Sei sulla pagina 1di 360

Alexander Jones

LA MACCHINA DEL COSMO


La meraviglia scientifica del meccanismo di Anticitera

HOEPLI
UNIVERSALE
SCIENTIFICA
Rinvenuto casualmente da pescatori di spugne nel190 l al largo dell'iseo­
la greca di cui porta il nome, il meccanismo di Anticitera si presentava
come un insieme di resti corrosi e malconci di un dispositivo a ingranag­
gi risalente all'antica Grecia. Dal giorno della scoperta a oggi, gli esperti
sono riusciti a ricostruirne la struttura e il funzionamento, combinando
osservazione diretta, strumenti radiografici sempre più potenti e surfa­
ce imaging. Il meccanismo riproduceva di fatto l'universo così come lo
concepivano i Greci, era una macchina dotata di una mezza dozzina di
quadranti per illustrare le orbite nello spazio di Sole, Luna e pianeti, e i
conseguenti cicli del tempo.
ella Macchina del cosmo, il meccanismo di Anticitera diventa la chia­
ve per capire l'astronomia e la tecnologia dell'antica Grecia e il loro ruolo
nel contesto socioculturale grecoromano. Considerato a lungo un con­
gegno eccentrico per l'epoca, le ricerche più recenti hanno mostrato che
si tratta in realtà di una macchina del cosmo concepita in tarda età elle­
nistica sulla base di raffinate, consolidate e diffuse conoscenze meccani­
che e astronomiche.
Oltre a essere un capolavoro nel genere delle macchine strabilianti, cre­
ate per imitare la natura senza rivelare il proprio funzionamento allo
spettatore, il meccanismo era anche una sorta di manuale animato di
divulgazione scientifica.

i§fiM disponibile
ls E P si
SEGRETAAIATO EUROPEO PER Lf PUBBUCAZJONI SQEHTlFJCHE
ISBN 978-88-203-9062-4

www.hoeplieditore.it
Ulrico Hoepli Editore S.p.A.
via Hoepli, 5- 20121 Milano
e-mail hoepli@hoepli.it 9 788820 390624
"Questo libro è un successo sotto tutti i punti di vi­
sta, come resoconto di investigazioni scientifiche di
altissimo livello, come esposizione di antiche teorie
astronomiche e come trattazione che approfondi­
sce il legame fra quelle teorie e la società che le ha
prodotte ( ...) Una lettura consigliata a chiunque sia
interessato all'astronomia antica:·

Sir Geoffrey Lloyd, "Journal for the History of


Astronomy''

"Avvincente come un thriller o un giallo... il libro di


Jones è preciso, ma misurato, elegante e dotato di
charme. La sua erudizione è ampia: Tolomeo, il fun­
zionamento degli ingranaggi, Cicerone e Galeno, i
Babilonesi, i pianeti, i mesi lunari, Glauco, gli epicicli
e il fuso della ecessità. Non è solo il cosmo a essere
presentato, ma anche la grande differenza e al tem­
po stesso la sorprendente similarità tra noi e i nostri
antenati. Così dalla storia della scienza scaturisce un
senso di comprensione della nostra umanità e l'anti­
co desiderio di comprendere:·

Michael Bywater, "The Spectator"

"Con uno stile chiaro e lucido, Alexander Jones è


riuscito a combinare tutti i necessari dati letterari,
archeologici e scientifici riguardanti il meccanismo
di Anticitera. Il risultato è un'analisi dettagliata, ap­
profondita e perspicace, che costituirà il testo di rife­
rimento sul meccanismo per molto tempo a venire:'

Alex ice, "Bryn Mawr Classica! Review"


Alexander Jones, Leon Levy Director, è professore
di storia della scienza nel mondo antico all'Institute
for the Study of the Ancient World della 1 ew York
University. I suoi principali interessi sono la storia
e la trasmissione delle scienze matematiche, in par­
ticolare dell'astronomia, nel mondo grecoromano e
nel Medio Oriente antico. Membro dell'American
Philosophical Association e dell'Académie Interna­
tionale d'Histoire des Sciences, ha ricevuto il Fran­
cis Bacon Award in storia della scienza.

'
'
'

'
'

'
'�
'
9'
'
'

'
'

� '

,'
..�o ,
, '
'

'
'

'
'
ALEXANDER j ONES

LA MACCHINA
DEL COSMO
La meraviglia scientifica
del meccanismo di Anticitera

Traduzione di Valeria Flavia Lovato

EDITORE ULRICO HOEPLI MILANO


Titolo originale: A Portable Cosmos: Revealing the Antikythera Mechanism,
Scientifìc Wonder of the Ancient World
Copyright © Oxford University Press 2017

A Portable Cosmos was originally published in English in 2017. This translation is


published by the arrangement with Oxford University Press. Hoepli is solely responsi­
ble for this translation from the originai work and Oxford University Press shall have
no liability for any errors, omissions or inaccuracies or ambiguities in such translation
or for any losses caused by reliance thereon.

Per l 'edizione italiana:


Cop yright © Ulrico Hoepli Edi tore S .p .A. 2019
via Hoepli 5, 20121 Milano ( ltal y)
tel. +39 02 8 64871 - fax +39 02 8052886
e-mail hoepli @hoepli.it

www.hoeplieditore.it

Tutti i diritti sono riservati a norma di legge


e a norma delle convenzioni internazionali

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15%
di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso
previsto dall'art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.
Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale
o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di
specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per
le Riproduzioni Editoriali, Corso di
Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail autorizzazioni@clearedi.org e sito web
www.clearedi.org.

IS BN 978-88-203-9062-4

Ristampa:
4 3 2 l o 2019 2020 2021 2022 2023

Traduzione di: Valeria Flavia Lovato


Realizzazione editoriale: La Nuova BAMA, Trezzo sull'Adda (MI)
Copertina: Carlo Gaffoglio
Immagine di copertina: frammenti A-l e C-1 del meccanismo di Anticitera.

La traduzione dell'opera è stata realizzata grazie al contributo del SEPS


SEGRETARIAT O EUROPEO PER LE PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE
IS E PS!

Via Val d'Aposta 7- 40123 Bologna


seps@seps.it - www.seps.it

Stampa: L.E.G.O. S.p.A., stabilimento di Lavis (TN)


Printed in ltaly
Per Elizabeth e Martin Jones
Prefazione

Intorno al 506 Cassiodoro scrisse una lettera al filosofo Boezio su


commissione del re degli Ostrogoti Teodorico, chiedendogli di far
costruire due congegni per misurare il tempo, una meridiana e un
orologio ad acqua; erano doni destinati a impressionare Gundobaldo
re dei Burgundi. 1 C'erano convenzioni retoriche da rispettare in una
corrispondenza ufficiale di quel genere, così Cassiodoro si dilunga in
una fiorita descrizione degli stupefacenti risultati raggiunti dall'arte
meccanica: può alzare il livello dell'acqua, muovere il fuoco, far suo­
nare un organo, difendere città, drenare edifici allagati, assemblare
immagini di serpenti o uccelli sibilanti o cinguettanti. Anzi, ormai è
addirittura possibile imitare le sfere celesti senza correre il rischio di
essere taccia ti di empietà, grazie alla cosiddetta "sfera di Archimede",
in cui l'arte meccanica

fece girare un secondo sole; per ingegnosità umana creò un altro cer­
chio dello zodiaco; dimostrò come la luna possa riprendersi dal suo
declino mediante la luce della scienza e fece ruotare, con impercettibile
mobilità, una piccola macchina contenente il mondo, un cielo portati­
le, un compendio dell'universo, uno specchio della natura a immagine
dell'etere . .. Che valore ha per un uomo creare quanto solo aver com­
preso può essere eccezionale?

Forse ancor più sorprendente, però, è il fatto che un esemplare di un


simile cosmo portatile, che forse Cassiodoro conosceva solo grazie
alle sue letture, fu trovato poco più di un secolo fa al largo della picco­
la isola greca di Anticitera, dove era andato perduto 2000 anni prima
a causa di un naufragio. Al momento si trova esposto al Museo Ar­
cheologico Nazionale di Atene, con il numero di inventario X 1 5087.
Durante la prima metà del secolo successivo alla sua scoperta, il
meccanismo di Anticitera rimase pressoché sconosciuto al mondo acca­
demico. Ultimamente, tuttavia, grazie a una serie di reportage, articoli
e documentari televisivi, questi piccoli frammenti di lastra bronzea, in-
x PREFAZIONE

frammezzati da ingranaggi e iscrizioni, sono diventati uno dei più famosi


manufatti del mondo greco antico. L'attenzione si è per lo più concentrata
sulle tecnologie utilizzate per studiare i resti fram mentari del meccanismo,
nonché sulla personalità dei singoli ricercatori. Ad oggi, gli enigmi relativi
alla struttura e al funzionamento del manufatto sono ormai stati quasi
interamente risolti. Eppure, permane l'impressione che il meccanismo sia
un oggetto misteriosamente estraneo alla civiltà greco-romana così come
la conosciamo: in effetti, secondo quanto affermato nel 1 959 da Derek de
Solla Price, "quello che sappiamo della scienza e della tecnologia di epoca
ellenistica [tardo IV secolo -fine del I secolo a.C.] avrebbe dovuto indurci a
concludere che un simile congegno non poteva esistere" .2
Spero che questo libro convinca il lettore dell 'infondatezza di una si­
mile affermazione. Certo, nessun manufatto di cui si abbia traccia grazie
ai ritrovamenti archeologici o alle descrizioni delle fonti antiche presenta
un livello di progresso tecnologico paragonabile a quello del meccani­
smo. Tuttavia, i dispositivi alla base del suo funzionamento erano sem­
plicemente un'evoluzione del tutto plausibile di invenzioni più semplici,
di cui siamo a conoscenza. Questa tecnologia veniva impiegata per offri­
re una grande varietà di funzioni connesse all'astronomia e alla misura­
zione del tempo, tutte ampiamente documentate nella scienza dell 'antica
Grecia. Se guidato da un operatore, qualunque utente medio istruito
avrebbe compreso queste funzioni, in quanto legate in vario modo alla
società ellenistica e alla concezione dominante della cosmologia e del
mondo fisico. Riprendendo il titolo dell'ormai classica monografia di
Price e modificandone una sola parola, potremmo quindi definire il mec­
canismo non come un "congegno creato dai Greci", ma come un "con­
gegno creato per i Greci " .
I primi due capitoli d i questo libro descrivono il ritrovamento del
meccanismo e raccontano come siano maturate le nostre attuali cono­
scenze al riguardo. Senza una buona dose di lungimiranza, perseveranza
e fortuna non avremmo mai potuto dedicarci allo studio di un manu­
fatto così straordinario : a partire dalla fortuita scoperta di un relitto
da parte di un gruppo di pescatori di spugne, in uno spazio di mare in
cui di solito non lavoravano, per arrivare alla previdenza di un gover­
no che, pur in ristrettezze economiche, decise di finanziare un'opera­
zione di salvataggio sottomarino senza precedenti, continuando anche
quando i ritrovamenti più eclatanti divennero sempre meno frequenti.
L'esame dei frammenti corrosi e danneggiati è stato un processo gra­
duale e interdisciplinare, che ha coinvolto archeologi, storici, scienziati
e tecnici, culminando con la ricostruzione di gran parte della struttura e
PREFAZIONE XI

delle funzioni del meccanismo, ultimata nel 20 06. A parte qualche lieve
aggiustamento, la ricostruzione, fondata su numerosi reperti nonché sul­
la coerenza interna del congegno, ha ricevuto l'approvazione unanime
della comunità di esperti.
Il seguito del libro prende le mosse proprio dalla ricostruzione del
meccanismo: partendo dall'esterno del congegno per arrivare al suo in­
terno, ci si propone di mostrare che esso non è altro che un prodotto del
suo tempo. Il terzo capitolo illustra sia la struttura, sia il modo di fun­
zionamento originari del meccanismo, presentati dal punto di vista di un
osservatore non esperto. I quattro capitoli seguenti considerano l'astro­
nomia antica nel suo contesto. Ci si soffermerà in particolare sul ruolo
culturale e sulle applicazioni pratiche della disciplina, considerati nella
loro relazione con le funzioni svolte dalle componenti esterne e visibili
del meccanismo. Sarà il capitolo ottavo a occuparsi del funzionamento
interno del meccanismo, mostrando come affondi le proprie radici nel­
la tecnologia che il mondo greco-romano applicava alla costruzione di
strumenti tecnici e congegni prodigiosi. Il volume si conclude con una ra­
pida esplorazione della storia dei calcolatori astronomici greco-romani,
considerando in particolare il loro possibile influsso sullo sviluppo del
pensiero antico.
Un tema centrale del mio libro è il volto pubblico dell'astronomia
greca in epoca ellenistica: le diverse strategie adottate da specialisti e
divulgatori al fine di rendere le scoperte scientifiche visibili, comprensi­
bili e significative anche agli occhi dell'uomo comune. Seguendo il loro
esempio, ho cercato di spiegare le nozioni di astronomia e tecnologia alla
base del meccanismo ricorrendo il meno possibile al linguaggio speciali­
stico e presumendo solo conoscenze scientifiche da scuola elementare. I
capitoli centrali del volume, consacrati al funzionamento dell'interfaccia
e degli ingranaggi del meccanismo, seguono un criterio tematico e non
progressivo. Pertanto, per poter seguire le linee principali della discus­
sione, il lettore non deve necessariamente interiorizzare i dettagli delle
trattazioni più tecniche. Infine, il volume è dotato di un glossario con
brevi definizioni dei termini chiave.
Il meccanismo continua a essere oggetto di vari e fruttuosi studi. Per
quanto concerne le questioni più importanti, tuttavia, ormai sappiamo
tutto quello che è possibile ricavare dai frammenti superstiti. Certo, non
si può escludere che in futuro ne vengano trovati altri. I pescatori di
spugne che fra il 1 900 e il 1901 hanno scoperto il relitto di Anticitera
sono stati in grado di recuperare soltanto una parte del meccanismo: i
frammenti finora portati alla luce potrebbero corrispondere a poco più
XII PREFAZIONE

di metà degli ingranaggi interni e a una frazione persino inferiore delle


iscrizioni e dei quadranti che ne costituivano la struttura esterna. Con
ogni probabilità, agli occhi dei pescatori i frammenti apparvero sempli­
cemente come pezzetti di metallo corroso, il che fu tuttavia sufficiente
a convincerli del loro valore. Essi non avevano certo né le competenze
né il tempo per registrare �l luogo del ritrovamento. Nel 1 953 Jacques
Cousteau e Frédéric I;>umas si immersero brevemente nell 'area del nau­
fragio e Cousteau vi fece ritorno nel 1 976, in collaborazione con l'Isti­
tuto Greco di Archeologia Marina. Tuttavia, fra i reperti così recuperati
non emersero nuovi frammenti del meccanismo. Nel 2012, una squadra
di sommozzatori, diretta dall'Eforato Ellenico per le Antichità Sottoma­
rine e dall'Istituto Oceanografico Woods Hole, cominciò a esplorare il
sito del naufragio, avvalendosi di metodi e tecnologie all 'avanguardia.
Fu così che nel 2014 si diede inizio a una nuova spedizione sottomari­
na pluriennale. Certo, l 'obiettivo principale di questa missione non è il
ritrovamento di ulteriori frammenti del meccanismo e sperare che ciò
avvenga è quantomeno azzardato. Eppure, se il fondo del mare dovesse
ancora celare significativi frammenti di ingranaggi bronzei, di quadranti
o di lancette, i meta ! detector sottomarini sicuramente li individueran­
no. In ogni caso, grazie a questa ulteriore esplorazione del sito, avremo
senza dubbio più informazioni sulla rotta che sottrasse il meccanismo al
suo antico proprietario per consegnarlo a noi.
Ringraziamenti

Come ogni studioso e ammiratore del meccanismo di Anticitera, tengo


a ringraziare, prima di chiunque altro, il personale del Museo Archeolo­
gico Nazionale di Atene, che ha preservato i delicati frammenti del mec­
canismo fin dalla loro scoperta e ha incoraggiato e facilitato il lavoro dei
ricercatori che si sono succeduti negli anni. Sono anche profondamente
grato ai membri dell' Antikytera Mechanism Research Project (AMRP) per
avermi invitato a unirmi al loro progetto di ricerca, tutt'ora in corso, dopo
la pubblicazione dei primi risultati alla fine del 2006. Per quanto riguarda
i membri della squadra originaria dell'AMRP, ho tratto particolare bene­
ficio da una serie di scambi con Mike Edmunds, John Seiradakis, Xeno­
phon Moussas, Tony Freeth, Yanis Bitsakis, Agamemnon Tselikas, Tom
Malzbender, Andrew Ramsey e Mary Zafeiropoulou . Quanto a coloro
che (come me) si sono uniti alla squadra solo più tardi, tengo a ringraziare
John Steele e Magdalini Anastasiou. Inoltre, ho tratto enorme vantaggio
da una serie di conversazioni e scambi con altri ricercatori che lavorano
sul meccanismo: innanzitutto Michael Wright, ma anche James Evans,
Christi an Carman, Pau! lversen e John D. Morgan. Brendan Foley mi ha
generosamente tenuto al corrente dei risultati de lle nuove indagini arche­
ologiche condotte presso il sito del relitto di Anticitera.
Per avermi concesso di accedere ai loro archivi, voglio ringraziare il
Museo Archeologico Nazionale di Atene, l'Archi vio Storico delle Antichi­
tà e dei Monumenti (Ministero Greco della Cultura e degli Sport, A rchivio
Nazionale dei Monumenti), la Fondazione Nazionale greca per la Ricerca,
la Bayerische Staatsbibliothek (Monaco), gli archivi del dipartimento ate­
niese e l'ufficio berlinese del Deutsches Arch iiologisches Institut, gli Staat­
liche Museen zu Berlin Preussischer Kulturbesitz per la collezione delle
antichità classiche, l'Archivzentrum della Goethe Universit iit (Francoforte
sul Meno), il Planetario Adler (Chicago) e gli eredi di Derek de Solla Price.
Nel 2009 il mio editor presso la Oxford University Press (OUP), Ste­
fan Vranka, mi ha suggerito di scrivere un libro che presentasse il mecca-
XIV RINGRAZIAMENTI

nismo di Anticitera come uno strumento per esplorare aspetti più ampi
della scienza e della società antiche. È stato eccezionalmente paziente
con me, nonostante io abbia continuato a posticipare il progetto fino a
quando non ho avuto la certezza che il lavoro compiuto dai ricercatori
fosse una base abbastanza solida per poter costruire qualcosa di nuovo.
Mike Edmunds e il lettore anonimo scelto da OUP mi hanno fornito una
lunga serie di commenti che mi sono stati estremamente utili per miglio­
rare la prima stesura.
La mia più profonda gratitudine va a mia moglie, Catherine Haines,
la mia prima e più entusiasta lettrice.
1

Il relitto e la scoperta

Disastro
Intorno al 60 a.C., una nave fece naufragio al largo della costa nor­
dorientale di un'isoletta chiamata Egila, situata nello stretto che sepa­
ra Creta dal Peloponneso (figura 1 . 1 ) . Non sappiamo bene di che tipo
di nave si trattasse, ma era probabilmente un grosso mercantile, forse
lungo circa 40 metri. Oltre alle consuete anfore contenenti vino e altri
prodotti, il carico comprendeva anche statue di bronzo e marmo, nonché
prezioso vasellame in vetro. I bronzi a grandezza naturale erano antichi
e risalivano almeno al secolo precedente, mentre gli altri oggetti di lusso
erano di produzione recente. A quanto pare, la nave trasportava anche

���
Corcira
(Corfù}
O • Dodona


C>

o
CosP"
._si;-; ��
V'Rodi

Anticitera (Egila}'
Falasarna .
o
� 100 200
o 1 2
L...L....J
km
� km

Figura 1.1. Anticitera, la Grecia e l'Egeo (la mappa più grande è tratta da http://
d-maps.com/m/mediterranean/meditmin/meditmin04.svg).
2 CAPITOLO l

dei passeggeri: sappiamo che a bordo c'era una donna, a cui probabil­
mente appartenevano due eleganti paia di orecchini d'oro.1
Fra il 1 900 e il 1 901 , quando i resti della nave furono scoperti e par­
zialmente recuperati, si pensò che la maggior parte delle sculture fosse
molto più antica dell'imbarcazione che le trasportava. Cominciò a farsi
largo l'idea che il carico non fosse altro che il frutto del saccheggio di
una città greca a opera dei Romani, avvenuto agli inizi del I secolo a.C.
Nonostante questa teoria goda ancora di un certo favore, un esame più
scrupoloso dei reperti recuperati dal relitto permette di affermare con
una certa sicurezza che il carico non solo proveniva da luoghi diversi ma
era forse anche diretto verso varie destinazioni. 2
Nella maggior parte dei casi, è possibile identificare o ipotizzare il
luogo d'origine degli oggetti presenti a bordo. La tipologia delle anfore
ci consente di ricondurle a centri di produzione situati a Rodi e Cos,
nell'arcipelago del Dodecaneso, vicino a Efeso, in Asia Minore, e proba­
bilmente anche in Italia, sulle coste dell'Adriatico. Il marmo delle statue
proviene da Paro, per cui probabilmente erano state realizzate in una
bottega di area egea, forse a Delo o Pergamo. Il vetro è di origine siro­
palestinese o egiziana. Un passeggero aveva con sé i propri risparmi,
che consistevano in 32 monete provenienti da Pergamo ed Efeso. Un
altro era in possesso di monete di bronzo di valore inferiore, anch'esse
provenienti da Efeso, insieme ad altre monete decisamente più antiche,
coniate a Catania, in Sicilia e a Cnido, in Asia Minore. La più recente
delle monete d'argento era stata coniata fra il 76 e il 67 a.C., il che ci
permette di affermare con certezza che il naufragio avvenne dopo il 67,
con ogni probabilità nei dieci o vent'anni successivi.]
Non bisogna però immaginare che l'ultimo viaggio della nave pre­
vedesse una sosta in ciascuno di questi luoghi. È plausibile che, in un
primo tempo, le diverse componenti del carico fossero state trasportate
da imbarcazioni più piccole presso uno dei porti principali, come quello
di Delo. Là le merci sarebbero poi state caricate insieme alle altre su una
nave più grande, la quale, a causa delle dimensioni, poteva attraccare
solo nei porti maggiori. La presenza di passeggeri su una simile imbarca­
zione non era inusuale. In un'epoca in cui il trasporto dedicato esclusi­
vamente ai passeggeri non esisteva, i viaggiatori non avevano altra scelta
che approfittare di qualsiasi occasione si presentasse loro. Si consideri
poi che, anche se le anfore erano spesso prodotte nello stesso luogo da
cui proveniva il loro contenuto, non era infrequente che venissero riuti­
lizzate in viaggi successivi. Quel che è certo, in ogni caso, è che la nave
fu caricata in uno dei grandi porti dell 'Egeo, o in più d'uno. Tali porti
IL RELITTO E LA SCOPERTA 3

dovevano essere situati sulle coste dell'Asia Minore, sulle isole dell'Egeo,
o forse in entrambe le aree. L'ubicazione del relitto in dica che la nave era
diretta verso il Me diterraneo occi dentale, per scaricare le proprie merci
nei porti dell'A driatico, se non ancora più a ovest.
Un solo elemento del carico non è ancora stato menzionato: un con­
gegno meccanico, delle dimensioni di una scatola da scarpe, composto
esclusivamente di legno e metallo. Per quanto non vistoso come le statue
e il vasellame in vetro, si trattava di un manufa tto delicato e prezioso:
c'è da sperare che fosse stato riposto con cura in una cassa o in un -con­
tainer, per proteggerlo da urti o intemperie. Comunque sia, è impossibile
che fosse stato caricato sulla nave senza qualcuno che lo accompagnasse
nel suo lungo viaggio. A me no che non fosse parte del bagaglio del suo
proprietario - il quale non lo avrebbe certo esposto con leggerezza ai
rischi del viaggio - possiamo immaginare che fosse stato affi dato alle
cure di un tecnico, dotato delle competenze necessarie per azionarlo e
garantirne il corretto funzionamento. Come dimostrerò più avanti, è
probabile che il tecnico dovesse scortare il congegno nel viaggio che, dal
laboratorio in cui era stato pro dotto, lo avrebbe portato al suo futuro
proprietario. 4
Di certo, il tecnico si sarebbe difficilmente lasciato convincere a d apri­
re l'imballaggio per mostrarne il prezioso contenuto. Tuttavia, chiunque
fosse riuscito nell'impresa avrebbe visto una scatola, le cui facce anteriore
e posteriore erano costituite da due lastre di bronzo rettangolari. Il tutto
era inserito in una cornice di legno; una sorta di manopola o manovella
spuntava dal centro di uno dei quattro fianchi lignei (figura 3 .9). La ca­
ratteristica principale della faccia anteriore era un qua drante Circolare,
circon dato da due scale gra duate concentriche a forma di anello; dal suo
centro si irra diava un complesso sistema di lancette. La faccia posteriore
del congegno, invece, era per lo più occupata da due scanalature a for­
ma di spirale, dotate di scale gra duate laterali e di lancette ra diali dalla
struttura complessa, e da tre qua dranti circolari di dimensioni inferiori,
provvisti di lancette più semplici. Qualsiasi osservatore avrebbe potuto
notare la presenza di fitte iscrizioni in lettere greche - come quelle delle
e pigrafi, ma di dimensioni ri dotte - disposte tutt'intorno alle scale gra­
duate, negli spazi circostanti i qua dranti e persino sulle lastre di bronzo
separate collocate contro le due facce del dispositivo, quasi a fungere da
custo dia. Il tecnico avrebbe anche potuto accettare di far fare un piccolo
giro alla manovella laterale, mostran do così che essa controllava il mo­
vimento di tutte le lancette, cui imprimeva velocità e direzioni diverse.
Se di buon umore - o in cambio di una mancia sostanziosa - avrebbe
4 CAPITOLO l

persino potuto deci dere di asportare la lastra frontale per mostrare il


sistema di ingranaggi interconnessi che si celava dietro. Non possiamo
che augurarci che una simile dimostrazione abbia davvero avuto luogo.
Di lì a poco, infatti, la nave avrebbe subito un terribile inci dente: sarebbe
davvero triste immaginare che nessuno, oltre ai suoi costruttori, abbia
avuto la possibilità di ammirare una delle più gran di meraviglie del mon­
do antico prima che venisse irreparabilmente danneggiata.
Egila, un'isola dalla superficie di circa 20 chilometri qua drati ora nota
con il nome di Anticitera, era doppiamente pericolosa per le imbarcazio­
ni antiche che attraversavano il braccio di mare fra Creta e il continente
greco - senza dubbio la rotta più diretta per circumnavigare la Grecia o,
più in generale, per raggiungere il Me diterraneo occi dentale dall'Egeo e
viceversa.5 Per quanto non potesse ospitare un'ampia popolazione, l'iso­
la era una base per i pirati che gravitavano intorno alla roccaforte pirata
di Falasarna, a Creta. Intorno alla metà del III secolo a.C. Ro di dichiarò
guerra a Egila, con l'obiettivo di porre fine agli attacchi contro il proprio
commercio navale. Questa iniziativa, però, non riuscì a ostacolare sul
lungo termine né la pirateria locale, né la prosperità che ne derivava per
l'isola, come testimonia il fiorente centro ellenistico sorto sulle alture che
fronteggiano la riparata baia di Potamos, il porto di Egila. Tuttavia, fra
il 69 e il 67 a.C., il generale romano Quinto Cecilia Metello riuscì a re­
primere i pirati di Falasarna in mo do duro ma efficace: fu ricompensato
con un trionfo e con il cognomen Creticus. Di conseguenza, Egila rimase
quasi interamente spopolata per i quattro secoli successivi.
Quin di la nostra nave mercantile era probabilmente al riparo dai pira­
ti, ma non altrettanto da eventuali danni materiali e dalle infi de con dizio­
ni meteorologiche degli stretti marini. È impossibile stabilire con certezza
la causa del naufragio, ma la posizione del relitto , al largo di uno scosceso
tratto di costa a est della baia di Potamos e decisamente lontano dai con­
sueti passaggi intorno all'isola, suggerisce che la nave sia stata deviata da
una tempesta e che non sia riuscita a trovare riparo prima di affon dare.
A causa del pesante carico, deve essersi inabissata rapi damente. Almeno
quattro delle persone a bor do sono an date a fon do insieme a lei: due uo­
mini, una donna e un in divi duo di sesso incerto, i dentificati grazie ai resti
ossei. Non sappiamo se qualcuno sia arrivato sano e salvo a terra, né se le
persone interessate - fra cui il proprietario del meccanismo a ingranaggi
- siano state informate del destino della nave.
Intorno al sito del naufragio le scogliere dell'isola scen dono a picco,
mantenen do quasi la stessa pen denza sopra e sotto il livello del mare.
Nonostante la nave si trovasse soltanto 25 metri al largo dalla costa,
IL RELITIO E LA SCOPERTA 5

fi nì per a dagiarsi sul fo ndo scosceso a una profon dità compresa fra i
45 e i 6 1 metri, dove rimase per quasi 2000 a nni, probabilmente se nza
mai essere disturbata da altri esseri umani. Naturalmente, al termi­
ne di questo lungo i ntervallo di tempo, la nave e il suo conte nuto si
trovava no in con dizio ni ben diverse rispetto a qua ndo l'imbarcazione
galleggiava a ncora. Il naufragio fu u n evento violento e il carico deve
aver subito dan ni ingenti non solo dura nte il primo impatto, ma anche
i n seguito, a causa della ca duta e del rotolamento degli oggetti pesanti,
fra cui soprattutto le statue di marmo. Simili episo di devono essersi
verificati in maniera i ntermittente nel corso degli an ni tutte le volte
i n cui qualcosa sotto si spostava o si deteriorava. In ma niera più gra­
duale, la prolu ngata immersio ne nel mare ha i nnescato processi fisici,
chimici e biologici che hanno finito per attaccare la maggior parte dei
materiali presenti nel relitto. Il legno esposto e non in contatto con il
metallo è stato eroso dal mollusco Teredo navalis ( " verme delle navi ");
il marmo, a me no che no n fosse protetto dal fa ngo del fo ndo marino,
è stato incrostato, bucherellato e d eroso da organismi che perforano
le rocce, come le cozze e i ricci di mare; il metallo risulta incrostato e
corroso chimicame nte: quello lavorato i n lastre sottili si è trasformato
i n u n materiale fragile , simile al gesso. 6 Piccoli oggetti e frammenti
devono essere stati spostati, da nneggiati o frantumati dalle corre nti e
soprattutto dagli organismi marini.
Nel frattempo, l'isola è an data i nco ntro a vari cicli di spopolamento
e ripopolame nto. Dopo la quarta crociata ( 1202-1204) e fino al 1 8 00
fu gover nata dalla Repubblica di Ve nezia e prese il nome di Cerigotto
perlome no sulle carte geografiche, me ntre diverse varia nti del suo nome
antico (Lioi o Singilio) rimasero in uso a livello locale. Come le altre
isole ioniche, durante le guerre napoleoniche passò più volte di mano
in mano, fi nché nel 1 806 no n fu sottomessa al dominio britannico. Nel
1 8 1 5 divenne parte degli Stati U niti delle Isole Io nie, sottoposti all'am­
m inistrazione brita nnica. In questo perio do l'isola fu utilizzata come
luogo d'esilio per i ra dicali dell'area io nica. Sembra che furono proprio
i patrioti ionici a ribattezzarla A nticitera ( " di fronte a Citera " ) in omag­
gio alla tra dizione classica, proprio nel mome nto in cui ripristi narono
l'a ntico nome di Citera per l'isola più estesa e situata più a nor d che i
Venezia ni chiamavano Cerigo. Le isole ioniche furono ce dute al nascente
stato greco nel 1 8 65 e fi no al 1 9 1 3 A nticitera fu l'estremità meri dionale
della Grecia, u n luogo raramente visitato e poco consi derato, situato a
poco più di 200 chilometri di distanza dal porto ate niese del Pireo, circa
un giorno di viaggio co n un piroscafo.
6 CAPITOLO 1

Recupero
Anche la scoperta del relitto, avvenuta nel 1 900, si verificò a causa di
cattive condizioni meteorologiche, per quanto meno severe rispetto al
momento del naufragio. La pesca delle spugne era da tempo una del­
le principali attività produttive in molte isole greche, soprattutto nel
Dodecaneso . Intorno al 1 8 70, i pescatori di Simi furono fra i primi ad
adottare l'attrezzatura dotata di "casco rigido": si trattava di caschi di
ottone e mute a tenuta stagna; l'aria veniva pompata dalla superficie
tramite un apposito tubo. In precedenza - e, a dire il vero, fin dall'anti­
chità classica - i pescat ori non impiegavano alcuna attrezzatura: si tuf­
favano di testa verso il fondo marino, tenendo fra le mani una pietra,
assicurata all'imbarcazione tramite una corda, la quale serviva sia per
trasmettere segnali sia per issare rapidamente il pescatore in superficie.
Con questa tecnica, i pescatori potevano raggiungere una profondità di
circa 50 metri (si dice che alcuni potessero arrivare addirittura a 70), ma
un'immersione durava globalmente un minuto e mezzo-due, permetten­
do ai tuffatori di rimanere sul fondo per un minuto al massimo, anche
se, a quanto sembra, i più esperti riuscivano a restare sott'acqua fino a
quattro minuti. Un tuffatore senza attrezzatura poteva compiere anche
più di dieci immersioni al giorno. Con il casco e il tubo respiratore, si
potevano raggiungere regolarmente maggiori profondità e, cosa anco­
ra più importante, ci si poteva trattenere sott'acqua più a lungo, con
una media di un quarto d'ora a 50 metri di profondità in condizioni di
mare calmo. Il limite abituale era di due immersioni al giorno. In effetti,
tuffarsi con un'attrezzatura per immersioni ad alta profondità era peri­
coloso e poteva portare alla morte o alla paralisi dell'interessato, come
dimostra la spaventosa quantità di vittime fra i pescatori di spugne greci.
Nonostante ciò, l'innovazione tecnologica permise a questa attività sia
di espandersi geograficamente, sia di aumentare l'intensità della produ­
zione. Entro la fine del XIX secolo, circa 50 squadre di tuffatori dotati di
casco, la maggior parte dei quali di nazionalità greca (sottoposti al go­
verno greco o ottomano), operavano al largo delle coste libiche, durante
una stagione che iniziava ad aprile e terminava a ottobre. Nel 1 900 fu
proprio una di queste squadre che, dopo essersi fermata ad Anticitera
per cercare riparo, incappò nel sito del naufragio ?
La squadra era composta da due imbarcazioni. La "nave madre",
Efterpi, era lunga circa 1 5 metri ed era adibita al trasporto dei riforni ­
menti e delle spugne accumulate durante la pesca. L'altra imbarcazione,
Kalliopi, era lunga circa 1 0 metri e veniva usata come base dai tuffatori.
IL RELIITO E LA SCOPERTA 7

Erano entrambe di proprietà di Fotios Lin dia kos e d erano capitanate


dal genero di quest'ultimo, Dimitrios Kontos. Li accompagnavano sei
o sette tuffatori, nonché gli uomini dei due equipaggi (figura 1 .2). 8 I
dettagli dell'acca duto sono piuttosto oscuri, a partire dal momento della
scoperta del relitto, che non si sa se collocare all'inizio o alla fine della
stagione di pesca. Secon do un rapporto pubblicato nel 1902, l'evento si
verificò alla fine dell'anno, mentre un altro rapporto, risalente al 1 903,
lo colloca nel perio do di Pasqua / ma poi confon de le acque aggiungen­
do che la squa dra aveva già intrapreso il viaggio di ritorno. Una storia
curiosa pubblicata mezzo secolo dopo l'evento sembra confermare la
data primaverile. Qualche giorno dopo la Pasqua del 1 900, l'operatore
di una stazione telegrafica ottica, che era stata installata a d Anticitera
per garantire le comunicazioni fra Creta e Citera durante il con flitto
greco-turco del 1 8 97, segnalò con urgenza il ritrovamento di un tesoro
al largo. Tuttavia, le autorità governative ateniesi, convinte che l'uomo
fosse ubriaco, decisero di ignorare il rapporto.10
L'autore della scoperta è uno dei pescatori, Ilias Sta diatis (ufficialmen­
te Ilias Ly kopantis), che avvistò dei frammenti di statue bronzee a una
profon dità di 35 bracci (ossia più di 60 metri), perlomeno secon do le sti­
me iniziali (in alcuni resoconti più recenti la profon dità risulta inferiore e
oscilla fra i 42 e i 50 metri). A quanto sembra, Kontos si tuffò per con­
fermare il ritrovamento e stabilirne con certezza la posizione. In seguito,
Kontos o Sta diatis portò alla luce un braccio di bronzo a gran dezza natu­
rale, che fu fin da allora i dentificato come un frammento della statua so­
prannominata "il filosofo". Secon do quanto essi stessi raccontarono alle
autorità ateniesi qualche mese dopo, null'altro sarebbe stato toccato nel
sito del naufragio. Tuttavia, nel 1 960, i discen denti degli uomini di Kontos
a Simi dissero all'archeologo marino Peter Throc kmorton che in quell'oc­
casione furono recupera re anche delle statuette di bronzo, le quali furono
ven dute a tempo debito a dei trafficanti di Alessan dria. 1 1
Anche se Simi faceva parte dell'Impero ottomano, i pescatori di spu­
gne si consi deravano orgogliosamente greci. Senza contare che, per loro,
era logico comunicare la propria scoperta al governo greco, non solo
perché Anticitera apparteneva alla Grecia, ma anche perché si poteva
sperare che il governo avesse l'interesse e i mezzi per partecipare al recu­
pero dei reperti più ingombranti, che i pescatori non potevano portare in
superficie da soli. Ovviamente, i pescatori volevano anche assicurarsi di
svolgere personalmente le operazioni sottomarine e di venire pagati per
il lavoro svolto. All'epoca, l'archeologia era di competenza del Ministero
dell'E ducazione e degli Affari Ecclesiastici. Di conseguenza, all'inizio di
8 CAPITOLO l

Figura 1.2. I pescatori di spugne di Kontos con la loro imbarcazione Efterpi


presso Anticitera. Spyridon Stais e Emmanouil Lykoudis (i consulenti legali del
governo greco) sono in piedi nella piccola barca in primo piano (Archivio Foto­
grafico del Museo Archeologico Nazionale, Atene).

novembre Kontos si recò ad Atene insieme a una delegazione composta


dai suoi uomini: una volta giunti a destinazione, si rivolsero ad Antonios
Oi konomos ( 1 850- 1 902), un professore di archeologia all 'Università di
Atene anch'egli originario di Simi, cui chiesero di fissare un incontro
con il ministro dell'educazione, Spyridon Stais ( 1 859 -1 932). In quell'oc­
casione, rivelarono di aver scoperto resti di antiche statue nel tratto di
mare fra Capo Malea e l'isola di Citera, ma probabilmente fornirono
delle coordinate scorrette in modo da proteggere i propri interessi. Di­
chiararono anche di essere pronti a immergersi per recuperare i reperti
se il governo li avesse pagati e avesse fornito loro le risorse navali neces­
sarie al recupero.
Gli anni fra la guerra greco-turca, che per la Grecia fu un fallimento da
un punto di vista sia militare sia finanziario, e la grande espansione terri­
toriale greca (una conseguenza delle guerre dei Balcani del 1 9 12-1 9 1 3 e
IL RELITIO E LA SCOPERTA 9

del riconoscimento internazionale dell'unione con Creta nel 1 9 1 3 ) furono


caratterizzati da un clima nazionale di relativa demoralizzazione e dal sus­
seguirsi di governi instabili. In compenso, si trattò di un buon momento
per l'archeologia, in termini di risultati e di interesse pubblico. A quanto
pare Stais, un ex maestro di scuola dotato di una formazione scientifica e
di un'ampia cultura, co nsultò gli archeologi a servizio del governo, i quali
capirono fin da subito che il ritrovamento dei tuffatori non era altro che
un relitto di epoca greco -romana. Poi si mise subito al lavoro, pro metten­
do ai tuffatori una rico mpensa generosa se si fossero dimostrati capaci di
recuperare i reperti dal relitto e accor dan dosi con la marina greca per otte­
nere in prestito una nave da carico. I giornali ateniesi seguirono da vicino
gli sviluppi della vicen da: per l'intera durata del progetto continuarono a
pubblicare storie sul "tesoro archeologico negli abissi ", spesso in prima
pagina (la maggior parte dei giornali contava solo quattro pagine). In ef­
fetti, questi articoli sono per noi alcune delle migliori fonti di informazione
su quanto acca dde da una settimana all'altra. Anche i giornali degli altri
paesi pubblicarono a intermittenza resoconti delle scoperte, ma in linea
generale erano meno dettagliati.12
Fu così che, il 24 novembre, il quoti diano " To Asty" riferì che Kon­
tos e i suoi uomini, una volta consegnato il braccio di bronzo, avevano
concluso un accor do con il governo e che la nave da carico Mykali aveva
appena preso il largo insieme alla squa dra di tuffatori (con le loro navi)
e al professar Oikonomos, che ne avrebbe supervisionato i lavori (figura
1 .2). È probabile che Kontos abbia rivelato la corretta posizione del
relitto soltanto in seguito alla partenza. In effetti, il nome di Anticitera
compare sui giornali soltanto dopo che Oikonomos fu tornato al Pireo a
bor do della Mykali insieme ai primi ritrovamenti. L'esperienza di questi
primi giorni di lavoro ufficiali fu sufficiente a capire come le operazioni si
sarebbero svolte nei mesi a venire. I venti e il mare agitato impe divano ai
tuffatori di lavorare per più di tre ore complessive e le singole immersio­
ni non p otevano durare più di cinque minuti. La Mykali si rivelò essere
troppo gran de per potersi avvicinare al sito e il suo contributo fu per­
tanto limitato al solo sollevamento dei reperti. In seguito, questo com­
pito sarebbe stato assegnato a imbarcazioni della marina di dimensioni
inferiori, come il piroscafo Syros (insieme a una nave da carico dotata di
gru) e la torpe diniera Aigialeia, mentre la Mykali sarebbe tornata solo
di tanto in tanto per portare i reperti a d Atene e per trasportare avanti
e in dietro archeologi e altri ufficiali. Eppure, nonostante le con dizioni
avverse, il risultato di queste prime immersioni fu impressionante: fra i
reperti c'erano anche vari frammenti di statue di bronzo e marmo, il più
lO CAPITOLO l

impressionante dei quali è una testa bronzea. All'inizio si pensava che


rappresentasse un pugile ma, dopo essere stata ripulita, è stata attribuita
a un filosofo di i dentità sconosciuta (figura 1 . 3 ) .
Nei mesi seguenti, i lavori proseguirono a fasi alterne, con una serie
di interruzioni dovute non solo al maltempo ma anche a un'in dagine in
corso: la stampa greca aveva accusato i pescatori di maneggiare i reperti
con scarsa cura o persino di danneggiarli deliberatamente, ma la delega­
zione ministeriale li scagionò da ogni accusa. A causa delle con dizioni in
cui si trovavano a operare, i pescatori non avrebbero potuto esaminare il
relitto se c;on do i criteri dell'archeologia scientifica nemmeno se avessero
ricevuto una formazione a deguata. Si trattava semplicemente di un'o­
perazione di recupero con dotta sotto la supervisione del ministero e dei
suoi archeologi. A quanto pare, non sono stati conservati rapporti siste­
matici riguar do al recupero dei singoli oggetti. In mancanza di una linea
di comunicazione diretta da Anticitera, di tanto in tanto si inviavano dei
telegrammi da Citera con un resoconto dei ritrovamenti, i quali veniva­
no generalmente riassunti dai quoti diani del giorno seguente.
Perlomeno agli occhi di un profano, le scoperte più eccitanti erano
le statue di bronzo. Anche se ri dotte in frammenti, per il resto erano
in buono stato di conservazione e alcune sembravano appartenere alla
tar da epoca classica o a quella ellenistica, fra il IV e il III secolo a.C. In
generale, sono poche le statue di bronzo antiche che si sono conservate
fino ai giorni nostri: quan do non erano più gra dite, il metallo veniva ci­
utilizzato. Per questo motivo, i frammenti di Anticitera rappresentarono
un importante complemento alle conoscenze dell'epoca. Molte di queste
statue furono recuperate durante le prime settimane di lavoro, sia perch é
suscitavano un gran de interesse, sia perch é per i tuffatori era facile in di­
vi duarle e riportarle in superficie . I frammenti più gran di del più celebre
bronzo di Anticitera, il cosi ddetto Efebo (o Giovinetto) di Anticitera,
furono recuperati già alla fine del dicembre 1 900: fu l'unica statua di
cui vennero trovati quasi tutti i frammenti. Anche alcune delle statue
di marmo furono riportate alla luce durante le prime settimane, fra cui
quella di un giovane a dimensioni naturali, la cui testa e fianco destro
erano stati ricoperti da se dimenti, rimanen do così al riparo dagli orga­
nismi litofagi. Furono necessarie cinque immersioni per capire di cosa
si trattasse e altre tre per assicurarlo con dei cavi e issarlo a bor do della
Syros. A causa della loro mole, i frammenti delle statue di uomini, dei e
cavalli di dimensioni maggiori rispetto a quelle naturali resero i lavori di
recupero ancora più lenti e laboriosi. Alcuni erano semplicemente trop­
po in profon dità perch é i tuffatori potessero raggiungerli con i cavi da
IL RELITIO E LA SCOPERTA 11

(a) (b)

Figura 1.3. La testa bronzea del "filosofo", risalente alla fine del III secolo a.C.
(Museo Archeologico Nazionale X13400), prima e dopo il restauro (Svoronos
1903a, 29 e tavola III).

sollevamento. Per di più, si rivelarono piuttosto delu denti perch é la loro


superficie era quasi interamente erosa. Senza contare che gli archeologi
si resero ben presto conto che non si trattava di opere d'arte originali
del perio do classico, ma di copie e imitazioni della tar da età ellenistica.
A poco a poco, i reperti recuperati fi nirono per inclu dere soprattutto
gli oggetti più piccoli o d'uso quoti diano: meno opere d'arte, più anfore
e oggetti in ceramica, nonch é pezzi dell'antico relitto. Se nel febbraio
del 1 90 1 fu Stais (che era in visita in seguito all'inchiesta sulla presunta
negligenza con cui venivano maneggiati i reperti, figura 1 .4) a dover
pregare i pescatori demoralizzati di continuare il proprio lavoro, entro
l'estate furono i pescatori a chie dere che le operazioni di ricerca conti­
nuassero nonostante le lamentele legate al cal o dei risultati. L'ultimo
ritrovamento scultoreo degno di nota, una pregevole statuetta bronzea
raffigurante un giovane uomo, era stato annunciato in un telegramma
del 23 giugno. Alla fine di luglio, Stais scrisse un memoran dum in cui
chie deva a Kontos di conclu dere imme diatamente i lavori perch é i ritro­
vamenti recenti ( " frammenti di vaso e pezzi di legno del relitto " ) erano
archeologicamente irrilevanti.13 A quanto sembra, tuttavia, Stais finì per
ricre dersi e le operazioni continuarono per qualche settimana. A dire il
vero, l 'archeologo che supervisionava i lavori di recupero aveva inviato
al ministro un rapporto più positivo:
12 CAPITOLO l

Gli sforzi dei pescatori per portare alla luce il tesoro sommerso proseguo­
no lentamente ma adeguatamente e in maniera più sistematica rispetto
a prima. I pescatori hanno scavato il fondale fino a una profondità di
un metro dalla superficie e al momento stanno effettuando ricerche con
reticoli a scala fine. In tal modo, nessun reperto può sfuggire alla loro
attenzione, a meno che non si trovi sott'acqua a una profondità deci­
samente maggiore di 35-40 bracci [63-72 metri], il che corrisponde alla
profondità massima raggiungibile dai tuffatori di Simi.1�

In effetti, sembra che i pescatori facessero del proprio meglio per non la­
sciarsi sfuggire nulla. Tuttavia, è facile capire perché il ministro non fosse
particolarmente impressionato dai loro ritrovamenti. Il giorno dopo aver
pubblicato questo rappo rto, " To Asty" riportava il contenuto di un tele-

Figura 1.4. I pescatori di spugne, gli ufficiali e l'equipaggio della Mykali, insieme
a una delegazione del Ministero dell'Educazione, tutti a bordo nel febbraio del
1901. Spyridon Stais si trova sul ponte superiore, tra le cime: indossa un cap­
pello di feltro e poggia la mano sul capo di uno dei pescatori. L'uomo alla sua
destra, con lo stesso tipo di cappello e una mano sul parapetto, è Kavvadias. Di­
rettamente sotto Stais si vede Fotios Lindiakos, che indossa un cappello a larghe
tese. L'uomo alla sua sinistra, e immediatamente a sinistra delle cime, è Kontos
(Lykoudis 1901, 390).
IL RELITTO E LA SCOPERTA 13

gramma secondo cui, do po tre giorni di immersioni effettuate nonostante


il cattivo tem po, erano stati recu perati "tre piccoli contenitori di ceramica,
un vaso in ceramica e vari frammenti di bronzo di piccole dimensioni".
Dieci giorni do po, il 14 giugno, "To Asty" pubblicò un teleg ramma che,
in confronto al precedente, a ppariva leggermente più eccitante:

È stata ritrovata ... una lastra con un'iscrizione, di cui è stato però impos­
sibile trascrivere le lettere. Oltre a ciò, sono stati recuperati vasi, fram­
menti di sculture e altri oggetti antichi.

Un giorna le rivale, Skrip, descrisse il primo oggetto come "una lastra di


marmo recante un'iscrizione di difficile lettura ". Si tratta però quasi certa­
mente di un errore, visto che non risulta alcun ritrovamento di iscrizioni
su pietra all'interno del re litto ( purtro ppo il telegramma originale non si è
conservato negli archivi del servizio archeologico del Ministero dell'Edu­
cazione). Comunque sia, sembra che ad Atene nessuno abbia dato molta
im portanza a questa lastra: il giorno precedente, il giornale della sera Estia
aveva riassunto lo stesso telegramma con leggere variazioni, menzionan­
do "vari oggetti antichi, vasi, frammenti di sculture e altre cose [corsivo
mio ]" portati alla luce il 22 luglio.
Scorrendo tutta la documentazione s pecialistica e divulgativa dedica­
ta ai re perti antichi del relitto di Anticitera - dai giornali dell'e poca e dal­
le prime indagini scientifiche del 1 902- 1 903 fino all'eccellente catalogo
della mostra su Anticitera os pitata dal Museo Archeologico Nazionale
fra il 2012 e il 2014 - si incontrano ben pochi oggetti dotati di iscrizioni:
alcuni bolli sulle anfore , varie monete (tutte trovate nel 1 976), un peso
da scandaglio su cui sembra essere stato inciso un numero romano (tro­
vato anch'esso nel 1 976), una tegola di terracotta con l'im pressione di
un sigillo circolare su cui sono parzialmente leggibili dei caratteri greci
e i frammenti dell'antico meccanismo a ingranaggi. Va notato che, un
anno più tardi, quando iniziarono ad attirare seriamente l'attenzione
degli studiosi, questi frammenti vennero ri petutamente descritti dai gior­
nali quasi con le stesse parole: si parlò ancora una volta di una "lastra
recante de l e iscrizioni" i cui caratteri erano di fficili da decifrare.
Se questa "lastra" faceva parte del meccanismo (da qui in avanti
possiamo concedergli l'onore dell'iniziale maiuscola) e se davvero non è
possibile individuare un altro candidato plausibile, l'assenza di qualsiasi
riferimento a ruote o ingranaggi è a dir poco sor prendente. Quando i
frammenti iniziarono a essere studiati nel 1 902, gli ingranaggi erano
tanto evidenti - ed evidentemente tanto interessanti - quanto l'iscrizio­
ne. Fra parentesi, i funzionari del museo, probabilmente basandosi su
14 CAPITOLO l

documenti che non esistono più, sa pevano che i frammenti erano stati
riesumati verso la fine delle o perazioni di recu pero. Sembra quindi che
l'oggetto avesse un as petto diverso quando fu recu perato dal mare: pro­
babilmente si trattava di un aggregato costituito da alcune delle com­
ponenti che sarebbero state identificate in seguito; con ogni probabilità,
inoltre, gli elementi meccanici erano ancora nascosti al suo interno.
Con l'obiettivo di accertare se avesse senso prolungare le ricerche dei
pescatori, il 30 luglio Stais si recò personalmente sul sito del naufragio a
bordo della Mykali. I ritrovamenti che erano già stati effettuati durante
quella stessa estate (in un telegramma inviato ad Atene Stais cita la sta ­
tuetta di bronzo e una testa di cavallo marmorea, ma non fa menzione
della lastra iscritta) lo s pinsero ad autorizzare il proseguimento dei la­
vori, che continuarono per qualche altra settimana. Alla fine, le ricerche
furono definitivamente interrotte qualche gior no prima del 23 settem­
bre, quando i pescatori dichiararono di non poter più fare molto altro:
ormai non restavano che frammenti di marmo, im possibili da s postare.
Stais caricò a bordo della Mykali gli antichi re perti che as pettavano
di essere tras portati ad Atene. Fu a questo punto che si verificò un e piso­
dio di cui la stam pa parlò solo anni do po il fatto - sem pre ammesso che
sia davvero accaduto. Secondo l'ammiraglio loannis Theofanidis (che
incontreremo di nuovo più avanti ), il protagonista della vicenda fu un
altro ufficiale della marina, di nome Periklis Rediadis ( 1 8 75-1 938), che
era già stato a bordo della Mykali in numerose altre circostanze e che
avremo ugualmente occasione di ritrovare più tardi, in un ruolo diverso.
Rediadis avrebbe im pedito all'equi paggio, che stava caricando i re perti
antichi sul ponte della Mykali, di gettare di nuovo a mare un blocco in­
crostato a pparentemente senza valore - il nostro meccanismo! - perché
vide un pezzetto di metallo fuoriuscire da una cre pa sulla sua su perfi­
cie.15 L'aneddoto potrebbe senz'altro essere vero, anche se è strano che
Rediadis non ne parli nelle sue numerose pubblicazioni sul meccanismo.
È quindi difficile non sos pettare che si tratti del risultato di una moderna
tendenza a mitizzare gli eventi. Comunque sia, una volta a pprodato al
Pireo il 2 agosto, Stais scelse di portare personalmente presso gli uffici
del ministero, come fosse una s poglia preziosa, soltanto la statuetta. A
uno degli archeologi fu invece affidato il com pito di su pervisionare le
o perazioni di scarico e tras porto degli altri re perti, incluso il poco a ppa­
riscente meccanismo.
Stais aveva avuto la fortuna di entrare in carica durante uno dei go­
verni più longevi di questa fase della storia greca. Fu nominato ministro
dell'educazione il 2 7 maggio 1 900 e si dimise con la caduta del governo
IL RELITTO E LA SCOPERTA 15

di Georgios Theotokis il 25 novembre 1 901, in seguito ai violenti "Scon­


tri del Vangelo" ( Gospel Riots), che contestavano la pubblicazione di
una traduzione della Bibbia in greco moderno (Stais, il cui ministero
si occupava anche degli affari ecclesiastici, fu profondamente coinvolto
in questa triste vicenda ). Fu così che assistette all'intera campagna di
recupero di Anticitera, a partire dalle trattative iniziali con Kontos nel
novembre del 1 900 fino al pagamento promesso. Ci si accordò per una
somma di 1 50. 000 dracme (equivalenti a poco meno di 30.000 dollari
americani dell'epoca): alla fine dell'ottobre del 1 90 1 , Kontos ricevette il
pagamento a nome della sua squadra, formata da circa venti uomini.16 I
pescatori si erano guadagnati questa ricompensa grazie alla loro diligen­
za e ai rischi che avevano affrontato con coraggio, andando ben oltre gli
standard della loro professione: entro la fine dei lavori, due di loro erano
rimasti gravemente feriti e un terzo, Georgios Kritikos, era deceduto a
causa degli effetti della malattia da decompressione.
Eppure, nonostante la consapevolezza che i pescatori di Simi aveva­
no fatto tutto quello che potevano per trovare e recuperare i tesori del
relitto, rimaneva la sensazione che valesse la pena ritornare al sito del
naufragio con risorse migliori. Già nella primavera del 1 901 il governo
era entrato in contatto con una compagnia italiana, la Società per la
Promozione dei Recuperi Sottomarini. Tuttavia, le trattative fallirono
nel 1 902-1 903 a causa delle difficoltà sollevate dalla compagnia, che esi­
geva una promessa di compensazione che andava al di là di quanto pre­
visto dalla normativa greca sull'archeologiaY Anche altri abboccamenti
finirono nel nulla. Nel 1 905 il sindaco dell'isola di Spetses, Dimitrios
Leonidas, promosse una campagna di immersioni che coinvolse anche
una sorta di macchinario sommergibile. Però, in seguito a qualche primo
esperimento poco incoraggiante presso il sito del naufragio, gli archeo­
logi se ne andarono frustrati e il governo ritirò il proprio sostegno. In
seguito, Leonidas dichiarò che, dopo la partenza degli archeologi, i suoi
sommozzatori avevano raggiunto il relitto e avevano legato con dei cavi
sette statue di marmo per sollevarle.18 Dopo questo tentativo fallimen­
tare, il sito fu ignorato fino all'arrivo di Jacques Cousteau nel 1953 e ai
suoi scavi più approfonditi, condotti per la televisione nel 1 976. 19
Nel frattempo, fra il 1 900 e il 1901, mentre gli uomini di Kontos
erano ancora all'opera, la comunità archeologica greca aveva iniziato a
interrogarsi sulla natura e sulla datazione del viaggio che si era concluso
con il naufragio di Anticitera . Gavriel Vyzantinos, un eforo (ossia un
sovrintendente) del servizio archeologico del Ministero dell'Educazione,
supervisionò le operazioni di Anticitera a partire dall'inizio del dicembre
16 CAPITOLO l

1 900. Al principio dell'anno successivo pubblicò un celebre articolo sul­


la propria esperienza, il quale fu presto ristampato in traduzione inglese
sulla rivista newyorkese "The Independent" .20 Sulla base di quello che,
all'epoca, non era altro che un ridotto assortimento di reperti riesumati,
Vyzantinos stimò che il relitto dovesse risalire al I secolo a.C. e avanzò
l'ipotesi che il suo carico fosse un bottino di guerra romano proveniente
dall'oriente greco. Luciano di Samosata, un autore del II secolo d.C.,
presentava un candidato appetibile per l'identificazione del relitto: una
nave carica di tesori artistici greci saccheggiati dal generale romano Silla,
che andò perduta in un naufragio nei pressi del Capo Malea intorno alla
metà degli anni 80 a.C. Vyzantinos, tuttavia, ammetteva che collegare il
relitto di Anticitera a questo evento specifico non era altro che pura spe­
culazione. Con l'aumentare delle prove disponibili e grazie soprattutto
al recupero delle ceramiche, i suoi colleghi archeologi presso il servizio
ministeriale finirono per accettare in modo più o meno unanime una
datazione intorno al I secolo a.C., l'epoca della tarda Repubblica roma­
na o del primo Impero. D'altro canto, però, Ioannis Svoronos ( 1 863-
1 922), direttore del Museo Numismatico - nonché nemico dichiarato
e agguerrito di Panagiotis Kavvadias ( 1 850- 1928), il capo del servizio
archeologico del Ministero dell'Educazione - si convinse rapidamente
che le sculture del relitto corrispondevano alle opere che Pausania, un
altro autore del II secolo d.C., dichiarava di aver personalmente visto
ad Argo. Secondo Svoronos, la nave sarebbe risalita al IV secolo d.C.
e avrebbe trasportato le statue provenienti da Argo per decorare la ca­
pitale Costantinopoli, che a quell'epoca era stata appena fondata. Av­
valendosi della stampa in modo efficace, Svoronos pubblicizzò la sua
teoria, che diventava sempre più complessa, finendo senza dubbio per
esasperare gli archeologi.21
Una volta trasportati ad Atene dal sito del naufragio, alcuni reperti
erano stati temporaneamente immagazzinati ed esposti presso il Mini­
stero dell'Educazione, ma a tempo debito tutti gli oggetti vennero con­
segnati al Museo Archeologico Nazionale. Rimaneva l'enorme e difficile
compito di pulire, conservare e, in alcuni casi, ricostruire i reperti.22 Nel­
la maggior parte dei casi il lavoro venne effettuato lontano dall'attenzio­
ne pubblica. L'Efebo, però, fece notizia per molti mesi. Era considerato
come l'opera d'arte più raffinata recuperata dal relitto ed essendo una
statua bronzea di dimensioni naturali rappresentava senz'altro una rari­
tà. Senza poi contare l'enigma relativo all'identità della figura mitologica
rappresentata - sempre ammesso che di una figura mitologica si trattasse
- o all'oggetto che l'Efebo reggeva nella mano destra. Ma le domande
IL RELITIO E LA SCOPERTA 17

più impellenti erano altre: era possibile ritrovare i pezzi mancanti? E chi
era più qualificato per restaurare i frammenti e ricostruire la statua ?
Nella primavera del 1 902 le questioni pratiche erano ormai in via di
risoluzione. In una coppia di fotografie che Kavvadias aveva pubblica­
to l'anno precedente, vediamo la testa, la parte superiore del torso e le
braccia dell'Efebo formare un pezzo unico, mentre le gambe e la parte
inferiore del corpo sono ridotte a una ventina di frammenti, alcuni dei
quali costituiti da pochi centimetri di lastra metallica (figura 1 .5). Il mu­
seo aveva assegnato uno spazio apposito ai frammenti di bronzo non
identificati, in modo che potessero essere passati in rassegna alla ricerca
di altri pezzi mancanti. I lavori di conservazione dèlla statua furono af­
fidati a Othon Rousopoulos ( 1 856-1 922), un famoso chimico che aveva
sviluppato metodi pionieristici per la pulitura del bronzo. 23 Dopo una
ricerca internazionale e lunghe trattative, il distinto curatore (nonché
falsario ! ) francese Alfred André ( 1 839- 1 9 1 9) accettò di recarsi ad Atene
per ricostruire l'Efebo. Arrivò il 6 maggio per compiere una stima inizia­
le del lavoro e quattro giorni dopo rientrò a Parigi, con l'intenzione di
ritornare in autunno per iniziare il restauro.
Nel contesto di questi sviluppi così interessanti per la stampa, è nor­
male che nessuno si sia curato del fatto che Stais - ormai un semplice
parlamentare in rappresentanza della sua isola natale, Citera - avesse
visitato il museo insieme alla moglie e alla cognata il mattino di sabato
1 8 maggio. Nonostante il primo cugino di Stais, Valerios Stais ( 1 857-
1 923), più vecchio di lui di qualche anno, fosse il direttore del museo,

(a) (b)

Figura 1 .5. Frammenti dell'Efebo di bronzo, risalente alla metà del IV secolo
a.C. (Museo Archeologico Nazionale X1 3396), nella forma in cui si presentava­
no prima di essere assemblati (Kavvadias 1 9 0 1 , 206-7).
18 CAPITOLO 1

sembra che né lui né gli altri archeologi risultassero presenti quel gior­
no. Com'è comprensibile, l'ex-ministro era personalmente interessato a
verificare come stessero procedendo i lavori sui reperti di Anticitera. E
così gli venne mostrata la stanza in cui erano conservati i diversi fram­
menti bronzei. Certo, altre persone li avevano già passati in rassegna,
ma erano alla ricerca di frammenti di statua e pertanto non prestavano
alcuna attenzione ai pezzi che non avevano la forma di membra umane
o indumenti. Lo sguardo di Stais fu attirato da un paio di frammen­
ti, che probabilmente erano collocati l'uno accanto all'altro e facevano
evidentemente parte di un unico oggetto, dall'aspetto simile a quello di
una lastra. Uno dei due recava un'iscrizione in caratteri greci, difficili
da decifrare alla luce pomeridiana. L'altro era dotato di un sistema di
ingranaggi interconnessi, visibili sulla sua superficie.
Questa è l'ultima apparizione di Stais nella nostra storia, ma è giusto
che sia lui a ricevere il titolo di " scopritore " di quello che ora chiamiamo
il meccanismo di Anticitera, l'oggetto più sorprendente e storicamente
significativo riesumato durante le operazioni di recupero che Stais pro­
mosse e portò a termine con successo - anzi, il più importante prodotto
della scienza antica che l'archeologia abbia mai portato alla luce. Certo,
Stais non fu il primo a notarlo: tale merito va al pescatore di spugne che
lo estrasse dal fondo marino, all'archeologo che ha menzionato "la la­
stra iscritta " nel telegramma e, forse, anche a Periklis Rediadis, se è vero
che impedì che il reperto fosse nuovamente buttato a mare. Ma sembra
che Stais sia stato il primo a scorgere le componenti meccaniche e, cosa
ancora più importante, fu lui a fare in modo che i frammenti ricevessero
fina lmente l'attenzione degli archeologi.
2

Le indagini

Entusiasmo al museo
Il lunedì successivo alla visita di Spyridon Stais presso il Museo Arche­
ologico Nazionale cominciarono a diffondersi voci sull'accaduto. I gior­
nali del giovedì pubblicarono articoli preceduti da titoli come quello
di "To Asty": "IMPORTANTE SCOPERTA AL MUSEO ARCHEO­
LOGICO NAZIONALE - Scoperta di una lastra di bronzo iscritta - i
reperti di Anticitera ." 1 Chiunque avesse riferito l'accaduto ai giornalisti
aveva aggiunto un commento significativo: l'esame dei caratteri iscritti
avrebbe potuto circoscrivere la datazione del relitto di Anticitera. Que­
sta volta la lastra con le iscrizioni indecifrabili non sarebbe sprofondata
nuovamente nell'oscurità, visto che avrebbe potuto decidere l'esito del
dibattito fra Ioannis Svoronos e gli archeologi.
Si sono conservate numerosissime iscrizioni greche su pietra, dall'epoca
arcaica fino al tardo Impero romano. Superficialmente , hanno più o meno
tutte lo stesso aspetto, indipendentemente dal periodo di produzione: si
tratta di file di lettere, per lo più formate dai 24 caratteri dell'alfabeto
greco standard, dall'aspetto simile alle lettere maiuscole usate nell'editoria
greca moderna e nelle notazioni scientifiche, senza alcuno spazio fra le pa­
role e raramente accompagnate da una qualsiasi forma di punteggiatura.
A un esame più approfondito, tuttavia, si possono osservare numerose
varianti nella forma delle lettere, alcune delle quali riflettono precise evo­
luzioni stilistiche. Per citare alcuni degli esempi più facilmente riconosci­
bili, epsilon e sigma lunati (E invece di E, C invece di L) sono tipici delle
iscrizioni dell'epoca romana (ossia dei secoli dopo Cristo), mentre omega
a forma di W ((J invece di .Q) aveva cominciato a diffondersi non molto
tempo prima. Le iscrizioni che contengono una data, descrivono eventi
databili o sono state trovate in contesti archeologici che ci permettono
di determinare quando furono prodotte costituiscono un quadro di rife­
rimento in base a cui è possibile provare a datare un'iscrizione specifica.
20 CAPITOLO 2

Spesso agli epigrafisti si chiede di circoscrivere il periodo cui risale


una certa iscrizione a partire dalla forma delle lettere. Nelle opere scien­
tifiche meno recenti non è raro trovare datazioni assegnate in base a que­
sto criterio, con un'approssimazione di mezzo secolo o anche meno. Al
giorno d'oggi, però, gli esperti tendono a essere più cauti. In uno stesso
periodo storico, nelle varie aree del mondo greco potevano essere adot­
tati stili epigrafici differenti: gli incisori che operavano in una particolare
regione potevano continuare a usare lettere dalle forme "antiquate" che
in altri luoghi erano state abbandonate da tempo; era inoltre possibile
che singoli incisori rimanessero attivi per decenni e continuassero a usare
gli stili che avevano appreso da giovani; per non parlare dei casi in cui
stili ormai obsoleti venivano riutilizzati con il preciso scopo di ottenere
un effetto antiquario. Per qualsiasi iscrizione di cui si ignori il luogo di
provenienza, si considera ormai prudente approssimare di almeno un
secolo qualsiasi datazione basata esclusivamente sulla forma delle lette­
re.2 Per quanto riguarda i testi preservati dal meccanismo di Anticitera,
il materiale e la tecnica utilizzati sono fuori dal comune: le iscrizioni
greche antiche su lastra bronzea sono rare e di solito le lettere sono pun­
zonate, non incise come nel meccanismo. In quest' ultimo caso, poi, le
lettere sono di dimensioni eccezionalmente ridotte e la superficie è cor­
rosa: altre ragioni per evitare di proporre con troppa sicurezza datazioni
precise basate sul confronto con le iscrizioni su pietra.
Subito dopo la scoperta dei frammenti del meccanismo da parte di
Spyridon Stais, si decise di invitare Adolf Wilhelm ( 1 864-1 950), l'allo­
ra segretario (ossia direttore) dell'Istituto Austriaco di Archeologia ad
Atene, nonché uno dei più grandi epigrafisti dell'epoca, per vedere cosa
sarebbe riuscito a ricavare dalle lettere incise.3 Nel frattempo alcuni ar­
cheologi, fra cui Gavriel Vyzantinos, passarono gran parte della giornata
di martedì a osservare i frammenti: sulla base degli indizi forniti dai reso­
conti giornalistici possiamo ormai identificarli con quelli che sarebbero
stati successivamente denominati frammenti A, B e C.4 Sul frammento
A, che si distingue per l'evidente presenza di ingranaggi, gli archeologi
riuscirono a individuare una piccola area coperta da iscrizioni visibili,
di cui pensarono di essere riusciti a leggere sette lettere. In realtà, ne
decifrarono correttamente soltanto quattro. Il frammento B presentava
una più ampia estensione di testo: curiosamente, però, gli studiosi si
trovarono di fronte all'immagine speculare di una normale iscrizione in
greco, come se stessero osservando il retro di una lastra sottile e incisa in
profondità (in realtà, si trattava di uno strato di materiale estraneo che
aveva conservato il calco di una lastra ormai scomparsa ). Con questo
LE INDAGINI 21

frammento ottennero risultati leggermente migliori: riuscirono a legge­


re tredici lettere, nove delle quali furono identificate correttamente. Fra
queste, figurava anche una porzione riconoscibile di un termine greco
antico. Certo, l'esito di questa giornata di lavoro non deve essere sem­
brato particolarmente incoraggiante. D'altro canto, gli studiosi coinvolti
erano tutti esperti di manufatti, non di testi, e si poteva sperare in qual­
cosa di meglio per il giorno seguente.
Mercoledì, quando Wilhelm arrivò al museo, era presente anche Svo­
ronos.5 Il reporter del giornale "Neon Asty" traccia un vivace quadro
della scena: l'epigrafista seduto gomito a gomito con il numismatico
dalle dieci del mattino fino a mezzogiorno e poi ancora per gran parte
del pomeriggio; i due che si passano continuamente una grande lente
mentre osservano il calco speculare sul frammento B e, di tanto in tanto,
richiedono e sfogliano grandi volumi con riproduzioni di iscrizioni data­
te risalenti a epoche diverse. Alla fine della giornata Wilhelm, incalzato
dai giornalisti, affermò cautamente che era ancora presto per proporre
una datazione certa, ma che le iscrizioni sembravano appartenere a un
periodo compreso fra il II e il I secolo a.C. Wilhelm rivelò anche che era
possibile leggere una frase che significava "raggio di sole" : a suo parere,
i frammenti osservati avrebbero potuto essere i resti di uno strumen­
to nautico per le osservazioni astronomiche. Dal canto suo, Svoronos
aveva preparato una dichiarazione completa per la stampa, con tanto
di trascrizione parziale di sette linee di testo: 4 7 lettere in totale, solo
una delle quali era corretta. Pur citando rispettosamente l'opinione di
Wilhelm, secondo cui la forma delle lettere era tipica del periodo elleni­
stico, Svoronos dichiarò che la presenza di grazie alle estremità dei tratti
delle lettere suggeriva una datazione molto più recente, che avrebbe po­
tuto spingersi fino al III secolo d.C. Una così audace intrusione nell'a­
rea di specializzazione di Wilhelm era decisamente infondata, visto che
esistono moltissime iscrizioni di epoca ellenistica con lettere dotate di
grazie. Svoronos però era profondamente convinto della propria teoria
sul viaggio e non poteva quindi accettare una datazione in base a cui il
meccanismo sarebbe stato più antico di almeno quattro secoli rispetto
alla nave che lo trasportava.
La dichiarazione di Svoronos è di grande interesse in quanto rappre­
senta il primo tentativo di spiegare la funzione del meccanismo basandosi
sia sul suo aspetto sia sulle iscrizioni. Svoronos esordisce dichiarando di
essere convinto che il meccanismo appartenesse all'ampia categoria degli
astrolabi o meridiane usati dagli antichi astronomi per le loro ricerche e
dai marinai per determinare le rotte in base alla posizione del sole e delle
22 CAPITOLO 2

stelle. A giudicare da queste affermazioni, sembra che pensasse a uno


strumento di osservazione, a un antico precursore del bastone di Giacob­
be, dell'astrolabio marino o del sestante. Il seguito della sua dichiarazione
però non prosegue sulla stessa linea. Anzi, Svoronos si concentra sui resti
di un sistema di anelli concentrici visibili sul frammento B, suggerendo
che fossero in grado di ruotare: gli ingranaggi avrebbero avuto lo scopo
di far muovere gli anelli in modo che riproducessero il movimento dei
corpi celesti. Per farla breve, si sarebbe trattato di un planetario, anche
se Svoronos non usa questo termine. Un elemento chiave di questa teo­
ria era la decifrazione, sull'iscrizione, di parte della parola "Afrodite ", il
nome greco del pianeta Venere. Quanto alla struttura del congegno, se­
condo Svoronos in origine esso era incassato in una scatola rettangolare,
piatta e dotata di cardini, dalla forma simile a quella di un dittico o di un
set da backgammon. Una volta aperta, su una delle due facce si poteva
vedere il meccanismo vero e proprio, mentre sull'altra c'era una lastra di
metallo su cui erano incise istruzioni dettagliate relative al suo funzio­
namento. Tuttavia, prosegue Svoronos, gli archeologi avrebbero dovuto
fare appello alle competenze degli esperti di astronomia, fisica e scienze
nautiche, astenendosi da qualsiasi tentativo di pulire i delicati frammenti
con metodi chimici almeno fino a quando non fossero stati studiati più
da vicino. Le sue parole conclusive vanno dritte al punto: "Siamo in pos­
sesso di un tesoro prezioso, destinato ad attirare l'interesse di cerchie di
esperti molto più ampie rispetto a quella dei soli archeologi. "6
Il giorno seguente, Konstantinos Rados ( 1 8 62-193 1 ), che insegnava
presso la Scuola Navale Reale ed era un esperto di archeologia e sto­
ria navale, fece la sua comparsa in compagnia di Wilhelm e del diret­
tore del Museo Archeologico Nazionale, Valerios Stais.7 Rados arrivò
rapidamente alla conclusione che, pur essendo impossibile determinare
con certezza la natura dell'oggetto (se non fosse stato per l'iscrizione; si
sarebbe potuto ipotizzare che appartenesse a un relitto moderno e che
fosse finito accidentalmente fra i resti di quello antico), di sicuro non si
trattava di un astrolabio, secondo quanto aveva sentito dire da Svoro­
nos. Per puro caso, nel cortile del museo il gruppo incappò proprio in
Svoronos e Periklis Rediadis: Rados non esitò a fermare Svoronos e a
esporgli tutti i punti deboli della sua teoria. L'episodio si concluse con
una guerra di dichiarazioni sui giornali. Qualche giorno dopo, Rados
pronunciò un discorso alla Società Archeologica di Atene in cui dichiarò
di aver incontrato Svoronos e di avergli personalmente dimostrato l'ine­
sattezza delle sue teorie. Svoronos reagì inviando una furiosa lettera di
smentita a "To Asty''.
LE INDAGINI 23

Le tappe successive contribuirono a calmare gli animi. 8 I frammenti


furono fotografati e poi riposti in una teca di vetro in attesa che Othon
Rousopoulos, il quale al momento era sommerso dagli impegni, potes­
se iniziare a pulirli e restaurarli. Il ministro dell'educazione (Antonios
Momferratos) annunciò di voler commissionare a un gruppo di esperti
la stesura di un rapporto sui metodi da adottare per la conservazione e lo
studio del meccanismo.'} Non è chiaro se questa iniziativa abbia condot­
to a qualche risultato: in ogni caso, sembra che i frammenti siano stati
lasciati in relativa pace nella loro teca per quasi tre anni.

Un astrolabio?
In linea generale, la storia moderna del meccanismo di Anticitera si può
dividere in due fasi. Dal 1 902 agli anni '60 del Novecento, l'unico modo
per studiarne i resti consisteva nell'osservarli direttamente o in foto. Il pe­
riodo seguente, dal 1 970 all'inizio del XXI secolo, è stato caratterizzato
dallo sviluppo di tecnologie che permettevano di guardare dentro o attra­
verso i frammenti. Da quel momento in poi, ogni contributo sostanziale
alla completezza e alla precisione della nostra conoscenza dei frammenti
è stato accompagnato - ed è spesso scaturito - dall'interazione fra le in­
novazioni tecnologiche e una serie di ricercatori dotati di talenti, compe­
tenze e modi di pensare diversi. Nella fase precedente, invece, i progressi
più significativi non derivarono da nuovi modi di osservare gli oggetti,
ma da una serie di cambiamenti subiti dagli oggetti stessi. Fra il 1 905
e il 1 953 il lavoro di abili restauratori, nonché alcuni danni accidentali
verificatisi proprio in questo lasso di tempo, portarono alla luce elementi
prima invisibili perché nascosti dietro ad altre componenti dei frammenti
o sotto strati di concrezione. Com'era inevitabile, alcune informazioni
andarono perse e le vecchie fotografie e descrizioni ci possono aiutare
solo fino a un certo punto nella ricostruzione delle condizioni originarie
dei frammenti - anche se ci piacerebbe moltissimo trovare altre testimo­
nianze provenienti dal passato! Con il senno di poi, potremmo rammari­
carci che la richiesta di Svoronos non sia stata ascoltata, che i frammenti
non siano stati lasciati nelle condizioni in cui erano stati trovati o che non
siano stati sottoposti soltanto agli interventi di restauro necessari per pro­
teggerli da ulteriore degradazione. D'altro canto, però, se una parte del
materiale non fosse stato distrutto nelle fasi iniziali, gli studiosi di epoche
più recenti non avrebbero avuto informazioni sufficienti per decidere di
sottoporre il meccanismo a metodi di imaging sofisticati e non distruttivi
che non erano generalmente applicati agli oggetti antichi.
24 CAPITOLO 2

Se si eccettuano gli scarsi dettagli che si possono trarre dai resoconti


giornalistici del maggio 1902, le prime descrizioni del meccanismo lo
presentano nello stato in cui era quando fu estratto dal mare, con i fram­
menti ancora coperti da uno strato di concrezione. Il numero del 1 902
della "Archeologiki Efimeris", il giornale ufficiale della Società Archeo­
logica di Atene, conteneva un articolo di 25 pagine, non firmato, dedica­
to a "Le scoperte del relitto di Anticitera " e scaturito dalla collaborazio­
ne di numerosi archeologi del ministero. 10 Si tratta di un elenco piuttosto
arido dei più importanti reperti recuperati. Nonostante l'assenza di qual­
siasi discussione relativa alla datazione o alla natura del relitto, vengono
proposti intervalli di datazione per numerosi oggetti, i quali, se conside­
rati globalmente, sembrano suggerire che la nave risalisse agli ultimi due
secoli a.C. o al I secolo d.C. Il meccanismo compare quasi alla fine: gli
viene concesso soltanto un paragrafo, corredato da una fotografia del
frammento B recante il calco speculare dell'iscrizione originaria. Venia­
mo informati che il meccanismo è dotato di ingranaggi e di un' iscrizione
che, pur essendo ancora di difficile interpretazione, sembra suggerire che
l'oggetto fosse in qualche modo legato all'astronomia. E questo è tutto,
se si esclude l'osservazione che la forma delle lettere dell'iscrizione può
difficilmente risalire a dopo la metà del I secolo d.C.
L'impressione che l'articolo sia stato redatto in tutta fretta è confer­
mata da una breve nota conclusiva: il comitato editoriale del giornale
- ovverosia gli archeologi diretti da Panagiotis Kavvadias - considerava
"altamente necessario" pubblicare il prima possibile un numero che con­
tenesse immagini e rapide descrizioni degli oggetti recuperati dal mare.
Perché tutta questa urgenza ? A quanto sembra, gli archeologi di Kav­
vadias erano venuti a sapere che Svoronos era sul punto di pubblicare
una monografia sullo stesso argomento e si erano sentiti in dovere di
pubblicare qualcosa prima che ciò avvenisse.
Il tesoro di Anticitera di Svoronos uscì nel 1 903 sia in greco sia in
tedesco, assicurandosi così un pubblico di scala mondiale. 1 1 Dotata di
descrizioni di ogni singolo oggetto e di un volume separato con le rela­
tive immagini, l'opera si presenta come un catalogo ufficiale, anche se
è difficile credere che il museo e il servizio archeologico del Ministero
abbiano dato il proprio benestare a un simile strumento di diffusione
delle più tendenziose teorie di Svoronos a proposito del relitto. Eppure,
nonostante i suoi numerosi difetti, il volume può essere senz'altro consi­
derato come la migliore fra le prime pubblicazioni sul relitto: si tratta di
un'opera dettagliata e istruttiva, ben documentata, generalmente precisa
sui fatti e molto piacevole da leggere.
LE INDAGINI 25

Il capitolo dedicato al meccanismo, che costituisce il primo, signifi­


cativo resoconto sull'oggetto pubblicato in una lingua diversa dal greco,
è opera di Rediadis (figura 2. 1 , a sinistra) Y Fin da quei primi esaltanti
giorni che avevano seguito la scoperta dei frammenti nel museo, Svoro­
nos aveva stretto con Rediadis un'alleanza informate: Svoronos si sareb­
be assunto la responsabilità di decifrare e datare le iscrizioni, mentre a
Rediadis sarebbero toccate la descrizione tecnica e l'interpretazione dei
frammenti. Questo spiega perché non si è più sentito parlare di una delle
prime ipotesi di Svoronos, secondo cui il sistema di ingranaggi avrebbe
azionato un planetario.
A quel punto erano stati identificati quattro frammenti, che nel libro
di Svoronos furono contrassegnati tramite lettere dell'alfabeto latino,
dalla A alla D, una denominazione tuttora in uso (figura 2.2). Le de­
scrizioni dell'aspetto dei frammenti realizzate da Rediadis sono molto
più dettagliate di tutte quelle che erano state pubblicate fino a quel mo­
mento; a dire il vero, rimarranno insuperate fino al 1974, anno della
pubblicazione di Gears from the Greeks di Derek de Solla Price. Nono­
stante questo, ci appaiono stranamente deludenti. Rediadis fu in grado
di notare dettagli minuti, come ad esempio una piccola tacca su uno
degli ingranaggi del frammento A: un secolo dopo si sarebbe scoperto
che si trattava di un elemento chiave di una delle funzioni più sofisticate

(b)

Figura 2.1. Due dei primi studiosi del meccanismo: (a sinistra) l'ufficiale della
marina Periklis Rediadis e (a destra) il filologo Albert Rehm, presso il sito de­
gli scavi di Mileto (sinistra, Modern Greek Visual Prosopography l National
Hellenic Research Foundation; destra, Antikensammlung, Staatliche Museen zu
Berlin Preussischer Kulturbesitz, Neg.PM 171 ).
N
0'\
- B --------.. C -�
�..··��-l .- ....----


- .
'

'......
:N�·-""·-
'·.:_.,;; , \..:ì.
..

!'l'l,.
. 'i . ....,ì-� /·
�.• ·;. .

-� . · r'
'

..

"

n
>
A-· --� 2 "'
;:j
' il' o

-....l
,!..._."_� "}lo. l"'
....... ', ....""".... o
N
(-- �
.
.
"' . ....
-
,.
--
' ��
,
t -r#i
� ...... .

� �, :� ' ·
_ ·""' �:[
! ; l
IF r ;� l '!T

Figura 2.2. Fotografie dei frammenti A-D prima del restauro (Svoronos 1 903a, tavola X).
LE INDAGINI 27

del meccanismo (p. 267). Eppure, Rediadis fornisce poche misurazioni e


non fa alcun tentativo di stimare il numero di denti presenti sugli ingra­
naggi visibili, tutte informazioni essenziali per poter intraprendere una
seria riflessione sul funzionamento del congegno. Con una sola eccezio­
ne, le fotografie corrispondono alla metà delle dimensioni reali, il che
non è di grande aiuto, visto che i frammenti sono di per sé molto piccoli
e che la qualità della riproduzione è scadente.
Rediadis potrebbe essere stato il primo a intuire che, per ricostruire
l'aspetto originario del meccanismo, bisognava capire come i frammenti
restanti si incastrassero fra loro. Sfortunatamente, però, le sue conclu­
sioni si basavano sull'errata convinzione che le porzioni di testo visibili
sui frammenti A, B e C appartenessero a un'unica lastra iscritta; invece,
come ormai sappiamo, facevano parte di tre lastre distinte. E così, Re­
diadis finì per proporre una ricostruzione completamente sbagliata.
La sua identificazione del meccanismo con un astrolabio fu ripresa
dalla maggior parte degli studi pubblicati fino al 1958. Nell'antichità, il
termine greco astrolabos, traduci bile come "colui che prende le stelle ",
era un'espressione generale che designava qualsiasi oggetto concepito
per osservare e misurare la posizione di un corpo celeste. Quando af­
fermò che il meccanismo era un astrolabio, Rediadis aveva in mente un
genere di strumento ben preciso, noto con questo nome a partire dal 400
d.C. circa e considerato come il più importante strumento astronomi­
co del Medioevo (figura 2.3 ).13 Questo astrolabio medievale, chiamato
anche "astrolabio piano", aveva la forma di un disco piatto e circolare
provvisto di elementi accessori. Una delle due facce era uno strumento
di osservazione (da qui il nome di astrolabio), mentre l'altra era un cal­
colatore, costituito da una sorta di mappa del cielo dell'osservatore, che
poteva essere modificata in modo da riprodurre la posizione del sole e
delle stelle in un giorno e un'ora specifici.
Prima dell'invenzione del telescopio, per gli astronomi non era pos­
sibile determinare la distanza di un corpo celeste, ma soltanto la sua
direzione. Era perciò conveniente raffigurare il cielo come un enorme
guscio sferico, con la terra al centro. Si immaginava che, sia durante il
giorno che durante la notte, il sole e le stelle tracciassero su questa "sfera
celeste" delle traiettorie circolari, le quali erano tutte parallele e avevano
come centro un punto preciso del cielo settentrionale, ossia il Polo nord
celeste (ovviamente, tutto ciò si basa sul presupposto che l'osservatore si
trovi da qualche parte nell'emisfero settentrionale). Sulla più ampia scala
temporale dei mesi e degli anni, si immaginava che il sole percorresse
un cammino circolare rispetto alla posizione delle stelle: si tratta del-
28 CAPITOLO 2

Figura 2.3. Astrolabio realizzato da Muhammad b. Abi Bakr ad Isfahan,


1 221/1222 d.C., Museum of the History of Science, Oxford, inv. 48213. Questo
astrolabio, di cui Rediadis ignorava l'esistenza, è eccezionale perché nasconde un
meccanismo a ingranaggi capace di mostrare semplici cicli cronologici sull'altra
faccia dello strumento; si veda anche la figura 9.4 (Museum of the History of
Science, University of Oxford).

l' "eclittica", che passa per il centro della cintura zodiacale ed è inclinata
rispetto all'asse delle orbite dei moti quotidiani (p. 1 32). L'astrolabio
si basa su una trasformazione matematica chiamata "proiezione stere­
ografica": la sfera celeste viene rappresentata su una superficie piana in
modo tale che a ogni cerchio della sfera corrisponda un cerchio sulla
mappa. Tutti i cerchi che hanno come centro il Polo nord verranno quin­
di raffigurati come cerchi concentrici. Sul centro del disco è imperniata la
"rete ", un reticolo di sottili bande di metallo che rappresentano le stelle
e il cerchio dell'eclittica. Facendo ruotare la rete, è possibile mostrare la
posizione del sole e delle stelle nel cielo dell'osservatore in un giorno e
un'ora qualsiasi. In tal modo si possono anche determinare valori quali
LE INDAGINI 29

l'intervallo di tempo che intercorre fra il sorgere e il tramontare del sole


senza dover effettuare complicati calcoli.
Le origini dell'astrolabio piano sono oscure. La proiezione stereografi­
ca era già in uso nel I secolo a.C. per la progettazione dei quadranti degli
orologi meccanici ad acqua. I primi accenni all'esistenza di astrolabi piani
risalgono alla fine del IV secolo d.C. Il più antico manuale superstite che
ne descriva uno è opera di Giovanni Filopono, un filosofo cristiano del VI
secolo. Nessun astrolabio antico si è conservato fino a noi; i più antichi
esemplari sono di origine islamica e risalgono al IX secolo.
Quali furono le considerazioni che spinsero Rediadis a identificare
il meccanismo con un astrolabio? A suo dire, il fatto che il dispositivo
sia stato ritrovato a bordo di una nave fa pensare che si trattasse di uno
strumento di navigazione. Rediadis conosceva un testo antico in cui si
menziona una sorta di meccanismo usato a questo scopo: si trattava
di una specie di odometro marino azionato da remi, descritto da Vi­
truvio. Tuttavia, continua Rediadis, questa possibilità va esclusa perché
il meccanismo è troppo piccolo per avere una funzione simile. D'altro
canto, la menzione di Venere e dei raggi del sole nell'iscrizione collega lo
strumento all'astronomia. Perciò, conclude Rediadis, il dispositivo do­
veva servire per determinare la posizione e l'orientamento di una nave
a partire dall'osservazione dell'altezza del sole e degli altri corpi celesti.
A quanto ne sapeva Rediadis, l'astrolabio era l'unico strumento
astronomico dell'antichità dotato di una complessità pari a quella osser­
vabile nei frammenti del meccanismo. Per consolidare la propria ipotesi,
Rediadis compilò una lista di paralleli verbali fra i frammenti di testo
che Svoronos e Wilhelm erano riusciti a leggere sul frammento B e il
manuale di Filopono sull'uso dell'astrolabio. La maggior parte di questi
paralleli, tuttavia, è piuttosto triviale. L'esempio più interessante è una
sequenza di caratteri che avrebbe potuto corrispondere alle lettere cen­
trali di moirognomonion, un termine greco che compare nel manuale di
Filopono e si riferisce alla lancetta di un quadrante graduato. Ma anche
se si accettasse tale ricostruzione, questa coincidenza lessicale si dimo­
strerebbe meno rilevante di quanto creduto da Rediadis, dal momento
che il termine moirognomonion è usato da altri autori antichi, fra cui
Erone e Pappo, per designare i puntatori rotanti di strumenti diversi.
E che dire degli ingranaggi? Rediadis si rese conto che gli astrolabi
come quello descritto da Filopono o quelli che ci sono stati tramandati
dal Medioevo non ne erano provvisti (a dire la verità, esiste un piccolo
numero di astrolabi medievali dotati di ingranaggi, ma Rediadis non
ne era a conoscenza; per un esempio, p. 248 e le figure 2.3 e 9.4). D' al-
30 CAPITOLO 2

tra canto, sui frammenti del meccanismo non sembrava esserci alcuna
traccia visibile di proiezione stereografica. Perciò Rediadis suggerì che
gli ingranaggi del meccanismo avessero la stessa funzione della mappa­
tura stereografica degli astrolabi convenzionali: essi avrebbero trasfor­
mato in modo meccanico l'altezza osservata del sole o di una stella in
angoli rappresentati da una serie di lancette, che fornivano le informa­
zioni spaziali e temporali di cui gli antichi navigatori avevano bisogno.
Fra l'altro, Rediadis non cercò di spiegare come un sistema di ingra­
naggi potesse concretamente convertire un angolo di altitudine nell'ora
del giorno. Più in generale, è davvero sorprendente quanto poco la sua
interpretazione della funzione del meccanismo si fondi sulle sue minuzia­
se osservazioni dei frammenti e sul suo fallimentare tentativo di ricom­
porli. Il suo contributo non consiste nell'aver creduto che il meccanismo
fosse una controparte meccanica dell'astrolabio - un'interpretazione ri­
velatasi erronea - quanto piuttosto nell'idea generale che gli ingranaggi
formassero un dispositivo capace di elaborare dati quantitativi tramite
componenti mobili: insomma, si sarebbe trattato di un vero e proprio
computer analogico.

