Sei sulla pagina 1di 6

Alessandro Manzoni

Manzoni nacque da Giulia Beccaria, (figlia di Cesare Beccaria), Giulia aveva vissuto in un’ambiente aperto,
Giulia si disse che aveva avuto una relazione con Giovanni Verri, e si dice che il vero padre legittimo fosse
Giovanni Verri.
Manzoni fu cresciuto e amato dal conte Pietro Manzoni, come se fosse figlio suo.
Trascorse i primi anni di vita prevalentemente nella cascina Costa di Galbiate, tenuto a balia da Caterina
Panzeri, una contadina del luogo
Giulia nel frattempo si trasferi’ per andare a vivere con Carlo Imbonati all’estero a Parigi.
Da quel momento Giulia lasciò il padre e il piccolo Alessandro venne messo in vari colleghi, ed usci’ dopo
aver conseguito gli studi superiori, per fare una vita tipica mondana dei giovani.
Trascorse la sua infanzia in vari colleggi, Il 13 ottobre 1791 fu accompagnato dalla madre Giulia a Merate al
collegio San Bartolomeo dei Somaschi, dove rimase cinque anni: furono anni duri, in quanto il piccolo
Alessandro risentiva della mancanza della madre.
Nell'aprile del 1796 passò al collegio di Sant'Antonio, a Lugano, gestito ancora dai Somaschi, per rimanervi
fino al settembre del 1798.
Passò, alla fine del '98, al collegio Longone di Milano, gestito dai Barnabiti.
Alessandro era stato privato dagli affetti soprattutto quelli materni, quindi cominciò ad avere subito dei
problemi, si dice che era balbuziente e che era incapace di tenere un discorso in pubblico.
Quando Carlo imbonati si rese conto che era incontro alla morte, scrisse una lettera ad Alessandro di venire
a Parigi, Alessandro quando arrivò Carlo Imbonati era già morto e ne fece l’eredità morale, Giulia Beccaria
quindi prese tutta l’eredità, e col tempo questa eredità fini anche nelle mani di Pietro Manzoni.
Giulia si senti’ gravemente in colpa per aver abbandonato suo figlio e si mise sempre disponibile, per
rimediare ad avere quel rapporto che non ebbe mai avuto con suo figlio.
Alessandro grazie ai salotti capi’ il senso della storia (Voltaire aveva riscritto la storia dalla parte del popolo),
e questi tipi di racconto venivano raccontati dagli storici che la madre di Manzoni, Giulia frequentava.
Manzoni dalla sua adolescenza era un moralista, pensoso, e immaturo, e insieme a questo si uni’ la
religione cattolica.
Manzoni vive questa religiosa dopo che la madre gli combino un matrimonio con una giovane fanciulla,
Erichetta Bondei che era di religione calvinista, dopo il matrimonio Erichetta si mise completamente a
disposizione per Alessandro.
Capi dopo il matrimonio che non avrebbero potuto educare i propri figli con 2 religioni diverse, Erichetta
quindi si converti’ dalla religione Calvinista, a quella cattolica.
Alessandro si dice che anche lui si converti’, ma è improprio dire ciò, perché Alessandro è stato sempre
cattolico, battezzato e aveva ricevuto tutti i sacramenti, soltanto che essendo stato cresciuto nei colleghi
severi e duri, una volta fuori si distaccò dalla religione.
Fino a quel momento aveva scritto Uranio e Apperteneide, opere di stampo classico, opere dove si faceva
un largo sfoggio alla mitologia, Alessandro una volta riunito alla religione cattolica, cominciò a ripulsare
queste opere perché non le ritrovò più corrette andando ad utilizzare lo sfoggio di tutte queste figure
mitologiche.
Da ciò non scrisse più per alcuni anni (dal 1808 al 1812).
Cosa scrive dopo la conversione? Gli Inni Sacri
Gli inni sacri, furono composti secondo lo schema dei padri della chiesa, cioè con l’enunciazione del tema,
l’argomento centrale, e poi le conseguenze morali e dottrinali dell’avvenimento, l’unico limite che si trova
in questi inni è che Manzoni non aveva ancora ritrovato completamente l’affinità alla religione, compose
4+1 inni sacri e l’ultimo venne messo da parte dove ne fece dopo 3 edizioni.
-La resurrezione nel 1812,
-Il Natale nel 1813,
-Passione tra il 1814 e il 1815,
-La Pentecoste nel 1817.
- e infine Ognisanti rimasto incompleto.
Manzoni ebbe 9 figli, con i quali si muove per l’Italia, facendosi seguire da religiosi, padri della chiesa,
volendo affrontare tutta la sua vita in ambito religioso, la madre dopo aver messo al mondo tutti questi figli,
si ammalò la provarono a curare con il salasso (sanguisughe che andavano a succhiare il sangue del malato),
ma ciò andava soltanto a peggiorare la sua condizione, portandola alla morte.
Manzoni dopo un po’ di anni si risposò con un’altra donna, ma era una donna incolta ebbe un brutto
rapporto con i figli e con Giulia, fece allontanare Giulia quando si fece anziana, e ne soffrirono molto sia i
figli, sia Manzoni.
Dopo la pubblicazione dei promessi sposi, Manzoni andò quasi fallito, pur avuto quei 3 enormi patrimoni.
Dovette fare un debito quando si sposò la figlia Giulia, per poter fare la dote.

