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Intelligenza artificiale applicata alla giustizia: ci sarà un giudice robot?

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Intelligenza artificiale applicata alla


giustizia: ci sarà un giudice robot?
1. I nuovi orizzonti della tecnologia informatica e della robotica

Sempre più spesso si sente parlare di intelligenza artificiale, applicata con


successo in vari settori. Da quelli della medicina, della difesa e dei
trasporti, a quello della produzione a livello industriale di robot umanoidi
e, cioè, di macchine automatiche in grado di aiutarci nei lavori più
disparati [1].

Nel campo della medicina, già oggi, nel mondo, si utilizzano robot
chirurgici, che altro non sono che estensioni delle mani del chirurgo
controllate da remoto, i quali, fornendo ad esso un feedback sensoriale
analogo a quello che avrebbe se operasse direttamente sul paziente,
consentono di effettuare interventi più precisi e meno invasivi di quelli
tradizionali. Si stanno inoltre sviluppando, con successo, speciali
tecnologie robotiche finalizzate alla riabilitazione di pazienti affetti da
gravi menomazioni, paralisi e malattie degenerative nonché all’impianto in
soggetti che hanno subito mutilazioni, di protesi direttamente collegate
tramite elettrodi a nervi, muscoli e tendini della parte amputata, capaci di
consentire al paziente il recupero non solo del movimento, ma anche di
gran parte delle sensazioni tattili. Di recente, per la prima volta al mondo,
un gruppo di scienziati della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e del
Sahlgrenska University Hospital di Göteborg ha realizzato, su una
persona mutilata, un impianto transradiale stabile e permanente di una
“mano robot” in grado di captare e tradurre in movimento i segnali
mioelettrici provenienti dal cervello. Sempre nel campo medico-
chirurgico, è inoltre in via di sviluppo un endoscopio miniaturizzato,
capace di muoversi all’interno del corpo umano, dotato di sensori capaci,
a fini diagnostici, di rilevare parametri biologici, ovvero, a fini terapeutici,
di rilasciare in loco farmaci o effettuare interventi chirurgici.

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Anche nel settore della difesa esistono già varie tipologie di robot: veicoli
senza equipaggio per sorvegliare installazioni militari, droni controllati da
remoto capaci di individuare obiettivi e colpire bersagli mobili senza
supervisione da parte dell’uomo, robot-killer e, cioè, sistemi d’arma letali
autonomi destinati a operare al posto dei soldati in missioni
particolarmente rischiose.

Nel campo dei trasporti, già da tempo sono in uso in alcune città treni
metropolitani a guida automatizzata. Fra breve, nel 2020, in Giappone,
ma poi sicuramente in molti altri Paesi, inizieranno ad essere
commercializzate auto driverless, vale a dire veicoli a guida automatica,
capaci non solo di scegliere il percorso migliore per giungere alla meta
(come, del resto, già oggi è possibile facendo uso del “navigatore”), ma
soprattutto di muoversi nel traffico in condizioni di assoluta sicurezza. Si
tratterà, cioè, di veri e propri robot, dotati di telecamere e sensori vari
nonché di un’intelligenza artificiale che consentirà ad essi di adeguare
velocità e distanza di sicurezza in relazione al tipo di strada, di traffico, di
condizioni meteorologiche e di attivare la frenata d’emergenza in
presenza di un ostacolo improvviso.

In breve, possiamo ben dire che quello che fino a qualche anno fa
apparteneva al mondo della fantascienza, oggi è un fatto concreto. Ogni
giorno, infatti, forse senza neppure rendercene conto, interagiamo con
macchine automatiche che ci consentono di accedere a Internet per
leggere le ultime notizie, usare la posta elettronica, effettuare
prenotazioni o acquisti con carta di credito, controllare l’estratto conto
bancario o i post sul nostro social preferito, condividere un tweet, fare
una ricerca on-line, avvalerci dei servizi offerti da Siri della Apple o dai
negozi on-line di Amazon, di utilizzare programmi di dettatura automatica
e traduzione simultanea.

Né ci sorprendiamo più di tanto allorché il nostro smartphone ci propone


il completamento della parola o addirittura della frase che avevamo

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soltanto iniziato a digitare!

Ma come può una macchina “sapere” quel che effettivamente avevamo


intenzione di scrivere?

Può farlo, perché è dotata di un algoritmo capace di analizzare, su base


statistica, la frequenza con cui in pregresse posizioni di testi scritti
compaiono determinate parole o sequenze di termini e, quindi, di
proporre la parola o la frase che ha maggiori probabilità di essere la
prossima a venire usata. Ne consegue che il software, benché non sia
programmato per elaborare un testo secondo regole grammaticali
codificate, è in grado, con l’esperienza, di imparare il nostro stile.

Usando le stesse tecniche statistiche, in sistemi più complessi e su scala


più grande, i computer, oltre alla funzione di autocompletamento, hanno
acquisito la capacità di proporci, spesso con successo, l’acquisto dei
prodotti più vari. Come? Memorizzando l’elenco di precedenti acquisti o
anche soltanto la cronologia di navigazione. È così che i rivenditori on-line
raccolgono informazioni, tengono sistematicamente traccia delle nostre
preferenze e, in base ai dati acquisiti, propongono gli articoli che hanno
maggior probabilità di suscitare il nostro interesse.