Un planetario?
Tre anni dopo la pubblicazione del libro di Svoronos, Georg Karo
( 1 8 72- 1963), il segretario della sede ateniese dell'Istituto tedesco di ar­
cheologia, tenne una conferenza sui "Ritrovamenti di Anticitera ". In
quell'occasione, annunciò che un giovane classicista di Monaco, Albert
Rehm, aveva elaborato una nuova interpretazione del meccanismo.14
Fino a quel momento, il meccanismo era stato studiato da esperti di
resti materiali antichi (vari archeologi, un numismatico, un epigrafista )
e da autorità nel campo della storia navale. Rehm ( 1 8 7 1 - 1 949; figura
2 . 1 , a destra), invece, era un filologo, un esperto di testi greci e latini. Si
era convinto che, per potersi definire completo, uno studioso dell'anti­
chità dovesse avere familiarità sia con i testi tramandati dalla tradizione
manoscritta medievale, sia con i resti materiali scoperti dall'archeolo­
gia moderna. Per questa ragione, partecipò per molti anni, in qualità di
epigrafista, agli scavi tedeschi presso Mileto, in Asia Minore, e in altri
siti. Sembra anche che nutrisse un particolare interesse per l'astronomia
antica: fu affascinato dal capitolo di Rediadis sul meccanismo, da cui
pensava ci fosse molto da imparare. Siccome Atene era sulla strada da
Monaco a Mileto, nel settembre del 1 905 Rehm colse l'occasione per
ispezionare i frammenti mentre era di passaggio. 15
LE INDAGINI 31

A dire il vero, non si trattava proprio degli stessi frammenti che Re­
diadis aveva descritto. A quanto pare, all'inizio del 1 905, Rousopoulos
era riuscito a smaltire la maggior parte del lavoro di restauro che si era
accumulato al Museo Archeologico Nazionale ed era pronto a iniziare i
lavori di pulizia del meccanismo, un compito che egli stesso descrisse come
"un'operazione delicata" che implicava "rischi e difficoltà" .16 Rousopoulos
si rese conto di non poter trattare i frammenti con gli stessi processi chimici
o elettrochimici utilizzati per le statue di bronzo provenienti dal relitto: i
frammenti erano formati da strati di lastre così sottili che, dopo due millen­
ni di corrosione, quasi non c'era superficie metallica che fosse libera da con­
crezioni. Rousopoulos decise di applicare con cautela un detergente a base
di cianuro di potassio a qualsiasi superficie gli sembrasse necessario pulire.
Questo trattamento era seguito dall'applicazione di uno strato di smalto.
Nel frattempo, un tecnico del museo asportava con cura gli strati di
lastra metallica o di concrezione che si erano attaccati alla superficie dei

Figura 2.4. Frammento 1 9 , che conserva una parte della lastra "del coperchio
posteriore". Quando la fotografia fu scattata, ossia poco dopo la separazione
del frammento 1 9 dal frammento A, questa era la sezione meglio leggibile delle
iscrizioni del meccanismo (Stais 1 905, 2 1 ) .
32 CAPITOLO 2

frammenti. E così, oltre ai quattro frammenti A-D "originari", apparsi nel


volume pubblicato da Svoronos nel 1 903, adesso c'era un certo numero
di pezzi più piccoli, che presentavano delle iscrizioni oppure i loro cal­
chi speculari. Valerios Stais pubblicò una fotografia di uno dei frammenti
meglio leggibili (ora noto come frammento 1 9, figura 2.4): l'immagine
mostrava chiaramente la forma delle lettere usate nelle iscrizioni del mec­
canismo, che era tipica della fine dell'età ellenistica, e perciò confermava
che la datazione proposta da Svoronos era troppo tarda, con un errore di
diversi secoliYStais pensava che Rediadis avesse più o meno risolto l'enig­
ma della natura del meccanismo e non sapeva che il testo sul frammento
19 conteneva indizi che puntavano in una direzione decisamente diversa.
Poiché aveva solo poche ore a disposizione per osservare i tre fram­
menti principali, Rehm decise di concentrarsi sul frammento C, che fino
ad allora aveva ricevuto scarsa attenzione. Su una delle due facce compa­
riva uno strano elemento cilindrico e piatto, simile al coperchio rovesciato
di un barattolo. Secondo Rediadis, sull'altra faccia c'erano delle tracce
illeggibili di un'iscrizione, che però non erano visibili nella fotografia pub­
blicata. Quando Rehm vide il frammento C, questa seconda faccia era
completamente trasformata. Una lastra iscritta, che si era fusa con il resto
del frammento e che era stata a propria volta quasi interamente coperta
da uno strato di concrezione, era stata rimossa con cura in più parti (in
seguito, la maggior parte di esse sarebbe stata assemblata a formare quello
che ora chiamiamo frammento G). La superficie così esposta consisteva
in una seconda lastra iscritta; dietro alla sua estremità superiore spuntava
un'altra lastra su cui era inciso un quadrante Circolare graduato.
Essendo stata protetta fino a quel momento, la nuova iscrizione era
ben conservata e si potevano quindi leggere intere linee di testo: una
bella differenza rispetto ai risultati avvilenti fino ad allora ricavati dai
frammenti A e B. Ma la fortuna di Rehm non si fermò qui. Il testo si rive­
lò essere un particolare tipo di documento astronomico chiamato para­
pegma. Proprio l'anno precedente, Rehm aveva collaborato alla stesura
di un articolo dedicato a diversi frammenti di parapegmi incisi su pietra
che erano stati trovati negli scavi di Mileto.18 Per questa ragione, Rehm
sapeva che questo genere di documento, in cui si registravano le date di
comparsa e scomparsa delle varie costellazioni, non solo era legato ad
antichi metodi di previsione meteorologica, ma era anche connesso al
moto annuale del sole attraverso lo zodiaco.
Solo una piccola sezione del quadrante era visibile, ma Rehm riuscì
a leggere un unico termine greco, Pachon, in cui riconobbe il nome di
un mese del calendario egizio. Quest'ultimo presentava una particolarità
LE INDAGINI 33

rispetto agli altri calendari antichi: i mesi non avevano nulla a che fare
con le fasi della luna, ma avevano tutti una durata di 30 giorni. L'anno
egizio si concludeva con cinque giorni che non appartenevano a nessun
mese. Perciò, un anno intero durava 365 giorni, ossia circa un quarto di
giorno in meno rispetto al tempo impiegato dal sole per compiere il giro
dello zodiaco (p. 87). Quando l'Egitto divenne una provincia romana
nel 30 a.C. le regole del calendario vennero rapidamente cambiate. Con­
formemente alla recente riforma del calendario romano introdotta da
Giulio Cesare, si aggiunse un giorno supplementare ogni quattro anni.
Rehm dedusse che un anello su cui erano iscritti i mesi e i giorni del
calendario egizio nella sua versione riformata avrebbe indirettamente
consentito di seguire il movimento del sole attraverso lo zodiaco. Di con­
seguenza, il meccanismo doveva essere dotato di un puntatore rotante,
azionato dagli ingranaggi, che rappresentava il movimento del sole. Ma
c'erano altri indizi che suggerivano che il meccanismo avesse qualcosa
a che fare con la luna e i pianeti. Fin dal principio, si era stabilito che
sull'iscrizione del frammento B si potevano leggere le prime Lettere del
nome greco del pianeta Venere, Afrodite. Sull'iscrizione del frammen­
to 1 9 pubblicato poco prima da Stais, Rehm identificò due numeri che
presentavano uno stretto legame con la luna e i calendari lunari. Non
sapendo di essere stato preceduto da Svoronos, anche se di poco, Rehm
ipotizzò che gli anelli concentrici sul frammento B rappresentassero le
orbite del sole, della luna e dei pianeti intorno alla terra e che un sistema
di ingranaggi azionato da una manovella facesse ruotare ogni anello a
una velocità proporzionale al periodo di rivoluzione di ciascun corpo
celeste intorno allo zodiaco. In quello che ci resta della letteratura greca
e latina antica, non è attestata nessuna descrizione tecnica di un simile
dispositivo. Rehm fu però in grado di individuare, nelle opere dello sta­
tista e filosofo romano Cicerone, una serie di passaggi che attribuiscono
la realizzazione di planetari meccanici ad Archimede e al filosofo stoico
Posidonio, un contemporaneo leggermente più anziano dello stesso Ci­
cerone (pp. 158 e 220). Convinto che l'anello con il calendario rappre­
sentasse la versione riformata del calendario egizio, Rehm ipotizzò che
il meccanismo fosse stato prodotto poco dopo il 3 0 a.C., circa mezzo
secolo più tardi rispetto al planetario di Posidonio.
Rehm mise per iscritto le proprie osservazioni e idee sul meccanismo
in due occasioni diverse: la prima volta, in un capitolo di un libro sulla
meteorologia antica che presentò senza successo a un concorso letterario
e che non venne mai pubblicato; la seconda volta, dopo un altro viaggio
ad Atene nel 1 906, sotto forma di un articolo manoscritto indipenden-
34 CAPITOLO 2

te, che Rehm stesso definì "Lezione ateniese " . Si trattava proprio della
lezione che Georg Karo aveva tenuto a nome di Rehm nel dicembre del
1 906.19 Gli intellettuali greci che si erano interessati al meccanismo era­
no dunque a conoscenza degli elementi essenziali della teoria del plane­
tario di Rehm, la quale convinse Rados, ma fu contestata da Rediadis.20
Rehm però non pubblicò mai le proprie ricerche, nonostante fosse stato
ripetutamente incoraggiato a farlo da Karo e da altri colleghi. Dopo il
1 906, anno in cui divenne professore presso l'Università di Monaco, fu
sempre più occupato dall'insegnamento e dall'amministrazione univer­
sitaria. Da un punto di vista scientifico, il suo principale obiettivo era
la pubblicazione delle iscrizioni provenienti dagli scavi di Mileto. Pro­
babilmente, Rehm era anche consapevole che sarebbero stati necessari
esami più approfonditi dei frammenti, migliori misurazioni e migliori
fotografie per poter giungere a un'interpretazione del meccanismo che
fosse davvero risolutiva.
Il primo a intraprendere una simile ricerca fu loannis Theofanidis
( 1 8 77- 1 939), un ufficiale della marina la cui carriera si era svolta pa­
rallelamente a quella di Rediadis (entro la metà degli anni '20 avevano
entrambi ottenuto il grado di contrammiraglio) .21 I due si conosceva­
no bene, anche se non è chiaro quanto questa relazione abbia influito
sull'interesse di Theofanidis per il meccanismo . Dopo il 19 1 0, infatti,
Rediadis non scrisse più nulla sull'argomento, mentre il primo lavoro
di Theofanidis sul tema risale alla fine degli anni '20. Fu pubblicato in
uno strano contesto, un articolo sui viaggi di San Paolo che Theofanidis
scrisse per la Grande Enciclopedia Navale e Militare, un'opera di rife­
rimento in sei volumi uscita fra il 1 929 e il 1930.22 Theofanidis usò il
tema assegnatogli come pretesto per lanciarsi in un'ampia discussione
delle tecniche di navigazione antiche: come la maggior parte degli stu­
diosi precedenti, era convinto che il meccanismo fosse uno strumento di
navrgazwne.
Entro il 1 934, grazie all'osservazione dei frammenti e a una buona
dose di immaginazione, Theofanidis giunse a ela borare una teoria molto
specifica sul funzionamento del meccanismo. Non si limitò a esporre le
proprie idee in un breve articolo, ma le mise anche in pratica costruendo
un modello funzionante, che si conserva ancora oggi, anche se parzial­
mente smontato.23 Secondo la sua ricostruzione, il meccanismo era un
planetario che mostrava le posizioni del sole, della luna e di quattro dei
cinque pianeti noti ai Greci. È però molto difficile capire nel dettaglio il
suo funzionamento basandosi solo sull'articolo di Theofanidis, i cui dia­
grammi sono quasi completamente impenetra bili. Fra le sue idee, c'era
LE INDAGINI 35

anche l'errata convinzione che i quadranti del meccanismo si avvalessero


della proiezione stereografica per permettere all'utente di leggere le posi­
zioni dei pianeti sia rispetto all'eclittica sia rispetto all'equatore celeste:
così, si stabiliva un legame indiretto con le precedenti teorie che avevano
identificato il meccanismo con un astrolabio. D'altro canto, però, ipotiz­
zando la presenza di sistemi di ingranaggi che innescavano i movimenti
di Marte, Giove e Saturno, Theofanidis anticipò alcuni aspetti delle ri­
costruzioni degli ingranaggi planetari presentate a partire dal 2001 . Pur
essendo stato pubblicato in francese per essere accessibile agli studiosi
stranieri, il breve articolo di Theofanidis ebbe uno scarso impatto. Sa­
rebbero dovuti passare più di vent'anni prima che il meccanismo diven­
tasse nuovamente oggetto di ricerche originali. Nel frattempo, quasi tutti
coloro che erano stati direttamente coinvolti nello studio del meccani­
smo erano morti: la scena era libera per un nuovo inizio.

Un computer?
Derek de Solla Price ( 1 922-1 983) era un giovane fisico inglese, specializ­
zatosi nella fisica dei metalli durante un dottorato ottenuto all'Università
di Londra come studente esterno. La sua passione per la storia della
scienza maturò verso la fine degli anni '40, quando iniziò a insegnare
matematica applicata al Raffles College di Singapore (che nel 1 949 sa­
rebbe divenuto parte dell'Università della Malesia) .24 Per questa ragione,
nel 1951 si iscrisse al programma di dottorato in Storia della Scienza
presso l'Università di Cambridge, con un progetto di ricerca inizialmente
intitolato "La storia della costruzione degli strumenti scientifici". Alla
fine di quello stesso anno fece la sua prima scoperta, che lo avrebbe
reso famoso: un manoscritto del XIV secolo, conservato a Cambridge,
nella biblioteca del Peterhouse College, che conteneva una descrizione in
inglese medievale di uno strumento per i calcoli astronomici chiamato
equatorio. Basandosi su una serie di prove circostanziali, Price sostenne
che si trattava di un'opera di Geoffrey Chaucer fino ad allora scono­
sciuta. Pur avendo deciso di trasformare il progetto di ricerca del suo
secondo dottorato (ottenuto nel 1 954) in un'edizione commentata di
questo trattato, Price non abbandonò mai la propria passione per il più
ampio tema della strumentazione scientifica e, in particolare, per gli an­
tichi meccanismi a orologeria. Egli conosceva il meccanismo grazie alla
descrizione di Rediadis del 1 903, all'articolo di Theofanidis del 1 934 e
a qualche altra testimonianza indiretta di minore importanza. A partire
da queste fonti, Price si rese conto che i frammenti erano la prova che
36 CAPITOLO 2

il mondo greco-romano aveva sviluppato una tecnologia a ingranaggi


molto più progredita di quanto si potesse immaginare negli anni '50, so­
prattutto basandosi sulle opere superstiti della letteratura greca e latina.
Fu così che ottenne dal Museo Archeologico Nazionale una nuova serie
di foto dei frammenti A, B e C.
Non solo queste fotografie erano molto più nitide di quelle che Price
aveva visto sulle opere a stampa, ma mostravano i frammenti in una
forma ancora diversa rispetto alle due fasi precedenti. Fra le cause di
questa trasformazione va sicuramente annoverato un danneggiamento
accidentale, verificatosi con ogni probabilità durante la Seconda guerra
mondiale.25 Nell'ottobre del 1 940, quando l'esercito italiano invase la
Grecia da nord, trascinandola nel conflitto, il governo greco mise in atto
delle procedure volte a proteggere il patrimonio archeologico nazionale.
Per il museo, questo significava spostare tutti i reperti in luoghi di con­
servazione quanto più possibile sicuri: un'operazione a dir poco eroica.
Le statue e gli altri oggetti di grandi dimensioni furono sepolti in trincee
scavate sotto le gallerie e nel cortile del museo. Gli oggetti più piccoli -
come i manufatti di bronzo, fra cui probabilmente anche il meccanismo
- furono inscatolati e sistemati nei sotterranei, all'interno di stanze che
furono poi riempite di sabbia. I manufatti più preziosi, come l'oro di Mi­
cene, furono invece trasferiti nelle camere blindate della Banca di Grecia
insieme agli inventari dei reperti.
La risistemazione degli oggetti posseduti dal museo, avvenuta dopo
l'occupazione tedesca di Atene e la guerra civile, richiese molti anni. Nel
frattempo, alcuni tesori furono sottoposti a una nuova fase di restauro e
conservazione. L'Efebo di Anticitera, che era stato ricostruito da Alfred
André in una maniera che fu allora ritenuta insoddisfacente, fu assem­
blato con grande impegno da un gruppo di scultori e altri esperti fra
il 1 948 e il 1 953. A questa squadra apparteneva anche il tecnico capo
del museo, loannis Bakoulis, che subito dopo si dedicò al restauro del
meccanismo.26 Certi danni non potevano più essere riparati: alcune parti
delle lastre iscritte sulla faccia frontale del frammento C erano andate
in frantumi, così come un delicato strato di concrezione sul retro del
frammento A, che conservava il calco speculare di un'iscrizione; solo
alcune parti isolate si erano conservate, sotto forma di piccoli frammenti
autonomi. A quanto si può capire confrontando le fotografie scattate
prima e dopo il trattamento, sembra che il lavoro di Bakoulis sia stato
prevalentemente una continuazione di quello di Rousopoulos: si trattava
in particolare di eliminare il materiale che si era incrostato sulle facce
dei frammenti A, B e C e che Rousopoulos aveva lasciato intatto. Price
LE INDAGINI 37

si accorse che, fra i danni e le nuove operazioni di pulitura, sulle sue


fotografie comparivano molti nuovi dettagli, sia delle iscrizioni sia degli
elementi meccanici.
Price incluse paragrafi entusiastici sul meçcanismo in una serie di
articoli sullo sviluppo dei "sistemi a orologeria prima dell'orologio ",
pubblicati intorno alla metà degli anni '50. Si trattava però solo di di­
chiarazioni di circostanza, che sottolineavano l'evidente complessità del
dispositivo e citavano rispettosamente Rediadis e Theofanidis, senza
aggiungere quasi nulla di nuovo.27 Poiché desiderava esaminare i fram­
menti di persona ma aveva poche possibilità di recarsi ad Atene, Price
richiese formalmente che venissero trasferiti nel laboratorio di ricerca
del British Museum che, a suo dire, era "l'unica struttura al mondo a
essere dotata di tutte le attrezzature necessarie per esaminare e restau­
rare oggetti di metallo corrosi come quelli" . Con sua grande delusione,
però, il governo greco non consentì che i frammenti lasciassero il paese.28
In seguito, nel 1 957, Price lasciò l'Inghilterra per trasferirsi negli Stati
Uniti, dove ricoprì posizioni temporanee da ricercatore, prima presso la
Smithsonian Institution e poi, nel 1958, presso la Scuola di Studi Sto­
rici dell'Institute for Advanced Study di Princeton. Fu qui che entrò in
contatto con due illustri studiosi che si occupavano di discipline comple­
mentari rispetto alla sua esperienza nell'ambito delle antiche strumenta­
zioni meccaniche: Otto Neugebauer, il più grande storico delle scienze
matematiche antiche del XX secolo, e Benjamin Dean Meritt, uno spe­
cialista nello studio delle iscrizioni greche. Entrambi erano membri della
American Philosophical Society (APS) e fu molto probabilmente grazie
ai loro consigli - e sicuramente grazie al sostegno di Neugebauer - che
Price sollecitò e ottenne dalla APS una borsa di 460 dollari, la quale gli
permise di recarsi ad Atene e di dedicare dieci giornate estive allo studio
intensivo dei frammenti presso il Museo Archeologico Nazionale.29
In seguito al recente lavoro di restauro, i frammenti non erano ancora
stati esposti al pubblico, ma erano stati sistemati in una serie di piccole
scatole piatte: nelle foto di Price si vede che alcune di queste non erano
altro che scatole da sigari.30 Oltre ai frammenti A, B e C, le scatole con­
tenevano anche la lastra iscritta che ora conosciamo con il nome di fram­
mento G (Price la chiamava "puzzle" perché era stata assemblata a partire
da numerosi piccoli pezzi che erano stati separati dalla faccia anteriore
del frammento C), numerosi altri frammenti di lastra (probabilmente in
origine erano tutti saldati ai frammenti A, B o C), nonché un'altra scatola,
parzialmente riempita da briciole di metallo corroso.31 Il direttore del mu­
seo, Christos Karouzos, concesse a Price pieno accesso ai frammenti e gli
38 CAPITOLO 2

fornì anche uno spazio di lavoro, che Price condivise per parte del proprio
soggiorno con Georgios Stamiris ( 1 914-1 996), l'assistente di ricerca di
Meritt. Trovandosi ad Atene proprio in quel periodo, Stamiris collaborò
alla lettura delle iscrizioni, anche perché Price non conosceva molto bene
il greco.32 Gli appunti originali redatti da Price durante questa visita non
sembrano essersi conservati, ma è chiaro che cercò di descrivere e misurare
ogni possibile dettaglio. Fra tutte le fotografie che portò con sé, ce n'è una
(figura 2.5) che lo ritrae in un abbigliamento elegante, seduto a un tavolo
dietro a cui spunta uno scaffale ricolmo di opere di riferimento, mentre
misura con un calibro a corsoio il raggio interno della grande ruota den­
tata con raggi a croce conservata dal frammento A.
Una volta rientrato negli Stati Uniti, Price iniziò a preparare uno stu­
dio dettagliato sul meccanismo. Nel frattempo, il 30 dicembre, tenne
una presentazione sul tema durante un incontro dell'America n Associa­
tion for Advancement of Science (AAAS) tenutosi a Washington DC.
Price aveva già mostrato un certo talento per la pubblicità quando era
uno studente a Cambridge: la sua scoperta del manoscritto di Chaucer
era giunta sia sulle pagine del "Times" che su quelle del "Times Literary

Figura 2.5. Derek de Solla Price nel 1 95 8 , mentre studia i frammenti presso il
Museo Archeologico Nazionale (© eredi di Derek de Solla Price).
LE INDAGINI 39

Supplement" . E in questo senso, l'incontro della AAAS, pur non essendo


forse la sede ideale per dialogare con un uditorio di archeologi e di sto­
rici della scienza e della tecnologia, era un'occasione perfetta per attirare
un pubblico più ampio. Intervistato dal seguitissimo giornale "Science
News-Letter" , Price disse che il suo incontro con i frammenti era stato
un po' come "aprire una piramide per trovarvi una bomba atomica " ,
aggiungendo che i Greci che avevano costruito i l meccanismo "aveva­
no raggiunto un livello di progresso tecnologico non molto inferiore al
nostro" .33 Una relazione della "Associated Press ", ampiamente ripresa
dalla stampa americana, attribuì a Price una dichiarazione leggermente
meno iperbolica, secondo cui il meccanismo sarebbe stato "la manifesta­
zione di un livello di progresso tecnologico forse più avanzato di quello
dell'Europa del XVIII secolo "34• Entro pochi giorni, la storia fu ripresa
anche dalla stampa greca, mentre negli Stati Uniti la vicenda ricevette
un nuovo e alquanto assurdo impulso quando Karl Mohr, un professo­
re di tedesco dell'Università della Virginia ormai in pensione, dichiarò
ai reporter che il fango e la ruggine avevano indotto il dottor Price a
commettere un tragico errore: il meccanismo non sarebbe stato altro che
un moderno modello del sistema solare per le scuole - del tutto simile
a quelli che Mohr ricordava di aver visto nella sua scuola elementare
austriaca negli anni '90 dell'Ottocento - accidentalmente caduto da una
nave e finito nell'antico relitto. 35 Questa storia raggiunse rapidamente
anche la Grecia, dove causò un'indignata smentita da parte del museo.36
In realtà, nonostante tutto questo clamore, Price aveva detto ben poco
riguardo alla funzione del meccanismo, se si eccettua il fatto che lo aveva
descritto come un "computer" (un termine che alla fine degli anni '50 ve­
niva già comunemente associato all'elettronica e ai computer programma­
bili, il culmine della competenza tecnologica moderna) o, più precisamen­
te, come un dispositivo per calcolare le orbite planetarie: parole nuove,
che però in sostanza non facevano che riprendere la tesi del planetario di
Rehm e Theofanidis. A ben vedere, Price stava deliberatamente spostan­
do l'attenzione dalla funzione del meccanismo, che rimaneva nell'ambito
delle ipotesi, ai sistemi che il meccanismo usava per svolgere tale funzione:
ossia le componenti meccaniche che erano sotto gli occhi di tutti.
Una delle persone più profondamente colpite dalla notizia delle ricer­
che di Price fu lo scrittore di fantascienza e divulgatore scientifico Arthur
C. Clarke, che incoraggiò l'editore dello "Scientific American" a chiedere
a Price di scrivere un articolo sul tema, destinato a diventare famosoY
An ancient Greek Computer, la più importante pubblicazione sul mecca­
nismo dopo il capitolo di Rediadis, fu pubblicato nel numero di giugno
40 CAPITOLO 2

1 959, meno di un anno dopo la presentazione di Price presso l'AAAS .


L'articolo conteneva tre importanti intuizioni. In primo luogo, Price aveva
capito perfettamente come i frammenti A e B si incastrassero l'uno con
l'altro e aveva anche intuito come il frammento C si situasse rispetto ad
essi. Grazie a queste informazioni, aveva finalmente ricostruito la struttura
esterna del meccanismo, con i suoi pannelli anteriore e posteriore e i suoi
quadranti (figura 2.6). In secondo luogo, a differenza degli esperti che ave­
vano precedentemente studiato il meccanismo, Price capì che i frammenti
avevano ampiamente mantenuto la propria configurazione originaria e
che il dispositivo ci è giunto in condizioni molto meno frammentarie di
quanto si fosse pensato in un primo momento. In terzo luogo, aveva intui­
to che gli ingranaggi dovevano costituire una rappresentazione meccanica
dei diversi rapporti aritmetici fra i cicli periodici dei corpi celesti. Sembra
che quest'ultimo punto sia in parte derivato da una serie di discussioni

\?, . 2. ,1(
j ,l."'(" ;
o .hd
,j,

c.

Figura 2.6. In questo disegno realizzato da Price nei primi anni Settanta si vede
la sua ricostruzione dell'incastro fra i vari frammenti del meccanismo (© eredi
di Derek de Solla Price).
LE INDAGINI 41

con Neugebauer, che riuscì a identificare alcuni dei numeri chiave legati ai
periodi astronomici menzionati nell'iscrizione del frammento 1 9.38 Perciò,
a parere di Price, il meccanismo sembrava ormai avere meno a che fare
con le orbite nello spazio che con i cicli del tempo: non si sarebbe trattato
tanto di un planetario, quanto piuttosto di un calcolatore.
Come Rehm prima di lui, Price era convinto che il meccanismo, !ungi
dall'essere uno strumento di navigazione, fosse invece una sorta di "mac­
china strabiliante", concepita per istruire e stupire. Il fatto che il dispositivo
fosse stato trovato all'interno del relitto non era che una coincidenza: pro­
babilmente la nave naufragata lo stava trasportando dal luogo in cui era
stato costruito a quello in cui viveva il suo futuro proprietario.39 Inoltre,
sulla base di una serie di indizi, Price intuì che il meccanismo doveva essere
quasi nuovo quando sprofondò in fondo al mare. Esaminando alcune delle
iscrizioni, Meritt giunse alla conclusione che la forma delle lettere risaliva
al I secolo a.C. Senza contare che il lessico usato corrispondeva a quello
dei testi scientifici greci dell'epoca.40 Grazie a un piccolo segno presente sul
frammento C, sembrava possibile risalire a una data ancora più precisa.
Secondo Price, lo scopo di questo segno sarebbe stato quello di indicare
che, nell'anno di produzione del meccanismo, il calendario egizio corri­
spondeva perfettamente al movimento del sole attraverso lo zodiaco (p.
94). Tramite un'argomentazione piuttosto intricata, Price giunse alla con­
clusione che quest'"anno zero" fosse da collocarsi intorno all'82 a.C. e che
il meccanismo fosse stato resettato per l'ultima volta circa due anni dopoY
Negli anni successivi, egli prese a insinuare, scherzando solo in parte, che il
meccanismo fosse una copia del planetario del filosofo Posidonio, andato
perso nel cammino verso Roma insieme agli altri bagagli del giovane Cice­
rone, di ritorno dai suoi viaggi in Oriente nel 77 a.C.42
A questo punto, però, Price sembra essersi bloccato.43 Era convinto
di aver ricavato tutto quello che era possibile ottenere dall'osservazione
diretta dei frammenti. Disponeva di misurazioni e di stime del numero
dei denti per la ventina di ingranaggi, completi o meno, che erano facil­
mente visibili (soprattutto sulle facce anteriore e posteriore del frammen­
to A). C'erano però altri ingranaggi nascosti all'interno dei frammenti;
altri ancora erano evidentemente andati persi. Stamiris aveva compiuto
grandi progressi nella decifrazione delle iscrizioni, ma le più lunghe pre­
sentavano ancora ampie lacune e passi di incerta lettura: la quantità
degli elementi indecifrabili era tale che solo parole e frasi isolate risulta­
vano comprensibili. Dopo una seconda visita al museo nel 1 9 6 1 , Price si
convinse definitivamente di aver ormai compiuto quasi tutto quello che
l'osservazione a occhio nudo consentiva di fare.
42 CAPITOLO 2

L'autunno successivo alla pubblicazione dell'articolo sullo "Scientific


American", Price si trasferì all'Università di Yale, prima in qualità di
visiting professar e poi, dal 1 960 fino alla sua morte nel 1 983, come
professore ordinario all'interno del nuovo Dipartimento di Storia della
Scienza e della Medicina. Fra il 1 959 e il 1 974 non pubblicò nulla che
fosse specificamente dedicato al meccanismo e scrisse ben poco sulla sto­
·ria dei meccanismi in generale. Questa fase della sua carriera si segnala
soprattutto per la pubblicazione di Little Science, Big Science ( 1 963),
uno studio pionieristico sullo sviluppo dell'attività scientifica. Secondo
quanto raccontato dallo stesso Price, questo particolare filone dei suoi
interessi scientifici risalirebbe a un evento verificatosi durante il suo sog­
giorno a Singapore: mentre sistemava in ordine cronologico ben due se­
coli di uscite delle "Philosophical Transactions" della Royal Society, si
rese conto che, per ogni decade di pubblicazioni, il numero delle pagine
aumentava in modo più o meno esponenziale. Nonostante ciò, il mecca­
nismo era sempre nei suoi pensieri. L'anno dopo l'uscita di Little Scien­
ce, Big Science, scrisse un saggio dal titolo Automata and the Origins
of Mechanism and Mechanistic Philosophy. Proponendo una teoria ad
ampio raggio, Price sosteneva che sia i dispositivi come il meccanismo,
volti a simulare i movimenti celesti, sia gli automi, riproduzioni mecca­
niche di creature viventi, avessero svolto un ruolo centrale nella storia
del pensiero e della tecnologia. In questa occasione, Price dichiarò che

queste due grandi categorie di automi procedono di pari passo e sono indis­
solubilmente legate in tutti i loro sviluppi successivi. Sembrano dipendere
l'una dall'altra sia da un punto di vista storico sia da un punto di vista mec­
canico. Rappresentano sfaccettature complementari dell'impulso umano a
esibire la profondità della propria conoscenza e la sofisticazione delle proprie
abilità interpretando il ruolo di creatore dell'universo fai-da-te. E di questa
tendenza incarnano i due aspetti più nobili: il cosmico e l'animato.

I principi alla base di questi "giocattoli insignificanti ed eccessivamente


ingegnosi, di questi modelli e strumenti scientifici impraticabili" furono
infine trasferiti all'ambito delle applicazioni pratiche e così finirono per
diventare i "progenitori della Rivoluzione industriale".

Uno sguardo all'interno dei frammenti


Wilhelm Rontgen annunciò di aver scoperto i raggi X nel 1 8 95. Entro
la fine del secolo, la radiografia a raggi X veniva già applicata a reperti
LE INDAGINI 43

archeologici e museali come i dipinti e le mummie egizie.44 La radiografia


si basa sul principio che il livello di attenuazione dei raggi X dipende
dalla densità, dalla composizione e dallo spessore della materia che at­
traversano. I raggi X possono penetrare grandi quantità d'acqua e di ma­
teria organica, ma faticano ad attraversare i metalli: bastano un paio di
millimetri di rame per attenuarli della metà. Per questa ragione, non era
affatto scontato che l'esposizione dei frammenti ai raggi X avrebbe con­
dotto a risultati utili. Dalla richiesta di rimborso delle spese di viaggio
che Price indirizzò all' American Philosophical Society nel 1 9 58 è chiaro
che aveva intenzione di compiere degli esami radiografici. Tuttavia, il
Museo Archeologico Nazionale respinse tutte le sue richieste: l'attrezza­
tura necessaria non era disponibile e, anche se lo fosse stata, non sarebbe
stato possibile garantire al museo una fornitura elettrica adeguataY
Negli anni seguenti, tuttavia, furono effettuate radiografie sperimen­
tali sottoponendo oggetti bronzei di grande importanza culturale (come
il Grande Buddha di Kamakura) a raggi gamma emessi da materiali ra­
dioattivi.47 La radiografia a raggi gamma presentava alcuni svantaggi
rispetto a quella a raggi X: le radiazioni non potevano essere controllate
con la stessa precisione dei raggi X ed era difficile ottenere radiografie ad
alto contrasto. D'altro canto, però, le radiazioni gamma penetravano i
metalli in modo più efficace dei raggi X; inoltre, potevano essere utiliz­
zate anche dove non era possibile ottenere una fornitura elettrica tale da
attivare una sorgente di raggi X abbastanza potente. Quando nel 1 971
venne a conoscenza di questa tecnologia, Price si rivolse al museo e alla
Commissione Greca per l'Energia Atomica per vedere se si potesse trova­
re una soluzione: questa volta, la sua richiesta fu accoltaY
Charalambos Karakalos, un fisico del Centro Nazionale di Ricerca
Scientifica "Demokritos" , sottopose a radiografia i frammenti più grandi,
avvalendosi in una prima fase di radiazioni gamma emesse da una fonte
debole dell'isotopo Thulium-1 70.48 Pur non essendo di ottima qualità, le
radiografie così ottenute rivelarono la presenza di nuovi ingranaggi. Dopo
aver constatato che, tutto sommato, era possibile usare anche la radiogra­
fia a raggi X, Karakalos portò al museo due unità radiografiche portatili e
realizzò una serie di radiografie ad alta qualità per i frammenti A, B, C e D.
Le radiografie di A erano le più importanti per gli scopi di Price, dato
che quasi tutti gli ingranaggi superstiti si trovano in quel frammento. Nelle
immagini era possibile distinguere ventisette ingranaggi: sei di questi sfug­
givano completamente all'osservazione diretta, mentre un altro paio era
appena visibile. A eccezione dell'ingranaggio a dentatura frontale che im­
partiva al meccanismo la rotazione iniziale, tutti gli ingranaggi del fram-
44 CAPITOLO 2

mento A sono paralleli alle facce anteriore e posteriore e nelle radiografie


appaiono come archi circolari dentati. Price sperava di osservare due ele­
menti cruciali: il numero dei denti di ciascun ingranaggio e il sistema di in­
terconnessione degli ingranaggi tramite assi condivisi o l'incastro dei denti.
Estrarre queste informazioni dalle radiografie era tutt'altro che facile.
Il numero dei denti fu stimato con cura da Karakalos e da sua moglie
Emilia, anche se in alcuni casi Price preferì adottare numeri diversi. In
corso d'opera, Price osservò che le radiografie mostravano chiaramente
i profili dei denti triangolari degli ingranaggi che erano appena visibili
a occhio nudo. Tuttavia, per nessuno degli ingranaggi era possibile di­
stinguere tutti i denti, senza contare che, in alcuni casi, si era conserva­
ta meno della metà del perimetro. Era perciò necessario determinare la
posizione approssimativa del centro di ciascun ingranaggio incompleto;
si procedeva poi a una stima del numero complessivo dei denti a partire
da quelli che si erano conservati e dall'arco che sottendevano. Gli erro­
ri potevano scaturire sia da una scorretta individuazione del centro sia
dall'irregolarità della disposizione dei denti.
In sostanza, le radiografie del frammento A mostravano i profili di
tutte le singole componenti del frammento, proiettati lungo le linee che

Figura 2.7. L'apparecchiatura a raggi X di Karakalos, insieme al frammento A


(Planetario Adler, © eredi di Derek de Solla Price).
LE INDAGINI 45

si irradiavano sulla superficie della pellicola a partire da un punto focale.


Considerato che il frammento conteneva più di venti ingranaggi situati
a profondità diverse, ogni immagine appariva come un complicato in­
treccio di dischi sovrapposti. In linea di principio, era plausibile che due
dischi che si presentavano come concentrici fossero collegati da un asse
comune, mentre due dischi che nell'immagine sembravano quasi toccar­
si - con i denti dell'uno proiettati negli spazi fra i denti dell'altro - si
trovavano probabilmente sullo stesso piano ed erano incastrati fra loro.
Le apparenze, però, potevano ingannare. Karakalos provò a misurare la
profondità di alcuni ingranaggi esponendoli due volte ai raggi X, la cui
sorgente veniva spostata di volta in volta. L'esperimento non ebbe succes­
so, ma Karakalos riuscì comunque a ottenere informazioni limitate sulle
profondità relative grazie al confronto fra radiogrammi posizionando la
pellicola a diverse distanze dal punto focale.49 Gli ingranaggi che erano
andati persi erano un'ulteriore fonte di incertezza.
Il problema della ricostruzione del meccanismo non poteva essere
risolto solo grazie alle radiografie: pur fornendo dati preziosi sul funzio­
namento interno del dispositivo, esse erano anche fonte di informazioni
incomplete e ambigue. Se fosse stato a conoscenza di ciò che i quadranti
esterni avrebbero dovuto mostrare, forse Price avrebbe avuto abbastanza
elementi per risolvere le incertezze e colmare le lacune relative al funzio­
namento del sistema di ingranaggi. Egli però disponeva di informazioni
simili soltanto per il quadrante anteriore: dopo aver individuato le unità
in cui erano suddivise le scale graduate e averne decifrato le iscrizioni,
Price dedusse la presenza di un puntatore rotante che rappresentava il
movimento annuale del sole attraverso lo zodiaco. Per il resto, non poté
far altro che cercare di capire in modo empirico quali informazioni si
sarebbero potute ricavare da ciascuna delle sue ipotetiche ricostruzioni
del meccanismo, sperando che, prima o poi, una di queste si rivelasse
plausibile sia rispetto alla realtà astronomica sia rispetto alle teorie pro­
babilmente elaborate dagli antichi astronomi greci.
Nelle giuste condizioni, questo metodo poteva condurre a risultati
sorprendenti. Fra le varie combinazioni di ingranaggi ricostruite da Pri­
ce, ce n'era una che ne coinvolgeva sette, a cominciare dal grande ingra­
naggio con i raggi a croce che spicca sulla faccia anteriore del frammento
A. Secondo la ricostruzione di Price, quest'ultimo era direttamente azio­
nato dall'ingranaggio a dentatura frontale che trasmetteva la rotazione
iniziale.5° Karakalos aveva fornito delle stime per il conteggio dei denti;
in due casi aveva potuto proporre soltanto un intervallo. La ricostru­
zione di Price, invece, attribuiva un numero di denti preciso a ciascun
46 CAPITOLO 2

ingranaggio: i suoi calcoli concordano con quelli di Karakalos, o si si­


tuano negli intervalli da lui proposti, eccetto che in un caso, per cui Price
propose un totale di 12 7 denti al posto dei 128 di Karakalos. La nuova
stima di Price non si basava sulle radiografie, ma sulla constatazione
che solo 127 denti avrebbero permesso alla sequenza di ingranaggi di
convertire 19 giri dell'ingranaggio con raggi a croce in 254 giri dell'ul­
timo ingranaggio della serie. Questo rapporto avrebbe avuto un preciso
riscontro in ambito astronomico se un giro dell'ingranaggio più grande
avesse rappresentato una rivoluzione del sole intorno allo zodiaco e se
un giro dell'ingranaggio finale avesse rappresentato una rivoluzione zo­
diacale della luna.51 Price sapeva che questo ciclo lunisolare di 1 9 anni
(lo incontreremo nuovamente nel capitolo 4, a p. 97) era menzionato
proprio nella porzione di lastra iscritta che noi ora chiamiamo - in modo
decisamente adeguato anche se del tutto casuale - frammento 1 9: tut­
to sembrava tornare alla perfezione. Di conseguenza, era plausibile che
il quadrante anteriore non fosse dotato soltanto di un puntatore che
rappresentava il sole, ma anche di un secondo puntatore per la luna.
Questa parte della ricostruzione di Price è stata interamente confermata
dalle ricerche successive, anche se adesso sappiamo che fra quello che lui
considerava l'ultimo ingranaggio della serie e il puntatore lunare c'era
un'ulteriore sequenza di ingranaggi.52
Price ebbe meno successo con gli ingranaggi collegati ai quadranti del
pannello posteriore. Una delle difficoltà maggiori risiedeva nella scom­
parsa della maggior parte degli ingranaggi della sezione superiore del
meccanismo. Alcuni di questi completavano la serie che conduceva ai
quadranti superiori del pannello posteriore, mentre altri si diramavano
da questa stessa serie e ne mettevano in moto un'altra, a propria volta
collegata ai quadranti inferiori del pannello posteriore. La componente
centrale della serie ramificata è costituita da un ingranaggio di gran­
di dimensioni, visibile sul retro del frammento A: esso è dotato di due
serie di denti, il cui numero varia da una serie all'altra (è come se due
ingranaggi distinti si fossero fusi insieme); inoltre, su una delle sue facce
compare una serie ridotta di ingranaggi più piccoli, disposti secondo una
conformazione nota come rotismo epicicloidale (p. 264). Per il momen­
to, lo definiremo "ingranaggio piattaforma " . È evidente che il sistema
appena descritto doveva avere una funzione meccanica particolare. Price
lo interpretò come un disco differenziale, un dispositivo concepito per
sottrarre una velocità di rotazione a un'altra: in questo caso si trattava
di sottrarre il movimento del sole intorno allo zodiaco a quello della
luna, in modo da ottenere una rivoluzione il cui periodo fosse pari al
LE INDAGINI 47

mese lunare.53 Pertanto, Price ipotizzò che i quadranti inferiori del pan­
nello posteriore mostrassero i mesi lunari. Perché questa interpretazione
funzionasse, però, fu costretto ad alterare le stime del numero dei denti
effettuate da Karakalos (che però si era sbagliato al massimo di un den­
te), modificandole di un buon 1 0 % nel caso di due ingranaggi.
Le radiografie di Karakalos furono lo stimolo di cui Price aveva bi­
sogno per terminare la stesura del suo piccolo libro sul meccanismo,
che intitolò Gears (rom the Greeks. Come segno di riconoscenza per
il finanziamento ricevuto in occasione del suo primo viaggio ad Atene,
Price decise di affidarlo all'American Philosophical Society, che nel 1 974
lo inserì in una delle proprie pubblicazioni scientifiche. Per Price, questo
era un modo abbastanza sommesso di annunciare le proprie scoperte,
soprattutto se si pensa all'attenzione mediatica suscitata dalla sua pre­
sentazione presso la AAAS o al vasto pubblico raggiunto dal suo articolo
sullo "Scientific American". Non si può fare a meno di chiedersi se, no­
nostante l'entusiasmo che dichiarò di aver provato nel risolvere gli enig­
mi che caratterizzarono l'ultima fase della sua ricerca, Price non avesse
perso un po' del proprio interesse per il meccanismo dopo il 1 959. I suoi
lavori precedenti avevano già messo in evidenza l'incredibile complessità
tecnologica dell'oggetto; è quindi possibile che individuare le funzioni
astronomiche abbastanza elementari presupposte dalla sua ricostruzione
del meccanismo gli sia parso decisamente meno eccitante. Comunque
sia, Gears (rom the Greeks attirò soprattutto l'attenzione degli storici
della scienza e della tecnologia, che per lo più lo considerarono come
l'opera definitiva sul tema. Il libro di Price ebbe un maggior impatto
in Grecia: entro la metà degli anni '70 il museo ricollocò i frammenti
in esposizione permanente (nel capitolo 9 leggeremo l'impressione che
ne ebbe un visitatore famoso). Durante i tre decenni che seguirono, la
maggior parte degli archeologi e degli studiosi del mondo classico rimase
all'oscuro dell'esistenza del meccanismo e del suo significato.

Verso una ricostruzione definitiva


Negli anni successivi alla pubblicazione di Gears (rom the Greeks, qual­
cuno espresse dei dubbi sulla validità della ricostruzione proposta da Pri­
ce. Le incertezze si concentravano soprattutto su questo aspetto: secondo
Price, un ritmo di rotazione relativamente lento - come quello che rap­
presentava la rivoluzione annuale del sole nello zodiaco - avrebbe atti­
vato treni di ingranaggi la cui rotazione in uscita era molto più rapida,
come quelli che rappresentavano il moto della luna o il mese lunare (p.
48 CAPITOLO 2

252). Combinato con il disco differenziale di Price, questo sistema eserci­


tava una pressione notevole sul sistema di ingranaggi, a tal punto che era
difficile costruire un modello sperimentale che funzionasse senza intoppi,
soprattutto se i denti degli ingranaggi erano di forma triangolare come
quelli dell'originale. 54 Qualcuno cercò anche di migliorare la ricostruzione
di Price proponendo qualche modifica marginale, ma si trattava di pure
speculazioni che non si basavano sull'evidenza materiale a disposizione.
Infine, fra il 1 9 8 8 e il 1993, Michael T. Wright (nato nel 1 948) e Al­
lan Bromley ( 1 947-2002) si recarono più volte al museo per effettuare
un nuovo esame dei frammenti.55 Wright, un curatore del Museo della
Scienza di Londra, si era formato come fisico e aveva sviluppato un'espe­
rienza pratica e una conoscenza storica notevoli riguardo ai meccanismi a
orologeria. Bromley, anch'egli fisico di formazione, era uno storico dell'in­
formatica dell'Università di Sydney e aveva precedentemente studiato i
progetti dei computer meccanici di Charles Babbage. Oltre a dedicarsi
a una meticolosa osservazione diretta dei frammenti (il che li condusse
a individuare numerose imprecisioni nelle descrizioni effettuate da Price
fra il 1 958 e il 1 961 ), Wright e Bromley eseguirono nuovi esami ai raggi
X. Erano infatti consapevoli di quanto fosse importante ottenere migliori
informazioni sulla struttura tridimensionale dei frammenti, in particolare
per quanto riguardava la profondità relativa degli ingranaggi fittamente
sovrapposti e delle altre componenti. A questo scopo, in una prima fase
sperimentarono l'uso di coppie stereografiche di radiografie, ma ottennero
maggior successo grazie a un'altra tecnica, la tomografia lineare.
La tomografia lineare fu sviluppata nell'intervallo fra le due guerre
mondiali principalmente a scopi medici, come metodo alternativo per ef­
fettuare radiografie a raggi X. 56 Nelle radiografie standard, la sorgente di
raggi X e la pellicola devono rimanere ferme durante il periodo di espo­
sizione, onde evitare che l'immagine risulti sfocata. Se però la sorgente
di raggi X viene spostata in linea retta a una velocità uniforme, mentre
la pellicola si muove a pari velocità ma in direzione parallela e contraria,
nell'immagine saranno nitidamente visibili tutti i contorni di un oggetto
che si trovi su un piano equidistante dalle traiettorie della sorgente e della
pellicola. I contorni degli oggetti situati su piani diversi risulteranno invece
sfocati. Adeguando di volta in volta la posizione dell'oggetto, è possibile
produrre radiografie che rappresentino nitidamente qualsiasi sua sezione.
Entro la fine degli anni '80, la tomografia lineare era stata quasi com­
pletamente soppiantata dalla tomografia computerizzata ed era ormai
considerata come una tecnologia obsoleta. Tuttavia, a quell'epoca, gli
scanner tomografici dotati di una potenza sufficiente a scansionare il
LE INDAGINI 49

metallo erano rari e non potevano essere trasportati. Peraltro, la loro


risoluzione era troppo bassa per poter catturare i minuti dettagli del
meccanismo. Perciò, Wright costruì uno strumento per la tomografia
lineare strutturato in modo tale da poter essere collocato su un tavolo:
e così, in collaborazione con Bromley, realizzò numerose immagini dei
frammenti conservati nel museo.
La malattia impedì a Bromley di sfruttare adeguatamente le nuove in­
formazioni. La loro importanza divenne manifesta soltanto grazie a una
serie di articoli che Wright scrisse dal 2002 in poi, la maggior parte dei
quali apparve su riviste dedicate alla storia dell'orologeria e degli stru­
menti scientifici. In questa sede basterà citare un solo esempio per dar
conto dei considerevoli progressi compiuti da Wright nella ricostruzione
dei dettagli del meccanismo. 57
Abbiamo visto che uno dei primi elementi a essere stati notati in
seguito alla scoperta dei frammenti nel 1 902 era una specie di sistema
di fasce metalliche circolari e concentriche (definite anche corone circo­
lari), visibili sul frammento B. In seguito, un'altra serie simile a questa
fu osservata sul frammento A. Alcuni dei primi studiosi, fra cui Rehm,
ipotizzarono che questi elementi fossero mobili. Price, dopo aver dimo­
strato che i frammenti A e B erano originariamente uniti, giunse alla
conclusione che questi sistemi di fasce concentriche non fossero altro che
due grandi quadranti, i quali occupavano le metà superiore e inferiore
del pannello posteriore del meccanismo. Anche lui era convinto che que­
ste corone circolari potessero ruotare.58 Tramite misurazioni accurate,
Wright dimostrò che, invece di essere formato da una serie di corone
circolari distinte, ogni quadrante era costituito da un'unica fascia di la­
stra metallica a forma di spirale, che compiva cinque giri completi nel
quadrante superiore e quattro in quello inferiore. Queste fasce avevano
una posizione fissa. Di conseguenza, i cicli rappresentati dai suddetti
quadranti dovevano corrispondere a multipli di una singola rotazione
dei loro rispettivi puntatori (nel primo caso, bisognava moltiplicarla per
cinque, nel secondo per quattro).
Basandosi ancora una volta su misurazioni precise e su un criterio di
semplicità, Wright giunse a ipotizzare quali fossero gli ingranaggi man­
canti nel treno che conduceva ai quadranti superiori del pannello poste­
riore. Per il collegamento con il principale quadrante a spirale, bastava
ipotizzare la scomparsa di un solo ingranaggio. La stima del numero dei
suoi denti, che ammontava a 53, avrebbe permesso al treno di ingranaggi
di convertire 3,8 giri del grande ingranaggio con raggi a croce in un giro
completo del puntatore sul quadrante superiore del pannello posteriore.
50 CAPITOLO 2

Grazie al lavoro di Price, si sapeva che una rotazione dell'ingranaggio


con raggi a croce rappresentava 3,8 anni solari e che i cinque giri della
spirale dovevano corrispondere esattamente a 1 9 anni. Ma questo non
era altro che lo stesso ciclo - equivalente a 1 9 rivoluzioni zodiacali del
sole, a 254 rivoluzioni zodiacali della luna e, di conseguenza, a 235 (254
- 19) mesi lunari - che Price aveva scoperto essere alla base del treno
di ingranaggi che conduceva al puntatore lunare del quadrante anterio­
re. 59 Come notato anche da Price, le fasce del quadrante superiore erano
incise da linee radiali che formavano delle caselle contenenti iscrizioni
illeggibili: l'ampiezza di ciascuna casella corrispondeva a quella che si
sarebbe ottenuta dividendo l'intera spirale in 235 caselle. Così, anche
senza aver decifrato il testo delle iscrizioni, Wright poteva concludere
con una certa sicurezza che la spirale superiore rappresentava un calen­
dario lunare fondato su un ciclo di 1 9 anni e che la sua ricostruzione di
questa precisa sequenza, ossia di questo treno di ingranaggi, era corretta.
Wright respinse l'idea che l'ingranaggio piattaforma sulla faccia po­
steriore del frammento A fosse un disco differenziale, come sostenuto
invece da Price.60 Per definizione, un differenziale richiede due rotazioni
in ingresso: ma una delle due rotazioni presupposte dallo schema di Price
si era rivelata inesistente. Peraltro, un esame più ravvicinato dei fram­
menti induceva a pensare che il rotismo epicicloidale avesse una funzio­
ne diversa. In base alle sue radiografie, Karakalos aveva ipotizzato che
perlomeno uno degli ingranaggi più piccoli collocati sopra l'ingranaggio
piattaforma fosse in realtà una . coppia di ingranaggi sovrapposti di di­
mensioni simili. Wright confermò l'ipotesi di Karakalos, precisando però
che le coppie di ingranaggi sovrapposti erano due.61 Era convinto che il
sistema epicicloidale servisse a generare una velocità di rotazione diffi­
cile da ottenere tramite un semplice treno di ingranaggi: in questo caso
specifico, la velocità di rotazione generata avrebbe dovuto consentire ai
quadranti inferiori della faccia posteriore di simulare il moto latitudinale
della luna (ovvero il suo moto oscillatorio a nord e a sud dell'eclittica),
uno dei fattori determinanti per il verificarsi delle eclissi. Lo schema pro­
posto da Wright prendeva in considerazione solo una delle due serie di
denti visibili sull'ingranaggio piattaforma; a suo parere, l'altra serie era
una traccia del precedente uso dell'ingranaggio all'interno di un diver­
so meccanismo. 62 Questa parte della sua ricostruzione, perlo meno nella
versione presentata nel 2005, si rivelò errata.
Nella storia degli studi, fu più volte suggerito che il meccanismo non
mostrasse solo il moto del sole e della luna, ma anche quello dei pianeti.
Prima di adottare l'ipotesi dell'astrolabio, Svoronos aveva brevemente
LE INDAGINI 51

contemplato l'idea. Rehrn, dal canto suo, n e era convinto: a suo parere
si sarebbe così spiegata l'apparente menzione del pianeta Venere nell'i­
scrizione speculare del frammento B, senza contare che il meccanismo
sarebbe così rientrato in una categoria ben nota di dispositivi meccanici
antichi, i planetari descritti da Cicerone e da altri autori. Rehrn tracciò
anche degli scherni preliminari volti a illustrare l'ipotetica struttura de­
gli ingranaggi di un simile planetario, ma non realizzò mai un modello
concreto.63 Come abbiamo visto, Theofanidis si basò sulla propria rico­
struzione del meccanismo, decisamente più ambiziosa da un punto di
vista astronomico, per mettere a punto un vero e proprio modello che
rendesse conto delle caratteristiche visibili dei frammenti.
Non è quindi sorprendente che, quando si recò per la prima volta ad
Atene per esaminare il meccanismo, Price lo considerasse come "un pla­
netario, forse simile a quello che, a quanto si dice, era stato costruito da
Archimede", come scrisse egli stesso nella sua richiesta di finanziamenti.
Tuttavia, le sue scoperte sulla configurazione originale dei frammenti
indicavano che le ricostruzioni dei suoi predecessori non potevano es­
sere corrette. Perciò, nel suo articolo sullo "Scientific Arnerican ", Price
abbandonò l'idea del planetario, sostenendo invece che il meccanismo
fosse "la controparte aritmetica dei ben più noti modelli geometrici del
sistema solare, i quali . . . avrebbero poi dato origine ai diversi generi di
planetario" .64 Questa affermazione sembra suggerire che i quadranti non
mostrassero le variazioni effettive del moto dei pianeti, quanto piuttosto
le fasi correnti dei loro movimenti ciclici, che avrebbero costituito una
sorta di riferimento cronologico.
Con la sua estesa ricostruzione dei treni di ingranaggi del mecca­
nismo a partire dalle radiografie di Karakalos, Gears (rom the Greeks
rappresentava una decisa presa di distanza dalla concezione del mecca­
nismo come planetario. Ormai sembrava che la trentina di ingranaggi
superstiti appartenesse a una serie di sistemi connessi esclusivamente ai
movimenti e ai fenomeni del sole e della luna. In un passo in cui riassu­
me la disposizione delle lastre e delle altre componenti del meccanismo
iniziando dalla parte anteriore per finire con quella posteriore, Price in­
dica un punto dove si sarebbe potuto trovare " un insieme di ingranaggi
planetari, se si volesse proporre una ricostruzione ipotetica " . Si tratta
però solo di un rapido accenno; peraltro, non è affatto certo che si rife­
risse a sistemi di ingranaggi atti a riprodurre il moto variabile dei pianeti
attraverso lo zodiaco.65 Anzi, verso la fine del libro, quando cerca di
inserire il meccanismo nel contesto dei dispositivi astronomici menzio­
nati da Cicerone e da altri autori antichi, Price scrive che "il progres-
52 CAPITOLO 2

so raggiunto dall'astronomia greca a partire dall'epoca di Archimede


doveva aver reso praticamente impossibile la realizzazione di planetari
meccanici, perlomeno fino a quando le costruzioni complesse di Richard
di Wallingford [ 1 292- 1 3 3 6] e Giovanni de Dondi [ca. 1330- 1 3 8 8] non
ebbero riportato in vita, nel tardo Medioevo, le intenzioni di Archime­
de" .66 Perciò, Price non si accontentava più di paragonare il meccanismo
a un "computer", ma finì per definirlo come un "calendario compute­
rizzato", un'espressione che escludeva qualsiasi rappresentazione detta­
gliata del moto planetario.
Dal canto suo, Wright riteneva che ci fossero almeno tre argomenti
a sostegno del fatto che il meccanismo disponesse di un quadrante de­
dicato al moto dei pianeti: in primo luogo, nelle opere antiche non si fa
mai menzione di dispositivi meccanici miranti specificamente al moni­
toraggio di cicli cronologici; in secondo luogo, sulle iscrizioni si poteva
leggere il nome di Venere; infine, sulla faccia frontale del frammento A
c'erano alcuni elementi la cui funzione non era ancora stata spiegataY
Certo, nella ricostruzione di Wright ogni ingranaggio superstite, eccetto
un unico caso nel frammento D, aveva a che fare con il sole, con la luna
o con il calendario. Eppure, questo complicato sistema lunisolare era
collocato dietro al grande ingranaggio dell'anno solare, le cui notevo­
li dimensioni non erano ancora state spiegate. Peraltro, sui raggi e sul
bordo di questo ingranaggio erano visibili tracce di numerosi supporti e
protuberanze, il che spinse Wright a ipotizzare l'esistenza di un ulteriore
dispositivo, che forse comprendeva un rotismo epicicloidale.
Nella nostra storia, abbiamo spesso usato il termine "ricostruzio­
ne " in riferimento al meccanismo e molte altre volte lo useremo. Tale
termine può avere significati diversi. In particolare, una ricostruzione
può essere: ( 1 ) una rappresentazione, tramite diagrammi, dell'ipotetico
aspetto del meccanismo, che può essere più o meno dettagliata a seconda
delle intenzioni dell'autore; (2) un modello concettuale o matematico
che ne descriva il funzionamento in termini astratti; ( 3 ) un modello fisi­
co, costruito tramite metodi e risorse moderni o, per quanto possibile,
avvalendosi dei materiali e degli strumenti che si ritiene fossero disponi­
bili nell'antichità; (4) un modello digitale, in cui la struttura, i movimenti
e, se possibile, il comportamento fisico delle componenti sono simulati
da un computer. Nel corso delle sue ricerche sul meccanismo, Wright
ha sempre sottolineato l'importanza dell'impiego di ricostruzioni fisiche
realizzate usando ragionevoli approssimazioni dei materiali e degli stru­
menti antichi: a suo avviso, solo modelli empirici funzionanti permet­
tono di dimostrare che una ricostruzione ipotetica può essere concreta-
LE INDAGINI 53

mente costruita e messa in funzione.68 Di conseguenza, ha realizzato - e,


ove necessario, modificato - modelli funzionanti del meccanismo che in­
cludessero non solo una ricostruzione completa del sistema di ingranag­
gi lunisolare, ma anche una riproduzione ipotetica degli ingranaggi che
avrebbero dovuto rappresentare i movimenti dei cinque pianeti antichi.
Quest'ultima è stata realizzata conformemente alle teorie sul moto pla­
netario elaborate dall'astronomia greca nel l OO a.C. circa (o perlomeno
conformemente a quanto sappiamo del contenuto di queste teorie). I
quadranti planetari dei suoi modelli non si presentano come riproduzio­
ni definitive dei treni di ingranaggi perduti, ma mirano a essere coerenti
con l'evidenza fisica; allo stesso tempo, si conformano al più sofisticato
sistema di conoscenze astronomiche che il progettista antico potrebbe
aver cercato di riprodurre.
Il più recente esame dei frammenti è stato effettuato nel 2005 da un
gruppo di ricercatori chiamato Antikythera Mechanism Research Project
(AMRP), in collaborazione con il Museo Archeologico Nazionale.69
L'AMRP è stato organizzato grazie all'iniziativa di Mike Edmunds, un
astrofisico dell'Università di Cardiff, e di Tony Freeth, un matematico e
regista. Proprio come Wright e Bromley prima di loro, Edmunds e Freeth
non erano più soddisfatti della ricostruzione di Price ed erano convinti
che una nuova analisi, effettuata con strumenti tecnologici più moderni,
avrebbe potuto migliorare le nostre conoscenze sul meccanismo. Oltre a
Edmunds e Freeth, l'AMRP includeva anche due astronomi greci, John
Seiradakis dell'Università di Salonicco e Xenophon Moussas dell'Uni­
versità di Atene, un esperto di paleografia greca, Agamemnon Tselikas,
e uno studente di dottorato in fisica presso l'Università di Atene, Yanis
Bitsakis. L'équipe del museo era formata da Eleni Mangou, una chimi­
ca, Mary Zafeiropoulou, curatrice dei reperti antichi per la collezione
dei bronzi, e Yerasimos Makris, il conservatore capo. C'erano anche
due team tecnici: il primo, facente capo alla Hewlett-Packard, era di­
retto da Tom Malzbender; l'altro, facente capo a X-Tek X-Ray Systems
(adesso parte di Nikon Metrology), era guidato da Roger Hadland. La
campagna di ricerca dell'AMRP era diversa da quelle svolte in prece­
denza, e non solo per il numero di persone coinvolte. Si trattava infatti
della prima serie di analisi che non prevedesse l'osservazione diretta dei
frammenti: a causa delle loro delicate condizioni, da quel momento in
poi solo i tecnici del Museo Archeologico Nazionale avrebbero potuto
maneggia di.
La collezione di frammenti aveva subito altri cambiamenti dall'ulti­
ma visita di Price nel 1 95 8 . Oltre al frammento D, che era stato ritrovato
54 CAPITOLO 2

giusto in tempo per comparire in Gears (rom the Greeks, nel 1 976 era
venuto alla luce un altro frammento, precedentemente sconosciuto, cui
fu assegnata la lettera E. Price vide delle fotografie di E, che mostravano
la presenza del calco speculare di un'iscrizione su uno dei lati. Fu però
Wright a stabilire la corretta posizione di E, originariamente collocato in
uno spazio che separava i frammenti A e 8.70 Nel 2005, durante le ricer­
che dell' AMRP, Mary Zafeiropoulou si recò nel magazzino del museo
per recuperare i frammenti che, a differenza di A, B e C, non facevano
parte dell'esibizione permanente: vi trovò ben 79 frammenti riposti in un
vassoio.71 Fra questi c'erano probabilmente tutti i frammenti osservati
da Price nel 1 958, i frammenti D ed E, nonché vari altri frammenti fino
ad allora sconosciuti ai ricercatori. Zafeiropoulou assegnò la lettera F al
più grande dei nuovi frammenti e la lettera G alla lastra iscritta che Pri­
ce aveva soprannominato "puzzle" ; i frammenti di dimensioni inferiori
furono numerati da l a 75. Questo sistema di denominazione è stato
ormai adottato dall'intera comunità scientifica. Inoltre, siccome nella
maggior parte dei casi i frammenti sono piatti o hanno una forma simile
a quella di una lastra, le loro facce sono state più o meno arbitrariamente
designate con i numeri 1 e 2, estendendo così il criterio di numerazione
adottato da Svoronos nel 1 903.
La squadra di Malzbender fece ricorso a una tecnica di imaging, chia­
mata mappatura della trama polinomiale (polynomial texture mapping),
che era stata ideata dallo stesso Malzbender in collaborazione con Dan
Gelb. A partire da allora, questa tecnologia è stata ulteriormente svilup­
pata e adesso è per lo più nota con il nome di Reflectance Transforma­
tion /maging (RTI).72 In una prima fase si scatta una serie di fotografie
digitali dell'oggetto interessato: la prospettiva è sempre la stessa, ma
l'illuminazione del flash proviene di volta in volta da direzioni diverse.
A partire da queste fotografie viene successivamente generato un file di
dati che assegna a ogni pixel una "funzione di riflettività ". Un software
di visualizzazione immagini permette di visualizzare l'oggetto in diversi
modi: ad esempio, è possibile simulare una sorgente di luce proveniente
da una direzione qualsiasi, aumentare l'ampiezza delle funzioni di ri­
flettività, o eliminare la colorazione delle superfici. Lo scopo dell'RTI
è quello di rendere più visibili i dettagli della forma superficiale di un
oggetto, permettendo così di studiarlo sullo schermo di un computer,
senza che sia necessaria la presenza dell'oggetto stesso. Si tratta di una
tecnologia facilmente trasporta bile e relativamente poco costosa: in anni
recenti è stata ampiamente utilizzata da varie discipline interessate allo
studio del patrimonio culturale. Per quanto riguarda il meccanismo, l'u-
LE INDAGINI 55

so dell'RTI mirava soprattutto alla decifrazione delle iscrizioni, per cui


si è rivelato particolarmente utile (figure M7 e M8).
Se nel 2005 l'RTI era ancora una tecnologia relativamente innovati­
va, la tomografia computerizzata a raggi X (TC) era già in uso dall'inizio
degli anni '70. Nonostante venisse impiegata soprattutto in ambito me­
dico, era stata applicata anche allo studio dei beni culturali e dei reperti
archeologici. Le tecniche di fusione del bronzo impiegate nella statuaria
greca erano state esaminate con la TC già a metà degli anni '80.73 Come
abbiamo visto, alla fine di quel decennio questa tecnologia non si era
ancora evoluta a tal punto da poter essere applicata al meccanismo senza
dover trasferire i frammenti in un laboratorio esterno al museo, il che era
però impossibile a causa della delicatezza delle loro condizioni.
Poco prima dell'inizio della campagna di ricerca dell'AMRP nel
2005, X-Tek aveva concepito un sistema di microtomografia compu­
terizzata a raggi X sufficientemente potente da poter catturare i dettagli
dei frammenti e sufficientemente piccolo e trasportabile da poter essere
introdotto nel museo/4 A partire dalle scansioni di tutti i frammenti ve­
nivano generati file di volumi tomografici in cui ogni voxel (l'equivalente
tridimensionale del pixel) registrava la radiodensità della regione micro­
scopica corrispondente sul frammento. La risoluzione più alta ottenuta
corrispondeva a 40 micron. Questi volumi potevano essere manipolati
in vari modi: in particolare, si poteva ricorrere a un software di visua­
lizzazione per la tomografia computerizzata che permetteva all'utente di
creare sezioni planari attraverso qualsiasi punto e con qualsiasi orienta­
mento. Era possibile lavorare con il software di visualizzazione in modo
interattivo oppure si potevano generare pile di immagini che rappresen­
tavano sezioni parallele ravvicinate.
Come la tomografia lineare di Bromley e Wright, le scansioni operate
tramite la TC avevano come scopo primario quello di rendere più chiara
la struttura fisica e meccanica interna ai frammenti. Nell'effettuare le
proprie radiografie tomografiche, Bromley e Wright avevano notato la
presenza di caratteri iscritti all'interno del frammento C, in un punto in
cui la superficie di una lastra iscritta poggiava contro un'altra compo­
oente. A causa dell'insufficiente nitidezza delle immagini, però, non era
stato possibile leggerne il testo.75 Queste iscrizioni interne, che figurano
anche in molti altri frammenti, appaiono con chiarezza nettamente supe­
riore nei volumi tomografici dell'AMRP. Questi furono di grande aiuto
anche nella lettura dei testi collocati sulle superfici esposte, dal momento
che, a causa della corrosione, la forma delle lettere era spesso meglio
preservata al di sotto della superficie.
56 CAPITOLO 2

I primi risultati delle ricerche dell' AMRP vennero riassunti in un ar­


ticolo pubblicato su "Nature" nel 2006.76 Vi si confermava la validità
e la precisione di molte delle scoperte di Wright, compreso il conteggio
dei denti della maggior parte degli ingranaggi. Inoltre, questo articolo
rettificava la precedente ricostruzione del treno di ingranaggi che, secon­
do Price, avrebbe riprodotto la velocità media di rivoluzione della luna
intorno allo zodiaco e presentava anche una versione corretta del treno
del calendario lunare che conduceva al quadrante superiore del pannello
posteriore. Tuttavia, una nuova ricostruzione del treno collegato ai qua­
dranti inferiori del pannello posteriore, principalmente opera di Freeth,
postulava la mancanza di un ingranaggio su uno degli assi del treno
del calendario lunare: questo unico ingranaggio, attivando l'ingranaggio
piattaforma tramite la serie di denti che Wright non aveva sfruttato,
avrebbe fatto in modo che i quadranti collegati agli ingranaggi inferiori
rappresentassero una serie di cicli che in antichità erano utilizzati per
prevedere le eclissi. La validità di questa ricostruzione fu confermata
dalla misurazione delle unità in cui era suddiviso il quadrante a spirale
inferiore: analogamente a quanto Wright aveva fatto con il quadran­
te superiore, si osservò che quello inferiore era formato da un numero
adeguato di caselle. Inoltre, si dimostrò che l'ingranaggio-piattaforma
ruota va con la velocità di rotazione dell'apogeo lunare intorno alla terra.
La funzione del sistema epicicloidale, invece, era quella di introdurre una
variazione di velocità nella rivoluzione zodiacale della luna, un fenome­
no causato dall'eccentricità della sua orbita.
L'articolo pubblicato dall'AMRP nel 2006 integra le idee di que­
sto gruppo di ricerca con quelle di Price e Wright: perciò, con la sola
eccezione di una modifica marginale, lo schema di ingranaggi che vi
viene proposto costituisce ormai la ricostruzione del meccanismo più
o meno universalmente accettata, almeno per quanto riguarda la rap­
presentazione delle funzioni legate ai movimenti del sole e della luna.78
Wright si dichiarò subito convinto dalla nuova ricostruzione e modificò
di conseguenza il proprio modello fisico per dimostrare che lo schema
aggiornato poteva funzionare anche nella pratica.79 Il consenso della
comunità scientifica si fonda su prove eccezionalmente solide: l'eviden­
za fisica rappresentata dagli ingranaggi superstiti, le "etichette" iscritte
su tutte le scale dei quadranti, la nostra conoscenza indipendente delle
teorie astronomiche degli antichi. Per di più, la nuova ricostruzione è
particolarmente notevole perché comprende tutti gli ingranaggi super­
stiti, ad eccezione di un caso isolato presente nel frammento D. Inoltre,
questo schema presuppone il restauro di un numero limitato di ingra-
LE INDAGINI 57

naggi, perlopiù su assi conosciuti e visibilmente danneggiati, collocati


nell'area dei quadranti superiori del pannello posteriore, nello spazio
fra i frammenti A e B.
Presentando nuove trascrizioni di tre dei testi più lunghi, l'articolo
del 2006 dimostrò anche il potenziale del Reflectance Transformation
Imaging e della tomografia computerizzata per la lettura delle iscrizio­
ni/9 Le trascrizioni furono presentate come un "work in progress ". In
effetti, anche se l'estensione del testo decifrato era decisamente maggiore
rispetto alle versioni presentate in Gears far the Greeks (le quali, se ben
ricordiamo, erano state essenzialmente compilate da Stamiris a parti­
re dall'osservazione diretta ), rimanevano molte lacune, nonché lettere
problematiche o incerte. Era perciò possibile tradurre soltanto parole o
frasi sconnesse, fra cui però figuravano spesso termini significativi, che
richiamavano il lessico astronomico e meccanico greco.
Con la comparsa dell'articolo del 2006, il meccanismo fu al centro
di un'attenzione mediatica del tutto inedita. Una pubblicazione su "Na­
ture ", d'altronde, non è destinata soltanto ad attirare l'interesse degli
scienziati, ma anche quella dei giornalisti. Senza contare che l'idea di una
tecnologia all'avanguardia capace di svelare antichi segreti ha un fascino
universale. Si può dire che l'articolo abbia fornito una risposta definitiva
a una serie di domande che ci si era cominciati a porre con una certa se­
rietà a partire da Price: adesso sappiamo come gli ingranaggi superstiti,
eccetto quello del frammento G, fossero collegati fra loro e conosciamo
anche il significato dei quadranti cui tali ingranaggi conducevano.
Paradossalmente, da tutto ciò è derivata un'esplosione di nuove ri­
cerche e un'espansione della comunità dei ricercatori. Oltre a chiarire la
struttura degli ingranaggi, l'articolo del 2006 ha dimostrato che i dati
ottenuti dall' AMRP avrebbero potuto condurre a una migliore interpre­
tazione delle iscrizioni e a una conoscenza più approfondita dei dettagli
fisici e meccanici del meccanismo. Numerose pubblicazioni apparse negli
anni successivi hanno presentato nuove e più precise letture del testo
di specifiche iscrizioni, culminando in una serie dedicata all'edizione e
allo studio dell'intero corpus.80 Nello stesso periodo sono apparsi anche
lavori dedicati a diversi aspetti della costruzione dei quadranti esterni,
compresi le tecniche e gli strumenti impiegati. A partire da queste nuo­
ve informazioni sono state formulate proposte più circostanziate per
la ricostruzione delle parti perdute del meccanismo; si è anche iniziato
a investigare il suo rapporto con l'antica scienza astronomica, con le
pratiche calendriche e con il più ampio contesto culturale dell'epoca. I
prossimi capitoli sono in gran parte fondati su questi lavori più recenti.
3
Uno sguardo al meccanismo

All'inizio di questo libro ho invitato il lettore a immaginare che, nel


corso del suo sfortunato viaggio, il meccanismo fosse stato mostrato a
un passeggero del mercantile che lo trasportava. Immaginiamo adesso
di esaminarlo con i nostri occhi, per quanto possibile. Gli elementi più
importanti saranno rappresentati dai frammenti superstiti, ma di tanto
in tanto potremo rivolgerei alle parole di un testimone speciale. Que­
sto testimone non è altro che il testo iscritto sul cosiddetto coperchio
posteriore. Si tratta della lastra metallica che, durante i lunghi anni
trascorsi sott'acqua, è rimasta schiacciata contro il pannello posteriore
del meccanismo, su cui ha impresso un calco speculare delle proprie
iscrizioni, affascinando e confondendo i primi osservatori del reperto.
Possiamo ora leggere, anche se parzialmente, più di 50 linee della co­
siddetta iscrizione del coperchio posteriore (ICP), che si è rivelata una
descrizione sistematica delle caratteristiche esterne del meccanismo.1
Il punto ideale da cui partire è il lato del meccanismo che viene con­
venzionalmente chiamato pannello posteriore (figura 3.1 ). I frammenti
A, B, E e F ne hanno preservato circa un quarto, anche se è per lo più
nascosto da altri materiali. Questo pannello consisteva in una lastra
rettangolare di bronzo (la lastra posteriore) di 32 centimetri di altezza,
1 7 centimetri di larghezza e un millimetro e mezzo circa di spessore,
racchiusa su ogni lato da una cornice di legno di circa 4 millimetri di
spessore.2 La maggior parte della superficie della lastra era occupata da
quadranti; gli spazi liberi intorno ai bordi presentavano un testo le cui
lettere erano disposte in linee orizzontali. In tal modo non era possibile
confondere la parte superiore del meccanismo con quella inferiore.

l quadranti superiori del pannello posteriore


Due grandi quadranti a spirale dominavano rispettivamente la metà su­
periore e inferiore del pannello posteriore.3 Iniziamo a esaminare il qua-
60 CAPITOLO 3

drante superiore, che costituisce circa un terzo di quanto è sopravvissuto


del frammento B (figure M3 e M4) . Per semplicità, d'ora in avanti asse­
gneremo un nome diverso a ciascuno dei quadranti che incontreremo,
anche se le ragioni della scelta emergeranno soltanto dopo. Perciò, d'ora
in poi il quadrante superiore sarà definito quadrante metonico (figura
3 .2). La sua struttura era davvero inusuale e presentava due centri di­
stinti. Poiché uno dei due era la sede dell'asse o albero cui era fissato
il puntatore del quadrante, d'ora in poi lo definiremo centro assiale.
Quest'ultimo era collocato a metà strada fra le estremità destra e sinistra
della lastra e si trovava a un quarto dell'altezza della lastra stessa, a par­
tire dal suo margine superiore. L'altro era un centro secondario, situato

o Centro secondario
o Centro assiale

Figura 3.2. La struttura geometrica del quadrante metonico. Il centro dei semi­
cerchi neri a destra è il centro assiale, mentre quello dei semicerchi grigi a sinistra
è il centro secondario, collocato leggermente al di sopra del centro assiale. Tutte
le suddivisioni della scala sono collocate lungo raggi che attraversano il centro
assiale.
UNO SGUARDO AL MECCANISMO 61

direttamente al di sopra del centro assiale, a una distanza di circa 3 mm.


Il lato destro del quadrante presentava una serie di cinque scanalature
semicircolari concentriche, dall'ampiezza di circa un millimetro, incise
attraverso la superficie della lastra: il loro centro coincideva con il cen­
tro assiale e il loro raggio variava da 44 a 73 mm circa. Sul lato sinistro
c'era un'altra serie di scanalature semicircolari concentriche, tracciate a
partire dal centro secondario. I raggi erano concepiti in modo tale che,
se si iniziava a tracciare il profilo del semicerchio più interno della parte
sinistra cominciando dalla sua estremità inferiore e proseguendo in sen­
so orario, si finiva per giungere, senza interruzione, al semicerchio più
interno della parte destra, e così via fino a compiere cinque giri completi,
che si concludevano proprio al di sotto del punto di partenza. Per impe­
dire che la lastra si deformasse, sulla sua faccia interna c'erano delle file
di ponti a forma di U, disposte lungo alcuni dei raggi, la cui funzione era
quella di connettere le due parti della lastra, a sinistra e a destra delle
scanalature: una di queste file si è conservata.
Generalmente, il puntatore di un quadrante non è altro che un og­
getto lungo e sottile fissato a un asse; lo si può paragonare a una frec­
cia la cui funzione è quella di indicare un punto preciso sulla scala del
quadrante. Il puntatore del quadrante metonico, però, era costituito da
un'asta a sezione rettangolare, sorretta da una coppia di cuscinetti per­
forati; questi ultimi si trovavano ai lati di un disco, montato sull'asse in
modo tale che l'asta potesse scorrere avanti e indietro in senso radiale,
assumendo una lunghezza variabile. 4 La sua estremità esterna era dotata
di un perno rivolto verso il basso, il quale scorreva nella scanalatura
a spirale (il puntatore è rimasto intatto, ma è uscito dal suo supporto,
anch'esso parzialmente conservato). Sulla lastra posteriore era incisa
una scala, che correva lungo l'intera estensione del bordo esterno della
scanalatura. Quando l'asse ruotava, il perno seguiva la scanalatura e
l'estremità del puntatore poggiava sul punto corrispondente della scala.
Ogniqualvolta il puntatore arrivava alla fine della scanalatura, l'ope­
ratore doveva estrarre il perno e reinserirlo all'inizio della spirale per
iniziare il ciclo successivo.
Una serie di incisioni radiali divideva ogni anello della scala in 4 7 ca­
selle, che sottendevano angoli uguali rispetto al centro assiale: così, nono­
stante le caselle dell'estremità interna della spirale avessero un'area mol­
to inferiore rispetto a quelle più esterne, a ogni casella corrispondeva lo
stesso intervallo di rotazione del puntatore.5 Poiché la spirale era formata
da cinque giri, le caselle erano 235 in totale. All'interno di ciascuna, c'era
una piccola porzione di testo iscritto, due o tre brevi linee al massimo.
62 CAPITOLO 3

La direzione di lettura era in senso orario, cosicché le linee da leggere per


prime erano quelle più lontane dal centro assiale (figura 3.3 ).6 A partire
dalla prima casella (posta all'estremità interna della spirale), ogni 12 o 13
caselle ce n'era una la cui iscrizione iniziava con un simbolo a forma di L
che significava "anno", accompagnato da un numero da 1 a 1 9/ seguito
dal termine greco Phoinikaios. Ciascuna delle 1 1 o 12 caselle che comple­
tavano la sequenza conteneva un altro termine greco, appartenente a una
serie di 1 1 parole che si ripetevano uguali da una sequenza all'altra e com-

Figura 3.3. Dettaglio del quadrante metonico, in cui le iscrizioni del calendario
sono presentate in traduzione.
UNO SGUARDO AL MECCANISMO 63

parivano sempre nello stesso ordine: nelle sequenze di 12 caselle, ciascuna


parola compariva solo una volta, mentre nelle sequenze di 13 caselle una
delle parole appariva per due volte in due caselle consecutive.
Queste parole non erano altro che i nomi dei mesi del calendario lu­
nare: l'interezza della scala a spirale rappresentava una serie di 19 anni
lunari, che formavano un ciclo ricorrente. Le iscrizioni della lastra poste­
riore fornivano ulteriori informazioni riguardo a questo particolare siste­
ma calendrico. Lungo il bordo più interno della scanalatura a spirale, ogni
due o tre caselle compariva un simbolo numerico, inciso in senso radiale.8
Quando il puntatore indicava un mese collocato all'interno di una delle li­
nee radiali che si diramavano da uno di questi numeri, per contare i giorni
di quel mese era necessario saltare il numero in questione. Ad esempio, se
il puntatore si fermava sulla casella con l'iscrizione "anno 4, Phoinikaios",
la quale si trovava all'interno della linea radiale che si diramava a partire
dal numero 15, i giorni di quel mese dovevano essere contati da l a 14 e
poi da 1 6 a 30, saltando il 15. Così, anche se ogni mese era formalmente
costituito da 30 giorni, in realtà la metà ne aveva solo 29.
Quanto detto sopra può essere osservato o dedotto a partire dalle
sezioni del quadrante che sono state conservate dal frammento B, ma
è comunque interessante confrontare la nostra descrizione con quella
dell'iscrizione del coperchio posteriore (ICP). Quest'ultima sembra de­
dicare almeno 14 linee (Il. 2- 15) al quadrante metonico: una trattazione
decisamente lunga per un solo elemento, che probabilmente ne riflette la
natura inusuale e complessa. Ci rimangono solo brevi porzioni di queste
linee, ma il rapporto fra le frasi traducibili e il quadrante è ovvio:

. .. dalle divisioni . . . nell'intera spirale, 235 segmenti . . . e i giorni che


devono essere saltati . . . due supporti intorno a un disco . . . i suddetti
supporti, perforazioni . . . tracciato attraverso le perforazioni . . .

Dopo una serie di linee il cui stato di conservazione è troppo frammen­


tario per paterne ricavare granché, leggiamo:

[reinserire?] il perno nel punto da cui era stato estratto . . .

L'ICP prosegue con la descrizione di altri due quadranti:9

. . . due lancette le cui estremità percorrono . . . quattro [settori?]. Uno di


essi mostra . . . [l'altro mostra] ogni ciclo di 19 anni del ciclo di 76 anni . . .