DEFINIZIONE DI ROMANZO STORICO


Romanzo storico è quello nel quale l’autore su un fondo storico studiato e ricostruito personalmente e
minuziosamente, in base ai documenti inserisce dei personaggi, che possono essere realmente esistiti, o
che possano essere costruiti dalla sua fantasia, ma in sintonia con lo sfondo storico.

IL 5 MAGGIO
Testo Parafrasi
Ei fu. Siccome immobile, Egli fu (è morto, è trapassato). Infatti ora
Dato il mortal sospiro, giace immobile, avendo esalato l’ultimo
Stette la spoglia immemore respiro, e la sua spoglia è rimasta senza più
Orba di tanto spiro, ricordi, privata della sua anima: chiunque ha
Così percossa, attonita saputo la notizia di questa morte è attonito.
La terra al nunzio sta,

Muta pensando all’ultima Tutti restano muti pensando alle ultime ore di
Ora dell’uom fatale; quest’uomo inviato dal fato e nessuno sa dire
Nè sa quando una simile quando un uomo simile tornerà di nuovo a
Orma di piè mortale calpestare la terra che lui stesso ha
La sua cruenta polvere
calpestato, lasciando un cammino
A calpestar verrà.
sanguinoso.
Lui folgorante in solio
Vide il mio genio e tacque; Io, come poeta, ho visto Napoleone in trionfo,
Quando, con vece assidua, sul soglio imperiale, ma ho taciuto senza far
Cadde, risorse e giacque, poesia su questo evento, e ho visto anche il
Di mille voci al sonito momento in cui, rapidamente, fu sconfitto,
Mista la sua non ha: tornò al potere e cadde ancora, ma la mia
poesia ha continuato a restare in disparte e
Vergin di servo encomio non mischiarsi a tutte le voci adulanti che
E di codardo oltraggio, aveva intorno Napoleone;
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio: adesso il mio ingegno poetico vuole parlare -
E scioglie all’urna un cantico e si innalza commosso, senza elogi servili o
Che forse non morrà. insulti vili - dell’improvvisa morte di una
figura simile, e offre alla tomba di
Dall’Alpi alle Piramidi, quest’uomo un componimento che forse
Dal Manzanarre al Reno, resterà eterno.
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno; Dall’Italia all’Egitto, dalla Spagna alla
Scoppiò da Scilla al Tanai, Germania le azioni rapidissime di quest’uomo
Dall’uno all’altro mar. seguivano il suo modo di pensare, condusse
imprese dalla Sicilia fino al Don, dal
Fu vera gloria? Ai posteri Mediterraneo all’Atlantico.
L’ardua sentenza: nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui Fu vera gloria la sua? Spetta ai posteri la
Del creator suo spirito difficile sentenza: noi ci inchiniamo
Più vasta orma stampar. umilmente al Sommo Creatore che volle fare
di Napoleone (lui) un simbolo della sua
La procellosa e trepida
potenza divina.
Gioia d’un gran disegno,
L’ansia d’un cor che indocile
Serve, pensando al regno;
La pericolosa e trepida gloria di un
E il giunge, e tiene un premio
grandissimo disegno, l’insofferenza di un
Ch’era follia sperar;
animo che deve obbedire ma pensa al potere
Tutto ei provò: la gloria e poi lo raggiunge e ottiene un premio che
Maggior dopo il periglio, sarebbe stato una follia ritenere possibile.
La fuga e la vittoria,
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere, Sperimentò tutto: provò la gloria, tanto più
Due volte sull’altar. grande dopo il pericolo, la fuga e la vittoria, il
potere regale e l’esilio, due volte è stato
Ei si nomò: due secoli, sconfitto, e due volte vincitore.
L’un contro l’altro armato,
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe’ silenzio, ed arbitro
S’assise in mezzo a lor. Egli stesso si diede il nome: due epoche tra
loro opposte guardarono a lui sottomesse,
E sparve, e i dì nell’ozio come se ogni destino dipendesse da lui, egli
Chiuse in sì breve sponda, impose il silenzio e si sedette tra loro come un
Segno d’immensa invidia arbitro.
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio
E d’indomato amor. Nonostante tanta grandezza, scomparve
rapidamente e finì la sua vita in ozio,
Come sul capo al naufrago
prigioniero in una piccola isola, bersaglio di
L’onda s’avvolve e pesa,
immensa invidia e di rispetto profondo, di
L’onda su cui del misero,
grande odio e di grande passione.
Alta pur dianzi e tesa,
Scorrea la vista a scernere
Prode remote invan;
Come sulla testa del naufrago si avvolge
Tal su quell’alma il cumulo pesante l’onda su cui poco prima lo sguardo
Delle memorie scese! dello sventurato scorreva alto e in cerca di
Oh quante volte ai posteri rive lontane che non avrebbe potuto
Narrar se stesso imprese, raggiungere,
E sull’eterne pagine
Cadde la stanca man!