Amazon, per esempio, avendo più di 200 milioni di clienti, dispone di un


database contenente un numero enorme di transazioni dalle quali può
automaticamente estrarre i parametri per l’abbinamento tra prodotti e
utenti.

Orbene, tutti i sistemi automatici precedentemente considerati, compresi


quelli più evoluti di “apprendimento profondo” che operano per mezzo di
software progettati sul modello delle reti neurali del cervello umano,
utilizzabili per la lettura di immagini diagnostiche, riconoscimento vocale
o di un volto o far viaggiare un’auto nel traffico cittadino, altro non sono
che applicazioni della cd. “intelligenza artificiale”.

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L’“intelligenza artificiale” (abbreviata in IA o AI, dall’acronimo inglese


Artificial Intelligence) può, dunque, essere definita come la capacità di un
sistema tecnologico (hardware e software) di fornire prestazioni
assimilabili a quelle dell’intelligenza umana e, cioè, l’abilità di risolvere
problemi o svolgere compiti e attività tipici della mente e del
comportamento umano. Il che presuppone, nei sistemi più avanzati, la
capacità non soltanto di trattazione automatizzata di enormi quantità di
dati e di fornire le risposte per le quali sono stati programmati, ma anche
di acquisire, sulla base di appositi algoritmi di apprendimento, la
attitudine a formulare previsioni o assumere decisioni [2].

2. La Carta etica europea sulla applicazione dell’intelligenza


artificiale alla giustizia

Considerata la eccezionale rapidità con la quale i computer, in questi


ultimi anni, hanno trasformato la loro originaria funzione di semplici
calcolatori in quella di strumenti in grado di svolgere compiti sempre più
complessi e, tenuto altresì conto della crescente diffusione di automi
(robot) capaci di interagire con gli esseri umani agevolandone il lavoro in
ambito industriale, commerciale, sociale e perfino domestico, ci si chiede,
come giuristi, se l’intelligenza artificiale possa trovare qualche utile
applicazione anche nel settore della giustizia.

La questione non è affatto stravagante, come forse potrebbe apparire in


un primo approccio. Prova ne sia che, recentemente, il 4 dicembre 2018,
la Commissione europea per l’efficacia della giustizia (CEPEJ) del
Consiglio d’Europa ha emanato la Carta etica europea per l’uso
dell’intelligenza artificiale nei sistemi di giustizia penale e nei relativi
ambienti. Si tratta di un documento di eccezionale rilevanza, poiché è la
prima volta che a livello europeo, preso atto della «crescente importanza
della intelligenza artificiale (IA) nelle nostre moderne società e dei
benefici attesi quando questa sarà pienamente utilizzata al servizio della
efficienza e qualità della giustizia», vengono individuate alcune

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fondamentali linee guida, alle quali dovranno attenersi «i soggetti pubblici


e privati responsabili del progetto e sviluppo degli strumenti e dei servizi
della IA».

In particolare, la Carta etica enuncia i seguenti principi:

1) principio del rispetto dei diritti fondamentali;

2) principio di non discriminazione;

3) principio di qualità e sicurezza;

4) principio di trasparenza;

5) principio di garanzia dell’intervento umano [3].

L’ultimo principio – noto anche come principio «under user control» – è


quello che qui precipuamente interessa, essendo specificamente
finalizzato a «precludere un approccio deterministico» (preclude a
prescriptive approach) e «assicurare che gli utilizzatori agiscano come
soggetti informati ed esercitino il controllo delle scelte effettuate»
(ensure that users are informed actors and in control of the choices
made).

L’enunciato, seppur nella sua essenzialità, implica, dunque, la più ampia


possibilità di utilizzo della IA nell’ambito della giustizia penale, ma a due
condizioni: che gli operatori siano soggetti qualificati all’uso del sistema
di IA e che ogni decisione sia sottoposta al controllo umano (ad esempio,
da parte del giudice utilizzatore del sistema automatizzato).

Tali condizioni tendono ad evitare quello che la Carta etica definisce


«approccio deterministico», vale a dire il rischio di un eccessivo
automatismo o standardizzazione delle decisioni.

Ciò posto, vediamo quali applicazioni, già oggi o in un prossimo futuro,

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possa avere l’intelligenza artificiale nel campo della giustizia.

A seconda della diversa tipologia dei dati inseriti nell’elaboratore (input),


degli algoritmi di apprendimento utilizzati dal sistema (learning
algorithms) e del risultato finale del procedimento di elaborazione
(output), sono ipotizzabili tre diversi modi attraverso i quali la tecnologia
delle machine learning può agevolare il lavoro degli operatori del diritto e,
conseguentemente, rendere più efficiente la giustizia: mediante l’analisi
di documenti e la predisposizione di atti; previsione dell’esito di una
causa; formulazione di giudizi, seppure sotto il controllo umano.