Questi quadranti occupavano lo spazio più o meno circolare racchiuso


dalla spirale ed erano collocati uno a sinistra e l'altro a destra rispetto al
64 CAPITOLO 3

suo asse. Solo quello sulla destra si è conservato, ma è probabile che si so­
migliassero molto. Si trattava di piccoli cerchi incisi sulla lastra metallica
e divisi in quattro settori identici da diametri anch'essi incisi: il quadrante
superstite aveva un diametro complessivo di 2 cm e quello scomparso do­
veva avere dimensioni analoghe. Le lancette, che non si sono conservate,
dovevano essere abbastanza semplici e quasi aderenti alla superficie della
lastra, in modo da non ostacolare il puntatore del quadrante a spirale.
All'interno delle quattro sezioni del quadrante accessorio di destra era­
no incisi, in ordine antiorario e con l'estremità superiore diretta verso il
centro, i numeri l, 2, 3 e 4, ciascuno preceduto dal simbolo a forma di L che
stava per "anno".10 Questo quadrante contava gli anni in base a un ciclo
ricorrente di quattro anni. All'esterno dei quadranti delle quattro sezioni e
con lo stesso orientamento dei numeri, erano incisi i nomi di diversi festival
atletici che si svolgevano regolarmente in base ai cicli annuali corrisponden­
ti. Per tale ragione, d'ora in poi questo sarà per noi il quadrante dei Giochi.
Il quadrante di sinistra, che chiameremo quadrante callippico, era
dotato di una lancetta che ruotava in senso orario e, come dice l'ICP,
conteggiava cicli di 19 anni in relazione a un ciclo più esteso di 76 anni.
Così, ogni volta che il braccio estensibile del quadrante a spirale per­
correva l'intera estensione della spirale stessa, la lancetta del quadrante
accessorio di sinistra si spostava nella sezione successiva, in senso orario.
Non sappiamo come fossero etichettate le quattro sezioni che lo costitu­
ivano: forse con i numeri l, 2, 3 e 4, per mostrare il numero del ciclo in
corso, oppure con niente, 1 9, 38 e 57, per mostrare il numero di anni da
aggiungere a quello indicato sulla scala del quadrante a spirale.

I quadranti inferiori del pannello posteriore


Se si prende il quadrante metonico e lo si ruota di 1 80°, si ha il quadran­
te a spirale situato nella metà inferiore del pannello posteriore, chiamato
quadrante di Saros: l'unica differenza è che la scanalatura a spirale di
questo secondo quadrante è costituita da quattro giri e non cinque. I
frammenti A (figura M2 ), E ed F hanno conservato parte della scala, ma
il puntatore, che deve aver avuto lo stesso aspetto di quello del quadran­
te superiore, è andato perduto. La scala era suddivisa in 223 caselle che
sottendevano lo stesso angolo rispetto al centro assiale; poiché questa
cifra non è divisibile per quattro, le caselle di ciascun giro della spirale
non erano allineate a quelle dei giri adiacenti.U
Proprio come nel quadrante metonico, le caselle del quadrante di
Saros rappresentavano i mesi lunari, ma in questo caso non erano messi
UNO SGUARDO AL MECCANISMO 65

in relazione con i mesi e gli anni del calendario, bensì con le eclissi (figu­
ra 3.4). La maggior parte delle caselle non conteneva alcuna iscrizione.
Chi avesse letto la scala in senso orario a partire dal suo punto di inizio
(l'estremità interna della spirale), avrebbe visto quattro o cinque caselle
vuote seguite da una o due caselle contenenti brevi iscrizioni ricche di
abbreviazioni, le quali segnalavano che un'eclissi di sole o di luna (o di
entrambi) avrebbe potuto verificarsi in quel mese.12 Un'iscrizione tipo
potrebbe essere tradotta come segue: "luna, ora 6, E". Questa dicitura
si riferisce a una possibile eclissi lunare: l'ora indica il momento in cui
il sole e la luna sono in perfetta opposizione l'uno rispetto all'altra (os­
sia il momento in cui l'eclissi è esattamente a metà del proprio corso) ;
l a lettera è un segno d i rimando che rinviava a ulteriori informazioni
sull'eclissi, contenute nell'iscrizione della lastra posteriore (ILP, da non

Figura 3.4 Dettaglio del quadrante di Saros, in cui le iscrizioni delle eclissi sono
presentate in traduzione.
66 CAPITOLO 3

confondersi con l'ICP), cui torneremo fra poco. Questo quadrante si


fonda sul principio che i mesi lunari in cui potrebbero verificarsi delle
eclissi si ripetono secondo un ciclo di 223 mesi lunari, il che corrisponde
a poco più di 1 8 anni solari.
Lungo il margine interno del quadrante di Saros non erano iscritti né
lettere né numeri, a differenza dei "numeri dei giorni da saltare" che com­
parivano nel quadrante metonico. Sembra però che, proprio all'interno
della spirale, fossero incise quattro brevi linee radiali, le quali dividevano
ciascun giro della spirale in quattro parti uguali (soltanto una di queste
incisioni si è conservata). A quanto pare, quando il braccio estensibile era
allineato con una di queste incisioni, la luna si trovava nel punto di mag­
gior distanza dalla terra raggiungibile nella fase di plenilunio.13
All'interno della spirale e a destra del suo asse c'era un quadrante ac­
cessorio, grande quanto quelli collocati nella spirale superiore, chiamato
quadrante dell' Exeligmos.14 Era diviso in tre settori di uguali dimensio­
ni. All'interno di ciascun settore si potevano leggere le diciture seguenti,
disposte in senso orario e con l'estremità superiore orientata verso il
margine esterno del quadrante: niente, 8 e 16. La lancetta di questo qua­
drante avrebbe dovuto compiere un terzo di giro in senso orario ogni
volta che il braccio estensibile del quadrante inferiore a spirale avesse
completato un ciclo di 223 mesi lunari. Il principio alla base di questo
quadrante è che la durata media di 223 mesi lunari corrisponde a un
numero intero di giorni più otto ore. Di conseguenza, qualora il braccio
estensibile della spirale inferiore avesse indicato una casella che conte­
neva informazioni relative a un'eclissi, il quadrante accessorio avrebbe
segnalato, se necessario, quali multipli di otto andassero sommati all'ora
indicata nella casella.
L'ICP sembra dedicare ai quadranti inferiori una sezione di testo
molto più breve (l l. 20-24) rispetto a quella consacrata ai quadranti
superiori, forse perché non c'era bisogno di ripetere la descrizione della
spirale e del braccio estensibile. Questa parte dell'iscrizione si rivela
meno utile anche ai nostri fini. Tuttavia, ne possiamo ricavare l'espres­
sione "223 con quattro [?] ", il che ovviamente si riferisce alle 223
caselle in cui era suddivisa la scala e forse ai quattro giri della spirale
o ai quattro segni di divisione al suo interno, un probabile accenno a
qualche informazione ( le ore ? ) relativa alle eclissi. La lancetta la cui
" punta scorre " , menzionata in questa sezione dell'iscrizione, richiama
" le due lancette la cui punta scorre" che figuravano nell'estratto citato
sopra. L'uso del singolare sembra confermare l'assenza di un secondo
quadrante accessorio.
UNO S GUARDO AL MECCANISMO 67

La faccia posteriore come un tutto


I due quadranti a spirale arrivavano quasi a toccare i quattro margini della
lastra posteriore. Non è ancora del tutto chiaro in che modo le due spirali
si incontrassero al centro della lastra: le misurazioni suggeriscono che, se
le estremità delle due scanalature a spirale non si congiungevano l'una con
l'altra, perlomeno ci andavano molto vicino. In teoria, questo avrebbe po­
tuto causare una sovrapposizione delle loro rispettive scale graduate, ma
è probabile che, considerato che le caselle superiori della spirale inferiore
erano vuote, un eventuale congiungimento non avrebbe costituito un pro­
blema. Perciò, nelle ricostruzioni della faccia posteriore mostrate in questo
libro (ad esempio la figura 3 .l) le scanalature si uniscono.
L'aerea della lastra non occupata da quadranti era costituita da quat­
tro aree triangolari collocate negli angoli e da due aree triangolari situate
a metà dei due lati più lunghi. I frammenti E, A ed F hanno in parte
conservato il triangolo collocato a metà del lato destro e quello situato in
corrispondenza dell'angolo in basso a destra: vi si possono leggere parti
del testo che abbiamo già avuto occasione di menzionare, l'iscrizione
della lastra posteriore (ILP).15 È probabile che quest'iscrizione occupasse
tutti e sei gli spazi. Si tratta del testo complementare cui si riferivano le
lettere di rimando iscritte all'interno delle caselle del quadrante di Saros
e doveva contenere informazioni relative alle eclissi registrate nella spi­
rale, troppo estese per poter essere inserite nelle caselle.

L'impulso iniziale e i quadranti posteriori in movimento


A quanto sembra, la parte superiore, quella inferiore e le due laterali del
meccanismo erano di legno e sono scomparse lasciando solo poche tracce
(ora meno consistenti di quanto non lo fossero nel 1 902-1903, prima della
fase di restauro iniziale). L'impulso iniziale che attivava l'intero sistema di
ingranaggi era trasmesso da un asse che attraversava il meccanismo da de­
stra rispetto a un osservatore posto di fronte al pannello anteriore (figure
3.5 e 3.6). Probabilmente quest'asse terminava in una semplice manopola
attivata a mano oppure in una manovella, anche se l'uso di manovelle nei
macchinari greco-romani non è attestato.16 Un intero giro della manopola
in senso orario corrispondeva a 78 giorni, un numero che non sembra
avere alcun significato particolare. L'operatore non misurava il passaggio
del tempo contando i giri della manopola, ma osservando i quadranti.
Derek de Solla Price aveva proposto una possibilità alternativa: a suo
parere, il meccanismo non era attivato a mano, ma in maniera automati­
ca, ad esempio tramite l'impianto di un orologio ad acqua. In tal modo, i
68 CAPITOLO 3

Figura 3 .5. Frammento A-1 , vista laterale. Dall'estremità sinistra sporge verso
l'alto l'ingranaggio a dentatura frontale che, mettendo in moto il grande ingra­
naggio a raggi perpendicolari, azionava l'intero meccanismo (Planetario Adler,
© eredi di Derek de Solla Price) .

Figura 3.6. Frammento A-2, vista laterale. In primo piano, s i vede l a faccia ester­
na dell'ingranaggio a dentatura frontale; il suo asse doveva essere alloggiato
nella cavità di forma quadrata. Nella sezione centrale di questa immagine si può
anche vedere quanto fossero vicini i vari livelli di ingranaggi montati sulla lastra
di base (Planetario Adler, © eredi di Derek de Solla Price).
UNO SGUARDO AL MECCANISMO 69

suoi quadranti avrebbero mostrato i cicli cronologici e i fenomeni astro­


nomici in tempo realeY In accordo con la maggior parte degli esperti
del meccanismo, ritengo che questa ipotesi sia improbabile. Le tracce
della presenza di una cornice !ignea suggeriscono che si trattasse di un
dispositivo indipendente e, senza dubbio, portatile. Che il suo scopo pri­
mario fosse quello di calcolare o di istruire, la sua utilità consisteva nella
capacità di mostrare cicli temporali a un ritmo notevolmente accelerato.
Inoltre, il suo complesso e piuttosto inefficiente sistema di ingranaggi
avrebbe senza dubbio finito per incepparsi a intermittenza: un operatore
umano se ne sarebbe accorto e avrebbe immediatamente smesso di ruo­
tare la manopola per evitare che si verificassero danni interni.
Tutte le lancette della faccia posteriore ruotavano con moto unifor­
me e proporzionale al movimento in ingresso: in altri termini, una certa
rotazione della manopola faceva muovere una lancetta nella stessa dire­
zione e di un angolo pari a quello compiuto dalla manopola stessa, per­
lomeno per quanto consentito dalla precisione con cui il sistema interno
di ingranaggi era stato costruito. Su tutti i quadranti, con la sola eccezio­
ne di quello dei Giochi, il trascorrere del tempo era rappresentato da un
movimento in senso orario. Le iscrizioni sui quadranti erano deliberata­
mente orientate in modo tale che le lancette le percorressero seguendo la
direzione di lettura, ossia da sinistra a destra.
I movimenti delle lancette erano relativamente lenti: ci volevano circa
1 9 giri della manopola per far sì che la lancetta del quadrante dei Giochi
compisse una rivoluzione completa; circa 1 8 giri perché il braccio esten­
sibile del quadrante metonico completasse un unico giro della propria
spirale e quasi 90 giri per fargli attraversare l'intera scanalatura. Un giro
completo della lancetta del quadrante callippico avrebbe richiesto ben
350 giri della manopola. Quanto al quadrante di Saros, ci sarebbero
voluti più di 84 giri perché il suo braccio estensibile potesse attraversare
per intero la scanalatura a spirale. Infine, una rivoluzione completa del
quadrante dell'Exeligmos avrebbe richiesto più di 250 giri.
A causa delle scanalature a forma di spirale, l'operatore avrebbe
dovuto prestare molta attenzione al pannello posteriore, soprattutto
in occasione di un uso particolarmente prolungato. Immaginiamo, ad
esempio, che le lancette fossero state inizialmente impostate in modo
tale che i bracci estensibili dei quadranti metonico e di Saros fossero
entrambi collocati all'inizio delle proprie spirali (rispettivamente, sull'e­
stremità interna inferiore e sull'estremità interna superiore). L'operatore
avrebbe potuto continuare ad azionare il dispositivo fino a raggiungere
un numero di giri equivalente a circa 1 8 anni (si trattava più o meno di
70 CAPITOLO 3

60 rotazioni complete della manopola). A questo punto, però, avrebbe


dovuto aspettare con attenzione il momento in cui il braccio estensibile
di Saros avesse raggiunto il termine della propria spirale, in modo da col­
locarlo di nuovo all'inizio. Altri quattro giri della manopola avrebbero
condotto il braccio estensibile metonico alla fine della propria spirale, e
così via. Forzare il puntatore a proseguire oltre la fine della scanalatura
( facendo ruotare il meccanismo avanti o indietro nel tempo) avrebbe
potuto deformare o rompere alcune componenti.

Il quadrante anteriore
Se il pannello posteriore del meccanismo aveva cinque quadranti, ciascu­
no dotato della propria lancetta, quello anteriore (perlomeno a quanto ne
sappiamo) aveva un solo quadrante, provvisto di numerose lancette (figura
3.7). Questo quadrante era collocato su una lastra di forma quadrata, che
aveva quasi la stessa ampiezza di quella posteriore. L'estremità superiore
di questa lastra si trovava circa 7 cm più in basso rispetto alla sommità
della lastra posteriore, mentre la sua estremità inferiore era situata circa
8,5 cm più in alto rispetto alla base della lastra posteriore. Il centro della
lastra doveva essere occupato da un'apertura circolare con un diametro
di circa 13 cm, oppure da un elemento circolare di lastra concepito per
riempire questo spazio. Quest'ultimo era circondato da due scale graduate
concentriche a forma di anello, il cui perimetro esterno andava quasi a
toccare i quattro lati della lastra quadrata. Il frammento C ha conservato
circa un quarto della lastra insieme alle sue scale graduate (figura M5).
La scala graduata più interna era suddivisa in 12 settori da una serie
di tratti incisi sul metallo; inoltre, una serie di tacche più piccole divideva
ciascuno di questi settori in 30 ulteriori sottosezioni. Ogni settore recava al
proprio interno il nome greco di un segno zodiacale: i nomi dei segni erano
disposti in senso orario e la loro linea di base era orientata verso l'interno.
Di conseguenza, le sottosezioni rappresentavano i singoli gradi del cerchio
dell'eclittica (il percorso apparente di forma circolare che il sole compie an­
nualmente attraverso lo zodiaco).18 Inoltre, in corrispondenza dell'estremità
esterna di alcune delle tacche, erano incise singole lettere dell'alfabeto greco:
anche se disposte a intervalli irregolari, seguivano l'ordine alfabetico. D'ora
in avanti, questa componente sarà definita scala graduata dello zodiaco.
La scala graduata più esterna era ugualmente suddivisa in 12 settori di
uguali dimensioni, cui si aggiungeva un tredicesimo, di dimensioni inferio­
ri, che sottendeva un sesto dell'arco sotteso dai settori più grandi.19 Questi
ultimi erano suddivisi in 30 sottosezioni, mentre il settore più piccolo ne
U N O SGUARDO AL MECCANISMO 71

presentava soltanto cinque, per un totale di 365 sottosezioni nell'intera


scala graduata, a rappresentare i singoli giorni di un anno che ne contava
365. Come per il quadrante dello zodiaco, i vari settori presentavano delle
iscrizioni: questa volta, però, si trattava dei dodici mesi del calendario egi­
zio (che sarà descritto nel capitolo 4). D'ora in avanti, questa componente
sarà chiamata scala graduata del calendario egizio.

Figura 3.7. Struttura della lastra del quadrante centrale sul pannello anteriore, con
le lancette per il sole, la luna e i pianeti. Il profilo grigio indica la parte di lastra con­
servata dal frammento C. Anche il coperchio cilindrico che ospitava il dispositivo
di visualizzazione delle fasi lunari si è conservato sul frammento C, per quanto non
nella sua posizione originaria. Il più piccolo coperchio cilindrico collocato al cen­
tro è frutto di una congettura: avrebbe nascosto l'ingranaggio a dentatura frontale
che attivava il dispositivo per la visualizzazione delle fasi lunari (il quale occupava
una finestra circolare collocata sul cilindro più grande) e avrebbe potuto rappre­
sentare la terra nell'ambito di una cosmologia geocentrica. Gli elementi circolari di
colore grigio collocati negli angoli rappresentano le manopole dei fermi scorrevoli,
che consentivano di rimuovere la lastra dalla cornice di legno. I quattro elementi
grigi a forma di arco sono i fermi di fissaggio della scala del calendario egizio.
72 CAPITOLO 3

La scala del calendario egizio non era parte integrante della lastra
anteriore, ma era costituita da una lastra indipendente a forma di anello,
il cui spessore era pari alla metà di quello della lastra anteriore stessa:
era collocata in un solco a forma di anello situato sulla lastra principale,
in modo tale che la sua superficie risultasse perfettamente a filo con la
scala dello zodiaco e con l'intera lastra anteriore. Il solco circolare era a
propria volta attraversato da 365 fori e il retro della scala graduata del
calendario egizio doveva essere dotato di un piolo (probabilmente uno
soltanto), che poteva essere inserito all'interno di uno qualsiasi di questi
fori: ciò permetteva di impostare la scala graduata in 365 posizioni di­
verse rispetto a quella dello zodiaco (figura 3.8).20

Figura 3 . 8 . La lastra del quadrante centrale con l'anello della scala del calenda­
rio egizio, i cui fermi sono stati rimossi. Si può vedere il cerchio formato dai fori,
in uno dei quali andava inserito il piolo fissato al retro dell'anello del calendario.
I piccoli rettangoli neri rappresentano i fori praticati sulla lastra per potervi in­
serire la base dei fermi di fissaggio.
UNO SGUARDO AL MECCANISMO 73

La presenza di due diverse scale graduate - una delle quali misurava


la posizione o il movimento sull'eclittica in gradi, mentre l'altra misurava
il tempo in giorni - dipendeva dal fatto che qualsiasi data sul calendario
egizio poteva essere fatta coincidere, perlomeno in modo approssimativo,
con i gradi corrispondenti alla posizione del sole in quello stesso giorno.
La scala del calendario egizio era stata concepita in modo da poterne
aggiustare l'orientamento perché, come vedremo, l'anno del calendario
egizio non corrispondeva esattamente alla durata di una rivoluzione so­
lare intorno all'eclittica. Di conseguenza, doveva esserci una lancetta che
indicava la posizione del sole, anche se non ne è rimasta traccia .
A questo punto incontriamo un primo elemento di incertezza. Ab­
biamo visto che tutti i quadranti della faccia posteriore del meccani­
smo misurano cicli di tempo e che le loro lancette ruotavano con un
moto uniforme proporzionale all'impulso rotatorio iniziale. Eppure, gli
astronomi greci che vivevano all'epoca in cui il meccanismo fu costruito
sapevano che il movimento del sole lungo l'eclittica non ha velocità uni­
forme. Dobbiamo quindi immaginare che il sistema di ingranaggi fosse
stato concepito per fare in modo che la lancetta del sole si spostasse a
una velocità variabile? Se così fosse, sarebbe però stato impossibile im­
postare la scala del calendario egizio in modo tale che la lancetta solare
indicasse sempre con esattezza il mese e il giorno corrispondenti alla
posizione del sole. Nella migliore delle ipotesi, si sarebbe potuto limitare
il margine di errore a un massimo di due giorni (o 2°) in entrambi i sensi.
Perciò, in alcune ricostruzioni, il meccanismo è dotato di una lancetta
solare che si sposta con velocità non uniforme, mentre la lancetta della
data si sposta con la stessa velocità media, ma con moto uniforme.21
Nel capitolo 5, presenteremo una serie di prove a sostegno di un'ipotesi
alternativa: come vedremo, il progettista potrebbe essere riuscito a rap­
presentare sullo stesso quadrante movimenti non uniformi in intervalli
di tempo uniformi mediante un'unica lancetta.
È molto probabile che ci fosse anche una lancetta lunare, fissata al
bordo di un elemento cilindrico di altezza ridotta, vagamente simile al
coperchio di un barattolo: quest'ultimo era montato nel centro del qua­
drante e la sua velocità di rotazione rappresentava la rivoluzione della
luna intorno allo zodiaco.22 Questo elemento cilindrico, che abbiamo
già avuto occasione di menzionare nel capitolo 2 (p. 32), è ora attaccato
al frammento C-2 (figura M6), ben lontano dalla posizione centrale che
occupava in origine. Vicino al suo bordo, nel punto esatto da cui parti­
va la lancetta, c'era un foro circolare attraverso cui si poteva vedere la
parte superiore di una sfera dotata di un emisfero bianco e di uno nero.
74 CAPITOLO 3

Quando il disco e la lancetta giravano, anche la sfera iniziava a ruotare


in modo tale da riprodurre visivamente l'alternanza delle fasi lunari.
Per completare la nostra descrizione del quadrante, dobbiamo rivol­
gerei aii'ICP.23 Le prime linee sono in pessimo stato di conservazione, ma
a partire dalla linea 15 incontriamo una porzione di testo parzialmente
conservata che sembra proprio descrivere il qua drante e le sue lancette:

. . . la piccola sfera si sposta . . . piccola lancetta che se ne diparte . . . archi,


l'adiacente [?] . . . [la stella di Hermes] Luminoso [?] e la [piccola sfera?]
che lo percorre . . . [la stella di] Afrodite Portatrice di luce . . . l'arco della
Portatrice di luce . . . sulla lancetta c'è una piccola sfera d'oro . . . raggio
del sole e sopra il sole c'è un cerchio [ ? ] . . . la stella di Ares Ardente, e la
[piccola sfera ?] che lo attraversa . . . [la stella di] Zeus Splendente e la [pic-
cola sfera?] che [lo] attraversa . . . cerchio del[la stella di Crono] Lucente
e la piccola sfera . . .

In queste linee deii'ICP incontriamo, nell'ordine: Mercurio (probabil­


mente), Venere, il sole, Marte, Giove e Saturno. I pianeti sono indicati in
base a due sistemi che coesistevano nell'astronomia e astrologia greche:
uno utilizzava il nome degli dei del pantheon greco (Ermes = Mercurio,
Afrodite = Venere, Ares = Marte, Zeus = Giove, Crono = Saturno) e
l'altro impiegava aggettivi che ne descrivevano l'aspetto (il Luminoso
= Mercurio, la Portatrice di luce = Venere, l'Ardente = Marte, lo Splen­

dente = Giove, il Lucente = Saturno). È probabile che le prime frasi del


passo - forse precedute da una descrizione del dispositivo di visualizza­
zione delle fasi lunari - si riferiscano alla lancetta lunare. Il testo sembra
poi elencare un'altra serie di lancette, su ciascuna delle quali c'era una
piccola sfera: quest'ultima raffigurava il corpo celeste di cui ogni lancetta
riproduceva il movimento. Probabilmente le sfere erano caratterizzate
da colori diversi; pare anche che fossero tutte collocate a diverse distanze
rispetto al centro del quadrante: così, l'osservatore le avrebbe viste per­
correre la traiettoria circolare appartenente al corpo celeste rappresenta­
to. Sembra perciò che ci fossero sette o otto lancette in totale, a seconda
che la scala del calendario egizio avesse o meno una propria lancetta
della data. Tutte le lancette, a esclusione di quella lunare, partivano da
sotto il disco che mostrava le fasi lunari.
Dagli ingranaggi che si sono conservati sappiamo che il movimento
della lancetta lunare non era uniforme: ciò significa che, in corrispondenza
di rotazioni identiche della manopola, la lancetta lunare si sarebbe tal­
volta spostata di un arco maggiore e talaltra di un arco inferiore.24 Come
vedremo nel capitolo 7, è quasi certo che anche le lancette dei pianeti si
UNO SGUARDO AL MECCANISMO 75

muovessero in modo non uniforme. In questo caso, però, l'effetto era più
spettacolare perché, oltre ai cambi di velocità, si sarebbero potuti vedere
anche cambi di direzione. Le lancette del quadrante anteriore si muoveva­
no perlopiù in senso orario, il che corrispondeva a un movimento da ovest
a est attraverso lo zodiaco. Tuttavia, ciascuna lancetta planetaria alterna­
va lunghi intervalli in cui si spostava in senso orario (moto diretto) a in­
tervalli più brevi in cui si muoveva in senso antiorario (moto retrogrado).
I movimenti rappresentati dal quadrante anteriore avevano un ritmo
più veloce rispetto a quelli illustrati dai quadranti posteriori. Un solo giro
della manopola avrebbe prodotto tre giri quasi completi della lancetta lu­
nare, mentre sarebbero bastate meno di cinque rotazioni per far compiere
un intero giro dello zodiaco alle lancette del sole, di Mercurio e di Venere.
A ogni giro e mezzo della manopola, si sarebbe vista la lancetta di Mercu­
rio passare dal senso orario a quello antiorario e viceversa. Il movimento
più lento sarebbe stato sicuramente quello di Saturno, che avrebbe dato
l'impressione di avanzare per piccole oscillazioni, richiedendo circa 1 40
rotazioni della manopola prima di completare un giro del quadrante. Ma
anche così, sarebbe risultato più veloce delle lancette di due dei quadranti
sussidiari posti sul retro, il quadrante dell'Exeligmos e quello callippico.
Il fatto che la lastra del quadrante anteriore fosse alta circa la metà
della lastra posteriore suscita alcuni interrogativi riguardo all'aspetto del
pannello anteriore del meccanismo e, più in generale, riguardo alla forma
dell'intero dispositivo. Le prime fotografie di A-1 a noi note mostrano le
tracce di una cornice di legno alta appena a sufficienza da poter racchiude­
re il sistema di ingranaggi, ma comunque leggermente più alta della lastra
del quadrante anteriore. Se questa cornice avesse rappresentato l'involu­
cro esterno del meccanismo, allora la lastra posteriore ne sarebbe fuoriu­
scita sia da sopra sia da sotto e sarebbe stata dotata di una propria cornice
più grande e meno spessa. Una ricostruzione di questo tipo fu proposta da
Price nel 1 959 ed è stata recentemente ripresa dai modelli di Wright.25 L'a­
spetto negativo di questa ipotesi è che il meccanismo sarebbe potuto stare
diritto soltanto se lo si fosse sospeso in qualche modo o se si fosse aggiun­
to un supporto supplementare alla parte anteriore. In alternativa, si può
pensare a una doppia cornice, con una scatola interna che racchiudeva il
sistema di ingranaggi e che era a propria volta racchiusa da una cornice
più alta, di dimensioni pari a quelle della lastra posteriore. In questo caso,
il pannello anteriore avrebbe presentato ampie aree rettangolari libere al
di sopra e al di sotto del quadrante.
Si dà il caso che siano stati ritrovati proprio i resti di due lastre dotate
di iscrizioni, in parte saldati al frammento C e in parte sotto forma di
76 CAPITOLO 3

piccoli frammenti separati: le loro dimensioni sono tali da poter occupa­


re alla perfezione gli ipotetici spazi rettangolari summenzionati.26 Il testo
di queste lastre aveva, rispetto al quadrante anteriore, la stessa funzio­
ne dell'ILP rispetto al quadrante di Saros. Abbiamo già detto che, sulla
scala graduata dello zodiaco, sono incise, a intervalli irregolari, delle
lettere greche disposte in ordine alfabetico. Tali lettere collegano le tac­
che dei gradi corrispondenti a linee precise del testo contenuto nelle due
lastre rettangolari (la cosiddetta iscrizione del parapegma ). Questo testo
consiste in una lista di stelle e costellazioni che diventano visibili per la
prima o l'ultima volta nel cielo mattutino o serale quando la lancetta
solare indica la lettera che corrisponde a ciascuna di esse. 27 Nella rico­
struzione del pannello frontale che Price realizzò nel 1 974, queste lastre
sono inserite al di sopra e al di sotto del quadrante, cosicché la forma
globale del meccanismo assomiglia a quella di una semplice scatola. Con
l'eccezione di quella di Wright, quasi tutte le ricostruzioni, concettuali
o materiali che siano, adottano questa forma (figura 3.9). Adesso dispo­
niamo di prove concrete a sostegno della sua correttezza. Mi riferisco in
particolare a un cuscinetto, collocato sul retro di una delle iscrizioni del
parapegma, vicino alla sua estremità inferiore, la cui funzione era quella
di ospitare il chiavistello di uno dei due fermi scorrevoli collocati sulla
lastra del quadrante.28
La distanza fra il pannello anteriore e quello posteriore è incerta e
dipende dal numero di ingranaggi che si ritiene fossero stati collocati
davanti al frammento A per azionare le lancette dei pianeti. In ogni caso,
non può essere stata inferiore ai 10 cm. Sfortunatamente, non si sa se
il frammento C-2, che costituiva parte del retro del pannello anteriore
del meccanismo, fosse in contatto con A- 1 . Price credeva di aver trovato
un modo convincente per farli combaciare, ma Wright sostiene che non
ci sono prove visibili a supporto di una connessione diretta. Comunque
sia, le operazioni di pulizia delle superfici hanno complicato ulterior­
mente le cose. 29
Nella nostra ricostruzione dell'esterno del meccanismo, non abbia­
mo ancora assegnato una posizione precisa a due lastre iscritte, gene­
ralmente conosciute come "coperchi " . Una di queste non è altro che la
lastra su cui compare l'ICP. Si sono conservati solo piccoli frammenti
della lastra vera e propria, ma le impronte speculari delle sue iscrizioni,
le quali ricoprono gran parte di B- 1 , A-2 ed E- 1 , mostrano che essa
aveva le stesse dimensioni della lastra posteriore, contro cui poggiava
con la superficie iscritta rivolta verso l'interno. L'altro coperchio, che è
conservato dal frammento G, da numerosi piccoli frammenti di lastra
UNO SGUARDO AL MECCANISMO 77

e da varie impronte speculari, contiene la cosiddetta iscrizione del co­


perchio anteriore (ICA ) . Quando fu ritrovata nel 1 902, era saldata al
lato anteriore di C- 1 , con la superficie iscritta rivolta verso l'esterno; le
sue dimensioni originali dovevano essere equivalenti a quelle della la­
stra quadrata del quadrante anteriore. 30 Price ipotizzò che queste lastre
fungessero da vere e proprie porte e che fossero incardinate ai pannelli
anteriore e posteriore del meccanismo.31 Più recentemente, gli studio­
si hanno preferito denominarle coperchi. Non sono rimaste tracce di
alcun sistema di collegamento fra la lastra contenente l'ICA e il resto
del meccanismo. Forse la cosa migliore è ammettere che non sappiamo
come queste lastre dovessero essere usate. I testi avevano evidentemen­
te lo scopo di aiutare l'osservatore del meccanismo a capire quello che
vedeva: l'ICP identificava i quadranti e l'ICA riassumeva i fenomeni
astrologici da essi simulati.

Figura 3.9. Ricostruzione dell'esterno del meccanismo, visto in prospettiva. Le


linee grigie indicano la posizione dell'iscrizione del parapegma sul pannello an­
teriore, nonché quella dell'iscrizione della lastra posteriore sul retro. Il contenuto
dei quadranti a spirale è stato omesso.
4
Calendari e giochi

Il significato di un calendario greco


Situata vicino alla moderna Cattedrale nel quartiere ateniese della Plaka,
la cosiddetta Piccola Cattedrale (Mikri Mitropoli) non è soltanto un edi­
ficio dal peculiare fascino architettonico, ma è anche un museo di scul­
ture, risalenti a un periodo che va dall'antichità fino all'epoca bizantina
(figura 4 . 1 ) . Conosciuta anche CC!n il nome di Agios Eleftherios e come
Chiesa della Panagia Gorgoepikoos, "la Vergine che è rapida all'ascol­
to", viene spesso fatta risalire al XII o XIII secolo, anche se, in base a
prove recenti, sembra più probabile che sia stata costruita fra il 1 436 e il
1458, quando Atene era sotto il dominio fiorentino.1 Le sue mura erano
composte da spolia, pietre provenienti da antichi monumenti e riutiliz­
zate, molte delle quali recavano fregi o iscrizioni. Uno degli esempi più
interessanti è rappresentato da un fregio di marmo pentelico collocato al
di sopra dell'entrata principale e costituito da due blocchi, uno dei quali
è stato ridimensionato per adeguarlo alla nuova destinazione. Origina­
riamente, però, i due pezzi dovevano occupare insieme circa 6 metri di
larghezza e mezzo metro di altezza .2 L'epoca in cui il fregio fu realizzato
è incerta: le stime finora proposte vanno dall'epoca ellenistica fino al II
secolo d.C. o anche oltre. È possibile che fosse stato concepito per sovra­
stare un cancello oppure un arco.
Il fregio presenta una composizione disarticolata di figure umane e
animali che non sembrano avere alcun rapporto le une con le altre; al
massimo, formano piccoli gruppi impegnati in un'attività comune. Fra
loro, tuttavia, sono disseminate raffigurazioni delle costellazioni zodiacali,
rappresentate proprio nell'ordine in cui il sole le incontra nel corso del suo
viaggio attraverso lo zodiaco. Ispirato da questo indizio, nel 1 865 l'arche­
ologo e architetto tedesco Karl Botticher ipotizzò che il fregio fosse una
rappresentazione dell'antico calendario di Atene, in cui le figure non legate
allo zodiaco avrebbero rappresentato i mesi e le diverse feste religiose.3 A
CALENDARI E GIOCHI 79

Figura 4 . 1 . La Mikri Mitropoli di Atene, in una fotografia dell'inizio del XX se­


colo. Il fregio del calendario corre lungo la maggior parte dell'edificio, immedia­
tamente al di sotto del cornicione (Deutsches Archiiologisches lnstitut, negativo
D-DAI-ATH-Athen Bauten 133; tutti i diritti riservati).

oggi, l'intuizione di Botticher è stata definitivamente confermata, anche se


l'identificazione delle singole figure rimane ancora incerta.
Un segmento del fregio, tratto dalla sezione relativa alla fine dell'au­
tunno e all'inizio dell'inverno, è sufficiente a dare un'idea dell'intera com­
posizione (figura 4.2). L'osservatore deve " leggere" il fregio da sinistra
a destra e molte delle figure sono rappresentate frontalmente o mentre si
dirigono verso destra . Come prima cosa, dunque, vediamo un centauro
con arco e frecce: si tratta del Sagittario. Un uomo barbuto che indossa
un paio di stivali e un mantello pesante rappresenta un mese ateniese,
Posideone, il quale coincide più o meno con il passaggio del sole at­
traverso la costellazione del Sagittario ( novembre-dicembre). Ogni mese
del calendario è caratterizzato da una personificazione maschile simile
a questa. Subito accanto, si vede una figura femminile che rappresenta
una specifica festa religiosa: l'osservatore l'avrebbe identificata in base
all'immagine successiva, una lotta fra galli che si svolge davanti a tre
giudici seduti a un tavolo (per noi non è chiaro di quale festa si trattasse) .
80 CAPITOLO 4

Figura 4.2. Il fregio del calendario della Mikri Mitropoli: i mesi Posideone e
Gamelione (fotografia di Alexander Jones).

Seguono la raffigurazione del Capricorno, una capra dalla coda di pesce,


e la personificazione del mese di Gamelione. Di fronte a Gamelione, un
ragazzo, il giovane Dioniso, cavalca una capra brandendo un tirso (il ca­
ratteristico bastone del dio): si tratta dell'emblema di un festival ateniese
celebrato in onore di Dioniso durante il mese di Gamelione, le Lenee.
Ma qual era il significato del calendario per i Greci? Se il fregio della
Piccola Cattedrale risponde a questa domanda in forma figurata, Gemi­
no, un autore del I secolo a.C., lo fa a parole. Nella sua Introduzione
ai fenomeni (astronomici), Gemino scrive che i Greci erano esortati da
leggi e oracoli a "celebrare sacrifici alla maniera dei loro padri ", un'in­
giunzione che, a quanto pare, veniva interpretata come un invito a strut­
turare gli anni in base al sole e i mesi in base alla luna. 4 Il succo del
racconto di Gemino è che il calendario era, prima di ogni altra cosa, un
inquadramento temporale della religione pubblica, costruito intorno ai
cicli del sole - cosa che il fregio rendeva evidente tramite la rappresenta­
zione dei segni zodiacali - e della luna.
CALENDARI E GIOCHI 81

Rappresentazioni figurate d i calendari greci come quella del fregio


della Piccola Cattedrale sono molto rare. Tuttavia, lo stretto legame
fra calendario e culto è rappresentato in modo diverso ma ugualmente
vivido in un genere di iscrizioni note con il nome di "calendari sacri­
ficali " , che specificano con grande precisione le offerte da presentarsi
durante le feste celebrate in ogni mese dell'anno. L'estratto seguente
proviene da un' iscrizione del V secolo a.C., realizzata dalla comuni­
tà del Torico, nell'Attica meridionale (lnscriptiones Graecae [IG] P
25 6bis, Il. 1 3-24 ). Si riferisce ai sacrifici per una festa in onore di
Demetra, le Proerosie ( "pre-aratura" ), che veniva celebrata alla fine
dell'estate. Si tratta di un caso tipico:5

Boedromione: le Proerosie; per Zeus Polieo, una pecora scelta, un maiali­


no scelto; ad Automene [?], un porcellino comprato, da bruciarsi intero;
il sacerdote deve procurare il pranzo al suo assistente; per Cefalo, una
pecora scelta; per Procri, un tavolo, per Torico, una pecora scelta; per le
Eroine di Torico, un tavolo; a Sunio, per Poseidone, un agnello scelto;
per Apollo, un giovane caprone scelto; per Curotrofo, un maialino scelto;
per Demetra, una vittima adulta; per Zeus Erceo, una vittima adulta; per
Curotrofo, un maialino; alle saline, per Poseidone, una vittima adulta;
per Apollo, un maialino.

Il capitolo che Gemino dedica a questi argomenti, intitolato "Sui mesi ",
documenta un fatto curioso: i Greci non avevano nessuna parola che cor­
rispondesse al nostro "calendario". Quando parliamo, per esempio, del
calendario di Atene, raggruppiamo una serie di convenzioni culturali che
erano associate nella pratica, ma che i Greci non sembravano concepire
come un insieme coerente da un punto di vista concettuale. Tali conven­
zioni includevano definizioni come "quando inizia il giorno" o "quando
inizia l'anno" , nonché il modo in cui i giorni, i mesi e gli anni venivano
denominati. A questo inquadramento strutturale venivano sovrapposte le
varie date assegnate a ciascuna festività. Spesso, le feste e la struttura del
calendario erano strettamente interconnesse: da un lato, alcuni mesi pren­
devano il nome dalle feste che li contraddistinguevano; dall'altro, alcune
feste erano associate a eventi stagionali come l'aratura autunnale.6
Naturalmente, sia nella vita pubblica che in quella privata, il calen­
dario aveva altre funzioni oltre a quella di scandire le attività legate al
culto. In questo senso, è possibile distinguere fra due diversi usi del ca­
lendario. Da una parte, aveva una funzione prescrittiva: stabiliva cioè
l'ordine e la tempistica degli eventi ricorrenti. Le feste celebrate in giorni
82 CAPITOLO 4

precisi di mesi precisi sono l'esempio più evidente, ma si potevano an­


che fissare date che scandissero l'inizio dei diversi periodi amministrativi
nell'ambito di un governo locale. Era inoltre possibile che i mercati aves­
sero luogo in un giorno specifico di ciascun mese e che gli interessi sui
prestiti fossero calcolati su base mensile. D'altro canto, anche leggi, trat­
tati e contratti privati potevano essere datati in base a un calendario. In
questi casi, si faceva riferimento a un giorno specifico in un mese e anno
specifici e la data in questione doveva essere indicata senza ambiguità.
Ciò significa che era necessario disporre di un metodo per distinguere o
denominare sia i singoli anni sia le loro ripartizioni in unità più piccole.
Più raramente, il calendario poteva anche essere utilizzato per misura­
re intervalli di tempo. Questa necessità si presentava nel caso di contratti
e accordi a tempo determinato, oppure quando si trattava di stabilire
l'età degli individui. Per scopi simili, aveva poca importanza che le unità
di tempo utilizzate avessero durata costante o variabile. Nel mondo con­
temporaneo, quando calcoliamo l'età di una persona, non ci interessa
sapere quanti anni bisestili ci siano stati a partire dalla sua nascita. Allo
stesso modo, stipuliamo contratti stabilendo pagamenti mensili, senza
preoccuparci del fatto che alcuni mesi sono più lunghi di altri. Le cose
andavano più o meno nello stesso modo anche nell'antichità. L'ignoto
autore dell'Economico, un'opera erroneamente attribuita ad Aristotele,
riteneva tanto singolare da meritare di essere ricordato il comportamen­
to del generale mercenario Memnone di Rodi, che tratteneva sei giorni di
paga all'anno ai propri soldati con il pretesto che la metà dei mesi aveva
29 giorni e non 30.7
Un calendario era un'istituzione locale. Quasi ogni città greca dotata
di una qualche importanza aveva il proprio calendario, il quale rifletteva
e regolava le istituzioni civiche e religiose della comunità. Tutti questi
calendari si basavano su una serie di principi fondamentali: i mesi erano
almeno nominalmente legati alle fasi del ciclo lunare, mentre gli anni di­
pendevano dal ciclo delle stagioni. I dettagli, però, variavano da un luo­
go all'altro. Ogni calendario disponeva di un diverso repertorio di nomi
per i mesi ed esistevano anche vari sistemi di denominazione per i giorni
del mese.8 Non c'era accordo quanto alla stagione a partire da cui l'an­
no avrebbe dovuto iniziare e gli anni erano generalmente identificati in
base ai nomi dei magistrati o dei sacerdoti in carica in quel periodo. La
diversità dei calendari non era semplicemente frutto del caso. Il fatto che
alcune città adottassero gli stessi nomi per i mesi era spesso un indicatore
di affinità reale o percepita fra le comunità interessate. In altri casi, il do­
minio politico o culturale di una città poteva tradursi nell'adozione del
CALENDARI E GIOCHI 83

suo calendario da parte delle popolazioni vicine. Come regola generale,


tuttavia, uno straniero in visita in una città sconosciuta si sarebbe proba­
bilmente imbattuto in sistemi di datazione a lui poco familiari.
Una delle conseguenze di questa profusione di calendari è che spes­
so abbiamo informazioni molto limitate riguardo ai calendari di località
specifiche. La nostra fonte principale sono le date presenti nelle iscrizioni
archeologiche conservate. A volte ne sopravvivono abbastanza da fornirci
una lista completa dei nomi dei mesi, mentre in altre circostanze ne rica­
viamo soltanto uno o due: tutto dipende dal caso. Solo in rare occasioni,
poi, otteniamo prove dirette per ricostruire l'ordine dei mesi o per stabilire
a quale periodo dell'anno corrispondessero. La nostra ignoranza è ancora
più grande quando si tratta di capire come venissero effettuate le decisioni
quotidiane e mensili necessarie alla gestione del calendario.
Il moderno calendario gregoriano non richiede continue decisioni:
è costituito da una serie di regole che determinano il numero dei giorni
per ogni mese di ogni anno, in modo tale che i mesi corrispondano pre­
cisamente alle stesse stagioni naturali per molti secoli. Qualsiasi giovane
studente può imparare queste regole e usarle per situare nel calendario
qualsiasi data futura. Ma anche i calendari greci avevano un simile livel­
lo di prevedibilità? A quanto sembra, il meccanismo di Anticitera pre­
senta gran parte degli elementi necessari per rispondere a questa doman­
da, fornendo anche informazioni relative al luogo in cui fu realizzato e
alla persona che lo commissionò.
Prima di trattare questi argomenti, però, è utile iniziare a esporre al­
cune delle proprietà generali dei calendari greci ormai accertate, nonché
qualche elemento più incerto. I calendari greci appartenevano a un tipo di
calendari chiamati lunisolari. Ciò significa che la successione dei giorni era
suddivisa in mesi il cui inizio corrispondeva (o era prossimo) a una certa
fase della luna. A loro volta, gli anni comprendevano una serie di mesi
completi, in modo tale che l'inizio dell'anno del calendario coincidesse
sempre con la stessa stagione. Qualsiasi stagione poteva segnare l'inizio
dell'anno in un calendario greco; sembra invece che in tutti i calendari
l'inizio del mese cadesse in prossimità della congiunzione della luna con il
sole (si tratta dell'intervallo di circa due giorni che separa il mattino in cui
la luna calante è visibile per l'ultima volta e la sera in cui la luna crescente
è visìbile per la prima volta). Generalmente, si suppone che la comparsa
del primo quarto di luna crescente - ossia il primo avvistamento della pur
sottile luna crescente subito dopo il tramonto, un fenomeno che si verifica
circa un giorno dopo la congiunzione- fosse almeno nominalmente l'e­
vento che determinava l'inizio del mese in tutti i calendari greci.
84 CAPITOLO 4

Nonostante adottassero diversi sistemi di denominazione e facessero


iniziare l'anno in momenti diversi, i calendari lunisolari greci avevano
tutti, perlomeno in principio, una struttura comune, determinata da
eventi astronomici basilari. Consideriamo un ipotetico calendario in cui
l'inizio di ciascun mese cade il giorno successivo all'osservazione del pri­
mo quarto di luna crescente, mentre l'anno inizia con il mese immedia­
tamente seguente all'osservazione del solstizio d'estate. L'adozione di un
calendario di questo genere comporterebbe la scelta di individui in grado
di compiere le osservazioni necessarie, nonché l'elaborazione di metodi
specifici per lo svolgimento delle osservazioni e per la loro descrizione.
Senza contare che la regolarità del calendario sarebbe influenzata dalle
condizioni meteorologiche e dall'errore umano.
Per semplificare le cose, immaginiamo che le condizioni meteoro­
logiche siano sempre favorevoli e che gli osservatori abbiano sempre
la stessa acuità visiva. In simili condizioni, ogni mese avrebbe 29 o 30
giorni, seguendo un andamento irregolare ma con una media a lungo
termine di circa 29,53 giorni. In altre parole, i mesi di 30 giorni (definiti
"pieni " ) sarebbero leggermente più numerosi dei mesi di 29 giorni (de­
finiti "vuoti "). Allo stesso tempo, l'intervallo di tempo fra due solstizi
d'estate successivi sarà sempre di 365 o 366 giorni, con una media a
lungo termine di circa 365,24 giorni. Pertanto, un anno di 366 giorni se­
guirà quasi sempre tre anni successivi di 365 giorni. Un anno completo
del calendario è costituito da tutti i mesi che iniziano in corrispondenza
con le osservazioni del primo quarto di luna crescente fra l 'osservazio­
ne di un solstizio d'estate e il successivo: in alcuni casi i mesi saranno
1 2, in altri 1 3, con una media a lungo termine di circa 1 2,368 mesi
all'anno (365,24/29,53 mesi). Così uno o due anni di 12 mesi (chiamati
" ordinari " ) saranno sempre seguiti da un anno di 13 mesi (chiamato
"intercalare " ) .
S e adesso passiamo alle testimonianze relative a i calendari greci re­
almente esistiti, scopriremo che il loro funzionamento era ampiamente
compatibile con quello del nostro ipotetico calendario fondato sull'os­
servazione. A quanto sembra, infatti, i mesi erano sempre di 29 o 30
giorni e gli anni erano formati da 1 2 o 13 mesi. Per la precisione, per
assegnare i nomi ai giorni del mese non si faceva che contare fino a 29
o 30 a seconda delle necessità, oppure si prendeva un mese di 30 giorni
come base di riferimento e si prevedeva la possibilità di saltare un giorno
se il mese era vuoto. Ai mesi erano assegnati 12 nomi secondo un ordine
fisso; uno di questi mesi veniva ripetuto per formare un anno di 13 mesi.
Di solito, il mese ripetuto aveva lo stesso nome del precedente, cui si
CALENDARI E GIOCHI 85

aggiungeva la denominazione supplementare di "secondo" o "inserito" :


questi mesi aggiuntivi vengono definiti intercalari.
Quando era necessario indicare in quale anno si fosse verificato un
determinato evento, la prassi più diffusa nelle città greche era quella di
identificarlo tramite il nome della persona che aveva rivestito una cer­
ta carica pubblica annuale durante il periodo interessato. Ad esempio,
a Mileto si designava ogni anno con il nome dello stephanephoros at­
tuale {letteralmente, "portatore di corona " : si trattava di un magistrato
che aveva, almeno formalmente, il diritto di indossare una corona). Ad
Atene, invece, si utilizzava il nome dell'arconte eponimo {letteralmente
"il magistrato che dà il nome all'anno" ) , da solo o insieme a quello
del grammateus ( "segretario"). Ovviamente, questa pratica non poteva
essere applicata in anticipo agli anni a venire e non forniva alcuna in­
formazione riguardo alla successione degli anni. Per sapere quanto tem­
po prima si collocasse, rispetto all'anno in corso, l'anno dell'arcontato
ateniese di Apseude, o per sapere se fosse venuto prima o dopo rispetto
all'arcontato di Pitodoro, era necessario disporre di una lista di arconti
elencati in ordine cronologico. Nell'antichità esistevano simili liste di
magistrati e in alcuni casi abbiamo le risorse per ricostruirle almeno in
parte. Tuttavia, lo scopo principale di questo sistema di denominazione
degli anni non era quello di rendere nota la sequenza degli eventi e gli
intervalli di tempo che li separavano, ma di "contrassegnarli" con una
data. Ad esempio, la definizione dell'anno basata sul nome dell'arconte
poteva servire a designare una legge o un decreto specifici.
Nei regni ellenistici (e anche più tardi, durante l'Impero romano), gli
anni erano contati a partire dal primo anno di governo del regnante in ca­
rica: si cominciava a partire dall'anno in cui questi aveva iniziato a regna­
re o dall'anno immediatamente successivo. In alcuni casi, le convenzioni
alla base del conteggio degli anni potevano essere tutt'altro che intuitive.
Ad esempio, Tolomeo II Filadelfo, sovrano dell'Egitto, decise di iniziare a
contare i propri anni di regno a partire dal momento in cui fu nominato
coreggente accanto al padre e non dall'anno in cui divenne unico regnan­
te. In confronto al sistema dei magistrati annuali, era più facile determina­
re la sequenza degli eventi datati in base agli anni di regno. Tuttavia, per
poter misurare gli intervalli di tempo che comprendevano più di un regno
bisognava disporre di una lista dei sovrani con la durata dei rispettivi re­
gni. Nell'antichità è difficile incontrare sistemi di conteggio degli anni che
non prevedano interruzioni e che traggano inizio da un singolo evento, in
modo paragonabile al nostro metodo di datazione avanti o dopo Cristo.
L'unico - ma importante - esempio risale all'epoca ellenistica ed è rap-
86 CAPITOLO 4

presentato dall'Era seleucide: in questo caso, il conteggio prosegue senza


interruzioni a partire dall'anno che Seleuco I Nicatore considerava come il
primo del proprio regno. Infine, nell'Elide (Peloponneso), incontriamo un
sistema di datazione basato sulla numerazione successiva delle Olimpiadi:
si trattava di intervalli di quattro anni di calendario che iniziavano con
l'anno in cui si celebravano i Giochi Olimpici.
In alcune delle culture che usano il mese lunare, la proclamazione
dell'inizio di un nuovo mese è strettamente legata all'osservazione della
luna crescente, in accordo con la tradizione oppure in ossequio a una
presunta ingiunzione divina. I Greci sembrano aver avuto una perce­
zione più distaccata del rapporto fra calendario e cicli lunari osserva­
bili. Questo atteggiamento si manifestava nelle scelte dei magistrati
cittadini, che potevano decidere di ripetere o saltare alcuni giorni del
mese, ad esempio per evitare che azioni militari già programmate in­
terferissero con una festa imminente: così, i mesi finivano per durare
più di 30 giorni o meno di 29 e l'inizio del mese poteva non essere più
sincronizzato rispetto alle fasi lunari. Non è possibile determinare la
diffusione di simili " manomissioni" del calendario, ma questa pratica
è ben attestata per l'Atene ellenistica, dove le iscrizioni spesso registra­
vano le date in due forme diverse: " secondo l'arconte" , il che indica­
va la data riconosciuta a scopi cultuali e civili, e " secondo il dio " (a
quanto sembra, la luna ) , ovvero la data basata sulle fasi lunari vere e
proprie.9 Anche la decisione di inserire un mese intercalare all'interno
di un anno specifico, così come la scelta del mese che sarebbe stato
eventualmente ripetuto, poteva essere completamente arbitraria. Come
conseguenza, era possibile che l'inizio dell'anno non fosse più sincro­
nizzato con le stagioni.
D'altro canto, anche un'eccessiva dipendenza dalle osservazioni per
regolare la durata dei mesi e degli anni può essere una fonte di irregola­
rità e imprevedibilità indesiderate. Qualora il cielo fosse stato nuvoloso
intorno al momento in cui era prevista la comparsa della luna crescente,
si sarebbe dovuto scegliere in modo arbitrario se il mese che volgeva al
termine fosse pieno o vuoto. Se una cosa simile si fosse verificata per due
o tre mesi di fila, una sequenza di stime errate avrebbe potuto generare
un mese troppo lungo o troppo corto al successivo avvistamento della
luna crescente. Basarsi sull'osservazione per decidere se inserire o meno
un mese intercalare poteva rivelarsi altrettanto complicato. Prendiamo
il caso di un calendario basato sul principio che l'ultimo mese dell'anno
è quello in cui viene osservato il solstizio d'estate: il calendario avrebbe
potuto risultare sfasato se un solstizio che cadeva subito dopo la luna
CALENDARI E GIOCHI 87

nuova fosse stato osservato troppo presto o troppo tardi. Peraltro, non
era affatto semplice stabilire con esattezza le date del solstizio basandosi
solo sull'osservazione. Un metodo possibile consisteva nell'individuare
la data in cui il sole sarebbe sorto nel punto più a nord rispetto all'oriz­
zonte orientale; altrimenti, si poteva aspettare il giorno in cui le ombre
proiettate a mezzogiorno sarebbero state di dimensione minima. In ogni
caso, i cambiamenti giornalieri che si verificano intorno al solstizio sono
così sottili che errori di un giorno o più dovevano essere frequenti. Ba­
sarsi esclusivamente sull'osservazione anche solo per stabilire quale fosse
la data del giorno successivo, o quale fosse il mese che stava per comin­
ciare, non poteva che aggiungere un elemento di incertezza a qualsiasi
programma per il futuro, come ad esempio un viaggio verso un mercato
lontano o un festival religioso.

Il calendario egizio
Possiamo constatare che, in molti calendari antichi, regole e calcoli ten­
dono a soppiantare progressivamente l'osservazione. Un caso estremo,
che i Greci conoscevano bene, è rappresentato dal calendario egizio.
Abbiamo prove dell'esistenza di un certo genere di calendari lunari che
furono adoperati per scopi precisi dall'epoca faraonica fino a quella ro­
mana. È quindi plausibile che il primo calendario o i primi calendari
egizi si basassero sui mesi lunari. Tuttavia, dal III millennio a.C. in poi,
il principale calendario in uso in Egitto - spesso chiamato calendario
"civile", nonostante costituisse un inquadramento anche per le festività
religiose - non aveva alcun rapporto con le fasi della luna. Il calendario
egizio era costituito da tre stagioni di quattro mesi ciascuna; ogni mese
era formato da 30 giorni e ogni anno si concludeva con 5 giorni aggiun­
tivi che non appartenevano a nessun mese. I nomi delle stagioni si riferi­
vano rispettivamente alla piena del N ilo, alla semina e alla mietitura: con
ogni evidenza, descrivevano un anno strettamente legato alla natura, che
aveva inizio in estate. Però, siccome un anno del calendario era sempre
costituito da 365 giorni in totale, mentre l'anno solare è formato da circa
365 giorni e un quarto, l'anno civile egizio finiva per rimanere indietro
rispetto alle stagioni naturali. Intorno al 60 a.C. lo sfasamento dell'anno
egizio aveva probabilmente compiuto quasi due interi cicli a partire dal
momento in cui il calendario aveva assunto la forma appena descritta. In
effetti, l'inizio della stagione della "piena" nel calendario egizio cadeva
ormai in corrispondenza del 7 settembre nel calendario giuliano, ovvero
più o meno nel periodo in cui il Nilo aveva ormai finito di crescere.
88 CAPITOLO 4

Ovviamente, gli Egizi erano consapevoli della natura errante del loro
anno. A quanto sembra, però, fu solo durante il dominio greco che la
cosa iniziò a essere percepita come un problema da risolvere. Nel 239-
238 a.C., un'assemblea di sacerdoti svoltasi a Canopo, nei pressi del
delta occidentale del N ilo, emise un decreto in onore di Tolomeo III
Evergete. Il documento fu inciso su pietra in numerose copie, in lingua
greca e in lingua egizia, sia in caratteri demotici sia in caratteri gerogli­
fici, proprio come la più celebre Stele di Rosetta.10 Questo "Decreto di
Canopo" includeva un'ampia varietà di temi, che avevano a che fare con
il coinvolgimento del re in questioni militari, politiche, sociali e, special­
mente, sacerdotali. Il documento proclamava anche l'istituzione di una
grande festa in onore degli "Dei Benevoli", ossia Tolomeo e la sua regina
Berenice, che sarebbe stata celebrata nell'Egitto intero per cinque giorni,
a partire dal primo avvistamento mattutino della stella Siria. A quanto
pare, nell'anno di emissione del decreto, che era il nono anno del regno
di Tolomeo, la levata di Siria si verificò il primo giorno del mese di Payni
(il 19 luglio del 238 a.C. secondo il calendario giuliano): perciò, la festa
si sarebbe svolta in quel preciso giorno del calendario per tutto il tempo
a venire. Il decreto prosegue così:

E affinché, da adesso in poi, le stagioni abbiano un comportamento ap­


propriato e conforme alla condizione del cosmo così com'è ora; e affinché
non accada più che alcune delle festività pubbliche celebrate in inverno
vengano celebrate in estate, visto che la stella si sposta di un giorno ogni
quattro anni; e affinché non accada più che altre festività che adesso sono
celebrate in estate vengano celebrate in inverno nelle stagioni a venire -
come è accaduto nel passato e come accadrebbe anche adesso se l'anno
continuasse a essere formato da trecentosessanta giorni più i cinque gior­
ni supplementari che vengono normalmente aggiunti dopo di essi - d'ora
·
in poi si introduca ogni quattro anni un giorno supplementare nella festa
degli Dei Benevoli, in aggiunta ai cinque giorni s upplementari che pre­
cedono il nuovo anno: così, tutti vedranno che la precedente mancanza
relativa alla struttura delle stagioni, dell'anno e delle cose che sono con­
siderate vere riguardo all'intero ordinamento dei cieli è stata corretta e
completata dagli Dei Benevoli.

In altre parole, da quel momento in poi, ogni quattro anni ci sarebbe


stato, per usare la terminologia moderna, un anno bisestile, composto
da 366 giorni invece che da 365.
Le testimonianze a nostra disposizione mostrano che questo calen­
dario riformato fu subito adottato dall'amministrazione tolemaica, che
CALENDARI E GIOCHI 89

sembra averlo utilizzato per decenni a partire dalla pubblicazione del


decreto. Tuttavia, non riuscì mai a sostituire l'antico calendario con i
suoi anni sempre uguali e, dopo qualche tempo, finì per essere definiti­
vamente abbandonato . 1 1 Quando l'Egitto divenne provincia romana nel
30 a.C., gli anni bisestili vennero ben presto reintrodotti nel calendario
egizio, fissando il suo allineamento con le stagioni nello stato in cui si
trovava in quel preciso momento. Questa volta, il calendario riformato
venne universalmente adottato sia in ambito civile sia in ambito religio­
so. Spesso, negli studi moderni il calendario riformato istituito dai Ro­
mani viene definito "alessandrino"' ma all'epoca, quando si desiderava
distinguerlo dal vecchio calendario dagli anni vaganti, lo si chiamava
calendario "secondo i Greci", contrapponendolo al sistema di datazione
"secondo gli antichi " .
Tuttavia, fra un tentativo di riforma e l'altro, il calendario egizio nel­
la sua versione non riformata aveva attirato l'attenzione degli astronomi
greci che operavano al di fuori dell'Egitto. Una delle ragioni di tale inte­
resse era legata alle esigenze della ricerca astronomica. Alcuni problemi
teorici (come il calcolo accurato del valore di cicli di tempo periodici,
fra cui la durata dell'anno solare) potevano essere affrontati confrontan­
do osservazioni recenti con osservazioni realizzate molto tempo prima.
Generalmente, chiunque adottasse questo approccio aveva bisogno di
conoscere l'esatto numero di giorni che intercorrevano fra un'osserva­
zione e l'altra. I registri delle osservazioni svolte nel passato potevano
essere datati secondo sistemi diversi, fra cui il calendario ateniese, che
usava il nome dell'arconte di ogni anno, oppure il calendario babilonese,
che si basava sugli anni di regno di un sovrano babilonese o persiano,
o ancora il calendario egizio, strutturato in base agli anni di regno del
sovrano tolemaico in carica. Altrimenti, si poteva fare riferimento agli
anni dell'era dei Seleucidi. Fra tutti questi sistemi, solo il calendario egi­
zio non riformato era fondato su unità di tempo - gli anni del calendario
- la cui durata era costituita da un numero costante di giorni. Per tale
ragione, questo calendario era una cornice ideale per lavorare con osser­
vazioni datate e, più in generale, per esprimere la dimensione temporale
dei fenomeni astronomici.
A quanto sappiamo, il primo astronomo ad aver usato il calendario
egizio in questo modo fu Ipparco, che era attivo nel terzo quarto del II
secolo a.C.12 Non si trattava però di una risorsa nota soltanto a pochi
esperti: un'iscrizione pubblica relativa ai calendari, eretta a Mileto nel
109 a.C. o poco più tardi, indica le date dei solstizi d'estate del 432 e
del 109 a.C. sia secondo il calendario ateniese, sia secondo quello egizio
90 CAPITOLO 4

(IMi/et inv. 84: figura 4.3, a sinistra). Evidentemente, l'autore voleva dire
qualcosa a proposito del numero di giorni intercorsi fra questi due eventi
e sulle conseguenze di questo dato per la lunghezza dell'anno solare. È
invece improbabile che queste osservazioni (sempre ammesso che di os­
servazioni si trattasse) avessero qualcosa a che fare con l'Egitto.13 Nell'i­
scrizione di Mileto, gli anni sono indicati usando i nomi degli arconti
ateniesi: è possibile che gli osservatori riconoscessero questa convenzio­
ne, anche se non ci si può certo aspettare che avessero a portata di mano
una lista degli arconti in base a cui verificare le informazioni. Sembra
che lpparco abbia preferito designare gli anni con un sistema più adatto
ai calcoli matematici, o avvalendosi dei periodi callippici (ne sentiremo
parlare di nuovo a breve), o contando gli anni del calendario egizio in
sequenza a partire da quello della morte di Alessandro Magno: questo
evento era noto anche come "l'era di Filippo", perché segnava l'anno in
cui il fratellastro di Alessandro, Filippo Arrideo, ascese al trono.
Un'altra ragione dell'interesse che il calendario egizio suscitava al di
fuori dell'Egitto è più strettamente legata all'ambito della divulgazione
scientifica. In questo caso, il nostro testimone migliore è, ancora una
volta, il capitolo Sui mesi di Gemino: 1 4

Le opinioni e gli scopi degli Egizi sono contrari a quelli dei Greci. In­
fatti, gli Egizi non regolano gli anni [del calendario] in base al sole, né
i mesi e i giorni in base alla luna, ma seguono un preciso intento che

(a ) (b)

Figura 4.3. I frammenti dell'iscrizione del calendario proveniente da Mileto, IMi­


let inv. 84 (a sinistra, disegno effettuato durante gli scavi, Bayerische Staatsbi­
bliothek Rehmiana Suppl.) e inv. 1 604 (a destra). Il testo di inv. 84 menziona
i solstizi d'estate del 432 e del l 09 a.C e fa riferimento al ciclo callippico di 76
anni. Il passo preservato da inv. 1 604 riguarda Metone e il suo ciclo di 1 9 anni
(per entrambe le immagini © Milet-Grabung).
CALENDARI E GIOCHI 91

appartiene solo a loro. In effetti, non vogliono che i loro sacrifici agli
dei si verifichino sempre nella stessa stagione dell'anno, ma preferiscono
che attraversino tutte le fasi dell'anno. E [vogliono] anche che una festa
estiva diventi una festa invernale e che una festa autunnale diventi una
festa primaverile.

L'idea che gli Egizi dei tempi che furono avessero concepito il proprio
calendario con l'espresso intento di far vagare le proprie feste da una sta­
gione all'altra è piuttosto fantasiosa. Tuttavia, il fallimento della rifor­
ma tentata in epoca tolemaica ci fa capire che le élite sacerdotali egizie
erano meno disturbate dallo spostamento stagionale delle loro festività
che dalla prospettiva di interferire con un sistema calendrico introdotto
secoli addietro. Così, il calendario egizio rappresentava un esempio da
manuale per illustrare un sistema che, nella sua apparente artificialità,
era in completo contrasto con i calendari lunisolari dei lettori di Gemi­
no. Questi ultimi, infatti, in ossequio alla leggendaria ingiunzione che
imponeva loro di "compiere sacrifici alla maniera dei loro padri " , si
adoperavano per mantenere le feste religiose in corretta sincronia con il
sole e la luna.
Si possono dunque avanzare diverse spiegazioni per giustificare la pre­
senza, sul meccanismo di Anticitera, di una scala graduata a forma di
anello le cui singole tacche corrispondono ai mesi e ai giorni dell'anno del
calendario egizio. La spiegazione apparentemente più ovvia, secondo cui il
meccanismo sarebbe stato costruito in Egitto o per essere usato in Egitto,
è la meno plausibile: come vedremo, infatti, le iscrizioni dei quadranti po­
steriori contenevano informazioni legate a varie località del mondo greco,
ma non all'Egitto. È possibile che una delle funzioni della scala graduata
fosse quella di permettere all'operatore di impostare la data del meccani­
smo in base a un sistema cronologico che impiegava il calendario egizio (o
di consentirgli di leggere la data corrispondente a una particolare configu­
razione astronomica basandosi su tale sistema): in tal modo, lo spettatore
avrebbe potuto osservare la relazione che collegava il calendario egizio ai
fenomeni astronomici illustrati. Un'altra opzione è che la scala graduata
permettesse di misurare in giorni gli intervalli di tempo intercorrenti fra
i fenomeni astronomici simulati dai quadranti. Molto probabilmente, il
progettista non mirava a uno scopo soltanto.
Ripensiamo ora ai dettagli della scala graduata del calendario egizio.
Si trattava di un anello collocato subito all'esterno della scala dello zo­
diaco sul quadrante anteriore. Proprio come la scala dello zodiaco, era
dotato di una serie di tacche che si irradiavano dal centro del quadrante
92 CAPITOLO 4

( figura 3.7). Anche se si è conservata solo una parte di questo quadran­


te, possiamo affermare con sicurezza che c'erano 13 tacche più lunghe,
che dividevano la scala in 12 settori principali, più un tredicesimo di
dimensioni inferiori. I settori principali erano a propria volta divisi in 30
sottosezioni da tacche più piccole, mentre quello di dimensioni inferiori
era suddiviso in sole 5 parti. Così, i primi corrispondevano ai mesi di
30 giorni del calendario egizio, mentre il secondo rappresentava i cin­
que giorni aggiuntivi "epagomeni" che completavano l'anno. A quanto
pare, la spaziatura angolare delle tacche dei giorni è stata mantenuta per
quanto possibile uniforme all'interno dell'intero quadrante. I nomi greci
dei mesi egizi erano iscritti, in senso orario, al centro dei loro rispettivi
settori. Se ne sono conservati solo tre (riportati in grassetto nella tabella
4 . 1 ) , ma conosciamo l'intera serie dei mesi grazie a numerose altre fonti.

Tabella 4.1. I nomi greci dei mesi del calendario egizio.

numero del mese nome


l Thoth
2 Phaophi
3 Hathyr
4 Choiak
5 T bi
6 Mecheir
7 Phamenoth
8 Pharmouthi
9 Pachon
lO Payni
11 Epeiph
12 Mesore
Epagomenai (giorni epagomeni)

Nel capitolo 3, abbiamo visto che la scala graduata del calendario egizio
consisteva in un anello metallico che poteva essere rimosso e rimontato
in (a quanto sembra) 365 posizioni diverse intorno alla scala graduata
dello zodiaco. Per farlo, bisognava inserire un piccolo perno o piolo -
originariamente collocato sul retro della scala graduata ma ora perduto
- in uno dei fori disposti ad anello che erano stati trapanati sulla lastra
del quadrante mantenendo una spaziatura angolare apparentemente co­
stante (figura 3 . 8 ) . Fra l'altro, questa scala graduata è l'unica componen­
te mobile dei vari quadranti del meccanismo a dover essere impostata
CALENDARI E GIOCHI 93

manualmente invece di essere spostata in modo meccanico. Il fatto che


fosse mobile dimostra che il progettista aveva in mente !'" antico" ca­
lendario egizio con i suoi anni vaganti sempre identici e non la versione
con gli anni bisestili prescritta dal Decreto di Canopo. La presenza della
scala graduata fa pensare che sul quadrante frontale ci fosse anche una
lancetta che indicava la data. Nel capitolo 5 cercheremo di stabilire se
questa lancetta vada identificata con quella che indicava la posizione del
sole nello zodiaco.
Immaginiamo che l'operatore del meccanismo volesse usare la scala
graduata per l'ultima delle funzioni sopra elencate: a esempio, per illu­
strare la distanza percorsa dalla luna attraverso lo zodiaco in 14 giorni,
oppure per mostrare per quanti giorni Venere si sposti verso ovest (mo­
vimento retrogrado) attraverso lo zodiaco, prima di riprendere il pro­
prio moto (diretto) verso est. Per simili dimostrazioni, la scala graduata
funzionava semplicemente come uno strumento per misurare il tempo in
giorni. L'anello poteva essere collocato in uno qualsiasi dei suoi orienta­
menti possibili, visto che l'unico dato importante era il numero di tacche
percorse dalla lancetta mentre l'operatore azionava la manopola che im­
primeva il movimento iniziale.
Il seguito del passo di Gemino sopra citato ci mostra come avrebbe
potuto svolgersi una lezione dedicata al calendario egizio e al suo anno
vagante.15 Gemino ha appena finito di spiegare che l'anno egizio contie­
ne solo 365 giorni (escludendo il quarto di giorno che avrebbe permesso
all'anno civile di coincidere con l'anno solare) perché gli Egizi volevano che
le proprie feste non fossero sincronizzate con le stagioni. Egli osserva anche
che questo spostamento dovrebbe ammontare a un giorno ogni quattro
anni o a dieci giorni ogni quarant'anni. Il suo ragionamento prosegue così:

Questa è la ragione dell'ampia diffusione di una credenza erronea, che ha


finito per essere accettata dai Greci a causa del credito conferitole dalla
lunga tradizione che la ha tramandata fino ai nostri giorni. La maggior
parte dei Greci crede che il solstizio d'inverno determinato da Eudosso si
verifichi contemporaneamente agli Isia degli Egizi, il che è assolutamente
falso! Gli Isia, infatti, sono spostati di un mese intero rispetto al solstizio
d'inverno.

Gli Isia menzionati da Gemino sono una festa in onore della dea Iside,
che veniva celebrata per quattro giorni, fra il 1 7 e il 20 del mese di
Hathyr.16 Per rafforzare la propria argomentazione, Gemino sostiene che
un tempo la festa di Iside doveva coincidere approssimativamente con la
94 CAPITOLO 4

data che Eudosso aveva assegnato al solstizio d'inverno (in effetti, que­
sto doveva essere vero all'inizio del II secolo a.C.). Tuttavia, ai tempi di
Gemino, il calendario egizio collocava il solstizio d'inverno un mese più
tardi, intorno al 20 del mese di Choiak.
Con il meccanismo a portata di mano, un insegnante avrebbe potuto
illustrare visivamente la lezione di Gemino quasi senza dover azionare il
sistema di ingranaggi. Non doveva far altro che mostrare come la scala
graduata del calendario egizio riproducesse la struttura dell'anno egizio
con i suoi 365 giorni. Inoltre, visto che l'anno egizio è più breve dell'an­
no solare, bisognava anche spiegare come, ogni quattro anni (forse, per
chiarire il concetto, al meccanismo veniva impresso un movimento pari a
quattro anni di tempo - circa 1 9 giri della manopola - in modo che l'os­
servatore vedesse il sole attraversare lo zodiaco quattro volte) l'allinea­
mento fra il calendario e il movimento del sole attraverso lo zodiaco si
spostasse all'indietro di un giorno (l'anello veniva sollevato e ricollocato
dopo aver spostato il piolo di una posizione in senso antiorario), mentre
ogni 40 anni lo sfasamento ammontava a 10 giorni (l'anello veniva fatto
ruotare di dieci fori in senso antiorario). Se ne poteva quindi dedur­
re (l'anello veniva spostato in modo che la tacca corrispondente al 1 7°
giorno di Hathyr fosse allineata con l'inizio del Capricorno sulla scala
dello zodiaco) che, 120 anni prima, gli Isia coincidevano con il solstizio
d'inverno. Da allora, però (l'anello veniva sollevato), a causa dell'accu­
mularsi dello sfasamento (con una mano, si faceva ruotare l'anello di
circa 3 0 ° e poi lo si riposizionava), il solstizio (si indicava nuovamente
l'inizio del Capricorno) e gli Isia (si mostrava la collocazione attuale del
l r giorno di Hathyr) erano ormai separati da un mese intero.
Usare la scala graduata del calendario egizio per impostare il mec­
canismo su una data precisa all'interno di un anno specifico - oppu­
re per leggere questa data - avrebbe invece comportato un'operazione
più complessa. La difficoltà maggiore consisteva nel fatto che, a quanto
sembra, il meccanismo non aveva nessun quadrante che conteggiasse
direttamente gli anni del calendario egizio. Anche se la scala graduata
fosse stata impostata manualmente nel giusto orientamento per l'anno
in questione, il quadrante frontale avrebbe mostrato soltanto quale mese
e giorno del calendario egizio corrispondessero alla situazione astrono­
mica e cronologica illustrata dai vari quadranti. Tale impostazione ma­
nuale non doveva essere molto complicata: sarebbe bastato conoscere
l'allineamento per un anno di riferimento, per poi correggerlo spostando
il piolo di un foro per ogni gruppo di quattro anni che separava la data
in questione dall'anno di riferimento.
CALENDARI E GIOCHI 95

Derek de Solla Price sembra aver identificato il sistema utilizzato per


precisare questo allineamento: si tratta di quella che Price credeva essere
una linea radiale (da lui chiamata " fiducia! mark") incisa sulla parte
della lastra del quadrante anteriore tuttora conservata dal frammento C.
Questa linea era situata immediatamente all'esterno della scala graduata
del calendario egizio ed era approssimativamente allineata con la tacca
che, sulla scala dello zodiaco, corrispondeva all'inizio del diciannovesi­
mo grado della Bilancia (ossia, Bilancia 1 8°)Y La si può vedere nelle fi­
gure M5 e MB; nella figura 3.7 compare leggermente a sinistra rispetto al
punto inferiore della circonferenza esterna . Non è certo che questa linea
sia davvero il risultato di un'incisione deliberata, soprattutto perché si
trova a coincidere con una frattura della lastra.18 Se si tratta di un segno
intenzionale - e, dopo aver ispezionato le fotografie e il reperto, sono
convinto che lo sia - è possibile che il suo ruolo fosse quello di indicare
dove andasse collocata, per l'anno di riferimento, la tacca corrisponden­
te al primo giorno del calendario egizio, ossia il primo giorno del mese
di Toth. Questa ipotesi sarebbe ancora più plausibile se l'anno di rife­
rimento cadesse nell'ultimo decennio del III secolo a.C. Come vedremo
nel capitolo 6, una serie di elementi sembra confermare che il progettista
abbia selezionato proprio un anno di quella decade per farne una sorta
di anno zero per la cronologia del meccanismo. Se quest'ultimo fosse
stato costruito all'inizio del I secolo a.C., tale scelta avrebbe fornito un
margine sufficiente per dimostrare il funzionamento dell'anno mobile
egizio secondo lo stile di Gemino.
Anche ammettendo la presenza di un simile segno di riferimento per
l'allineamento della scala del calendario egizio, quest'ultima non avreb­
be potuto indicare un anno specifico all'interno di tale calendario: la
precisione dei suoi posizionamenti possibili era soggetta a un'approssi­
mazione di quattro anni. Per rilevare una "data egizia" nella sua com­
pletezza, bisognava quindi fare riferimento alle informazioni mostrate
dai quadranti posteriori, che rimandavano a un sistema calendrico com­
pletamente diverso. Ed è proprio su questo sistema che ci concentreremo
nelle pagine seguenti.

Calendari ciclici
In cima alla collina ateniese chiamata Pnice, non lontano dal bell'Osser­
vatorio Nazionale risalente al XIX secolo, ci sono i resti di un basamento
rettangolare lungo 4 metri e profondo 3, circondato da un fossato piano
e poco profondo, che doveva fungere da base per un'opera muraria, ora
96 CAPITOLO 4

completamente perduta (figura 4.4). Secondo una relazione riguardante


gli scavi condotti sulla Pnice dal Servizio Archeologico Greco, stilata nel
1 932 da Konstantinos Kourouniotis e da Homer Thompson, la struttura
appena descritta sarebbe uno strumento astronomico. L'identificazione
proposta da Thompson e Kourouniotis si fonda su un passo di un antico
commentatore delle commedie di Aristofane, che si rifaceva a uno storico
locale di epoca ellenistica chiamato Filocoro. A sentire quest'ultimo, la
costruzione sarebbe stata eretta dall'astronomo greco Metone:19

Filocoro [dice] . . . che, durante l'arcontato di Apseude, che aveva pre­


ceduto quello di Pitodoro, questi (Metone) collocò un heliotropion nel
luogo in cui si svolgono tutt'ora le assemblee, presso il muro della Pnice.

Si è spesso ipotizzato che questo eliotropio fosse una sorta di meridia­


na, secondo un'accezione che il termine avrebbe senz'altro assunto in
epoche successive. Tuttavia, questa parola potrebbe anche essere inter­
pretata come "strumento del solstizio" . In effetti, secondo Alan Bowen
e Bernard Goldstein, si sarebbe potuto trattare di uno strumento ap­
positamente allineato con il punto dell'orizzonte orientale in cui il sole
sorge intorno al solstizio d'estate.20 Probabilmente non sapremo mai con
certezza se la struttura i cui resti si sono conservati sulla Pnice fosse re­
almente l'eliotropio di Metone - anni dopo, in una corrispondenza pri­
vata, Thompson si dichiarò dubbioso riguardo a questa identificazione.
È possibile che l'eliotropio non fosse altro che una superficie verticale,

Figura 4.4. Resti sulla Pnice, congetturalmente identificati con la base dell helio
' ­

tropion di Merone (fotografia di Alexander Jones).


CALENDARI E GIOCHI 97

allineata in modo tale da essere illuminata dal sorgere del sole soltanto
per pochi giorni intorno al solstizio: così, sarebbe stato facile identificare
il solstizio con il giorno che cadeva al centro di tale intervallo.
Il racconto di Filocoro è solo una delle numerose fonti che collega­
no Metone all'anno dell'arcontato di Apseude (433-432 a.C. ) . Ognu­
na di queste testimonianze presenta una versione diversa e incompleta
dell'operato di Metone e la ricostruzione della storia è controversa. Lo
scoliasta di Aristofane parla dell'erezione di uno strumento astronomi­
co avvenuta in quello stesso anno, senza fornirci dettagli ulteriori su
quando e come Metone ne avesse fatto uso. Tolomeo, invece, ci informa
che, nell'anno dell'arcontato di Apseude, i seguaci di Metone ed Eucte­
mone osservarono che il solstizio d'estate avvenne all'alba di uno speci­
fico giorno del calendario egizio, il ventunesimo giorno di PhamenothY
Naturalmente, questa non è la forma in cui la data fu registrata in ori­
gine. Tolomeo aggiunge infatti che l 'osservazione era stata "registrata
in modo piuttosto rudimentale" (torneremo a parlare di Euctemone nel
capitolo 5). La già citata iscrizione di Mileto relativa ai calendari (IMi/et
inv. 84) riporta questa stessa data identificandola con la data di un sol­
stizio, ma ne indica anche l'equivalente nel calendario ateniese, il tredi­
cesimo giorno del mese di Sciroforione. Metone non viene menzionato in
questo contesto, ma un altro frammento della stessa iscrizione, scoperto
di recente (IMi/et inv. 1 604: figura 4.3, a destra), riferisce che fu proprio
lui a stabilire un periodo di 1 9 anni (enneakaidekaeteris). Lo storico
Diodoro, riferendo gli eventi dell'arcontato di Apseude, collega la data
del calendario ateniese con questo periodo di 1 9 anni, senza però dirci
che si trattava di un solstizio:22

Ad Atene, Metone, figlio di Pausania, celebre per le sue conoscenze astro­


nomiche, rese pubblica la cosiddetta enneakaidekaeteris, facendola ini­
ziare con il tredicesimo giorno del mese ateniese di Sciroforione. In que­
sto numero di anni, le stelle compiono la loro reintegrazione periodica e
ricevono il ritorno ciclico di un grande anno, se così si può dire.

Per dare un senso a questo ciclo di diciannove anni e al suo rapporto


con la data del solstizio d'estate, dobbiamo volgere lo sguardo ancora
più a est, verso Babilonia: a quanto pare, fu qui che tale ciclo fu scoperto
e usato per la prima volta.23 Il calendario babilonese era un calendario
lunisolare, in cui l'inizio del mese era determinato dalla comparsa della
luna nuova. L'allineamento dell'anno del calendario con le stagioni era
mantenuto inserendo intercalazioni occasionali del dodicesimo mese,
Addaru, o (meno spesso) del sesto, Ululu. A partire dal 484-483 a.C.
98 CAPITOLO 4

e fino alla scomparsa delle fonti cuneiformi nel I secolo d.C., si seguì
un ciclo fisso di 1 9 anni, costituito da una sequenza di anni ordinari e
intercalari, con intercalazioni di Addaru negli anni del ciclo 3, 6, 9, 1 1 ,
1 4 e 1 7 e intercalazioni di Ululu nel primo anno (in tre cicli del V secolo
a.C. l'intercalazione di Ululu fu sostituita da quella di Addaru). Nell'am­
bito di questo ciclo, l'allineamento era bloccato in un intervallo tale per
cui l'equinozio di primavera cadeva sempre all'interno del primo mese
dell'anno o leggermente prima.
Il ciclo di 19 anni funziona perché 235 mesi lunari equivalgono in
media a 19 anni tropicali (ossia gli anni calcolati da equinozio a equino­
zio o da solstizio a solstizio), con uno scarto di sole due ore. Visto che
moltiplicando 19 per 12 si ottiene 228, per completare il ciclo bisogna
intercalare sette mesi nei 1 9 anni del calendario: se li si sparpaglia il più
possibile, collocandoli a intervalli di due o tre anni, si può minimizzare,
sul breve termine, l'oscillazione dell'inizio dell'anno rispetto alle stagioni.
Adottando questo ciclo, i Babilonesi non erano più costretti a compie­
re osservazioni astronomiche per controllare che gli anni conservassero
l'allineamento desiderato. Anzi, erano in grado di calcolare le date dei
solstizi e degli equinozi per qualsiasi anno del ciclo, seguendo uno schema
aritmetico semplice, che gli studiosi moderni hanno ribattezzato "schema
di Uruk". Peraltro, il ciclo babilonese di 1 9 anni non stabiliva quali, fra
i 235 mesi che lo componevano, fossero pieni e quali vuoti. Entro il III
secolo a.C., se non prima, l'inizio del mese non veniva più determinato
dall'osservazione della luna crescente, ma da una serie di calcoli. Questi,
però, non si fondavano sull'idea di un ciclo ricorrente, ma cercavano di
riprodurre le circostanze che determinavano se la luna fosse abbastanza
lontana dal sole per poter essere avvistata nel cielo serale.
Tornando a Metone, non possiamo che porci due domande: come
aveva scoperto l'esistenza del ciclo di 19 anni (che, a partire dal suo
nome, è stato ribattezzato "ciclo metonico" ) ? E cosa stava cercando di
farne? È possibile che Metone fosse in qualche modo venuto a conoscen­
za del calendario babilonese e del modo in cui, da circa mezzo secolo
a quella parte, era stato regolato in base al suddetto ciclo. Tuttavia,
si tratterebbe di un caso estremamente precoce di trasferimento di co­
noscenze tecniche da Babilonia alla Grecia e non sappiamo attraverso
quale canale possa essere avvenuto. In alternativa, sembra che ad Atene
si fosse sviluppata una tradizione di osservazione dei solstizi ben prima
dell'avvento di Metone. Nell'opera Sui segni delle acque, dei venti, delle
tempeste e del bel tempo, che in epoca moderna è stata (in modo poco
convincente) attribuita a Teofrasto, anche se la tradizione manoscritta la
CALENDARI E GIOCHI 99

tramanda in forma anonima o (in modo ancora meno convincente) sotto


il nome di Aristotele, leggiamo quanto segue:24

Ad Atene, Faino osservava le cose relative ai solstizi dal monte Licabetto


e Metone, avendo imparato da lui, compose !'"anno" cui manca uno per
arrivare a venti. Faino era uno straniero che risiedeva ad Atene, mentre
Metone era ateniese.