Oh quante volte, al tacito così su quell’anima si abbatté il peso dei


Morir d’un giorno inerte, ricordi. Ah, quante volte ha iniziato a scrivere
Chinati i rai fulminei, le sue memorie per i posteri ma su tutte
Le braccia al sen conserte, quelle pagine si posava continuamente la sua
Stette, e dei dì che furono stanca mano!
L’assalse il sovvenir!

E ripensò le mobili Quante volte alla fine di un giorno


Tende, e i percossi valli, improduttivo ha abbassato lo sguardo
E il lampo de’ manipoli,
fulmineo, con le braccia conserte, preso dal
E l’onda dei cavalli,
ricordo dei giorni ormai andati.
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.

Ahi! forse a tanto strazio


Cadde lo spirto anelo, E ripensò agli accampamenti militari in
E disperò: ma valida continuo movimento, alle trincee, allo
Venne una man dal cielo, scintillare delle armi e agli assalti della
E in più spirabil aere cavalleria, e agli ordini dati rapidamente e
Pietosa il trasportò; alla loro esecuzione.

E l’avviò, pei floridi


Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio Ah, forse fra tanto dolore crollò il suo spirito e
Che i desidéri avanza, si disperò, ma arrivò l’aiuto di Dio a quel
Dov’è silenzio e tenebre punto, che lo condusse in una realtà più
La gloria che passò. serena;

Bella Immortal! benefica


Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati; E lo guidò per i floridi sentieri delle speranze,
Chè più superba altezza verso i campi eterni, lo condusse alla
Al disonor del Golgota beatitudine eterna, che sorpassa ogni
Giammai non si chinò. desiderio umano, lo guidò dove la gloria
terrena non vale nulla.
Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice Bella, immortale, benefica fede, abituata ai
Accanto a lui posò. trionfi! Considera anche questo tuo trionfo e
sii allegra perché nessuna personalità più
grande si è mai chinata davanti alla croce di
Cristo.

Tu (Fede) allontana dalle ceneri di


quest’uomo ogni parola maligna: il Dio che
atterra e rialza, che dà dolori e consola si è
posto accanto a lui, per consolarlo nel
momento solitario della sua morte.
RIASSUNTO
Nei primi versi si richiama la rimembranza del ricordo di Napoleone e come tutto il mondo ora sta
in silenzio per la fine di quest’uomo che ha lasciato un segno di grande importanza sulla terra.
Poi Manzoni fa una riflessione dove il suo genio non scrisse e non parlò mai di Napoleone, né per
esaltarlo né per denigrarlo finchè era in vita.
Poi esalta tutte le sue opere gloriose che Napoleone ha compiuto in vita, la grandiosità delle sue
conquiste e l’eccezionalità della sua personalità e figura.
Infine descrive l’esilio sull’isola di Sant’Elena dove Napoleone completamente in solitudine
probabilmente avrà pensato a tutti i ricordi delle sue battaglie, alle vittorie, a quando i suoi uomini
obbedivano rapidamente agli ordini, tutto ciò portò Napoleone alla disperazione, ma la mano di
Dio interviene e con la morte, porta napoleone nella beatitudine eterna, dove ogni gloria terrena
non vale nulla.
E dice alla fede di rallegrarsi perché nessuna persona potente e grande come Napoleone si era mai
chinata davanti alla croce di Cristo.