3. Analisi e predisposizione automatica di atti e documenti

La prima modalità, consistente nella analisi e predisposizione automatica


di atti e documenti, trova preferibilmente applicazione nel campo del
diritto civile e commerciale, segnatamente quando si tratta di analizzare
documenti o predisporre atti per lo più ripetitivi. Ma non è da escludere
che possa essere utilizzata anche in ambito penale, soprattutto quando
occorre analizzare una mole notevole di documenti. Come nel caso in cui
si renda necessario effettuare dei calcoli. Ad esempio, per determinare il
limite oltre il quale gli interessi pattuiti in contratti di mutuo sono da
ritenersi usurari.

Una recente applicazione dell’intelligenza artificiale nel campo del diritto


penale è quella del sistema “Toga”, consistente in un database nel quale
sono censite tutte le fattispecie criminose disciplinate dal Codice penale
e dalla legislazione speciale, che permette di verificare, tra l’altro, la
competenza, la procedibilità, l’ammissibilità a riti alternativi, i termini
prescrizionali e di durata delle misure cautelari, nonché di calcolare la
pena per ciascun tipo di reato [4].

Altra recente applicazione, nel caso dell’indagine relativa al crollo del


ponte Morandi, nell’ambito della quale la Procura di Genova ha deciso di
utilizzare un software dell’FBI, dotato di algoritmi particolarmente

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complessi, con l’obiettivo di incrociare tutti i dati raccolti (corrispondenti


a circa 60 terabyte) con quelli dei dispositivi elettronici sequestrati, con la
documentazione tecnica ed i pareri dei consulenti sia del pm che della
difesa [5].

Del resto, negli Stati Uniti, già da tempo esistono servizi di intelligenza
artificiale dedicati al mondo del diritto. Basti pensare al sito “ROSS
Intelligence” che, munito di un ricco database di giurisprudenza,
consente agli avvocati di redigere atti tenendo conto dell’orientamento
dei giudici su un determinato argomento.

Una grossa banca americana – la Jp Morgan Chase and Co. – ha inoltre


iniziato ad utilizzare un sistema automatizzato denominato COIN
(acronimo di Contract intelligence) in grado di leggere e interpretare
accordi commerciali e contratti di finanziamento in tempo reale,
semplificando enormemente il lavoro dei propri uffici legali.

Altra società americana – la LawGeex – ha recentemente realizzato un


interessante esperimento: ha contrapposto un algoritmo basato
sull’intelligenza artificiale a venti avvocati esperti in diritto societario, al
fine di individuare, nel minor tempo possibile, l’esistenza di clausole
potenzialmente invalidanti in contratti coperti da stringenti accordi di
riservatezza. Il computer ha surclassato gli avvocati in termini non solo di
velocità, ma anche di accuratezza delle risposte [6].

Ma, di questo passo, con il progressivo sviluppo della tecnologia


informatica e la prevedibile introduzione di nuovi e più perfezionati
sistemi di IA capaci di rivaleggiare con le capacità umane, se non di
superarle, non ci sarà il pericolo per gli avvocati che il computer, da
prezioso strumento agevolativo del loro lavoro, in un prossimo futuro,
possa sostituirsi ad essi svolgendo i medesimi compiti, in meno tempo,
con minori costi e magari anche con maggior precisione?

La Oxford University, nel 2013, nell’ambito dell’Oxford Martin Programme

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on the Impact of Future Technology, si è posta il problema di quale


impatto possa avere l’automazione su molti dei lavori esistenti. Delle oltre
settecento diverse occupazioni esaminate, è emerso che almeno la metà
è destinata a scomparire [7].

I primi lavori che potrebbero presto essere affidati alle macchine sono
quelli di operatori di call center, bibliotecari, trascrittori, analisti finanziari,
magazzinieri. Così pure, autisti di taxi, lavoratori edili e cuochi, minacciati,
rispettivamente, dalla sperimentazione di auto a guida automatica (da
parte di Uber e di varie case automobilistiche), da prefabbricati costruiti
in stabilimenti totalmente robotizzati e da robot chef (come quello che
alla Fiera di Hannover del 2015 si è esibito nella preparazione di una
zuppa di granchio secondo la ricetta dello chef americano Tim Anderson)
[8].

Nell’elenco dei lavoratori destinati ad essere sostituiti dalle macchine non


sono invece ricompresi insegnanti, medici, artisti e, in genere, coloro i
quali svolgono attività che richiedono intense interazioni sociali. E
neppure vi figurano gli avvocati, per cui è da ritenere che questa
professione, almeno per il momento, non sia a rischio di estinzione [9].

4. Giustizia penale e algoritmi predittivi

Una seconda modalità applicativa della intelligenza artificiale alla giustizia


è quella cd. “predittiva”, consistente nella capacità di elaborare previsioni
mediante un calcolo probabilistico effettuato da algoritmi operanti su
base semplicemente statistica o anche – come vedremo più avanti – su
base logica.