"Le cose relative ai solstizi" potevano senz'altro includere la stima


delle loro date in base al calendario ateniese: un rapido esame di qualche
decennio di osservazioni sarebbe bastato per suggerire che l 'andamento
del numero dei giorni si ripeteva quasi uguale dopo 1 9 anni.
Se l'intenzione di Metone era quella di inserire nel calendario ateniese
un ciclo di regolazione che seguisse lo schema di quello babilonese, il suo
progetto non sembra essere andato a buon fine. Anche tralasciando la pra­
tica della "manipolazione" che interessava la lunghezza dei mesi e il loro
allineamento con la luna (ma forse non lo status degli anni in quanto or­
dinari o intercalari), abbiamo notizia di quattro diversi mesi ateniesi usati
come mesi intercalari in diverse occasioni, a quanto pare a discrezione dei
magistrati.25 Il sesto mese, Posideone, era quello che veniva più frequente­
mente raddoppiato. Eppure, sembra che, a partire dalla metà del IV secolo
a.C., l'alternanza degli anni ordinari e intercalari seguisse effettivamente un
ciclo di 1 9 anni.26 Ciò potrebbe significare che tale ciclo veniva consultato
consapevolmente - anche se forse solo per decidere lo status di un anno,
non quale mese dovesse essere ripetuto - oppure che l'inizio dei singoli anni
veniva stabilito tramite una costante e competente pratica di osservazione
dei solstizi d'estate. È imporrante sottolineare che il ciclo metonico di inter­
calazione si verifica automaticamente se l'anno del calendario viene sempre
fatto iniziare con la prima luna nuova successiva a un solstizio o a un equi­
nozio accuratamente determinati. È possibile che sia stato lo stesso Metone
a dotare la propria città sia di uno strumento che rendesse possibile osser­
vare il solstizio con una certa precisione, sia di un ciclo teorico che poteva
essere utilizzato per verificare le osservazioni. La data specifica del solstizio
del 432 a.C. potrebbe essere stata menzionata in un'iscrizione dedicatoria
consacrata a tale strumento: così si spiegherebbe il ruolo speciale che tale
data avrebbe rivestito nella memoria dei secoli successivi.
Fare iniziare l'anno del calendario con il primo mese successivo al
solstizio d'estate non genera soltanto un ciclo di intercalazione di 1 9
anni, ma determina anche l a sequenza specifica d i anni ordinari e inter­
calari. Se scegliamo di cominciare il ciclo con l'anno il cui inizio cade il
più vicino possibile al solstizio, le intercalazioni cadono a propria volta
1 00 CAPITOLO 4

negli anni 1 , 3, 6, 9, 1 1 , 14 e 1 7 (proprio come nel ciclo babilonese). Ad


Atene, la sequenza delle intercalazioni a noi note, registrate fra la fine del
IV e la metà del II secolo a.C., si conforma a un ciclo il cui anno iniziale
corrispondeva rispettivamente agli anni 368, 349, 330 a.C. e così via.27
A un certo punto, fra la metà del II secolo a.C. e la metà del I secolo d.C.
fu introdotto un aggiustamento, fondato sull'assunto che il solstizio d'e­
state cadesse all'incirca un giorno più tardi di quanto ritenuto in prece­
denza. Se la vecchia convenzione fosse rimasta in uso, l'anno iniziale del
ciclo sarebbe caduto negli anni 32, 5 1 , 70 d.C. e così via; invece, furono
gli anni 43, 62, 8 1 d.C., e così via a coincidere con l'anno iniziale.
Quando descrive le strategie adottate dai Greci per rispettare l'ingiun­
zione di "compiere sacrifici alla maniera dei padri", Gemino struttura il
proprio racconto come una ricostruzione storica in cui, passo dopo passo,
i Greci riescono a conciliare in modo sempre più efficace le loro unità
temporali contrastanti tramite l'adozione di cicli calendrici. Vale la pena
notare che, a suo modo di vedere, il problema non consisteva solo nel
far coincidere un numero completo di mesi con un numero completo di
anni, ma anche nel far sì che i giorni si inserissero in modo soddisfacente
all'interno dello schema, stabilendo, a questo scopo, un'alternanza ciclica
di mesi pieni e vuoti. Se si adotta un simile sistema, l'osservazione non
svolge più alcun ruolo nella gestione del calendario, se non nel senso, de­
cisamente triviale, che la successione dei giorni è determinata dal sorgere
e dal tramontare del sole. A questo punto, rimangono due problemi da
risolvere: in primo luogo, si tratta di trovare un periodo che equivalga
contemporaneamente a un numero completo di anni solari (tropicali), di
mesi lunari e di giorni; in secondo luogo, bisogna trovare il modo miglio­
re di distribuire sia gli anni ordinari e intercalari, sia i mesi pieni e vuoti
all'interno di un ciclo la cui durata corrisponda a questo periodo.
Secondo Gemino, il periodo che concilia mesi e anni nel modo mi­
gliore è il ciclo di 1 9 anni. A suo parere, questa scoperta non andrebbe
attribuita né ai Babilonesi, né a Metone, ma agli allievi di " Euctemone,
Filippo e Callippo ". Egli aggiunge che gli anni intercalari devono esse­
re distribuiti il più uniformemente possibile all'interno del ciclo, il che
sta forse a indicare uno schema simile a quello appena descritto per il
calendario ateniese. D'altro canto se, come Gemino presume, la durata
dell'anno corrisponde precisamente a 365 giorni e un quarto, il ciclo di
1 9 anni non può contenere anche un numero completo di giorni. Fu così
che "gli allievi di Callippo" stabilirono un periodo di 76 anni, 4 volte
1 9, il quale rappresentava l'equazione seguente:
CALENDARI E GIOCHI 101

7 6 anni solari = 940 mesi lunari = 27.759 giorni.

Quando si tratta delle intercalazioni e dei mesi pieni e vuoti, Gemi­


no sembra considerare questo periodo come un insieme di quattro cicli
distinti di 1 9 anni: i primi tre sono costituiti da 6940 giorni, mentre il
quarto, più breve di un giorno, ne comprende 6939.
La distribuzione dei mesi pieni e vuoti è generata da una regola piut­
tosto singolare. Inizialmente, si suppone che ogni mese abbia 30 giorni,
numerati da l a 30. Tuttavia, dopo ogni 63 giorni ne viene saltato uno.
Ad esempio, se iniziamo a contare dal primo giorno del primo mese del
ciclo, il sessantatreesimo giorno sarà il terzo giorno del terzo mese e il
numero del giorno successivo verrà saltato. Così, il giorno seguente al
terzo verrà definito quinto e, di conseguenza, il terzo mese risulterà vuo­
to. Proseguendo così, il secondo giorno a essere saltato sarà l'ottavo del
quinto mese, e via di seguito. Gemino definisce i numeri dei giorni saltati
exairesimoi, "giorni da rimuovere".
Nell'Almagesto, il grande trattato di astronomia teorica che Tolomeo
scrisse a metà del II secolo d.C., sono registrate numerose osservazioni
astronomiche risalenti al III e al II secolo a.C., le cui date sono espresse
numerando gli anni in base al primo, al secondo o al terzo "periodo
secondo Callippo" .28 Fra gli astronomi che hanno compiuto tali osser­
vazioni figurano Timocari, Aristarco di Samo e Ipparco. Altri esempi di
questo tipo di datazione sono sopravvissuti in un paio di testi astrono­
mici conservati su papiro, in cui gli anni sono indicati in riferimento al
quarto e al sesto periodo callippico. Questi testi facevano parte di uno
speciale calendario lunisolare, concepito specificamente per usi scienti­
fici, che usava come griglia di riferimento i mesi e i giorni del calenda­
rio ateniese. Tuttavia, invece di essere identificati in base agli arconti
ateniesi, gli anni venivano conteggiati in riferimento a cicli di 76 anni,
iniziando con l'anno successivo al solstizio d'estate del 330 a.C., che
veniva definito come il primo anno del primo periodo callippico (si noti
che questo era anche uno degli anni iniziali del ciclo di 1 9 anni adottato
ad Atene nel IV secolo a.C.).
Ma era proprio questo "calendario callippico" ciò che Gemino ave­
va in mente nel suo capitolo Sui mesi? I periodi di 76 anni erano ov­
viamente giustificati dalla necessità, menzionata dallo stesso Gemino,
di armonizzare giorni, mesi e anni. Per di più, le poche date complete
di cui disponiamo sono compatibili con la struttura del calendario da
lui descritta, anche se ce ne servirebbero di più per trarre conclusioni
definitive. Sorge però una difficoltà: la narrazione di Gemino prende le
1 02 CAPITOLO 4

mosse dall'idea che il calendario sia, prima di ogni altra cosa, un'istitu­
zione sociale e, ancor più, religiosa; al contrario, il calendario callippico
era una risorsa specializzata destinata ai soli astronomi. Quanto allo
stesso Callippo, sappiamo ben poco sul suo conto. Era nato a Cizico,
nell'Asia Minore nordoccidentale, e la sua revisione delle teorie plane­
tarie di Eudosso è brevemente descritta nella Metafisica di Aristotele:
di conseguenza, deve essere stato attivo intorno alla metà del IV secolo
a.C.29 La sua città natale fece erigere a Delfi una statua di bronzo in
suo onore, la cui base si è conservata fino ai nostri giorni.30 Rifacendo­
si a Ipparco, Teone di Alessandria (IV secolo a.C.) dichiara che, con­
frontando le proprie osservazioni con quelle dei Babilonesi, Callippo
stabilì che la durata dell'anno è di 365 giorni e un quarto, anche se ci
piacerebbe sapere di più sul significato concreto di tale affermazioneY
Non si sa se il calendario callippico sia stato concepito dallo stesso
Callippo o se sia stato chiamato così in considerazione della sua dipen­
denza dall'idea generale di un ciclo di 76 anni. Pur designando i giorni
e i mesi con la stessa nomenclatura del calendario civile di Atene, que­
sto calendario se ne distingueva significativamente: era adoperato dagli
astronomi perché, nonostante avesse una struttura piuttosto complicata
per un calendario lunisolare, era governato da regole presumibilmente
note all'intera comunità scientifica del mondo ellenistico. Non sappia­
mo perché il calendario ateniese fosse stato adottato come modello. A
quanto ci dicono le fonti, Callippo non aveva alcun legame con Atene,
ma è possibile che il precedente lavoro di Merone abbia avuto qualcosa
a che fare con questa scelta. Comunque sia, è probabile che i mesi del
calendario ateniese avessero una diffusione maggiore rispetto a quelli
delle altre città.
Per più di quattro secoli si è dibattuto se i calendari civili delle città
greche fossero regolati in base a cicli " metonici" di 1 9 anni o a cicli "cal­
lippici" di 76. Le discussioni più accese si sono concentrate sul calenda­
rio di Atene, a proposito del quale disponiamo di materiale relativamente
abbondante, anche se molto più difficile da analizzare rispetto alle fonti
sul calendario babilonese - l'unico calendario lunisolare antico che cono­
sciamo in modo abbastanza preciso. Nemmeno ai nostri giorni si è riusci­
ti a raggiungere una posizione unanime riguardo al calendario ateniese.
Sembra però che un'interpretazione stia iniziando a prevalere sulle altre:
secondo la ricostruzione che ho descritto poco sopra, pare che durante la
maggior parte del periodo ellenistico, e fino all'epoca romana, il calenda­
rio ateniese fosse soggetto almeno a una lieve regolazione, in base a cui
gli anni intercalari seguivano quasi sempre un ciclo di 19 anni; sotto altri
CALENDARI E GIOCHI 1 03

aspetti, però, la gestione del calendario era ancora arbitraria. È probabile


che la regolazione sia diventata più rigida con il passare del tempo.
Per quanto riguarda i calendari greci nel loro complesso, il quadro
rimane ancora oscuro, anche se alcuni elementi indicano che fu durante
il II e il I secolo a.C. che si cominciò a ricorrere a regolazione e sincro­
nizzazione cicliche per mettere ordine nei calendari civili locali. Abbia­
mo già visto che, secondo Gemino, la ricerca di un ciclo calendrico che
rimanesse sincronizzato con il sole e con la luna era legata alla necessità
di rispettare gli apparenti requisiti di un calendario cultuale. Si potreb­
be obiettare che, alla fine della sua trattazione, Gemino non menziona
nessuna città che abbia concretamente adottato i cicli da lui descritti in
astratto. Tuttavia, il suo contemporaneo Diodoro è più esplicito nel se­
guito del passo che abbiamo già citato: "E così, ancora ai nostri tempi,
la maggior parte dei Greci adopera la enneakaidekaeteris e [quindi] non
si allontana dalla verità . " L'affermazione di Diodoro è confermata dalla
presenza di anni intercalari nel calendario di Delfi durante il II secolo
a.C., in perfetta conformità con lo schema di 1 9 anni connesso al solsti­
zio d'estate su cui si basava il calendario ateniese. Inoltre, sono attestate
numerose corrispondenze fra i mesi del calendario delfico e quelli di
numerose altre città: evidentemente, questi calendari erano strettamen­
te coordinati.32 Anche IMi/et inv. 84 + inv. 1 604, l'iscrizione eretta a
Mileto nel 109 a.C. o poco più tardi, va probabilmente interpretata
come una presentazione pubblica dei criteri di base per una riforma
del calendario milesio che si sarebbe fondata proprio su un ciclo di 76
anni. A queste testimonianze possiamo ora aggiungere il meccanismo
di Anticitera.

Il calendario corinzio sul meccanismo


Nel secondo capitolo abbiamo visto che Michael Wright fu il primo a
intuire che la scala del quadrante principale situato in alto sul pannello
posteriore del meccanismo era costituita da una fascia ininterrotta a
forma di spirale, divisa in 235 caselle da linee radiali incise, per un
totale di 47 caselle per ciascuno dei cinque giri della spirale. 33 Secondo
la sua ricostruzione degli ingranaggi collegati al puntatore di questo
quadrante, per far compiere al puntatore stesso un giro completo era
necessario imprimere alla manopola collocata sul lato del meccanismo
un movimento equivalente a 19/s anni solari. Ovviamente, il quadrante
rappresentava un ciclo di 1 9 anni e ogni casella rappresentava un mese
lunare.
1 04 CAPITOLO 4

Nel frattempo, grazie al lavoro di Price (anche se, a dire i l vero, Al­
bert Rehm lo aveva già osservato nei suoi manoscritti mai pubblicati ) ,
era ormai noto che i l frammento 1 9 presentava delle iscrizioni i n cui
figuravano delle notazioni che significavano " 1 9 anni" e " 76 anni" .34
Ne consegue che il progettista del meccanismo non conosceva solo il ci­
clo metonico, ma anche quello callippico. Wright mostrò che il treno di
ingranaggi che conduceva al quadrante metonico avrebbe potuto azio­
nare anche la lancetta di un quadrante accessorio, facendole compiere
un giro completo in corrispondenza di un impulso motorio equivalente
a 76 anni. Come vedremo fra poco, egli identificò questo quadrante cal­
lippico con il quadrante accessorio diviso in quattro settori identici che
compare all'interno del quadrante metonico a spirale visibile sul fram­
mento B. Questa ipotesi si è rivelata errata, ma con ogni p robabilità il
meccanismo disponeva di un quadrante callippico che conteggiava una
sequenza di quattro cicli metonici a ogni giro completo della propria
lancetta.
Come Price prima di lui, Wright attirò l'attenzione sulla presenza di
piccolissimi caratteri iscritti all'interno delle caselle del quadrante meto­
nico. Tuttavia, non era possibile decifrare quasi nessuna lettera basan­
dosi soltanto sull'osservazione diretta.JS Se si fosse voluto scommettere
sulla natura delle iscrizioni, le opzioni più probabili sarebbero state o
un sistema astratto di numerazione che conteggiava i mesi e gli anni,
oppure, vista la loro stretta associazione con i periodi callippici, i nomi
dei mesi del calendario ateniese. Finalmente, nel 2007-2008, grazie ai
dati forniti dalla tomografia computerizzata dell'AMRP, un gruppo di
studiosi (cui appartenevo anch'io) riuscì a leggere una parte sostanziale
delle iscrizioni all'interno delle caselle: l'esito fu decisamente sorpren­
dente.36
Certo, le iscrizioni mostravano lo schema ripetitivo che ci si sareb­
be aspettati di trovare nel ciclo di un calendario lunisolare: le caselle
collocate a intervalli di 12 o 13 mesi contenevano tutte lo stesso te­
sto e questo fu un grande aiuto nel lavoro di decifrazione, visto che
molte delle singole caselle erano solo parzialmente leggibili. Le caselle
che corrispondevano al primo mese lunare dell'anno potevano essere
identificate grazie alla presenza di un simbolo, che rappresenta l'an­
no, il cui significato era già noto; questo era seguito da un numero
che rappresentava la posizione dell'anno in questione all'interno del
ciclo metonico. Se si eccettuano questi casi particolari, ogni casella
conteneva soltanto il nome di un mese. Tali nomi sono elencati nella
tabella 4.2.
CALENDARI E GIOCHI 105

Tabella 4.2. I nomi dei mesi iscritti nella scala del quadrante metonico.

�unnero del nnese �onne


1 Fenicio
2 Craneo
3 Lanotropio
4 Macaneo
5 Dodecate o
6 Eu eleo
7 Artennisio
8 Psidreo
9 Ganneilio
10 Agrianio
11 Pananno
12 Apelleo

Non si trattava certo del calendario callippico, né del calendario


adottato da una della località dell'Egeo che erano state identificate come
il luogo di provenienza delle ceramiche, delle monete e degli altri ele­
menti che costituivano il carico del relitto di Anticitera. Ad esempio, fin
dai tempi di Price, si era proposto di considerare l'isola di Rodi come
un possibile luogo d'origine del meccanismo, in parte a causa delle an­
fore provenienti da Rodi recuperate dal relitto, ma soprattutto in virtù
dell'associazione dell'isola con l'astronomia (si pensi a Ipparco, a Posi­
donio, forse anche a Gemino). Conosciamo tutti i nomi dei mesi usati a
Rodi: Panamo e Agrianio corrispondono perfettamente ai mesi del mec­
canismo, mentre Carneo e Artamitio presentano soltanto varianti orto­
grafiche diverse. Tutti gli altri mesi, però, sono completamente diversi da
quelli del meccanismo.
Nel 1997, Catherine Triimpy ha pubblicato un libro che riunisce tut­
te le informazioni disponibili sui nomi dei mesi adottati dai calendari
regionali greci: consultando quest'opera, abbiamo individuato due aree
particolarmente interessanti per i nostri fini. 37 Alcune iscrizioni prove­
nienti da una serie di località situate nell'antica regione deii'Epiro (che
adesso corrisponde alla Grecia nordoccidentale e all'Albania meridiona­
le) o in prossimità di essa presentano nomi di mesi che corrispondono a
106 CAPITOLO 4

quasi tutti i mesi presenti sul meccanismo, a volte in modo esatto, altre
volte con lievi varianti ortografiche. Nessuna delle località recensite for­
niva un numero di nomi sufficiente a ricostruire una lista completa di
12 elementi, ma le corrispondenze suggerivano che queste regioni con­
dividessero tutte più o meno lo stesso calendario. Come suggerito da
Triimpy e dall'epigrafista francese Pierre Cabanes, il maggior conoscito­
re delle iscrizioni epirote, questo calendario proveniva quasi sicuramente
da Corinto, che aveva fondato colonie in Epiro nell'VIII e VII secolo a.C.
e aveva imposto il proprio dominio culturale sulla regione.38 Dalla stessa
Corinto ci sono giunti soltanto due nomi di mesi, Fenicio e Panamo.
L'altro luogo di interesse è Tauromenio, la moderna Taormina, in
Sicilia. Una serie di iscrizioni civiche di epoca ellenistica provenienti da
questa località conserva non solo una lista di mesi quasi completa, ma
anche - e si tratta di un'informazione ancora più rara - il loro ordine.39
Sette dei mesi di Tauromenio corrispondono ai mesi del meccanismo,
mentre gli altri cinque sono completamente diversi. La cosa più sorpren­
dente, però, è che le sezioni note dei due calendari possono essere alline­
ate in modo tale che i sette mesi equivalenti si trovino esattamente nelle
stesse posizioni. Abbiamo ipotizzato che lo stretto legame fra i calendari
di Tauromenio e quelli dell'Epiro dipendesse dal fatto che, nel 392 a.C.,
Tauromenio fu occupata dal tiranno di Siracusa Dionisio insieme ai suoi
mercenari. A propria volta, Siracusa era una colonia corinzia risalente
all'VIII secolo. Abbiamo quindi supposto che Siracusa avesse adottato il
calendario corinzio nella forma esistente in Epiro, mentre a Tauromenio
sarebbero stati introdotti nomi diversi per alcuni mesi a causa delle ori­
gini eterogenee dei mercenari che vi si erano stabiliti.
In tal modo, abbiamo individuato Corinto, l'Epiro con i suoi dintorni e
Siracusa come i tre possibili luoghi di costruzione del quadrante metonico
del meccanismo. Fra questi, abbiamo privilegiato Siracusa. Una delle ragio­
ni di questa scelta risiedeva nella constatazione che Roma aveva devastato
gran parte dell'Epiro nel 168 a.C., in seguito alla Terza guerra macedonica,
mentre aveva distrutto Corinto nel 146 a.C. In base alle stime effettuate
all'epoca a partire dalla forma delle lettere delle iscrizioni, eravamo con­
vinti che il meccanismo fosse stato realizzato in un'epoca successiva rispet­
to alle date sopra citate. Un'altra ragione per cui Siracusa sembrava una
candidata particolarmente attraente era la vaga possibilità che vi si fosse
conservata una tradizione di costruzione di meccanismi astronomici, che
sarebbe potuta risalire al III secolo - e quindi ad Archimede.
Con grande delusione dei fan di Archimede, ci siamo sbagliati. Solo i
nomi di due mesi del calendario siracusano sono direttamente attestati: si
CALENDARI E GIOCHI 107

tratta di Carneo (la variante più comune rispetto al Craneo del meccani­
smo), citato da Plutarco nella Vita di Nicia, e di un altro mese che iniziava
con le lettere AllO-. Quest'ultimo si è preservato in un'iscrizione prove­
niente da Magnesia sul Meandro (IMagnes. 72) ed è stato congetturato
che la sua forma completa fosse Apollonios (Apollonio). Nessuno dei mesi
del meccanismo comincia con AllO-, ma non abbiamo dato la giusta
importanza a questo dettaglio: a nostro avviso, era possibile che l'editore
dell'iscrizione avesse mal interpretato l'ultima lettera, che si trova vicino
all'estremità conservata della pietra (il che avrebbe reso plausibile anche
la congettura Apelleo) o, addirittura, che si fosse sbagliato nel pensare
che si trattasse del nome di un mese. Nel 2008, dopo aver effettuato un'i­
spezione diretta dell'iscrizione, l'epigrafista Pau! Iversen ha comprovato
l'esattezza della lettura, confermando anche che si trattava proprio del
nome di un mese.40 Apollonio è uno dei mesi non corinzi del calendario di
Tauromenio. Iversen ha dimostrato che anche altri mesi considerati tipici
di questa località erano diffusi in città sottoposte all'influenza siracusana.
È estremamente plausibile che il calendario a noi noto grazie ai resti di
Tauromenio non sia altro che il calendario siracusano, il quale era a pro­
pria volta un amalgama di mesi corinzi e mesi locali.
Abbiamo commesso un errore anche quando abbiamo dato per scon­
tato che, dopo il 1 6 8 a.C., in Epiro e dintorni fosse poco probabile in­
contrare un oggetto raro e costoso come il meccanismo. La devastazione
punitiva imposta dai Romani nel 1 6 8 - 1 67 a.C. fu severa ma selettiva.
Strabone parla di 1 50.000 individui ridotti in schiavitù e della distruzio­
ne di 70 città, aggiungendo però che si trattava soprattutto di città dei
Molossi, i quali si erano schierati contro Roma durante la guerra .41 Al
contrario, la dominazione romana coincise con un periodo di prosperità
per città costiere come Apollonia ed Epidamno, che si trovavano lungo
le rotte commerciali dell'Adriatico.
Torneremo più avanti sul problema dell'origine geografica del calen­
dario presente sul meccanismo. Per il momento, ci basti constatare che
si trattava di un calendario civile locale, non di un calendario artificiale
destinato alla ricerca scientifica, come il calendario callippico o il calen­
dario egizio non riformato usato dagli astronomi greci all'esterno dell'E­
gitto (o anche al suo interno dopo che la riforma prese piede). Pertanto,
il calendario metonico è una rappresentazione praticamente completa di
un calendario locale, strutturato in conformità con i cicli stabiliti dagli
astronomi greci e descritti nell'opera di Gemino.
I collegamenti fra Gemino e il calendario del meccanismo riguardano
anche il trattamento della durata dei mesi. La regola di Gemino, se-
108 CAPITOLO 4

condo cui a tutti i mesi vengono nominalmente assegnati 30 giorni, per


poi rimuovere un giorno ogni 64, è stata accolta con scetticismo dagli
storici moderni, che ne criticano l'apparente artificialità. G.J. Toomer
ha definito il resoconto di Gemino come una "finzione ", mentre Bowen
e Goldstein lo descrivono come "un'evidente ricostruzione - peraltro di
pessima qualità ". 42 Eppure, nella spira più interna della scala metonica
troviamo una serie di simboli numerici che indicano il numero del giorno
da saltare per tutti i mesi le cui caselle sono allineate in senso radiale con
i simboli suddetti. Nella maggior parte dei casi, i giorni da saltare sono
collocati a intervalli di 64 caselle l'uno dall'altro, anche se in alcuni casi
incontriamo intervalli di 65 caselle: in tal modo, si ottiene una distribu­
zione leggermente più uniforme all'interno dell'intero ciclo. Si sarà nota­
to che lo schema descritto non corrisponde esattamente alla descrizione
di Gemino. Tuttavia, il principio di base è praticamente identico: una
circostanza tutt'altro che casuale. Senza poi contare che nell'iscrizione
del coperchio posteriore (ICP) i giorni da saltare sono esplicitamente de­
finiti exairesimoi, Io stesso termine raro impiegato da Gemino. Possiamo
quindi concludere che le sue regole non erano affatto un'invenzione.
Nonostante ciò, credo che sarebbe affrettato giungere alla conclusione
che strutture cicliche rigorose come quelle descritte da Gemino regolassero
l'uso effettivo del calendario corinzio nell'ambito della comunità che lo
aveva adottato - altrettanto affrettato sarebbe estendere tale conclusione
ai calendari della tarda età ellenistica in generale. Possiamo davvero dare
per scontato che il progettista conoscesse nei dettagli la struttura di questo
calendario, soprattutto se consideriamo possibile - se non probabile - che
il meccanismo sia stato costruito altrove? Forse dovremmo interpretarlo
come una via di mezzo fra una struttura calendrica ideale e una descrizio­
ne fedele del funzionamento concreto di un calendario, se non addirittura
come una proposta per perfezionare un calendario reale.

I cicli dei giochi


Intorno al 130 a.C., un atleta ateniese di nome Menodoro, figlio di Gneo,
commissionò una statua in proprio onore, da erigersi a Delo. 43 La statua
è andata perduta, ma le iscrizioni sulla base si sono conservate quasi per
intero. L'iscrizione principale, che occupa il lato frontale della base (figura
4.5), rappresenta un reticolo rettangolare di ghirlande, dall'impatto visivo
impressionante. Al di sopra di ogni ghirlanda è iscritto il nome di un festi­
val atletico, mentre all'interno viene riportata la competizione specifica in
cui Menodoro era stato premiato per le proprie discipline, la lotta e il pan-
CALENDARI E GIOCHI 109

(b)

rèH8H8HeJ e 8 [@] e 8
l®J B B ra � � è !e�
8 8 [€;Jl9J r@H§J 8 8[8
� � 8 8 8 8 [1 § [8
Figura 4.5. L'iscrizione delle vittorie atletiche di Menodoro, proveniente da Delo
(fotografia di Bizard & Roussel 1 907, 434).

crazio (una sorta di combinazione di lotta e pugilato). In totale, si registra­


no 32 premi ottenuti durante le competizioni e 4 titoli onorifici speciali.
Nel riassumere le proprie imprese, Menodoro dichiara di aver ri­
portato la vittoria nel periodos ("circuito " ) e nelle "altre competizioni
sacre" . Il termine periodos stava a indicare l'intero ciclo delle quattro
venerabili competizioni panelleniche: i Giochi Olimpici, i Giochi Nemei,
i Giochi Pitici a Delfì e i Giochi lstmici a lstmia, nei pressi di Corinto.44
Quanto alle altre competizioni, se si eccettua una visita a Delo, Meno­
doro si limitò principalmente al continente greco. Nell'ambito di questi
confini, però, i suoi exploit vanno dalle Panatenee di Atene (di portata
1 10 CAPITOLO 4

locale, ma di grande prestigio) e dalle Eleusine di Eleusi fino alle più


distanti, e relativamente meno importanti, Naie di Dodona e Ninfee di
Apollonia, in Epiro. In totale, riportò premi in 14 località diverse e, se
si tiene conto delle inevitabili sconfitte non documentate, deve aver par­
tecipato a numerose competizioni per stagione nel corso di molti anni.
Il principio alla base di un festival religioso panellenico che compren­
deva una competizione atletica - alcuni includevano anche gare musicali
- era che tutti i Greci erano liberi di partecipare e gareggiare, che venissero
da vicino o da lontano. Prima dell'evento, si inviavano degli ambasciato­
ri (theoroi) in ogni dove per annunciare l'inizio delle festività e la sacra
tregua che le avrebbe accompagnate: in tal modo, si garantiva che tutti
coloro che desideravano partecipare all'evento potessero viaggiare libe­
ramente, indipendentemente dai conflitti in corso. All'inizio del IV secolo
a.C., con una notevole accelerazione nel III, ci fu una grande diffusione
di festival religiosi che si ispiravano ai quattro appuntamenti canonici del
periodos, con l'ambizione di uguagliarne il prestigio. Come nelle originali
competizioni panelleniche, il premio offerto non era altro che una coro­
na, ma i vincitori potevano aspettarsi di ricevere benefici materiali dalle
proprie città natali in segno di riconoscimento per la gloria conquistata.
La carriera di Menodoro è una manifestazione dell'ampia rete di
viaggi e relazioni fra città che veniva promossa da questi festival e che
includeva ambasciatori, atleti e spettatori. Un altro esempio è rappre­
sentato da una serie di iscrizioni, provenienti da Magnesia sul Meandro,
in cui si registrano i viaggi che gli ambasciatori cittadini effettuarono
nel 208 a.C. con un duplice scopo: invitare partecipanti al loro nuovo
festival religioso, le Leucofrienee, e ottenere il riconoscimento dell'in­
violabilità del loro santuario e territorio.45 Visitarono circa cento città,
spingendosi fino ad Antiochia in Persia (la moderna Navahand in Iran)
e fino in Sicilia (l 'iscrizione che registra la risposta di Siracusa è quella,
già citata, in cui si conserva parzialmente il nome del mese di Apollonia).
Dopo aver risposto positivamente all'invito, in aggiunta ai privati citta­
dini intenzionati a compiere il viaggio, una città poteva anche inviare i
propri theoroi che avrebbero assistito all'evento in un ruolo ufficiale. Se
i calendari appartenevano alla dimensione locale e cittadina della vita
sociale di un individuo, i festival panellenici erano l'emblema delle re­
lazioni che si instauravano fra le città e del fatto che i loro cittadini si
riconoscevano tutti come Greci.
L'elemento del tempo rientra nell'ambito dei festival religiosi a due li­
velli. In primo luogo, ciascun evento era celebrato in base a cicli annuali.
I Giochi Olimpici e Pitici si svolgevano secondo un ciclo di quattro anni:
CALENDARI E GIOCHI 111

i festival religiosi di questo tipo erano chiamati penteterici, un termi­


ne che letteralmente significa " di cinque anni ", visto che si considerava
come anno iniziale quello in cui il festival veniva celebrato. Di conse­
guenza, la celebrazione successiva sarebbe caduta nel quinto anno dopo
quello iniziale. I Giochi Nemei e Istmici, invece, erano celebrati ogni due
anni ed erano quindi chiamati "trieterici ", letteralmente "di tre anni".
Gli altri festival panellenici erano tutti penteterici o trieterici. Pertanto,
erano tutti governati da un ciclo regolare di quattro anni: alcuni veniva­
no celebrati una sola volta all'interno dello stesso ciclo, altri due.
I Giochi Olimpici, che erano considerati il festival atletico più anti­
co e prestigioso, fungono generalmente da punto d'inizio del ciclo dei
giochi. Anche se le testimonianze antiche sono poche e piene di contrad­
dizioni, è probabile che le celebrazioni dei Giochi Olimpici iniziassero
con la luna piena del primo mese lunare successivo al solstizio d'estate.
Questo era anche il primo mese dell'anno secondo il calendario dell'Eli­
de ( il cui territorio includeva anche Olimpia) e secondo quello ateniese.
Un' "Olimpiade" comprendeva quattro anni del calendario, a iniziare da
quello in cui cadeva il festival. Le Olimpiadi antiche venivano contate
in sequenza a partire dalla prima, leggendaria Olimpiade del 776 a.C. A
scopi cronologici, i singoli anni erano numerati da 1 a 4: ad esempio, il
solstizio d'estate di Metone del 432, che gli Ateniesi datavano all'anno
dell'arcontato di Apseude, cadde verso la fine del quarto anno dell'ot­
tantaseiesima Olimpiade. Alcuni storici greci utilizzavano i numeri e gli
anni delle Olimpiadi per creare un inquadramento cronologico in base
a cui datare gli eventi.
Il ciclo dei festival panellenici originari, ricostruito in base agli anni
olimpici, è il seguente:

Anno 1: Giochi Olimpici


Anno 2: Giochi Nemei e Istmici
Anno 3: Giochi Pitici
Anno 4: Giochi Nemei e Istmici

Questa lista, però, dà un'immagine parzialmente ingannevole del ciclo


dei giochi. Mentre i Giochi Olimpici, Nemei e Pitici si svolgevano nell'e­
state successiva all'inizio dell'anno olimpico, i Giochi Istmici erano ce­
lebrati verso la fìne dell'anno olimpico, nella tarda primavera. Perciò, se
si immagina una stagione di gare che va dalla primavera all'autunno, i
Giochi Istmici precedevano quelli Pirici e Olimpici all'interno della stessa
stagione. In ogni caso, nessuno avrebbe avuto difficoltà a individuare le
stagioni in cui ogni singolo festival si sarebbe svolto.
1 12 CAPITOLO 4

Essendo legata ai calendari locali, la collocazione dei festival all'inter­


no delle rispettive stagioni presentava invece problemi più complessi, sia
per le città che li ospitavano, sia per i partecipanti esterni che desideravano
assistere e gareggiare. Nel caso di festival prestigiosi come i Giochi Olim­
pici, non c'era bisogno di coordinare le date con quelle di altre manifesta­
zioni. Inoltre, è molto probabile che le date fossero ampiamente note: ad
esempio, gli spettatori dei Giochi Olimpici sapevano di dover raggiungere
l'Elide entro la luna piena successiva al solstizio d'estate. Chi partecipava
alle competizioni, invece, doveva arrivare entro la luna piena precedente,
in ossequio alla regola che imponeva di allenarsi in loco per un mese. Per
quanto riguarda i festival più recenti e meno prestigiosi, era preferibile evi­
tare che le loro date si sovrapponessero, o si avvicinassero troppo, a quelle
dei festival maggiori: non doveva essere un'impresa semplice, se le date
erano fissate secondo calendari locali che si basavano su diversi schemi
di intercalazione. Allo stesso modo, un atleta itinerante come Menodoro
doveva programmare con cura i propri spostamenti da una competizione
all'altra. Arrivare troppo presto o troppo tardi per non aver tenuto conto
delle stravaganze di un calendario locale sarebbe stato un errore davvero
costoso. Nel II secolo a.C., quando numerosi altri festival si erano ormai
aggiunti al repertorio, la loro successione all'interno del ciclo di quattro
anni era diventata oggetto di normativa imperiale. Non sappiamo però
come queste faccende venissero gestite nella tarda epoca ellenistica, pri­
ma che ci fosse un'autorità esterna in grado di stabilire quando le città
avrebbero dovuto celebrare le proprie festività. Ovviamente, le difficoltà
sarebbero state minori se si fosse deciso di sincronizzare le intercalazioni
dei diversi calendari: le prove esposte sopra dimostrano che si era effetti­
vamente iniziato a intraprendere una strada simile.
Sul frammento B-2 del meccanismo (ossia, la faccia del frammento
B rivolta verso gli ingranaggi interni), all'interno di quanto rimane della
scala metonica a spirale, spicca un albero (o asse) che sostiene una ruota
dentata, l'unica a essersi conservata (figura M4 ). La superficie corrispon­
dente sulla faccia esterna è nascosta dallo strato di concrezione che reca
parte dell'iscrizione del coperchio posteriore (ICP). Tuttavia, lo strato di
concrezione e la lastra del quadrante sono separati da uno spazio di pochi
millimetri: proprio quanto bastava perché Price, nel 1 958, vedesse che
l'albero fuoriusciva dal centro di un piccolo quadrante Circolare, diviso in
quattro sezioni uguali.46 Wright dimostrò che questo quadrante e la relati­
va ruota dentata erano collegati a un treno di ingranaggi che si ramificava
dal treno del quadrante metonico. Il tutto era strutturato in modo tale
che la lancetta del piccolo quadrante compisse una rotazione completa in
CALENDARI E GIOCHI 113

senso orario nell'equivalente di quattro cicli metonici, ossia un periodo


callippico di 76 anni.47 Questa ricostruzione permetteva di spiegare perché
la sezione dell'ICP conservata dal frammento 1 9 parlasse di " 76 anni" .
Per questa ragione, l a proposta di Wright fu immediatamente accettata,
nonostante presupponesse la scomparsa di ben tre ruote dentate oltre a
quelle necessarie per completare il treno di ingranaggi metonico.
Quando, nel 2007, abbiamo iniziato a studiare le iscrizioni dei qua­
dranti superiori del pannello posteriore avvalendoci della tomografia
computerizzata, eravamo convinti che qualsiasi iscrizione avessimo tro­
vato su questo quadrante avrebbe avuto a che fare con i periodi metonico
e callippico. Con nostro grande stupore, nei quattro settori erano iscritte
notazioni che significavano "anno l ", "anno 2", "anno 3 " e "anno 4",
disposte in ordine antiorario (figura 3.3).48 All'esterno di ciascun setto­
re, abbiamo trovato i nomi greci delle quattro competizioni panelleniche
che costituivano il periodos originario: in primo luogo NEMEA (Nemee),
all'esterno dei settori degli anni 2 e 4, poi I�eMIA (lstmiche) e IIY8IA
(Pitiche), all'esterno dell'anno 3, e infine di nuovo 1�8MIA, insieme a
OAYMIIIA (Olimpiadi), all'esterno dell'anno l . E così, contro ogni
aspettativa, il quadrante si è rivelato essere non il quadrante callippico,
ma un quadrante che rappresentava un ciclo di quattro anni. Tony Freeth
non ebbe alcuna difficoltà a ricostruire la sua connessione con il treno
metonico: era sufficiente ipotizzare la scomparsa di una ruota dentata, che
avrebbe consentito alla lancetta di compiere un intero giro ogni volta che
le veniva impartito un movimento pari a quattro anni di tempo.
Le iscrizioni del quadrante di B-2, così come appaiono grazie ai dati
della tomografia computerizzata, sono piuttosto sbiadite e difficili da di­
stinguere dai segni accidentali. Nonostante ciò, è chiaro che gli anni 2 e 4
del quadrante dei Giochi erano provvisti di altre iscrizioni oltre a quelle
che riportavano il nome dei Giochi Nemei. Nel corso dei lavori svolti nel
2007, siamo riusciti a decifrare il secondo nome inciso in corrispondenza
dell'anno 2: NAA. Si tratta di giochi celebrati presso il santuario di Zeus
a Dodona, spesso definiti Naia, anche se la forma Naa è regolarmen­
te usata nelle iscrizioni antiche.49 Le Naie erano un festival di relativa
importanza per I'Epiro. Alla fine della sua iscrizione commemorativa,
Menodoro, il nostro atleta girovago, menziona due vittorie conseguite
in occasione di questo evento (inserendolo così fra le competizioni meno
prestigiose cui partecipò ) . Le Naie compaiono anche in un numero ri­
dotto di iscrizioni che commemorano vittorie atletiche, ma è evidente
che erano meno importanti delle Panatenee di Atene o delle Tolomee di
Alessandria, tanto per citare qualche esempio. Il fatto che fossero inclu-
1 14 CAPITOLO 4

se nel quadrante dei Giochi rafforza l'ipotesi secondo cui il calendario


corinzio sia stato inciso sul meccanismo proprio perché quest'ultimo era
destinato a finire in Epiro.
A ben vedere, il quadrante dei Giochi e il calendario non sono col­
legati soltanto dall'inclusione delle Naie fra i giochi più celebri . Mentre
il ciclo olimpico convenzionale, fondato su un anno che inizia dopo il
solstizio d'estate, colloca i Giochi lstmici negli anni 2 e 4, il quadrante
dei Giochi li inserisce negli anni 1 e 3. Questo implica che le ripartizioni
del quadrante dei Giochi rappresentano anni il cui inizio non separava i
Giochi lstmici primaverili dai giochi che si svolgevano alla fine dell'esta­
te. Una simile suddivisone sembra adattarsi perfettamente al calendario
corinzio. Paul lversen e John D. Morgan hanno dimostrato che il mese
Carneo/Craneo - che era comune all'intera famiglia dei calendari dorici
cui apparteneva anche quello corinzio e che era il secondo mese dell'an­
no corinzio nel quadrante metonico - cadeva intorno all'equinozio
d'autunno o subito dopo. Ne consegue che l'anno corinzio iniziava alla
fine dell'estate, generalmente due mesi lunari più tardi rispetto all'anno
ateniese. 50 Vale la pena notare che erano solo gli ultimi mesi degli anni
contrassegnati dal numero 1 sul quadrante a sovrapporsi ai primi mesi
degli anni che occupavano la prima posizione nel convenzionale conteg­
gio delle Olimpiadi.
Anche se le quattro sezioni del quadrante dei Giochi rappresentano
gli stessi anni del calendario indicati dal quadrante metonico, le loro
linee divisorie non possono coincidere perfettamente con l'inizio di tali
anni. In effetti, la lancetta del quadrante dei Giochi attraversa ognuno
dei quattro settori ricevendo un impulso motorio di intensità costan­
te, equivalente a un anno solare. Gli anni del calendario, invece, sono
sempre o più brevi o più lunghi rispetto all'anno solare. Il progettista
ha scelto di incidere le linee divisorie con uno sfasamento di circa g o
in senso antiorario rispetto agli assi verticale e orizzontale, i l che corri­
sponde all'incirca a uno spostamento pari a un mese lunare. È possibile
che, quando il puntatore del quadrante metonico segnava esattamente
l'inizio del primo anno del suo ciclo di 1 9 e la lancetta del quadrante
dei Giochi era orientata perfettamente in senso orizzontale o verticale,
quest'ultima indicasse sempre la transizione a un nuovo anno con un po'
di ritardo rispetto al puntatore del quadrante metonico. Probabilmen­
te, questo sfasamento di go aveva lo scopo di garantire che la lancetta
indicasse sempre il corretto anno del ciclo dei giochi quando si trovava
verso la fine dell'anno del calendario, ovvero il periodo in cui venivano
organizzate le varie competizioni.
CALENDARI E GIOCHI 115

Ma esisteva una data "zero" condivisa da tutti i quadranti calendri­


ci, in corrispondenza della quale tutte le loro lancette erano orientate
verso il basso?51 Questa data avrebbe dovuto avere due requisiti: in pri­
mo luogo, avrebbe dovuto coincidere con l'anno corinzio che comincia­
va il più vicino possibile a qualsiasi evento annuale (come ad esempio
il solstizio d'estate) fungesse da riferimento per l'inizio dell'anno civile;
inoltre, avrebbe dovuto trattarsi di un anno in cui si svolgevano i Giochi
Olimpici. Queste condizioni si verificavano ogni 76 anni. Immaginia­
mo, ad esempio, che il calendario fosse sincronizzato con il calendario
ateniese, in modo tale che il mese di Fenicio corrispondesse sempre con
il terzo mese ateniese, Boedromione. Supponiamo anche che, al momen­
to della costruzione del meccanismo, gli anni intercalari del calendario
ateniese stessero ancora seguendo un ciclo di 1 9 anni tale per cui l'anno
che cominciava il più vicino possibile all'evento di riferimento per l'i­
nizio dell'anno civile fosse il 330/329 a.C. Se procediamo per blocchi
di 19 anni fino alla data approssimativa del naufragio di Anticitera,
osserveremo che gli anni del calendario corinzio in cui si celebrarono
anche i Giochi Olimpici avrebbero incluso il 273/272 a.C., il 1 97/1 96
a.C. e il 121/120 a.C. Se invece supponiamo che il calendario ateniese
avesse già adottato il ciclo in base a cui l'anno con l'inizio più vicino
all'evento di riferimento era il 43 d.C., gli anni che ci interessano avreb­
bero incluso il 281/280 a.C., il 205/204 a.C. e il 1 29/ i 28 a.C. Per il mo­
mento, le nostre speculazioni devono fermarsi qui; nel capitolo 6, però,
troveremo sorprendenti prove a conferma del fatto che l'inizio di uno di
questi anni doveva essere una data zero per le funzioni calendriche del
meccanismo, segnalata dal posizionamento parallelo delle lancette del
quadrante metonico e di quello dei Giochi - e probabilmente anche di
quello callippico.
L'idea che il meccanismo avesse un quadrante che contava quattro
anni si è sviluppata ben prima della decifrazione delle iscrizioni. Nella
ricostruzione proposta in Gears (rom the Greeks, Price suggeriva che il
quadrante quadriennale fosse il quadrante principale in alto sul retro,
ossia quello che ora conosciamo come il quadrante metonico a spira­
le. Non aveva però alcuna idea precisa quanto alla sua funzione.52 Un
quadrante di quattro anni avrebbe potuto segnalare quando, dopo aver
azionato il meccanismo per simulare un lungo intervallo di tempo, fos­
se necessario spostare l'anello del calendario egizio di un foro in senso
antiorario: questo avrebbe permesso di ovviare al fatto che quattro anni
egizi sono più brevi di un giorno rispetto a quattro anni solari. Le iscri­
zioni con i nomi delle competizioni panelleniche, però, suggeriscono che
116 CAPITOLO 4

lo scopo principale del quadrante fosse quello di monitorare il ciclo dei


festival, un'istituzione culturale che ben poco aveva a che fare con l'a­
stronomia. È per questa ragione che lo abbiamo ribattezzato quadrante
dei Giochi.
Il fatto che il meccanismo indicasse quali festival si celebrassero in
ogni anno del ciclo non aveva nessuna utilità pratica. Nel 2008, l'annun­
cio della scoperta del quadrante dei Giochi (allora definito "quadrante
delle Olimpiadi" ) e delle sue iscrizioni suscitò una grande attenzione me­
diatica, generando talvolta titoli piuttosto stravaganti, come: "Un antico
computer aiutava i Greci a prevedere i Giochi Olimpici" . Naturalmente,
i Greci non avevano alcun bisogno di concepire una costosa invenzione
per contare fino a quattro ! Quanto alle complicazioni calendriche che
intervenivano al momento di determinare la data esatta dei festival, il
meccanismo non avrebbe fornito alcun genere di aiuto. Il significato del
quadrante era puramente simbolico o didattico.
Avvalendosi dei dati forniti dalla tomografia computerizzata, lversen
ha svolto un esame approfondito delle tracce della seconda iscrizione
relativa all'anno 4: con prove convincenti, ha dimostrato che le incisioni
visibili formano la parola AAIEIA, "Alieia" .H Questo termine si rife­
risce a un festival penteterico, celebrato a Rodi in onore del sole (che
nel dialetto dorico era chiamato halios). Secondo un'altra fonte antica,
questo evento si sarebbe svolto proprio in uno degli anni del ciclo per cui
era prevista anche la celebrazione dei Giochi Nemei.54 Come le Naie, le
Aliee erano un evento piuttosto marginale, di rilevanza locale. Per quale
ragione, allora, si decise di includerle nel quadrante dei Giochi?
Fin dal momento in cui abbiamo capito che il calendario del qua­
drante metonico non era altro che il calendario di Corinto, ci siamo
resi conto che questa identificazione era in aperto contrasto rispetto al
contesto archeologico in cui il meccanismo era stato trovato. Il fatto che
il relitto si trovasse nel passaggio fra Creta e il Peloponneso, insieme alla
natura del carico della nave, suggeriva chiaramente un percorso che, a
partire dal Mar Egeo, si dirigesse verso ovest, in direzione dello Ionio.
Se si presuppone una rotta simile, è improbabile che il meccanismo fosse
stato caricato a bordo in una delle località dove era in uso il calendario
corinzio. All'epoca, eravamo falsamente convinti che, dopo la metà del
II secolo a.C., il calendario corinzio non fosse più in vigore da nessuna
parte. Perciò, abbiamo dovuto ipotizzare che, per qualche strana ragio­
ne, il dispositivo fosse stato trasportato in una regione orientale a partire
da Siracusa, da Corinto o dall'Epiro (ossia i luoghi cui il meccanismo era
destinato, indipendentemente dal fatto che vi fosse stato anche costru-
CALENDARI E GIOCHI 117

ito) e che, dopo anni, s i fosse deciso d i trasportarlo nuovamente verso


occidente. Esiste tuttavia un'ipotesi più semplice: probabilmente, il mec­
canismo era stato costruito in area egea non molto prima del naufragio
ed era in viaggio verso la sua futura casa lungo una rotta che avreb­
be proseguito lungo l'Adriatico - diciamo fino a Brundisium (moderna
Brindisi) - con soste durante il percorso per consegnare parte del carico.
Secondo il rasoio di Occam, è quindi probabile che il meccanismo fosse
stato commissionato da qualcuno che viveva nella regione dell'Epico nel­
la prima metà del I secolo a.C.55
A parere di Iversen, le Aliee di Rodi compaiono sul quadrante dei
Giochi perché il meccanismo proveniva da Rodi. Fu proprio in quest'iso­
la che Ipparco, originario di Nicea in Bitinia, si stabilì intorno alla metà
del II secolo a.C. per effettuare le proprie osservazioni astronomiche.
Altre fonti suggeriscono che, nella tarda epoca ellenistica, Rodi fosse un
vivace centro di ricerche astronomiche. La testimonianza più significa­
tiva è rappresentata da un passo del De natura deorum in cui Cicerone
parla di Posidonio di Apamea, un altro grande intellettuale trasferitosi
a Rodi. Secondo Cicerone, intorno al I secolo a.C., Posidonio avrebbe
"costruito" un dispositivo astronomico meccanico dalle funzioni simili
a quelle del meccanismo: si tratta di un'affermazione plausibile, visto
che Cicerone incontrò Posidonio proprio nel periodo in cui quest'ultimo
doveva essere in possesso di tale dispositivo.56 Non dobbiamo pensare
che il famoso filosofo stoico avesse una competenza tecnica, o una cono­
scenza teorica dell'astronomia, tali da poter costruire da solo qualcosa di
simile al meccanismo di Anticitera. È invece probabile che avesse accesso
a un laboratorio specializzato: e non dovevano essercene molti! Se il
nostro meccanismo fosse stato realizzato da un laboratorio di Rodi per
un cliente che viveva da qualche parte in Epiro, è probabile che ripro­
ducesse un prototipo destinato a essere usato a Rodi, pur incorporando
alcuni elementi legati al luogo di destinazione. La decisione di mantenere
la menzione delle Aliee presente sul prototipo equivaleva a inserire un
discreto marchio di fabbrica, come a dire "made in Rhodes ".
5
Sole, luna e stelle

Stabilire la data in base al sole e alle stelle


Fra le più antiche testimonianze della scienza greca che siano giunte fino
a noi, c'è una collezione di opere redatte da medici itineranti del V e IV
secolo a.C. Si tratta di resoconti delle osservazioni mediche effettuate du­
rante i loro soggiorni in diverse località dell'Egeo. L'identità degli autori
è sconosciuta, ma, con il tempo, i loro scritti furono inclusi nel corpus di
opere mediche tramandate sotto il nome di lppocrate di Cos, ricevendo il
titolo di Epidemie (il significato letterale dovrebbe essere "soggiorni pres­
so popoli" ) . Questi resoconti assumono fondamentalmente due forme di­
verse: in alcune circostanze, si tratta di storie di casi individuali strutturate
in forma di diario; in altre, di descrizioni dell'andamento delle malattie
osservate nell'ambito delle varie comunità nel corso di una o più stagioni.
Secondo una delle teorie prevalenti durante le prime fasi della medi­
cina greca, esposta in dettaglio in un'altra opera " ippocratica" intitolata
Sulle arie, sulle acque e sui luoghi, la costituzione fisica degli abitanti
di un luogo era plasmata dalla topografia locale, nonché da una serie
di fattori quali l'orientamento rispetto ai venti e la qualità delle risorse
idriche. Tuttavia, gli autori delle Epidemie si concentrano ben poco su
questi fattori permanenti. Sono invece molto interessati alle condizioni
meteorologiche locali, con particolare attenzione ai fenomeni verificatisi
nelle stagioni precedenti e contemporanee alle loro osservazioni. Così,
in uno dei libri dell'opera, il resoconto delle condizioni generali di salute
sull'isola di Taso, nell'Egeo settentrionale, è introdotto come segue:1

A Taso, poco prima di Arturo e durante Arturo stesso, piogge frequenti


e copiose con venti di settentrione. Verso l'equinozio e fino alle Pleiadi
scarse piogge meridionali. Inverno ventilato da Nord, siccità, freddo, gran
vento, neve. Verso l'equinozio, grandissime bufere. Primavera ventilata
da Nord, siccità, piogge scarse, freddo. Verso il solstizio d'estate piogge
scarse, gran freddo, che perdurarono sino al sorgere di Sirio. Dopo Sirio
SOLE, LUNA E STELLE 119

e fino ad Arturo, un'estate calda: grande calura e non a intervalli, ma in­


cessante e violenta: pioggia non ne cadeva: spiravano i venti Etesii. Verso
Arturo pioggia da mezzogiorno fino all'equinozio.

Questo passo descrive l e condizioni meteorologiche osservate a Taso du­


rante un preciso intervallo di tempo, ma non viene specificato l'anno, né
ci vengono fornite le date in riferimento al calendario in uso. Il tempo è
invece scandito dai solstizi, dagli equinozi e dalle date in cui certe stelle
ben visibili (come Siria e Arturo, le due stelle più brillanti del cielo greco,
e l'ammasso delle Pleiadi in Toro) erano viste sorgere o tramontare per
la prima o l'ultima volta prima dell'alba o dopo il tramonto. Tali eventi,
che un anno dopo l'altro si verificano sempre più o meno nella stessa fase
dell'anno solare, erano talmente noti all'autore e ai suoi lettori da poter
essere espressi in forma estremamente ellittica. La lista seguente li iden­
tifica e fornisce le date approssimative del calendario giuliano in cui un
individuo vissuto a Taso intorno al 400 a.C. avrebbe potuto osservarli:

Levata mattutina di Arturo 1 7 settembre


Equinozio d'autunno 28 settembre
Tramonto mattutino delle Pleiadi 8 novembre
Equinozio di primavera 26 marzo
Solstizio d'estate 28 giugno
Levata mattutina di Arturo 28 luglio
Se ne deduce che l'intervallo considerato si estende per poco più di un
anno, iniziando alla fine dell'estate e terminando con l'equinozio d'autunno.
Ma perché gli autori delle Epidemie usano questo genere di datazione
basata sul sole e le stelle, invece di ricorrere a un calendario ? Galeno,
il grande medico vissuto nell'Impero romano durante il II secolo d.C.,
tenta di rispondere a questa domanda nel suo commento al primo libro
delle Epidemie. Secondo Galeno, Ippocrate (che Galeno stesso ritene­
va essere l'autore del primo e del terzo libro delle Epidemie) evitava di
citare le date del calendario perché questo lo avrebbe inevitabilmente
costretto a usare i mesi di uno specifico calendario locale. lppocrate,
continua Galeno, scriveva per il beneficio di tutti i popoli e nessuno dei
calendari greci godeva di una notorietà universale.
Al giorno d'oggi, le Epidemie non sono interpretate come un trat­
tato scritto per i secoli a venire, ma come gli appunti di un medico,
rielaborati e limati a vantaggio di colleghi e studenti: di conseguenza,
l'argomentazione di Galeno perde gran parte della propria forza. Pe­
raltro, questo genere di datazione non compare soltanto nel corpus
ippocratico. Tanto per citare un esempio, Aristotele ne fa uso nei suoi
120 CAPITOLO S

scritti zoologici, inserendo affermazioni quali "anche il tonno si na­


sconde negli abissi durante l'inverno e inizia a essere catturato dalla
levata delle Pleiadi fino al tramonto di Arturo e non oltre" .2 Eppure,
sempre nel contesto di simili osservazioni sul ciclo di vita degli animali,
di tanto in tanto compaiono anche riferimenti ai mesi del calendario
ateniese. A quanto pare, il punto è che i fenomeni biologici e meteo­
rologici sembrano adeguarsi meglio alle fasi dell'anno solare che a un
calendario lunisolare. Gli occasionali riferimenti di Aristotele al calen­
dario ateniese vanno interpretati o come strizzate d'occhio ai lettori, o
come strategie alternative per casi in cui nessuno dei fenomeni apparte­
nenti al comune repertorio di eventi solari e stellari cadeva abbastanza
in prossimità a un fatto che si voleva datare.
Anche gli autori di testi non scientifici impiegavano di tanto in tanto
una datazione basata sui solstizi, sugli equinozi e sul sorgere e il tramonta­
re delle stelle.3 Già in epoca arcaica (intorno al 700 a.C.), questi fenomeni
costituivano l'inquadramento dell'anno agricolo nelle Opere e i giorni di
Esiodo. Il sorgere mattutino di Arturo era particolarmente noto, in quanto
costituiva un indicatore facilmente osservabile dell'inizio dell'autunno: i
pastori dell'Edipo re di Sofocle conducevano le greggi sul Citerone "dalla
primavera fino ad Arturo"; Tucidide scrive che, nel 429 a.C., i Lacede­
moni completarono il muro d'assedio intorno a Platea "in prossimità del
sorgere di Arturo"; un'orazione attribuita a Demostene cita un prestito
per un viaggio commerciale verso il Mar Nero i cui interessi sarebbero au­
mentati se il viaggio di ritorno si fosse prolungato "oltre Arturo ", quando
cioè le condizioni meteorologiche sarebbero diventate più rischiose.4
Il sistema di datazione fondato sui fenomeni solari e stellari era ac­
cessibile anche alle persone comuni e, se è per questo, anche ai medici e
ai filosofi che non avevano una speciale formazione in campo astrono­
mico: si trattava infatti di una pratica convenzionalmente limitata a un
numero ridotto di eventi annuali che coinvolgevano pochi corpi celesti
facilmente riconoscibili. Così, nella Historia animalium e nel corpus
ippocratico, sono solo Arturo, le Pleiadi e Siria a essere menzionati
fra le stelle che, con il loro primo tramonto e la loro prima levata,
segnano le diverse fasi dell'anno. Osservando il punto in cui il sole
sorge sull'orizzonte si potevano determinare i solstizi con una certa
approssimazione. Gli equinozi sono più difficili da individuare e forse
è per questo che il sorgere mattutino di Arturo era citato più spesso
dell'equinozio d'autunno come indicatore del cambio di stagione. Per
integrare i risultati delle osservazioni, si poteva facilmente memoriz-
SOLE, LUNA E STELLE 121

zare il numero approssimativo di giorni che separavano un fenomeno


dal successivo. Adesso, però, è giunto il momento di occuparci di una
versione più estesa di questi stessi principi, che rientrava nel campo di
interesse degli astronomi veri propri.
Durante la stagione di scavi condotta dai tedeschi a Mileto nel
1 902/1 903, furono scoperti, presso il sito del teatro antico, quattro
frammenti di marmo, che appartenevano a un'iscrizione alquanto inu­
suale. L'inverno successivo, un quinto frammento fu trovato all'interno
di un ovile situato nell'area della città antica.5 Questi reperti sono ora
denominati IMilet inv. 456A, 456B, 456C, 456D e 456N. I frammenti
A, C, D e N provengono dalla stessa iscrizione, mentre B appartiene a
un'altra iscrizione, simile alla precedente. Tali frammenti furono pub­
blicati per la prima volta da Hermann Diels e Albert Rehm poco dopo
essere stati scoperti (meno di due anni prima che Rehm cominciasse a
studiare il meccanismo).
Iniziamo con il dare uno sguardo a IMilet inv. 456B (figura 5.1). Il
blocco di pietra conserva parte di tre colonne di testo. Segue una tra­
duzione della colonna centrale (in cui i nomi di due costellazioni sono
frutto di integrazione):

Figura 5 . 1 . Iscrizione del parapegma proveniente da Mileto, IMi/et inv. 456B


(inv. SK 1 606 IV, Antikensammlung, Staatliche Museen zu Berlin Preussischer
Kulturbesitz; fotografia di Johannes Laurentius).
1 22 CAPITOLO 5

una linea di testo illeggibile


• •

30
• Il sole in Acquario.
• Il Leone inizia a tramontare al mattino
e la Lira tramonta .
• •

• Il Cigno inizia a tramontare al crepuscolo.


• • • • • • • • •

• Andromeda inizia a sorgere


al mattino .
• •

• L'Acquario è a metà della sua levata.


• Pegaso inizia a sorgere
al mattino .

• Il Centauro tramonta per intero al mattino.


• L'Idra tramonta per intero al mattino.
• Ceto inizia a tramontare
al crepuscolo.
• La Bilancia tramonta. Stagione di ininterrotti
venti di Zefiro .
• • • •

• Il Cigno tramonta per intero al crepuscolo.


• Arturo ( ? ) sorge al crepuscolo.

I piccoli cerchi neri rappresentano piccoli fori trapanati nella roccia, che
avevano evidentemente la funzione di ospitare un piolo mobile. Ogni
foro rappresenta uno dei trenta giorni (il numero che compare nella se­
conda linea conservata) che il sole impiega per attraversare il segno zo­
diacale dell'Acquario. Ogni giorno il piolo veniva spostato da un foro al
successivo, indicando così i giorni in cui i fenomeni descritti nell'iscrizio­
ne avrebbero dovuto svolgersi.
Nella maggior parte dei casi, viene semplicemente segnalato il mo­
mento in cui una costellazione sorge o tramonta per la prima o l'ultima
volta nel cielo mattutino o serale. Le uniche eccezioni sono l'entrata del
sole in Acquario e l'inizio della stagione dei venti di Zefiro (da ponente) .
Anche le altre colonne avevano struttura e contenuto analoghi. L'iscri­
zione completa doveva essere alta un metro e larga un metro e mezzo:
secondo le ricostruzioni, comprendeva sei colonne, ciascuna delle quali
elencava i fenomeni che avrebbero dovuto svolgersi durante il passaggio
SOLE, LUNA E STELLE 123

del sqle attraverso due segni zodiacali consecutivi. Si iniziava a partire


dal solstizio d'estate, quando il sole entra nel Cancro. Le tre colonne
del frammento superstite appartengono alle sezioni relative al Sagittario,
all'Acquario e all'Ariete. In pratica, ci troviamo di fronte a una sorta di
calendario basato sull'anno solare, in cui la metà dei giorni è associata
alla comparsa o alla scomparsa delle costellazioni, all'ingresso del sole
nei segni zodiacali e, molto raramente, a ricorrenze meteorologiche. La
sola sezione dedicata all'Acquario cita 1 1 stelle e costellazioni: si trat­
tava quindi di un sistema molto più ricco e denso rispetto al criterio di
datazione basato su sole e stelle adottato nelle Epidemie e nelle opere
biologiche di Aristotele.
Passiamo adesso a IMi/et inv. 456A, il frammento della seconda iscri­
zione che si è meglio conservato (figura 5.2). Comprende parti di due
colonne, riportate qui di seguito:

col. i
• Le !adi [?] tramontano la sera secondo Eu­
dosso [?], ma secondo Callaneo degli Indiani
le ladi [?] tramontano la sera,
la grandine segnala il cambiamento del tempo.
• • •

Figura 5.2. Iscrizione del parapegma proveniente da Mileto, !Milet inv. 456A
(inv. SK 1 606 l, Antikensammlung, Staatliche Museen zu Berlin Preussischer
Kulturbesitz; fotografia di Johannes Laurentius).
1 24 CAPITOLO 5

• La sera le Iadi sono nascoste, segue


la grandine e Zefiro soffia
secondo Euctemone, ma secondo
Callaneo degli Indiani . . .

col. ii
• La Capra tramonta al calar della notte
secondo Euctemone.
• La Capra tramonta al calar della notte secondo
Filippo e gli Egizi.
• La Capra tramonta la sera secondo
Callaneo degli Indiani.
• L'Aquila sorge la sera
secondo Euctemone.
• Arturo tramonta all'alba e
secondo Euctemone è indicato un cambiamento del tempo
e in questo giorno
l'Aquila sorge la sera secondo
Filippo.

L'iscrizione è costituita da una sezione introduttiva, situata nell'estremi­


tà sinistra (conservata in parte da 465C) e seguita, a quanto sembra, da
12 colonne. Queste ultime corrispondevano alle diverse sezioni dell'anno
solare, definite dal passaggio del sole attraverso i segni zodiacali. Nel com­
plesso, l'iscrizione doveva essere larga cinque metri e alta poco meno di
un quarto di metro. Le due colonne del frammento 456A appartengono al
Toro e all'Ariete; quella di 4560 alla Bilancia e allo Scorpione. Il princi­
pio dei fori e del piolo è quello illustrato in precedenza. Questa iscrizione,
però, contiene molte più affermazioni relativamente al tempo meteorolo­
gico; ognuna di queste è attribuita a un'autorità e, visto che tali autorità
sono molteplici, numerosi fenomeni astronomici compaiono più di una
volta e sono riferiti a più di un giorno. Tre delle autorità citate sono astro­
nomi greci che abbiamo già incontrato nel capitolo 4: Euctemone, Filippo
ed Eudosso. A costoro si aggiungono la menzione generica di un popolo,
gli Egizi, e "Callaneo degli Indiani ", di certo il più esotico dell'intera li­
sta. È probabile che quest'ultimo vada identificato con Calano, il filosofo
gimnosofista originario dell'indiana Taxila, che accompagnò Alessandro
Magno dall'India a Susa, dove morì suicida fra le fiamme.
Prima del ritrovamento di queste iscrizioni provenienti dalla Mileto
ellenistica, non si era a conoscenza di altri reperti in cui le date dei fe­
nomeni stellari e dei cambiamenti meteorologici fossero indicate sotto
SOLE, LUNA E STELLE 125

forma di iscrizioni accompagnate da fori e pioli.6 Tuttavia, lo stesso ma­


teriale era noto grazie ad altre testimonianze, in cui la successione dei
giorni all'interno dell'anno solare era indicata tramite sistemi diversi. La
più importante di queste testimonianze è un documento completo, molto
simile alla seconda iscrizione di Mileto, che ci è giunto sotto forma di ap­
pendice all'Introduzione ai fenomeni di Gemino. Proprio come l'iscrizio­
ne, questo testo attribuisce ogni affermazione a una serie di autorità, in­
clusi Euctemone ed Eudosso, menziona più volte gli stessi eventi stellari e
include numerose osservazioni di fenomeni meteorologici. Non potendo
usare fori e pioli, l'anno solare è diviso in 12 unità paragonabili ai mesi e
associate al passaggio del sole attraverso i segni zodiacali, proprio come
avveniva nell'iscrizione di Mileto; all'interno di ogni "mese" zodiacale,
i giorni sono numerati in modo sequenziale. Si è dibattuto a lungo se
questo documento fosse o meno da considerarsi come parte integrante
dell'opera di Gemino.7 A mio parere, si tratta di un testo estraneo che
finì per essere associato al testo di Gemino solo in una fase successiva.
La struttura a fori e pioli delle iscrizioni spiega il nome che lo stesso
Gemino assegnò a questo documento: parapégma, letteralmente "con­
ficcato a lato". Un interessante capitolo della sua opera discute proprio
il principio in base a cui, nei parapegmi, le date dei fenomeni stellari
vengono correlate ai cambiamenti meteorologici.8 Secondo quanto ci
dice lo stesso Gemino, ai suoi tempi i profani ritenevano che la compar­
sa o scomparsa delle costellazioni causasse i cambiamenti meteorologici
tramite un processo fisico che aveva luogo nell'atmosfera. A parere di
Gemino, però, questa interpretazione è sbagliata: le stelle sono troppo
lontane rispetto al livello in cui si verificano i fenomeni meteorologici,
che è direttamente connesso alla terra. Inoltre, la natura delle stelle non
ha alcuna affinità con gli eiementi che formano le nuvole e i venti e,
in mancanza di tale affinità, non può verificarsi alcuna influenza fisica.
Sempre secondo Gemino, gli scienziati che realizzarono le osservazioni
originali su cui si fondano i vari parapegmi non credevano nell'esistenza
di una connessione causale fra i fenomeni astronomici e meteorologici.
La scelta di correlare le ricorrenze meteorologiche con le date stellari
sarebbe derivata dall'impossibilità di datarle in base a un calendario lu­
nare: se si fosse tentato di farlo, ci si sarebbe scontrati con il fatto che
ogni città aveva un calendario diverso, con diversi modi di chiamare
i giorni e i mesi, senza poi contare le varie convenzioni che facevano
coincidere l'inizio dell'anno con stagioni diverse (si sarà notato che que­
sto ragionamento non è altro che una versione alternativa dell'argomen­
tazione con cui Galeno spiegava il sistema di datazione adottato nelle
126 CAPITOLO 5

Epidemie ippocratiche). Gemino nota anche che un parapegma fondato


su osservazioni effettuate in un luogo preciso non sarà valido altrove:
questo aspetto è completamente ignorato dall'iscrizione di Mileto, dove
gli Egizi appaiono in compagnia di un leggendario saggio indiano! Ge­
mino pensava solo alla variabilità delle ricorrenze meteorologiche da un
luogo all'altro, ma lo stesso vale per le date in cui le stelle sorgono o tra­
montano per la prima o l'ultima volta, le quali variano con la latitudine
terrestre, talvolta in modo considerevole.
A dire il vero, non si sa quali fossero le convinzioni di chi iniziò la
tradizione dei parapegmi, soprattutto per quanto riguarda il rapporto fra
la comparsa e scomparsa annuale delle costellazioni e le ricorrenze mete­
orologiche annuali. L'idea che le stelle potessero condizionare l'ambiente
umano era certamente diffusa nel pensiero greco antico. Nelle Opere e i
giorni, Esiodo presenta la prima apparizione mattutina di Sirio come una
forza disseccante che sfinisce gli uomini e rende le donne lascive.9 Ovvia­
mente, è possibile che questo passo abbia un valore metaforico. Tuttavia,
l'autore del testo ippocratico Sulle arie, sulle acque e sui luoghi non parla
certo per metafora quando ci mette in guardia contro i pericoli legati alla
somministrazione di trattamenti medici nelle date che coincidono con i
cambiamenti stagionali: particolarmente critici sono i solstizi, gli equinozi
e la comparsa delle stelle, specialmente Sirio, Arturo e le Pleiadi.10
Il primo compilatore di parapegmi di cui si conosca il nome è Eucte­
mone. Come abbiamo visto nel capitolo 4, Tolomeo lo associa a Merone
in connessione con il solstizio d'estate del 432 a.C.11 Non conosciamo la
versione originale dei suoi resoconti di fenomeni stellari e meteorologici,
ma il suo nome viene spesso citato nei parapegmi di epoca successiva,
nonché nei testi connessi. L'importanza della sua influenza può essere
dedotta anche da una serie di testimonianze che non citano esplicita­
mente il suo nome. Euctemone stabilì un repertorio di 15 stelle e costel­
lazioni, che fu adottato in seguito da numerosi autori di parapegmi, fra
cui lo stesso Eudosso. Questo repertorio sommava tutte le stelle note ai
non specialisti (Arturo, le Pleiadi, Sirio) a un ulteriore assortimento di
stelle e costellazioni, alcune delle quali non comprendevano stelle parti­
colarmente luminose. Se torniamo all'iscrizione del parapegma di Mileto
da cui proviene IMi/et inv. 456A, noteremo non solo che essa include
fenomeni attribuiti a Euctemone, ma anche che, in linea più generale, si
attiene esclusivamente al repertorio di stelle da lui stilato. L'altra iscri­
zione, pur menzionando vari fenomeni legati a costellazioni estranee alla
lista di Euctemone, sembra anch'essa includere alcuni dati che dipendo­
no dalla tradizione a lui legata.
SOLE, LUNA E STELLE 127

Secondo il parapegma allegato all'opera di Gemino, la tradizione at­


tribuiva a Euctemone anche il calcolo della durata delle stagioni; si tratta
cioè del numero di giorni che intercorrono fra i solstizi e gli equinozi:

Dal solstizio d'estate all'equinozio d'autunno: 92 giorni


Dall'equinozio d'autunno al solstizio d'inverno: 89 giorni
Dal solstizio d'inverno all'equinozio di primavera: 89 giorni
Dall'equinozio di primavera al solstizio d'estate: 95 giorni

Tuttavia, un testo di divulgazione astronomica risalente al II secolo a.C. e


conservato dal papiro greco Louvre inv. N 2325 (noto anche come PParis
l ) attribuisce a Euctemone una diversa stima della durata delle stagioni:12

Dal solstizio d'estate all'equinozio d'autunno: 90 giorni


Dall'equinozio d'autunno al solstizio d'inverno: 90 giorni
Dal solstizio d'inverno all'equinozio di primavera : 92 giorni
Dall'equinozio di primavera al solstizio d'estate: 93 giorni

È difficile dire quale delle due fonti conservi il calcolo originale di Eucte­
mone. Quel che è certo, è che numerosi astronomi della Grecia classica,
fra cui anche Euctemone e Merone, davano per scontato che le stagioni
non avessero una durata uniforme: la spiegazione più plausibile è che
fossero arrivati a questa conclusione cercando di determinare le date dei
solstizi e degli equinozi. Lo "schema di Uruk" dei Babilonesi, associato
al loro ciclo calendrico di 19 anni, presupponeva invece che questi inter­
valli avessero tutti più o meno la stessa durata.

Lo zodiaco e l'eclittica
I parapegmi ellenistici come quello di Mileto e !'"appendice" di Gemino
condividono una caratteristica strutturale che non risale a Euctemone:
si tratta della ripartizione dell'anno solare in 12 sezioni in base al movi­
mento del sole attraverso i segni zodiacali. Questa ripartizione dell'anno
del parapegma si fondava su due elementi. Il primo era l'idea che lo
zodiaco fosse una sorta di sentiero celeste per il movimento apparen­
te del sole rispetto alle stelle. Il secondo era la convinzione che le date
d'ingresso del sole nei segni del Cancro, della Bilancia, del Capricorno
e dell'Ariete corrispondessero rispettivamente al solstizio d'estate, all'e­
quinozio d'autunno, al solstizio d'inverno e all'equinozio di primavera.
La suddivisione dello zodiaco in parti uguali fu inventata a Babilonia
128 CAPITOLO 5

poco prima del 400 a.C.; la sovrapposizione dei solstizi e degli equinozi
con le date d'ingresso del sole nei segni zodiacali era un'innovazione
greca. Fu ela borata in seguito alla trasmissione del concetto di zodiaco
da Babilonia alla Grecia , forse durante il IV secolo a.C., anche se alcuni
studiosi privilegiano una data più tarda, intorno all'epoca ellenistica.13
Il più grande ostacolo all'elaborazione del concetto di "sentiero del sole"
consiste nel fatto che il sole stesso non può essere avvistato contemporane­
amente alle stelle che sembra attraversare, se non nella rara occasione di
un'eclissi solare totale. Quello che invece si può verificare tramite l'osser­
vazione diretta è il tragitto della luna. In particolare, è possibile osservare
che, in corrispondenza del novilunio, la luna tramonta sempre nello stesso
punto dell'orizzonte in cui tramonta il sole; al contrario, durante il plenilu­
nio, essa tramonta in un punto diametralmente opposto. A partire da tali
constatazioni, si può concludere che sole e luna percorrono più o meno lo
stesso tragitto. Il manuale astronomico babilonese chiamato MUL.APIN,
forse risalente al 1000 a.C. (e comunque non posteriore al 700 a.C.), mostra
che i Babilonesi erano già al corrente di questo fenomeno e che il percorso
suddetto era concepito come una cintura composta da 1 8 costellazioni:14

Gli dei che si trovano sul cammino della luna, la quale attraversa le loro
regioni nel corso di un mese toccandoli uno a uno, [sono]: le Stelle, il Toro
Celeste, il Vero Pastore di Anu, l'Uomo Anziano, il Pastorale, i Grandi
Gemelli, il Granchio, il Leone, il Solco, la Bilancia, lo Scorpione, Pabilsag,
il Pesce Capra, il Grande, le Code, la Rondine, Anunitu e il Mercenario.
Questi sono gli dei che si trovano sul cammino della luna, la quale attraver­
sa le loro regioni nel corso di un mese toccandoli uno a uno.
Il sole percorre [lo stesso] cammino che la luna percorre. Giove percor­
re [lo stesso] cammino che la luna percorre. Venere percorre [lo stesso]
cammino che la luna percorre. Marte percorre [lo stesso] cammino che
la luna percorre. Mercurio, il cui nome è Ninurta, percorre [lo stesso]
cammino che la luna percorre. Sa turno percorre [lo stesso] cammino che
la luna percorre. Insieme, [sono] sei dei che hanno le stesse posizioni [e]
che toccano le stelle del cielo e continuano a cambiare le loro posizioni.

I registri delle osservazioni astronomiche effettuate a Babilonia a partire


dal VII secolo a.C. contengono numerose affermazioni come " Saturno
era di fronte alla Rondine" o "la luna divenne visibile dietro al Toro Ce­
leste" .15 Entro il 400 a.C., il numero delle costellazioni utilizzate per si­
mili osservazioni posizionali fu ridotto a 12. Cosa ancora più importan­
te, questi 12 nomi finirono per essere assegnati a intervalli di lunghezza
uniforme (ossia i segni zodiacali), indipendentemente dalle dimensioni
SOLE, LUNA E STELLE 129

delle costellazioni che avevano il loro stesso nome. I segni dello zodiaco
babilonese sono riportati nella prima colonna della tabella 5 . 1 .

Tabella 5 . 1 . I segni dello zodiaco babilonese, l o zodiaco d i Eudosso e Arato e i


loro equivalenti nella nomenclatura moderna.

Babilonese Greco Equivalente


moderno
Il Mercenario Krios (Ariete) Ariete
Il Toro di Anu Tauros (Toro) Toro
I Grandi Gemelli Didymoi (Gemelli) Gemelli
Il Granchio Karkinos ( Granchio) Cancro
Il Leone Leon ( Leone) Leone
Il Solco Parthenos (Vergine) Vergine
La Bilancia Chelai ( Chele) Bilancia
Lo Scorpione Skorpios (Scorpione) Scorpione
Pabilsag Toxotes (Arciere) Sagittario
Il Pesce-Capra Aigokeros (Colui che ha le corna di capra) Capricorno
Il Grande Hydrochoos (Colui che versa l'acqua) Acquario
Le Code Ichthyes (Pesci) Pesci

La maggior parte dei segni prende il nome da costellazioni che hanno la


stessa forma immaginaria di quelle del nostro zodiaco, che deriva dalla
versione greca. Questo è evidente, ad esempio, nel caso del Toro di Anu,
del Granchio e del Pesce Capra. Alcuni segni però, come il Mercenario e
il Grande, sono completamente diversi.
Uno zodiaco ripartito in maniera uniforme forniva una scala graduata
simile a un righello per "il sentiero della luna": fu così che gli astrono­
mi babilonesi riuscirono a sviluppare metodi matematici per prevedere la
posizione dei corpi celesti. A tal scopo, ogni segno zodiacale fu diviso in
30 parti uguali, in modo tale che l'intero circuito dello zodiaco ne com­
prendesse 360. Fu in questo contesto che si ebbe origine la convenzione
moderna per cui misuriamo gli archi e gli angoli in gradi. Secondo le teorie
babilonesi, i solstizi e gli equinozi si verificavano quando il sole era all'in­
terno dei segni interessati di 8 o 1 0° (Granchio, Bilancia, Pesce Capra,
Mercenario) e non quando si trovava all'inizio di questi stessi segni.
Al giorno d'oggi, pensiamo ai segni zodiacali come a una componen­
te dell'astrologia: anche questa idea si è originata a Babilonia. Nelle sue
130 CAPITOLO 5

fasi iniziali, l'astrologia mesopotamica si dedicava all'osservazione e in­


terpretazione di quei fenomeni celesti che erano considerati come presagi
o messaggi divini a proposito di eventi che riguardavano regni e sovrani.
Nel corso del V secolo a.C., si sviluppò un nuovo genere di astrologia, la
quale offriva previsioni a qualsiasi individuo, basandosi sulla posizione
del sole, della luna e dei pianeti al momento della sua nascita.16 Tale
posizione veniva espressa in base ai segni zodiacali, talvolta precisando i
gradi all'interno dei segni. Nel capitolo 7 ci occuperemo di questi svilup­
pi astrologici in modo più approfondito.
A tempo debito, i metodi dell'astronomia matematica babilonese, in­
sieme a quelli dell'astrologia individuale, furono tramandati al mondo
greco-romano: con ogni probabilità, la trasmissione di entrambe le di­
scipline avvenne nel II secolo a.C. I Greci, però, conoscevano lo zodiaco
ben prima di iniziare a utilizzarlo per questi scopi. All'inizio del IV seco­
lo, Eudosso scrisse due opere, intitolate Specchio e Fenomeni. Vi si può
leggere la prima descrizione conosciuta di un sistema di costellazioni che
includa praticamente tutto il cielo visibile dalle latitudini del continente
greco e dell'Egeo. Queste opere non sono giunte fino a noi, ma il poema
Fenomeni composto da Arato (inizi del III secolo a. C) è in larga parte una
versificazione dei Fenomeni di Eudosso; inoltre, nel suo Commentario sui
Fenomeni di Arato ed Eudosso, Ipparco inserisce una serie di citazioni
tratte dallo stesso Eudosso. Siccome le nostre informazioni sull'identità
delle costellazioni babilonesi sono molto parziali, non è possibile stabilire
con certezza fino a che punto il sistema di Eudosso riflettesse le fonti me­
sopotamiche. Quel che è certo è che Eudosso descriveva le 12 costellazioni
zodiacali. In greco, queste costellazioni, insieme ai segni che presero il loro
nome, furono chiamate zodia, un termine che in altri contesti designava
una figurina o una statuetta: è proprio da qui che deriva il nostro termine
"zodiaco". I segni dello zodiaco greco, nella forma stabilita da Eudosso e
Arato, sono elencati nella seconda colonna della tabella 5.1.
È importante notare una differenza essenziale fra le immagini asso­
ciate allo zodiaco di Eudosso e quelle a noi familiari. La costellazione
che corrisponde alla nostra Bilancia, invece di essere assimilata ai due
piatti di una bilancia, è associata alle chele dello Scorpione: in tal modo,
una parte di una costellazione finisce per essere considerata come una
costellazione a sé stante. La ragione di questa scelta non è evidente; è
significativo, però, che la costellazione dello Scorpione sia l'unica delle
12 costellazioni zodiacali a figurare anche nella lista delle costellazioni
del parapegma di Euctemone. Forse la costellazione dello Scorpione era
già nota ai Greci e, come tale, incorporava anche le stelle che i Babilonesi
SOLE, LUNA E STELLE 131

chiamavano "Bilancia " . I l nome alternativo Zygos ( bilancia per pesare)


inizia ad apparire nelle fonti greche intorno al II o al I secolo a.C., ma
Che/ai continuò a essere usato fino al II secolo d.C., in riferimento sia
alla costellazione sia al segno zodiacale. Il fregio del calendario della
Mikri Mitropoli di Atene, che abbiamo descritto nel capitolo 4, presenta
la convenzione più antica, adottando una curiosa forma iconografica:
uno scorpione privo di chele è sospeso al di sopra della rappresentazione
del mese ateniese di Pianepsione; le chele vere e proprie, invece, aleggia­
no sulla raffigurazione del mese precedente, Boedromione (figura 5.3 ).
La divisione dello zodiaco in 12 segni uguali compare anche in un trat­
tato geometrico greco risalente al III secolo a.C., i Fenomeni (sempre questo
titolo!) del famoso matematico Euclide. L'opera esamina, da un punto di
vista puramente teorico, una serie di problemi legati al sorgere e al tramon­
tare dei segni zodiacali: i nomi dei segni non sono nemmeno menzionati.
Nonostante ciò, è proprio in quest'opera che incontriamo, apparentemente
per la prima volta, la convenzione tipicamente greca secondo cui, nei solstizi
e negli equinozi, il sole si trova proprio all'inizio dei segni zodiacali.
Nell'opera di Euclide compare anche il concetto di circolo dell'eclittica,
un cerchio geometrico che attraversa la cintura zodiacale nel suo centro. Il
termine greco generalmente usato per l'eclittica, definita come il "cerchio
che attraversa il centro degli zodia", compare già nelle opere di Aristote­
le, nell'ambito di una discussione dell'astronomia di Eudosso.17 L'eclittica

Figura 5.3. Lo Scorpione e le sue chele nel fregio del calendario della Mikri Mi­
tropo/i di Atene (fotografia di Alexander Jones).
132 CAPITOLO 5

non è altro che una versione idealizzata e adimensionale della cintura dello
zodiaco, anch'essa divisa in 12 segni identici. Alcuni astronomi greci, fra
cui Ipparco e Tolomeo (ma non Eudosso), presupponevano che l'eclittica
rappresentasse anche il movimento apparente del sole attraverso lo zodia­
co. Grazie al concetto di eclittica, la posizione apparente dei corpi celesti
poteva essere precisata da una coppia di coordinate: la longitudine, misu­
rata spostandosi verso est lungo l'eclittica, e la latitudine, misurata spo­
standosi perpendicolarmente rispetto all'eclittica, verso nord o verso sud.
Il parapegma più antico che si sia conservato è un papiro greco prove­
niente da Al-Hibah in Egitto (PHibeh 27) e risalente al 300 a.C. circa. In
questo documento, i fenomeni astronomici e meteorologici sono struttura­
ti secondo il calendario egizio "dall'anno vagante" (pertanto, col passare
di pochi anni, le date non sarebbero più state valide). Inoltre, in modo piut­
tosto inusuale per un parapegma, il papiro elenca anche le date delle feste
religiose egizie. Di tanto in tanto, il testo presenta espressioni come "nella
Vergine" o "nelle chele dello Scorpione", le quali fanno chiaro riferimento
al movimento del sole attraverso lo zodiaco. Simili espressioni compaiono
soltanto nelle date in cui una stella o una costellazione appare o scompare
e perciò non ci dicono nulla riguardo al giorno in cui il sole ha occupato
tale posizione per la prima volta. Anzi, a ben vedere, forse vogliono sem­
plicemente dire che il sole si trovava in quella posizione nel corso di uno
specifico mese egizio.18 Tuttavia, gli esempi superstiti ci inducono a pensare
che le espressioni suddette si riferissero ai segni zodiacali e non alle costel­
lazioni. I parapegmi più recenti che abbiamo analizzato sopra usano le date
d'ingresso del sole nei segni zodiacali per dividere l'anno solare in sezioni
dalla lunghezza variabile, anche se sempre prossima ai 30 gradi. Siccome
i solstizi e gli equinozi sono equiparati all'ingresso del sole nel Cancro, nel
Capricorno, nell'Ariete e nella Bilancia, ogni sequenza costituita da tre se­
zioni consecutive e il cui punto di inizio coincida con uno di questi eventi,
costituisce una stagione astronomica. Anche in questo caso, la durata di
tali stagioni è variabile, ma si aggira sempre intorno ai 90 giorni.