IL CONTE DI CARMAGNOLA
Il Conte di Carmagnola scritto tra il 1816 e il 1820, è una tragedia incentrata sulla figura di un
capitano di ventura, Francesco Bussone, al servizio del duca di Milano, per poi quello di Venezia,
ottiene numerose vittorie, fino alla battaglia di Maclodio, questa vittoria si conclude con la
decisione del Carmagnola di liberare i prigionieri, uso comune per l’epoca,
Ciò indusse i veneziani al pretesto e a sospettare che il conte di Carmagnola avesse stretto un
patto segreto con il duca di Milano, perciò il conte venne accusato di tradimento e condannato a
morte.
Manzoni invece sostiene che il conte avendo liberato i prigionieri, si era comportato secondo il
codice militare e quindi innocente.
La tragedia si regge sul conflitto tra l’uomo d’animo elevato, generoso e puro , e la ragion di stato.
L’opera si conclude con l’incontro del Carmagnola con la moglie e la figlia, dalle quali si congeda
prima di avviarsi all’ingiusta morte.

L’ADELCHI
La seconda tragedia Manzoniana riprende e approfondisce le tematiche della prima Lo sfondo è
quello della guerra tra i Longobardi, guidati dal re Desiderio e dal figlio Adelchi, e i Franchi di Carlo
Magno, chiamati in Italia da papa Adriano I che mal digeriva la presenza longobarda in Italia; la
guerra termina nel 774 con la sconfitta longobarda.
Il dramma inizia con la richiesta d’aiuto fatta ai Franchi dal papa a seguito dell’invasione da parte
dei Longobardi dei territori della Chiesa, il re Desiderio, saputa la notizia, medita di vendicarsi
dell’affronto papale.
I Franchi comandati da Carlo Magno, dichiarano guerra ai Longobardi quando questi rifiutano di
ritirarsi dai territori pontifici che avevano occupato.
Nel III atto Adelchi parla con l’amico Anfrido confidandogli i suoi dubbi interiori, e
improvvisamente l’accampamento è attaccato dai Franchi che costringono i Longobardi alla fuga:
Desiderio verso Pavia, Adelchi verso Verona.
Dopo la caduta di Pavia, Adelchi ferito in una sortita, viene portato al cospetto del re franco al
quale chiede la grazia per il padre; prima di morire pronuncia un discorso di pace e fratellanza
cristiana.

I PROMESSI SPOSI
I promessi sposi corrisponde alla definizione di romanzo storico, il fondo storico dei promessi storici
possiamo leggerlo come un libro di storia, ci sono dei personaggi realmente esistiti nella realtà.
Personaggio spietato don Rodrigo che impedisce il matrimonio dei due personaggi, avrà una sorte negativa,
i protagonisti sono due popolani, mai in nessun romanzo ci furono come protagonisti popolani un filatore di
seta Renzo, e una nubile popolana Lucia.
Si ribalta la condizione storica essendo che Manzoni era stato a Parigi, scrive i promessi sposi scrivendo
come protagonisti due popolani, scrivendo la storia dal loro punto di vista, e anche per la ritrovata fede che
aveva ritrovato.
Renzo e Lucia vedono il loro matrimonio impedito dall’arroganza di un signorotto locale don Rodrigo per il
quale per una scommessa vuole sposare Lucia, non ci riesce allora fa un rapimento.
Lucia fini’ sotto la protezione della monaca di Monza, la quale era stata costretta a finire rinchiusa in
convento, ed ebbe una relazione con un signorotto delle vicinanze.
Scoppierà la peste che decimerà la popolazione, che falciterà vite.
Il romanzo si chiude con il matrimonio tra i due protagonisti fatto da don Abbondio.
Perché Manzoni dopo la 1* edizione del 21* decise di riscriverla?
Per 2 motivi:
1)La storia della Monaca di Monza era troppo lunga.
2)I toni utilizzati erano troppo macabri soprattutto quella parte della peste.
Fece una 2* edizione ma decise di tornarci nel 27, dove in Italia si andavano dibattendo le tesi su come fare
l’unità d’Italia, siccome l’opera era stata scritta in lombardo, sarebbe stata ristretta da un pubblico
regionale, ed essendo che capi’ che si stava andando all’unità D’Italia, Manzoni decise di riscriverla in una
lingua nella quale ci si potesse riconoscere tutta la penisola.
Manzoni disse che bisognava andare in Toscana e rivedere le origini della lingua di Dante, Petrarca, e
Boccaccio, quel fiorentino, decise quindi di trasferirsi e di andare a Firenze per vedere come si era evoluto il
fiorentino nel tempo.
L’altro motivo era che la Toscana era al centro della penisola.
Pubblicò anche un’edizione autoillustrata, la quale lo fece riempire di debiti.

Potrebbero piacerti anche