Tale capacità, a seconda della tipologia di dati introdotti nell’elaboratore,


può essere utilizzata in funzione di tre diverse finalità.

Innanzitutto come strumento di prevenzione della criminalità. Inserendo


in un computer una serie di dati estrapolati da denunce presentate alla

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Polizia (ad esempio, relative a rapine o furti verificatisi nelle stesse zone e
con modalità analoghe), il sistema è infatti in grado di prevedere luoghi e
orari in cui verosimilmente potranno essere commessi altri reati della
stessa specie [10].

In secondo luogo, come strumento integrativo dell’attività del giurista per


l’interpretazione della legge e l’individuazione degli argomenti a favore
della tesi che si intende sostenere [11].

La funzione “predittiva” dell’intelligenza artificiale può infine consistere –


ed è questa l’applicazione più rilevante – nella capacità di “prevedere”
l’esito di un giudizio.

Del resto, utilizzando le banche dati esistenti (Italgiure, per la


giurisprudenza di legittimità, e la Banca dati della giurisprudenza di
merito recentemente costituita) e per mezzo di sofisticate tecnologie, già
oggi è possibile individuare propensioni e, su questa base, prevedere,
con sufficiente grado di probabilità, quale possa essere l’orientamento
decisionale di un giudice su una determinata questione giuridica.

Non c’è dubbio, infatti, che queste banche dati giurisprudenziali –


segnatamente Italgiure – oltre ad agevolare il lavoro degli operatori del
diritto, costituiscano un prezioso strumento di ausilio per la costruzione
nomofilattica della Cassazione, consentendo l’estrazione di principi di
diritto consolidati ai fini della valutazione di ammissibilità o meno dei
ricorsi, contribuendo a migliorare il livello di efficienza della giustizia [12].

L’idea che un sistema automatizzato di elaborazione giurisprudenziale


possa, in qualche misura, condizionare il giudice, inducendolo ad
applicare la soluzione proposta dalla macchina senza tener conto delle
particolarità del caso concreto, ha tuttavia suscitato, in coloro che si sono
occupati dell’argomento, non poche perplessità. Tanto che il tema della
prevedibilità delle decisioni è già da tempo al centro di un vivace dibattito
dottrinale [13].

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Un primo motivo di preoccupazione si pone con riguardo all’affidabilità


scientifica del risultato che l’algoritmo restituisce, nell’ipotesi in cui il
programmatore compia un errore di progettazione destinato,
necessariamente, ad influenzare il risultato dell’operazione
computazionale [14]. Anche perché i meccanismi di funzionamento degli
algoritmi sono per lo più coperti dal segreto industriale, che ne rende
impossibile la verificabilità, la sottoposizione al controllo della comunità
scientifica e la precisa determinazione dell’eventuale tasso di errore [15].

Alquanto diffuso è anche il timore che il sistema, benché correttamente


programmato, si riduca ad una gestione automatizzata di affermazioni
cristallizzate e, in particolare, che la predizione non abbia più un valore
“indicativo”, ma quasi “prescrittivo”, facendo sì che il giudice tenda ad
applicare la soluzione proposta dalla macchina senza esaminarla alla luce
della particolarità del caso concreto, «alimentando così il sistema e
facilitando la riproduzione meccanica di decisioni rese
precedentemente» [16]. Con il conseguente rischio che il giudice, nel
decidere, finisca per adagiarsi acriticamente sulle proposte dell’algoritmo
[17].

Ancor più preoccupante – secondo taluno – è che, con questo sistema di


giustizia digitale aprioristicamente basata sulla giurisprudenza
dominante, possa instaurarsi una sorta di “dittatura del precedente”,
capace non solo di pregiudicare l’indipendenza del giudice, ma anche di
minare il suo dovere di imparzialità [18].

Queste perplessità sono legittime, ma, a nostro avviso, non del tutto
condivisibili. Infatti, il controllo umano dovrebbe garantire un uso
intelligente e appropriato dei sistemi automatizzati e sarebbe un grave
errore non sfruttare le potenzialità dell’intelligenza artificiale per
migliorare l’efficacia del lavoro giudiziario. Né appaiono fondati i paventati
timori per l’indipendenza o l’imparzialità del giudice, dal momento che un
elaboratore è certamente immune da pregiudizi e condizionamenti

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ambientali o mediatici, che possono invece inficiare il giudizio umano.

Ma davvero può una macchina prevedere il futuro? Dipende dalla sua


capacità di memoria e dalla qualità dei dati che vengono immessi. Al
limite – come ipotizzava Pierre Simon Laplace all’inizio del suo famoso
Saggio filosofico sulle probabilità del 1814 – se noi potessimo disporre di
«un’intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui
è animata la natura e che in più fosse abbastanza profonda da sottoporre
questi dati all’analisi (…), nulla le parrebbe indeterminato e l’avvenire,
come il passato, le si presenterebbe davanti agli occhi» [19].