Il sole e il parapegma sul meccanismo


Quando, nel settembre del 1 905, Albert Rehm ebbe la prima, breve op­
portunità di esaminare i frammenti del meccanismo, la sua attenzione si
concentrò soprattutto sul frammento C.1� Quando fu esaminata per la pri­
ma volta nel 1 902/1903, la faccia del frammento che ora chiamiamo C-1
era apparsa piuttosto insignificante. Da allora, però, i tecnici del Museo
Archeologico Nazionale avevano lavorato instancabilmente per rimuove-
S O LE, LUNA E STELLE 1 33

re strati di concrezione e di lastra fusa, riuscendo finalmente a portare alla


luce un pezzo di lastra su cui compariva una serie di iscrizioni. A quanto
sembra, Rehm fu il primo studioso a esaminarle. Dev'essere stato molto
stupito - e gratificato - nello scoprire che il testo di questa lastra altro non
era che un parapegma, proprio come le iscrizioni di Mileto che aveva aiu­
tato a interpretare e pubblicare poco più di un anno prima.
La lastra che conteneva il parapegma di Rehm era saldata alla parte
anteriore dei resti del quadrante anteriore del meccanismo; perciò, Rehm
riuscì a vedere solo una piccola porzione della scala del calendario egizio,
che spuntava da sopra. Prima che Derek de Solla Price potesse esamina­
re i frammenti nel 1 95 8 , la lastra del parapegma aveva perso qualche
pezzo, forse a causa dei danni subiti in periodo di guerra, rendendo visi­
bile una parte della scala dello zodiaco, che si trovava immediatamente
all'interno di quella del calendario egizio. E così, Price fu in grado di sco­
prire il collegamento fra il parapegma e la scala dello zodiaco, riuscendo
anche a individuare la posizione dell'iscrizione del parapegma all'interno
del meccanismo.20 La ricostruzione di Price è stata confermata e perfe­
zionata dalle ricerche successive, che si sono basate sui dati ottenuti nel
2005 con la tomografia computerizzata (TC) e hanno integrato anche
altri frammenti superstiti dell'iscrizione del parapegma.
Come abbiamo visto nel capitolo 3, la scala graduata dello zodiaco
era un anello simile alla scala del calendario egizio, diviso in 12 settori
corrispondenti ai segni dello zodiaco, ciascuno dei quali era a propria
volta suddiviso in 30°. A differenza della scala del calendario egizio,
però, quella dello zodiaco era una componente fissa della lastra anterio­
re. Una lancetta rotante indicava la longitudine del sole nello zodiaco per
qualsiasi data mostrata dal meccanismo. Il sole si sposta attraverso lo zo­
diaco da ovest a est: sul quadrante, questo movimento era rappresentato
dalla rotazione in senso orario della lancetta del sole. L'inizio dell'Ariete
era in corrispondenza dell'estremità superiore del quadrante, quello del­
la Bilancia (qui definita Che/ai, "chele" ) in corrispondenza dell'estremità
inferiore, mentre l'inizio del Capricorno e del Cancro erano rispettiva­
mente all'estrema destra e all'estrema sinistra del quadrante.
Delle lettere dell'alfabeto greco erano state iscritte a intervalli regola­
ri all'esterno delle tacche che segnavano i singoli gradi della scala dello
zodiaco. Ad esempio, le lettere alfa, beta, gamma e delta sono iscritte in
corrispondenza delle tacche numero 1, 1 1 , 14 e 1 6 del settore della Bilan­
cia - una sezione della scala graduata direttamente visibile su C-1 . Ogni
lettera si riferiva a un fenomeno astronomico che si verificava ogni volta
che la lancetta del sole era allineata con la tacca dei gradi corrispondente.
134 CAPITOLO 5

Per poter identificare il fenomeno indicato, bisognava andare a cercare


la lettera interessata in una lista di fenomeni che era stata iscritta su due
lastre rettangolari; queste ultime si trovavano sulla faccia anteriore del
meccanismo, rispettivamente sopra e sotto la lastra del quadrante. Ciascu­
na delle due lastre conteneva due colonne di testo, composte da una serie
di lettere e dalle descrizioni dei fenomeni associati: è il testo nella sua inte­
rezza che definiamo iscrizione del parapegmaY Se, ad esempio, la lancetta
del sole si trovava nel quadrante in alto a destra della scala dello zodiaco,
ossia da qualche parte fra l'inizio dell'Ariete e la fine dei Gemelli, bisogna­
va cercare fra le lettere situate nella colonna destra della lastra superiore.
Il caso vuole che la colonna in alto a destra si sia quasi completamen­
te conservata sul frammento C-l . Si tratta proprio del testo trascritto da
Rehm nel 1 905 durante il suo primo esame dei frammenti del meccani­
smo: per farlo, si aiutò con un bastoncino di legno, grazie a cui poteva
seguire i tratti delle lettere incise attraverso la patina che ricopriva l'iscri­
zione (in seguito la patina fu asportata, ma una parte della lastra stessa
si è staccata; pertanto, per alcune sezioni del testo, dipendiamo dalle
vecchie fotografie e dalle trascrizioni di Rehm). Le lettere di rimando se­
guono l'ordine dell'alfabeto greco, da iota a sigma; probabilmente con­
tinuavano la serie da alfa a theta situata nella colonna in alto a sinistra,
di cui ci restano soltanto due passi frammentariY Nella traduzione che
segue, le parentesi quadre racchiudono il testo congetturato:

[I L'Ariete inizia a sorgere. l]


[Equinozio di primavera.]
[K Le Pleiadi tramontano] di sera. [nn]
A Le Iadi tramontano di sera. 24
M Il Toro inizia a sorgere. l
[N] La Lira sorge di sera. 1 1
:=: La Pleiade sorge al mattino. 17
O La Iade sorge al mattino. 25
TI I Gemelli iniziano a sorgere. [ 1 ]
P L'Aquila sorge d i sera. [nn]
I: Arturo tramonta al mattino. 1 0

Nella maggior parte dei casi, l'iscrizione del parapegma riguarda la


comparsa e la scomparsa di stelle e costellazioni. Ad esempio, la sezione
introdotta dalla lettera 2 si riferisce alla prima apparizione delle Pleiadi
in prossimità dell'orizzonte orientale nelle ore che precedono l'alba. Il
numero 17 collocato alla fine della sezione può significare due cose: o
che l'evento in questione dovrebbe verificarsi il diciassettesimo giorno
SOLE, LUNA E STELLE 135

dopo l'ingresso del sole nel Toro, oppure che esso h a luogo quando la
lancetta del sole si trova in corrispondenza della tacca che indica il 1 7°
grado del Toro. Non sappiamo quale delle due interpretazioni sia corret­
ta; tuttavia, in linea di massima, il numero del grado e quello del giorno
erano identici o differivano di una sola unità.
Sezioni come quelle introdotte dalle lettere M o II usano una termi­
nologia simile a quella delle sezioni relative alle stelle, ma in realtà si rife­
riscono all'ingresso del sole nei segni zodiacali. Per questa ragione, sono
costantemente seguite dal numero l, a indicare che l'evento descritto si
verifica nel giorno in cui il sole raggiunge il primo grado del segno. Il
verbo "sorgere " (epitellein o anatellein) è usato con un'accezione diversa
quando si riferisce ai segni zodiacali. Quando le Pleiadi "sorgono", si­
gnifica che diventano effettivamente visibili agli occhi di un osservatore.
Invece, affermare che il Toro "inizia a sorgere " equivale a dire che il
primo grado del segno è all'orizzonte al momento del sorgere del sole, un
fenomeno che non può essere osservato. Ciascuna delle quattro colonne
dell'iscrizione del parapegma iniziava con una frase di due righe, simile
a quella qui introdotta dalla lettera I, in cui l'entrata del sole in un segno
zodiacale era equiparata a un solstizio o a un equinozio.
L'iscrizione del parapegma presente sul meccanismo somiglia alla pri­
ma delle iscrizioni provenienti da Mileto, IMi/et inv. 456B: proprio come
quest'ultima, non contiene affermazioni ripetute o attribuite a un'autorità,
né include osservazioni meteorologiche. D'altro canto, il parapegma del
meccanismo segue la lista delle stelle e delle costellazioni risalente a Eucte­
mone. Non conosciamo la fonte dei dati specifici, né sappiamo se fossero
il risultato di osservazioni o di calcoli teorici sulle condizioni di visibilità
delle stelle. Le informazioni superstiti sembrano adeguarsi alla latitudine
della Grecia meridionale o, per dire, di Rodi (circa 36° N), piuttosto che a
quella di Alessandria (circa 3 1 o N) o dell'Epiro (circa 4 1 o N).23 Tuttavia,
l'analisi astronomica dei parapegmi antichi è sempre un esercizio frustran­
te e dai risultati limitati. In parte, questo dipende dal fatto che la visibilità
stellare è un fenomeno per cui non esistono criteri scientifici esatti, poiché
è influenzata dall'acutezza della vista dell'osservatore e dalle condizioni
atmosferiche in prossimità dell'orizzonte, due elementi che non possono
essere oggetto di previsioni precise. Bisogna poi considerare un'ulteriore
fonte di incertezza: non sempre sappiamo quali stelle, all'interno di una
costellazione, fossero ritenute essenziali perché la costellazione stessa ve­
nisse considerata visibile. In aggiunta a queste considerazioni, va notato
che l'iscrizione del parapegma sembra essere influenzata dal complesso
corpus di dati dei parapegmi tramandati dalle epoche precedenti.
136 CAPITOLO 5

Ma perché il meccanismo era dotato di un parapegma? Come in


molte altre occasioni, possiamo scomporre questo interrogativo in due
domande distinte: quale avrebbe potuto essere l'utilità pratica delle in­
formazioni fornite da questo dispositivo ? Qual era il valore didattico o
simbolico della sua presenza ? Per quanto riguarda il lato pratico, c'erano
poche - anzi pochissime - apparizioni stellari che esercitassero un influs­
so diretto sulla vita pubblica o privata, come la prima comparsa mattuti­
na di Sirio in Egitto o quella di Arturo in Grecia. In maniera più indiret­
ta, la tradizione dei parapegmi aveva ampiamente divulgato le date dei
fenomeni stellari, dei solstizi e degli equinozi, che erano percepiti come
elementi utili a prevedere il tempo atmosferico. Tuttavia, l'assenza di
osservazioni di carattere meteorologico nel parapegma del meccanismo
sembrerebbe limitare la sua utilità per la previsione dei mutamenti del
tempo atmosferico. Forse il progettista credeva nell'esistenza di criteri
regolari in base a cui era possibile correlare il tempo meteorologico agli
eventi astronomici. Oppure - e ritengo che questa sia la spiegazione più
plausibile - potrebbe aver deciso di limitarsi a registrare gli eventi astro­
nomici perché il meccanismo era destinato a essere impiegato in una
regione lontana, le cui ricorrenze meteorologiche non potevano corri­
spondere a quelle registrate nei parapegmi disponibili: l'utente avrebbe
quindi dovuto effettuare un po' di ricerche su base locale!
Se consideriamo il meccanismo come uno strumento per insegnare l'a­
stronomia, la presenza di un parapegma appare subito come un elemento
essenziale: dopo tutto, la compilazione e la presentazione di dati destinati
ai parapegmi era una componente centrale dell'astronomia greca fin dai
suoi esordi nel V secolo a.C. Inoltre, grazie all'iscrizione del parapegma,
che era collegata alla lancetta del sole tramite il quadrante dello zodiaco, il
meccanismo forniva un quadro più completo dell'intero sistema cosmico,
mostrando le stelle nel loro rapporto con gli altri corpi celesti. Il sistema
delle costellazioni e la loro disposizione nella volta celeste erano fra gli ar­
gomenti basilari di qualsiasi esposizione astronomica a scopo divulgativo.
Questi fenomeni potevano anche essere rappresentati visivamente nei globi
stellari (come quello sorretto dall'Atlante Farnese nella figura 5.4) o nei
quadranti degli orologi meccanici ad acqua. Non li si poteva però includere
in maniera efficace nei quadranti di un dispositivo come il meccanismo di
Anticitera. Si può pensare che i segni zodiacali iscritti sul quadrante dello
zodiaco fungessero in una certa misura da sostituti delle stelle; tuttavia,
grazie a un parapegma si potevano collegare le rivoluzioni annuali del sole,
segnalate dalla lancetta rotante, a una serie più ampia di costellazioni, an­
che se queste erano rappresentate in modo verbale e non visivo.
SOLE, LUNA E STELLE 137

Figura 5.4. Il globo stellare dell'Atlante Farnese, Museo Archeologico Naziona­


le, Napoli (fotografia di Alexander Jones).

Il significato e la lunghezza dell'anno solare


Finora abbiamo parlato dell'anno solare come se si trattasse di una sem­
plice unità di tempo astronomica, ma non ci siamo ancora chiesti come
il progettista del meccanismo interpretasse gli anni solari, né quale du­
rata attribuisse loro. In senso prettamente operativo, nel meccanismo
un anno solare è il tempo impiegato dalla lancetta del sole per compiere
una rotazione completa intorno alla scala graduata dello zodi�co. Nell'i­
scrizione del parapegma a questo intervallo di tempo sono associati due
diversi significati astronomici. Da un lato, quando la lancetta si trova in
corrispondenza della tacca che indica, ad esempio, l'inizio del segno del­
la Bilancia, una lettera alpha iscritta accanto alla tacca stessa ci rimanda
a una sezione dell'iscrizione che recita: " La Bilancia inizia a sorgere:
equinozio d'autunno. " Ne consegue che il tempo che intercorre fra un
solstizio (o un equinozio) di un certo tipo e il solstizio (o equinozio)
successivo dello stesso tipo corrisponde a un anno solare. D'altro canto,
quando la lancetta si trova, ad esempio, in corrispondenza della tacca
che segna il 1 6° grado dello stesso segno zodiacale, una lettera delta ci
rimanda alla frase seguente: " La Corona [ossia la Corona Boreale] sorge
al mattino." Questo significa che un anno solare corrisponde al tempo
138 CAPITOLO 5

che intercorre fra il momento in cui il sole è abbastanza lontano da una


costellazione perché quest'ultima sia visibile prima dell'alba e il successi­
vo verificarsi della medesima configurazione.
Da un punto di vista concettuale, si tratta di due diversi tipi di anno.
L'anno definito dai solstizi e dagli equinozi è chiamato "anno tropicale"
( dal greco trope, che significa "solstizio" ) , mentre quello determinato
dal passaggio del sole accanto alle stelle è l"'anno siderale" (dal latino
siderealis, "stellato" ). Tuttavia, nelle prime fasi dell'astronomia greca
si riteneva che non ci fosse differenza fra i due. Così, Esiodo colloca la
prima apparizione serale di Arturo 60 giorni dopo il solstizio d'estate;
allo stesso modo, negli scritti ippocratici compare uno schema in cui si
stabilisce il numero di giorni che intercorrono fra i fenomeni stellari e i
solstizi e gli equinozi.24 La struttura convenzionale dei parapegmi era il
frutto di un'elaborazione di questo principio e, come abbiamo visto, il
meccanismo funzionava come un parapegma automatizzato, perlomeno
per quanto riguarda la rappresentazione dei fenomeni solari.
Con il suo sistema di ingranaggi, il meccanismo stabiliva rapporti
fissi fra i propri anni solari e la durata media dei mesi lunari e dei periodi
dei vari pianeti; questo però non avveniva con i singoli giorni. È solo
grazie alle iscrizioni e alle scale graduate dei quadranti che apprendiamo
da quanti giorni si riteneva fosse composto un anno. Quando la lan­
cetta del sole compiva una rotazione completa intorno alla scala dello
zodiaco, compiva anche un intero giro della scala graduata del calenda­
rio egizio, la quale era suddivisa in sottosezioni che corrispondevano a
3 65 giorni. Tuttavia, poiché questa scala era stata concepita in modo da
poter modificare il suo allineamento con la scala dello zodiaco, l'unica
informazione che possiamo ricavarne è che l'anno solare doveva corri­
spondere approssimativamente a 365 giorni, una stima suscettibile di
correzioni dell'ordine della frazione di giorno. È possibile che una delle
iscrizioni presenti sul meccanismo contenesse delle istruzioni riguardo
alla frequenza con cui andava spostata la scala del calendario egizio. Ma
anche se così fosse, nulla di simile si è conservato fino a noi.
Dai numeri iscritti all'interno della scala del quadrante metonico si può
dedurre che ogni gruppo di 4 7 mesi lunari fosse costituito da 22 mesi "vuo­
ti", formati da 29 giorni, e 25 mesi "pieni " , formati da 30 giorni: di con­
seguenza, un intero ciclo di 19 anni avrebbe dovuto contenere 6940 gior­
ni. Se ne ricaverebbe quindi un anno solare composto da 365 giorni e 5/19.
Tuttavia, questa stima non sembra rispecchiare l'opinione del proget­
tista, dal momento che l'iscrizione del coperchio posteriore (ICP) ci in­
forma dell'esistenza di un quadrante che conteggiava i cicli di 19 anni
SO LE, LUNA E STELLE 139

nell'ambito di un più ampio ciclo di 76: una cosa simile avrebbe avuto
senso solo presupponendo un anno solare della durata di 365 giorni e %.
È possibile che, forse in una sezione perduta dell'ICP, ci fosse una regola
aggiuntiva che stabiliva che un certo mese all'interno del ciclo di 19 anni
andava considerato pieno in tre cicli, ma vuoto nel quarto, in modo da
garantire un corretto conteggio dei giorni sul lungo termine.
Intorno al 128 a.C., Ipparco osservò che gli anni tropicali e siderali
non erano esattamente identici: in particolare, scoprì che l'anno tropica­
le era più breve di 1hoo di giorno rispetto a 365 giorni e %, mentre l'anno
siderale era più lungo di una piccola frazione di giorno. Un altro modo
per descrivere questo fenomeno, noto come "precessione degli equinozi"
o semplicemente "precessione ", è che la posizione delle stelle subisce un
lentissimo spostamento verso est rispetto ai punti solstiziali e equinoziali
(ossia i punti dell'eclittica occupati dal sole nei solstizi e negli equinozi).
lpparco dedusse anche che il movimento relativo delle stelle consisteva
in una rivoluzione intorno ai poli dell'eclittica e non intorno all'equa­
tore. Ne risultava che, se le stelle si spostano lentamente verso est in
longitudine, anche il punto dell'orizzonte in cui sorgono e tramontano è
soggetto a uno spostamento graduale.
Una conseguenza della precessione è che le date della prima e ulti­
ma apparizione delle costellazioni non sono stabili né rispetto ai solsti­
zi e agli equinozi, né le une rispetto alle altre. Siccome l'anno siderale è
più lungo dell'anno tropicale, le date di questi eventi finiranno per ca­
dere sempre più tardi se l'anno solare viene fatto iniziare, ad esempio,
con il solstizio d'estate. Ma anche i cambiamenti a lungo termine che
interessano il punto dell'orizzonte in cui le stelle sorgono e tramonta­
no hanno conseguenze complesse sulle date in cui le stelle diventano
visibili. Pertanto, la precessione degli equinozi riduce la validità delle
datazioni degli eventi stellari riportate nei parapegmi che si rifanno
ad autorità dei secoli precedenti, quali Euctemone ed Eudosso. Senza
contare che, anche rimanendo nella stessa epoca, le date della levata
e del tramonto delle stelle sarebbero state valide solo nei luoghi che si
trovavano esattamente alla stessa latitudine per cui queste date erano
state calcolate.
Per illustrare questa duplice variabilità, possiamo confrontare le date
del primo sorgere mattutino di Arturo e il numero di giorni che lo se­
paravano dall'equinozio d'autunno, calcolati mediante metodi moderni
per tre latitudini diverse e per gli anni 400 a.C. (più o meno il periodo in
cui vissero Euctemone ed Eudosso) e 100 a.C. (in prossimità dell'epoca
di Gemino e del meccanismo):25
140 CAPITOLO 5

Luogo 400 a. C. 1 00 a.C.


Alessandria (31 o 12' N) 24 settembre (4 giorni) 26 settembre (O giorni)
Atene (37° 59' N) 1 9 settembre (9 giorni) 22 settembre (4 giorni)
Roma (41° 54' N) 16 settembre (12 giorni) 1 9 settembre (7 giorni)

Il parapegma annesso all'opera di Gemino riferisce che, secondo Eudos­


so, il sorgere di Arturo avveniva 1 1 giorni prima dell'equinozio, mentre,
secondo Euctemone, si verificava 10 giorni prima: queste date sarebbero
state plausibili per i loro tempi e per le latitudini della Grecia centrale
e settentrionale. Tuttavia, secoli più tardi, la letteratura parapegmatica
continuava a collocare i l sorgere di Arturo 10 o più giorni prima dell'e­
quinozio. Anche Galeno, che scrive alla fine del II secolo d.C., dichiarava
che l'intervallo fra i due eventi è di circa 12 giorni.26 Quanto al meccani­
smo, l'ultimo evento stellare segnalato sulla scala graduata dello zodiaco
(indicato dalla lettera omega) è molto probabilmente il sorgere di Artu­
ro, a 20°, il che coincide quasi perfettamente con la stima di Euctemone.
Con il senno di poi, la scoperta della precessione ci appare come uno
dei più grandi risultati raggiunti da Ipparco. In primo luogo, perché si
tratta di un notevole esempio di analisi scientifica di un fenomeno che
si collocava al limite di ciò che si poteva misurare con i registri osserva­
zionali disponibili all'epoca. In secondo luogo - e adottando una pro­
spettiva piuttosto anacronistica - perché la spiegazione gravitazionale
della precessione rappresentò un problema cruciale per lo sviluppo della
meccanica newtoniana. Tuttavia, per l'astronomia greca da Ipparco a
Tolomeo, questa scoperta ebbe un impatto limitato. Per citare un esem­
pio, Gemino non sembra essere al corrente della precessione né di una
stima della durata dell'anno che sia vicina, ma non esattamente corri­
spondente, a 365 giorni e lA. Lo stesso vale per Teone di Smirne, un
filosofo platonico dell'inizio del II secolo d.C. che scrisse ampiamente
di argomenti astronomici nel suo libro La matematica utile per leggere
Platone. Pertanto, non ci deve sorprendere che neanche il meccanismo
faccia alcuna distinzione fra anni siderali e anni tropicali, assegnando a
entrambi una durata di 365 giorni e 1,4.

La velocità variabile del sole


Fra tutti gli antichi scrittori che si sono occupati di astronomia, Gemino
è quello la cui opera presenta più punti di contatto con il meccanismo.
Nel capitolo 4 abbiamo visto quanto le sue descrizioni dei calendari gre­
ci ed egizi si avvicinino alla scala graduata del calendario egizio e al
S O LE, LUNA E STELLE 141

quadrante metonico; qui ci concentreremo sul suo trattamento del moto


del sole e della luna attraverso lo zodiaco. Naturalmente, ci piacerebbe
sapere qualcosa in più su di lui, ma le informazioni a nostra disposizio­
ne sono (ahimè ! ) piuttosto limitate. Oltre all'Introduzione ai fenomeni,
scrisse anche altre opere, che non sono state tramandate fino a noi. Ne
siamo a conoscenza solo grazie alle citazioni di autori più tardi: si tratta
di una Concisa esposizione della meteorologia di Posidonio e di uno
scritto, o forse due, sulla filosofia della matematica, dal titolo Philocalia
(amore per la bellezza) e Sulla classificazione della matematica.
Una vaga indicazione cronologica relativa alla sua carriera deriva
da una sua affermazione, già citata nel capitolo 4, secondo cui "gli Isia
sono spostati di un mese intero rispetto al solstizio d'inverno ": questo
era vero intorno al 60 a.C., per un intervallo di circa un decennioY Nes­
suna fonte antica associa Gemino a una località precisa, ma si è spesso
ipotizzato (e talvolta lo si considera come un fatto certo) che abbia ope­
rato o che sia nato a Rodi. In effetti, l'Introduzione ai fenomeni contiene
numerose allusioni all'isola. La maggior parte di esse, tuttavia, appare
piuttosto generica. In effetti, poiché passa quasi per il centro del Medi­
terraneo, il "parallelo che attraversa Rodi" (36° N) era un'indicazione
di latitudine standard per la geografia e l'astronomia antiche. È forse più
significativa la menzione del Monte Attaviro, il più alto di Rodi: Gemino
lo inserisce fra gli esempi di luoghi collocati al di sopra del livello delle
nuvole, nel contesto di un passo volto a dimostrare che le stelle sono
lontanissime dal tempo atmosferico terrestre.28 Sembra però esserci un
indizio ancora più significativo a favore di una sua permanenza a Rodi.
Quando spiega le fasi della luna (9.12), Gemino definisce il quindicesimo
giorno del mese civile dichoménia ( ''mezzo mese"), invece di dire, per
esempio, "il quindicesimo" : questa nomenclatura era caratteristica dei
calendari usati a Rodi e dintorni.29 Anche Posidonio visse a Rodi e morì
nel 60 a.C. o poco più tardi; è quindi probabile che Gemino lo abbia
personalmente incontrato.
Gemino non era un ricercatore astronomico, ma un divulgatore scien­
tifico. Ed era molto bravo nel suo mestiere. Nel primo capitolo dell'Intro­
duzione ai fenomeni, affronta in modo chiaro, e nello spazio di due sole
pagine, tutti i temi che abbiamo finora trattato in questo capitolo, fra cui:
lo zodiaco e la sua divisione in settori uniformi di 30°, la collocazione dei
punti solstiziali ed equinoziali dell'eclittica in corrispondenza dell'inizio
dei rispettivi segni e la divisione dell'anno solare in stagioni astronomiche
diseguali da parte dei solstizi e degli equinozi. 30 Nel corso della discussio­
ne, egli afferma che la durata delle singole stagioni è la seguente:
142 CAPITOLO 5

Dal solstizio d'estate all'equinozio d'autunno: 92 giorni e 1!z


Dall'equinozio d'autunno al solstizio d'inverno: 8 8 giorni e Va
Dal solstizio d'inverno all'equinozio di primavera: 90 giorni e Va
Dall'equinozio di primavera al solstizio d'estate: 94 giorni e 1!z

Da queste informazioni, deduciamo che il sole attraversa le quattro se­


zioni identiche dell 'eclittica in tempi non uniformi; per dirlo in altre pa­
role, sembra rallentare e accelerare. Il fenomeno della velocità apparente
variabile era chiamato anomalia (letteralmente "non uniformità ").
Per gli astronomi, l'anomalia era un problema. Secondo quanto ci
dice lo stesso Gemino, uno dei principi fondamentali della disciplina era
che il sole, la luna e i pianeti, in quanto esseri divini ed eterni, dovevano
muoversi con velocità uniforme lungo percorsi circolari, in aperto con­
trasto con gli esseri umani, i quali accelerano e rallentano continuamente
a causa delle necessità giornaliere della loro esistenza .Jl Com'era possi­
bile riconciliare questo principio con la non uniformità delle stagioni ?
Per rendere più chiara la natura del problema e indicare la strada verso
una possibile soluzione, Gemino espone una serie di presupposti cosmolo­
gici basilari. 32 Come per la maggior parte degli astronomi greci, la sua co­
smologia è geocentrica: a suo parere, la terra (che, come apprendiamo in un
altro passo della sua opera, è sferica ) è immobile e si trova al centro di una
serie di gusci sferici concentrici, il più esterno dei quali è la sfera delle stelle
fisse.33 Procedendo verso l'interno, troviamo Saturno, Giove e Marte. Se
poi proseguiamo nella stessa direzione ci imbattiamo in quello che Gemino
chiama lo "spazio" per il sole, seguito da Venere, da Mercurio e dalla luna.
Nel capitolo 7 ripercorreremo la cosmologia di Gemino in riferimento
alla rappresentazione del moto dei pianeti sul meccanismo. Per il momen­
to, però, proprio come Gemino, vogliamo concentrarci esclusivamente
sulla sfera delle stelle e su quella del sole. Si presuppone che la sfera delle
stelle ruoti intorno alla terra a velocità costante e che i poli del suo asse
di rotazione siano il Polo nord e il Polo sud celesti. È a causa di questa
rotazione che noi (immaginando di trovarci nell'emisfero settentriona­
le) vediamo le stelle ruotare in senso antiorario lungo percorsi circolari
intorno al Polo nord e al Polo sud celesti; ed è per la stessa ragione che,
se le stelle sono abbastanza lontane dal polo, le vediamo sempre sorgere
nello stesso punto dell'orizzonte orientale e tramontare nello stesso punto
dell'orizzonte occidentale.34 Il sole è trascinato da questa rotazione ma,
allo stesso tempo, si muove lentamente da ovest a est, in modo tale da
compiere un giro completo dello zodiaco in un anno. Ora, Gemino so­
stiene che se il sole compisse la sua rivoluzione annuale sulla sfera delle
SOLE, LUNA E STELLE 1 43

stelle fisse, o anche su un cerchio più piccolo ma concentrico rispetto a


essa, osserveremmo che gli intervalli di tempo fra i solstizi e gli equinozi
sono tutti identici. In realtà, però, il sole compie la propria rotazione lun­
go un cerchio che è decentrato sia rispetto alla terra sia rispetto alla sfera
delle stelle fisse (probabilmente è per questo motivo che Gemino parla di
uno "spazio" per il sole). Lo spostamento è tale che l'arco del cerchio del
sole che si trova al di sotto del quadrante dell'eclittica a partire dall'ini­
zio dell'Ariete fino all'inizio del Cancro (ossia dal punto equinoziale di
primavera al punto solstiziale d'estate) è il più ampio dei quattro archi
che corrispondono alle stagioni astronomiche; inversamente, l'arco al
di sotto del quadrante che va dall'inizio della Bilancia fino all'inizio del
Capricorno (ossia dal punto equinoziale d'autunno al punto solstiziale
d'inverno) è il più piccolo dei quattro. Ne consegue che, pur spostandosi
lungo il cerchio della propria orbita con velocità uniforme, il sole può
generare stagioni ineguali, in conformità con i fenomeni osservati.
Gemino è il primo scrittore di astronomia antica a presentare la te­
oria dell'orbita solare eccentrica come un metodo per spiegare la non
uniformità delle stagioni astronomiche. Teone di Smirne presenta un'ar­
gomentazione geometrica più dettagliata, le cui conclusioni sono le stes­
se della spiegazione verbale di Gemino. È anzi interessante notare che,
nell'esporre il problema, Teone assegna a ciascuna stagione lo stesso
numero di giorni citato da Gemino.35 Tolomeo, dal canto suo, va un pas­
so oltre. A suo parere, le dimensioni esatte e lo sfasamento del cerchio
solare possono essere calcolati a partire dalla durata di due stagioni: 94
giorni e 1h dall'equinozio di primavera al solstizio d'estate e 92 giorni
e 1h dal solstizio d'estate all'equinozio d'autunno (figura 5.5 ).36 Egli ag­
giunge anche che questo calcolo era già stato effettuato da Ipparco, a
partire dagli stessi dati e con lo stesso risultato. A quanto pare, dunque,
è proprio da Ipparco che derivano tutte le versioni appena esposte.
Sia Teone sia Tolomeo presentano anche una teoria alternativa (figura
5.6)_37 Si mantiene l'idea che il movimento annuale del sole avvenga lun­
go un cerchio concentrico rispetto alla sfera delle stelle celesti. In questo
caso, però, non è il sole a muoversi in modo uniforme lungo tale percor­
so, ma il centro di un cerchio più piccolo, chiamato "epiciclo" . Il sole,
invece, si sposta in modo uniforme intorno all'epiciclo, nella direzione
opposta e con lo stesso periodo di un anno solare (per un osservatore che
si trovi sulla terra). Secondo la cosiddetta ipotesi epiciclica, il sole compie
esattamente lo stesso percorso postulato dall'ipotesi eccentrica. Pertanto,
nessun dato proveniente dall'osservazione empirica poteva giustificare la
preferenza di un'ipotesi rispetto all'altra. Teone preferisce l'epiciclo per-
144 CAPITOLO S

94 giorni e Y.z 90 giorni e lA!

Terra

92 giorni e Y.z 88 giorni e Va

Figura 5.5. L'ipotesi eccentrica relativa al sole secondo Ipparco e Tolomeo. Il


sole è rappresentato al suo apogeo.

ché lo considera più equilibrato e più in linea con la simmetria del cosmo.
Tolomeo, invece, preferisce il cerchio eccentrico perché è più semplice e
Gemino non menziona nemmeno la possibilità di un epiciclo. Considerata
dalla moderna prospettiva eliocentrica, la variazione apparente della ve­
locità del sole è una conseguenza dell'orbita ellittica della terra intorno al
sole: per un osservatore terrestre, questo si traduce nell'orbita ellittica del
sole intorno alla terra. L'intuizione di Tolomeo era quindi corretta.
L'ipotesi epiciclica ci permette di concepire l'anomalia del sole come
un processo continuo. Immaginiamo che il centro dell'epiciclo sia un
vero e proprio corpo visibile: lo vedremmo attraversare lo zodiaco con
velocità uniforme, mentre il sole, pur percorrendo il suo stesso cammino,
talvolta lo precederebbe e talaltra rimarrebbe un po' indietro. Chiame­
remo il centro dell'epiciclo "sole medio" e il sole vero e proprio "sole
S OLE, LUNA E STELLE 145

94 giorni e Vz 90 giorni e 'ls

Terra

92 giorni e Vz 88 giorni e 'ls

Figura 5.6. L'ipotesi epiciclica relativa al sole secondo Ipparco e Tolomeo. Sono
mostrate le po sizioni occupate dall'epiciclo e dal sole in corrispondenza dell'equi­
nozio di primavera, del solstizio d'estate e del momento in cui il sole è all'apogeo.

vero " . Il divario fra il sole medio e il sole vero non supera mai i 2° circa.
Inoltre, la differenza fra il moto giornaliero apparente del sole e il suo
moto medio giornaliero, pari a 59 minuti di arco, non supera mai i 2,5
minuti: un effetto quasi impercettibile.
Nel capitolo 3 abbiamo visto che il meccanismo doveva avere una lan­
cetta che indicasse la posizione del sole sulla scala graduata dello zodiaco. È
possibile che questo dispositivo rappresentasse il movimento del sole come
un moto a velocità variabile? La presenza della scala graduata del calendario
egizio complica la questione, poiché sembra richiedere una lancetta che si
sposti in modo uniforme rispetto alla velocità media del sole. Nella ricostru­
zione di Price, secondo cui il meccanismo mostrava soltanto il sole, la luna e
i cicli cronologici, sia la lancetta del sole sia quella della luna si muovevano
in modo uniforme rispetto alla rotazione d'ingresso. Dopo aver ricostruito
146 CAPITOLO 5

il pannello anteriore del meccanismo sotto forma di un planetario completo,


in cui i pianeti si muovevano in modo non uniforme e con cambiamenti di
direzione periodici, Michael Wright si rese conto che era possibile fare lo
stesso con la lancetta del sole. In particolare, si poteva introdurre un'ade­
guata anomalia nel movimento della lancetta solare avvalendosi di sistemi
meccanici simili a quelli precedentemente usati per ricostruire il moto di
Venere e Mercurio.38 Di conseguenza, Wright ipotizzò che ci fossero due
lancette, una per il sole vero e una per il sole medio; quest'ultima doveva
anche fungere da indicatore per la data del calendario egizio.
Nel 20 10, James Evans, Christian Carman e Alan Thorndike hanno
pubblicato un articolo in cui si dimostra che i quadranti del pannello ante­
riore avevano una caratteristica tanto notevole quanto inaspettata.39 Poi­
ché la scala dello zodiaco era divisa in 360 sezioni e quella del calendario
egizio in 365, le suddivisioni della scala del calendario egizio avrebbe­
ro dovuto presentare una misura angolare lievemente inferiore rispetto
a quelle della scala dello zodiaco, le quali rappresentano i singoli gradi.
Evans, Carman e Thorndike hanno dimostrato che, in quello che ci è ri­
masto delle scale, il che ammonta a circa un quinto del totale, si verifica
esattamente il contrario: sono le suddivisioni corrispondenti ai giorni a
essere più grandi. Se ci si limita a confrontare fra loro i piccoli archi pre­
senti sulle scale graduate, il fenomeno è oscurato dall'interferenza degli
errori casuali legati alla graduazione. Se però si adotta una prospettiva più
ampia, è evidente che le suddivisioni dei giorni sono in media più ampie
dell'1,6% rispetto a quelle dei gradi, mentre, secondo le nostre aspettative,
avrebbero dovuto essere più piccole dell'1,5% circa. In seguito a ulteriori
approfondite analisi, si è stabilito che la scala del calendario egizio era,
come previsto, divisa uniformemente in sezioni uguali, se si eccettuano gli
errori casuali. Invece, i cosiddetti "gradi" della scala dello zodiaco risulta­
no in media più piccoli del 3% rispetto ai gradi veri e propri.
Secondo Evans e i suoi colleghi, la spaziatura ravvicinata delle tacche
dei gradi su ciò che resta della scala dello zodiaco era intenzionale (e do­
veva essere stata compensata da qualche altra parte sulla scala, visto che,
con ogni probabilità, il totale rimaneva 360). Il suo scopo sarebbe stato
quello di permettere a una lancetta solare che ruotava con moto unifor­
me - la stessa lancetta che segnava la data del calendario egizio - di in­
dicare la posizione del sole vero. Fino ad ora, gli esperti del meccanismo
sono stati riluttanti ad accettare questa ipotesi, preferendo immaginare
che la lancetta del sole si muovesse di moto non uniforme grazie a un
sistema meccanico. Per quanto mi riguarda, sono giunto alla conclusione
che Evans, Carman e Thorndike hanno ragione. Le loro affermazioni si
SOLE, LUNA E STELLE 147

basano su solide misurazioni; senza contare che, se si respinge l'idea che


la graduazione non uniforme sia il risultato di un'intenzione precisa,
l'unica alternativa è ipotizzare che sia il frutto di una suddivisione ap­
prossimativa del quadrante. Tuttavia, un errore così macroscopico sa­
rebbe subito saltato agli occhi osservando il modo in cui le graduazioni
solstiziali ed equinoziali si allineavano con le date del quadrante egizio.
A mio parere, il motivo per cui il progettista ha scelto di mostrare
l'anomalia del sole attraverso la graduazione del quadrante e non tramite
un sistema meccanico sta proprio nella presenza della scala del calendario
egizio. Quest'ultima, infatti, costituiva un metodo diretto per misurare il
numero di giorni che il sole impiega per attraversare ciascun segno zo­
diacale o ciascuna stagione astronomica. Non ci sarebbe nemmeno stato
bisogno di azionare il meccanismo o di osservare la lancetta del sole. La
corrispondenza fra le graduazioni delle due scale avrebbe mostrato im­
mediatamente l'andamento del fenomeno. In tal modo, si sarebbe anche
potuto fare a meno di inserire, sul quadrante anteriore, una lancetta che
indicasse un punto fittizio e invisibile, il sole medio, insieme agli altri corpi
celesti visibili: una soluzione decisamente più elegante.
L'uso di una graduazione non uniforme sulla scala dello zodiaco
per mostrare l'anomalia del sole presenta però uno svantaggio: l'effetto
dell'anomalia solare finisce per essere incorporato nella rappresentazio­
ne delle posizioni di tutti gli altri corpi celesti che abbiano una lancetta
sullo stesso quadrante, perlomeno nel caso in cui le loro lancette condivi­
dano lo stesso asse di quella del sole. Da un punto di vista astronomico,
questo sarebbe stato tutt'altro che assurdo, almeno per quanto riguarda
i pianeti: com'è noto, infatti, questi ultimi orbitano attorno al sole vero
e non intorno al centro dell'orbita terrestre. A quanto sappiamo, però,
nessun astronomo prima di Giovanni Keplero era al corrente di questo
fenomeno. In ogni caso, la graduazione non uniforme avrebbe avuto un
impatto dell'ordine dei r al massimo sull'illustrazione della posizione
dei pianeti, una grandezza che, in considerazione degli scopi per cui il
meccanismo era stato creato, poteva apparire trascurabile.

Il moto variabile della luna


Proprio come l'orbita della terra intorno al sole, l'orbita della luna intorno
alla terra è eccentrica: di conseguenza, la luna sembra muoversi attraverso
lo zodiaco con velocità variabile. Tuttavia, poiché la gravità del sole per­
turba l'orbita ellittica della luna in vari modi, l'anomalia della luna è più
complicata di quella del sole. La più importante di queste perturbazioni
148 CAPITOLO S

consiste nel fatto che l'asse maggiore dell'orbita lunare, chiamato linea ab­
sidale, si sposta gradualmente verso est rispetto alle stelle. Perciò, mentre la
luna impiega in media 27 giorni e 1!J per compiere un'intera rotazione in­
torno allo zodiaco, ci mette poco più di 27 giorni e 1h per passare due volte
dall'apogeo (il punto della sua orbita più lontano dalla terra). Questi due
periodi sono definiti rispettivamente mese siderale e mese anomalistico.
Tolomeo ci informa che, in fasi diverse, lpparco lavorò sia con un'ipo­
tesi eccentrica sia con un'ipotesi epiciclica per cercare di spiegare l'anoma­
lia della luna, proprio come aveva fatto con il sole. Secondo la sua ipotesi
eccentrica, la linea che congiunge il centro della terra al centro dell'orbita
e al suo apogeo si sposta uniformemente verso est. La sua ipotesi epici­
elica, invece, presuppone che la velocità di rivoluzione della luna intorno
al suo epiciclo sia lievemente più lenta rispetto alla velocità di rotazione
dell'epiciclo intorno alla terra. In tal modo, le due ipotesi riflettevano in
modo accurato la distinzione fra mesi anomalistici e mesi siderali.
Gemino affronta il tema dell'anomalia lunare nel capitolo conclusivo
dell'Introduzione ai fenomeni.40 Diversamente da quando aveva trattato
l'anomalia solare, non sembra affatto interessato a spiegare perché la luna
rallenti e acceleri. Al contrario, il suo obiettivo è quello di derivare un sem­
plice schema aritmetico che permetta di calcolare, in gradi, il progresso
approssimativo compiuto dalla luna giorno dopo giorno. Questo schema
aritmetico corrisponde a quella che noi chiamiamo "funzione lineare a trat­
ti ". Il presupposto è che il moto giornaliero della luna aumenti in modo
costante da un giorno all'altro fino a raggiungere un valore massimo prefis­
sato e che, da questo punto in poi, diminuisca giorno dopo giorno secondo
la stessa costante fino a raggiungere un valore minimo fisso, e via di questo
passo. Simili schemi erano tipici dell'astronomia babilonese. E in effetti,
grazie a una serie di tavolette cuneiformi, sappiamo che la funzione lineare
a tratti che Gemino applica alla luna era proprio di origine babiloneseY
Adottando un metodo probabilmente scorretto da un punto di vista
storico, Gemino collega la funzione a tratti con un periodo che chiama
Exeligmos: secondo la sua definizione, si tratterebbe del più breve inter­
vallo di tempo in grado di contenere numeri interi esatti di mesi lunari,
mesi anomalistici e giorni. L'Exeligmos si fonda sulla relazione seguente:

669 mesi lunari = 7 1 7 mesi anomalistici = 1 9.7 56 giorni

L'Exeligmos è menzionato anche da TolomeoY A suo dire, gli astro­


nomi del passato avevano postulato una relazione periodica chiamata
Periodikos ( " periodico" ):
SOLE, LUNA E STELLE 149

223 mesi lunari = 2 3 9 mesi anomalistici = 6585 giorni e YJ.

Tolomeo aggiunge che, per avere un periodo che contenesse un numero


intero di giorni, il Periodikos veniva triplicato in modo tale da ottenere
l' Exeligmos. In realtà, il Periodikos (ora conosciuto con il nome di Sa­
ros) e l'Exeligmos, che esprimono la stessa relazione periodica in forme
diverse, sono periodi legati alle eclissi: questo loro aspetto sarà appro­
fondito nel capitolo 6. Per il momento, ciò che ci interessa è quello che
Tolomeo dice in seguito, ovvero che, tramite un'analisi delle osservazio­
ni, I pparco aveva già mostrato che il Periodikos e l' Exeligmos non erano
precisi. Esisteva infatti una relazione migliore:

251 mesi lunari = 269 mesi anomalistici.

Sappiamo che sia il Periodikos (o Saros), sia la relazione di Ipparco


erano scoperte babilonesi. lpparco aveva ragione a concludere che la re­
lazione periodica di 251 mesi fosse molto più precisa. Tuttavia, Gemino,
che mostra di non conoscere il lavoro di Ipparco sulla teoria lunare, con­
ferma quanto sostenuto da Tolomeo, secondo cui, anche dopo Ipparco,
ci si continuò ad affidare all'Exeligmos.
La scoperta che il movimento della lancetta della luna sul meccani­
smo di Anticitera rappresentava l'anomalia lunare fu uno dei risultati
più notevoli pubblicati dall'Antikythera Mechanism Research Project
(AMRP) nel 2006, sulla base dei dati raccolti nel 2005.43 Nel 2002,
Wright aveva ipotizzato la presenza di meccanismi a ingranaggi capaci
di conferire un movimento anomalistico non solo ai pianeti ma anche
al sole e alla luna. Queste ricostruzioni però non erano fondate su pro­
ve solide provenienti dai resti fisici o dalle iscrizioni del meccanismo.44
Perciò, nello schema di ingranaggi proposto nel 2005 per i dispositivi
relativi al sole, alla luna e ai cicli calendrici, Wright ipotizzò che il movi­
mento in uscita della lancetta lunare fosse uniforme.45 La combinazione
d'ingranaggi per l'anomalia lunare identificata dalla squadra dell'AMRP
ha dimostrato, per la prima volta, che il meccanismo prevedeva anche
dei movimenti in uscita non uniformi.
I dispositivi meccanici tramite cui il moto uniforme della luna media
veniva tradotto in un moto non uniforme saranno esaminati nel capitolo
8. In questa sede, ci concentreremo soltanto su due aspetti specifici. Il
primo è che tali dispositivi possono essere interpretati come una rappre­
sentazione geometrica esatta di ipotesi epicicliche o eccentriche simili a
quelle adottate da Ipparco nei suoi lavori teorici. Il secondo è che la rela-
150 CAPITOLO 5

zione periodica alla base del sistema di ingranaggi non corrisponde alla
relazione babilonese di 251 mesi convalidata da lpparco, ma al Saros (o,
per usare un termine equivalente, all'Exeligmos).
Il Saros è parte integrante della struttura del meccanismo, essendo an­
che alla base delle funzioni legate alla previsione delle eclissi, come ve­
dremo nel capitolo 6. Proprio come Gemino, il progettista sembra aver
avuto completa fiducia nell'affidabilità del Saros. Molto probabilmente,
questo significa che non aveva molta familiarità con le ricerche di Ipparco
(a quanto pare, non ne aveva neanche Gemino, il quale, nel corso della
sua intera opera, menziona Ipparco solo in riferimento alla descrizione
dell'aspetto di due costellazioni). Il fatto che il meccanismo dell'anomalia
sia conforme a un'ipotesi epiciclica o eccentrica non è necessariamente la
prova di una dipendenza, anche solo indiretta, da lpparco. In effetti, non
è affatto sicuro che lpparco sia stato il primo astronomo ad applicare tali
ipotesi alla luna. Addirittura, secondo Evans e Carman, sarebbe stata la
scoperta di un sistema di ingranaggi capace di generare un moto anoma­
listico ad aver condotto ai concetti di epiciclo e orbita eccentrica, e non il
contrario.46 Tuttavia un simile percorso concettuale, sempre ammesso che
si sia sviluppato così, avrebbe dovuto precedere di molto l'epoca di lppar­
co, per non parlare dell'epoca di costruzione del meccanismo (soprattutto
se, come sostengo in questo libro, esso risale all'inizio del I secolo a.C.).
Sotto molti aspetti, il meccanismo era più efficace di un autore come
Gemino, soprattutto grazie alla sua capacità di fornire una rappresentazio­
ne dinamica e visiva di concetti astronomici che un libro poteva presentare
solo sotto forma di parole o diagrammi lineari. Eppure, il meccanismo non
poteva far altro che mostrare simulazioni dei fenomeni. Le teorie sottese
a tali simulazioni, che fornivano anche la spiegazione dei fenomeni, erano
integrate al sistema di ingranaggi. Ma anche se un insegnante-operatore
avesse aperto il dispositivo per mostrarne il funzionamento interno, ben
pochi spettatori avrebbero capito qualcosa in più. Aggiungendo una simu­
lazione meccanica dell'anomalia lunare, il progettista correva il rischio di
creare un effetto potenzialmente problematico per l'operatore, che avreb­
be dovuto escogitare un modo per darne una dimostrazione convincente.
In effetti, la variazione del movimento giornaliero della luna è modesta;
secondo Gemino, il valore minimo si aggirerebbe intorno a 1 1 o 1 2 gra­
di al giorno, mentre quello massimo corrisponderebbe a circa 15 o 1 6
gradi. Gli errori casuali relativi a l posizionamento delle tacche sulla scala
del calendario egizio, grazie alle quali l'operatore poteva mostrare di aver
impresso una rotazione d'ingresso pari a un giorno, avrebbero senz'altro
oscurato una variazione di ampiezza così limitata nel movimento della
SO LE, LUNA E STELLE 151

lancetta lunare. A mio parere, per risolvere i l problema, s i sarebbe potuto


mostrare la distanza percorsa dalla lancetta lunare nell'arco di un maggior
numero di giorni, ad esempio su blocchi di sette giorni: così facendo, si
sarebbe suddiviso il mese anomalistico in più sezioni, incentrate rispettiva­
mente sulla fase più lenta, sulla fase media e sulla fase più veloce del moto
lunare. Tuttavia, come vedremo adesso, è possibile che l'anomalia lunare
non sia il fenomeno più complesso mostrato dal meccanismo.

Le fasi della luna


Fra i corpi celesti visibili a occhio nudo, la luna è l'unica ad attraversare
delle fasi che fanno mutare radicalmente il suo aspetto da un giorno all'al­
tro. Visto il suo ruolo essenziale per i calendari lunisolari, il ciclo delle
fasi era considerato come un dato di fatto. D'altro canto, però, i primi
filosofi naturali greci consideravano le fasi lunari come un fenomeno che
necessitava di una spiegazione. Per dare un esempio di queste prime teorie
speculative sul mutare dell'aspetto della luna, possiamo citare Ippolito,
un teologo (nonché antipapa) cristiano del III secolo d.C., nelle cui opere
compare un riassunto della cosmologia di Anassimandro di Mileto, un
filosofo ionico del VI secolo a. C.47 Secondo Ippolito, Anassimandro cre­
deva che i corpi celesti non fossero altro che fuoco celeste visto attraverso
una serie di fori o sfiati che perforavano un cielo altrimenti opaco. L'ap­
parente mutamento della forma della luna sarebbe stato la conseguenza di
un processo di apertura e chiusura del relativo foro; similmente, le eclissi
corrispondevano alla chiusura dei fori del sole o della luna.
In base a prove convincenti, sappiamo che, circa un secolo dopo Anas­
simandro, Empedocle di Agrigento e Anassagora di Clazomene conosce­
vano entrambi quella che, per gli astronomi greci, sarebbe diventata la
spiegazione standard delle fasi lunari: si tratta della constatazione che la
luna è un corpo sferico illuminato dal sole, anch'esso sferico. Molto pro­
babilmente questa teoria risale a Parmenide di Elea.48 Le prove empiriche
su cui si fonda sono rappresentate dalle diverse forme assunte dalla luna
durante le sue fasi e dalla loro correlazione con le relative posizioni della
luna e del sole nella volta celeste. Un ruolo importante va assegnato anche
a un'intuizione che appartiene all'ambito dell'ottica, la scienza greca che si
occupava della percezione visiva. Si era infatti constatato che, se non lo si
osservava da una prospettiva frontale, un cerchio appariva come un ovale
o addirittura come una linea retta, qualora l'osservatore si trovasse sullo
stesso piano del cerchio (gli artisti greci amavano molto esibire questo
fenomeno, ad esempio tramite ardite rappresentazioni in scorcio di ruote
1 52 CAPITOLO 5

di carri ).49 Se la luna era una sfera divisa in due emisferi, uno chiaro e uno
scuro, l'aspetto delle sue fasi poteva essere spiegato così: si immaginava
che la linea di demarcazione circolare fra i due emisferi ruotasse in modo
tale che la metà della linea diretta verso di noi ci apparisse ora come un
semicerchio, ora come metà di un ovale, ora come una linea retta.
Per quanto riguarda la divisione della luna in un emisfero chiaro e in un
emisfero scuro, abbiamo visto che questo fenomeno era attribuito al fatto
che la luna stessa riceve la propria luce dal sole. Ripercorriamo brevemente
gli argomenti elaborati dagli astronomi greci a questo proposito. Si era con­
statato che le fasi lunari sono correlate all'apparente allontanamento della
luna dal sole. In particolare, la luna cresce man mano che si allontana dal
sole finché non diventa piena quando è in una posizione diametralmente
opposta rispetto al sole stesso. Al contrario, man mano che si riavvicina al
sole, la luna decresce. Inoltre, la sezione scura e invisibile del disco lunare
si trova sempre sulla faccia lontana dal sole. Nel presentare queste argo­
mentazioni, Gemino aggiunge un'ulteriore precisazione: quando la luna è
una falce crescente o calante e si trova molto vicino al sole al tramonto o
all'alba, è possibile visualizzare una linea immaginaria che divide in due
parti uguali la linea che congiunge i due corni della falce lunare; tale linea
immaginaria si dirige proprio verso il punto dell'orizzonte in cui il sole sor­
ge o tramonta, indipendentemente dal fatto che sia inverno (e che questo
punto si trovi a sud rispetto all'orizzonte orientale) o estate (e che questo
punto si trovi a nord rispetto all'orizzonte orientale: figura 5.7).50
Un corollario di questa teoria ottica delle fasi lunari è che il sole deve
essere più lontano da noi di quanto non lo sia la luna. Se si trovassero

Luna
t· ,

-
. ... .
·
. . ...· ·····
.

.. .
..

.. .
.
.
.

. . ..
..

'"'' a··/

Figura 5.7. Una linea immaginaria divide in due parti uguali la linea che collega
i due corni della falce di luna: in prossimità dell'alba o del tramonto questa linea
immaginaria punta verso il sole.
SOLE, LUNA E STELLE 153

alla stessa distanza dalla terra, o se la luna fosse più lontana rispetto al
sole, non vedremmo mai la luna crescente. All'inizio del III secolo a.C.,
Aristarco di Samo (che adesso è famoso soprattutto per aver ipotizzato
che fosse la terra a ruotare intorno al sole e non il contrario) scrisse un
libro intitolato Sulle dimensioni e le distanze del sole e della luna, in cui
descriveva un metodo matematico per determinare di quanto il sole fosse
più lontano da noi rispetto alla luna.
Aristarco capì che in corrispondenza della fase di mezza luna (ossia
quando la linea di demarcazione fra le due metà chiara e scura appare
come una linea retta), le rette che collegano il centro della luna, quello del
sole e l'osservatore (possiamo anche prendere come punto di riferimento
il centro della terra, visto che ci stiamo occupando di grandi distanze) de­
vono formare un angolo retto (figura 5.8). Ciò significa che i centri della
terra, della luna e del sole formano i vertici di un triangolo rettangolo e
che l'angolo osserva bile fra il sole e la luna è inferiore a un angolo retto. Se
riusciamo a misurarlo, siamo in grado di calcolare i rapporti fra i diversi
lati del triangolo, il che, a sua volta, ci permette di stabilire il rapporto fra
la distanza del sole dalla terra e la distanza della luna dalla terra.
Aristarco ci informa che l'angolo fra la luna, la terra e il sole corri­
sponde a 87°, ma non ci dice nulla sulla provenienza di questa stima,
né se si tratti dell'esito di una misurazione o solo di una congettura.H
Egli dimostra che, presupponendo un angolo di tale entità, il sole risulta
essere 1 8 o 20 volte più lontano dalla terra rispetto alla luna.H Se inve­
ce partissimo da un angolo più vicino ai 90°, la distanza del sole dalla
terra risulterebbe molto maggiore in proporzione a quella della luna.

Terra

Figura 5.8. Il metodo del triangolo rettangolo elaborato da Aristarco per de­
terminare il rapporto fra le distanze del sole e della luna rispetto alla terra (la
rappresentazione non è in scala).
154 CAPITOLO 5

In realtà, il sole è circa 400 volte più lontano dalla terra di quanto non
lo sia la luna: pertanto, l'angolo teoricamente formato da terra, luna e
sole in corrispondenza della fase di mezza luna è quasi pari a 90°, con
un'approssimazione inferiore a un sesto di grado. Nessuno, nell'antichi­
tà, avrebbe avuto i mezzi per osservare un dettaglio così minuto.
Il metodo per calcolare i rapporti fra distanze introdotto da Aristarco
non fu ripreso dagli astronomi greci successivi, i quali continuarono a
dare per scontato che il rapporto fosse relativamente piccolo, talvolta
anche più piccolo di quello stabilito dallo stesso Aristarco.53 L'opera
di Aristarco finì per essere usata come manuale scolastico. Perciò, gli
astronomi dovevano sapere che, in base a una semplice dimostrazione
geometrica, le distanze generalmente postulate per il sole e per la luna
implicavano che la fase di mezza luna non si trovava esattamente a metà
strada fra congiunzione e plenilunio.
Abbiamo già incontrato uno degli elementi più enigmatici osservabili
sui frammenti del meccanismo subito dopo il ritrovamento del 1 902: mi
riferisco al coperchio cilindrico, simile a quello di un barattolo, collocato
su C-2 (figura M-6 ). Al suo interno si possono vedere dei resti di elementi
meccanici disposti lungo una linea radiale che parte dal centro del coper­
chio stesso, dove si trova un piccolo foro quadrato, per arrivare a un foro
circolare più grande, collocato vicino alle pareti sporgenti del coperchio,
anch'esse di forma cilindrica. Nei suoi appunti inediti, Rehm ipotizzava
che si trattasse di una sorta di congegno volto a rappresentare un'ipotesi
epiciclica per la luna.54 Price presentava due congetture possibili:55

Se si considera la sua posizione, potrebbe essere una delle componenti con­


nesse al centro del quadrante anteriore, forse una lastra che indicava la po­
sizione della luna e che l'asse centrale faceva ruotare sull'Asse B. Oppure,
se si considera la sua struttura, è possibile che si trattasse di una manovella.

La prima delle due ipotesi era perspicace e, tutto sommato, corretta, ma Pri­
ce preferì l'altra. Sul modello ricostruttivo che donò al Museo Archeologico
Nazionale e che è stato per lungo tempo esposto insieme ai frammenti A, B
e C, il sistema destinato a imprimere la rotazione in ingresso è rappresentato
da una manovella che è evidentemente ispirata al coperchio suddetto.
La corretta identificazione della funzione del coperchio cilindrico
rappresenta uno dei più raffinati contributi di Wright alla nostra com­
prensione del meccanismo.56 Come suggerito da Price, in origine questo
elemento si trovava al centro del quadrante anteriore e, grazie a un al­
bero che passava per il foro quadrato, ruotava per rappresentare il mo­
vimento della luna attraverso lo zodiaco. Sul frammento C-2 vediamo il
SOLE, LUNA E STELLE 155

coperchio dal suo lato interno. Probabilmente c'era anche una lancetta,
ormai perduta, che fuoriusciva dalle pareti del coperchio per indicare
la posizione della luna sulla scala dello zodiaco. Grazie alle radiografie
effettuate con la tomografia lineare, Wright stabilì che uno degli elementi
meccanici all'interno del coperchio è un ingranaggio a dentatura fronta­
le danneggiato, attraverso cui passava un albero che, in origine, faceva
ruotare una piccola sfera collocata nel foro circolare: l'impronta di que­
sta sfera è ancora visibile nello strato di concrezione accumulatosi dietro
al foro. La sfera rappresentava la luna e doveva essere per metà nera e
per metà bianca (o argentata ). Wright dimostrò che, se l'ingranaggio a
dentatura frontale si fosse innestato con un altro ingranaggio (ormai
perduto) collegato all'albero che rappresentava il movimento del sole, la
sfera della luna avrebbe iniziato a ruotare, mostrando una simulazione
della fase lunare corrente attraverso la finestra circolare. Quasi sicura­
mente, questo elemento veniva descritto in una sezione dell'iscrizione
del coperchio posteriore (ICP) di cui si sono conservate solo limitate
sequenze di lettere per ogni linea di testo: ad esempio, è ancora leggibile
il termine greco che significa "nero" (ICP, parte I, linea 12).
Wright era però consapevole di una difficoltà: l'ingranaggio a dentatu­
ra frontale è rivolto nella direzione sbagliata per potersi innestare con un
ingranaggio montato sull'asse centrale. Wright cercò di spiegare la cosa
ipotizzando che qualcuno, nell'antichità, avesse smontato questa parte del
meccanismo per poi rimontarla con l'ingranaggio rivolto nella direzione
sbagliata. Tuttavia, non si sarebbe trattato di un'operazione semplice. A
causa del modo in cui l'ingranaggio a dentatura frontale è fissato al suo
albero, avrebbe potuto essere rimontato al contrario solo se l'albero fosse
già stato danneggiato. Inoltre, se sull'asse centrale ci fosse stato un ingra­
naggio fisso con cui l'ingranaggio a dentatura frontale avrebbe dovuto
innestarsi, i denti del primo si sarebbero scontrati con il retro del secondo
qualora quest'ultimo fosse stato inserito nel senso sbagliato.
È possibile dare un senso alla posizione attuale dell'ingranaggio a den­
tatura frontale? Nel 2008 Tony Freeth ha pubblicato un diagramma sche­
matico che ricostruisce il sistema di ingranaggi del meccanismo. A suo
parere, all'interno del coperchio lunare c'era una coppia di ingranaggi co­
assiali: uno di essi avrebbe dovuto ingaggiare il presunto ingranaggio fissa­
to all'asse centrale, mentre l'altro si sarebbe innestato con l'ingranaggio a
dentatura frontale. 57 Questo sistema, però, avrebbe prodotto esattamente
lo stesso effetto della più semplice ricostruzione di Wright con l'ingranag­
gio a dentatura frontale rivolto verso l'interno. Non sembra quindi esserci
alcun motivo per aggiungere questa complicazione ulteriore.58
156 CAPITOLO 5

Recentemente, Christian Carman e Marcelo Di Cocco hanno riesa­


minato il problema. A loro avviso, siccome le prove materiali sembrano
confermare che l'ingranaggio a dentatura frontale fosse orientato cor­
rettamente, è probabile che il progettista mirasse a ottenere un effetto
che il semplice innesto di Wright non poteva riprodurre: in particolare,
si sarebbe trattato di una qualche forma di irregolarità nella rotazione
della sfera lunare.59 Secondo Carman e Di Cocco, un dispositivo strut­
turalmente simile a quello che imitava l'anomalia lunare avrebbe fatto
ruotare la sfera della luna con velocità variabile. Così, la fase di mezza
luna sarebbe apparsa quando la luna si fosse trovata a una distanza dal
sole lievemente inferiore ai 90°.
Questa nuova ipotesi, che introduce un'anomalia anche nel ciclo
delle fasi, mi sembra interamente plausibile. Certo, oltre ad Aristarco,
nessun autore antico si sofferma sul posizionamento asimmetrico della
fase di mezza luna. Non ritengo però che si tratti di un'obiezione in­
sormontabile, soprattutto se si considera che la letteratura astronomi­
ca superstite è molto limitata. 60 La dimostrazione del fenomeno a uno
spettatore avrebbe richiesto molta attenzione: ci si sarebbe dovuti po­
sizionare direttamente di fronte al pannello anteriore e l'orientamento
della sfera lunare avrebbe dovuto essere calibrato con cura, in modo
che, in corrispondenza della congiunzione e dell'opposizione, la linea
di demarcazione fra la metà bianca e quella nera fosse perfettamente
parallela alla faccia del meccanismo. Da un punto di vista didattico,
" l'effetto di Aristarco" avrebbe potuto ispirare una discussione sulle di­
stanze relative del sole e della luna, compensando il fatto che, siccome il
loro rapporto era troppo grande, non potevano essere mostrate in scala
sul quadrante anteriore.
Fino a questo punto, la nostra esplorazione del meccanismo ha sve­
lato la presenza di due approcci complementari alla comprensione del
moto del sole e della luna, considerati sia nei loro rapporti reciproci
sia rispetto alle stelle. Nei quadranti superiori del pannello posteriore
abbiamo incontrato una rappresentazione cronologica piuttosto astratta
dei cicli di tempo determinati dal percorso del sole attraverso lo zodiaco
e dalle fasi della luna. Il quadrante anteriore, invece, propone una rap­
presentazione visiva del sole e della luna in movimento. Non ci rimane
che considerare come il meccanismo trattasse le conseguenze più plateali
dell' interazione di questi due corpi luminosi, le eclissi.
6
Eclissi

Timori e rassicurazioni
Una tavoletta cuneiforme proveniente dall'archivio reale di Ninive con­
serva una lettera che lo studioso babilonese Bel-usezib inviò al re assiro
Esarhaddon (68 1 -669 a.C.) esortandolo a non temere le conseguenze
dell'eclissi lunare che si era appena verificata : 1

Se un'eclissi s i verifica senza essere avvistata nella capitale, quell'eclissi è


passata senza conseguenze. La capitale è il luogo in cui risiede il re. Adesso
ci sono nuvole ovunque; non sappiamo se l'eclissi abbia avuto luogo o
meno. Che il signore dei re scriva ad Assur e a tutte le città, a Babilonia, a
Nippur, a Uruk e Borsippa; forse l'eclissi è stata osservata in queste città.
Il re dovrebbe essere sempre vigile. Molti segni dell'eclissi si sono verifi­
cati [nel mese di] Addaru e [nel mese di] Nisannu e li ho comunicati tutti
al re mio signore; e se compiono il rito apotropaico dell'eclissi [parte del
testo è perduta] che danno potrà causare? È vantaggioso compierlo; il re
non dovrebbe trascurarlo. I grandi dei che risiedono nella città del re mio
signore hanno coperto il cielo e non hanno mostrato l'eclissi, di modo che
il re sapesse che questa eclissi non riguarda il re mio signore e il suo paese.
Il re può essere lieto.

Si confronti questa lettera con un aneddoto che, nel dialogo filosofico De


re publica, Cicerone fa raccontare al generale romano Scipione Emiliano
( 1 85-129 a.C). Quest'ultimo narra come Gaio Sulpicio Gallo, che nel
1 6 8 a.C. era al comando della Seconda Legione durante la guerra contro
Perseo di Macedonia, abbia calmato le sue truppe dopo un'eclissi:2

Ricordo che quando ero ancora un ragazzo, mentre mio padre era console
in Macedonia e ci trovavamo nell'accampamento, il nostro esercito fu scon­
volto dalla superstizione e dalla paura, perché in una notte serena la luna
splendente e piena all'improvviso scomparve. Allora Gallo, che era nostro
158 CAPITOLO 6

luogotenente circa l'anno prima di essere nominato console, non esitò il gior­
no dopo a dichiarare davanti a tutti che non si trattava di un prodigio e che
tale fenomeno si era verificato in quel momento e sempre a determinati in­
tervalli di tempo si sarebbe ripetuto, ogni volta che il sole si venisse a trovare
nella posizione di non poter raggiungere la luna con la sua luce.

Apparentemente, ci troviamo di fronte a due situazioni simili: qualcuno


è spaventato da un'eclissi, che considera come un presagio, mentre un
esperto Io rassicura, garantendo che non c'è nulla di cui preoccuparsi.
Eppure, a ben vedere, si tratta di due storie piuttosto diverse. Bel-usezib
non mette in dubbio che, in linea teorica, un'eclissi sia un presagio ne­
gativo, un messaggio inviato dagli dei per annunciare la morte di un re.
Questa particolare eclissi era stata prevista e Esarhaddon era comprensi­
bilmente impaziente di consultare gli studiosi addetti all'osservazione dei
presagi per sentire cosa avessero da dire sui dettagli dell'eclissi osservata:
sarebbero stati proprio questi dettagli a permettere loro di determinare
se fosse lui il re interessato. Ma la notte dell'eclissi era nuvolosa e non
fu quindi possibile effettuare l'osservazione: cosa avrebbe dovuto fare
il re? Bel-usezib garantisce che la situazione è sotto controllo: se vuole,
il re può scrivere agli studiosi di Babilonia e delle altre città dell'Assiria
per scoprire se abbiano osservato l'eclissi; compiere i rituali prescritti
per scongiurare un esito negativo del presagio non può fare alcun male.
Tuttavia, nessuna di queste cose è davvero necessaria perché la copertu­
ra nuvolosa non è altro che il sistema scelto dagli dei per comunicare a
Esarhaddon che l'eclissi non ha nulla a che fare con lui.
La storia di Cicerone, invece, rappresenta il tipico racconto in cui la
ragione e la cultura hanno la meglio su paure irrazionali. Non compare
alcun accenno al fatto che si stesse cercando di interpretare l'eclissi in
base a un sistema tradizionale di lettura dei presagi. Anzi, la reazione
dei soldati al verificarsi dell'eclissi è presentata come l'atteggiamento
primitivo ed emotivo di persone ignoranti che siano di fronte a una vio­
lazione del normale ordine naturale in un momento critico, in questo
caso nell'imminenza di una battaglia: com'era possibile, si chiedevano i
soldati, che i due eventi non fossero collegati ? Gallo impartisce loro una
lezione elementare di astronomia. Sappiamo perché le eclissi accadono:
per un breve intervallo di tempo, la luce del sole non riesce a riverberarsi
sulla luna. E questo non ha nulla a che fare con la battaglia imminente.
Inoltre, sappiamo anche quando le eclissi si verificano, ossia a interval­
li regolari determinati dalle rivoluzioni del sole e della luna. Pertanto,
quest'eclissi non ha nulla a che vedere con le vicende umane.
ECLISSI 1 59

Scipione cita la storia di Gallo in risposta a un altro aneddoto sul­


lo stesso Gallo che era stato appena raccontato da Lucio Furio Filo.3
Quest'ultimo ricorda di aver partecipato, insieme a Gallo, a un incontro
tenutosi a casa di Marco Claudio Marcello nel 1 66 a.C., anno in cui sia
Gallo sia Marcello erano consoli. Il nonno di Marcello era il Marcello
che aveva saccheggiato Siracusa nel 212 a.C. Fra le sue proprietà perso­
nali, c'era anche un oggetto chiamato sphaera (letteralmente "sfera " ),
costruito dal grande Archimede: era l'unico bottino che il vecchio Mar­
cello avesse tenuto per sé dopo il saccheggio della città. All'inizio, Filo
non si dimostra particolarmente impressionato da questa sphaera, che
ritiene inferiore a un'altra opera di Archimede, un bellissimo globo stel­
lare - anch'esso chiamato sphaera - che era stato depositato nel Tempio
della Virtù a Roma.
Ma quando Gallo cominciò a spiegare con grande dottrina il sistema e
il meccanismo di questa opera, io mi rendevo conto che in quel siciliano
[scii. Archimede] c'era stato più ingegno di quanto natura umana potes­
se comportare . . . questo genere di sphaera, in cui erano rappresentati i
movimenti del sole e della luna e le cinque stelle che sono denominate
"pianeti" e per così dire "vaganti " , non poteva essere riprodotto con
precisione in quella sfera compatta: ma la straordinarietà dell'invenzione
di Archimede stava nel fatto che egli aveva escogitato un meccanismo per
il quale una rotazione unica manteneva, nonostante la grande differenza
di moto, orbite diseguali e varie. Quando Gallo muoveva questa sfera,
accadeva che la luna si ponesse sotto il sole con un numero di giri nel
bronzo quanti sono i giorni che gli occorrono in cielo: di conseguenza,
nella sfera si verificava la medesima scomparsa di sole, e la luna allora
veniva a trovarsi nel cono d'ombra della terra, quando il sole dalla parte
opposta . . [alcune parole o frasi sono andate perse]
.

Non dobbiamo dimenticare che la natura di queste fonti è completamen­


te diversa. La lettera di Bel-usezib è un documento storico originale pro­
veniente da un archivio. Il De re publica è un dialogo filosofico ispirato
a quelli di Platone, in cui una conversazione immaginaria fra personaggi
storici viene usata come pretesto per esplorare una serie di temi cui Ci­
cerone era interessato. In altre parole, si tratta di un'opera di finzione, in
cui è difficile distinguere fra invenzioni plausibili e preziosi fatti storici
che Cicerone potrebbe aver deciso di inserire in questo scambio di di­
scorsi fittizi. Per questa ragione, è interessante vedere come altri autori
antichi presentino l'eclissi suddetta e le sue conseguenze.4 La versione
dello storiografo Livio è simile a quella di Cicerone, anche se la lezione
1 60 CAPITOLO 6

di Gallo alle truppe viene datata precisamente al giorno precedente alla


Battaglia di Pidna (estate del 1 6 8 a.C.). Inoltre, secondo Livio, Gallo
avrebbe predetto che ci sarebbe stata un'eclissi di luna dalla seconda
alla quarta ora della notte.5 È strano che Cicerone abbia escluso questi
dettagli, se ne era al corrente. È peraltro piuttosto inverosimile che, du­
rante una campagna militare, Gallo avesse a disposizione gli strumen­
ti necessari per prevedere un'eclissi. Possiamo quindi ragionevolmente
concludere che qualche autore successivo a Cicerone deve aver abbellito
la storia per aumentarne la drammaticità, forse affidandosi alla memoria
o a un calcolo retroattivo delle ore delle eclissi.
Decisamente diverso è il racconto che l'enciclopedia bizantina chiamata
Suda attribuisce a una sezione perduta delle Storie di Polibio (morto dopo il
1 1 8 a.C.), il quale visse proprio ai tempi della guerra contro Perseo:6
Quando ci fu un'eclissi di luna ai tempi del macedone Perseo, fra il popo-
lo si diffuse la voce che l'evento preannunciava la morte di un re. Questo
sollevò il morale dei Romani, mentre abbatté lo spirito dei Macedoni.

In questa versione (forse un riassunto della narrazione originale di Poli­


bio), all'eclissi viene attribuito un significato perfettamente comprensi­
bile anche per Esarhaddon e i suoi studiosi: "l'eclissi di un re" doveva
significare la sua caduta, se non la sua morte. Al posto di Gallo che esor­
ta le truppe a considerare l'eclissi come un innocuo fenomeno naturale,
qui abbiamo dei soldati che - forse adottando un'interpretazione appo­
sitamente divulgata dagli ufficiali - sono incoraggiati a vederla come un
presagio; un presagio, però, che preannunciava la disfatta dei nemici.
Non abbiamo nessuna ragione di pensare che, fra le storie narrate da
Cicerone, quelle della riunione a casa di Marcello e della disquisizione
di Gallo sulla sphaera meccanica di Archimede siano fedeli resoconti di
eventi storici più dell'aneddoto della lezione di Gallo all'esercito: sono
tutti segmenti interconnessi di un'argomentazione volta a dimostrare
che il cosmo ha una struttura ordinata, un ragionamento che Cicerone
costruisce con grande cura. Il Filo di Cicerone ci dice che la sphaera di
Archimede comprendeva modellini del sole e della luna, capaci di simu­
lare eclissi in conformità con la stessa teoria che Gallo avrebbe esposto
all'esercito. È possibile che questa descrizione si riferisca a un qualche
dispositivo astronomico che Cicerone aveva visto o di cui aveva sentito
parlare? Quanto agli inventori di questi dispositivi astronomici, il loro
scopo era davvero quello di mostrare l'interazione fra le ombre del sole,
della luna e della terra come un fenomeno completamente indipendente
dal mondo umano?
ECLISSI 161

Presagi legati alle eclissi


e osservazioni di eclissi in Mesopotamia
Fra i vari testi mesopotamici che interpretano i fenomeni celesti come pre­
sagi, i più antichi sono rappresentati da una serie di tavolette risalenti al
periodo antico-babilonese, intorno alla prima metà del II millennio a.C.
- a giudicare dallo stile della scrittura, potrebbe trattarsi più precisamente
del XVII secolo a.C.7 Quattro di queste tavolette contengono presagi rela­
tivi alle eclissi di luna, una presagi riguardanti le eclissi di sole. Fin dai suoi
inizi, la tradizione babilonese di interpretazione dei presagi astrali aveva
classificato le eclissi - e in particolare le eclissi di luna - fra i fenomeni
nefasti più dannosi. Questa tradizione ha raggiunto il suo apice con una
grande serie di circa 70 tavolette, nota con il nome di Enuma Anu Enlil,
derivante dalle prime parole della prima tavoletta. Otto di queste tavo­
lette riguardano le eclissi lunari, sette quelle solari.8 Le più antiche copie
conosciute dell' Enuma Anu Enlil si trovavano nella cosiddetta biblioteca
di Assurbanipal. A ben vedere, però, questa espressione non si riferisce al
contenuto di una sola biblioteca, ma a numerose collezioni di tavolette di
provenienza palaziale, tutte risalenti al VII secolo a.C. Furono riportate
alla luce a Ninive da Austen Henry Layard e Hormuzd Rassam fra la fine
degli anni '40 e l'inizio degli anni '50 dell'Ottocento. Dalla stessa fonte
proviene anche un archivio di lettere e resoconti inviati da vari studiosi ai
re assiri, soprattutto a Esarhaddon e a suo figlio Assurbanipal (668-627
a.C.): queste testimonianze ci forniscono una vivida immagine delle prati­
che di osservazione e interpretazione dei presagi, astrali e non.
La credenza nei presagi va inserita nel contesto di una religione po­
liteista, secondo cui una moltitudine di divinità non solo era personal­
mente responsabile per diversi aspetti del mondo, ma nutriva anche un
grande interesse per l'operato delle persone - e in particolare per quello
dei re, che erano i rappresentanti degli dei sulla terra. Le preghiere e i ri­
tuali svolti in nome del re rappresentavano un sistema di comunicazione
fra il re e gli dei; dal canto loro, gli dei comunicavano il proprio umore
e le proprie intenzioni tramite un codice composto da segni e presagi. I
repertori di presagi erano la chiave per interpretare tale codice. Questi
testi erano generalmente costituiti da una serie di frasi del tipo "se . . .
allora . . . " , proprio come negli esempi citati qui d i seguito: 9

Se Giove è luminoso, il re sta bene; il paese sarà felice.


Se c'è un'eclissi nel mese di Simanu, ci sarà un'inondazione e l'acqua
porterà la terra via con sé.
1 62 CAPITOLO 6

Se una mangusta passa fra le gambe di un uomo, questi sarà afferrato


dalla mano del dio o dalla mano del re.

I repertori di presagi come l'Enuma Anu En/il contenevano migliaia di


testi di questo genere. Il compito degli esperti era quello di osservare e
riportare gli eventi nefasti, decidere quali repertori di presagi fossero
pertinenti e riferire al re il significato dei presagi stessi, suggerendogli
quali azioni intraprendere per contrastarli.
I testi conservati nell'Enuma Anu Enlil presentano esiti diversi per i
presagi legati alle eclissi lunari; nella maggior parte dei casi, però, si tratta
di previsioni disastrose per qualche re o qualche paese. In pratica, come è
testimoniato dalle lettere e dai resoconti provenienti da Ninive, un'eclissi
lunare era spesso interpretata come l'annuncio della morte imminente di un
re dell'Assiria, di Babilonia, o di qualcuno dei paesi circostanti, a oriente o
a occidente. In linea di massima, a un presagio negativo si rispondeva cele­
brando un rito apotropaico, ossia un rituale volto ad allontanare la sven­
tura minacciata dagli dei. Nel caso di eclissi interpretate come il presagio
della morte di un re assiro (e babilonese, visto che Esarhaddon deteneva
entrambi i troni), bisognava fare in modo che il presagio si realizzasse in
modo controllato, tramite il rituale del re sostituto.10 Una vittima, di solito
un prigioniero, veniva scelto per svolgere il ruolo del re per un periodo di
tempo limitato - cento giorni in un caso noto, ma di solito l'intervallo era
più breve. Dopodiché, il prescelto "andava incontro al proprio destino" e
veniva giustiziato. Durante questo periodo, il re viveva lontano dalla capi­
tale e continuava a corrispondere con i suoi studiosi, che si rivolgevano a
lui come al "contadino". Durante i regni di Esarhaddonn e Assurbanipal, il
rituale del re sostituto fu celebrato in media una volta ogni due anni.
Chi osservava le eclissi considerandole come presagi doveva fare atten­
zione a una serie di circostanze - alcune direttamente inerenti al fenomeno
dell'eclissi, altre (perlomeno da un punto di vista moderno) solo incidentali.
Fra le circostanze direttamente connesse all'eclissi, un ruolo essenziale era
svolto dai fattori cronologici: bisognava stabilire in quale mese del calen­
dario si fosse verificata, in quale giorno e durante quale vigilia notturna
(per le eclissi lunari) o diurna (per le eclissi solari). Anche l'aspetto del cor­
po celeste interessato era importante, soprattutto il suo colore. Nella fase
totale di un'eclissi lunare completa, la luna è ancora parzialmente illumi­
nata dalla luce solare rifratta dall'atmosfera terrestre. Per questa ragione,
a seconda delle particolari condizioni dell'atmosfera attraverso cui la luce
si trova a passare, è possibile vedere un disco rosso scuro o grigiastro. An­
che nel caso di un'eclissi non totale le condizioni meteorologiche possono
ECLISSI 163

influenzare il colore apparente del disco del sole o della luna, soprattutto
quando questo si trova vicino all'orizzonte. Le direzioni dell'oscuramento
svolgono un ruolo ugualmente importante nell'interpretazione dei presagi
connessi alle eclissi (figure 6.1-6.2). All'inizio e alla fine di un'eclissi, solo
una piccola frazione del corpo celeste interessato è oscurata. Un osservatore
poteva prendere nota della direzione cardinale di questa frazione rispetto al
centro del disco, scrivendo, ad esempio: "l'eclissi è iniziata a sud (del disco)
ed è scomparsa a ovest (del disco)." Nel caso di un'eclissi parziale, era an-
{a)

3
2

Orizzonte

Sud-est Sud Sud-ovest

Sud Sud-ovest
Sud-est

Figura 6 . 1 . Le diverse fasi di un'eclissi lunare parziale, con le direzioni dell'o­


scuramento all'inizio ( 1 ), a metà (2) e alla fine (3). (a) Posizioni della luna e
dell'ombra della terra (in grigio scuro); (b) lo stesso fenomeno come appare a un
osservatore terrestre.
1 64 CAPITOLO 6

che possibile registrare la direzione della frazione del disco oscurata nel suo
momento di massima estensione, ossia a metà dell'eclissi. A quanto sembra,
queste direzioni venivano calcolate rispetto all'eclittica, perlomeno in modo
approssimativo. Fra le varie circostanze incidentali delle eclissi, i repertori
di presagi includono anche i fenomeni ottici causati dalle condizioni mete­
orologiche, come gli aloni di luce, e la direzione del vento durante l'eclissi.
Ciascuna circostanza presa singolarmente, o anche un insieme di circo­
stanze considerate nel loro insieme, poteva trovare corrispondenza in un

(a)

4 5
3
2

Orizzonte

Sud Sud-ovest
Sud-est

(b)

Sud-es t Sud Sud-ovest

Figura 6.2. Le fasi di un'eclissi lunare totale, con le direzioni dell'oscuramento all'i­
nizio ( 1 ), appena prima della fase totale (2), a metà dell'eclissi (3), subito dopo la
fine della fase totale (4) e alla fine dell'eclissi (5). (a) Posizioni della luna e dell'om­
bra della terra; (b) lo stesso fenomeno come appare a un osservatore terrestre.
ECLISSI 1 65

repertorio di presagi, inclusi quelli che non avevano direttamente a che fare
con le eclissi. Ad esempio, in seguito all'eclissi lunare dell'l l giugno del 669
a.C., Issar-sumu-erd, che era il principale scriba del re, nonché il suo tutore,
inviò a Esarhaddon un lungo rapporto in cui compaiono ben 1 1 presagi
legati all'eclissi, fra cui figurano, in combinazioni diverse: il mese del calen­
dario, il giorno del mese, la vigilia notturna, le frazioni del disco lunare in
cui l'ombra è caduta per la prima e l'ultima volta e la direzione del vento. A
questi elementi si aggiungono: un presagio relativo all' "oscurità" della luna
in un mese preciso, un presagio riguardante una stella "oscurata" in una
particolare costellazione, tre presagi relativi a Giove, che era apparso per la
prima volta pochi giorni prima.11 A partire da questi presagi possiamo ri­
costruire una descrizione completa dell'eclissi così come fu osservata allora:
Nel quattordicesimo giorno del mese di Simanu, durante la vigilia mattu­
tina e fino alla sua conclusione, mentre era nella costellazione di Pabilsag
[Sagittario] la luna ha subito un'eclissi, iniziata nella parte sudorientale
del suo disco e terminata nella parte nordoccidentale del suo disco; soffia­
va il vento del Nord. Durante l'eclissi Giove era visibile.

Così, la struttura dei repertori di presagi aveva finito per stabilire la routi­
ne da seguire nell'osservazione delle eclissi. In epoche successive, l'ora e la
posizione rispetto alle stelle sarebbero state registrate con maggior preci­
sione. A parte questo, però, il contenuto delle osservazioni delle eclissi ri­
mase sorprendentemente stabile. Citiamo, a titolo di esempio, un rapporto
dell'eclissi lunare del 2 1 marzo del 154 a.C., proveniente da Babilonia :12
Mese di] Addaru, notte del quindicesimo giorno, dalla levata della luna al
tramonto del sole: 3 [gradi temporali], misurazione [avvenuta nonostante]
le nuvole. Eclissi lunare; quando è iniziata sul lato sud-est [del disco luna­
re], in 20 [gradi temporali] della notte si erano oscurate 10 dita; a 6 [gradi
temporali] della notte, fase massima. Quando ha iniziato a scomparire, in
1 8 [gradi temporali] della notte si è ritirata dal [lato] nord-est [del disco]
al [lato] sud-est. 44 [gradi temporali in totale per] inizio, fase massima e
fine. L'eclissi era rossa e il rosso era prossimo al marrone. Durante l'eclissi
soffiava il vento del Nord, in direzione ovest. Al principio della fase iniziale
il vento del Sud soffiava [parte del testo è perduta]. Durante l'eclissi, erano
visibili Venere, Marte e Sirio; Giove è apparso durante la fase inziale; alla
fine della fase iniziale, Venere è tramontato; gli altri pianeti non erano più
visibili. [La Luna] si è eclissata 2 cubiti dietro la Stella Luminosa del Solco
e 1 cubito verso l'alto a nord. 4 [gradi temporali] dopo il tramonto del sole.

In questa osservazione, un "grado temporale" è un'unità di tempo mi­


surata con un orologio ad acqua e corrisponde a quattro minuti; un
1 66 CAPITOLO 6

"cubito" è un'unità di misura della distanza osservata nel cielo (equivale


approssimativamente a 2,4°); un "dito" corrisponde a 1/12 dell'ampiezza
del disco lunare. Si consideri quanta attenzione veniva consacrata al co­
lore della luna, alle direzioni dell'oscuramento durante le fasi dell'eclissi
e al cambiamento della direzione del vento: tutti fattori che conosciamo
grazie ai repertori di presagi, anche se nel rapporto qui citato non si fa
menzione del significato nefasto dell'eclissi.
Nella migliore delle ipotesi, le eclissi descritte nelle lettere e nei rapporti
di osservazione erano corredate da date incomplete. Considerata la loro im­
portanza nell'ambito dei repertori di presagi, si citavano il mese e il numero
del giorno, ma non il numero dell'anno. Perciò, nonostante nel palazzo di
Ninive si fosse accumulata una grande massa di osservazioni, non era facile
utilizzarle come una sorta di archivio astronomico in base a cui riesami­
nare osservazioni effettuate in anni precisi o identificare schemi ricorrenti
nella comparsa delle eclissi. Tuttavia, a Babilonia si teneva già un simile ar­
chivio delle eclissi, apparentemente a partire dall'eclissi lunare del febbraio
del 6747 a.C., l'anno dell'ascesa al trono del re babilonese Nabu-nasir.u Il
rapporto sopra citato proviene da una tavoletta che apparteneva proprio a
questo archivio. Le osservazioni delle eclissi erano conservate da tavolette di
formati diversi, incluse le lunghe serie dei Diari astronomici, che incontrere­
mo nel capitolo 7. È probabile che gli osservatori lavorassero nel complesso
del tempio di Esagila, dedicato al dio Marduk; non ci sono prove di una
loro interazione con gli studiosi statali che inviavano rapporti ai re assiri,
nonostante alcuni risiedessero proprio a Babilonia.

