. E’ vero, dopo
l'incidente non ho perso la memoria, ma prima dell'incidente sì che l'avevo persa. L'avevo persa
perché passavo i miei giorni e le mie notti con te ma mi raccontavo una storia diversa. L’avevo
persa perché mi eccitavo con te ma mi guardavo sfacciatamente intorno alla ricerca di altre donne.
Persa perché per te provavo un sentimento ineguagliabile ma preferivo parlare delle mie piccole
pulsioni. Persa perché in fondo ero fedele, ma mi sarei fatto tagliare la gola piuttosto che
ammetterlo. Ti adoravo e dimenticavo di dirtelo. Non sono che un uomo, Lisa, e la caratteristica
degli uomini è che rifiutano il loro destino. Preferiscono la libertà. Ma cos'è una libertà che non
agisce? È una libertà cava, vuota, senza consistenza, una libertà che non sceglie, una libertà
velleitaria, una libertà preventiva. Gli uomini vagheggiano la libertà, più che utilizzarla. La
ripongono con attenzione su una mensola, più che farne uso. E là lei si secca, si incartapecorisce e
muore molto prima di loro. Perché la libertà esiste solo se uno se ne serve. Sotto sotto gli uomini
sono romanzeschi: vivono qualcosa e si raccontano tutt'altro. Alla loro vita ne sovrappongono
un'altra segreta, immaginata, di cui sono i poeti muti. Ero tra le tue braccia, felice per la
milionesima volta, e mi vedevo predatore in grado di sedurre tutte le donne. È dal giorno stesso che
abbiamo comprato questa casa che mi riservo la possibilità di prendere il largo in qualsiasi
momento. Marinaio a terra e stanziale sul mare. Innamorato, mi volevo senza pastoie. Sposato, mi
desideravo infedele. Ero doppio, Lisa, doppio e fiero di esserlo. Camminavo al fianco di me stesso
incapace di trarre soddisfazione dalla realtà, incapace di meravigliarmi, abitando da qualche parte
solo per poterne evadere. Non riuscivo a dirti quanto ti amavo: sarebbe stato come mettere le
manette al mio doppio. Ammettere che la nostra coppia era la mia avventura più grande avrebbe
permesso al mio doppio di sfottermi. Ora sono tornato. Eccomi, ho lasciato il mio doppio
all'ospedale. E’ morto con la botta in testa. Pace all’anima sua tormentata. Nessuno lo rimpiange.
(La guarda addolorato) Ti amo, Lisa. Sono geloso di quello che hai fatto per noi. Ti amo perché non
sei tenera. Ti amo perché mi tieni testa. Ti amo perché sei capace i colpirmi. Ti amo perché rimarni
sempre una bella straniera. Ti amo perché fai l'amore con me solo se ti va davvero.
LISA: E se ti ammazzo?
GILLES: Se devo morire, voglio che venga da te. Il tuo non esserci non mi fa morire, mi avvelena.
Ti prego, resta, resta con me. Non voglio nessun'alta donna, nessun altro assassino.
LISA: Addio.

Esce. Rumore di passi che si allontanano. Rimasto solo, Gilles esita. Non sa che fare. Poi decide di
spengere tutte le luci, come se andasse a dormire. Lascia accesa solo la lampada che illumina la sua
poltrona. Passando vicino allo stereo, rimette lo stesso pezzo di jazz, poi va a sedersi nel cono di
luce, pensieroso. Lisa rientra lentamente, timorosa, titubante. senza la valigia. Lui la sente, ma non
si gira apposta. Aspetta. Lei gli arriva alle spalle.
LISA: Temo di aver vomitato sulla tua macchina.

Gilles è felice, ma controlla la sua emozione. Senza guardarla, decide di risponderle con
naturalezza, rifacendo la scena del loro primo incontro.

GILLES: Comunque, quel colore non mi è mai piaciuto. L'avrei preferita più... originale.
LISA: Ora è unica!

Ridono. Lisa capisce che può continuare così, su questo tono leggero. Dice le battute che la prima
volta erano di Gilles.

LISA: La vita è davvero bastarda.


GILLES: La vita fa di testa sua.

Lei si mette davanti a lui e lo guarda.

LISA: Che tipo di uomo è lei?


GILLES: Il suo tipo?
LISA: Decisamente sì. Ogni frase mi provoca un brivido lungo la schiena, mi sento il cervello
intorpidito, ho tutti i sintomi di un malessere che si chiama attrazione irresistibile.
GILLES: Mi dispiace, non ho rimedi.
LISA: Ma è lei il rimedio.

Si sorridono.

GILLES: C'e qualcuno nella sua vita?


LISA: In questo momento ci sei tu.

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