Sappiamo che, per il «principio di indeterminazione» di Heisenberg, per


quanto grande possa essere la capacità di memoria di un computer, ciò
non potrà mai realizzarsi. Con buona pace di Mnemosyne, la divinità che,
secondo la mitologia greca, essendo personificazione della “memoria”, è
colei che sa «tutto ciò che è stato, che è e che sarà». Nondimeno, è
affascinante l’idea che questo potere di tipo divinatorio, un tempo
attribuito soltanto ai poeti e agli indovini, grazie agli algoritmi, possa,
almeno in parte, consentirci di formulare talune previsioni.

In realtà, laddove fosse veramente possibile prevedere con un sufficiente


grado di approssimazione l’esito di un giudizio, ciò sarebbe di grande
ausilio per l’avvocato, poiché gli eviterebbe, in caso di previsione
negativa, di compiere scelte errate. Come quella, in ambito civile, di
promuovere una lite temeraria o, in sede tributaria, di avviare un
contenzioso con l’Agenzia delle entrate, anziché cercare di definire la
controversia mediante una procedura conciliativa o di adesione
all’accertamento o, in un procedimento penale, di optare per il rito
ordinario anziché per un rito alternativo che consentirebbe l’irrogazione
all’imputato di una pena meno grave.

La “giustizia predittiva” è stata tuttavia utilizzata, in altri ordinamenti,


anche per diverse e alquanto discutibili finalità. In particolare, negli Stati
Uniti, per calcolare, per mezzo di un apposito algoritmo denominato
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Compas, la probabilità di recidiva di un imputato, al fine di decidere se


rilasciarlo o meno su cauzione. Da notizie di stampa, si è inoltre appreso
che nel 2016 un giudice del Wisconsin ha condannato alla pena di sei
anni di reclusione certo Eric Loomis, arrestato alla guida di un’auto che
era stata usata nel corso di un conflitto a fuoco, basandosi appunto sul
responso del suddetto algoritmo che – predittivamente – lo aveva definito
come soggetto «ad alto rischio di violenza» [20].

In Italia, è previsto che il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale di


applicazione della pena (nei limiti stabiliti dalla legge) debba tener conto
della gravità del reato e della capacità a delinquere del colpevole desunta
dai criteri indicati dall’art. 133 cp. Ma il giorno in cui l’intelligenza delle
macchine sarà in grado di emulare quella degli esseri umani, non sarà che
un sistema di IA, appositamente programmato, possa non solo prevedere
l’esito di un giudizio, ma addirittura deciderlo?

5. Possibili applicazioni di machine learning nella formulazione di


giudizi

Si pone quindi il problema se una machine learning, munita di rete neurale


artificiale capace di immagazzinare quantità teoricamente illimitate di dati
(quali disposizioni di legge e precedenti giurisprudenziali), dopo un
adeguato periodo di apprendimento, possa emettere un giudizio [21].

Nel campo civile, poniamo in una causa di risarcimento danni da sinistro


stradale, nulla osta a che un computer, sulla base dei rilievi compiuti dai
verbalizzanti sul luogo dell’incidente e della documentazione prodotta,
possa non solo stabilire chi, avendo violato specifiche norme del Codice
della strada, si sia reso in tutto o in parte responsabile del sinistro, ma
anche quantificare l’ammontare del danno risarcibile.

Anche nel settore tributario talune tipologie di controversie potrebbero


ben essere risolte automaticamente. Ad esempio, ricorsi avverso avvisi di
accertamento originati da verifiche bancarie e fondati sulla presunzione

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(di cui all’art. 32, comma 1, n. 2, del dPR n. 600/1973) secondo la quale
sono posti a base delle rettifiche i movimenti finanziari che non trovano
riscontro nelle scritture contabili. Ricorsi accoglibili se e nella misura in
cui il contribuente, se si tratta di prelevamenti, ne abbia indicato il
beneficiario o, nel caso di versamenti, abbia fornito prova documentale di
averne tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad
imposta ovvero che gli stessi non hanno rilevanza a tal fine. Prova che un
elaboratore, opportunamente programmato, potrebbe essere senz’altro
in grado di rilevare ai fini della decisione.

Più problematico, senza dubbio, appare l’impiego dell’intelligenza


artificiale per la decisione nell’ambito di un giudizio penale.

Ciò per tre ordini di ragioni. Innanzitutto perché il mezzo di prova più
frequentemente usato nel processo penale per l’accertamento di fatti
materiali è la testimonianza ed un computer incontrerebbe serie difficoltà
nel giudicare se un teste abbia detto la verità, sia stato reticente o abbia
mentito. In secondo luogo perché plurimi e non predeterminati sono i
criteri di valutazione della prova per cui, specialmente in un processo
indiziario, ancor più difficile sarebbe per un elaboratore stabilire se
determinati indizi siano da considerarsi «gravi», «precisi» e
«concordanti», di talché da essi, come prescrive l’art. 192, comma 2,
cpc, possa essere desunta l’esistenza di un fatto. Infine perché il
computer è programmato per fornire risposte certe, non può avere dubbi,
mentre nel nostro ordinamento vige il principio, sancito dall’art. 533,
comma 1, cpc, secondo il quale il giudice pronuncia sentenza di
condanna «se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là
di ogni ragionevole dubbio» e deve invece assolvere qualora detto
parametro non sia superato.