Una prospettiva moderna


Come ci insegnano a scuola, le eclissi di luna si verificano ogni volta che
la luna attraversa per intero o in parte l'ombra della terra; le eclissi di sole
hanno luogo ogniqualvolta l'ombra della lWla cade su una parte della terra.
A quanto sappiamo, queste spiegazioni non hanno mai svolto alcun ruolo
nell'astronomia o nella tradizione di interpretazione dei presagi dei popoli
mesopotamici. Se però li combiniamo con qualche fatto basilare relativo al
sistema solare così come lo comprendiamo oggi, individueremo alcune pro­
prietà delle eclissi che gli studiosi babilonesi e assiri hanno scoperto in modo
empirico e hanno successivamente sfruttato nel proprio lavoro.
Se l'orbita della luna intorno alla terra fosse sullo stesso piano dell'or­
bita della terra intorno al sole, le eclissi di luna si verificherebbero a ogni
luna piena, mentre le eclissi solari avrebbero luogo a ogni congiunzione
del sole e della luna. In realtà, l'orbita della luna si trova su un piano
ECLIS S I 1 67

inclinato di circa 5° rispetto a quello dell'orbita della terra: si tratta di un


piccolo angolo, ma sufficiente a far sì che, nella maggior parte dei casi,
la luna si trovi troppo a nord o troppo a sud rispetto al piano dell'orbita
terrestre perché l'una o l'altra eclissi possano verificarsi. Immaginiamo
il diametro dell'orbita lunare che costituisce l'intersezione del suo piano
con quello dell'orbita della terra (il cosiddetto " asse nodale " ) : è evidente
che può esserci un'eclissi solo quando, al momento del suo allineamento
con la terra e con il sole, la luna è sufficientemente vicina a questo asse
nodale. Sul breve termine, mentre la terra e la luna orbitano intorno al
sole, la direzione dell'asse nodale rimane relativamente costante. La fi­
gura 6.3 mostra quattro situazioni in cui terra, luna e sole sono allineati.
Nel caso (a), la luna si trova in una posizione diametralmente opposta
rispetto al sole per un osservatore terrestre: siamo quindi nella fase della
luna piena. Però, visto che la luna è vicina alla parte più a sud della pro­
pria orbita, finisce per passare a sud dell'ombra della terra: non si veri­
fica nessuna eclissi. In ( b), la luna è molto vicina all'asse nodale e quindi
subirà un'eclissi. In (c), il sole e la luna sono in congiunzione, ma la luna
è ancora una volta troppo a sud rispetto al piano dell'orbita terrestre
perché la sua ombra possa cadere su una parte qualsiasi della terra. In
(d), poiché la luna è vicina all'asse nodale, la sua ombra incrocerà la ter­
ra: in alcuni luoghi del pianeta sarà possibile osservare un'eclissi di sole.
Tuttavia anche l'asse nodale si muove, seppur lentamente, spostan­
dosi di circa un ventesimo di grado al giorno in senso orario rispetto a
un osservatore che si trovi nella parte settentrionale del sistema solare.
A causa di questo spostamento, le eclissi non si verificano sempre nello
stesso momento dell'anno o nella stessa posizione rispetto alle stelle. Ne
consegue anche che il centro esatto delle orbite della terra e della luna
non coincide rispettivamente con il sole e con la terra. La terra ruota in­
torno al sole seguendo un'ellissi leggermente eccentrica e quasi circolare;
il suo moto è più lento quando è più lontana dal sole. Allo stesso modo,

c--

Figura 6.3. Quattro allineamenti della terra, del sole e della luna.
168 CAPITOLO 6

la luna si muove più lentamente quando si trova nelle sezioni della sua
orbita ellittica più lontane dalla terra - l'orbita lunare, peraltro, cambia
continuamente forma per influsso della gravità solare. Le forme delle or­
bite influenzano la tempistica delle eclissi, nonché il modo in cui queste
appaiono a un osservatore terrestre: in effetti, le ombre della terra e della
luna variano con il variare deJla distanza.
A dire il vero, visto che il sole non è una fonte di luce puntiforme,
ma una sfera più grande deJla terra e della luna, l'ombra proiettata da
queste ultime è un'ombra complessa (figure 6.�.5). L'"ombra" vera e
propria è la parte più scura: un osservatore che si trovi al suo interno non
può vedere nemmeno una porzione del sole; si tratta di uno spazio conico
che si restringe con l'aumentare deJla distanza del corpo che la proietta.
DaJl'interno della "penombra ", che è più ampia, un osservatore può ve­
dere parte del sole, ma non il suo intero disco; anche la penombra è uno
spazio conico, che però diventa più ampio con l'aumentare della distanza.
Per un osservatore a occhio nudo, l'oscuramento subito dalla luna
durante il suo passaggio nella penombra della terra è molto lieve. Gli
astronomi della Mesopotamia e della Grecia antiche non sembrano aver
mai notato un'eclissi penombrale (durante la quale la luna transita at­
traverso parte della penombra, ma non entra mai nell'ombra), né le fasi
penombrali di un'eclissi normale. Abbiamo già detto che l'ombra è un
cono d'oscurità che si restringe: di conseguenza, se prendiamo due eclissi
parziali in cui la luna si trova alla stessa distanza a nord o a sud rispetto
all'orbita terrestre, ma a distanze differenti rispetto alla terra, l'eclissi
con la distanza maggiore sarà quella con l'ampiezza minore. Le stes­
se condizioni che, nel caso di una distanza inferiore, possono generare
un'eclissi totale, producono un'eclissi parziale se la luna si trova a una

Terra Luna Sole

Figura 6.4. Ombra (in grigio scuro) e penombra (in grigio chiaro) proiettate
dalla luna sulla terra durante un'eclissi solare. Le dimensioni e le distanze non
sono rappresentate in scala.
ECLISSI 169

maggiore distanza dalla terra. La distanza influisce persino sulla durata


di un'eclissi lunare, anche se in modo più complesso: a una distanza
maggiore, la luna deve attraversare un'estensione d'ombra inferiore; allo
stesso tempo, però, con l'aumentare della distanza, la luna si sposta più
lentamente lungo la propria orbita.
Le eclissi solari sono molto sensibili alla posizione della luna sulla
propria orbita. Questo dipende da una curiosa coincidenza: la natura
ha voluto che le distanze del sole e della luna dalla terra fossero quasi
perfettamente proporzionali ai loro diametri rispettivi - è proprio per
questa ragione che, ai nostri occhi, sole e luna sembrano avere più o
meno le stesse dimensioni. Perciò, l'ombra della luna si riduce a un pun­
to appena prima di aver coperto la distanza che la separa dalla terra. Se
però la terra si trova a essere un po' più vicina alla luna rispetto al ver­
tice del cono d'ombra, una piccola porzione della terra finirà all'interno
dell'ombra e gli osservatori situati in quest'area assisteranno a un'eclissi
totale. Se la terra si trova troppo lontana, invece di un'area interessata
da eclissi totale, avremo un'area limitata in cui sarà possibile osservare
un'eclissi anulare: per un breve momento, il disco lunare sembrerà essere
completamente circondato dal disco solare (che è molto più luminoso
della corona solare visibile intorno alla luna durante un'eclissi totale).
Vorrei infine aggiungere qualche parola su quanto fosse facile - o, in
alcuni casi, difficile - osservare le eclissi nell'antichità. Un'eclissi lunare
è un fenomeno di luci e ombre sulla luna che non ha nulla a che vedere
con la posizione di un eventuale osservatore terrestre. Ogni anno, si veri­
ficano in media 1,5 eclissi lunari umbrali.14 L'unico vero problema è che
l'osservatore non sempre si trova in una condizione adatta ad avvistare
il fenomeno. Il cielo nuvoloso, fenomeno piuttosto frequente in Mesopo-

. . . -··

..
_ _ .. . ---·

· -. . . .

··- ...

· · · - - - ..

_.L
�u::!n!!!
a.__
_ �T.
�er
:,:;r�
-a
------------- --- --'Sole__
- _

Figura 6.5. Ombra (in grigio scuro) e penombra (in grigio chiaro) proiettate
dalla terra sulla luna durante un'eclissi lunare. Le dimensioni e le distanze non
sono rappresentate in scala.
1 70 CAPITOLO 6

tamia, poteva ostacolare l'osservazione, come nel caso dell'eclissi men­


zionata da Bel-usezib. Se diamo per scontato che il cielo fosse sereno,
l'eclissi sarebbe stata visibile in qualsiasi luogo del mondo antico in cui
fosse notte. Poiché un'eclissi lunare può durare fino a 3 ore e 40 minuti,
si può presumere che un buon numero di eclissi fosse osservabile soltan­
to per una parte della sua durata, o perché, al tramonto, la luna sorgeva
quando l'eclissi era già in corso, oppure perché, all'alba, tramontava
quando l'eclissi non era ancora terminata. Un'eclissi di ampiezza ridotta
avrebbe potuto sfuggire a chi non se la fosse aspettata, ma un osserva­
tore attento non avrebbe avuto problemi ad avvistarla. Parlando per ap­
prossimazione, si può stimare che, durante i secoli in cui le osservazioni
astronomiche furono sistematicamente annotate negli archivi babilonesi,
si registrò circa la metà di tutte le eclissi lunari umbrali verificatesi in
quel lasso di tempo: in media, poco meno di una all'anno.
Le eclissi solari sono anche più frequenti di quelle lunari, se contia­
mo tutte le volte in cui l'ombra o la penombra della luna cade su una
qualche area della terra. In un secolo tipo si verificano più di 200 eclissi
solari. Circa due terzi di queste saranno osservabili come eclissi totali o
anulari da qualche parte sulla terra e circa un quarto solo come eclissi
totali. Se ci limitiamo alle eclissi solari che sarebbero state parziali o
totali solo per un osservatore situato in un luogo preciso - ad esempio,
Babilonia - il numero si riduce a circa 40 per secolo. Per più della metà
delle eclissi si sarebbe oscurata meno della metà del disco solare; quanto
alle eclissi totali, in media se ne sarebbe vista una ogni due secoli circa.
L'eclissi solare ha più possibilità di essere avvistata se l'osservatore
la sta aspettando e se ha un'idea precisa di quando accadrà. Un'eclissi
totale o quasi totale causa, per qualche minuto, una drastica diminuzio­
ne della luce solare. Se rimane scoperto anche solo un decimo del disco
solare - il che può accadere anche nel caso di un'eclissi anulare - l'o­
scuramento risulta così lieve che lo si potrebbe prendere per l'effetto del
passaggio di una nuvola. Tuttavia, disponiamo di fonti antiche in cui si
registra l'osservazione di eclissi dalle dimensioni piuttosto ridotte. Ad
esempio, nella corrispondenza assira compare un rapporto secondo cui
un certo Akkullanu osservò un'eclissi in cui era oscurato solo un sesto
del diametro del sole (si tratta probabilmente dell'eclissi del 27 maggio
del 669 a.C. ). In questo caso specifico, l'eclissi doveva essere particolar­
mente visibile perché, durante il suo svolgersi, il sole stava sorgendo. I
registri provenienti da Babilonia confermano che un osservatore allenato
poteva avvistare un'eclissi che interessava un sesto o più del disco solare,
ma non un'eclissi di dimensioni inferiori, per quanto fosse stata previ-
ECLISSI 171

staY Tempo atmosferico permettendo, gli osservatori babilonesi dove­


vano essere in grado di avvistare in media un'eclissi solare ogni tre anni.

Schemi ricorrenti e previsioni


In Mesopotamia si possono trovare tre approcci fondamentali alla pre­
visione delle eclissi. In alcuni testi dedicati all'interpretazione dei presagi
l'eclissi è il risultato di una previsione:
Se la luna è molto ampia al momento della sua comparsa, ci sarà un'eclissi.16
Se nel giorno della scomparsa della luna il sole è circondato da un'aura,
ci sarà un'eclissi per gli Elamiti.17
Se c'è nebbia nel mese di �abatu: eclissi per i Cassiti.18

Si tratta di previsioni astrologiche. Non c'è nessuna ragione per cui una
luna apparentemente ampia, un'aura intorno al sole o il presentarsi del­
la nebbia in un mese particolare debbano essere seguiti da un'eclissi. In
questo caso "ci sarà un'eclissi" è solo un altro modo di dire che gli dei
invieranno una qualche disgrazia, proprio come "ci sarà un'inondazione".
Quanto ai metodi astronomici veri e propri, l'osservazione di sche­
mi ricorrenti nella comparsa delle eclissi era uno strumento efficace per
prevedere quando avrebbero potuto presentarsi e persino quale aspet­
to avrebbero avuto. A un livello elementare, c'è la constatazione che le
eclissi di luna si verificano solo durante la fase di luna piena, mentre le
eclissi di sole avvengono solo nell'intervallo di tempo in cui la luna è
invisibile, ovvero fra la sua ultima comparsa mattutina e la sua prima
comparsa serale. I repertori di presagi contenuti nell' Enuma Anu Enlil
mostrano di essere al corrente di questi parametri: in effetti, i presagi
basati sul giorno del mese cadono sempre in una serie di giorni ben pre­
cisi. Per le eclissi lunari, le opzioni sono i giorni 14, 15 e 1 6 del mese - il
che ha perfettamente senso se si tratta delle date della luna piena - cui
si aggiungono, inesplicabilmente, i giorni 20 e 2 1 , che invece non hanno
alcun senso da un punto di vista astronomico. È probabile che gli studio­
si assiri dediti all'osservazione dei presagi fossero in grado di restringere
il numero dei giorni e degli orari in cui il sole e la luna sarebbero stati
allineati o diametralmente opposti. A questo scopo, nei giorni precedenti
l'evento atteso, si osservava l'andamento delle misurazioni dell'orologio
ad acqua per le ore che separavano la levata della luna da quella del sole
o la levata della luna dal tramonto del sole.
L'esperienza avrebbe mostrato che due eclissi lunari o due eclissi so­
lari non si verificano mai in mesi lunari consecutivi. Anzi, di solito, fra
1 72 CAPITOLO 6

due eclissi lunari consecutive passano sei mesi; tuttavia, siccome alcune
eclissi non sono osservabili, spesso si registravano intervalli di 12 mesi o
anche più: nella maggior parte dei casi, si trattava comunque di multipli
di sei. In alcune occasioni, però, il numero di mesi che intercorrevano
fra l'osservazione di due eclissi consecutive era inferiore di uno rispetto
a un multiplo di sei: di conseguenza, nella sequenza andava inserito un
intervallo di cinque mesi ogni sette o otto intervalli di sei mesi. Possiamo
definire "possibilità di eclissi lunare" la serie di pleniluni distribuiti a
intervalli di sei o, in alcuni casi, di cinque mesi che include tutte le eclissi
lunari osservate. Le eclissi di sole si verificano solo nella congiunzione
precedente o successiva rispetto a una possibilità di eclissi lunare, un
principio di cui gli studiosi assiri erano chiaramente a conoscenza.
Dopo aver radunato un'ampia collezione di rapporti relativi alle
eclissi osservate, era possibile notare schemi ricorrenti che interessavano
periodi di tempo più estesi. Ad esempio, è molto probabile che un'eclissi
lunare sia osservabile 47 o 1 35 mesi lunari dopo l'osservazione di un'al­
tra eclissi lunare. Questi intervalli sono chiamati "periodi eclittici". Un
periodo eclittico particolarmente utile è quello che, in epoca moderna,
ha assunto il nome di Saros. Lo abbiamo già incontrato nel capitolo 5 ,
sotto i l nome d i Periodikos, la relazione periodica per l'anomalia lunare.
La durata del periodo di Saros è di 223 mesi lunari e quindi corrisponde
esattamente a 1 8 anni solari più 1 1 giorni. I Babilonesi lo chiamavano
semplicemente " 1 8 anni ", forse perché, normalmente, un intervallo di
1 8 anni civili comprendeva 223 mesi.
Il periodo di Saros è particolarmente utile per la previsione delle eclissi:
in effetti, dopo 223 mesi lunari dall'osservazione di un'eclissi lunare, la
luna non si limita a tornare al suo asse nodale, generando così un'altra
eclissi, ma torna anche più o meno alla stessa distanza dalla terra, cosicché
le eclissi avranno anche dimensioni e durata simili. Il fatto che il periodo di
Saros corrisponda quasi perfettamente a un numero intero di anni solari
ha una conseguenza importante: alcuni fattori che influenzano la tempi­
stica e la dimensione delle eclissi e che sono legati alla posizione della
terra sulla propria orbita risultano quasi completamente annullati. Questo
significa che è possibile prevedere le eclissi in modo ragionevolmente accu­
rato e piuttosto dettagliato con ben 1 8 anni di anticipo. Basta presupporre
che ripeteranno l'andamento delle eclissi osservate nell'anno in corso.
C'è un problema, però: un periodo di Saros non contiene un nume­
ro completo di giorni. L'intervallo di tempo fra due pleniluni avvenuti
precisamente a distanza di 223 mesi l'uno dall'altro varia da circa 6585
giorni e 6 ore a circa 6585 giorni e 9 ore, con una media che si avvicina
ECLISSI 1 73

a 6585 giorni e 8 ore. A causa di queste ore in eccesso, se per un osser­


vatore situato in un determinato luogo della terra una delle due eclissi
separate da un Saros si verifica durante la notte, è probabile che l'altra
si verifichi di giorno, mentre la luna è al di sotto dell'orizzonte: perciò,
molte delle eclissi che il periodo di Saros prevede sulla base delle eclissi
già osservate non saranno visibili; senza contare che molte delle eclissi
osservabili non potranno essere previste. Naturalmente, il problema si
poteva aggirare: bastava ripercorrere a ritroso i registri delle osservazio­
ni per l'equivalente di due o tre periodi di Saros fino a trovare un'eclissi
modello che doveva essersi verificata di notte. Quando gli astronomi
greci ripresero l'idea di usare il Saros per prevedere le eclissi, diedero per
scontato che la sua durata corrispondesse esattamente a 6585 giorni e 8
ore. Perciò, la triplicarono per ottenere un ciclo che contenesse un nu­
mero intero di giorni: come abbiamo visto nel capitolo 5, questo ciclo fu
definito Exeligmos ( "giro della ruota" ) . Ci si aspettava che, trascorso un
intero Exeligmos, le eclissi si sarebbero ripetute più o meno allo stesso
momento della notte (o del giorno) rispetto al ciclo precedente. Tuttavia,
siccome il Saros non è un ciclo eclittico perfetto, le previsioni che si basa­
no su di esso diventano meno precise a ogni ripetizione.
I Babilonesi non usavano il Saros solo per prevedere le eclissi, ma
anche per dare una struttura ai registri delle eclissi osservate e previste.
Dagli archivi di Babilonia ci sono giunti numerosi frammenti di tavolette
appartenenti a una serie che presentava, sotto forma di tabella, ogni pos­
sibilità di eclissi lunare per uno spazio di tempo di diversi secoli (figura
6.6).19 Ogni colonna della tabella copriva un intero ciclo di Saros e ognu­
na delle 38 linee rappresentava una delle 38 possibilità di eclissi del ciclo,
a intervalli di sei o cinque mesi lunari l'una dall'altra. Se esistevano delle
osservazioni già registrate, lo si scriveva nell'apposita casella; altrimenti
si aggiungeva una previsione, probabilmente tratta da un'osservazione
effettuata nel corso di un precedente ciclo di Saros (e quindi registrata
sulla stessa linea della tabella, ma in una colonna precedente).
Per le eclissi di sole, il periodo di Saros aveva un valore limitato. In
effetti, la capacità di un individuo di osservare o meno un'eclissi dipen­
de dalla sua posizione geografica rispetto all'ombra della luna - senza
parlare del calcolo delle dimensioni o della durata del fenomeno. Il fatto
che fra due congiunzioni separate da un Saros ci sia uno scarto che può
andare dalle sei alle nove ore, significa che, a causa della rotazione della
terra sul proprio asse, la loro configurazione sarà completamente diver­
sa. Inoltre, le condizioni che determinano le caratteristiche di un'eclissi
solare sono così specifiche che persino l'Exeligmos non può aiutare a
1 74 CAPITOLO 6

Figura 6.6. Un frammento proveniente dalla grande serie di tavolette babilonesi che
registravano osservazioni e previsioni di eclissi lunari (British Museum BM 32234
recto). Ogni colonna della tabella conteneva le possibilità di eclissi di un periodo di
Saros, poste a distanza di sei o cinque mesi l'una dall'altra. Perciò, una linea della
tabella letta da sinistra a destra rappresenta una serie di possibilità di eclissi collo­
cate a intervalli di un Saros l'una dall'altra (© The Trustees of the British Museum).

prevederle. L'unica cosa che i Babilonesi riuscirono a fare fu stabilire


uno schema ricorrente di 38 possibilità di eclissi solari, molto simile a
quello concepito per le eclissi lunari, identificando un sottogruppo di
congiunzioni in corrispondenza delle quali un'eclissi solare di dimensio­
ni indeterminate avrebbe potuto verificarsi.
Oltre a questo metodo empirico, che fondava la previsione delle eclis­
si su cicli derivati da osservazioni precedenti, i Babilonesi escogitarono
un approccio diverso, più matematico, fondato sulla comprensione te­
orica delle condizioni che rendono possibili le eclissi. A quanto ne sap­
piamo, i Babilonesi non spiegavano le eclissi in termini di luce e ombra,
né sulla base di altri fenomeni fisici. Tuttavia, si resero conto che era la
posizione della luna, a nord o a sud della cintura zodiacale, a determina­
re se un'eclissi si sarebbe verificata in corrispondenza della luna piena o
di una congiunzione. Le loro previsioni matematiche delle eclissi inclu­
devano il calcolo delle date e delle posizioni della luna nello zodiaco per
un'intera sequenza di opposizioni o pleniluni consecutivi: le regole usate
si basavano su semplici operazioni aritmetiche ( nella maggior parte dei
ECLI SSI 175

casi, addizioni o sottrazioni) che mettevano ogni elemento della sequen­


za: in relazione con quello precedente. Questi calcoli venivano trasferiti
sulle tavolette sotto forma di foglio di calcolo: ogni linea rappresentava
un plenilunio o una congiunzione riportati in sequenza; le varie colonne
includevano le grandezze calcolate necessarie a determinare la data e l'o­
ra di ogni evento, la posizione in gradi della luna in un segno dello zodia­
co, nonché il rilevamento della posizione della luna su un asse nord-sud.
Se questa misura della posizione sull'asse nord-sud cadeva all'interno
di un certo intervallo critico, significava che in quella data si sarebbe
verificata un'eclissi; nel caso dei pleniluni, indicava anche le dimensioni
dell'eclissi interessata.

Ottica e geometria
Quando descrive l'estate del primo anno della Guerra del Peloponne­
so, lo storiografo Tucidide (circa 460-400 a.C.) menziona anche l'eclissi
solare del 3 agosto del 431 a.C. : in quel giorno, il sole avrebbe assunto
la forma di una mezza luna e alcune stelle sarebbero diventate visibili.20
Tucidide sostiene che questo fenomeno si verificò dopo mezzogiorno
nel primo giorno del mese (lunare) e aggiunge anche che questo sembra
essere l'unico periodo del mese in cui il sole può subire un'eclissi. Evi­
dentemente anche gli Ateniesi colti dell'epoca avevano una conoscenza
limitata delle eclissi e delle loro cause! Più oltre, lo storiografo riferisce
che il generale ateniese Nicia, seguendo il consiglio degli indovini, decise
di ritardare l'evacuazione militare di Siracusa per tre volte nove gior­
ni dal verificarsi dell'eclissi lunare completa del 27 agosto del 4 1 3 a.C.
Nel commentare l'evento, Tucidide osserva che Nicia "era troppo dedito
alla superstizione e ad altre simili cose".21 Eppure, anche lo storiografo
doveva essere convinto che le eclissi avessero un qualche significato per
le faccende umane, dal momento che le include in una lista di calamità
verificatesi durante la Guerra del Peloponneso. Questo sembrerebbe suf­
ficiente a confermare il loro valore di presagio:22
E risultarono allora non incredibili quei fenomeni naturali di cui si tra­
mandava notizia senza, però, che se ne avesse effettiva conferma: i terre­
moti, che (durante il periodo della guerra) furono al tempo stesso diffusi
per larga parte della terra e più violenti che per il passato; e ancora le
eclissi di sole che si verificarono più frequentemente di quelle di cui si
narrava per l'età precedente; in alcune zone esplosero grandi siccità e
conseguenti carestie; e poi il contagio pestilenziale, che non poco danno
arrecò e in un certo senso fu deleterio.
1 76 CAPITOLO 6

Anche se non emerge chiaramente dalle osservazioni di Tucidide, nel V


secolo a.C. gli intellettuali greci assistettero a un'innovazione cruciale,
che sarebbe stata essenziale per la comprensione delle eclissi. Secondo
autori di epoche successive, il filosofo Anassagora, attivo intorno alla
metà del secolo, avrebbe attribuito alle eclissi la stessa causa che vi attri­
buiamo anche oggi: l'eclissi di sole si verifica perché la luna passa fra l a
terra e i l sole; allo stesso modo, c'è eclissi d i luna quando la terra transita
fra il sole e la luna stessa.23 Evidentemente, queste idee derivarono dalla
constatazione che l'illuminazione della luna proviene dal sole. A partire
dal IV secolo in poi, la maggior parte dei filosofi e, con buona proba­
bilità, tutti gli astronomi consideravano questa spiegazione delle eclissi
come un dato astronomico fondamentale.
In questa fase del suo sviluppo, l 'astronomia greca non era molto
interessata alla previsione dei fenomeni celesti; perciò, le ripercussioni
immediate di questa teoria ottico-geometrica delle eclissi non interes­
sarono tanto la dimensione del tempo, quanto piuttosto quella dello
spazio. In particolare, si trattava di determinare le dimensioni, la for­
ma e le distanze degli elementi che costituivano il cosmo. In primo luo­
go, si era stabilito che, in un'eclissi lunare, la parte oscurata della luna
non era altro che l'ombra della terra; a sua volta, la forma circolare di
quest'ombra era una prova convincente della sfericità della terra.24 Altri
dati empirici permisero di stabilire che la curvatura della terra segue
una direzione nord-sud: ad esempio, se si viaggia verso nord, alcune
stelle vicine all'orizzonte meridionale finiscono per scomparire, mentre
un numero sempre maggiore di stelle rimane costantemente visibile al di
sopra dell'orizzonte settentrionale, senza più sorgere o tramontare.25 A
un certo punto - ma questo deve essere accaduto almeno un secolo più
tardi - le stesse eclissi lunari furono osservate in luoghi diversi e secondo
i diversi orari locali, ottenendo così le prove necessarie a dimostrare una
curvatura in direzione est-ovest.26 Ma fu solo la curvatura costante deÌle
linee di contorno dell'ombra, osservabile in tutte le eclissi, a dimostrare
che la curvatura della terra era uniforme in tutte le direzioni.
Un'altra ovvia deduzione è che il diametro della terra è più del doppio
di quello della luna: in effetti si può osservare che l'ampiezza del cerchio
d'ombra - il quale deve essere leggermente più piccolo della terra - supera
di più del doppio l 'ampiezza della luna. Nel capitolo 5 abbiamo visto che
Aristarco di Samo aveva raggiunto una stima del rapporto fra le distanze
del sole e della luna rispetto alla terra a partire dal triangolo formato
dai loro centri nella fase di mezza luna. Tale stima era troppo bassa, ma
aveva perlomeno il merito di stabilire un limite inferiore. Nella stessa ope-
ECLISSI 1 77

ra, Aristarco aveva dimostrato un'altra relazione che, in teoria, poteva


essere combinata con il rapporto fra le distanze per ottenere una stima
del diametro del sole e della luna, nonché della loro distanza rispetto alla
terra: entrambi i valori erano espressi in relazione al diametro di quest'ul­
timaY Basandosi sul lavoro di Aristarco, astronomi di epoche successive,
come Ipparco e Tolomeo, riuscirono a determinare in modo quasi esatto
la distanza che separa la terra dalla luna (equivalente a circa 30 volte il
diametro della terra). Le stime della distanza del sole, però, continuavano
a essere troppo basse. D'altronde, il sole è così lontano che chiunque si
avvalga di un metodo fondato sull'osservazione a occhio nudo non può
nemmeno sperare di stabilire il corretto ordine di grandezza.
La constatazione che la luna è relativamente vicina alla terra fornì
agli astronomi greci un elemento chiave per la comprensione delle eclissi
solari. Fu soprattutto l'ignoranza di questo fatto che impedì ai Babilo­
nesi di prevedere le eclissi solari con la stessa accuratezza raggiunta nel
caso delle eclissi lunari. Per quanto riguarda gli altri corpi celesti, i Greci
semplificavano le cose presupponendo che la terra potesse essere trattata
come un punto geometrico. In altre parole, secondo i Greci il sole, i pia­
neti e le stelle sono così lontani da noi che, indipendentemente dal punto
della terra in cui ci troviamo, li vediamo sempre nella stessa direzione.
Pertanto, ai fini delle nostre osservazioni, possiamo anche immaginare di
trovarci al centro della terra. Nel caso della luna, però, non è possibile
trascurare l'effetto esercitato dalla posizione dell'osservatore. La diffe­
renza angolare fra il punto da cui un osservatore vede la luna e la linea
che collega il centro della terra alla luna stessa si chiama "parallasse
lunare" e dipende dall'altezza della luna sull'orizzonte dell'osservatore.
Vicino all'orizzonte, dove l'effetto è più grande, la parallasse sposta la
posizione apparente della luna di circa un grado verso il basso; più la
luna è vicina allo zenit, più la parallasse tende a zero. Una conseguenza
di questo fenomeno è che, quando il sole e la luna sono in congiunzione,
gli osservatori dell'emisfero settentrionale vedono la luna un po' più a
sud rispetto al sole di quanto non accadrebbe se si trovassero al centro
della terra. E questo è tanto più evidente quanto più ci si sposta verso
nord sulla superficie terrestre (figura 6. 7). Inoltre, la parallasse cambia
continuamente durante il giorno, man mano che la luna attraversa il cie­
lo: questo influenza sia le dimensioni di un'eclissi solare sia il momento
della sua comparsa, che cambieranno a seconda del luogo di osservazio­
ne. A quanto sappiamo, Ipparco fu il primo astronomo a elaborare una
teoria matematica della parallasse che potesse essere usata per prevedere
l'aspetto delle eclissi solari in una determinata località geografica.
1 78 CAPITOLO 6

Eclissi previste dai Greci


Poco sopra abbiamo osservato che la previsione dei fenomeni astrono­
mici non costituiva uno dei principali interessi dell'astronomia greca.
Questa affermazione potrebbe però sembrare in contrasto con un fa­
moso aneddoto raccontato da Erodoto. Si tratta di un evento accaduto
durante le guerre fra Medi e Lidi nella parte orientale dell'Asia Minore:28

Mentre essi, con pari fortuna, conducevano la guerra, nel sesto anno,
durante uno scontro, accadde che, nel pieno della battaglia, il giorno
all'improvviso divenne notte. Talete di Mileto aveva predetto agli Ioni
che ci sarebbe stato questo cambiamento del giorno e aveva indicato l'an­
no in cui effettivamente ebbe luogo. I Lidi e i Medi, quando videro farsi
notte in pieno giorno, smisero di combattere, ed entrambi s'impegnarono
di più per concludere fra- loro la pace.

Secondo quanto ci dice Plinio il Vecchio, questo "trasformarsi del gior­


no in notte" era interpretato come un'eclissi solare già nell'antichità:29
Presso i Greci il primo in assoluto a svolgere indagini fu Talete di Mileto:
al quarto anno della 48' Olimpiade predisse l'eclissi solare che si verificò
sotto il regno di Aliatte, nell'anno 1 70 dalla fondazione di Roma.

Generalmente, gli storici moderni identificano questa presunta eclissi


con l'eclissi solare totale del 28 maggio del 585 a.C. Questa data, però,
non concorda né con l'anno olimpico citato da Plinio (che iniziò nell'e-

Figura 6.7. Parallasse lunare. Il fenomeno è illustrato immaginando che l'osser­


vatore che vede la luna attraversare il meridiano si trovi nell'emisfero settentrio­
nale. La posizione apparente della luna è nella direzione della linea continua.
Secondo una teoria del moto lunare che non tenga conto della parallasse, la luna
si troverebbe in direzione della linea tratteggiata, che è assimilabile alla linea
che collega la posizione reale della luna al centro della terra. Dalla prospettiva
dell'osservatore, la luna sembra trovarsi più a sud e più vicina all'orizzonte ri­
spetto alla posizione prevista.
ECLISSI 179

state del 585 e che, sempre secondo Plinio, sarebbe l'anno in cui Talete
effettuò la propria previsione), né con l'anno dalla fondazione di Roma
(che iniziò il primo aprile del 584 e che Plinio presenta come l'anno in
cui l'eclissi ebbe effettivamente luogo).
È possibile che Erodoto volesse descrivere un'eclissi solare, ma non
ne consegue necessariamente che le sue informazioni siano precise. In un
passo successivo della sua opera (7.37), lo storiografo descrive in modo
simile la scomparsa del sole dal cielo sereno osservata dall'esercito di Serse
nel 480 a.C. Eppure, per quella data non si registrano eclissi che avreb­
bero potuto apparire totali o quasi a osservatori situati nella regione in
questione. 3° Comunque sia, non è possibile che la presunta previsione di
Talete si riferisse a un'eclissi. Come abbiamo visto, le possibilità di eclissi
solari sono frequenti. Perciò, sarebbe stato inutile prevedere semplicemen­
te la possibilità di un'eclissi, o anche annunciare che un'eclissi diurna di
dimensioni indeterminate si sarebbe verificata a un certo punto di un anno
preciso. D'altro canto, all'epoca non c'era nessuno, né in Grecia né in
Mesopotamia, che avesse le conoscenze necessarie per prevedere un'eclissi
solare totale. È quindi possibile che la storia di Erodoto sia soltanto parte
dell'aura di leggenda che circondava il personaggio di Talete e che mirava
a esaltare l'eccezionale sapienza del "primo filosofo".
A partire da quando i Greci (e i Romani) iniziarono davvero a preve­
dere le eclissi in modo scientifico? Se la storia di Livio su Sulpicio Gallo
e l'eclissi del 168 è vera, erano in grado di prevedere le eclissi lunari,
i nclusa l'ora della comparsa, fin dall'inizio del II secolo a.C. Come ab­
biamo visto, però, ci sono buoni motivi per essere scettici. Subito dopo
aver menzionato Talete, Plinio loda profusamente lpparco, che avrebbe
"previsto il corso di entrambi gli astri (ossia il sole e la luna) per 600
anni, tenendo conto dei mesi delle varie popolazioni, dei giorni, delle
ore, della configurazione dei luoghi e del campo visivo(?] dei popoli". 3 1
Dal contesto è chiaro che tutto ciò h a qualcosa a che vedere con l e eclissi,
ma Plinio si esprime in modo così oscuro da dar adito a diverse interpre­
tazioni. La possibilità che lpparco avesse previsto e registrato le eclissi
future è solo una delle letture possibili.
Ironicamente, è proprio nell'unica opera conservata di lpparco,
Il commento ai Fenomeni di Arato ed Eudosso, che troviamo un ri­
ferimento contemporaneo attendibile a previsioni di eclissi effettuate
intorno alla metà del II secolo a.C. E in questo caso Ipparco non sta
parlando di séY Il suo obiettivo è quello di confutare un'idea risalente
a Eudosso, secondo cui, nel suo moto annuale intorno allo zodiaco, il
sole non si sposterebbe esattamente lungo l'ecl ittica. A questo scopo,
180 CAPITOLO 6

Ipparco si avvale di un'argomentazione indiretta: se il sole subisse una


simile oscillazione in latitudine, lo stesso accadrebbe all'ombra della
terra proiettata dal sole e questo dovrebbe avere un effetto notevole
sulla dimensione delle eclissi. Eppure, prosegue lpparco, "le previsioni
degli astronomi" di solito forniscono dati precisi per le dimensioni del­
le eclissi, con un'approssimazione corrispondente a meno di un sesto
del diametro lunare, che è piccolo; e le loro procedure non presuppon­
gono un'oscillazione latitudinale dell'ombra terrestre. Certo, sarebbe
stato meglio se Ipparco avesse detto qualcosa in più riguardo a questi
anonimi astronomi; tuttavia, è evidente che sta facendo riferimento a
una pratica che i suoi lettori dovevano conoscere bene. Da questo pas­
so deduciamo anche che i metodi di questi astronomi dovevano essere
piuttosto sofisticati. La descrizione di lpparco potrebbe riferirsi sia a
metodi aritmetici, come quelli elaborati dai Babilonesi, sia a metodi
fondati su ipotesi geometriche, come le orbite eccentriche e gli epicicli
ipotizzati per i movimenti del sole e della luna.
Il più antico registro di previsioni di eclissi prodotto in epoca elleni­
stica al di fuori di Babilonia è conservato da un manoscritto papiraceo,
risalente al I secolo a.C e proveniente da Abusir el-Meleq (nell'Egitto to­
l emaico). La cosa interessante è che il testo è scritto in demotico (PBerol.
13146+ 1314 7).33 Ne riportiamo di seguito un estratto, che si riferisce ai
due anni compresi fra l'estate del 77 a.C. e quella del 75 a.C.
Anno 26, tempo 6 mesi: la luna si eclissa [neii']Acquario, nel III mese di
smw28.

Lo spostamento all'interno dell'anno menzionato [è di] 6 mesi di tempo:


[la luna si eclissa nel] Leone [nella] nona ora [della] notte e l'eclissi si
verificherà sulla sua faccia settentrionale nel I mese di prt 20.

Lo spostamento all'interno dell'anno menzionato [è di] 5 mesi di tempo:


eclissi diurne [?],a metà [?],nel II mese di smw 17, [nel] Capricorno.

Anno 27, tempo 6 mesi: la luna si eclissa davanti [?] al Cancro, nelll
ll
mese di ll;l.t 9.

Lo spostamento all'interno dell'anno menzionato [è di] 6 mesi di tempo:


[la luna si eclissa neii']Acquario, nel II mese di smw 7.

Queste sono possibilità di eclissi lunari, tutte collocate a intervalli di


sei mesi l'una dall'altra tranne la terza, che segue un intervallo di cinque
mesi. Agli anni sono assegnati i numeri 26 e 27 in base al sistema del
calendario callippico, il che prova che il nostro documento si basava su
ECLISSI 181

una fonte greca; i mesi e i giorni (come ad esempio III smw 28) seguono
il calendario egizio e vengono quindi riportati secondo la prassi egizia:
numero del mese, nome della stagione, numero del giorno. Per ogni pos­
sibilità di eclissi, il testo cita il segno zodiacale occupato dalla luna al
momento esatto del plenilunio. Solo per il secondo evento dell'anno 26
si forniscono dettagli ulteriori, a indicare che in quella data si verificherà
un'eclissi vera e propria: in particolare, vengono menzionate l'ora della
notte e la parte del disco lunare su cui sarà visibile l'oscuramento. Si
tratta dell'eclissi lunare del 28 gennaio del 76 a. C.
Un frammento di una simile lista di possibilità di eclissi lunari, que­
sta volta in greco, è conservato in un papiro di Ossirinco risalente al I
secolo d.C. (POxy astron. 4137).34 Le date sono espresse sia secondo il
sistema del calendario callippico, con menzione del mese e del giorno
del calendario ateniese, sia secondo il calendario egizio. Inoltre, le eclissi
sono descritte in modo più dettagliato rispetto al papiro in demotico.
In particolare, viene fornita una stima delle dimensioni dell'eclissi e le
direzioni dell'oscuramento del disco lunare sono specificate per l'inizio,
la metà e la fine dell'eclissi.
John Steele ha suggerito, in modo convincente, che le compilazioni
di previsioni di eclissi presenti in questi due papiri siano state generate
avvalendosi di un periodo eclittico paragonabile al Saros -nel caso del
papiro di Ossirinco deve per forza trattarsi del Saros, visto che gli altri
periodi non servono a prevedere dettagli come le dimensioni e la dire­
zione dell'oscuramento.JS Entro il II secolo d.C., tuttavia, l'astronomia
matematica greca era andata incontro a un progresso notevole: era or­
mai possibile prevedere in modo dettagliato sia le eclissi lunari sia quelle
solari grazie a una sofisticata teoria dei movimenti del sole e della luna,
in cui si teneva conto del variare della loro distanza dalla terra e degli
effetti della parallasse. Tale teoria è esposta da Tolomeo nel sesto libro
del suo Almagesto. Nei capitoli in cui descrive il metodo da adottare per
la previsione delle eclissi, Tolomeo passa in rassegna alcune delle loro
caratteristiche: questo repertorio rispecchia perfettamente il contenuto
delle previsioni tramandate dal papiro di Ossirinco.

Eclissi interpretate dai Greci


Continuiamo a incontrare storie in cui la comparsa di un'eclissi getta nel
terrore armate intere insieme ai loro condottieri. In una certa misura, si trat­
ta di un tema convenzionale della letteratura classica, ma è certo che, nelle
società antiche, le eclissi erano considerate come presagi, perlopiù nefasti. È
182 CAPITOLO 6

l'approccio sistematico a rendere particolarmente originale e interessante la


tradizione di interpretazione delle eclissi sviluppatasi in Mesopotamia: si ri­
teneva di poter leggere il significato preciso di un'eclissi tramite un'osserva­
zione rigorosa e un metodo di interpretazione fondato su regole condivise.
Le altre culture del mondo antico non esitarono ad adottare questo metodo
sistematico di lettura delle eclissi, insieme ad altri sistemi di interpretazione
dei presagi elaborati in Mesopotamia. Già nel II millennio a.C. troviamo
testi dedicati all'interpretazione delle eclissi presso gli Ittiti a nordest, gli
Elamiti a est, nonché a Mari e in altre città della Siria. 36
Quanto all'Egitto, l'interpretazione astrologica e sistematica delle
eclissi vi giunse solo più tardi, forse intorno al 500 a.C. Però, una volta
che se ne furono appropriati, gli studiosi egizi modificarono profonda­
mente questa disciplina, adattandola a una geografia regionale che aveva
il proprio centro in Egitto, e finirono per formulare previsioni, prevalen­
temente fosche, per tutte le regioni del Mediterraneo e dell'Asia occiden­
tale. Questo materiale è conservato da numerose fonti sia in lingua egizia
sia in lingua greca. I testi che sono giunti fino a noi risalgono all'Impero
romano, ma è chiaro che derivano da fonti di età ellenistica, se non di
epoca più antica. La versione più completa è rappresentata da un trat­
tato astrologico di Efestione di Tebe (400 d.C. circa), che attribuisce le
dottrine di cui parla agli "Egizi dei tempi che furono" .37
Il modo in cui Efestione tratta sia le eclissi lunari sia quelle solari
ricorda da vicino l'Em:tma Anu Enlil. Tuttavia, la sua opera sviluppa in
modo molto più approfondito le connessioni analogiche e schematiche
fra gli aspetti ominosi delle eclissi e i loro esiti, un elemento già presente
nelle frasi "se . . . allora . .. " delle tavolette babilonesi. Si prenda il caso
delle direzioni dei venti che soffiano all'inizio e alla fine di un'eclissi: il
modo in cui Efestione interpreta questi elementi ricorda i significati che
alcuni testi dell'Enuma Anu Enlil attribuivano alle direzioni dell'oscu­
ramento, ma lo schema di corrispondenze adottato è più diretto.38 Ad
esempio, se il vento soffia da ovest all'inizio dell'eclissi, si preannunciano
sventure per qualsiasi paese si trovi a ovest; se il vento soffia da sud alla
fine dell'eclissi, si prevedono benefici per i paesi a sud.
Ovviamente, i repertori di previsioni di eclissi simili a quelli degli
esempi papiracei sopra analizzati miravano in primo luogo a una sorta di
previsione astrale. Molte delle caratteristiche delle eclissi citate nei presa­
gi di Efestione si trovano anche nei repertori di previsioni di eclissi -ad
esempio, le dimensioni del fenomeno o il segno zodiacale occupato dalla
luna. Ma c'è di più. Nel sesto libro dell'Almagesto, Tolomeo si occupa
delle caratteristiche prevedibili delle eclissi. A suo dire, si riteneva che tali
ECLISSI 183

caratteristiche avessero un'applicazione speciale: in particolare, Tolomeo


ripete spesso che erano dotate di un'episemasia ("significato"), il termi­
ne tecnico usato per le previsioni meteorologiche derivanti dai fenomeni
astrali, come il sorgere e il tramontare delle stelle nei parapegmi. A quanto
pare, ci troviamo di fronte a un sistema di previsione più specificamente
incentrato sulla meteorologia rispetto a quello di Efestione. Fino a poco
tempo fa, non si conosceva nessun esempio di sistema di tal genere.

Meccanizzare le eclissi
Secondo il racconto del De re publica ciceroniano, Sulpicio Gallo riuscì
a convincere i soldati romani che l'eclissi che avevano osservato non era
un presagio: si trattava infatti di un evento che accadeva regolarmente
i n conseguenza di una serie di cause fisiche. Apparentemente, la sphaera
meccanica di bronzo costruita da Archimede riproduceva queste cause
in modo grafico e visivo, mostrando che la luna entra nell'ombra della
terra quando, nel corso delle loro rispettive rivoluzioni intorno alla terra
stessa, la luna e il sole si trovano in posizioni diametralmente opposte.
Cicerone vuole che consideriamo la sphaera come uno strumento di­
dattico capace di mostrarci che il cosmo è un sistema ordinato e che, di
conseguenza, è sbagliato credere che le eclissi siano dei presagi.
Molti intellettuali antichi avrebbero respinto il ragionamento di Gallo
considerandolo semplicemente illogico. Gli studiosi assiri dediti all'osser­
vazione dei presagi sapevano che le eclissi potevano verificarsi soltanto in
certe date, molto distanti le une dalle altre e legate alle fasi lunari; erano
anche in grado di prevedere il momento approssimativo della loro com­
parsa. I loro successori nell'Egitto tolemaico potevano consultare delle
previsioni di eclissi lunari attendibili e dettagliate e non vedevano nessuna
contraddizione fra la prevedibilità delle eclissi e la loro interpretazione
come presagi. Tolomeo, il più importante fisico dell'Impero romano, era
capace di prevedere sia le eclissi di luna sia quelle di sole in base a una
teoria che si fondava proprio sulla spiegazione ottica delle eclissi citata
da Gallo. Eppure, nel suo scritto astrologico Tetrabiblos (2.4), egli scrive
che, per quanto riguarda le calamità che interessano gli stati e le città , "la
causa principale e più efficace si verifica in occasione delle congiunzioni e
opposizioni del sole e della luna, che sono accompagnate dalle eclissi e dai
moti dei pianeti in quelle occasioni".39 A un certo momento fra l'epoca
degli Assiri e quella di Tolomeo, la logica alla base della previsione delle
eclissi era cambiata: non più considerate come messaggi inviati dagli dei,
le eclissi venivano ormai interpretate come configurazioni dei corpi cele-
184 CAPITOLO 6

sti che ne amplificavano gli effetti fisici sul mondo sottostante in base a
principi scientificamente giustificabili. La realizzazione di un meccanismo
capace di mostrare la regolarità delle eclissi non doveva necessariamente
scaturire dalle stesse intenzioni di Cicerone.
Quanto a quest'ultimo, le sue parole suggeriscono che, quando era im­
postata per mostrare la configurazione della volta celeste al momento di
un'eclissi lunare, la sphaera di Archimede mostrava la luna transitare nel
cono d'ombra della terra; nonostante alcune parole del testo siano andate
perdute, è probabile che si dicesse qualcosa di simile anche in relazione alle
eclissi di sole. Ma una riproduzione così dettagliata delle eclissi è altamente
inverosimile. Ci si può chiedere, innanzitutto, come fosse possibile che uno
strumento costruito nel III secolo a.C. potesse generare un effetto tale da
riprodurre le ombre coniche della terra e della luna. Ma anche tralasciando
questo problema, si sarebbe dovuto trovare un sistema per impedire sia
che il modellino della luna transitasse attraverso l'ombra della terra sia
che l'ombra della luna cadesse sul modellino della terra al di fuori delle
congiunzioni e opposizioni appropriate. Insomma, si sarebbe trattato di un
vero e proprio tour de force di movimento meccanizzato a tre dimensioni!
Il progettista del meccanismo di Anticitera ha scelto di incorporare
le eclissi nel proprio dispositivo tramite un sistema diverso, volto a ren­
dere visibili gli effetti e gli schemi ricorrenti delle eclissi piuttosto che le
loro cause. Proprio come il quadrante anteriore, che mostrava quando
le stelle sarebbero apparse e scomparse per la prima volta, il dispositi­
vo di visualizzazione delle eclissi sul pannello posteriore dipendeva dal
testo delle iscrizioni per una descrizione verbale dei fenomeni previsti.
Il puntatore azionato dal sistema di ingranaggi aveva semplicemente la
funzione di segnalare la data approssimativa di ciascuna previsione su
un quadrante che rappresentava visivamente il comportamento ciclico
delle eclissi. Per ottenere informazioni complete riguardo a un'eclissi,
chiunque azionasse o osservasse il meccanismo doveva prestare con­
temporaneamente attenzione al pannello anteriore e a quello posterio­
re. I quadranti collocati sulla parte inferiore del pannello posteriore gli
avrebbero permesso di stabilire che, per il mese lunare mostrato in quel
momento, era prevista un'eclissi; il nome di questo mese secondo il ca­
l endario corinzio era indicato dal quadrante metonico. Guardando il
quadrante anteriore, invece, si poteva identificare il giorno specifico in
cui sole e luna sarebbero stati nel corretto allineamento, così come le
posizioni che avrebbero occupato all'interno dello zodiaco: il tutto era
indicato secondo il calendario egizio, forse con un'approssimazione di
un giorno o due. Infine, i quadranti e le iscrizioni sulla parte inferiore del
ECLISSI 185

pannello posteriore avrebbero fornito l'ora dell'eclissi, insieme ad altre


caratteristiche previste per il fenomeno.
All'interno del meccanismo, il quadrante di Saros (fra i due grandi
quadranti a spirale del pannello posteriore, è quello collocato più in
basso) era il principale strumento per la previsione delle eclissi (figure
3.1 e 3.9).40 Il puntatore percorreva l'intera estensione della scanalatura,
muovendosi a spirale in senso orario dalla sua estremità più interna fino
a quella più esterna: questo movimento corrispondeva a 223 mesi lunari,
ossia a un periodo di Saros. La scala che correva lungo la scanalatura era
divisa in caselle che corrispondevano ai 223 mesi del Saros.
Le iscrizioni all'interno delle caselle rappresentavano un ciclo di pos­
sibilità di eclissi lunari e un ciclo di possibilità di eclissi solari. Le caselle
corrispondenti ai mesi in cui non avrebbe potuto verificarsi alcun genere
di eclissi erano lasciate vuote. Se un mese presentava la possibilità di un'e­
clissi lunare, la casella corrispondente recava un'iscrizione apposita, indi­
cando anche l'ora del giorno o della notte associata alla potenziale eclissi.
Poiché le caselle erano di dimensioni ridotte, le iscrizioni si avvalevano di
un sistema di abbreviazioni: per questo motivo, sono state ribattezzate
"glifi delle eclissi" (figura 6.8).41 Il primo elemento di un'iscrizione che
segnalava la possibilità di un'eclissi lunare era un sigma, L, la prima lettera
di Selene (''luna"). Se l'ora associata all'eclissi cadeva durante il giorno, il
L era seguito da un'abbreviazione, � ' formata dalle prime due lettere del
termine greco hemeras ("del giorno"); l'assenza di questa abbreviazione
implicava che l'evento si sarebbe verificato di notte. Compariva poi l'ab­
breviazione <1), composta dalle prime lettere della parola hora (''ora"), se-

(a) (b)

Figura 6.8. Glifi dell'eclissi solare e lunare nella casella corrispondente al mese nu­
mero 137 sulla scala del quadrante di Saros. A sinistra: traslitterazione. A destra:
traduzione. Il theta contraddistinto da un tratto orizzontale è la lettera di rimando
che collega questi glifi ai relativi paragrafi sull'iscrizione della lastra posteriore.
186 CAPITOLO 6

guita da un simbolo numerico corrispondente ai numeri da l a 12, il quale


indicava l'ora precisa. La segnalazione della possibilità di un'eclissi solare
avveniva secondo lo stesso schema, se si eccettua il fatto che il primo ele­
mento dell'iscrizione era un'eta, H, la prima lettera di Helios ("sole"), e
che la segnalazione di un'eclissi notturna era preceduta dall'abbreviazione
�.formata dalle prime lettere di nyktos ("di notte"). In questo caso, erano
i fenomeni diurni a non essere segnalati da alcuna abbreviazione.
Non erano indicate date precise all'interno dei singoli mesi, ma sicco­
me i mesi iniziavano con la luna nuova, le possibilità di eclissi lunare sa­
rebbero sempre cadute intorno alla metà del mese, le possibilità di eclissi
solare alla fine. Come abbiamo notato in precedenza, le possibilità di
eclissi solare tendono a verificarsi in corrispondenza della congiunzione
che segue o precede una possibilità di eclissi lunare. Nel primo caso, due
caselle consecutive avrebbero contenuto rispettivamente un glifo lunare
e uno solare; nel secondo caso, la stessa casella avrebbe recato un dop­
pio glifo, costituito da un'iscrizione relativa alla possibilità di un'eclissi
lunare seguita da un'ulteriore iscrizione per l'eclissi solare.
In fondo a ciascuna delle caselle che contenevano una o più iscrizioni
relative a una possibilità di eclissi compariva anche un simbolo di riman­
do, rappresentato da una lettera dell'alfabeto greco. Questa lettera aveva
una funzione analoga a quelle del quadrante dello zodiaco: collegare la
relativa casella a un'iscrizione situata in qualche altra sezione del pan­
nello posteriore, dove si fornivano informazioni aggiuntive sui fenomeni
previsti. Ritorneremo più avanti su queste iscrizioni. Per il momento ci
l imiteremo a osservare che questi simboli di rimando ripetevano per due
volte la sequenza delle 24 lettere dell'alfabeto greco, cui si aggiungevano
un paio di simboli supplementari per le ultime caselle iscritte del ciclo
di Saros (le lettere della seconda serie alfabetica sono contraddistinte da
un tratto orizzontale tracciato sopra ciascuna di esse). Queste lettere ci
aiutano a ricostruire lo schema delle possibilità di eclissi mostrato dal
quadrante: è proprio grazie a esse che sappiamo quante caselle iscritte ci
fossero nelle parti perdute della scala a spirale.
Per quanto riguarda le possibilità di eclissi lunari, il ciclo del qua­
drante aveva una struttura molto simile alla lunga serie di tavolette ba­
bilonesi che registravano sotto forma di tabelle le eclissi lunari osservate
e previste.42 Nelle tavolette, era una colonna a rappresentare il ciclo di
Saros; sul quadrante, questa funzione era svolta dalla fascia a spirale
composta dalle 223 caselle che costituivano la scala. In entrambi i casi,
i cicli comprendevano una serie completa di 38 possibilità di eclissi, col­
locate a intervalli di sei o, a intermittenza, cinque mesi l'una dall'altra.
ECLISSI 187

Le possibilità di eclissi solari non arrivavano a costituire un'intera


serie di 38 elementi; è anzi possibile che fossero solo 27. Probabilmente,
questa sequenza era stata strutturata iniziando con una serie completa
di 38 possibilità di eclissi, collocate a sei o cinque mesi di distanza le une
dalle altre. In seguito, da questa serie erano state rimosse le congiunzioni
per cui si era calcolato che la luna si sarebbe trovata oltre una certa so­
glia a sud dell'eclittica. Alla base di queste omissioni c'era la parallasse.
Il meccanismo era stato concepito per utenti che si trovassero nell'emi­
sfero settentrionale e, più precisamente, nell'area del Mediterraneo. A
un osservatore situato a queste latitudini la luna sembra sempre trovarsi
un po' più a sud rispetto alla posizione calcolata in riferimento al centro
della terra. Basandosi su questo fenomeno, l'ideatore della serie di possi­
bilità di eclissi deve aver dedotto che, in concomitanza con alcune delle
38 possibilità della serie completa, la luna sarebbe sempre transitata a
sud del disco del sole, mancandolo completamente. D'altronde, il pro­
gettista non ha incluso possibilità di eclissi nemmeno per le congiunzioni
in cui la luna passa a nord del sole con un margine sufficientemente
piccolo perché la parallasse sposti la sua posizione apparente in modo
tale da sovrapporla a quella del sole. In altri termini, si riteneva che le
condizioni necessarie per il verificarsi di un'eclissi di sole fossero più
restrittive di quelle che generavano un'eclissi di luna.
Come abbiamo visto, l'idea di prendere in considerazione la parallasse
per determinare se un'eclissi sia possibile o meno è un contributo degli
astronomi greci. Tuttavia, chi avesse osservato il meccanismo si sarebbe
trovato di fronte a una griglia per la previsione delle eclissi molto simile
a quella babilonese, che era basata sui periodi delle eclissi. Inoltre, sulle
iscrizioni del quadrante di Saros non c'è nulla che segnali le possibilità di
eclissi solari "mancate", magari spiegando la ragione di queste omissioni.
È possibile che in una delle iscrizioni più lunghe che accompagnavano il
meccanismo ci fosse perlomeno una menzione della parallasse -l'iscrizio­
ne della lastra anteriore sembra essere l'opzione più plausibile, se è vero
che, oltre alle sezioni conservate sui pianeti, conteneva anche passi dedica­
ti al sole e alla luna. In ogni caso, pare che il progettista del meccanismo
non fosse interessato a mettere in evidenza gli aspetti fisici delle eclissi.
L'iscrizione della lastra posteriore (ILP) conteneva informazioni ag­
giuntive sulle eclissi previste. Tale iscrizione si trovava sul pannello poste­
riore del meccanismo e ricopriva gli spazi irregolari intorno ai quadranti
metonico e di Saros.4 3 Il testo era costituito da una prima serie di paragrafi
relativi alle eclissi lunari, seguita da altri paragrafi dedicati alle eclissi so­
lari. Probabilmente i paragrafi sulle eclissi lunari erano disposti lungo il
188 CAPITOLO 6

lato sinistro della lastra dei quadranti e sulla parte superiore del suo lato
destro; è possibile che quelli dedicati alle eclissi solari corressero lungo
quanto rimaneva del lato destro. I paragrafi che si sono conservati riguar­
dano le eclissi solari. Riportiamo di seguito la traduzione di uno di essi:44
Iniziando da thrakias, cambiano direzione e finiscono verso apeliotes.
Grande[?]. Il colore è rosso vivo. Z e� P X
La serie di lettere alla fine del paragrafo identifica i glifi delle eclissi so­
lari cui il paragrafo stesso fa riferimento. Ad esempio, il glifo solare ripro­
dotto e tradotto nella figura 6.8 appartiene a questo gruppo. Le possibilità
di eclissi solari associate a uno stesso paragrafo avevano tutte un elemento
in comune: in corrispondenza di ognuna di esse, la luna si trovava sempre
allo stesso intervallo di latitudine a nord o a sud dell'eclittica.4 5
Ciascuno dei paragrafi conservati inizia con un'affermazione relativa
a un cambiamento di di rezione, espresso tramite i nomi greci dei venti.
Nell'esempio citato, thrakias è il nome di un vento che soffia da nord-ovest,
mentre apeliotes è un vento che proviene da est. Queste frasi sono state
interpretate in due modi diversi. Secondo una prima lettura, potrebbero
riferirsi alle direzioni dell 'oscuramento delle eclissi previste, in conformità
alla pratica, comunemente diffusa in Grecia, di usare i nomi dei venti per
designare le direzioni cardinali basandosi su una "rosa dei venti" stan­
dard. 4 6 In questo caso, l'esempio citato descriverebbe delle eclissi solari in
cui il settore nordoccidentale del disco solare è il primo a oscurarsi, mentre
il settore orientale è quello che si oscura per ultimo. Se questa è l'interpre­
tazione corretta, dobbiamo dedurre che il testo si basava su conoscenze
astronomiche di pessima qualità. In effetti, le direzioni dell'oscuramento
non dipendono solo dalla latitudine della luna, ma anche dalla direzione
del suo movimento, verso nord o verso sud. Eppure, le possibilità di eclissi
radunate da ciascuno dei paragrafi superstiti mescolano casi in cui lo spo­
stamento è diretto verso nord e casi in cui è diretto verso sud. Inoltre, nelle
eclissi solari le direzioni devono tendere tutte verso est, dal momento che
la luna si sposta verso est lungo l'eclittica con un moto più rapido rispetto
a quello del sole. Nonostante questo, uno dei paragrafi menziona un cam­
bio di direzione da nordest a sudovest.
Secondo un'altra interpretazione, le indicazioni di direzione non
sono altro che previsioni del mutamento dei venti nel corso dell'eclissi o
in un intervallo di tempo successivo. Si tratterebbe quindi di un caso di
previsione sistematica dei fenomeni meteorologici a partire dalle eclissi,
una pratica paragonabil e a quelle menzionate da Tolomeo nel suo Al­
magesto. 47 Se così fosse, la previsione del meccanismo si riferirebbe a
ECLISSI 189

una delle presunte caratteristiche delle eclissi che, secondo quanto ci dice
Efestione, erano considerate come presagi. Lo stesso vale per la terza fra­
se di ciascuno dei paragrafi solari dell'ILP, dove si preannuncia il colore
del disco dell'eclissi.48 Il colore delle eclissi svolge un ruolo fondamentale
nelle previsioni astrologiche di Efestione, proprio come avveniva nelle
protasi (le frasi introdotte da "se") dei presagi dell'Enuma Anu Enlil.
Contrariamente alle nostre aspettative, queste osservazioni non erano
limitate alle sole eclissi totali. Il mondo greco-romano non ci ha lasciato
nessun altro esempio di previsione del colore delle eclissi, ma nella tra­
dizione astronomica indiana e islamica si conservano schemi complessi
concepiti proprio a questo scopo.4 9
Fra le frasi sulla direzione e quelle sui colori, l'ILP inserisce una sin­
gola parola volta a segnalare delle dimensioni, come "piccolo", "medio"
o "grande". Probabilmente questa espressione si riferiva o alle dimen­
sioni dell'eclissi -ossia alla frazione del disco che sarebbe stata oscura­
ta -o alla sua durata. Tuttavia, nella migliore delle ipotesi, una simile
previsione avrebbe potuto determinare soltanto il valore massimo delle
dimensioni o della durata di un'eclissi solare reale visibile da un punto
di osservazione qualsiasi.
Se le descrizioni delle eclissi solari presenti sull'ILP ci sembrano stra­
ne, dobbiamo tenere presente che il Saros era praticamente inutile per
anticipare quelle caratteristiche delle eclissi solari che l'astronomia mo­
derna è in grado di prevedere senza problemi. È un peccato che i para­
grafi lunari siano andati persi. Con ogni probabilità erano molto diversi
e contenevano informazioni quantitative sulle dimensioni, la durata e
-se erano raggruppati secondo l'andamento del moto latitudinale e non
solo in base alla latitudine -le direzioni dell'oscuramento, che forse so­
stituivano o completavano le previsioni dei venti e del colore dell'eclissi.
L'indicazione delle ore presente nei glifi si riferiva quasi certamente
all'ora del plenilunio o al momento in cui avveniva la congiunzione. Nel
caso di un'eclissi di luna, si trattava anche del momento in cui l'eclissi era
a metà del suo corso. In un'eclissi di sole, invece, il momento in cui l'eclissi
è a metà del suo svolgimento può differire di più di un'ora da quello della
congiunzione: la causa di questo sfasamento è la parallasse. L'espressione
"ora n del giorno" o "della notte" sembra riferirsi alle ore stagionali, ossia
le convenzionali divisioni del giorno e della notte adottate nel mondo gre­
co-romano. Un'ora stagionale corrisponde a un dodicesimo del tempo che
separa il sorgere del sole dal suo tramonto o viceversa. Di conseguenza, la
sua lunghezza varia a seconda delle stagioni. Tuttavia, i glifi non sembra­
no tenere conto della variazione stagionale. Perciò, il conteggio delle ore è
190 CAPITOLO 6

effettuato in base alle ore equinoziali (che corrispondono alle ore moder­
ne, ciascuna delle quali equivale a un ventiquattresimo del valore medio di
un giorno e di una notte), dalle sei del mattino alle sei di sera locali.
L'idea alla base del quadrante di Saros era che il ciclo delle possibilità di
eclissi inciso sulla scala si sarebbe ripetuto identico ogni 223 mesi. Questo
principio però non si applicava alle ore perché, come abbiamo visto, il Saros
non corrisponde a un numero intero di giorni. Per questo motivo, all'inter­
no del quadrante di Saros fu aggiunto il quadrante dell'Exeligmos, il quale
avrebbe indicato le correzioni da apportare agli orari previsti per le eclissi.
Questo quadrante era diviso in tre settori identici, due dei quali recavano al
proprio interno i numeri 8 e 16. La lancetta di questo quadrante aggiuntivo
compiva una rotazione completa una volta ogni tre cicli di Saros, i quali
corrispondono esattamente a un Exeligmos. Quando la lancetta si trovava
nel settore vuoto, non era necessario applicare alcuna correzione; quando
invece si trovava in uno dei due settori con le iscrizioni, all'ora segnalata dal
glifo bisognava aggiungere il numero di ore equinoziali indicate.
Probabilmente, le ore indicate dai glifi sono state calcolate con un
metodo simile a quello adottato dai "fogli di calcolo" delle tavolette
babilonesi.50 Per ogni congiunzione e ogni plenilunio del ciclo di Saros
deve essere stata calcolata una sequenza di orari, ma solo quelli che cor­
rispondevano a delle possibilità di eclissi sono stati registrati sul qua­
drante. Siccome gli orari sono registrati con un'approssimazione pari
a un'ora e molti sono interessati da errori, è impossibile stabilire quale
metodo di calcolo sia stato usato. Analizzando gli orari, però, emerge
che il conteggio delle ore era basato su un assunto molto preciso: in par­
ticolare, si presupponeva che nel plenilunio del primo mese del ciclo (il
quale, fra parentesi, non coincideva con una possibilità di eclissi lunare),
la luna fosse esattamente al proprio apogeo, ossia nel punto della sua
orbita più lontano dalla terra. Questo allineamento era reso visibile dal­
le quattro linee radiali tracciate all'interno della scala del quadrante di
Saros (p. 65 ). La loro funzione era proprio quella di segnalare quando la
luna piena si sarebbe trovata alla minor distanza possibile dall'apogeo.
Ma queste previsioni si riferivano a date real i? Oppure si tratta solo
di una sequenza artificiale volta a illustrare in astratto l'andamento delle
eclissi? A sostegno della prima ipotesi possiamo citare il fatto che il pri­
mo mese del ciclo non contiene alcuna possibilità di eclissi: nel caso di
una sequenza puramente ideale, in corrispondenza del plenilunio iniziale
ci aspetteremmo di trovare la luna sul suo asse nodale. Possiamo esami­
nare gli ultimi secoli a. C. alla ricerca di una serie di date le cui condizio­
ni astronomiche corrispondano sia alla distribuzione delle possibilità di
ECLISSI 191

eclissi sul quadrante, sia all'andamento degli orari delle eclissi indicati
nei glifi: la corrispondenza migliore (e, a dire il vero, l'unica accettabile)
prevede che la luna piena della prima casella del quadrante coincida con
quella del 12 maggio del 205 a. C. Perciò, l'inizio del mese lunare che
segna la data zero del ciclo corrisponderebbe all'incirca al 28 aprileY
Se così fosse, l'intero ciclo di Saros coprirebbe gli anni compresi fra il
205 e il 187 a. C. Queste date sono state stabilite, anche se con metodi
diversi, in una serie di articoli recentemente pubblicati da Tony Freeth e
da Christian Carman, in collaborazione con James Evans. 52
Secondo Carman, Evans e Freeth, se si considera che le eclissi previste
dal meccanismo corrispondono a una serie di eclissi verificatesi intorno al
200 a.C., è probabile che il meccanismo stesso sia stato costruito intorno
a quella data o poco più tardi. La loro argomentazione principale è che,
a causa delle imprecisioni inerenti al ciclo di Saros, le previsioni dei qua­
dranti di Saros e dell'Exeligmos sarebbero presto risultate eccessivamente
approssimative: in particolare, gli errori sarebbero diventati intollerabili
solo dopo pochi cicli di Saros a partire dalle date per cui gli orari delle
eclissi erano stati calcolati. Questa interpretazione, però, presuppone una
datazione decisamente anteriore rispetto a quella che abbiamo proposto
in precedenza. Se la si accettasse, bisognerebbe ipotizzare che la proget­
tazione e la costruzione del meccanismo siano avvenute a una distanza di
circa un decennio dalla morte di Archimede (212 a. C.) e un secolo e mez­
zo prima del naufragio di Anticitera. Nel capitolo 4 ho dimostrato che
il contesto archeologico rafforza l'ipotesi che il meccanismo fosse nuo­
vo quando andò perso nel naufragio. Se così non fosse, sarebbe difficile
spiegare come mai, in un carico partito dall'Egeo e diretto verso ovest, ci
fosse un oggetto di antiquariato che era stato evidentemente costruito per
un luogo a ovest dell'Egeo. Ma ci sono anche altre argomentazioni che
consentono di confutare l'idea che il 205 a. C. sia stato scelto come data
zero perché prossimo al momento della costruzione.
In primo luogo, il fatto che il ciclo delle eclissi avesse una data zero
precisa rende ancora più probabile che anche i cicli calendrici sulla par­
te superiore del pannello posteriore ne avessero una (mi riferisco al ciclo
di 19 anni del quadrante metonico e al ciclo di 4 anni del quadrante dei
Giochi). Se così fosse stato, il quadrante metonico avrebbe indicato il prin­
cipio dell'anno civile il cui inizio cadeva il più vicino possibile al solstizio
d'estate, mentre la lancetta dei Giochi avrebbe indicato un anno del calen­
dario corinzio che prevedeva la celebrazione dei Giochi Olimpici. Questa
data non avrebbe coinciso con la data zero delle eclissi perché l'anno del
calendario corinzio che iniziava nella tarda estate, forse due mesi dopo ri-
192 CAPITOLO 6

spetto all'anno del calendario ateniese (p. 113). Però, l'anno del calendario
corinzio che iniziava alla fine dell'estate del 205 sarebbe potuto essere una
plausibile data zero per le funzioni legate al calendario.53 Nel capitolo 4
abbiamo visto che simili corrispondenze fra il ciclo di 19 anni e quello di
4 anni si verificano solo ogni 76 anni; abbiamo anche osservato che l'an­
no 205 - 204 a.C. sarebbe potuto essere uno di questi anni se il calendario
corinzio fosse stato sincronizzato con quello ateniese in base agli schemi
di intercalazione attestati per Atene a partire dalla metà del I secolo d.C.
La prova decisiva, però, proviene dal modo in cui il quadrante dell'Exe­
ligmos è disposto sul pannello posteriore del meccanismo. Le linee diviso­
rie del quadrante si trovano rispettivamente a ore una, a ore cinque e a ore
nove, segnando così i punti del ciclo di Saros a partire dai quali gli orari
delle eclissi vanno corretti aggiungendo O, 8, o 16 ore equinoziali. Ovvia­
mente, la linea situata a ore una indica il punto in cui la lancetta avrebbe
dovuto trovarsi nella data zero delle eclissi. Un orientamento così pecu­
liare deve avere una qualche motivazione. Immaginiamo di impostare le
lancette del Saros e dell' Exeligmos sulle posizioni corrispondenti alla data
zero delle eclissi (verso l'alto per il puntatore del Saros e in corrispondenza
della linea orientata verso le ore una per la lancetta dell'Exeligmos). Im­
maginiamo poi di spostare il meccanismo in avanti di quattro mesi lunari,
fino al punto che, secondo noi, rappresenta la data zero del calendario
(intorno al25 agosto del 205 a.C.). In tal modo, le due lancette finirebbe­
ro per trovarsi parallele, entrambe orientate verso le ore una; allo stesso
tempo, le lancette del quadrante metonico, di quello dei Giochi e (proba­
bilmente) di quello callippico si troverebbero anch'esse a essere parallele e
tutte orientate verso le ore sei (figura 6.9).54 È chiaro che questo schema di
allineamenti era un elemento intenzionale della progettazione del pannello
posteriore, motivato anche da ragioni estetiche.
Di conseguenza, il meccanismo aveva due date zero: quella per le
funzioni legate al calendario cadeva all'incirca il 25 agosto del 205 ;
quella per il ciclo delle eclissi cadeva quattro mesi prima, intorno al 28
aprile del 205 . Siccome la scelta era limitata dal ciclo di 76 anni, la de­
cisione di selezionare proprio queste date deve essere scaturita proprio
dalla data zero del calendario. Inoltre, poiché il ciclo calendrico sem­
bra essere stato sincronizzato con il più recente allineamento del ciclo
di intercalazione del calendario ateniese, possiamo dedurre che questo
aspetto del meccanismo fu progettato dopo la metà del II secolo a.C. È
noto infatti che l'aggiustamento del ciclo di intercalazione ateniese non
può essere avvenuto prima di questa data. Nel 129 a.C., l'anno 205 / 204
a.C. del calendario corinzio sarebbe ancora stato l'anno più recente in
1 94 CAPITOLO 6

grado di soddisfare i requisiti di entrambi i cicli. È possibile che anche


dopo quella data lo si sia preferito al candidato successivo, ossia l'anno
1 29/128 a.C., soprattutto se il progettista voleva far passare un inter­
vallo di tempo più ampio fra la data zero e il presente: tanto per fare
un esempio, una scelta simile avrebbe semplificato la dimostrazione del
lento spostamento dell'anno vagante egizio.55 Come data zero dei cicli
di Saros e dell' Exeligmos, si scelse, fra i mesi precedenti la data zero del
calendario, quello in cui la luna piena si era avvicinata maggiormente
all'apogeo. Per quanto concerne le caratteristiche delle eclissi per i 223
mesi seguenti, ci sono due possibilità: o furono calcolate espressamente
per il meccanismo, o (come credo) furono tratte da una compilazione
preesistente, contenente una lista di eclissi calcolate retrospettivamente.
Infine, la data zero dell'anello del calendario egizio, indicata dal marker
fiduciale di Derek de Solla Price, fu determinata calcolando la longitu­
dine del sole nel primo giorno dell'anno del calendario egizio (il primo
giorno di Toth, che equivale al 1 3 ottobre del 205 a.C.).56
Anche se supponiamo che il ciclo di intercalazione del calendario ate­
niese fosse già stato modificato intorno al 150 a.C. e che il meccanismo
fosse stato costruito poco tempo dopo, le ore delle eclissi misurate dal qua­
drante di Saros e corrette da quello deii'Exeligmos avrebbero difficilmente
coinciso con le eclissi contemporanee; le discrepanze sarebbero state an­
cora maggiori entro l'inizio del I secolo a.C. Questo dipende da un difet­
to insito nel periodo di Saros: indipendentemente dall'intervallo di date
selezionate, le ore registrate dai glifi delle eclissi non avrebbero retto a un
confronto rigoroso con quelle derivanti dall'osservazione diretta. L'unica
eccezione era una finestra di tempo limitata (equivalente a un secolo o più)
che, nelle intenzioni del progettista del meccanismo, rappresentava l'inter­
vallo di date che l'utente avrebbe avuto interesse a mostrare sui quadranti.
Come abbiamo visto nel caso di Gemino e degli anonimi astronomi del
passato menzionati da Tolomeo (capitolo 5), il progettista del meccanismo
non era l'unico ad avere una fiducia infondata nell'affidabilità dei qua­
dranti di Saros e deii'Exeligmos: poco importava che Ipparco avesse ormai
dimostrato la superiorità di altre relazioni periodiche lunari, le quali deri­
vavano a propria volta dall'astronomia matematica babilonese. Anche nei
suoi momenti migliori, la scienza greca era piuttosto incostante quando si
trattava di verificare in modo sistematico le previsioni teoriche tramite un
confronto con le osservazioni empiriche. L'astronomia del meccanismo ri­
flette maggiormente le competenze di un Gemino piuttosto che quelle di un
Ipparco. D'altronde, non avrebbe senso aspettarsi altro da uno strumento
concepito per la divulgazione e non per la ricerca.
7
Vaga bo n di celesti

I pianeti in Mesopotamia:
osservazioni e interpretazioni di presagi
Dopo che il meccanismo fu portato alla luce e consegnato al Museo Ar­
cheologico Nazionale, si cercò subito di decifrare le poche lettere greche
visibili sui frammenti incrostati. Due sequenze attirarono subito l'atten­
zione degli osservatori: HAIOYAKTIN, che corrisponde alle parole
Heliou aktin ("raggio di sole"), e TI-ILA<l>P, che sembrava coincidere con
le prime lettere di tes Aphrodites ("di Afrodite"). 1 Afrodite era un'impor­
tante divinità del pantheon greco antico. In questo caso, però, il suo nome
compariva accanto a quello del sole, per di più su un oggetto che chiun­
que avrebbe potuto identificare come una sorta di strumento scientifico: si
concluse perciò che doveva trattarsi della "stella di Afrodite", il nome con
cui i Greci designavano comunemente il pianeta Venere. Gli esperti che
nel 1902 dibattevano sui possibili scopi del misterioso manufatto furono
grati di trovare un indizio che lo legava all'astronomia. Mai avrebbero
immaginato che proprio la comprensione dell'esatto significato di queste
iscrizioni avrebbe permesso di risolvere l'ultimo degli enigmi sulle funzioni
del meccanismo: qual era il suo rapporto con i pianeti?
Dopo il sole e la luna, Venere è il corpo celeste più luminoso e le circo­
stanze in cui appare lo pongono inevitabilmente al centro dell'attenzione.
Per più di otto mesi di fila, Venere è la "stella della sera", il primo corpo
celeste simile a una stella a diventare visibile nel cielo occidentale dopo il
tramonto. Per buona parte di questo intervallo di tempo, Venere appare
ben al di sopra dell'orizzonte e le altre stelle compaiono prima che tramonti.
Qualche giorno prima che la "stella della sera" diventi invisibile, Venere
compare nel ruolo di "stella del mattino", mostrandosi a oriente prima del
sorgere del sole e rimanendo l'ultima stella visibile nel cielo mattutino. Pri­
ma che Venere scompaia di nuovo, questa volta per circa due mesi, passano
poco più di otto mesi. Poi il ciclo ricomincia con una nuova stella della sera.
196 CAPITOLO 7

Venere si distingue dalle stelle normali per tre evidenti ragioni: è più
luminosa e la sua luminosità è più stabile; compare e scompare secondo
un ciclo diverso da quello annuale delle stelle ordinarie; si sposta rispet­
to alle altre stelle. Durante i periodi in cui è visibile, Venere attraversa
gradualmente le costellazioni dello zodiaco, per lo più spostandosi verso
est. Tuttavia, qualche giorno prima di finire il suo turno come stella della
sera, inverte il senso di marcia, per poi riprendere a spostarsi verso est
qualche giorno prima della sua comparsa mattutina.
Gli osservatori mesopotamici del III millennio a.C. sapevano che la
stella della sera e la stella del mattino erano lo stesso corpo celeste e lo
associarono con la dea chiamata Inana in Sumero e Ishtar in Accadico.2
Entro l'inizio del II millennio, avevano ormai identificato cinque stelle
speciali, che chiamarono bibbu, "pecore selvatiche": possiamo afferma­
re con certezza che si trattava di Mercurio, Venere, Marte, Giove e Sa­
turno, gli unici pianeti regolarmente visibili per un osservatore a occhio
nudo.3 Anche se tutti e cinque hanno un aspetto simile a quello di una
stella, Giove e Venere sono più luminosi degli altri e Marte tende ad
avere un caratteristico colore rossastro, in contrasto con le sfumature
biancastre e giallastre degli altri pianeti. Nonostante ciò, non è sempre
facile distinguerli solo in base al loro aspetto. Per questa ragione, i popo­
li mesopotamici si affidarono sempre di più alla conoscenza dei cicli che
regolavano la loro scomparsa e ricomparsa. Ad esempio, un anonimo
studioso babilonese del II millennio a.C. ha registrato una serie di date
in cui Venere era apparsa o scomparsa, inserendole nel calendario babi­
lonese. Le sue annotazioni iniziano così:4

Il quindicesimo giorno del mese di Shabatu, Venere è scomparsa a ovest; è


stata assente dal cielo per tre giorni e nel diciottesimo giorno di Shabatu
è diventata visibile a est.
L'undicesimo giorno del mese di Arahsamna, Venere è scomparsa a est; è stata
assente dal cielo per due mesi e sette giorni e nel diciannovesimo giorno di
Tebetu è diventata visibile a ovest [e così via per almeno otto anni] .

Si tratta di una descrizione molto precisa di una possibile sequenza


di comparse e scomparse di Venere. Sulla base di un indizio fornito dal
testo così come ci è stato tramandato, si ritiene che queste annotazio­
ni derivino da una serie di osservazioni effettuate durante il regno di
Ammi�aduqa, un sovrano del periodo antico-babilonese (prima metà del
II millennio a.C.). Il documento si è conservato perché è stato incluso,
sotto forma di repertorio di presagi, nella 63• tavoletta dell' Enuma Anu
Enlil, l'ormai nota compilazione di premonizioni astrali. Ogni osserva-
VAGABONDI CELESTI 1 97

zione relativa alla comparsa o scomparsa di Venere in determinate date


del calendario era infatti associata a una previsione del tipo "si apriran­
no delle sorgenti, [il dio] Adad porterà la sua pioggia, [il dio] Ea porterà
le sue inondazioni e un re invierà messaggi di riconciliazione a un altro
re". Questa tavoletta è comunemente conosciuta con il nome di "Tavo­
letta di Venere di Ammi�aduqa": basandosi sulle date e su altri elementi
in essa contenuti, si sono fatti molti sforzi per cercare di datare esatta­
mente il regno di Ammi�aduqa e degli altri re della sua dinastia, ma gli
storici non hanno ancora raggiunto un consenso definitivo.
Le più antiche copie superstiti dell'Enuma Anu Enlil, così come quelle
di altre tavolette che registrano simili informazioni sui pianeti, provengo­
no dalle biblioteche della Ninive del VII secolo. Possiamo quindi affer­
mare con certezza che, entro il 700 a.C. circa, si era ormai acquisita una
conoscenza empirica non solo dei cicli di visibilità di Venere, ma anche di
quelli degli altri pianeti. Così, un osservatore allenato poteva ormai pre­
vedere con una certa approssimazione dove e quando un determinato pia­
neta avrebbe fatto la sua prima comparsa nel cielo mattutino o serale. Di
certo, gli studiosi alle dipendenze dei re assiri Esarhaddon e Assurbanipal
sapevano quando era il momento di essere vigili. Quando uno studioso
scambiò un avvistamento di Mercurio per la prima visibilità di Venere, i
suoi colleghi più anziani lo denunciarono al loro sovrano, accusandolo di
essere "un uomo vile, un ignorante, un imbroglione" P
La "Tavoletta di Venere" mostra che i popoli mesopotamici consi­
deravano le scomparse e ricomparse dei pianeti come segni premonitori.
Erano delle circostanze precise a determinare l'esito positivo o negativo
dei presagi planetari: ad esempio, si teneva conto del colore apparente
del pianeta, della costellazione in cui si trovava nel momento interessato,
del mese del calendario in cui aveva luogo l'evento. Come per le eclissi,
veniva considerato positivo qualsiasi esito palesemente negativo che in­
teressasse un regno rivale. Con l'evolversi dell'astrologia mesopotamica,
si finì per attribuire a ciascun pianeta una specifica tendenza benefica o
malefica: Venere e Giove erano pianeti propizi, Marte e Saturno erano
nefasti e Mercurio era ambivalente.6 In base a questo principio astro­
logico, l'ordine con cui i pianeti vengono normalmente citati nei testi
astronomici tardo-babilonesi è il seguente: Giove, Venere, Mercurio, Sa­
turno, Marte.
Gli studiosi legati ai re assiri di Ninive devono aver tenuto un regi­
stro delle proprie osservazioni, per lo meno sul breve termine, in modo
da monitorare i pianeti durante i loro intervalli di visibilità e paterne
anticipare la ricomparsa. Non è rimasta nessuna traccia di simili regi-
198 CAPITOLO 7

stri. Tuttavia, lo stesso tempio babilonese che conservava gli archivi


delle osservazioni di eclissi effettuate dall'VIII secolo a.C. in poi con­
teneva anche una serie di resoconti astronomici molto più dettagliati,
che andavano almeno dalla metà del VII secolo a.C. alla metà del I
secolo a.C., se non oltre. Questi cosiddetti Diari astronomici erano
tavolette che riportavano osservazioni (nonché alcune previsioni) di
fenomeni astronomici e meteorologici, registrate giorno dopo giorno e
notte dopo notte per un intervallo di vari mesi, generalmente per metà
di un anno civile.7 Ciascun rapporto mensile comprendeva anche la
misurazione del livello del fiume Eufrate, il prezzo di alcuni prodotti
e un resoconto di eventi contemporanei, in cui si includevano sia fatti
prettamente locali sia notizie politiche e militari: da un furto ai danni
del tempio di Esagila si passava alla morte di Alessandro Magno. Si
sono conservati più di mille frammenti dei Diari astronomici, la mag­
gior parte dei quali adesso si trova al British Museum. Non sappiamo
per quale motivo si sia dato inizio a un progetto di documentazione
così massiccio, né perché lo si sia portato avanti per così tanti secoli.
Tuttavia, la selezione delle informazioni da includere in questi Diari
astronomici sembra essersi basata su una convinzione ben precisa: a
quanto pare, gli autori del progetto credevano di poter formulare delle
previsioni a partire da una serie di schemi ricorrenti che collegavano
vari tipi di eventi astronomici periodici a diverse situazioni del mondo
umano, come il tempo e i prezzi.
Per quanto riguarda i pianeti, i Diari astronomici contengono due
diversi tipi di osservazioni. Ogni volta che si vedeva un pianeta passare
accanto a una delle circa 30 stelle adottate come punti di riferimento nel­
la cintura dello zodiaco (gli studiosi moderni le chiamano "Stelle Nor­
mali"), l'evento veniva registrato, generalmente nella notte di massimo
avvicinamento: la distanza osservata fra il pianeta e la Stella Normale
era espressa in unità chiamate "cubiti", equivalenti a circa 2,4° (le ab­
biamo già incontrate parlando delle osservazioni di eclissi a Babilonia).
Queste osservazioni permettevano di aver sempre presente la posizione
di ciascun pianeta all'interno dello zodiaco. L'altro genere di osserva­
zione riguardava degli eventi che ora definiamo "fenomeni sinodici", i
quali sono legati all'andamento del moto dei pianeti rispetto al sole. I
fenomeni sinodici includevano la prima e l'ultima comparsa dei pianeti,
le loro stazioni (i momenti in cui i pianeti sembrano fermarsi e invertire
la direzione del loro moto nello zodiaco da est a ovest e viceversa) e la
loro levata serale (il momento in cui i pianeti si trovano in una posizione
quasi diametralmente opposta rispetto al sole).
VAGABONDI CELESTI 1 99

Periodi sinodici e periodi di ricorrenza


Secondo la cosmologia mesopotamica, era la volontà degli dei a deter­
minare l'aspetto dei pianeti e il loro moto attraverso il cielo: perciò, ogni
regolarità nel loro comportamento era considerata come una diretta
manifestazione delle intenzioni divine. Tuttavia, grazie alla nostra cono­
scenza del sistema solare, sappiamo che i fenomeni sinodici dipendono
dal fatto che ogni pianeta orbita intorno al sole mentre noi lo osserviamo
dalla terra, la quale orbita anch'essa intorno al sole a una distanza e a
velocità diverse. I fenomeni relativi a un pianeta generalmente si verifica­
no secondo un ordine fisso, andando a costituire quello che chiamiamo
"periodo sinodico" del pianeta stesso.8
Per capire il funzionamento dei periodi sinodici, possiamo immagina­
re un sistema solare semplificato, in cui tutti i pianeti orbitano intorno al
sole su un unico piano, lungo cerchi perfetti e con velocità costante. Più
un pianeta è vicino al sole, più velocemente si sposta lungo la propria
orbita e più è breve il suo periodo orbitale o "anno". Di tanto in tanto,
il sole si troverà esattamente fra la terra e uno qualsiasi degli altri pianeti
(figura 7. 1 ), una situazione che definiamo "congiunzione". A un osser­
vatore terrestre, il pianeta e il sole appariranno perfettamente allineati;
inoltre, a causa della luminosità del sole, il pianeta risulterà invisibile.
Il periodo sinodico di un pianeta è l'intervallo di tempo che intercorre
fra il suo allineamento con il sole e la terra e l'allineamento successivo.
Se il pianeta in questione è uno di quelli la cui orbita è esterna ri­
spetto a quella della terra (Marte, Giove e Saturno, chiamati "pianeti
esterni"), allora, a metà strada fra due congiunzioni successive, la terra
si troverà a passare fra il pianeta e il sole (figura 7.2): per un osservatore
terrestre, il pianeta si troverà a 1 80° di longitudine rispetto al sole, una
configurazione che chiamiamo "opposizione". Se il pianeta interessato è
uno di quelli la cui orbita è interna a quella terrestre (Mercurio e Venere,
chiamati "pianeti interni"), questa situazione non può verificarsi. Tut­
tavia, a metà strada fra due allineamenti successivi del tipo terra-sole­
pianeta, il pianeta interno si troverà a passare fra la terra e il sole (figura
7.2), diventando nuovamente visibile per un osservatore terrestre. Anche
questo fenomeno si chiama congiunzione. Perciò, per distinguere le due
situazioni appena descritte, l'allineamento terra-sole-pianeta viene defi­
nito "congiunzione superiore", mentre l'allineamento terra-pianeta-sole
è detto "congiunzione inferiore". Se ne conclude che il periodo sinodico
dei pianeti interni ha un andamento diverso rispetto a quello dei pianeti
esterni.
200 CAPITOLO 7

Sole

Figura 7 . 1 . Congiunzione di un pianeta esterno (se la terra è A e il pianeta è B),


o congiunzione superiore di un pianeta interno (se la terra è B e il pianeta è A).
In questo diagramma, come nei successivi, la configurazione è vista da un osser­
vatore che si trovi a nord del sistema solare e il movimento orbitale verso est di
tutti i pianeti è rappresentato in senso antiorario.

Figura 7.2. Opposizione di un pianeta esterno (se la terra è A e il pianeta è B),


o congiunzione inferiore di un pianeta interno (se la terra è B e il pianeta è A).
VAGABONDI CELESTI 201

In corrispondenza della congiunzione di un pianeta esterno o della


congiunzione superiore di un pianeta interno, il pianeta si sposta verso
est rispetto alla terra, avanzando nella direzione in cui la longitudine
aumenta (figura 7.3). Si tratta di quello che chiamiamo "moto diretto".
Inversamente, in corrispondenza dell'opposizione di un pianeta esterno
o della congiunzione inferiore di un pianeta interno, il pianeta si sposta
verso ovest rispetto alla terra, avanzando nella direzione in cui la longi­
tudine diminuisce (figura 7.4). Si tratta di quello che chiamiamo "moto
retrogrado". Così, nel corso di ogni periodo sinodico, un pianeta inverte
la propria direzione apparente due volte: le date in cui si verificano que­
ste inversioni di moto si chiamano "stazioni".
Siccome un pianeta interno non può mai essere in opposizione (in
altre parole, per un osservatore terrestre, la sua distanza dal sole non
può mai superare i 180°), il suo moto longitudinale medio è lo stesso di
quello del sole, anche se in alcuni casi sembra trovarsi a est rispetto al
sole (ossia a una longitudine maggiore), mentre in altri sembra trovarsi
a ovest (ossia a una longitudine minore). Se il pianeta si trova sufficien­
temente a est per essere visibile, apparirà sotto forma di stella della sera;
inversamente, se si trova sufficientemente a ovest, apparirà come stella
del mattino. Iniziato il proprio ciclo con una congiunzione superiore, il
pianeta sembra progressivamente allontanarsi dal sole, spostandosi ver­
so est: ben presto farà la sua prima apparizione serale. Tuttavia, la sua
velocità apparente continua a diminuire fino a quando non raggiunge la
fase della "massima elongazione serale"; subito dopo, il sole ricomincia
ad avvicinarsi. Questa fase è seguita dalla stazione serale del pianeta.
Successivamente (ossia dopo che il pianeta ha assunto un moto retrogra­
do, mentre il sole continua a muoversi con moto diretto), si verifica la
congiunzione inferiore (nel caso di Venere, la scomparsa serale avviene
dopo la stazione serale, mentre Mercurio può scomparire sia prima sia
dopo la stazione). In seguito, il moto del pianeta torna a essere diretto e
la sua velocità aumenta (pur rimanendo sempre inferiore rispetto a quel­
la del sole) fino a che il pianeta non raggiunge la sua "massima elonga­
zione mattutina". Per il resto del periodo sinodico, il moto apparente del
pianeta è più veloce di quello del sole, il che gli permette di raggiungere
il sole in tempo per la congiunzione superiore successiva.
Prendiamo Venere come esempio di pianeta interno. Circa 30 giorni
dopo la congiunzione superiore, Venere fa la sua prima comparsa sera­
le. Siccome il suo moto apparente attraverso lo zodiaco è diretto ed è
più veloce di quello del sole, Venere tramonta sempre più tardi dopo la
scomparsa del sole, finché, circa 221 giorni dopo la congiunzione supe-
202 CAPITOLO 7

Sole

Figura 7.3. Moto apparente di un pianeta esterno (B) visto dalla terra (A) in
prossimità della congiunzione. Oppure, moto apparente di un pianeta interno
(A) visto dalla terra (B) in prossimità della congiunzione superiore. Nel diagram­
ma, le linee di vista (linee punteggiate) ruotano in senso antiorario e rappresen­
tano il moto apparente diretto.

Sole

Figura 7.4. Moto apparente di un pianeta esterno (B) visto dalla terra (A) in prossi­
mità dell'opposizione. Oppure, moto apparente di un pianeta interno (A) visto dal­
la terra (B) in prossimità della congiunzione inferiore. Nel diagramma, le linee di vi­
sta (linee punteggiate) ruotano in senso orario e rappresentano il moto retrogrado.
VAGABONDI CELESTI 203

riore, non raggiunge la massima elongazione serale. Da questo momen­


to in poi, il suo tramonto serale viene progressivamente anticipato. La
stazione serale si verifica circa 50 giorni dopo l'elongazione massima;
a partire da questo momento, se lo si osserva rispetto alle altre stelle,
il movimento del pianeta appare retrogrado. L'ultima comparsa serale
avviene qualche giorno prima della congiunzione inferiore, la quale cade
circa 21 giorni dopo la stazione e 292 giorni dopo la congiunzione su­
periore. A questo punto, ci troviamo precisamente a metà del periodo
sinodico. Da questo momento in poi, assistiamo agli eventi mattutini,
che si verificano esattamente nell'ordine inverso rispetto a quelli serali: la
prima comparsa mattutina avviene poco dopo la congiunzione inferiore,
la stazione mattutina circa 21 giorni dopo la congiunzione, la massima
elongazione mattutina circa 50 giorni dopo la stazione e la successiva
congiunzione superiore (preceduta dall'ultima comparsa mattutina) cir­
ca 221 giorni dopo la massima elongazione.
L'intero ciclo richiede circa 584 giorni, il che corrisponde a circa l anno
e 3j5 e a 2 periodi orbitali di Venere e 3j5• Siccome non si tratta di numeri
interi, da un confronto con gli eventi del ciclo precedente risulterà che la
longitudine di Venere cambia da un periodo sinodico all'altro per ciascu­
no dei fenomeni osservati. Tuttavia, dopo cinque cicli completi, Venere si
troverà quasi nella stessa posizione che occupava all'inizio del primo ciclo.
Il moto diretto di un pianeta esterno non è mai tanto veloce quanto
quello del sole, cosicché il pianeta sembra sempre indietreggiare verso
ovest. Dopo la congiunzione, il pianeta si muove di moto diretto, ma
con velocità decrescente. Quando si trova abbastanza a ovest rispetto
al sole da essere visibile, fa la sua prima comparsa mattutina. Seguono
poi, nell'ordine, la stazione mattutina (che segna l'inizio del moto retro­
grado), l'opposizione e la stazione serale (che segna il ritorno al moto
diretto). Quando il sole stesso supera il pianeta, quest'ultimo va incontro
alla sua ultima apparizione serale, cui segue la congiunzione successiva.
Possiamo usare Marte per illustrare la sequenza dei fenomeni che co­
stituiscono il periodo sinodico di un pianeta esterno. Il periodo inizia con
la congiunzione di Marte, che si verifica quando il pianeta è allineato con
il sole. Dopo qualche giorno, assistiamo alla prima comparsa mattutina,
in seguito alla quale, per un osservatore terrestre, Marte sembra muover­
si di moto diretto, rimanendo sempre più indietro rispetto al sole. Circa
3 54 giorni dopo la congiunzione, abbiamo la stazione mattutina e l'inizio
del moto retrogrado. Segue l'opposizione, che si verifica circa 36 giorni
dopo la stazione e circa 390 dopo la congiunzione. Ci troviamo a metà
del ciclo: si tratta più o meno del momento in cui Marte cessa di apparire
204 CAPITOLO 7

sopra l'orizzonte al mattino prima dell'alba per iniziare a comparire sopra


l'orizzonte immediatamente dopo il crepuscolo. I fenomeni serali seguono
l'ordine inverso: la stazione serale si verifica circa 36 giorni dopo l'op­
posizione e la congiunzione successiva (preceduta dall'ultima comparsa
serale) cade circa 354 giorni dopo la stazione serale. L'intero ciclo copre
circa 780 giorni, il che corrisponde più o meno a 2 anni e 1/7 e a 1 periodo
orbitale di Marte e 1f7• Perciò, a ogni fenomeno del periodo successivo, la
posizione di Marte nello zodiaco sembrerà spostata verso est rispetto al
periodo precedente. Solo dopo sette cicli completi si ritornerà, molto ap­
prossimativamente, a un allineamento con le posizioni del primo periodo.
I due diversi generi di periodo sinodico sono riassunti nella tabella 7.1,
dove i fenomeni regolarmente registrati dagli astronomi babilonesi sono
riportati in grassetto. Siccome le congiunzioni non sono fenomeni visibili,
i Babilonesi non le hanno incluse fra gli eventi sinodici osservati o previsti.
Non avevano particolare interesse nemmeno per le elongazioni massime
di Mercurio e Venere, né per le stazioni di questi pianeti. Probabilmente,
ciò dipende dal fatto che le stazioni di Mercurio e Venere si verificano
quando i due pianeti sono tanto vicini al sole da risultare invisibili a un os­
servatore che si trovi sulla terra; oppure, anche se visibili, sono sprovvisti
di uno sfondo di stelle osservabili, un elemento indispensabile perché un
osservatore terrestre possa determinare la direzione del moto del pianeta.
Mercurio si trova a una distanza così limitata rispetto a entrambi i lati del
sole, che in alcuni casi i Babilonesi erano incapaci di osservare la sua com­
parsa nel cielo serale o mattutino, per quanto l'avessero prevista corretta­
mente. Infine, per i Babilonesi, l'esatta opposizione di un pianeta esterno
non rappresentava un evento significativo. Ciò che li interessava, invece,
era il fenomeno che i Greci chiamavano "sorgere acronico" (un sinonimo
per "sorgere serale"): si tratta del momento, immediatamente precedente
all'opposizione, in cui il pianeta sorge per l'ultima volta dopo il tramonto.
La nostra versione semplificata del sistema solare è sufficiente solo
se siamo interessati esclusivamente alle cause dei fenomeni sinodici e al
loro ordine all'interno del periodo. Nella realtà, però, la distribuzione
dei fenomeni nel tempo segue un andamento molto meno regolare. In
parte, questo dipende dal fatto che l'asse della rotazione giornaliera del­
la terra è inclinato rispetto al piano dell'orbita terrestre intorno al sole.
Bisogna poi considerare che le orbite degli altri pianeti non si trova­
no esattamente sullo stesso piano. Entrambe le inclinazioni influiscono
sull'altezza di un pianeta rispetto all'orizzonte dell'osservatore: l'elonga­
zione che un pianeta deve avere rispetto al sole per poter essere visibile
VAGABONDI CELESTI 205

Tabella 7. 1. Cicli sinodici dei pianeti. I fenomeni registrati dagli astronomi ba­
bilonesi sono in grassetto.

Pianeta interno Pianeta esterno

Congiunzione superiore Congiunzione


Prima comparsa serale Prima comparsa mattutina
Massima elongazione serale Stazione mattutina
Stazione serale Sorgere acronico
Ultima comparsa serale Opposizione
Congiunzione inferiore Stazione serale
Prima comparsa mattutina Ultima comparsa serale
Stazione mattutina Congiunzione
Massima elongazione mattutina
Ultima comparsa mattutina

varia a seconda della posizione che tale pianeta occupa nello zodiaco
rispetto a un osservatore terrestre. Questi elementi influiscono solo sulle
date della prima e dell'ultima comparsa del pianeta. Un'ultima causa di
irregolarità è rappresentata dal fatto che le orbite dei pianeti, terra inclu­
sa, non sono cerchi il cui centro corrisponde al sole, ma ellissi con il sole
in corrispondenza di uno dei due fuochi; perciò, la velocità di un pianeta
non è costante, ma diminuisce con l'aumentare della distanza dal sole.
Queste considerazioni influiscono sulle date di tutti i fenomeni sinodici,
sempre a seconda della posizione apparente del pianeta nello zodiaco.
Di conseguenza, la durata di ogni periodo sinodico di un pianeta è
diversa da quella dei periodi precedenti e successivi. Inoltre, anche il nu­
mero di giorni che intercorrono fra fenomeni sinodici diversi all'interno
di uno stesso periodo - ad esempio fra la prima comparsa mattutina e
la stazione mattutina - cambia da un periodo all'altro. Senza contare
che ogni pianeta si comporta in modo diverso. Ad esempio, Venere ha
un'orbita quasi circolare, come quella della terra: perciò, presi nel loro
insieme, i periodi di Venere sono quasi costanti, anche se l'inclinazione
della sua orbita causa ampie fluttuazioni nella durata dei suoi intervalli
di invisibilità. Le orbite di Marte e Mercurio sono meno circolari e pre­
sentano un'eccentricità relativamente grande: di conseguenza, la durata
dei loro periodi sinodici è piuttosto variabile.
206 CAPITOLO 7

Immaginiamo che, dopo un certo numero di periodi sinodici, sia il


pianeta sia la terra tornino nell'esatto punto delle loro orbite da cui i ri­
spettivi periodi avevano avuto inizio. Da questo momento in poi, la terra e
il pianeta faranno esattamente quello che avevano fatto prima: potremmo
quindi usare i cicli precedenti per prevedere quelli futuri. Sfortunatamente,
però, questo genere di ritorno simultaneo esatto non si verifica mai. Però,
se si lascia passare il tempo necessario, si possono individuare dei "periodi
di ricorrenza" che riportano la configurazione terra-sole-pianeta all'inter­
no di qualsiasi margine desiderato rispetto a un ritorno esatto. Entro il
400 a.C. circa, i Babilonesi avevano identificato periodi di ricorrenza più
brevi di un secolo, che gli studiosi moderni chiamano periodi del Goai­
Year (tabella 7.2). Gli errori nelle equazioni del periodo del Goai-Year
sono dell'ordine di pochi giorni. Ad esempio, cinque periodi sinodici di
Venere corrispondono a otto anni solari meno 2,4 giorni.

Tabella 7.2. I periodi del Goal Year babilonesi.

Giove 71 anni, contenenti 65 periodi sinodici


83 anni, contenenti 76 periodi sinodici

Venere 8 anni, contenenti 5 periodi sinodici

Mercurio 46 anni, contenenti 145 periodi sinodici

Sa turno 59 anni, contenenti 57 cicli sinodici

Marte 79 anni, contenenti 37 cicli sinodici


47 anni, contenenti 22 cicli sinodici

I Babilonesi usavano i periodi del Goal-Year sia per prevedere i fenome­


ni sinodici, sia per anticipare i passaggi dei pianeti presso le Stelle Normali.9
Come prima cosa, si consultavano i Diari astronomici degli anni passati,
per trovare la registrazione di un'osservazione risalente al periodo del Goal­
year precedente. La data della vecchia osservazione avrebbe dovuto essere
aggiustata adottando una correzione adeguata per il pianeta, sia a causa
degli errori insiti negli stessi periodi del Goal-Year, sia perché le date era­
no espresse secondo il calendario lunare babilonese. Sempre a causa delle
imprecisioni inerenti ai periodi del Goal-Year, anche le osservazioni delle
posizioni dei pianeti rispetto alle Stelle Normali andavano corrette. Non
sappiamo con precisione come avvenisse questa procedura. Quello che qui
ci interessa è che gli astronomi babilonesi non solo erano consapevoli che i
periodi dell'Anno-Scopo erano inesatti, ma sapevano anche di quanto.
VAGABONDI CELESTI 207

Oltre al metodo del Goal-Year, gli astronomi babilonesi svilupparo­


no un approccio diverso, più matematico, alla previsione dei fenomeni
planetari. Invece di ricavare una singola previsione da un'altra previsione
effettuata molti anni prima, i sistemi matematici fornivano una serie di
regole, fondate su un'applicazione ingegnosa di semplici principi aritme­
tici. Grazie a queste regole, si potevano calcolare le date e le posizioni
zodiacali per un'intera serie di occorrenze successive di un fenomeno spe­
cifico; se ne potevano anche ricavare ulteriori regole aritmetiche, che col­
legavano fra loro tutti i differenti fenomeni di un pianeta. Avvalendosi di
tali regole, i Babilonesi producevano tavolette simili a fogli di calcolo, in
cui riportavano le previsioni di tutti i fenomeni sinodici di un pianeta per
un intervallo di molti anni: in linea di principio, tutte queste previsioni
derivavano da una singola osservazione. La maggior parte delle tavolette
a foglio di calcolo è stata pubblicata da Otto Neugebauer in una magni­
fica edizione del 1955, chiamata Astronomica/ Cuneiform Texts (Testi
Astronomici Cuneiformi). A partire dalle iniziali del titolo, l'insieme dei
metodi matematici alla base di tali tavolette è stato definito "ACT".
L'ACT si fondava su periodi di ricorrenza più lunghi e più precisi,
dell'ordine di secoli, che erano trattati come equazioni esatte di anni e
periodi sinodici. Probabilmente, i Babilonesi li hanno scoperti combi­
nando periodi più brevi, come quelli del Goal-Year, in modo tale che
i loro errori intrinseci finissero per annullarsi. La tabella 7.3 riporta i
periodi ACT più importanti.10

Tabella 7.3. I periodi ACT babilonesi.

Giove 427 anni, contenenti 391 periodi sinodici

Venere 1 15 1 anni, contenenti 720 periodi sinodici

Mercurio 2 1 7 anni, contenenti 684 periodi sinodici

Saturno 265 anni, contenenti 256 cicli sinodici

Marte 284 anni, contenenti 1 3 3 cicli sinodici

Astrologia individuale e moto continuo


Dall'osservazione dei presagi associata aii'Enz�ma Anu Enlil si passò
quindi alle procedure di osservazione e previsione adottate dagli astro­
nomi babilonesi di epoca più tarda. Questa transizione può essere de­
scritta come uno spostamento dell'attenzione dagli aspetti irregolari dei
208 CAPITOLO 7

fenomeni planetari alle loro regolarità: un po' quello che accadrebbe se


si smettesse di concepire un tragitto in treno come un viaggio misterioso
punteggiato da eventi interessanti e si cominciasse invece a percepirlo
come una successione di fermate che seguono un orario preciso. Proprio
come un orario dei treni, però, una tavoletta dei Diari o un foglio di
calcolo ACT non era in grado di dire dove ciascun pianeta si sarebbe
trovato in un dato momento dell'intervallo che separava i suoi fenomeni
sinodici. Nella migliore delle ipotesi, un Diario poteva emettere segnali
intermittenti sotto forma di rapporti che indicavano quando i pianeti
sarebbero passati accanto alle Stelle Normali o, nelle epoche più recenti,
quando sarebbero transitati da un segno dello zodiaco all'altro.
Una delle ragioni per cui i Babilonesi iniziarono a interessarsi alle posi­
zioni assunte dai pianeti negli intervalli fra i vari fenomeni era l'emergere
di una nuova forma di astrologia, che si occupava del destino dei singoli
individui e non di quello dei rei e dei loro regni. A sua volta, questa evo­
luzione fu in parte motivata dal fatto che, dopo il collasso dell'Assiria alla
fine del VII secolo e la conquista persiana di Babilonia nel 539 a.C., non
c'erano più re locali in grado di sponsorizzare l'astrologia fondata sull'in­
terpretazione dei presagi. Un ruolo importante va però attribuito anche a
una serie di cambiamenti sociali. Se, a livello nazionale, gli dei emettevano
messaggi premonitori come fossero un flusso ininterrotto di bollettini, i
messaggi astrali relativi a un singolo individuo consistevano nei fenomeni
che si verificavano in prossimità del suo compleanno e nelle posizioni as­
sunte dai corpi celesti nello zodiaco in concomitanza con quella data. Ci
sono giunte circa 30 tavolette che registrano simili informazioni riguardo
a singoli individui nati fra il 410 a.C. e il 69 a.C.: gli studiosi moderni le
chiamano "oroscopi" 11 Nella maggior parte di queste tavolette-oroscopo,
.

le informazioni astronomiche non sono accompagnate da interpretazioni


astrologiche in cui si preannuncia che genere di vita sarà condotto dall'in­
teressato; una piccola parte, però, contiene delle brevi frasi che ricordano
le formule "se ... allora. . . " tipiche dei repertori di presagi. Queste tavolette
vengono da Babilonia, Uruk e Nippur, tutte città in cui da secoli si osser­
vavano o prevedevano i fenomeni astronomici.
La maggior parte delle tavolette-oroscopo si limita a elencare i segni
zodiacali occupati dai pianeti che erano visibili a una certa ora della notte
in prossimità del momento della nascita: si tratta cioè delle stesse infor­
mazioni approssimative che si potevano trovare sulla tavoletta dei Diari
astronomici che corrispondeva al mese interessato. In alcuni casi, però, la
posizione dei pianeti nello zodiaco è espressa in gradi. Il più antico oro­
scopo di questo tipo a essere giunto fino a noi è una tavoletta proveniente
VAGABONDI CELESTI 209

da Uruk, realizzata per Aristocrate, un bambino dal nome greco, nato


intorno al 3 giugno del2 3 5 a.C.U Veniamo informati che, in quella data,
Giove era nel diciottesimo grado del Sagittario (l'interpretazione dell'a­
strologo recita: "prospero, sereno, la sua ricchezza sarà duratura, lunghi
giorni"), Venere nel quarto grado del Toro (''sarà apprezzato ovunque
vada; avrà figli e figlie"), Saturno nel sesto grado del Cancro e Marte nel
ventiquattresimo grado del Cancro. Quanto a Mercurio, ci viene detto che
si trovava in Gemelli "con il sole" (il che equivale a dire che era invisibile).
Non conosciamo con precisione l'origine di queste posizioni in gradi,
ma è probabile che siano state ottenute con metodi di previsione mate­
matici e non consultando tavolette come quelle dei Diari astronomici.
Alcune tavolette del tipo ACT mostrano la procedura da seguire. Si ini­
ziava trovando i fenomeni sinodici del pianeta, che venivano calcolati
come se avessero avuto luogo subito prima e subito dopo rispetto alla
data di nascita. Il foglio di calcolo forniva le date per questi fenomeni,
insieme alle corrispondenti posizioni dei pianeti, espresse in gradi. Così
si conosceva l'intervallo di giorni che separava i fenomeni, nonché il
numero di gradi che il pianeta percorreva fra uno e l'altro: questo dato
poteva essere scomposto in modo da ottenere un moto graduale gior­
naliero. Il metodo più semplice si basava sul presupposto che la velo­
cità del pianeta rimanesse costante nel corso dell'intero intervallo - in
altre parole, si divideva il numero totale dei gradi per il numero totale
dei giorni, in modo da trovare la velocità media giornaliera. Talvolta
venivano applicate sequenze numeriche più complesse per riprodurre
un effetto di accelerazione o decelerazione. Il punto è che i Babilonesi
rappresentavano il moto di un pianeta come una serie di tratti separati,
inseriti singolarmente negli spazi fra i fenomeni sinodici, e non come un
processo continuo nel tempo, di cui i fenomeni planetari non sono che
una conseguenza incidentale. Si tratta di un approccio completamente
diverso rispetto a quello che abbiamo adottato in precedenza, quando
abbiamo spiegato che i singoli fenomeni derivano dal fatto che i pianeti
orbitano intorno al sole. L'approccio dei Babilonesi era molto diverso
anche rispetto a quello che sarebbe stato adottato dagli astronomi greci.

Cosmologie planetarie greche


Nella sua vecchiaia, l'ex soldato e storiografo Senofonte si ricorda degli
insegnamenti del suo mentore Socrate e decide di raccontarli ai lettori: 13
Consigliava di essere esperti anche di astronomia, e di tale disciplina tuttavia
fino a saper conoscere le fasi della notte, del mese e dell'anno, per viaggiare,
210 CAPITOLO 7

navigare, fare la sentinella e per quante altre attività si fanno di notte, du­
rante il mese o l'anno, al fine di sapersi servire per esse di buone indicazioni,
conoscendo bene le fasi suddette. Ed era facile imparare questi insegnamenti
dai cacciatori notturni, dai piloti delle navi, da molti altri che si preoccupano
di sapere queste cose. Ma di studiare l'astronomia fino alla conoscenza dei
corpi celesti che non stanno nella medesima orbita, i pianeti e le stelle non
fisse, e sciupare il tempo per cercare le loro distanze dalla terra e i loro per­
corsi e le cause di queste cose, lo sconsigliava con energia. Confessava infatti
di non riconoscere neanche in questo una qualche utilità.

A eccezione della presunta affermazione di Socrate, secondo cui l'astrono­


mia avrebbe senso solo se messa al servizio della vita pratica (una dichiara­
zione che ricorda in modo inquietante alcune opinioni contemporanee sul
valore della ricerca pura), questo passo è molto interessante: si tratta infatti
di una delle prime testimonianze del fatto che, entro la fine del V secolo a.C.,
i Greci avevano iniziato a interessarsi ai pianeti (planetes, "vaganti", un
nome che ricorda le "pecore selvatiche" degli Accadi). Non è chiaro come e
quando i Greci abbiano cominciato ad avere familiarità con i pianeti; quel
che è certo è che, rispetto ai popoli mesopotamici, arrivarono decisamente
in ritardo. Nell'epica america si menziona soltanto Venere, cui si attribui­
scono diversi nomi a seconda che compaia nel ruolo di Stella del mattino
(heosphoros, "portatrice d'alba") o di Stella della sera (hesperos, "serale").
All'inizio del IV secolo a.C., Platone conosceva tutti e cinque i pianeti e
Aristotele ne cita i cosiddetti nomi teoforici, che associavano i pianeti agli
dei del pantheon greco (tabella 7.4). I nomi moderni dei pianeti derivano
proprio dai nomi teoforici greci, attraverso la mediazione degli dei romani,
tradizionalmente identificati con le loro controparti greche. A loro volta,
però, i nomi greci tradiscono un influsso babilonese: gli dei greci Afrodite,
Zeus e Ares hanno una certa affinità con Ishtar, Marduk e Nergal, le divini­
tà che i Babilonesi associavano rispettivamente a Venere, Giove e Marte.14
Non sappiamo quali modalità di scambio culturale si nascondano dietro
questi collegamenti, né quali altre cose, in queste prime fasi, i Greci potreb­
bero aver appreso dalle conoscenze mesopotamiche sui pianeti.
Tabella 7.4. I nomi teoforici con cui i Greci identificavano pianeti.

Mercurio la stella di Ermes


Venere la stella di Afro di te
Marte la stella di Ares
Giove la stella di Zeus
Saturno la stella di Crono
VAGABONDI CELESTI 211

Era solo per una questione di brevità che gli scrittori greci usavano il
nome del dio al posto del pianeta corrispondente, chiamando Mercurio
semplicemente "Hermes" e così via. Generalmente non identificavano
gli oggetti visibili in cielo con queste particolari divinità, anche se spesso
li definivano "divini" (theioi), se non direttamente "dei" (theoi). A par­
tire dall'inizio del III secolo a.C., sia in sostituzione ai nomi teoforici, sia
in combinazione con essi, si iniziò a usare una diversa serie di nomi, che
descrivono il modo in cui ciascun pianeta appare alla vista (tabella 7.5).

Tabella 7.5. I nomi descrittivi con cui Greci identificavano i pianeti.

Mercurio Stilbon (" luminoso " )


Venere Phosphoros ( "portatrice di luce")
Marre Pyroeis (" ardente " )
Giove Phaethon ( " splendente" )
Saturno Phainon ( "lucente" )

Quando descrive le investigazioni sui pianeti disprezzate da Socrate


come "la ricerca delle loro distanze dalla terra, dei loro periodi e delle
cause di queste cose", Senofonte ci rivela che l'approccio allo studio dei
pianeti adottato dalla prima astronomia greca era ben diverso rispetto
a quello babilonese, proprio come sarebbe accaduto con le eclissi. Greci
e Babilonesi avevano in comune l'interesse per le periodicità. Tuttavia,
dalle testimonianze superstiti sulle teorie planetarie greche elaborate pri­
ma dell'epoca ellenistica, possiamo dedurre che si cercavano solo va­
lori piuttosto approssimativi. I periodi planetari non erano considerati
come mezzi per prevedere dei fenomeni, ma come delle caratteristiche
dei pianeti, che erano legate alle loro presunte distanze dalla terra. Per i
Mesopotamici il quadro cosmologico era un dato di fatto; per i Greci era
l'obiettivo della speculazione astronomica.
Il Socrate che Platone descrive nella sua Repubblica è ben diverso da
quello di Senofonte. Anzi, in questo caso, è proprio Socrate a ridimensio­
nare l'appello alla praticità pronunciato da Glaucone. Per giustificare l'in­
segnamento dell'astronomia, quest'ultimo aveva infatti dichiarato che "l'a­
vere una particolare sensibilità per cogliere l'avvicendarsi dei mesi e degli
anni non solo giova all'agricoltura e alla navigazione, ma anche, e non in
minor misura, alla strategia".H Verso la fine dell'opera, Socrate racconta a
Glaucone la storia di un uomo di nome Er. Tornato in vita qualche giorno
212 CAPITOLO 7

dopo essere morto in battaglia, Er aveva raccontato i viaggi e i giudizi subiti


dalle anime umane nell'intervallo fra la morte e la rinascita.16 Il luogo in cui
le anime scelgono gli oggetti che determineranno la natura della loro vita
successiva si chiama "Fuso di Ananke", ossia "Fuso della Necessità". La
sua descrizione contiene una cosmologia planetaria metaforica:17
La natura del fusaiolo - peraltro di forma non diversa da quelli in uso qui
da noi - era la seguente. Stando al suo racconto, dobbiamo immaginare che
si trattasse suppergiù di un grande fusaiolo cavo e completamente svuotato
all'interno, in cui trovava posto un altro più piccolo, di forma corrisponden­
te, come quelle scatole che si incastrano l'una nell'altra; nel secondo fusaio­
lo si inseriva poi un terzo, un quarto e poi ancora altri quattro. Pertanto, i
fusaioli che si inserivano l'uno nell'altro erano in totale otto e i loro bordi
superiori avevano l'aspetto di cerchi. Essi, formando come il dorso continuo
di un unico fusaiolo, si avvolgevano intorno al fusto il quale passava da parte
a parte il centro dell'ottavo fusaiolo. Il primo fusaiolo contando dall'esterno
aveva l'orlo del cerchio più largo di tutti; l'orlo del sesto veniva per secondo
in ordine di grandezza; quello del quarto per terzo, quarto quello dell'ottavo.
Per quinto veniva l'orlo del settimo, per sesto quello del quinto; infine, setti­
mo era il bordo del terzo e ottavo quello del secondo. Inoltre, il cerchio del
fusaiolo più grande era di svariati colori, quello del settimo era di gran lunga
il più splendente. Questo stesso cerchio illuminava l'ottavo e gli conferiva il
suo colore; il secondo e il quinto avevano tinte analoghe ed erano più gialli
degli altri; il terzo aveva un colore bianco candido, il quarto dava sul rosso, il
sesto era bianco, ma, quanto a candore occupava il secondo posto. Il fuso, nel
suo insieme girava su se stesso animato da un moto uniforme; in questo moto
complessivo i sette cerchi interni, lentamente ruotavano in senso opposto al
tutto. Di essi il più celere era l'ottavo; al secondo posto si ponevano il settimo,
il sesto e il quinto cerchio, animati tutti dallo stesso moto; al terzo posto, a
quanto le anime potevano giudicare, si collocava il moto di rivoluzione del
quarto. Seguivano poi i moti del terzo e del secondo, rispettivamente al quar­
to e quinto posto per velocità. Il fuso girava sulle ginocchia della Necessità. In
alto, su ognuno dei suoi cerchi, si muoveva una Sirena, anch'essa trascinata
dal moto circolare. Ciascuna emetteva una sola voce, di un solo tono, co­
sicché da tutte otto quant'erano risultava un'unica armonia. Altre tre figure
sedevano tutt'intorno, ciascuna sul suo trono, a uguale distanza l'una dall'al­
tra; si trattava di Lachesi, Cloto e Atropo, figlie della Necessità, le Moire di
bianco vestite e con l'infula sul capo, le quali cantavano sull'armonia delle
Sirene. Lachesi cantava il passato, Cloto il presente e Atropo il futuro. Cloto,
in modo rinnico toccando con la destra il cerchio più esterno del fuso, aiu­
tava a farlo girare; Atropo faceva altrettanto coi cerchi interni, con la mano
sinistra. Lachesi, infine, toccava ora l'uno ora gli altri con ambedue le mani.
VAGABONDI CELESTI 213

In questo passo non compare nessun termine esplicitamente astronomi­


co, ma molto probabilmente Platone si aspettava che i suoi lettori fossero
in grado di risolvere almeno parte dell'enigma, ad esempio riconoscendo
che il fusaiolo, o meglio i fusaioli, non erano altro che la raffigurazio­
ne di un sistema planetario immaginario - non una descrizione tecnica,
ma una trasfigurazione poetica. I fusaioli erano contrappesi arrotondati
che venivano fissati al fusto dei fusi per aumentarne lo slancio angolare:
potevano avere forme diverse, ma quando Platone scrive che il fusaiolo
del Fuso della Necessità non era diverso "da quelli in uso qui da noi"
sta probabilmente pensando al genere più comune, che aveva la forma
di un cono svasato, la cui base piatta era spesso decorata con una serie
di cerchi concentrici e altri motivi. Però, invece di essere dipinti, i cerchi
di questo fuso fatale costituivano i bordi di una serie di coni racchiusi
uno dentro l'altro e liberi di ruotare l'uno rispetto all'altro. Quanto alla
forma conica del "retro" del fusaiolo, è probabile che non avesse nessun
significato speciale.
Gli indizi che fanno pensare a un sistema planetario sono rappre­
sentati dal numero dei fusaioli, dal loro movimento, dal loro colore e
dall'ordine in cui sono disposti dall'esterno verso l'interno. Per capire
questi indizi, però, il lettore doveva avere una certa familiarità con una
cosmologia in cui le stelle, i pianeti, il sole e la luna ruotano a distanze e
velocità diverse intorno a una terra che è fissa al centro del cosmo. Nelle
metafore di Platone non c'è nessun elemento che corrisponda alla terra o
ai pianeti visibili, a meno che le Sirene non vadano interpretate come una
loro manifestazione sonora. I colori e la luminosità distintive dei pianeti
sono stati trasferiti ai bordi circolari dei fusaioli.
La figura 7.5 è una rappresentazione statica del modo in cui que­
sto sistema planetario avrebbe potuto essere immaginato. La terra, di
forma sferica, è al centro, circondata da percorsi circolari concentrici
che appartengono, procedendo dall'interno all'esterno, alla luna, al
sole, ai cinque pianeti (nell'ordine: Venere, Mercurio, Marte, Giove,
Saturno) e alle stelle fisse. Le dimensioni dei cerchi sono state scelte in
modo tale che lo spazio a forma di anello che si trova immediatamente
all'interno di ciascun cerchio corrisponda allo spessore dei bordi dei
fusaioli descritti da Platone - è però possibile che questa ricostruzione
sia errata, perché le informazioni che Platone fornisce sullo spessore
relativo dei fusaioli si basano su criteri che non siamo più in grado di
apprezzare. Se partiamo dal presupposto che quello che Platone dice
sul colore e l'illuminazione di ciascun fusaiolo può essere applicato, in
ambito cosmologico, al corrispondente corpo celeste sferico, possiamo
214 CAPITOLO 7

Figura 7.5. Cosmologia planetaria corrispondente ai fusaioli del Fuso della Ne­
cessità (vedi anche tabella 6 ) .

identificare quali fusaioli rappresentino la luna (che trae la propria luce


dal corpo celeste immediatamente esterno), il sole (il più luminoso,
illumina anche la luna), Marre (rosso) e le stelle fisse (variopinte). Il fu­
saiolo più bianco di tutti e quello appena meno bianco corrispondono
probabilmente a Venere e Giove; di conseguenza, la coppia rimanente
va identificata con Mercurio e Saturno. La tabella 7.6 riassume l'intero
sistema di corrispondenze.
I movimenti rotatori dei fusaioli rappresentano i cicli giornalieri in
base a cui i corpi celesti sorgono a est e tramontano a ovest. Gli astro­
nomi e i filosofi greci disponevano di due diversi sistemi per descriverli,
concettualmente distinti ma intercambiabili. Secondo la prima interpre­
tazione, ciascuno dei corpi celesti - le stelle fisse erano considerate come
VAGABONDI CELESTI 215

Tabella 7.6. I fusaioli del mito platonico d i Er e i corpi celesti corrispondenti.

Numero Classificazione Colore Classificazione Corpo


del fusaiolo quanto quanto celeste
allo spessore alla velocità

l l variopinte stelle fisse

2 8 giallo 5 Saturno

3 7 il più bianco 4 Giove

4 3 rossastro 3 Marte

5 6 giallo 2 Mercurio

6 2 bianco 2 Venere

7 5 il più luminoso 2 Sole

8 4 illuminato dal n.7 l Luna

un unico elemento - ruota intorno alla terra da est a ovest (ossia in senso
orario per un osservatore che guardi verso sud), ma a velocità lievemente
diverse: le stelle sono quelle che si spostano più velocemente, mentre la
luna è la più lenta. Secondo l'interpretazione alternativa, tutti i corpi
celesti partecipano alla stessa rivoluzione cosmica, che è direttamente
osservabile nel sorgere e nel tramontare delle stelle, ma il sole, la luna e
i pianeti combinano questo moto più rapido con un altro più lento nel
senso opposto, da ovest a est: per un osservatore terrestre, questo se­
condo moto corrisponde al loro spostamento più graduale rispetto allo
sfondo delle stelle. Secondo questo punto di vista, la luna è la più veloce
e Sa'turno il più lento, mentre le stelle non sono dotate di alcun movi­
mento indipendente. Questo è anche il modo in cui Platone descrive il
moto dei fusaioli.
Pertanto, Platone scompone i cicli apparenti che determinano il sor­
gere e il tramontare dei pianeti in una rapida rivoluzione dell'intero
cosmo intorno alla terra e una lenta rivoluzione individuale di ciascun
pianeta: questa prospettiva può essere facilmente adeguata alla perce­
zione moderna del sistema solare. Se pensiamo che la terra abbia una
posizione fissa, la rivoluzione cosmica non è altro che il modo in cui
percepiamo la rotazione della terra sul suo asse. Una rivoluzione com­
pleta richiede circa 23 ore e 56 minuti (questo è l'intervallo di tempo che
separa il sorgere di una stella dal successivo). Il movimento della luna
2 16 CAPITOLO 7

rispetto alle stelle corrisponde alla sua orbita intorno alla terra, che viene
completata in circa 27 giorni e 8 ore. Se continuiamo a immaginare che
la terra abbia una posizione fissa, il moto del sole non è altro che il modo
in cui percepiamo l'orbita della terra intorno al sole. Come nel caso dei
periodi sinodici, le rivoluzioni dei pianeti interni rispetto alle stelle non
hanno lo stesso andamento di quelle dei pianeti esterni. Noi vediamo
l'orbita di un pianeta esterno più o meno come se ci trovassimo sul sole,
se si eccettua il fatto che l'orbita della terra oscilla rispetto al sole; in ogni
caso, l'entità di tale oscillazione è trascurabile in confronto all'orbita del
pianeta. Di conseguenza, la rivoluzione di un pianeta esterno corrispon­
de in media al suo periodo orbitale: circa 30 giorni per Saturno, 12 per
Giove e poco più di due per Marte. D'altro canto, percepiamo l'orbita
di un pianeta interno come un moto oscillatorio che ha una velocità al­
ternativamente superiore e inferiore rispetto al sole, pur non riuscendo
mai a superare una certa elongazione limite rispetto a esso. Perciò, la
rivoluzione di un pianeta interno ha una durata media pari a quella del
sole (ossia, un anno solare). Gli antichi lettori di Platone non avevano
certo in mente il sistema solare moderno, ma dovevano conoscere alcuni
fatti basilari facilmente osservabili ed erano quindi in grado di ricono­
scere l'abbinamento fra i fusaioli di Platone e i corpi celesti: quello della
luna è il più veloce nel suo moto contrario, quelli del sole, di Venere e di
Mercurio si muovono tutti alla stessa velocità media, mentre quelli dei
tre pianeti restanti - nell'ordine, Marte, Giove e Saturno - sono più lenti.
Non sarà sfuggito che nella descrizione del Fuso della Necessità non
compare alcun accenno ai periodi sinodici. Si dice semplicemente che i
fusaioli corrispondenti ai pianeti, così come quelli del sole e della luna,
ruotano "nella direzione opposta rispetto al tutto", come se le stazioni e
il movimento retrogrado non esistessero affatto. È possibile che, quando
descrive il modo in cui le Moire mettono in moto i fusaioli con un mo­
vimento intermittente della loro mano destra o sinistra, Platone inten­
da alludere a una qualche variazione di velocità. Se così fosse, avrebbe
scelto un modo abbastanza oscuro per trasmettere il proprio messaggio.
L'idea che i corpi celesti si trovino tutti a diverse distanze dalla terra è
tipica della cosmologia greca. C'erano prove empiriche evidenti del fatto
che la luna è più vicina a noi rispetto agli altri corpi celesti: la si vedeva
transitare spesso davanti alle stelle e più raramente davanti ai pianeti. Sen­
za poi contare che ai tempi di Platone si era ormai stabilito che le eclissi
solari erano causate dal passaggio della luna fra il sole e la terra. Se si
lascia da parte la posizione della luna, l'ordine delle distanze suggerito dai
fusaioli di Platone si basava su un assunto che, pur non fondato su prove
VAGABONDI CELESTI 217

empiriche, era condiviso dalla maggior parte delle cosmologie planetarie


greche: più era lungo il periodo di rivoluzione di un corpo celeste rispetto
alle stelle, maggiore doveva essere la sua distanza dalla terra. Per dirlo
altrimenti, più un corpo celeste è vicino alle stelle fisse, più è lento il suo
moto autonomo. Da un lato, questo principio era perfettamente coerente
con l'idea che la luna fosse la più vicina alla terra, dall'altro aveva anche
determinato la sequenza stelle-Saturno-Giove-Marte, dove la prima po­
sizione è occupata dal corpo celeste più esterno e l'ultima da quello più
interno. Tale principio non forniva però un criterio chiaro per stabilire
le distanze relative di sole, Venere e Mercurio. In effetti, passando da un
autore all'altro, li si trova di volta in volta disposti secondo combinazioni
diverse. È evidente che Platone aveva fatto propria la sequenza Mercu­
rio-Venere-sole, con il sole nella posizione più interna, forse perché in tal
modo i corpi celesti risultavano disposti in ordine di luminosità crescente.
Le fonti di epoca successiva finirono per privilegiare le sequenze Ve­
nere-Mercurio-sole e, soprattutto, sole-Venere-Mercurio. Mentre nei testi
babilonesi si tendeva a elencare i pianeti in base alle loro presunte tendenze
astrologiche, la maggior parte dei testi greci adotta sequenze fondate sulla
loro presunta distanza dalla terra. Questa tendenza si afferma persino in
ambito astrologico. Una conseguenza interessante e non scontata di que­
sto fenomeno è l'associazione del sole, della luna e dei pianeti con un ciclo
di sette giorni, da cui molte lingue moderne hanno tratto i nomi dei giorni
della settimana - questo è vero anche per l'inglese, nonostante la cosa sia
stata parzialmente oscurata dalla sostituzione degli dei greco-romani con
quelli germanici. Alla base di questa associazione c'era la convinzione che
ogni ora del giorno e della notte avesse un dominatore astrologico, da
identificarsi con uno dei sette corpi celesti, secondo la sequenza Saturno­
Giove-Marte-sole-Venere-Mercurio-luna. Il giorno nella sua interezza era
governato dal dominatore della sua prima ora, dando così origine alla
sequenza luna-Marte-Mercurio-Giove-Venere per la settimana planetaria.
Entro l'inizio del I secolo a.C., l'abitudine di valutare i giorni in base ai
loro dominatori planetari si diffuse anche a Roma e nell'Occidente la­
tino. 1 8 Infine, nell'antichità più tarda, il ciclo astrologico si fuse con la
settimana giudaico-cristiana; si trattò di uno sviluppo naturale, anche se,
com'era prevedibile, fu deplorato da alcune figure religiose.
Il viaggio di Er non può essere interpretato in modo letterale per
trame informazioni sulla posizione del Fuso della Necessità rispetto al
nostro mondo. Quel che è chiaro, è che, nelle intenzioni di Platone, il
Fuso e i suoi fusaioli non rappresentano il nostro cosmo visto, per così
dire, dall'esterno. Si tratta piuttosto di un modello idealizzato del cosmo,
218 CAPITOLO 7

in cui il destino del cosmo stesso e dei suoi abitanti sono controllati dalle
Moire. La relazione fra un modello del cosmo e il cosmo vero e proprio
è caratterizzata da una forte ambiguità: un modello costruito dall'uomo
sarebbe un'imitazione imperfetta del cosmo osservabile, ma nel raccon­
to mitico di Platone è il nostro cosmo a imitare un modello. La stessa
idea compare in alcuni sarcofagi romani su cui sono scolpite delle Moire
dotate di meridiana e sfera celeste: non si trattava di strumenti per l'os­
servazione, ma di oggetti metaforici che simboleggiavano il controllo sul
destino dell'individuo e sul momento della sua morte.19
In epoche successive, i lettori della Repubblica furono particolarmen­
te interessati alla possibilità di collegare il racconto di Platone a qualche
costruzione tangibile realizzata dall'uomo. Teone di Smirne, il filosofo
platonico dell'inizio del II secolo a.C. che abbiamo incontrato rapida­
mente nel capitolo 5, ci dice di aver costruito un modello fisico (sphairo­
poiia) del Fuso della Necessità per usarlo come strumento didattico.20 Il
De re publica di Cicerone si conclude con il Sogno di Scipione - delibera­
tamente ispirato al Mito di Er - in cui Scipione Emiliano ha la possibilità
di osservare le sfere del cosmo reale durante un sogno. Questa storia,
però, è abilmente bilanciata da un altro racconto (capitolo 6): all'inizio
dell'opera, si descrive la dimostrazione a casa di Marcello del funziona­
mento della straordinaria sphaera meccanica di Archimede.
Il Sogno di Scipione (Somnium Scipionis) acquistò vita propria sot­
to forma di testo autonomo accompagnato dal commento di Macrobio
(V secolo d.C.). A dire il vero, per lungo tempo fu l'unica parte del De
re publica nota ai lettori moderni, fino a che, nel 1 8 1 9, Angelo Mai
non scoprì un codice palinsesto della Biblioteca Vaticana che conserva­
va buona parte del dialogo. In alcuni manoscritti medievali la sezione
del Sogno dedicata alle sfere celesti è accompagnata da un diagramma
che rappresenta una sezione trasversale del cosmo ciceroniano: la terra
è al centro ed è circondata da sette anelli destinati al sole, alla luna e ai
pianeti, a propria volta circondati da un anello più esterno in cui sono ri­
portati i nomi dei 1 2 segni zodiacali (figura 7.6). Diagrammi simili com­
paiono in numerosi manoscritti greci di epoca bizantina: ad esempio,
servono a dimostrare l'evidente falsità della cosmologia "pagana" in al­
cune copie della Topografia cristiana di Cosma Indicopleuste - uno dei
pochi autentici terrappiattisti del Medioevo (figura 7.7). Anche se non
conosciamo nessun esempio che risalga a prima della tarda antichità,
simili rappresentazioni visive del sistema planetario devono essere state
frequentemente utilizzate nell'insegnamento dell'astronomia elementare
già in epoca ellenistica.
VAGABO N D I CELESTI 219

.. .,n,.t;' _,Jm .L..mr.nrl' duf>lc aliiun uuacn-. dlai


.......�.··
....W cui' ""'""'rrvf dupL& i .,-1..- AlA:> .,c-rwfN rruowri'·
c:·�Mnt' <Wm.lU i wli "� ir'4 ti """"�"i . t; de r..t -tr
So- • �---'-" ' ' •
•�mt' &mll'" _,_., , � � . C...; 'J'II .,.,, "

fra!' �.f.. dlnm" « f..W� � qq- 'fU4f •�


� AJYJ� • �· .,'+ ..mr -f41è ii� ravf�CY.
m- 'l'l""""- eii -r.�· un'"'" -i .r � + fiMi'
1f\t-4'.� � � � fh'k � �
j" t tmtmrrl! ""� qu<' i.1fl"
.,._,... d,a.,.,.,. Ji« l.m

-ucfbl...l4 � "�. vn-n ffi. tiCIJ" '-'i tnn.i ..­


�- d� ull.i Ull m�m -r....._. run � �· fi,f;l,:r
�,:C .r; .n.U.. r� « """# � t{.tt.nhurnr fiJI!
unti '""" ii dt fid.,_ f anlli (w � dzr..-qrrm( 'f
�f � <".Ut"fi,f �M·n r.u-wr� ..-.,..�: w.tuulir-.
E- -r ""''"� ,..-.i � rm � .,., 1Ul>� ��
n ; arwr� .Upumct '!fl'i � � � limtt'f• Mi!·
"""" i fiSfar ru-zer m�" fMt �-E v"!""· �
AJ..,urn-u .... � ...... ; �(tMW �su(�. •

Figura 7.6. Diagramma cosmologico che accompagna il Commento a l Sogno


di Scipione di Macrobio, Walters Art Museum MS W.22 (XII secolo), f. 43v.
(© The Walters Art Museum, concesso in licenza da Creative Commons: http://
www .thedigitalwalters.org) .
220 CAPITOLO 7

Figura 7. 7. Cosmologia "pagana", tratta dalla Topografia cristiana di Cosma


Indicopleuste, Biblioteca Medicea Laurenziana Plut. 9.28 (Xl secolo), f. 96r.
(riproduzione autorizzata dal MiBACT; è assolutamente vietata la riproduzione
con qualsiasi mezzo ).

Ma esistevano rappresentazioni meccaniche delle cosmologie planeta­


rie greche? Sfortunatamente, Teone di Smirne non ci dice se il suo modello
del Fuso della Necessità fosse un dispositivo meccanizzato' o se si trattasse
semplicemente di un insieme di componenti da spostare manualmente. Le
brevi descrizioni delle sphaerae di Archimede e Posidonio che Cicerone
inserisce ne De natura deorum, nelle Tusculanae disputationes e nel De re
publica non possono essere considerate come delle testimonianze affidabili
di cosa fosse possibile realizzare in un meccanismo astronomico dell'epo­
ca. L'attendibilità dei passi ciceroniani è discutibile soprattutto per quanto
riguarda Archimede. In ognuno dei testi citati, Cicerone dichiara esplici­
tamente che questi dispositivi mostravano il moto dei cinque pianeti, non­
ché quello del sole e della luna. Così, ne De natura deorum, il personaggio
di Balbo, un esponente della filosofia stoica, afferma:2 1
VAGABONDI CELESTI 221

Se si portasse nella Scizia o nella Britannia la sphaera che ha costruito


recentemente il nostro caro amico Posidonio - essa riproduce in ogni sua
rivoluzione gli stessi fenomeni relativi al sole, alla luna e ai cinque pianeti
che avvengono ogni giorno e notte in cielo -, chi in quei paesi barbari
dubiterà che tale sfera è dotata di una ragione perfetta?

Nelle Tusculanae disputationes, parlando in prima persona, Cicerone


scrive: 22

In realtà, quando Archimede racchiuse in una sphaera i movimenti della


luna, del sole e dei cinque pianeti, fece lo stesso di colui che nel Timeo
edificò l'universo, il dio di Platone, e cioè che un'unica rivoluzione rego­
lasse movimenti molto diversi per lentezza e velocità.

Abbiamo già letto le parole attribuite a Filo nel De re publica:23

Questo genere di sphaera in cui erano rappresentati i movimenti del sole e


della luna e le cinque stelle che sono denominate "pianeti" e per così dire
"vaganti", non poteva essere riprodotto con precisione in quella sfera com­
patta: ma la straordinarietà dell'invenzione di Archimede stava nel fatto che
egli aveva escogitato un meccanismo per il quale una rotazione unica mante­
neva, nonostante la grande differenza di moto, orbite diseguali e varie.

Non ci viene però detto come venissero mostrati i movimenti dei pianeti,
né se fossero in qualche modo rappresentati i rapporti fra le distanze
che li separavano l'uno dall'altro e dalla terra. Anche l'uso della paro­
la sphaera lascia aperta la questione della forma di questi dispositivi.
Letteralmente il termine significa "sfera", ma dobbiamo necessariamen­
te dedurne che le sphaerae meccaniche avevano la forma di un globo?
Oppure il termine aveva un valore metaforico e stava a indicare che si
trattava piuttosto di rappresentazioni della sfera cosmica?
Si potrebbe essere tentati di concludere che l'unico significato pos­
sibile del termine sphaera sia quello metaforico, perché costruire un
planetario di forma sferica doveva essere estremamente difficile, se non
impossibile, da un punto di vista tecnico. Tuttavia, Michael Wright ha
confutato questa idea costruendo un ingegnoso prototipo meccanico in­
castonato in un guscio sferico di metallo che rappresenta la sfera celeste
e le sue costellazioni. Ruotando la sfera in modo da simulare la sua
rivoluzione giornaliera intorno alla terra, si mettono in funzione degli
ingranaggi nascosti. Questi ultimi attivano un sistema di lancette, collo­
cate a filo con la superficie e fissate a uno dei poli dell'eclittica, le quali
simulano il movimento del sole, della luna e dei pianeti attraverso lo
222 CAPITOLO 7

zodiaco.24 Ci si può chiedere se sia plausibile che un simile dispositivo


sia stato effettivamente inventato in una fase così precoce dell'evoluzione
dei meccanismi astronomici antichi; quello che conta, però, è che avreb­
be potuto essere inventato.
Nel passo del De re publica sopra citato, la sphaera meccanica di Ar­
chimede viene contrapposta a un'altra sfera da lui costruita, considerata
più bella da un punto di vista estetico, ma meno impressionante da un
punto di vista intellettuale. A quanto pare, questa seconda sphaera, che
era stata depositata nel Tempio della Vittoria, era un globo stellare privo
di parti mobili. Il termine chiave che Cicerone utilizza per distinguere il
globo stellare dal meccanismo è solida: dobbiamo dedurne che il globo
stellare non fosse cavo o che fosse tridimensionale? A mio parere è la se­
conda interpretazione a rispecchiare quello che Cicerone aveva in mente.
Poco prima, aveva definito il globo stellare come "solido e pieno" (soli­
dae atque plenae). Certo, è possibile che stesse semplicemente ripetendo
lo stesso concetto con parole diverse per aggiungere enfasi. Tuttavia, se
questi due termini si riferissero a due idee complementari, ci troveremmo
di fronte a un vero e proprio globo, che oltre a non essere cavo, sarebbe
anche tridimensionale.25 Questo avrebbe senso se Cicerone stesse visua­
lizzando - o, in seguito al suo incontro con Posidonio, ricordando - la
sphaera meccanica come un oggetto dotato di un dispositivo di visua­
lizzazione bidimensionale collocato al posto della volta sferica. Se così
fosse, i pianeti avrebbero potuto essere rappresentati come elementi di
un cosmo visto in sezione trasversale.
Albert Rehm fu il primo a dimostrare con solidi argomenti che il
meccanismo di Anticitera illustrava il movimento dei corpi celesti. Nella
sua "lezione ateniese" del 1 906, Rehm esordì elencando alcune delle
parole isolate che erano state identificate sulle iscrizioni del meccani­
smo.26 Le espressioni Helios (''sole") e ho tes Aphrodites aster ("la stella
di Afrodite"), che erano già note grazie alle trascrizioni effettuate da
Adolf Wilhelm e Ioannis Svoronos nel 1 902-1 903, suggerivano che il
meccanismo avesse un qualche rapporto con l'astronomia, come peral­
tro si era già intuito. Ma Rehm aveva decifrato una nuova parola su un
piccolo frammento di lastra che si era distaccato dal resto: si trattava di
sterigmos, il termine tecnico per indicare la stazione di un pianeta. Tale
scoperta dimostrava che il meccanismo si occupava più precisamente dei
moti dei pianeti. Queste considerazioni, insieme a quanto rimaneva del
complesso sistema di ingranaggi, escludevano definitivamente l'ipotesi
che il meccanismo fosse una sorta di astrolabio. Rimaneva ormai solo
una possibilità:
VAGABONDI CELESTI 223

[Il meccanismo] deve aver reso visibile il movimento delle stelle; deve
aver mostrato come, durante il corso dell'anno, il movimento del sole
faccia sì che le stelle sorgano al di sopra dell'orizzonte o tramontino sotto
di esso anche a diverse ore del giorno; deve anche aver mostrato come i
pianeti transitino attraverso il cielo stellato, talvolta precedendo il sole,
talaltra rimanendo indietro.

Simili dispositivi, continuava Rehm, esistono anche ai nostri giorni e sono


usati per insegnare: si chiamano planetari. Un planetario moderno mostra
la terra che ruota intorno al sole insieme agli altri pianeti, ma un planetario
antico avrebbe mostrato un sistema geocentrico in cui è il sole a ruotare in­
torno alla terra. Grazie ai racconti di Cicerone, osservava ancora Rehm, era
ormai noto che Archimede e Posidonio avevano costruito dei planetari di
bronzo, i quali riproducevano i diversi moti celesti dopo essere stati azionati
da un singolo movimento. Prima del ritrovamento del meccanismo, però,
era impossibile ipotizzare quale fosse l'aspetto di tali dispositivi.
Rehm fece uno sforzo audace per adeguare le caratteristiche visibili
dei frammenti A, B e C alla sua ipotesi del planetario. Tuttavia, poiché
non sapeva come i frammenti fossero originariamente incastrati l'uno
con l'altro, i suoi tentativi rimasero vani. Peraltro, Rehm aveva una co­
noscenza solo superficiale dei dettagli fisici del meccanismo, che aveva
tratto dalle descrizioni pubblicate da Periklis Rediadis e da qualche ora
di ispezione diretta dei frammenti. Per questa ragione, finì per scambiare
i resti delle scale spiraliformi dei quadranti metonico e di Saros con una
serie di cinque cerchi concentrici: a suo parere, una volta azionati dal
sistema di ingranaggi, questi cerchi avrebbero ruotato a velocità pro­
porzionali a quelle dei cinque pianeti; una sferetta collocata su ciascun
cerchio avrebbe rappresentato il pianeta vero e proprio. Rehm ipotizzò
anche che il movimento del sole fosse indicato da una lancetta che ruo­
tava al di sopra degli anelli.
Anche Derek de Solla Price collegò, seppur in modo generico, il mec­
canismo alla tradizione dei planetari greco-romani attestata da Cicerone
e da altri autori antichi. Price sapeva anche che le iscrizioni contenevano
riferimenti a Venere, alle stazioni dei pianeti e al loro moto retrogrado.
Nonostante ciò, i pianeti svolgono un ruolo marginale nella sua ricostru­
zione delle funzioni del meccanismo. In una certa fase, Price pensò che
il quadrante superiore del pannello posteriore (il quadrante metonico)
indicasse le occorrenze dei fenomeni sinodici dei pianetiY Quando ini­
ziò a scrivere Gears (rom the Greeks, però, aveva ormai abbandonato
l'idea. Suggerì invece, con grande esitazione, che un sistema di ingranag-
224 CAPITOLO 7

gi perduto ma originariamente collocato nello spazio fra i frammenti A e


C avrebbe potuto azionare delle lancette, poste sul quadrante anteriore,
che mostravano i movimenti dei cinque pianeti.28
All'inizio del XXI secolo, sono state avanzate numerose ipotesi per
la ricostruzione di un sistema di lancette volto a rappresentare tutti i
pianeti (o anche solo alcuni) sul quadrante anteriore.29 Fra i promotori
di queste proposte, solo Wright è stato in grado di presentare prove so­
stanziali a sostegno dell'esistenza di un simile dispositivo. In particolare,
Wright ha dimostrato che alcune tracce presenti sul grande ingranaggio
a quattro raggi noto come bl erano dovute agli innesti di ulteriori in­
granaggi. Molto probabilmente, questi ultimi azionavano delle lancette
che rappresentavano il movimento di Venere e Mercurio. Oltre a queste
prove concrete, furono proprio le testimonianze letterarie antiche, in cui
si affermava che i dispositivi astronomici come la sphaera di Archimede
mostravano i pianeti, a spingere gli studiosi a verificare la plausibilità
della presenza di lancette planetarie sul quadrante anteriore.
Più recentemente, James Evans, Christian Carman e Alan Thorndike
hanno suggerito un altro genere di ricostruzione: invece di un singolo
quadrante frontale con lancette che mostrano i movimenti dei pianeti,
del sole e della luna attraverso lo zodiaco, propongono di immaginare
una serie di quadranti più piccoli collocati all'interno della scala dello
zodiaco. Ognuno di questi quadranti avrebbe mostrato la fase corrente
del periodo sinodico di uno dei pianeti.30 Questa proposta, che non con­
sidera l'esistenza di sistemi di ingranaggi capaci di far muovere le lan­
cette di moto non uniforme, presenta qualche somiglianza con l'ipotesi
inizialmente avanzata da Price riguardo alla funzione del quadrante su­
periore del pannello posteriore. Tuttavia, ora che i riferimenti ai pianeti
nelle iscrizioni del meccanismo sono stati meglio decifrati, anche questa
congettura sembra meno attraente.
Le lettere del frammento B che andavano a costituire l'espressione
"stella di Afrodite", citata all'inizio di questo capitolo, appartengono
all'iscrizione del coperchio posteriore (ICP). La ricostruzione parziale di
questo testo a partire dalle sezioni che sopravvivono sui frammenti B, A
e 1 9 è uno dei risultati più impressionanti del lavoro che Price e Georgios
Stamiris hanno svolto sulle iscrizioni del meccanismo. L'articolo pubbli­
cato su " Nature" (2006) dalla squadra dell'Antikythera Mechanism Re­
search Project ha rappresentato un progresso ulteriore. Fra le altre cose,
vi si possono leggere alcuni passi del frammento B che erano sfuggiti a
Price e Stamiris (senza poi contare il testo del frammento E, cui Price non
aveva avuto accesso)Y C'era bisogno di lavorare ancora per liberarsi
VAGABONDI CELESTI 225

dell'interferenza delle lettere mal decifrate, le quali continuavano a oscu­


rare il significato dell'iscrizione. Nonostante ciò, entro il 2012 il contesto
generale del riferimento a Venere si era ormai chiarito: si trattava di una
descrizione sistematica del quadrante frontale del meccanismo, che era
evidentemente concepito come un planetario.32
L'ICP aveva la forma di un'ampia colonna di testo, iscritta su una la­
stra larga quasi quanto il meccanismo. Ogni linea conteneva in media 75
lettere. Nella parte di cui ci stiamo occupando ora (citata nel capitolo 3),
si è conservata meno della metà di ogni riga. Le sezioni superstiti comin­
ciano sempre in corrispondenza con l'inizio di una linea, o in sua pros­
simità. Fortunatamente, la struttura del testo è alquanto ripetitiva: così,
possiamo spesso farci un'idea piuttosto precisa del contenuto delle parti
mancanti confrontandole con quelle che si sono conservate. Il modello
di base è costituito da una serie di frasi che seguono più o meno questo
schema: "Al di sopra di questo, c'è il cerchio di questo o quel pianeta
e la piccola sfera che lo attraversa è di questo o quel colore". I pianeti
erano designati sia con il loro nome teoforico, sia con quello descrittivo;
ad esempio, si parla della "stella di Ares, Pyroeis (l'ardente)." L'ordine
secondo cui i pianeti sono elencati è il seguente: Mercurio (quasi certa­
mente, anche se buona parte del suo nome è scomparsa), Venere, Marte,
Giove, Saturno. Fra Marte e Venere, però, compare la descrizione di una
lancetta per il sole, cui era fissata una piccola sfera dorata.
Partendo dalla luna e procedendo verso l'esterno, ci troviamo di fron­
te alla sequenza di pianeti più diffusa in Grecia (figura 3. 7). È possibile
che dietro alle lancette del quadrante anteriore ci fosse una lastra su cui
era incisa una serie cerchi concentrici, simili a quelli del diagramma del
manoscritto di Cosma Indicopleuste. La custodia cilindrica che racchiu­
deva il dispositivo di visualizzazione delle fasi lunari doveva costituire
il cerchio più piccolo. Ogni pianeta era rappresentato da una lancetta
dotata di una sferetta. La distanza della sferetta dall'asse centrale era tale
che la sferetta stessa finiva per trovarsi proprio al di sopra dell'apposito
"cerchio" sulla lastra incisa. Sfortunatamente, se si eccettua il caso del
sole, tutti i termini che si riferivano al colore delle sfere sono andati persi,
ma è comunque possibile formulare delle ipotesi plausibili, come il rosso
per Marte. Grazie a questa combinazione di lancette e sfere, il quadrante
anteriore era allo stesso tempo un diagramma cosmologico mobile e un
dispositivo che permetteva di misurare la posizione approssimativa dei
corpi celesti nello zodiaco. Anche la scala dello zodiaco doveva svolgere
questo doppio ruolo, funzionando sia come una scala graduata per leg­
gere le posizioni dei pianeti, sia come una rappresentazione della sfera
226 CAPITOLO 7

più esterna, quella delle stelle fisse. Subito dopo la descrizione delle lan­
cette planetarie, sull'iscrizione compariva la parola "cosmos", anche se,
sfortunatamente, il contesto è piuttosto frammentario.

I modelli dei fenomeni planetari


Rehm si era convinto che il meccanismo fosse un planetario anche per­
ché, su un piccolo frammento di lastra iscritta, aveva trovato il termi­
ne greco sterigmos, che indica una stazione planetaria. Qualche tempo
dopo, Price avrebbe trovato su un altro frammento sia l'inizio di questa
stessa parola, sia un altro termine, proegeitai, che significa "che si muove
di moto retrogrado". A differenza di Rehm, però, non ne ricavò nulla. 33
A dire il vero, nemmeno Rehm si rese pienamente conto della portata
della propria scoperta. I suoi schemi tracciati a mano, in cui si esplorano
diversi modi di azionare un quadrante planetario tramite un sistema di
ingranaggi, mostrano che il suo obiettivo era quello di riprodurre, per
ciascun pianeta, un moto uniforme attraverso lo zodiaco. Eppure, i rife­
rimenti alle stazioni dimostrano che, oltre a conoscere i fenomeni sino­
dici e le variazioni di velocità dei pianeti, il progettista del meccanismo
aveva anche cercato di riprodurli sul proprio dispositivo.
L'approccio dell'astronomia greca ai fenomeni e ai periodi sinodici è
esattamente l'opposto di quello babilonese. Per i Babilonesi, i fatti pri­
mari erano i fenomeni, che costituivano una serie di eventi discreti con
date e posizioni associate. Quando ne avevano bisogno, gli astronomi
babilonesi ottenevano la descrizione della traiettoria continua di un pia­
neta combinando i segmenti che separavano un fenomeno dal successi­
vo. Durante l'epoca ellenistica, questi metodi furono trasmessi al mondo
greco. Nel frattempo, però, gli astronomi greci avevano già iniziato a
concepire i fenomeni sinodici come la conseguenza di un moto plane­
tario il cui andamento, essendo continuo e matematicamente definibile,
poteva essere proiettato indefinitamente nel passato e nel futuro.
Intorno alla metà del IV secolo a.C., il matematico e filosofo Eudos­
so di Cnido sviluppò una precoce e interessante teoria del moto pla­
netario che teneva conto dei periodi sinodici. Sfortunatamente, la più
antica testimonianza di questa teoria, descritta nel dodicesimo libro
della Metafisica di Aristotele, è anche molto stringata.34 L'idea fonda­
mentale era che il moto di un corpo celeste potesse essere scomposto in
una combinazione di rivoluzioni circolari dalla velocità costante, tutte
centrate sulla terra anche se disposte su livelli diversi. Per visualizzare
questa teoria in modo più concreto, si può immaginare che un corpo
VAGABONDI CELESTI 227

celeste visibile sia alloggiato su un guscio sferico trasparente il cui cen­


tro è la terra. Questo guscio sferico ruota su un asse i cui poli sono
alloggiati su un altro guscio sferico rotante, collocato immediatamente
all'esterno rispetto al primo; e così via fino a raggiungere un numero di
sfere tale da poter spiegare l'andamento di tutti i movimenti osservabili
nel cielo.
Aristotele ci dice che, nel sistema di Eudosso, la sfera più esterna, il
cui asse di rotazione ha una posizione fissa, è la stessa per tutti i corpi
celesti e ha la stessa funzione della sfera delle stelle fisse. Corrisponde al
fusaiolo più esterno del Mito di Er platonico ed è la causa del sorgere
e tramontare giornaliero delle stelle e, indirettamente, degli altri corpi
celesti. Ognuno dei cinque pianeti era dotato di tre ulteriori sfere. Quella
che si trova subito all'interno della sfera delle stelle fisse è situata "lungo
il cerchio che attraversa il centro dei segni zodiacali", il che equivale a
dire che i punti in cui i suoi poli sono alloggiati sulla sfera delle stelle
fisse non coincidono con i poli di questa sfera: in effetti, il cerchio dell'e­
clittica ( " il cerchio che attraversa il centro dei segni zodiacali ") è inclina­
to rispetto all'equatore celeste. Questa seconda sfera spiega la tendenza
generale del pianeta a spostarsi verso est lungo lo zodiaco e perciò cor­
risponde al fusaiolo del pianeta nel mito di Er. Ma i bordi dei fusaioli di
Platone si trovano tutti sullo stesso piano e non rendono conto in alcun
modo dell'inclinazione dell'eclittica.
Secondo Aristotele, i poli della terza sfera di un pianeta sono allog­
giati su due punti diametralmente opposti del circolo dell'eclittica della
seconda sfera, mentre l'asse della quarta sfera è inclinato rispetto a quel­
lo della terza. Il rapporto fra queste due sfere e il moto planetario reale è
comprensibile da un punto di vista astronomico solo se si attribuiscono
loro velocità di rivoluzione uguali ma opposte. Siccome sul lungo termi­
ne le due rotazioni si annullano a vicenda, il pianeta visibile, che è allog­
giato sulla quarta sfera, non può mai allontanarsi oltre un certo limite
dall'eclittica. Sul breve termine, il pianeta oscillerà lievemente a nord
e a sud dell'eclittica e, in b àse a questo ciclo, sembrerà spostarsi lungo
l'eclittica con una velocità alternativamente più lenta e più veloce rispet­
to alla sua velocità media. Inoltre, a seconda delle velocità di rotazione
specifiche e dell'angolo di inclinazione fra i poli, potrebbe anche compie­
re delle retrogradazioni periodiche. Guarda caso, questo è esattamente
il modo in cui Simplicio, un autore più tardo (VI secolo d.C.), descri­
ve il moto della terza e della quarta sfera.35 A sentire Simplicio, queste
informazioni dettagliate sull'astronomia di Eudosso deriverebbero, per
via indiretta, da un'opera che lo stesso Eudosso dedicò all'argomento.
228 CAPITOLO 7

Gli studiosi moderni non concordano sull'attendibilità storica di que­


ste affermazioni. Tuttavia, perlomeno per quanto riguarda il moto della
terza e quarta sfera dei pianeti, le informazioni riportate da Simplicio
hanno perfettamente senso da un punto di vista astronomico.36 Quel che
è certo, è che Eudosso concepì questa ipotesi planetaria con l'obiettivo
di spiegare i cicli sinodici. Non si è però ancora stabilito con sicurezza
se cercasse di calcolare anche le stazioni e le retrogradazioni o se fosse
interessato solo alle variazioni della velocità apparente. Comunque sia,
né Aristotele né Simplicio accennano alle retrogradazioni quando fanno
riferimento all'ipotesi di Eudosso.
Nelle teorie planetarie fondate sulla combinazione di moti circolari il
cui centro è la terra, la distanza del pianeta dalla terra stessa non cambia
mai. Se poi immaginiamo che i moti circolari siano prodotti da gusci
sferici, tali gusci possono essere tanto sottili e ravvicinati quanto lo desi­
deriamo. Simplicio riferisce che gli astronomi finirono per abbandonare
ipotesi come quella di Eudosso perché la variazione della luminosità dei
pianeti (Simplicio menziona specificamente Venere e Marte) sembrava
indicare che anche la loro distanza dalla terra fosse variabile.37 È possi­
bile che Simplicio, o una delle sue fonti, abbia formulato questa suppo­
sizione retrospettivamente. In effetti, sono molte le ragioni che possono
spiegare l'abbandono di ipotesi planetarie di questo tipo. Ad esempio, è
possibile che si sia constatata una discrepanza fra la previsione teorica
dei moti apparenti e una serie di osservazioni empiriche più dettagliate.
Oppure si può immaginare che la geometria tridimensionale dei moti
planetari rendesse difficile analizzarne matematicamente il comporta­
mento. Di certo, la costruzione di un meccanismo capace di simulare tali
moti sarebbe stata una bella sfida.
Per quanto riguarda la nostra conoscenza dell'astronomia planetaria
greca, l'intervallo che separa l'epoca di Platone ed Eudosso da quella
in cui visse Tolomeo (Il secolo d.C.) coincide con mezzo millennio di
oscurità, illuminato qua e là da qualche testimonianza sporadica, spesso
visibile solo attraverso lo specchio probabilmente deformante delle ope­
re degli autori più tardi. Anche se non possiamo raccontare una storia
coerente, possiamo perlomeno attirare l'attenzione su certi sviluppi es­
senziali, cercando di capire come e perché si siano verificati, nonostante
la cronologia sia molto meno chiara di quanto vorremmo.
Uno di questi sviluppi è rappresentato dal fatto che, nel mondo greco,
si cominciarono a istituire programmi sistematici di registrazione delle
osservazioni astronomiche, un fenomeno che possiamo situare nell'Egit­
to tolemaico dell'inizio del III secolo a.C. La prima di queste iniziative è
VAGABONDI CELESTI 229

associata a un astronomo di nome Timocari, che operò ad Alessandria


fra il 295 e il 272 a.C. Fra il 272 e il 24 1 a.C., un programma simile
fu portato avanti da un altro gruppo di astronomi operanti in qualche
regione dell'Egitto, forse ad Alessandria. Non conosciamo i loro nomi,
ma sappiamo che datavano le loro osservazioni tramite un sistema astro­
nomico speciale attribuito a un certo Dionisio. Conosciamo alcune delle
osservazioni planetarie nell'ambito di questi programmi solo tramite le
citazioni dell'Almagesto di Tolomeo e, in un caso, grazie agli scritti di
un autore astronomico vissuto una generazione prima dello stesso To­
lomeo. È stato un papiro (POxy astron. 4133) a trasmetterei l'unico
frammento superstite della sua opera.38
È possibile che i programmi di osservazione greci siano stati in qual­
che modo ispirati dalle pratiche di osservazione babilonesi da cui ebbero
origine i Diari astronomici. Tuttavia, il metodo con cui veniva registrata
la posizione dei pianeti rispetto alle stelle, per quanto apparentemente
non fondato sull'uso di strumenti di misurazione, sembra aver mirato
a una maggiore precisione rispetto ai rapporti dei Diari astronomici.
Inoltre, si registravano osservazioni dello stesso pianeta effettuate a date
molto ravvicinate, così da poter determinare la velocità del suo moto.
È significativo che uno dei rapporti " dionisiaci " (risalente al 265 a.C.)
citati da Tolomeo riguardi proprio Mercurio e la sua stazione mattutina:
si tratta di un fenomeno molto difficile da osservare perché si verifica
in prossimità della congiunzione inferiore, poco prima dell'intervallo di
invisibilità del pianeta, se non addirittura al suo interno. Contrariamente
a quanto accadde a Babilonia, nessuno dei programmi di osservazione
greci sembra aver avuto una base istituzionale che gli consentisse di pro­
seguire per più di qualche decennio. Nonostante ciò, fu proprio grazie a
questi programmi che cominciò ad accumularsi un corpus discontinuo di
dati empirici che poteva essere usato per testare e calibrare nuove teorie
del moto planetario.
La nascita dell'astrologia oroscopica greca rappresentò un ulteriore
stimolo per lo sviluppo dell'astronomia planetaria. L'astrologia greca trae
origine dalla diffusione delle pratiche astrologiche babilonesi. In età elle­
nistica queste discipline, insieme a coloro che le praticavano, iniziarono a
propagarsi dalla Mesopotamia alle civiltà del Mediterraneo occidentale.
Uno dei primi nomi a essere associati alla diffusione della scienza babilo­
nese in Grecia è quello di Berosso, un sacerdote di Marduk originario di
Babilonia, che si stabilì a Cos nella prima metà del III secolo a.C. e scrisse
una storia di Babilonia in greco, la quale (ahimé! ) ci è nota solo tramite
citazioni e testimonianze di seconda mano. Gli studiosi moderni hanno
230 CAPITOLO 7

dibattuto animatamente per stabilire se la fama di Berosso come astrologo


e scrittore di astrologia fosse effettivamente fondata.39 Simili dubbi circon­
dano anche la figura di un certo Sudine. A quanto sappiamo, si trattava di
un "Caldeo" che, intorno al 230 a.C., lesse i presagi delle interiora degli
animali sacrificati per conto del re Attalo I di Pergamo. Gli scrittori di epo­
ca successiva lo presentano come un astronomo. Le nostre informazioni
cominciano a diventare meno incerte quando ci avviciniamo al II secolo
a.C. Grazie a un'iscrizione eretta in suo onore, conosciamo la carriera
di un "astrologos caldeo" di nome Antipatro, che si stabilì a Larissa in
Tessaglia e riuscì persino a diventare cittadino della vicina città di Homo­
lion intorno alla metà del secondo secolo.40 Quello che è particolarmente
interessante nella vicenda di questo Antipatro, è che non era originario di
Babilonia ma di Ierapoli in Siria, a dimostrazione del fatto che l'astrono­
mia babilonese era diffusa in molti più centri del Medio Oriente di quanto
non ci suggeriscano le tavolette cuneiformi.
Entro il II secolo, i "Caldei" erano riusciti a penetrare tanto a ovest
da raggiungere anche l'Italia, anche se non furono sempre accolti fa­
vorevolmente dai Romani. Secondo Catone il Vecchio, bisognava im­
pedire agli amministratori di fattorie di ricorrere ai loro servigi - se è
per questo, non avrebbero dovuto consultare nemmeno gli aruspici, gli
auguri e gli indovini. Secondo le nostre fonti, nel 1 3 9 a.C., Gneo Corne­
lio Ispano, che allora era praetor peregrinus (il magistrato responsabile
delle questioni legali che riguardavano gli stranieri), emise un editto che
espelleva i Caldei dall'Italia con il pretesto che si stavano arricchendo
alle spalle di sciocchi cui vendevano menzogne sulle stelle.41
L'astrologia greca ereditò dalla tradizione babilonese l'idea che si
potessero fare previsioni sulla vita di un individuo interpretando la con­
dizione della volta celeste intorno alla sua data di nascita o in corri­
spondenza di essa. Tuttavia, il principio alla base di queste previsioni
era completamente diverso. Gli oroscopi babilonesi si erano sviluppati a
partire dall'antica pratica di interpretazione dei presagi astrali. Passare
a un genere di presagi che si riferiva alle persone ordinarie e non più ai
re e ai regni non significava smettere di credere che il comportamento
osservabile dei corpi celesti fosse un messaggio inviato dagli dei. Nell'a­
strologia greca, invece, i corpi celesti erano considerati come oggetti ma­
teriali (anche se divini) che, nel corso delle loro rivoluzioni intorno alla
terra, generavano una serie di cambiamenti nell'ambiente e in noi stessi
tramite la trasmissione di proprietà fisiche dalla volta celeste al mondo
sottostante. In altre parole, si presupponeva una cosmologia vagamente
simile a quella platonico-aristotelica, secondo cui il mondo terreno, che
VAGABONDI CELESTI 231

ha forma sferica ed è costituito da corpi materiali dai comportamenti


complessi, è circondato e controllato da una regione celeste, anch'essa
sferica, costituita da corpi materiali il cui comportamento è invece rego­
lare e prevedibile.
In un oroscopo greco, il luogo di nascita di una persona svolge un
ruolo essenziale. Si immagina infatti che lo zodiaco, compresa la sua
metà invisibile che si trova al di sotto della terra, sia diviso dall'orizzonte
e dal meridiano (ossia sul piano verticale nord-sud) in varie regioni dal
diverso valore astrologico. La più importante di tutte è chiamata ho­
roskopos o "guardiana dell'ora" (il nostro "oroscopo" deriva proprio
da questo termine) ed è quella che, nel momento considerato, si trova a
sorgere sull'orizzonte orientale. Il modo in cui il sole, la luna e i pianeti
condizionano una persona al momento della sua nascita dipende dalla
natura intrinseca di ciascun corpo celeste, dalla sua posizione rispetto
ai segni dello zodiaco e alle stelle e dalla sua collocazione rispetto all'o­
rizzonte e al meridiano. Pertanto, le condizioni che determinano la vita
e la personalità degli individui al momento della loro nascita cambiano
costantemente man mano che la sfera celeste ruota intorno alla terra.
Mentre un oroscopo babilonese considerava gli eventi e le condizioni dei
corpi celesti in prossimità di una data specifica, un oroscopo greco era
un'istantanea di un'entità in continuo movimento.
La nascita dell'astrologia greca a partire dalla divinazione del Medio
Oriente antico, cui si aggiungono la cosmologia filosofica e l'astronomia
greche, risale probabilmente al II secolo a.C. Quanto al luogo, il miglior
candidato è senza dubbio l'Egitto tolemaico.42 Gli autori delle opere
astrologiche di epoca successiva fanno risalire le proprie conoscenze ai
leggendari saggi egizi di un passato lontano, fra cui figurano un certo re
Nechepso e Petosiride, nonché, di tanto in tanto, anche Hermes (il dio
egizio Thoth) e Imouthes (lmhotep). I "Caldei" o Babilonesi occupano
un posto decisamente meno importante in questa storia delle origini. In
realtà, ben pochi concetti dell 'astrologia greca derivavano dall'Egitto fa­
raonico. Tuttavia, come abbiamo visto relativamente alle eclissi, fin dal
V secolo a.C. si era sviluppata una versione prettamente egizia della tra­
dizione di interpretazione dei presagi di origine mesopotamica: a quanto
pare, l'astrologia oroscopica è nata dall'interazione fra gli studiosi egizi
che operavano nei templi e gli intellettuali di lingua greca.
La nuova scienza degli oroscopi richiedeva metodi di carattere astro­
nomico; in particolare, erano necessarie procedure che permettessero di
determinare, per una qualsiasi data passata, la collocazione dei corpi ce­
lesti nello zodiaco e la posizione dello zodiaco rispetto all'orizzonte. L'a-
232 CAPITOLO 7

strologia greca non si basava sulle osservazioni. Gli astrologi traevano le


proprie informazioni astronomiche da una serie di almanacchi e tavole
numeriche. Quando iniziò a diffondersi nel mondo greco, l'astrologia ba­
bilonese portò con sé gli aspetti più facilmente esportabili dell'astronomia
predittiva babilonese: i calcoli matematici. Ecco perché una serie di papiri
egizi, risalente a un arco di tempo che va dal I al IV secolo d.C., conserva
frammenti di tavole astronomiche chiaramente derivanti dall'astronomia
matematica babilonese, se si eccettua il fatto che sono scritte in greco e
impiegano il calendario egizio. 43 Si potrebbe però argomentare che, per ot­
tenere i propri dati astronomici, gli astrologi avrebbero dovuto impiegare
metodi coerenti con quella cosmologia del moto circolare delle sfere celesti
da cui provenivano le basi concettuali dell'astrologia stessa. Se così fosse
stato, il grande successo dell'astrologia greca, che ben presto scalzò quella
babilonese, avrebbe rappresentato un incentivo ulteriore per lo sviluppo
e il perfezionamento di teorie planetarie quantitative sempre più precise,
fondate sulla combinazione di moti circolari.

Epicicli e orbite eccentriche


Queste teorie si concretizzarono nelle ipotesi epiciclica ed eccentrica, che
a bbiamo già avuto occasione di incontrare quando abbiamo discusso la
loro applicazione alle velocità non uniformi del sole e della luna (capito­
lo 5). Secondo la testimonianza di Tolomeo, Ipparco fu il primo astro­
nomo a studiare il moto della luna in relazione ai concetti di epiciclo
e orbita eccentrica; ed è sempre nell'opera di Tolomeo che troviamo il
primo accenno a un'analisi matematica del moto dei pianeti effettuata
in base all'una o all'altra di queste due ipotesi.44 Si tratta di un teorema
geometrico complesso che mostra come determinare la posizione esatta
di un pianeta sul suo epiciclo o sulla sua orbita eccentrica al momento di
una delle sue stazioni. Tolomeo dice che il suo teorema è un adattamen­
to della versione elaborata "da vari matematici, fra cui in particolare
Apollonia di Perge" . Apollonia ci è ben noto: è considerato uno dei più
importanti matematici greci dell'epoca ellenistica, ai livelli di Euclide
e Archimede. La sua carriera si colloca da qualche parte fra la fine del
III e la prima metà del II secolo a.C. Stiamo perciò parlando di sviluppi
risalenti almeno a una generazione prima di Ipparco.
Tolomeo non dice chiaramente se Apollonia stesse lavorando con i
concetti di epiciclo e orbita eccentrica, ma ci fa sapere che, nella sua for­
ma originale, il teorema di Apollonia si basava sul presupposto che tutti
i periodi sinodici dei pianeti fossero identici. In altre parole, l'ipotesi di
VAGABONDI CELESTI 233

Apollonia prevedeva solo due moti circolari uniformi: il centro del moto
primario del pianeta era la terra; il moto secondario consisteva nella
rivoluzione del pianeta attorno a un punto che a propria volta ruotava
intorno alla terra, proprio come nelle due ipotesi formulate da Ipparco
a proposito della luna. La velocità dei due moti circolari poteva essere
ricavata direttamente da qualsiasi periodo di ricorrenza fosse stato as­
sunto per i periodi sinodici del pianeta. L'altro valore che permetteva di
determinare l'andamento dell'ipotesi era il rapporto fra i raggi dei due
moti circolari.
Il teorema di Apollonia mostrava che, una volta ottenuti dati precisi
per tutti e tre i parametri, era possibile calcolare la durata degli inter­
valli di tempo che intercorrevano fra le congiunzioni e le stazioni di un
pianeta. Nel caso di un pianeta esterno, si potevano calcolare anche gli
intervalli fra due opposizioni rispetto al sole. Quanto ai pianeti inter­
ni, c'era un metodo geometrico semplice per calcolare le date delle loro
elongazioni massime. D'altro canto, le date della prima e dell'ultima
comparsa e del sorgere acronico non possono essere calcolate solo a par­
tire dall'ipotesi e dai suoi parametri: in questo caso, infatti, entrano in
gioco anche fattori ottici. Perciò, se si descrive il periodo sinodico di un
pianeta in base a un'ipotesi epiciclica o eccentrica, si presta attenzione
a una serie di fenomeni sinodici ben diversi rispetto a quelli considerati
importanti dall'astronomia babilonese.
A differenza delle ipotesi di Eudosso, che erano costituite solo da
moti sferici concentrici, le ipotesi epiciclica ed eccentrica possono fornire
prime approssimazioni soddisfacenti del percorso dei pianeti, se si con­
sidera la terra come il punto di riferimento fisso del sistema planetario.
Consideriamo in primo luogo un pianeta interno come Venere e immagi­
niamo ancora una volta che le orbite di Venere e della terra siano cerchi
perfetti il cui centro è il sole (figura 7.8a). Ora, se al sole sostituiamo la
terra come punto di riferimento fisso dei moti relativi, adesso è il sole a
orbitare intorno alla terra, mentre Venere orbita intorno al sole (figura
7.8b): in questo sistema geocentrico, il rapporto fra il raggio dell'orbita
di Venere e quello dell'orbita del sole è identico al rapporto fra il raggio
dell'orbita di Venere e quello dell'orbita della terra nel sistema eliocen­
trico. Siccome un osservatore a occhio nudo può determinare solo le di­
rezioni dei corpi celesti e non le loro distanze, possiamo separare il moto
di Venere da quello del sole riducendo le dimensioni assolute dei due
cerchi che costituiscono il moto di Venere in modo tale che si trovino
interamente all'interno dell'orbita del sole: otteniamo così una semplice
ipotesi epiciclica (figura 7.8c). Da questo ragionamento si capisce imme-
234 CAPITOLO 7

a. Orbite di Venere e della terra


in un quadro di riferimento eliocentrico.

b. Orbite di Venere e del sole


in un quadro di riferimento geocentrico.

c. Modello epiciclico relativo a Venere.

Figura 7.8. Trasformazione dell'orbita di Venere da una prospettiva eliocentrica


a un modello epiciclico.
VAGABONDI CELESTI 235

diatamente quali siano i requisiti specifici di un'ipotesi epiciclica appli­


cata a un pianeta interno: il centro dell'epiciclo deve ruotare intorno alla
terra alla stessa velocità del sole e deve essere allineato rispetto a esso;
quanto al pianeta, deve ruotare sul proprio epiciclo nella stessa direzione
(in senso antiorario per chi osservi da nord ).
Nelle figure 7.9a-c vediamo le stesse trasformazioni applicate a un
pianeta esterno, Marte. Siccome l'orbita di Marte ha un'ampiezza mag­
giore rispetto a quella della terra, questa volta non troviamo un epiciclo,
ma un'orbita eccentrica il cui centro ruota intorno alla terra in linea

a. Orbite di Marte e della terra


in un quadro di riferimento eliocentrico.
b. Orbite di Marte e del sole
in un quadro di riferimento geocentrico.

Marte

c. Modello eccentrico relativo a Mane.


d. Modello epiciclico relativo a Marte.