6. “Macchine pensanti” in funzione decisionale

Non è tuttavia da escludere che in un futuro non troppo lontano,


supponendo che la tecnologia informatica continui a progredire allo
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stesso ritmo con cui si è sviluppata in questi ultimi anni, possa realizzarsi
il sogno di una “macchina pensante” capace di emulare il cervello umano.
Ma «possono pensare le macchine?». Se lo chiedeva il matematico
inglese Alan Turing – celebre non solo come geniale precursore
dell’intelligenza artificiale, ma anche per il decisivo contributo fornito,
durante la seconda guerra mondiale, nella decodifica di Enigma, la
macchina che la Marina tedesca usava per cifrare i messaggi destinati
agli U-boot in navigazione nell’Atlantico – in un classico saggio intitolato
Computing Machinery and Intelligence, pubblicato nel 1950 sulla rivista
filosofica Mind [22]. O è da ritenere che ciò non possa accadere perché
non potrà mai essere costruita una macchina capace di fare determinate
cose? Ad esempio, «avere iniziativa, avere senso dell’humour, distinguere
il bene dal male, commettere errori, innamorarsi, gustare le fragole con la
panna» [23]. Nessun dubbio – scriveva Turing – che entro circa cinquanta
anni sarà possibile programmare calcolatori con una capacità di memoria
tale da fornire risposte indistinguibili da quelle che ci saremmo aspettati
da un essere umano e che a quel punto «chiunque potrà parlare di
macchine pensanti senza aspettarsi di essere contraddetto» [24].

Infatti, già da tempo esistono sistemi di intelligenza artificiale con i quali,


magari senza rendercene conto, interagiamo ogni giorno. Sistemi dotati
di algoritmi di apprendimento automatico, capaci di elaborare dati,
effettuare previsioni, fornire risposte. Perché, dunque, non ammettere
che un sistema di intelligenza artificiale applicato alla giustizia,
segnatamente penale, possa agevolare il giudice nella valutazione degli
elementi di prova e nella decisione?

Qualora si ponga in dubbio la capacità di un elaboratore di valutare


determinati elementi di prova, ad esempio, una testimonianza, basti
pensare che già oggi Tripadvisor – il noto portale che cataloga le
recensioni di clienti di hotel e ristoranti in tutto il mondo – si è munito di
un sistema di IA in grado, dopo un periodo di apprendimento, di
scansionare il sito e “valutare”, per poterle eliminare, le recensioni fasulle.

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Intelligenza artificiale applicata alla giustizia: ci sarà un giudice robot? 06/10/20, 23:23

Perfino il Cnr ha recentemente varato una sezione anti−fake, finalizzata


ad individuare, per mezzo di specifici algoritmi, i falsi follower di qualsiasi
profilo Twitter.

Possibile mai che una macchina, seppure “intelligente”, sia in grado di


distinguere il vero dal falso e conseguentemente eliminare dal sito la
recensione non attendibile o il profilo ritenuto fittizio? Può farlo tenendo
conto sia di parametri prefissati che dell’esperienza acquisita [25].

Ma anche il giudice, quando deve stabilire la gravitas e, cioè, il peso di


una determinata prova ai fini dell’affermazione o meno di responsabilità
dell’imputato, non formula un giudizio puramente intuitivo, bensì valuta la
prova sulla base di predefinite regole normative e di massime di comune
esperienza generalmente condivise. Ad esempio, nel caso di prova
testimoniale, è massima di comune esperienza che un teste di accusa sia
credibile se, non avendo rapporti di interesse né motivi di inimicizia con
l’imputato, ha riferito i fatti senza contraddizioni intrinseche né difformità
rispetto al contenuto di precedenti deposizioni. Valutazione questa che
un elaboratore opportunamente programmato sarebbe senz’altro capace
di effettuare.

Ma a questo punto ci si chiede: sarebbe in grado un sistema di


intelligenza artificiale, valutate le prove dell’accusa e della difesa, di
“decidere” un processo?

Il verbo “decidere” – dall’etimo latino de-caedere – evoca l’idea che la


relativa attività consista nel “tagliar via”, “eliminare”. Ed è proprio questo
che è demandato al giudice: di individuare preliminarmente le possibili
soluzioni delle questioni di fatto e di diritto concernenti l’imputazione e,
se occorre, quelle relative all’applicazione delle pene (come suggerito
dall’art. 527, comma 1, cpc) e di procedere per eliminazione fino a quando
ne rimanga una dominante da sottoporre poi ad un ulteriore controllo
secondo il cd. “criterio di falsificabilità”. Criterio consistente nel verificare
se una certa ipotesi (del tipo “se p allora q” della logica formale) possa
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essere confutata attraverso il procedimento logico del modus tollens,


qualificandola come fallacia della affermazione del conseguente nel caso
in cui risulti che l’effetto “q” è riferibile ad una causa diversa da “p”.

Si può quindi ritenere che il procedimento decisionale, secondo questo


modello paradigmatico, consiste nella trasformazione di una situazione
antecedente indeterminata in una situazione finale determinata,
attraverso una serie di sistemazioni parziali intermedie. Ma l’algoritmo è a
sua volta comunemente definito come un procedimento che risolve un
determinato problema attraverso un numero finito di passi elementari
(ovvero non ulteriormente scomponibili), chiari e non ambigui, in un
tempo ragionevole. Si tratta, cioè, di un procedimento il cui “diagramma
di flusso” (in inglese, flow chart), vale a dire la rappresentazione grafica
delle operazioni da compiere per eseguirlo, presenta evidenti affinità con
quello di tipo decisionale. Non è pertanto da escludere che un sistema di
IA applicato ad un processo penale possa agevolare il giudice nella
decisione.

7. Ci sarà un giudice robot?

Potrà accadere, un domani, che la decisione di un processo penale


dipenda da un giudice robot?

La normativa vigente, nel fare riferimento al diritto di ogni persona che la


sua causa sia esaminata da parte di un «tribunale indipendente ed
imparziale» (art. 6, comma 1, della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) e nel prevedere che ogni
processo debba svolgersi davanti ad un «giudice terzo e imparziale» (art.
111, secondo comma, Cost.), esclude tale possibilità. Peraltro, la Carta
etica europea del 2018 – come precedentemente ricordato – ammette
l’uso, sotto il controllo umano, dell’intelligenza artificiale nei sistemi di
giustizia penale. Ciò significa che ad un computer potrebbe essere
demandata, se non la decisione finale sulla colpevolezza o meno di un
imputato o la quantificazione dell’eventuale pena da irrogare, la soluzione
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Intelligenza artificiale applicata alla giustizia: ci sarà un giudice robot? 06/10/20, 23:23

di specifiche questioni costituenti presupposto di tale decisione. Ad


esempio, in processi di natura tecnica, la risposta al quesito se il risultato
di una determinata prova scientifica (dattiloscopica, balistica, sul Dna,
ingegneristica, medico-legale, etc.) sia o meno corretto; se – poniamo in
un processo per responsabilità medica – sussista rapporto di causalità tra
condotta ed evento sulla base di un coefficiente di probabilità non solo
statistica, ma anche logica, desumibile da leggi scientifiche di copertura;
ovvero – in un processo in cui sia in discussione la sussistenza del fatto –
se gli elementi materiali della fattispecie concreta siano sussumibili nella
fattispecie normativa astratta.

Ma l’avvento, seppure di fatto, di un giudice robot, quali effetti potrebbe


avere sul funzionamento della giustizia? Sarebbe certamente utile per
assicurare ad essa maggior celerità ed efficienza nonché per evitare una
eccessiva disomogeneità di giudizi, ma nel contempo negativo sotto un
duplice profilo: da un lato, perché il peso dei precedenti giurisprudenziali
finirebbe per condizionare i successivi giudizi aventi ad oggetto le
medesime questioni fattuali o giuridiche; dall’altro, perché verrebbe
sminuita la valenza persuasiva delle tecniche argomentative
tradizionalmente volte anche a suscitare empatia nel giudice.

L’idea che l’esito di un processo possa, sia pure in parte, dipendere da


una “macchina” è senza dubbio inquietante. Ma anche quando è
l’“uomo” a decidere, a ben riflettere, in taluni casi, è forse meglio affidarsi
alla “stupida” intelligenza del computer [26].

La constatazione che il procedimento decisionale sia per certi aspetti


assimilabile ad un sistema dinamico complesso (come il fenomeno della
“turbolenza” che la fisica moderna ritiene assoggettato alle cd. “leggi del
caos”) rafforza quindi il convincimento che la difesa nel processo penale,
per essere davvero persuasiva, oltre a fondarsi su argomentazioni
logicamente ineccepibili, debba, in taluni casi, essere altresì capace di far
vibrare le corde del sentimento.

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Lo teorizzava a suo tempo Cicerone allorché, forte della propria


esperienza di avvocato, nel De Oratore, scriveva che l’arte del dire si
fonda su tre forme di persuasione: «Dimostrare la veridicità della propria
tesi, conciliarsi la simpatia degli ascoltatori e suscitare nei loro animi quei
sentimenti che sono richiesti dalla causa» [27].

Il che troverà più tardi conferma nel celebre passo dei Pensées del
matematico e filosofo francese Blaise Pascal, nel quale sosteneva che noi
non possiamo conoscere la verità soltanto con la ragione, ma anche con il
cuore, poiché «il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce»
(Le cœur a ses raisons, que la raison ne connaît point) [28].

[1] Per un approfondimento dei molteplici aspetti dell’intelligenza


artificiale nelle sue svariate applicazioni, cfr. D. Heaven, in AA.VV.,
Macchine che pensano, Dedalo, Bari, 2018.

[2] Sul concetto di “intelligenza artificiale” e relativi ambiti applicativi, cfr.


P. Mello, Intelligenza artificiale, in http://disf.org/intelligenza−artificiale
(Documentazione Interdisciplinare di Scienza & Fede), 2002, nonché il
saggio di J. Bernstein, Uomini e macchine intelligenti, Adelphi, Milano,
2013.

[6] Cfr. N. Di Turi, Intelligenza artificiale Vs. avvocati: cosa è successo, in


http://corriereinnovazione.corriere.it, 7 gennaio 2019,
https://corriereinnovazione.corriere.it/cards/giustizia-intelligenza-
artificiale-contro-avvocati-ecco-come-andata/intelligenza-artificiale-vs-
avvocati-l-esperimento_principale.shtml.

[7] Cfr. D. Heaven, in AA.VV., Macchine che pensano, cit., p. 188. In


particolare, su tecnologia e applicazioni della robotica, cfr. altresì R.
Cingolani e G. Metta, Umani e umanoidi, il Mulino, Bologna, 2015.

[8] Cfr. E. Battifoglia, I robot sono tra noi. Dalla fantascienza alla realtà,

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Hoepli, Milano, 2016, p. 37.

[9] Sull’impatto a livello occupazionale che potrà avere la diffusione di


sistemi automatizzati e robot, cfr. J. Kaplan, Le persone non servono.
Lavoro e ricchezza nell’epoca dell’intelligenza artificiale, LUISS University
Press, Roma, 2016.

[10] Cfr. M. Iaselli, X-LAW: la polizia predittiva è realtà, in


www.altalex.com, 28 novembre 2018, il quale rileva che è proprio grazie a
questo sistema informatico denominato X-LAW in uso da parte di alcune
questure italiane, che sono stati raggiunti ottimi risultati nel campo della
prevenzione della criminalità.

[11] Sull’argomento, cfr. L. Viola, Interpretazione della legge con modelli


matematici, Diritto Avanzato, Milano, 2017.

[12] Cfr. E. Vincenti, Massimazione e conoscenza della giurisprudenza


nell’era digitale, in Questione Giustizia trimestrale, n. 4/2018, p. 4,
http://questionegiustizia.it/rivista/pdf/QG_2018-4_14.pdf, il quale precisa
che, proprio «in una prospettiva servente alla nomofilachia della
Cassazione è stato pensato l’inserimento nel sistema dell’acronimo
“Certalex”, che consente di estrarre le massime che contengono i principi
individuati come consolidati ai sensi dell’art. 360-bis, n. 1, c.p.c.».

[17] Cfr. A. Garapon e J. Lassègue, Justice digitale. Révolution graphique


et rupture anthropologique, Paris, 2018, pp. 279 ss., i quali prospettano il
rischio che la giustizia predittiva, assumendo un valore normativo, possa
determinare un “effetto gregge” (effet moutonnier) in decisioni nelle quali
il valore umano passerebbe in secondo piano.

[18] Ciò in quanto – come afferma S. Gaboriau, Libertà e umanità del


giudice: due valori fondamentali della giustizia. La giustizia digitale può
garantire nel tempo la fedeltà a questi valori?, in Questione Giustizia
trimestrale, n. 4/2018, p. 11,

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http://questionegiustizia.it/rivista/pdf/QG_2018-4_19.pdf − «la parte cui la


giurisprudenza non è favorevole si trova in una posizione di inferiorità
istituzionale».

[19] Cfr. P.S. Laplace, Saggio filosofico sulle probabilità.

[21] Sul tema, con particolare riguardo alla diffusione di questo tipo di
tecnologia ed ai correlati problemi di natura etica, cfr. P. Benanti, Le
macchine sapienti, Marietti, Bologna, 2018.

[22] Sulla figura di A.M. Turing quale pioniere dell’intelligenza artificiale e


decifratore di Enigma, cfr. G. Chinnici, Turing. L’Enigma di un genio,
Hoepli, Milano, 2016.

[23] Cfr. A.M. Turing, Macchine calcolatrici e intelligenza (1950), in


Intelligenza meccanica, a cura di G. Lolli, Bollati Boringhieri, Torino, 1994,
p. 139.

[24] Cfr. A.M. Turing, Macchine calcolatrici e intelligenza (1950), cit.

[25] Ciò grazie all’utilizzo di sofisticati algoritmi. Sul funzionamento delle


machine learning e degli algoritmi, tra i saggi più recenti, cfr.: P.
Domingos, L’algoritmo definitivo: La macchina che impara da sola e il
futuro del nostro mondo, Bollati Boringhieri, Torino, 2016, nonché E. Finn,
Che cosa vogliono gli algoritmi. L’immaginazione nell’era dei computer,
Einaudi, Torino, 2018. In particolare, sul problema della configurabilità di
un nuovo tipo di responsabilità da algoritmo, cfr. U. Ruffolo, Intelligenza
artificiale e responsabilità, Giuffrè, Milano, 2017.

[26] Così A. Traversi, in Il diritto dell’informatica, Ipsoa, Milano, 1990, p.


235.

[27] Cfr. M.T. Cicerone, De oratore ad Quintum fratrem, Libro II, par. 115.

[28] Cfr. B. Pascal, Pensieri, p. 477.

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