Figura 7.9. Trasformazione dell'orbita di Marte da una prospettiva eliocentrica


a un modello epiciclico.
236 CAPITOLO 7

con il sole. Possiamo operare un'ulteriore trasformazione, basandoci sul


principio dell'equivalenza delle ipotesi epiciclica ed eccentrica che abbia­
mo incontrato discutendo delle ricerche di lpparco sulla luna: è infatti
possibile invertire le posizioni di due moti circolari senza modificare il
percorso compiuto dal pianeta. Ne risulta un'ipotesi epiciclica (figura
7.9d), ma con requisiti diversi: il centro dell'epiciclo deve ruotare in­
torno alla terra con un periodo equivalente alla velocità di rivoluzione
media del pianeta intorno allo zodiaco; quanto al pianeta, deve ruotare
sul proprio epiciclo nella stessa direzione e in modo tale che la linea che
lo collega al centro dell'epiciclo sia sempre parallela alla direzione fra la
terra e il sole.
Le ipotesi epiciclica ed eccentrica sono traduzioni esatte del nostro
sistema solare semplificato in un quadro di riferimento geocentrico. Per
questa ragione, non possono riprodurre nessuno degli effetti derivanti
dal fatto che le orbite reali dei pianeti intorno al sole sono decentrate ed
ellittiche. In un passo notevole del nono libro dell'A lmagesto, Tolomeo
ci mostra che, almeno fino alla seconda metà del II secolo a.C., gli astro­
nomi greci non erano riusciti a superare queste semplici ipotesi.45
In questo passo, Tolomeo spiega che è molto difficile elaborare ipo­
tesi soddisfacenti per il moto dei pianeti. In parte, questo dipende dal
carattere intrinsecamente complesso dei loro moti, in cui si intrecciano
due diverse variazioni periodiche. Senza contare che solo in tempi relati­
vamente recenti si era cominciato a registrare un numero consistente di
osservazioni adeguate. Perciò, continua Tolomeo, non bisogna meravi­
gliarsi che lpparco, nonostante fosse un gran teorico, non abbia prodot­
to nessuna ipotesi planetaria (perlomeno a quanto ne sapesse Tolomeo).
In effetti, l'unica opera che lpparco abbia mai dedicato all'argomento
si limitava a dimostrare che le ipotesi planetarie proposte fino a quel
momento erano inesatte. Queste ipotesi si basavano sul presupposto che
tutti i periodi sinodici di un pianeta fossero identici: ne conseguiva, ad
esempio, che ogni intervallo di moto retrogrado doveva avere la stessa
durata e coprire lo stesso numero di gradi sull'eclittica rispetto a qual­
siasi altro intervallo. Eppure, sulla base di una serie di osservazioni, lp­
parco aveva dimostrato che, nella realtà, questi intervalli erano variabili.
Se il conciso resoconto di Tolomeo è corretto, prima di lpparco gli
astronomi greci non erano a conoscenza della cosiddetta anomalia zo­
diacale, che consiste nella variazione dei periodi sinodici di un pianeta
a seconda della sua posizione nello zodiaco. Ne possiamo dedurre che,
all'epoca, i metodi matematici babilonesi per la previsione dei fenomeni
planetari non fossero ancora ben noti al mondo greco. In effetti, tali
VAGABONDI CELESTI 237

metodi mostrano chiaramente che gli intervalli di tempo e di moto fra fe­
nomeni sinodici sono variabili. Gli algoritmi babilonesi erano fondati su
sequenze aritmetiche adeguate a schemi di date e posizioni determinati
in modo empirico; pertanto, sarebbe stato difficile "tradurle" in ipotesi
costruite a partire da moti circolari. Tolomeo ci dice che, dopo lpparco,
alcuni studiosi di cui non viene citato il nome cercarono di costruire teo­
rie planetarie geometriche che rendessero conto dell'anomalia zodiacale,
ad esempio tramite l'introduzione del concetto di eccentricità all'interno
di un'ipotesi epiciclica. Ma non sappiamo come simili progressi si siano
sviluppati. I tre secoli di ricerca astronomica che separano l'epoca di
lpparco da quella di Tolomeo ci sono quasi completamente sconosciu­
ti. A quanto ne sappiamo, le ipotesi presentate nell'A lmagesto rappre­
sentano il culmine della teoria planetaria greca: il problema del moto
planetario, per com'era compreso all'epoca, viene essenzialmente risolto
tramite una combinazione economica di epicicli e orbite eccentriche. A
questo si aggiunge una sottile ridefinizione del moto circolare uniforme,
che conduce a una buona approssimazione della seconda legge del moto
planetario di Keplero, secondo cui il raggio vettore che congiunge un
pianeta al sole spazza aree uguali in tempi uguali.46

La teoria planetaria del meccanismo


Abbiamo un'idea abbastanza chiara delle teorie relative al sole e alla
luna su cui si è fondata la progettazione del meccanismo. Le nostre cono­
scenze derivano dall'interazione fra l'evidenza fisica, rappresentata dagli
ingranaggi superstiti e da altri elementi meccanici, e l'evidenza testuale
fornita dalle scale dei quadranti e dalle altre iscrizioni. Per quanto ri­
guarda i pianeti, le caratteristiche fisiche dei reperti corroborano l'idea
che in origine ci fosse anche un dispositivo volto alla visualizzazione dei
loro moti. Purtroppo, però, ci dicono ben poco riguardo ai presupposti
teorici su cui tale dispositivo si fondava. Per fortuna, il meccanismo ci è
giunto insieme a una serie di testi la cui funzione era chiaramente quella
di aiutare l'osservatore a capire le informazioni mostrate dai quadranti.
Abbiamo già visto come l'ICP descriva l'aspetto statico del quadrante
anteriore con la sua cosmologia planetaria in miniatura. Adesso dobbia­
mo rivolgere la nostra attenzione all'iscrizione del coperchio anteriore
(ICA), che introduce la dimensione del tempoY
L'ICA era incisa su una lastra di metallo che fungeva probabilmen­
te da custodia protettiva e che, durante la permanenza sottomarina del
meccanismo, si trovava davanti al suo pannello anteriore. Per questa ra-
238 CAPITOLO 7

gione, un'ampia porzione di questa lastra era saldata alla parte anteriore
del frammento C quando fu scoperta per la prima volta nel 1 902. Nel
1 905, in occasione della prima operazione di restauro dei frammenti,
lo strato di concrezione che ricopriva la lastra del coperchio anteriore,
nonché i resti della lastra stessa, furono separati pezzo per pezzo dal
frammento C. Buona parte della lastra fu poi nuovamente assemblata
a formare quello che ora conosciamo come frammento G. Oltre a ciò,
disponiamo anche di due frammenti separati della lastra e di numerosi
frammenti dello strato di concrezione, i quali conservano impressioni
speculari dei caratteri iscritti. I termini che si riferivano alle stazioni e
alle retrogradazioni scoperti da Rehm e da Price si trovano proprio su
alcuni di questi frammenti. Nella maggior parte dei casi, però, i resti
deii'ICA sono molto più corrosi rispetto alle altre iscrizioni del mecca­
nismo e la ricostruzione del testo, che presenta lacune frustranti, è stata
particolarmente impegnativa.
Ne è emersa una descrizione dei periodi sinodici dei pianeti: si tratta
della testimonianza più dettagliata sulla teoria planetaria greca di cui
disponiamo per l'intero intervallo di tempo che separa Eudosso da To­
lomeo. È probabile che, in origine, l'iscrizione si riferisse anche al sole e
alla luna, ma le 42 linee di testo superstiti appartengono a una serie di
sezioni che prendono in considerazione, uno dopo l'altro, i cinque piane­
ti, secondo l'ordine seguente: Mercurio, Venere, Marre, Giove e Saturno
- si tratta dello stesso ordine in cui compaiono anche neii'ICP, ma senza
l'inserimento del sole fra Venere e Marre. Quello che l'iscrizione dice
a proposito di ciascun pianeta ha evidentemente lo scopo di descrivere
la dimostrazione cui l'osservatore avrebbe assistito una volta aziona­
to il meccanismo. D'altronde, non avrebbe avuto alcun senso indurre
lo spettatore ad aspettarsi cose che il meccanismo non sarebbe stato in
grado di fare. Perciò, pur non dicendo nulla sulla struttura interna del
meccanismo, l'iscrizione fornisce informazioni preziose sia riguardo al
modo in cui il progettista percepiva il moto dei pianeti, sia riguardo ai
congegni meccanici con cui ha cercato di riprodurre i relativi fenomeni
sul quadrante anteriore.
Ogni sezione iniziava con il nome descrittivo del pianeta interessato
(a quanto pare, il nome teoforico era regolarmente omesso); veniva poi
citata una relazione periodica che stabiliva equivalenze fra numeri interi
di periodi sinodici, anni solari e rivoluzioni dei pianeti intorno allo zo­
diaco; al termine di ciascuna sezione compariva una stima in giorni della
durata approssimativa del periodo sinodico. Nessuno dei numeri relativi
alla durata dei periodi sinodici si è conservato per intero: possiamo leg-
VAGABONDI CELESTI 239

gere solo la prima cifra (500) del periodo di Venere. Non si tratta però di
una grande perdita, dal momento che, con ogni probabilità, queste cifre
venivano derivate dalla relazione periodica per essere poi arrotondate
al numero intero più vicino, talvolta preceduto da espressioni quali "un
po' più di" o "un po' meno di" . Qualsiasi relazione periodica accetta­
bile, persino una relazione piuttosto rozza come quelle del periodo del
Goal-Year babilonese, avrebbe dato lo stesso risultato. Possiamo quindi
affermare con certezza che i dati presenti nell'iscrizione corrispondono a
quelli riportati nella tabella 7.7. Vale la pena notare che il testo presenta
questi periodi come se fossero delle costanti.

Tabella 7.7. Ricostruzione dei periodi sinodici dell'ICA.

Pianeta Valore corretto Valore fornito dall'iscrizione

Mercurio 1 1 5 , 8 8 giorni un po' meno di? 1 1 6 giorni

Venere 583, 92 giorni 584 giorni

Marte 779, 94 giorni un po' meno di 780 giorni

Giove 398, 8 8 giorni un po' meno di 3 99 giorni

Saturno 378, 09 giorni un po' più di? 378 giorni

Per quanto riguarda le relazioni periodiche, solo due numeri sono leggi­
bili: 462 nella sezione relativa a Venere e 442 in quella relativa a Satur­
no. Per fortuna, questi numeri sono sufficienti per ricostruire le relazioni
periodiche complete di questi due pianeti:

289 periodi sinodici di Venere = 462 anni solari = 462 rivoluzioni zodiacali
427 periodi sinodici di Saturno = 442 anni solari = 15 rivoluzioni zodiacali

Queste relazioni, di cui non si trova menzione in nessun testo antico,


sono molto precise: la loro qualità è paragonabile a quella dei periodi
ACT babilonesi o alle periodicità usate da Tolomeo nel suo Almagesto.
Ma da dove venivano? Per quanto riguarda la relazione di Venere, si
può ipotizzare che il progettista del meccanismo fosse a conoscenza del­
la relazione periodica ACT babilonese. Siccome però quest'ultima non
può essere rappresentata accuratamente da un sistema di ingranaggi, è
possibile che il progettista abbia ela borato una relazione diversa, quasi
identica a quella ACT, ma facilmente riproducibile da un punto di vista
meccanico. Ovviamente, questo equivale a presupporre che le relazioni
240 CAPITOLO 7

periodiche ACT fossero note agli scienziati greci già all'inizio del I secolo
a.C. Anche se non abbiamo altre prove a sostegno di questa ipotesi, si
tratta di uno scenario tutt'altro che inverosimile. Tuttavia, la relazione
di Saturno non può essere spiegata in questo modo, visto che la relazione
ACT per questo pianeta si presta perfettamente a essere rappresentata
da un sistema di ingranaggi. Di conseguenza, l'iscrizione dimostra che
gli astronomi greci erano impegnati in una linea di ricerca indipendente
volta a raffinare le periodicità dei pianeti, una ricerca di cui non sa­
premmo nulla, se non fosse per il meccanismo. Il fatto che quest'ultimo
fosse programmato in base a relazioni periodiche così raffinate implica
che, indipendentemente dalle possibili imprecisioni a breve termine, la
rappresentazione dei cicli che regolavano il moto dei pianeti avrebbe
mantenuto un allineamento corretto per un intervallo di diversi secoli.
Il resto di ciascuna sezione deii'ICA consiste in una descrizione del
periodo sinodico del pianeta interessato. Viene indicata la durata in gior­
ni degli intervalli fra i fenomeni sinodici (anche in questo caso trattati
come costanti), insieme alla direzione in cui il pianeta si sposta durante
ogni intervallo; per i pianeti interni, viene anche detto se lo spostamento
generi un allontanamento o un avvicinamento rispetto al sole. I fenome­
ni elencati per i pianeti interni includono le congiunzioni, le elongazioni
massime e le stazioni; quelli relativi ai pianeti esterni includono la con­
giunzione, le stazioni e le opposizioni. Nel testo conservato non compare
alcuna menzione della prima e dell'ultima comparsa dei pianeti. Tutto
sommato, il trattamento dei periodi sinodici è piuttosto diverso rispetto
a quello dell'astronomia babilonese e sembra riconducibile a semplici
ipotesi epicicliche o eccentriche.
Si possono ancora leggere molte delle cifre che indicano il numero di
giorni intercorrenti fra fenomeni sinodici: questi dati sono in perfetto ac­
cordo con gli intervalli che si ricaverebbero dalle ipotesi epiciclica o ec­
centrica presupponendo un rapporto astronomicamente appropriato fra
i raggi dei moti circolari coinvolti. Per quanto riguarda Venere, l'iscrizio­
ne indica 224 giorni per gli intervalli fra la congiunzione superiore e le
elongazioni massime e 68 giorni per i restanti intervalli fra le elongazioni
massime e la congiunzione inferiore. Calcoli fondati su un rapporto pre­
ciso derivante da teorie moderne danno come risultato 221 giorni e 7 1
giorni rispettivamente {p. 202). Per quanto riguarda Marte, l'iscrizione
indica 349 giorni fra congiunzione e stazione e 82 giorni per la retro­
gradazione fra stazioni, cifre perfettamente in linea con i valori corretti,
che ammontano rispettivamente a 354 e 72 giorni {p. 203). Quanto a
Giove, i 1 3 9 giorni segnalati dall'iscrizione per l'intervallo fra congiun-
VAGABONDI CELESTI 241

zione e stazioni corrispondono perfettamente, senza nemmeno un giorno


di differenza, con i calcoli moderni. L'iscrizione suddivide l'intervallo di
retrogradazione di Giove in tre parti: 8 giorni di stazionamento effettivo,
1 04 giorni di moto retrogrado, altri 8 giorni di stazionamento effettivo
per un totale di 1 20 giorni: ancora una volta, ci troviamo di fronte a
una stima quasi esatta (a causa dell'omissione delle frazioni di giorno, la
somma di tutti gli intervalli del moto di Giove dà un periodo sinodico di
soli 398 giorni, mentre la stima esatta è 399). Non è possibile che numeri
così precisi siano stati tratti dall'osservazione del meccanismo in azione.
È invece molto probabile che siano stati calcolati matematicamente a
partire dalle ipotesi di base.
Riassumendo, tutto sembra indicare che il meccanismo planetario
rappresentasse un semplice sistema di ipotesi epicicliche o eccentriche,
fondate su relazioni periodiche molto precise e su valori adeguati per i
rapporti fra i moti circolari. Si trattava quindi di una teoria geometrica
greca, il cui legame con l'astronomia babilonese è molto tenue. Ma pos­
siamo anche considerarla come una teoria astronomica all'avanguardia
per l'inizio del I secolo a.C. ? Per quanto riguarda un aspetto molto im­
portante, la risposta è no: le teorie alla base del meccanismo non teneva­
no conto dell'anomalia zodiacale e finivano così per incorporare proprio
quei difetti che lpparco aveva condannato vari decenni prima. Lo stato
attuale delle nostre conoscenze non ci permette di stabilire se ciò dipenda
semplicemente dal fatto che non erano ancora state elaborate teorie pla­
netarie di maggior successo. È anche possibile che il progettista non fosse
al corrente dei nuovi sviluppi o che non fosse in grado di rappresentarli
da un punto di vista meccanico.
In uno dei suoi ultimi lavori, le Ipotesi planetarie, Tolomeo critica il
"modo consueto" di realizzare meccanismi astronomici, cui attribuisce
due difetti principali: non rappresentavano correttamente le ipotesi teo­
riche e mostravano le apparenze al posto della realtà. Da questo punto
di vista, il meccanismo di Anticitera aveva entrambi i difetti. Da un lato,
le ipotesi planetarie su cui era fondato erano troppo semplici, dall'altro,
il quadrante anteriore cercava di mostrare solo le direzioni del moto dei
pianeti rispetto alla terra e le loro distanze relative.48 Secondo Tolomeo,
un meccanismo di tal genere avrebbe rappresentato un'esibizione di abi­
lità tecnica e non l'illustrazione di una verità astronomica: un giudizio
piuttosto severo, soprattutto perché il suo autore non fornisce nessuna
indicazione concreta riguardo al procedimento da seguire per costruire
un dispositivo che sia di suo gradimento. Di certo, sarebbe stato pratica­
mente impossibile mostrare una cosmologia unitaria, in cui tutti i corpi
242 CAPITOLO 7

celesti si spostano contemporaneamente sui loro epicicli e sulle loro or­


bite eccentriche. Il progettista del meccanismo non avrebbe nemmeno
potuto riprodurre le proporzioni in scala presupposte dalle ipotesi. In
effetti, sarebbe stato impossibile disporre le sferette dei corpi celesti in
modo tale che la loro distanza rispetto al centro del quadrante riflettesse
la loro distanza media reale dal centro della terra: continuando a rac­
chiudere orbite epicicliche ed eccentriche l'una dentro l'altra si arriva a
una crescita quasi esponenziale delle sfere che costituiscono il sistema
planetario completo - tanto per citare un esempio, Saturno dovrebbe
essere 75 volte più lontano dal centro rispetto a Mercurio! Per quanto
riguarda i pianeti, il meccanismo di Anticitera aveva quasi raggiunto il
limite oltre il quale la tecnologia antica non era più in grado di stare al
passo con l'astronomia contemporanea - perlomeno non in un singolo
dispositivo.
8
Ingranaggi nascosti

Segreti nella scatola


La più antica allusione della letteratura antica a qualcosa che somigli a un
meccanismo a ingranaggi proviene da un'opera intitolata Meccanica (o Pro­
blemi meccanici). Questo trattato ci è stato trasmesso sotto il nome di Ari­
stotele, ma è ormai opinione diffusa che sia stato composto da un filosofo
sconosciuto della fine del IV o dell'inizio del m secolo a.C. L'autore sostiene
che tutti i dispositivi meccanici, comprese le bilance e le leve, si fondano su
cerchi e moti circolari. In particolare, uno degli aspetti essenziali del moto
circolare sarebbe il fatto che, alle due estremità di qualsiasi diametro di un
cerchio, si registrano movimenti in direzioni opposte. A quanto ci dice l'au­
tore, questo principio era stato spesso sfruttato dagli inventori:1

Alcuni fanno in modo che a partire da un solo movimento molti cerchi si


muovano contemporaneamente in direzioni contrarie, come quelle rotelle
di bronzo o di ferro fatte per essere dedicate nei templi. Sia AB un cerchio
e CD un altro cerchio a contatto con esso: se il diametro del cerchio AB
si muove in avanti, il diametro CD si muoverà indietro relativamente al
cerchio AB, continuando il diametro a muoversi intorno allo stesso punto.
Il cerchio CD sì muoverà allora in direzione opposta al cerchio AB; e dì
nuovo per la stessa ragione, esso metterà in movimento in direzione oppo­
sta alla propria il cerchio adiacente EF. La modalità è la stessa anche nel
caso che i cerchi siano molti: basta che uno solo sia messo in movimento
per ottenere questo stesso risultato. Gli artigiani sfruttano questa proprietà
del cerchio e costruiscono uno strumento nascondendo il principio su cui il
meccanismo si basa, in modo che sia visibile solo quella parte del congegno
che suscita meraviglia, ma ne sia nascosta la causa.

Nella forma in cui ci è stata trasmessa, la Meccanica è priva di dia­


grammi, ma l'autore aveva senza dubbio in mente una situazione si­
mile a quella mostrata dalla figura 8.1 : abbiamo tre ruote montate su
degli assi, le cui circonferenze si toccano reciprocamente, di modo che,
244 CAPITOLO 8

Figura 8 . 1 . Diagramma delle ruote adiacenti descritte dallo Pseudo-Aristotele,


Meccanica 848a.

ad esempio, una rotazione in senso antiorario della ruota più a sinistra


causa una rotazione in senso orario della ruota centrale e una rotazione
in senso antiorario della ruota più a destra. L'autore vuole mettere in
evidenza i concetti di trasmissione del moto rotatorio e di alternanza dei
sensi di rotazione. Per quanto ci riguarda, però, il suo esempio tratto dal
"mondo reale" è particolarmente interessante: egli menziona infatti dei
dispositivi, custoditi nei templi, che erano capaci di produrre un effetto
stupefacente tramite contatti fra ruote invisibili allo spettatore.
Ma di che genere di dispositivi si tratta ? Anche altri autori antichi
fanno riferimento a ruote collocate nei templi, soprattutto in Egitto. Una
delle testimonianze più significative è quella di Erone di Alessandria, uno
scrittore di opere meccaniche della fine dell'epoca ellenistica o dell'inizio
dell'età romana. In una delle sue opere, Erone fa riferimento a una ruo­
ta chiamata hagnisterion ( "strumento per purificazioni" ), che, a quanto
pare, si trovava nell'ingresso dei templi e aveva la capacità di purificare il
visitatore che l'avesse fatta girare.2 Erone descrive due modi in cui queste
ruote potevano essere collegate a un meccanismo in modo da produrre
effetti stupefacenti. In alcuni casi, quando la ruota girava, dell'acqua
purificatrice iniziava a sgorgare da un tubo collocato sull'asse della ruota
stessa. In altre circostanze, invece, un uccello giocattolo (a quanto pare,
una capinera) cominciava a girare tutt'intorno e a cantare: tale effetto
era generato da un meccanismo che includeva due ruote dentate che si
innestavano l'una nell'altra ad angolo retto. Probabilmente, i dispositivi
noti all'autore della Meccanica erano molto più semplici, ma il concetto
era comunque lo stesso: si trattava di congegni che facevano qualcosa di
inaspettato e apparentemente magico, la cui connessione con l'impulso
originario impartito dalla mano dell'osservatore era invisibile.
INGRANAGGI NASCOSTI 245

La letteratura tecnica degli antichi Greci sui dispositivi meccanici si


divide fra descrizioni di strumenti dotati di utilità pratica (artiglieria,
strumenti di rilevamento) e illustrazioni di macchine strabilianti che, a
quanto pare, venivano prodotte in gran varietà, sia a scopi di intrat­
tenimento, sia per fini più solenni. I congegni strabilianti impiegavano
elementi idraulici e pneumatici, nonché altri elementi meccanici quali
pistoni, galleggianti, corde, pesi e pulegge e, di tanto in tanto, ingranag­
gi: tutti questi elementi erano sempre nascosti all'interno di una custodia
che poteva essere costituita da una semplice scatola o da qualcosa di
più decorativo, come ad esempio un'urna o l'imitazione di una colonna
architettonica. Il lettore di opere come quella di Erone veniva iniziato ai
misteri del funzionamento di simili congegni ma, perché il gioco funzio­
nasse, il grande pubblico doveva esserne tenuto all'oscuro. Nascondere
il meccanismo significava enfatizzare l'effetto piuttosto che i sistemi im­
piegati per raggiungerlo. Era anche un modo per proteggere da eventuali
imitatori sia il possessore di un dispositivo originale, sia il suo ideatore.
Se si considera quello che mostravano, le due facce del meccanismo
costituiscono due dispositivi di tipo diverso. I quadranti del pannello po­
steriore erano rappresentazioni spaziali astratte di intervalli temporali,
misurati secondo cicli diversi: si giustifica così l'espressione "calendario
computerizzato" coniata da Derek de Solla Price. L'esempio più affine
che si possa trovare nella letteratura meccanica antica è rappresentato
dagli odometri descritti da Vitruvio ed Erone: questi oggetti rappresen­
tavano in modo astratto la distanza percorsa tramite le indicazioni di
lancette su quadranti o l'accumularsi di ciottoli in un contenitore.3 D'al­
tro canto, il quadrante anteriore del meccanismo era una raffigurazione
visiva del cosmo in movimento. Tale rappresentazione era un ibrido: era
in parte " realistica ", nella misura in cui mostrava i corpi celesti che ruo­
tavano intorno alla terra secondo quella che si riteneva essere la corretta
sequenza delle loro distanze relative; era però anche una rappresentazio­
ne "fenomenologica " , visto che mostrava le direzioni in cui i corpi celesti
si muovevano rispetto a un osservatore terrestre, ma non i loro presunti
moti tridimensionali. Se si tiene conto di questo compromesso, si può
osservare che il quadrante planetario non era altro che un'imitazione
della natura: da questo punto di vista, merita senz'altro di essere inserito
nel nutrito gruppo delle macchine strabilianti antiche, come la capinera
canterina di Erone, che lasciava senza parole lo spettatore imitando la
natura vivente. Quanto alla serietà della funzione di questi dispositivi,
ovviamente non c'è paragone: sarebbe stato davvero difficile insegnare la
zoologia con gli uccellini cinguettanti e i draghi sibilanti di Erone!
246 CAPITOLO 8

Quando gli autori antichi alludono ai meccanismi astronomici, li de­


scrivono sempre come planetari.4 Questo non significa che i dispositivi
che avevano visto - o, come accade più spesso, di cui avevano letto o
sentito parlare - fossero privi di quadranti cronologici. Nel caso di un
oggetto dotato di entrambi gli elementi, sarebbe stata l'immagine mobile
del cosmo a colpire maggiormente l'immaginazione. La curiosità e l'am­
mirazione che oggi nutriamo nei confronti del meccanismo di Anticitera
e di altre antiche sphairai meccaniche tende a concentrarsi soprattutto
sull'aspetto tecnologico: come funzionavano? E come furono inventate?
Queste domande avrebbero interessato, da un punto di vista professio­
nale, anche gli antichi artigiani, ma gli utenti delle sphairai avevano ben
altre esigenze. Chiunque avesse utilizzato una sphaira solo come una
sorta di calcolatore astronomico - sempre supponendo che questa fosse
una delle applicazioni previste, il che è tutt'altro che certo - si sarebbe
preoccupato soltanto dei dati mostrati dai quadranti. Un insegnante di
astronomia elementare che lo avesse utilizzato per illustrare le proprie
lezioni avrebbe voluto che gli studenti si concentrassero sui vari qua­
dranti, intesi come una sorta di simulazione accelerata dei moti celesti, e
non certo sugli ingranaggi che rendevano possibile tale simulazione. Agli
occhi di un filosofo come Cicerone, la presenza stessa delle sphairai era
una prova dell'esistenza di un divino artefice o, perlomeno, della presen­
za di una scintilla di ingegno divino nella mente del costruttore umano:
quello che gli interessava era l'idea di un complesso di moti coordinati
e azionati da un unico impulso in virtù della previdenza di un intelletto
divino; di certo non si curava dei sistemi adottati per raggiungere tale
effetto. Per tutti questi utenti, era preferibile tenere la scatola chiusa,
letteralmente o metaforicamente.
Fino a questo momento, abbiamo esaminato il meccanismo di Antici­
tera assumendo per lo più la prospettiva dei suoi fruitori antichi; ci siamo
perciò concentrati sui vari fenomeni illustrati e sul loro rapporto con la
cultura e la scienza ellenistiche. In questo capitolo apriremo la scatola e
vedremo come le funzioni del meccanismo fossero realizzate tramite una
combinazione creativa di principi astronomici, matematici e meccanici.

L 'aritmetica degli ingranaggi rotanti


Buona parte del funzionamento del meccanismo di Anticitera dipendeva
dall'impiego di due sistemi basilari per il collegamento di due o più ruote
o ingranaggi: fissarli sullo stesso asse (o "albero ", per usare la termino­
logia dell'orologeria meccanica ) o collocarli l'uno accanto all'altro sullo
INGRANAGGI NASCOSTI 247

stesso piano ma su alberi separati, in modo che la rotazione della peri­


feria di un ingranaggio mettesse in moto la periferia di quello adiacente
tramite l'innesto dei denti.
Se gli ingranaggi sono fissati a un albero comune, farne ruotare uno
farà naturalmente ruotare anche gli altri nello stesso senso e con la stessa
velocità di rotazione. Ovviamente, gli ingranaggi montati sullo stesso al­
bero hanno lo stesso asse di rotazione, ma non sempre la stessa velocità
di rotazione. In alcune circostanze può essere desiderabile avere due o più
ingranaggi che, pur ruotando su un unico asse geometrico, hanno diverse
velocità di rotazione, ad esempio per azionare le lancette che rappresenta­
no il moto di diversi corpi celesti su uno stesso quadrante. A questo scopo,
un albero può assumere la forma di un cilindro vuoto, definito "albero
tubolare", attraverso cui può essere fatto passare un secondo albero a
rotazione libera (figura 8 .2). La progettazione del meccanismo include nu­
merosi sistemi di alberi tubolari come quello appena illustrato.
Un sistema di ingranaggi dentati che si innestano l'uno nell'altro tra­
mite i loro denti non è altro che un ampliamento dell'idea delle ruote
adiacenti esposta nella Meccanica aristotelica. Prendiamo una coppia di
ruote adiacenti: posto che non si verifichi nessuno slittamento fra le loro
superfici, qualsiasi punto della periferia delle due ruote si muoverà esat­
tamente alla stessa velocità, definita come la distanza percorsa nell'unità
di tempo. Se le ruote hanno lo stesso raggio, anche i loro periodi di rota­
zione saranno identici (anche se le rotazioni avranno direzioni opposte).

Figura 8 .2. L'albero tubolare permette a due alberi di avere moti diversi, pur
condividendo lo stesso asse.
248 CAPITOLO 8

Se le ruote hanno raggi diversi, il periodo di rotazione di ciascuna sarà


proporzionale alla sua circonferenza, ovverosia al suo raggio. Ad esem­
pio, una ruota dal raggio di 1 2 unità che compie una rotazione completa
ogni tre secondi farà sì che una ruota adiacente con un raggio da 8 unità
compia una rotazione completa ogni due secondi. Non importa quale sia
il rapporto fra i due raggi: può trattarsi persino di un numero irrazionale
come il rapporto fra la radice quadrata di due e uno.
In qualsiasi situazione della vita reale, però, lo slittamento è inevi­
tabile. Uno slittamento moderato non sarebbe stato un problema per
chi avesse mirato soltanto a ottenere un movimento inaspettato in un
punto lontano dalla ruota azionata da un visitatore eventuale. Tuttavia,
l'artigiano che costruiva simili dispositivi avrebbe ben presto capito che
sarebbe stato possibile ridurre lo slittamento dotando le ruote di una
superficie ruvida; questa constatazione avrebbe condotto alla produzio­
ne di ruote dotate di razze o denti, la soluzione ideale per eliminare lo
slittamento in modo efficace (figura 8.3).
Uno speciale caso di innesto tramite denti si verifica quando uno de­
gli ingranaggi coinvolti è dotato di dentatura frontale: in questo tipo di
ingranaggio, i denti sono disposti lungo la periferia del disco circolare,
ma sporgono ad angolo retto rispetto al piano del disco. Se un ingra­
naggio a dentatura frontale aziona o è azionato da un ingranaggio con­
venzionale, il suo asse di rotazione è disposto ad angolo retto rispetto
all'asse dell'ingranaggio convenzionale ( figura 8.4). Anche se quasi tutti
gli ingranaggi del meccanismo ruotavano su piani paralleli rispetto ai
pannelli anteriore e posteriore, c'erano anche due ingranaggi a dentatura
fontale: uno aveva il compito di introdurre l'impulso motorio provenien-

Figura 8.3, Tre ingranaggi collegati tramite innesto a denti.


INGRANAGGI NASCOSTI 249

te dal lato del meccanismo, mentre l'altro faceva ruotare la piccola sfera
che rappresentava le fasi lunari sul quadrante anteriore.
I denti degli ingranaggi del meccanismo di Anticitera hanno forma trian­
golare, quasi a costituire una serie di triangoli equilateri. I pochi meccani­
smi dotati di ingranaggi che ci sono stati tramandati dalla tarda antichità
(ad esempio una meridiana meccanica portatile di epoca bizantina, risalen­
te al V o VI d.C. e conservata presso il Museo della Scienza di Londra) o
dal Medioevo islamico (ad esempio l'astrolabio meccanico di Muhammad
b. Abi Bakr, risalente al 1221/1222 d.C. e conservato presso il Museo della
Storia della Scienza di Oxford) hanno denti dalla forma simile. Anche i dia­
grammi degli antichi testi meccanici conservati dai manoscritti medievali
rappresentano i denti degli ingranaggi come degli oggetti dalla forma trian­
golare.5 Si tratta però di una forma tutt'altro che ideale: se gli ingranaggi
innestati sono troppo vicini, si possono inceppare, mentre se sono troppo
lontani, le loro prestazioni risultano discontinue, senza contare che non c'è
sufficiente contatto per la trasmissione della forza motrice.
Quando gli ingranaggi dentati si innestano, il rapporto fra i loro pe­
riodi di rotazione non è più determinato dai loro raggi, ma equivale al
rapporto fra il numero dei loro denti, che deve necessariamente essere un
rapporto fra numeri interi. Poiché i denti dei due ingranaggi devono avere
più o meno le stesse dimensioni per potersi incastrare in modo efficace,
questo rapporto sarà quasi uguale al rapporto fra i raggi, anche se con un
certo margine di differenza. Per poter esprimere dei problemi astronomici
tramite un sistema di ingranaggi è quindi necessario trovare delle combi­
nazioni di rapporti fra numeri interi che, se moltiplicate, rappresentino

Figura 8.4. Innesto fra un ingranaggio a dentatura frontale e un convenzionale


ingranaggio planare.
250 CAPITOLO 8

perfettamente, o il più precisamente possibile, i rapporti intrinseci ai fe­


nomeni astronomici. È anche importante che questi numeri diano origine
a ingranaggi di dimensioni ragionevoli. Se un ingranaggio non ha abba­
stanza denti, non si innesterà in modo adeguato; se ne ha troppi, finirà
per essere troppo grande sia rispetto alle altre componenti, sia rispetto al
dispositivo nel suo complesso. Il più piccolo ingranaggio del meccanismo
aveva solo 12 denti, mentre il più grande doveva averne 223 o 224.
Una sequenza di innesti fra ingranaggi collocati su uno stesso piano,
come le tre ruote adiacenti citate nell'esempio della Meccanica, non mol­
tiplicherà i rapporti: in effetti, i contributi degli ingranaggi intermedi si
annullano. Ad esempio, nella figura 8 .5, un ingranaggio a 60 denti che
ruota con un periodo di 8 secondi fa ruotare un ingranaggio a 30 denti
in modo tale che il suo periodo sia di quattro secondi; a propria volta,
questo secondo ingranaggio ne fa ruotare un terzo, dotato di 90 denti, in
modo tale che il suo periodo sia di 12 secondi. Questo è esattamente lo
stesso periodo che si otterrebbe se il primo e il terzo ingranaggio fossero
direttamente innestati uno nell'altro, senza ingranaggio intermedio, con
la sola differenza che il senso di rotazione dell'ingranaggio finale è in­
vertito. In generale, una qualsiasi serie di ingranaggi intermedi (chiamati
"ingranaggi folli " ) non ha alcun effetto sul rapporto fra i periodi del
primo e dell'ultimo ingranaggio del treno; tuttavia, se gli ingranaggi in­
termedi sono in numero pari, il primo e l'ultimo ingranaggio ruoteranno
in direzioni opposte; al contrario, se il numero di ingranaggi intermedi
è dispari, l'ultimo ingranaggio ruoterà nella stessa direzione del primo.
La moltiplicazione si ottiene con un treno di ingranaggi composto,
dove la trasmissione del moto non avviene soltanto tramite innesti fra
ingranaggi, ma anche tramite sistemi di alberi. Un semplice meccanismo
basato su questo principio è il baroulkos ( "sollevatore di pesi" ), descritto
in numerose occasioni da Erone e Pappo di Alessandria (a dire il vero, si
tratta di un esempio da manuale e non di un dispositivo in grado di fun­
zionare nel "mondo reale", soprattutto con i materiali di cui disponevano
gli antichi).6 La figura 8.6 illustra in modo schematico la struttura di base
del baroulkos (nella presente discussione, così come in quelle che seguiran­
no, gli ingranaggi che si trovano sullo stesso asse sono contrassegnati dalla
stessa lettera, seguita da un numero diverso per ciascun ingranaggio della
serie). Ogni coppia di ingranaggi (al e a2, bl e b2 e così via) è montata
su un albero comune in modo tale che i loro periodi di rotazione siano
uguali. L'ingranaggio a2 si innesta con bl, b2 si innesta con cl e così via.
Invece di terminare in un piccolo ingranaggio, l'albero all'estrema destra
è dotato di un asse intorno a cui si avvolge una corda, che va assicurata
INGRANAGGI NASCOSTI 251

a qualsiasi oggetto si desideri sollevare. In questo esempio, tutti gli ingra­


naggi più grandi hanno 60 denti, mentre tutti gli ingranaggi più piccoli ne
hanno 30. Se l'ingranaggio a l viene azionato da un agente esterno, a2 farà
ruotare b l in modo tale che il suo periodo sia il doppio rispetto a quello
di al, e avanti così per tutto il treno di ingranaggi fino a che el e l'asse
di sollevamento a esso collegato non ruoteranno con un periodo 16 volte
superiore rispetto a quello di a l . Tuttavia, lo scopo del dispositivo non era
quello di rallentare in modo esponenziale la velocità di rotazione, ma di
sfruttare il conseguente aumento di potenza: il peso attaccato alla corda
può essere sollevato esercitando una forza equivalente a poco più di un
sedicesimo del suo peso, anche se ci vorranno molti giri di a l per spostare
il carico di una distanza ridotta.
La struttura del baroulkos è definita "demoltiplicatore" perché, a
ogni innesto, il moto viene trasferito dagli ingranaggi più piccoli a quelli
più grandi. Se il dispositivo fosse azionato al contrario, con l'ingranag­
gio el come ingranaggio motore, avremmo invece un "moltiplicatore" .

Figura 8.5. Treno d i ingranaggi composto esclusivamente d a innesti a denti.

Figura 8.6. Treno d'ingranaggi del baroulkos.


252 CAPITOLO 8

Un treno di ingranaggi formato da una serie di moltiplicatori, come il


baroulkos usato all'inverso, converte una lenta rotazione di ingresso in
una rotazione di uscita più veloce. Questo tipo di treno richiede uno
sforzo decisamente maggiore per essere messo in funzione ed è possibile
che gli ingranaggi finiscano per incepparsi o subire una sollecitazione ec­
cessiva. In un meccanismo astronomico, il funzionamento sarà più fluido
se il movimento in uscita è concepito per essere più lento, o non molto
più veloce, rispetto al moto rotatorio in ingresso.
L'idea di usare un sistema di ingranaggi per compiere calcoli ana­
logici è già insita, anche se in modo molto semplificato, negli odometri
descritti da Vitruvio ed Erone. La versione più chiara è rappresenta­
ta dall'odometro terrestre di Erone. Invece di impiegare innesti di ruo­
te dentate collocate sullo stesso piano, il dispositivo di Erone si basa
sull'innesto di un ingranaggio elicoidale a vite ( " vite senza fine") con una
ruota dentata (figura 8. 7). La rotazione di una vite senza fine fa sì che
l'ingranaggio innestato ruoti di un intervallo corrispondente a un dente;
di conseguen�a, ogni innesto moltiplica il periodo di rotazione di un nu­
mero pari al numero dei denti, rendendo possibile una demoltiplicazione
più consistente rispetto a quella generata dalle coppie di ruote dentate.
Nell'odometro, l'albero di ogni ruota dentata è provvisto di una vite sen­
za fine, che si innesta a propria volta con la ruota dentata seguente, e così
via. Ogni albero sporge dalla scatola che contiene il meccanismo: in tal
modo, un puntatore fissato alla sua estremità può indicarne le rivoluzio­
ni su un quadrante graduato diviso in tante sezioni quanti sono i denti
della ruota dentata. Siccome ogni innesto comporta una rotazione di 90°

Figura 8. 7. Innesto fra vite senza fine e ruota dentata.


INGRANAGGI NASCOSTI 253

nell'orientamento degli elementi rotanti, i quadranti devono trovarsi su


facce diverse della scatola. Supponiamo che ci siano tre quadranti e che il
numero dei denti degli ingranaggi corrisponda a 60: l'ultimo quadrante
misurerebbe la distanza percorsa in unità equivalenti a 3600 rotazioni
d'ingresso della vite senza fine, fino a un massimo di 2 1 6.000; il qua­
drante di mezzo, la misurerebbe in unità equivalenti a 60 rotazioni, fino
a un massimo di 3600; l'ultimo quadrante, infine, in unità pari a un'uni­
ca rotazione, fino a un massimo di 60.
L'accoppiamento vite senza fine-ruota dentata di cui parla Erone è
adatto a un dispositivo concepito per contare numeri estremamente ele­
vati di rotazioni in ingresso. In linea di principio, gli stessi quadranti po­
trebbero essere azionati da un sistema di ingranaggi composto analogo a
quello del baroulkos. Ma in questo caso, per realizzare delle riduzioni di
u n fattore pari a 60 sarebbero necessarie due o tre coppie di ingranaggi,
in cui i rapporti fra il numero dei denti dovrebbero essere, tanto per fare
un esempio, 1 : 3, 1 :4 e 1 :5. Nel meccanismo di Anticitera, la riduzione
massima della rotazione in ingresso era di un fattore poco superiore a
350 e non prevedeva l'utilizzo di viti senza fine.

Moti uniformi nel meccanismo


Gli alberi della maggior parte degli ingranaggi del meccanismo erano
montati su una lastra metallica, chiamata "lastra di base", collocata fra
i pannelli anteriore e posteriore e parallela rispetto a essi. A quanto pare,
alla lastra di base erano collegati 14 assi: nelle ricostruzioni moderne
sono designati tramite le lettere da b a i e da l a q.7 Nella maggior parte
dei casi, si trattava di semplici alberi, ma l'asse e era un albero tubolare
che racchiudeva un secondo albero; l'asse b, invece, era costituito da un
semplice albero nel punto in cui era fissato alla lastra di base, ma presen­
tava una serie di alberi tubolari racchiusi l'uno nell'altro man mano che
ci si avvicinava al pannello anteriore. Quest'asse costituiva il centro del
quadrante dello zodiaco e i diversi alberi al suo interno rappresentavano
i moti geocentrici apparenti del sole, della luna e dei pianeti.
Ci si può fare un'idea della complessità di questo sistema di funziona­
mento osservando la figura 8.8, in cui si mostrano gli ingranaggi che sono
stati ricostruiti per le funzioni solare, lunare e calendriche del meccanismo;
le figure 8.9, 8.10 e 8 . 1 7 mostrano invece gli ingranaggi sopravvissuti, in
alcuni casi solo in forma di frammenti, davanti e dietro alla lastra di base
del frammento A: in queste tre figure gli ingranaggi sono proiettati su un
unico piano. Per coerenza, tutti questi diagrammi mostrano la disposizio-
254 CAPITOLO 8

ne degli ingranaggi come se li si osservasse dal retro. Le diverse sfumature


di grigio indicano i diversi livelli su cui si trovavano gli ingranaggi: le sfu­
mature più chiare sono state riservate agli ingranaggi più vicini alla lastra
di base. Tuttavia, questi diagrammi non sono molto utili per capire cosa
facessero i vari ingranaggi. Nelle pagine seguenti, illustrerò i singoli treni
di ingranaggi tramite diagrammi schematici che rappresentano le connes­
sioni fra ingranaggi, ma non i loro rapporti spaziali.
Per quanto riguarda la maggior parte del suo sistema di funzionamento,
inclusi i quadranti dei cicli temporali sul pannello posteriore, il meccanismo
era essenzialmente un cugino più elaborato di un odometro o di un ba­
roulkos. Gli elementi che lo distinguevano da questi dispositivi erano essen­
zialmente due. In primo luogo, il meccanismo impiegava treni di ingranaggi
ramificati che conducevano da un unico movimento in ingresso a numerosi
movimenti in uscita (al contrario, i diversi quadranti dell'odometro di Erone

Figura 8.8. Vista esplosa degli ingranaggi che attivano i quadranti calendrici e
i dispositivi di visualizzazione dei fenomeni solari e lunari. La lastra dì base è
rappresentata dal rettangolo trasparente al centro. Gli ingranaggi in grigio scu­
ro si sono conservati almeno in parte, mentre quelli in grigio chiaro sono stati
integrati per completare i treni. Essendo il risultato di congetture, il quadrante
callippìco e i quattro ingranaggi che avrebbero dovuto attivarlo sono stati omes­
si (immagine e copyright di M.G. Edmunds) .
INGRANAGGI NASCOSTI 255

rappresentavano fasi diverse di un singolo treno di ingranaggi). In secondo


luogo, i rapporti fra i vari movimenti in uscita, sempre equivalenti a numeri
interi, dovevano avere un preciso valore astronomico o cronologico.
Per provare a capire cosa questo comportasse per il progettista, pro­
viamo a immaginare quali elementi sarebbero necessari per la realizza­
zione di una versione semplificata del meccanismo. In particolare, imma­
giniamo che questa variante sia provvista della stessa serie di quadranti
posteriori rispetto all'originale, ma che il suo pannello anteriore sia do­
tato solo di lancette che mostrano il moto medio del sole e della luna,
senza alcuna rappresentazione meccanica delle loro anomalie. L'unica
nozione astronomica presupposta da queste funzioni è rappresentata
dalle due relazioni periodiche seguenti, che derivano dal ciclo metonico
di 19 anni e dal ciclo delle eclissi di Saros:
19 anni solari = 235 mesi lunari = 254 rivoluzioni lunari intorno
allo zodiaco
223 mesi lunari = 1 Saros = 1!J Exeligmos = 239 mesi anomalistici

Possiamo anche supporre che una decisione fondamentale relativa alla


progettazione sia stata presa fin dalle fasi iniziali: la rotazione motrice pri­
maria doveva essere costituita da un ingranaggio (o da una serie di ingra­
naggi fissati a un albero comune) che avrebbe rappresentato la rivoluzione
annuale del sole intorno allo zodiaco. Nel meccanismo, questa funzione
è svolta dall'ingranaggio b l . Si tratta del grande ingranaggio a forma di
anello con due raggi perpendicolari che risalta in modo particolare sul
frammento A-1 (figura Ml ). Era attivato da un più piccolo ingranaggio
a dentatura frontale che trasmetteva il movimento in ingresso provenien­
te dalla manopola o manovella collocata sul lato del meccanismo (figure
3.5 e 3.6). Dopo aver preso come punto di partenza un'unica rotazione
completa di b l in senso orario, che sul pannello anteriore del meccanismo
sarebbe apparsa come il trascorrere di un anno solare, il problema consi­
steva nel concepire treni di ingranaggi che, diramandosi dall'albero di bl,
convertissero gli anni solari nelle unità di tempo rappresentate dagli altri
quadranti. Il senso di rotazione delle lancette era una limitazione ulteriore:
la lancetta lunare sul pannello anteriore doveva ruotare in senso orario,
come quella solare; per quanto riguarda i quadranti del pannello posterio­
re, è evidente che, anche in questo caso, il progettista aveva privilegiato le
rotazioni in senso orario. Di conseguenza, un treno che conduceva a una
lancetta sul pannello anteriore doveva avere un numero pari di innesti,
mentre una rotazione in senso orario di una lancetta del pannello poste­
riore richiedeva un numero dispari di innesti.
256 CAPITOLO 8

bi

Figura 8.9. Gli ingranaggi del frammento A situati davanti alla lastra d i base,
rappresentati come se visti dal retro. Le sfumature più chiare di grigio sono riser­
vate agli ingranaggi più vicini alla lastra di base.

Adesso possiamo passare ai requisiti ·specifici di ciascun elemento


visibile del meccanismo, analizzando caso per caso il modo in cui erano
tradotti in pratica.
Lancetta del sole medio sul quadrante dello zodiaco. Questo è l'ele­
mento più banale: la lancetta è fissata all'albero di b l .
Lancetta della luna media sul quadrante del/t> zodiaco. L a lancetta
deve compiere 254 rotazioni in senso orario intorno al quadrante nello
stesso lasso di tempo che b1 impiega per compierne 19. Perciò, il rappor­
to fra i due periodi deve essere 19:254. Probabilmente, un ingranaggio
a 254 denti sarebbe stato considerato troppo grande (b1, l'ingranaggio
più grande, era dotato di 223 o 224 denti). I fattori primi di 254 sono 2 e
127; perciò, l'ingranaggio motore di una coppia innestata doveva neces-
INGRANAGGI NASCOSTI 257

Figura 8 . 1 0. Gli ingranaggi del frammento A situati dietro alla lastra di base,
rappresentati come se visti dal retro. In questo diagramma non compaiono e5,
e6 e k2, per cui si veda la figura 8.16. Le sfumature più chiare di grigio sono
riservate agli ingranaggi più vicini alla lastra di base.

sariamente avere 1 2 7 denti. Quanto all'ingranaggio condotto, avrebbe


dovuto avere un numero di denti pari a 19 o a un suo multiplo. Siccome
1 9 è un numero di denti troppo ridotto per un ingranaggio, possiamo
scegliere 38, il più piccolo multiplo accettabile. Se avessimo soltanto una
coppia di ingranaggi il cui numero di denti ammonta rispettivamente a
3 8 e 1 27, ne risulterebbe un rapporto quattro volte superiore a quello
desiderato. Di conseguenza, bisogna inserire degli ingranaggi aggiuntivi
che, collettivamente, generino un rapporto di 1 :4. Il numero di denti di
questi ingranaggi aggiuntivi può essere scelto in modo completamente
arbitrario.
La soluzione adottata dal progettista, escluse le componenti aggiun­
tive che generano l'anomalia lunare (le quali si inseriscono fra gli in-
258 CAPITOLO 8

granaggi e2 e e l ), è illustrata in modo schematico nella figura 8 . 1 1 . In


questo diagramma, così come negli altri diagrammi raffiguranti treni di
ingranaggi, le linee verticali indicano gli ingranaggi fissati a uno stesso
albero; inoltre, l'ingranaggio motore è sempre in alto a sinistra. L'in­
granaggio b2 è fissato allo stesso albero di hl (non mostrato nell'im­
magine); nel nostro meccanismo semplificato, sarebbe l'albero di b3 ad
azionare la lancetta della luna media. Vale la pena notare che questo
schema implica una notevole moltiplicazione dei rapporti: non poteva
essere altrimenti, visto che la velocità media del moto lunare è più di 1 3
volte superiore a quella del moto solare. Si consideri anche che sarebbe
stato possibile concepire uno schema con meno ingranaggi, ad esempio
usando solo due coppie di ingranaggi, con un numero di denti pari a 96
e 38 o 127 e 24. La sollecitazione sarebbe stata parzialmente mitigata
dalla demoltiplicazjone fra l'ingranaggio di avvio a dentatura frontale e
hl, il che avrebbe impedito all'operatore di far funzionare il meccanismo
a una velocità eccessiva.
Quadrante metonico. Il quadrante metonico divide il ciclo di 1 9 anni
in 5 sottocicli di 4 7 mesi ciascuno, cosicché, per ogni sottociclo, si os­
serva la stessa sequenza di mesi pieni e vuoti. Perciò il puntatore deve
compiere un'intera rotazione, preferibilmente in senso orario rispetto
al retro del meccanismo (è evidente che il progettista preferiva che le
lancette ruotassero in questo senso), ogni 19/s rotazioni di hl. Si tratta
di un rapporto facile da ottenere. Sarebbe bastata un'unica coppia di

b2 c==xl-") d

c2 ('""--;;;-):'.:��) d l
..._ �--r"

' ,....- •-•rr__.


�rJ_,..-------. ......
�.......
"'-...-.
.w "'-•·�

d2 ( 117 -.,.):�- 32 �> e2


.,ll-,._• L......_, ..... /
....-·
l
--
-. ...'1....,._..___�-�_,.-,.....
..._
l
el <:>2�·:x:_}.L) b3

Figura 8 . 1 1 . Treno di ingranaggi della lancetta lunare. È stato omesso il disposi­


tivo per l'anomalia lunare, collocato fra e2 ed el.
INGRANAGGI NASCOSTI 259

ingranaggi con un elemento a 95 denti e l'altro a 25. Come mostrato


nella figura 8.12, il progettista ha usato tre coppie. Il treno inizia con lo
stesso ingranaggio b2 della lancetta lunare. L'ingranaggio con cui b2 si
innesta, Il, ha lo stesso numero di denti (38) dell'ingranaggio corrispon­
dente nel treno della lancetta lunare, cl: questo accade perché bisogna
nuovamente ottenere il fattore 1 9. Gli ingranaggi 12 e n 1 (l'ultimo dei
quali non si è conservato, ma è stato congetturato da Michael Wright)
si annullano a vicenda, se si eccettua il fatto che invertono il senso di ro­
tazione. Pertanto, avrebbero potuto avere un numero di denti qualsiasi,
purché accettabile. Le ragioni per cui si sono preferiti 53 denti, una cifra
apparentemente bizzarra, si chiariranno più avanti.
Quadrante dei Giochi e quadrante callippico. La lancetta del qua­
drante dei Giochi, con il suo periodo di quattro anni solari, avrebbe
potuto essere azionata direttamente dalla rotazione annuale dell'albero
di b2. Però, visto che questo quadrante si trova all'interno del quadrante
metonico, il progettista ha scelto una semplice coppia di ingranaggi, che
si dirama dall'albero del puntatore del quadrante metonico (figura 8.13 ,
realizzata secondo la congettura di Tony Freeth; da collegare a o1, che
è conservato dal frammento B-1 ): questa decisione, però, ha come risul­
tato l'unico movimento antiorario visibile sul pannello posteriore. Due
coppie di ingranaggi con rapporti abbastanza estremi si diramano dallo
stesso albero per rendere la lenta rivoluzione del quadrante callippico
(figura 8.13, in cui n2, p 1 , p2 e q1 sono stati ricostruiti da Wright).

1<TI:<:..,

53 .... ) nl

m2
·

Figura 8 . 1 2. Treno di ingranaggi del puntatore del quadrante metonico.


260 CAPITOLO 8

Il quadrante di Saros. Il quadrante di Saros divide il ciclo di Saros,


formato da 223 mesi, in quattro sottocicli: a quanto pare, lo scopo era
quello di mettere in evidenza una periodicità dell'anomalia lunare che
era latente nel Saros. Perciò, il puntatore deve ruotare in senso orario
(sempre rispetto al retro del meccanismo) con un periodo pari a 223/4
mesi lunari. Se si combinano le due relazioni periodiche, si ottengono
(223/4)x( 1 9/23 5 ) anni solari. In questo rapporto, 223 è un numero pri­
mo e quindi non si può evitare di avere un ingranaggio piuttosto grande,
dotato di 223 denti. Il periodo e il senso di rotazione corretti avrebbero
potuto essere raggiunti tramite un treno costituito da tre coppie di in­
granaggi, i cui rapporti avrebbero dovuto essere 38 :64, 64:40 e 223:47.
Siccome questo treno impiega la stessa coppia iniziale dei treni metonico
e della luna media, il resto del treno avrebbe potuto diramarsi dall'albe­
ro di 11 o di cl.
Il progettista ha preferito adottare una soluzione più complicata (figura
8. 14), che si dirama dall'albero di m1 e coinvolge cinque coppie in totale
(l'ingranaggio di collegamento m3 è stato congetturato da Freeth). Si può
notare ancora una volta che i due ingranaggi dentati 12 e f1 si annullano
a vicenda: proprio come per il treno del quadrante metonico, si sarebbe
potuto scegliere anche un altro numero di denti. Ma questo treno appa­
rentemente inefficiente, così come gli ingranaggi a 53 denti, ha uno scopo
ben preciso. Il periodo di rotazione generato per l'ingranaggio a 223 denti
corrisponde a (1 9x223 )/( 9x53) anni solari. Se si adotta un'ipotesi eccentri­
ca per spiegare l'anomalia della luna, questa grandezza corrisponde esatta­
mente al periodo di rivoluzione dell'apogeo dell'orbita eccentrica intorno
allo zodiaco; quest'ultimo deriva dall'equivalenza di 235 mesi lunari con
1 9 anni solari e di 223 mesi solari con 269 mesi anomalistici. Come ve­
dremo, l'ingranaggio a 223 denti svolge un ruolo centrale nel convertire il
moto medio della luna nel suo moto non uniforme. Proviamo ora a modifi­
care i requisiti originari del nostro progetto. Se, oltre ai movimenti in uscita
dei quadranti posteriori e alle lancette con moto uniforme del sole e della
luna sul quadrante anteriore, includiamo anche un grande ingranaggio che
ruota secondo il periodo di rivoluzione dell'apogeo lunare, il meccanismo
si rivela essere un tour de force di progettazione matematicamente ispirata.
Si trattava però di un'impresa rischiosa, perché il carico addizionale avreb­
be potuto essere di ostacolo a un funzionamento regolare.
Il quadrante dell'Exeligmos. Il periodo della lancetta del quadrante
dell' Exeligmos è pari a 1 /12 di quello del quadrante di Saros. Questa de­
moltiplicazione è realizzata da due coppie di ingranaggi attivati dall'al­
bero che aziona il puntatore del quadrante di Saros (figura 8 . 1 5 ) .
INGRANAGGI NASCOSTI 261

n1 �
l
n3 ol

l
n2 � p1
l
p2 � q1
Figura 8.13. Treno di ingranaggi delle lancette del quadrante dei Giochi e del
quadrante callippico.

b2 (
-·-
' 64_:y:J.D
l
11 ....
C:.:T�:X.· ·--·--
96 )
-.,,

12 ml
1 .--···

-
-
---
---......,
..

ru< m ")·'
............... ... _ ___p._........
___

Figura 8 . 14. Treno di ingranaggi del puntatore del quadrante di Saros.


262 CAPITOLO 8

gl �
g2
hl

hl
l
� il

Figura 8.15. Treno di ingranaggi che conduce alla lancetta del quadrante del­
l' Exeligmos.

Il differenziale
In un meccanismo a ingranaggi, due velocità di rotazione possono essere
sommate, ma è anche possibile sottrarle una all'altra tramite un apparec­
chio chiamato "differenziale". Nella letteratura meccanica antica, però,
questo dispositivo non viene mai menzionato. Price credeva di aver identi­
ficato un differenziale in un sistema di ingranaggi montato sugli ingranag­
gi congiunti e3-e4. 8 Secondo la sua ricostruzione, i movimenti in ingresso
di questo dispositivo erano costituiti dalle rotazioni che rappresentavano
il moto medio del sole e della luna attraverso lo zodiaco. Il movimento in
uscita sarebbe stato pari alla differenza fra questi due movimenti in in­
gresso e sarebbe dovuto corrispondere al moto relativo della luna rispetto
al sole, in base a cui si misura la fase corrente del mese lunare. Tuttavia,
Wright ha dimostrato che la ricostruzione di Price era errata.9
Eppure, nel meccanismo c'era un sistema differenziale e la sua fun­
zione era proprio quella di sottrarre il moto del sole a quello della luna.
Grazie a un ulteriore colpo di fortuna, fu proprio Wright a identificarlo
per primo. 10 Questo dispositivo non è altro che il sistema con cui veniva
fatta ruotare la sfera che mostrava le fasi lunari sul pannello anteriore,
già menzionata nel capitolo 5. Come abbiamo visto in quella sede, sono
state presentate due ipotesi contrapposte per ricostruire il dispositivo di
visualizzazione delle fasi lunari. Quella di Wright è più economica, ma
si basa sul presupposto che la posizione attuale di un elemento chiave
(l'ingranaggio a dentatura frontale che si trova sul frammento C) vada
INGRANAGGI NASCOSTI 263

invertita. L'ipotesi di Christian Carman prevede un sistema di ingranag­


gi più complesso, ma cerca di rendere conto della situazione attuale dei
resti. Per semplicità, qui seguiremo l'ipotesi di Wright.
La sfera lunare era montata all'interno di una finestra circolare, a
sua volta situata sulla periferia di un disco che si trovava al centro del
quadrante dello zodiaco e ruotava in senso orario a una velocità pari
a quella del moto della luna intorno allo zodiaco (figura 8 . 1 6). Un al­
bero collegava la sfera a un ingranaggio a dentatura frontale. Secondo
Wright, questo ingranaggio era rivolto verso il centro del disco in modo
da innestarsi con un ingqmaggio bO che era fissato all'albero e rappre­
sentava il moto in senso orario del sole attraverso lo zodiaco.
Il modo più semplice per comprendere questo dispositivo consiste
nel visualizzarlo prendendo come piano di riferimento il disco rotante
e assumendo, per così dire, il punto di vista di un insetto che si trovi
sulla sua superficie. Se adottiamo questo piano di riferimento, bO ruota
in senso antiorario a una velocità che corrisponde alla differenza fra il
moto lunare e quello solare. Siccome ha lo stesso numero di denti di
bO, l'ingranaggio a dentatura frontale ruota anch'esso a questa velocità
differenziale, ma in senso antiorario rispetto al centro del disco: così,
mentre ruota intorno allo zodiaco, la sfera lunare gira su se stessa a una
velocità adeguata, con un periodo pari al mese lunare.

Meccanizzare il moto non uniforme


In quello che ci resta della letteratura antica sulla tecnologia meccanica
non viene menzionato alcun genere di dispositivo capace di impiegare un
sistema di ingranaggi per generare una rotazione in uscita non uniforme
a partire da una rotazione in ingresso uniforme. Quando intraprese la
costruzione di un ipotetico meccanismo planetario, Wright si ispirò ai
meccanismi a ingranaggi prodotti in Europa a partire dal tardo Medioe­
vo, i quali offrono soluzioni pratiche allo stesso problema. 1 1
Nel capitolo 7 abbiamo visto che, fra i vari metodi con cui gli astro­
nomi ellenistici spiegavano i moti diretti e retrogradi apparenti dei pia­
neti, va annoverata anche l'ipotesi epiciclica. Quest'ultima può essere
tradotta in forma meccanica utilizzando un ingranaggio che rappresenti
l'epiciclo (e nella figura 8 . 1 7) e il cui albero sia montato su un ingranag­
gio o piattaforma (d) che ruoti intorno all'asse centrale del quadrante
dello zodiaco con la stessa velocità con cui, in teoria, il centro dell'e­
piciclo ruota attorno alla terra. Anche l'ingranaggio epicicloidale deve
essere fatto ruotare a una velocità adeguata. Un perno fissato su di esso
264 CAPITOLO 8

Figura 8 . 16. Sistema di ingranaggi differenziali per la rappresentazione delle fasi


lunari, secondo la ricostruzione di Wright. Le direzioni di rotazione si riferisco­
no al quadro di riferimento stazionario ra ppresentato dall'intero meccanismo.

Figura 8 . 1 7. Rappresentazione di un'ipotesi epiciclica tramite ingranaggi epici­


cloidali e braccio scanalato.
INGRANAGGI NASCOSTI 265

in posizione decentrata rappresenta il pianeta che ruota intorno all'epici­


clo. Infine, un braccio scanalato deve essere montato in modo scorrevole
sull'asse centrale, in modo che il perno possa scorrere lungo la scanala­
tura; il braccio punta sempre nella direzione del pianeta; una lancetta,
fissata al braccio stesso, indica la posizione del pianeta nello zodiaco.
La riproduzione dell'ipotesi epiciclica tramite un braccio scanalato
sarebbe stata di semplice realizzazione nel caso di Venere e Mercurio. 12
I centri dei loro epicicli ruotano attorno alla terra con la stessa velocità
del sole medio, perciò il grande ingranaggio b 1 può essere direttamente
utilizzato come piattaforma su cui inserire gli ingranaggi epicicloidali.
Immaginiamo che la relazione periodica del pianeta possa essere espres­
sa come segue:

II periodi sinodici = Y anni solari,

dove ll e Y sono numeri interi abbastanza piccoli da poter costituire


direttamente, o tramite i loro multipli, un numero di denti accettabile
per degli ingranaggi. Se le cose stanno così, c'è un modo semplice per far
sì che l'ingranaggio epicicloidale ruoti a una velocità appropriata. Un
ingranaggio con un numero rr di denti (o kll, dove k è un numero intero
qualsiasi) è montato in posizione fissa sull'asse centrale e un ingranaggio
con un numero Y (o k Y) di denti si innesta con il primo mentre ruota
insieme a b l . È stato Freeth a proporre un semplice meccanismo a due
ingranaggi per Mercurio e Venere; la sua ipotesi però presuppone delle
relazioni periodiche piuttosto brevi, che finiscono per rivelarsi poco pre­
cise sul lungo termine.13
Tuttavia, grazie all'iscrizione del coperchio anteriore (ICA; capitolo 7)
sappiamo che la relazione periodica adottata per Venere era la seguente:

289 periodi sinodici di Venere = 462 anni solari.

È plausibile che anche la relazione periodica adottata per Mercurio avesse


una scala temporale comparabile. Riprodurre simili relazioni periodiche
tramite un sistema di ingranaggi avrebbe richiesto un treno con un nume­
ro dispari di innesti fra l'ingranaggio fisso montato sull'asse centrale e l'in­
granaggio epicicloidale. Prendiamo ad esempio una coppia di ingranaggi
innestati in cui il rapporto fra il numero dei denti è pari a 5 1 :66; immagi­
niamo poi che il secondo di questi ingranaggi condivida il proprio asse con
il primo ingranaggio di un'altra coppia innestata in cui il rapporto fra i
denti è pari a 51 :63: una soluzione di questo genere produrrebbe la veloci­
tà di rotazione desiderata per l'epiciclo di Venere, ma la direzione della ro-
266 CAPITOLO 8

tazione sarebbe errata. Questo problema potrebbe essere risolto inserendo


un ingranaggio folle all'interno del treno composto (figura 8 . 1 8). Tutte
le ricostruzioni ipotetiche dei meccanismi planetari concepite da Wright
contemplano la presenza di treni di ingranaggi composti, che permettono
di ottenere relazioni periodiche lunghe ed estremamente precise.14
I meccanismi a braccio scanalato usati per rappresentare le ipotesi
epicicliche di Marte, Giove e Saturno non avrebbero potuto usare l'in­
granaggio b l come piattaforma per i loro ingranaggi epicicloidali: in
effetti, i periodi di rivoluzione zodiacale dei loro epicicli sono più lunghi
dell'anno solare. Per questa ragione, Wright ha provvisto ciascuno di
questi pianeti di una piattaforma separata che ruota intorno all'asse cen­
trale a una velocità appropriata, trascinando un treno di ingranaggi che
conduce a un ingranaggio epicicloidale.15
L'idea che il meccanismo adoperasse dei bracci scanalati per ottenere
un moto non uniforme non è confermata da nessuna prova concreta.
Tuttavia, negli ingranaggi dedicati al moto lunare si è conservato un
dispositivo diverso, ma in parte affine, che aveva esattamente la stessa

Figura 8 . 1 8 . In alto: treno di ingranaggi composto in cui il rapporto fra moto in


entrata e moto in uscita è pari a 289:462, il valore adatto a simulare l'epiciclo
di Venere; il senso di rotazione, però, è scorretto. In basso: l'inserimento di un
ingranaggio folle inverte la direzione del moto in uscita senza modificare la ve­
locità di rotazione.
INGRANAGGI NASCOSTI 267

funzione. Si tratta di ingranaggi innestati su assi lievemente sfalsati tra­


mite un sistema di perno e scanalatura.
La coppia formata dai grandi ingranaggi e3 ed e4 (figura 8.19) costi­
tuisce in realtà un'unica entità, in cui un anello di 1 8 8 denti (e4) è inserito
come una sorta di cresta circolare su una delle due facce di un ingranaggio
a 223 denti (e3). Su questa componente è montato un sistema di ingra­
naggi epicicloidali: le loro interconnessioni sono state ricostruite in parte
da Wright nel 2005 e in parte dalla squadra dell'Antikythera Mechanism
Research Project (AMRP) nel corso dell'anno successivo.16 Come abbia­
mo visto sopra, il treno che conduce da bl alla lancetta lunare sul qua­
drante dello zodiaco fa sì che e2 ruoti con un periodo pari a quello della
rivoluzione media della luna intorno allo zodiaco. Se questo ingranaggio
fosse sullo stesso albero di e l , la lancetta lunare ruoterebbe con velocità
uniforme. Ma il collegamento fra e2 ed el non è così semplice.
L'albero di e2 attraversa il centro del doppio ingranaggio e3-e4; a
quest'albero è fissato un ingranaggio eS, che è dotato di 50 denti ed è
adiacente all'altra faccia di e3-e4. Questo ingranaggio si innesta con kl,

bl

Figura 8 . 1 9. I l dispositivo per l'anomalia lunare, visto dal retro. Gli ingranaggi
k l e k2 sono montati su e3 ed e4, con cui formano un sistema epicicloidale.
268 CAPITOLO 8

un altro ingranaggio a 5 0 denti montato su e3 in modo da formare un


sistema epicicloidale. In prossimità del bordo esterno di kl c'è un perno
che attraversa una scanalatura radiale presente su k2. Quest'ultimo è
un altro ingranaggio a 50 denti, anch'esso montato su e3 in modo da
formare un sistema epicicloidale: il suo centro, però, è lievemente spo­
stato rispetto a quello di kl (la scanalatura, la cui estremità esterna è
danneggiata, non è altro che la piccola tacca notata da Periklis Rediadis
nel l 903; p. 25). Infine, k2 si innesta con e6, un quarto ingranaggio a 60
denti il cui albero attraversa il centro di e3-e4 e sostiene anche el.
L'effetto di questo dispositivo diventa più chiaro se iniziamo con
l'immaginarne una versione più semplice, in cui e3-e4 non è dotato di
un movimento proprio e quindi funge da piattaforma stazionaria per gli
ingranaggi kl e k2, i quali condividono lo stesso albero (figura 8.20, a si­
nistra) . Una simile disposizione di ingranaggi trasferirebbe semplicemen­
te il moto di e2 (tramite eS, attraverso un albero tubolare) a el (tramite
e6, attraverso un albero racchiuso in quello tubolare), proprio come se si
trovassero sullo stesso albero. L'ingranaggio eS farebbe ruotare kl alla
stessa velocità, ma nel senso opposto; kl farebbe ruotare k2 alla stessa
velocità e nello stesso senso (ovvero nel senso opposto rispetto a eS);
infine, k2 farebbe ruotare e6 alla stessa velocità, ma in senso opposto
(ovvero nuovamente nello stesso senso di eS). Ovviamente, tutto questo
non avrebbe alcuno scopo.
In realtà, però, kl e k2 si trovano su due assi leggermente sfalsati e k l
aziona k2 tramite l'accoppiamento a perno e scanalatura (figura 8.20, a
destra). L'effetto di questa disposizione è che, anche se k2 compie esatta­
mente un giro a ogni rotazione di kl, la sua velocità di rotazione non è
uniforme: è più lenta quando il perno è vicino all'estremità esterna della
scanalatura ed è più veloce quando il perno è più vicino all'estremità
interna. In tal modo viene introdotta un'anomalia nella velocità di rota­
zione della luna. Se continuiamo a immaginare che la piattaforma e3-e4

Figura 8.20. Accoppiamento convenzionale mediante albero (a sinistra) e accop­


piamento tramite perno e scanalatura (a destra).
INGRANAGGI NASCOSTI 269

sia immobile, la lancetta della luna raggiungerà sempre una velocità di


rotazione minima in una zona specifica dello zodiaco e raggiungerà una
velocità di rotazione massima nella zona diametralmente opposta. In
altre parole, la lancetta si comporterebbe come se l'apogeo dell'orbita
lunare intorno alla terra avesse una posizione fissa.
Tuttavia, analizzando il treno di ingranaggi che conduceva al qua­
drante di Saros, abbiamo visto che il progettista lo aveva concepito in
modo tale che e3-e4 ruotasse lentamente con il periodo zodiacale dell'a­
pogeo della luna. A dire il vero, e3-e4 ruota nel senso opposto rispetto a
hl per poter rappresentare la rotazione dell'apogeo lunare. Tuttavia, eS,
il cui moto è modificato dal sistema epicicloidale, ruota anch'esso in sen­
so inverso rispetto al moto zodiacale della luna. Ne consegue che queste
due inversioni si annullano. Perciò la struttura completa riproduce un'a­
nomalia lunare il cui periodo è astronomicamente corretto, perlomeno
secondo quanto deriva dalla relazione periodica di Saros.
Se il dispositivo che combinava ingranaggi epicicloidali e braccio
scanalato è un'imitazione meccanica di un'ipotesi epiciclica, l'accop­
piamento a perno e scanalatura si avvicina maggiormente a un'ipotesi
eccentrica. Un ingranaggio motore che ruoti con velocità uniforme può
essere interpretato come il moto uniforme di un corpo celeste intorno
alla sua orbita eccentrica, con l'asse dell'ingranaggio a rappresentare il
centro dell'orbita e il perno a simboleggiare il corpo celeste stesso. L'asse
dell'ingranaggio scanalato funziona invece come il punto di vista di un
osservatore che si trovi sulla terra; la direzione che collega quest'asse alla
scanalatura e al suo perno rappresenta la direzione in cui l'osservatore
vede ruotare il corpo celeste, la quale cambia in modo non uniformeY
Secondo Tolomeo, Ipparco stimò che l'eccentricità dell'orbita luna­
re, ritenuta circolare, corrispondesse a una frazione del raggio dell'orbita
pari a 0,104. Questa stima sarebbe stata effettuata in seguito all'analisi di
tre rapporti babilonesi in cui si registravano osservazioni di eclissi lunari.
Tuttavia, dopo aver analizzato separatamente una diversa serie di rap­
porti alessandrini che riportavano altre osservazioni di eclissi e dopo aver
adottato un'ipotesi epiciclica, Ipparco avrebbe ottenuto una stima dell'ec­
centricità decisamente inferiore, più o meno equivalente a 0,079. 1 8 In base
alle misurazioni effettuate grazie ai dati della tomografia computerizzata
(TC), il gruppo dell'AMRP ha stimato che il sistema a perno e scanalatura
adottato dal meccanismo per l'anomalia lunare doveva corrispondere più
o meno a un'eccentricità di 0,1 1 5. 19 È probabile che la maggiore delle due
stime proposte da Ipparco rientri nel margine d'errore insito nelle misu­
razioni dell'AMRP. Pertanto, è possibile (ma non certo) che, per quanto
270 CAPITOLO 8

riguarda l'eccentricità, il meccanismo fosse stato concepito in modo da


riflettere l'ipotesi eccentrica di lpparco. Tuttavia, le periodicità insite nel
meccanismo e derivate dal Saros sono diverse e meno raffinate rispetto alle
periodicità calcolate dall'astronomia matematica babilonese e adottate da
Ipparco, perlomeno secondo quanto ci dice Tolorneo.
Freeth e Carman (il secondo in collaborazione con Alan Thorndike
e James Evans) sono giunti in maniera indipendente alla conclusione
che simili sistemi a perno e scanalatura avrebbero potuto rappresentare
anche il moto anomalo di Marte, Giove e Saturno.20 Le ricostruzioni
ipotetiche proposte nei loro rispettivi articoli presuppongono che i mec­
canismi planetari fossero basati su relazioni periodiche che coinvolgeva­
no numeri interi relativamente piccoli, come la relazione del Goal-Year
babilonese per Saturno (tabella 7.2):

59 anni solari = 57 cicli sinodici = 2 rivoluzioni di Saturno intorno allo


zodiaco

Carman, Thorndike e Evans mettono in evidenza che un sistema di ingra­


naggi epicicloidali come quello illustrato nella figura 8.20 a sinistra avreb­
be potuto tradurre in modo economico il moto solare medio dell'albero di
b 1 nel moto medio di un pianeta mediante un ingranaggio collegato a un
albero che condividesse lo stesso asse ( figura 8.21, a sinistra).
È utile visualizzare l'intero dispositivo assumendo b l come piano di
riferimento. In tal modo, l'ingranaggio b' ruota in senso antiorario con
una velocità pari a quella del moto medio del sole intorno allo zodiaco:
in altre parole, il suo periodo è pari a un anno solare. Di conseguenza,

Figura 8.2 1 . A sinistra: sistema epicicloidale di ingranaggi con accoppiamento


convenzionale tramite albero, in cui si riproduce il moto medio di Saturno attra­
verso lo zodiaco. A destra: sistema epicicloidale di ingranaggi con accoppiamen­
to a perno e scanalatura, in cui si riproduce il moto non uniforme di Saturno. Gli
ingranaggi b' e b" hanno lo stesso asse di bl, mentre s' e s" sono montati su bl,
con cui formano un sistema epicicloidale.
INGRANAGGI NASCOSTI 271

gli ingranaggi s' e s" ruotano in senso orario con un periodo pari a
59157 anni solari, il che, in base alla relazione periodica adottata, cor­
risponde al periodo sinodico di Saturno. Dal canto suo, b" condivide
questo stesso periodo di rotazione, ma si sposta in senso antiorario.
Questa rotazione è leggermente più lenta rispetto al moto medio del
sole. Nell'ambito del sistema di riferimento stazionario rappresentato
dal meccanismo, la rotazione di s", che è stata sottratta dal moto medio
del sole, rappresenta la velocità media del lento moto di Saturno, con
un periodo di 59/2 anni.
Rispetto al piano di riferimento rappresentato da h l , la coppia di in­
granaggi s'-s" ruota con il periodo sinodico di Saturno. Di conseguenza,
se questi due ingranaggi non fossero accoppiati tramite un comune albe­
ro, ma attraverso un perno collocato su s' e inserito in una scanalatura
su s", nella rotazione di s" e b" si introdurrebbe un'anomalia, capace di
riprodurre il comportamento di un'ipotesi eccentrica o epiciclica. L'effet­
to è così evidente che, sempre adottando hl come piano di riferimento,
la velocità della rotazione antioraria di b" risulta avere un periodo leg­
germente inferiore rispetto alla rotazione in senso orario del moto medio
del sole: di conseguenza, nel nostro quadro di riferimento stazionario,
b" ruota alternativamente in senso orario e antiorario, rappresentando
l'alternanza di moto diretto e retrogrado che caratterizza il transito di
Saturno attraverso lo zodiaco.
Grazie all'ICA (capitolo 7), adesso sappiamo che il meccanismo
adottava la seguente relazione periodica per Saturno:
442 anni solari = 427 cicli sinodici = 15 rivoluzioni di Saturno intorno
allo zodiaco

È probabile che anche Marte e Saturno avessero relazioni periodiche di


valore comparabile. Partendo da simili relazioni periodiche, la rappresen­
tazione dei moti dei pianeti tramite l'accoppiamento a perno e scanalatura
avrebbe richiesto l'impiego di treni di ingranaggi composti. Prendiamo
come esempio il caso di Saturno: un ingranaggio fisso b' a 6 1 denti avreb­
be potuto innestarsi con un ingranaggio intermedio t' a 68 denti; sullo
stesso albero di t', un ingranaggio t" a 56 denti avrebbe potuto innestarsi
con s', a sua volta dotato di 52 denti: in tal modo, s' avrebbe ruotato in
senso antiorario con un periodo pari a 442/427 anni, il che, in base alla
relazione periodica adottata, corrisponde al periodo sinodico di Saturno.
Un unico ingranaggio intermedio collocato fra s" e b" avrebbe conferito
a b" il corretto senso di rotazione per rappresentare il moto del pianeta
attraverso lo zodiaco.
272 CAPITOLO 8

Ma questi dispositivi ipotetici per la rappresentazione delle anomalie


planetarie avrebbero davvero funzionato? Le ricostruzioni concrete del
meccanismo realizzate da Wright hanno dimostrato che la combinazione
fra braccio scanalato e treni di ingranaggi composti può essere senz'altro
applicata a tutti i pianeti. Inoltre, Wright ha realizzato una riproduzione
ipotetica di una "sphaira di Archimede ", sotto forma di un globo di bron­
zo: in questa ricostruzione perfettamente funzionante sono stati impiegati
per Marte, Giove e Saturno degli ingranaggi planetari basati su accoppia­
menti a perno e scanalatura e fondati su relazioni periodiche brevi del tipo
Goal-YearY In linea di principio, gli accoppiamenti a perno e scanalatura
possono essere applicati anche ai pianeti interni come Venere e Mercu­
rio.ZZ Rimane però da verificare se tali dispositivi possano essere concreta­
mente impiegati con dei treni di ingranaggi composti.
Riassumendo, il sistema di ingranaggi del meccanismo rappresenta
un notevole repertorio di sistemi atti a trasferire e trasformare il moto
rotatorio: alberi e innesti di ruote dentate e di ingranaggi a dentatura
frontale, ingranaggi differenziali ed epicicloidali, nonché dispositivi per
generare moti periodici non uniformi, fra cui il braccio scanalato e l'ac­
coppiamento a perno e scanalatura. Grazie a queste risorse il progettista
riuscì a tradurre in forma meccanica una profusione di cicli cronologici
distinti, realizzando anche un planetario che rappresentava simultanea­
mente i moti non uniformi del sole, della luna e dei pianeti attraverso lo
zodiaco. Certo, alcuni elementi che costituiscono il sistema di ingranaggi
del meccanismo si possono trovare anche in invenzioni molto meno sofi­
sticate, descritte dalla letteratura meccanica greca e latina. Tuttavia, il si­
stema differenziale per le fasi lunari e i congegni per i moti anomalistici,
che permettevano al meccanismo di riprodurre con ragionevole fedeltà
le teorie astronomiche della tarda età ellenistica, non hanno equivalenti
in altri manufatti o trattati tecnici dell'antichità.

Materiali e abilità tecnica


Finora abbiamo osservato gli ingranaggi del meccanismo in modo piut­
tosto astratto, assumendo il punto di vista di un antico teorico mecca­
nico intento a spiegarne il funzionamento. Se però vogliamo scoprire,
più concretamente, come sia stato costruito, ci imbattiamo subito in un
ostacolo: la frammentarietà e la corrosione dei suoi resti. Dei materia­
li originali, rimangono solo piccoli pezzi della cornice !ignea, mentre
il metallo che costituisce quanto ci resta delle parti meccaniche e delle
lastre iscritte si è ormai quasi interamente trasformato nei vari prodotti
INGRANAGGI NASCOSTI 273

della corrosione. Alcuni dettagli sono andati persi anche in seguito alle
prime fasi di restauro e di pulizia dei frammenti. D'altro canto, però, una
serie di strumenti per la lavorazione del metallo conservatisi fino a noi,
insieme ad alcuni esempi di lavorazione del metallo visibili su manufatti
meglio preservati, ci danno un'idea piuttosto chiara delle risorse disponi­
bili in un laboratorio di tarda età ellenistica o di epoca romana. In base
a questi elementi e alla propria esperienza nella costruzione di modelli
funzionanti, Wright ha dimostrato che la progettazione e la costruzione
delle componenti del meccanismo rientravano perfettamente nelle com­
petenze ordinarie di un laboratorio antico.23
Per la realizzazione dei pannelli anteriore e posteriore, della lastra di
base su cui erano montati gli ingranaggi, dei cosiddetti coperchi iscritti
e di altre componenti statiche era stata utilizzata una lastra metallica.
Secondo Wright, lo spessore medio era di 1 ,5 mm circa, con la sola ecce­
zione della lastra di base, che era considerevolmente più spessa. 24 Le altre
componenti, come ad esempio gli alberi, potrebbero essere state intaglia­
te o colate a partire da pezzi di metallo più grandi. Nel 1958, Price ot­
tenne il permesso di prelevare dei piccoli campioni da un insieme di pezzi
sbriciolati, costituiti prevalentemente dai prodotti della corrosione metal­
lica e conservati in una delle scatole di cartone che all'epoca servivano a
custodire i frammenti. È probabile che queste briciole metalliche prove­
nissero soprattutto dalle lastre.25 Le analisi chimiche condotte da Earle
Caley dell'Università statale dell'Ohio e le analisi spettrografiche realizza­
te da Ciril Smith dell'Istituto per lo Studio dei Metalli presso l'Università
di Chicago hanno stabilito che i campioni erano costituiti essenzialmente
da rame con una piccola percentuale di stagno (probabilmente meno del
10% ) , cui si aggiungevano altri metalli in quantità trascura bili: in altre
parole, si trattava di bronzo a basso contenuto di stagno. 26 Secondo Ca­
ley, l'assenza di quantità significative di piombo nella lega indicherebbe
che il manufatto fu costruito ben prima del I secolo a.C.: in effetti nella
tarda età ellenistica e in epoca romana si usava prevalentemente il bronzo
piombato. Tuttavia, il piombo era usato principalmente per migliorare le
proprietà di fusione del bronzo; pertanto, anche nell'antichità più tarda,
gli oggetti realizzati con lastre di metallo continuarono a essere costruiti
usando bronzo non piombato, che era meno fragile e quindi più adatto a
essere martellato. La composizione della lamina metallica con cui furono
prodotte le componenti in forma di lastra del meccanismo fu probabil­
mente scelta per la sua durabilità meccanica e per la sua lavorabilità.
Nelle radiografie e nella tomografia computerizzata, alcune compo­
nenti dei frammenti più grandi si rivelano essere molto più radiodense
274 CAPITOLO 8

delle altre, un segnale che indica la presenza di un metallo diverso e


apparentemente meno corroso. È anche possibile che alcune delle lastre
iscritte non fossero costituite da bronzo a bassa percentuale di stagno,
ma da una lega più morbida. Recentemente, Panagiotis Mitropoulos ha
svolto un'analisi chimica non distruttiva della composizione superficiale
di 25 dei frammenti più piccoli, avvalendosi del microscopio elettronico
e delle altre strumentazioni per la microanalisi dell'Università di Atene:
oltre al bronzo non piombato, sono state individuate due ulteriori leghe
simili al peltro, in cui lo stagno è l'elemento predominante, con quanti­
tà inferiori di rame e piomboY La percentuale apparentemente alta di
stagno all'interno di queste leghe potrebbe essere in parte dovuta a un
processo corrosivo che ha condotto questo metallo verso la superficie,
ma è comunque probabile che siano stati scelti con cura materiali diversi
a seconda della funzione che avrebbero dovuto svolgere all'interno del
meccamsmo.
È altresì probabile che, per realizzare elementi come gli alberi, sia
stato usato un tornio; secondo Wright, per costruire tutte le altre com­
ponenti del meccanismo sarebbero bastati degli utensili manuali.28 In
base alla loro forma e alla spaziatura leggermente irregolare, possiamo
dedurre che i denti triangolari degli ingranaggi sono stati incisi a mano
con l'aiuto di una lima. Per stabilire la collocazione dei denti, dopo aver
effettuato una ripartizione iniziale tramite l'impiego di divisori, il co­
struttore potrebbe aver diviso la circonferenza del disco metallico in un
numero arbitrario di parti tramite aggiustamenti realizzati per succes­
sive approssimazioni. Secondo Wright, è anche possibile che sia stata
utilizzata una clima ( ''lastra divisoria ") .29 Un ingranaggio tipo a 60 denti
avrebbe potuto essere tagliato in meno di un'ora.
Una volta realizzato un prototipo funzionante, un unico costrut­
tore avrebbe impiegato uno o due mesi per assemblare una copia del
meccanismo; una squadra di artigiani ci avrebbe messo ancora meno.
L'esecuzione delle iscrizioni sarebbe stata affidata a uno specialista, che
non doveva essere necessariamente un esperto nell'incisione su pietra (la
tecnica sarebbe stata diversa), ma doveva conoscere bene la forma delle
lettere impiegate nelle iscrizioni liriche.
Certo, un atelier capace di realizzare un dispositivo come il meccani­
smo di Anticitera non deve essersi limitato alla produzione di un unico
esemplare. È tuttavia improbabile che la domanda fosse tale da incorag­
giare un laboratorio a specializzarsi esclusivamente nella produzione di
meccanismi astronomici. C'erano però sfere di attività più consuete che
richiedevano un lavoro di precisione su oggetti di dimensioni ridotte, in
INGRANAGGI NASCOSTI 275

bronzo o altri metalli non preziosi; si pensi agli strumenti chirurgici - i


dilatatori vaginali, ad esempio, includevano un meccanismo a vite per re­
golare l'apertura - e alle componenti di strumenti musicali come l'organo
o l'aulos. È probabile che, agli occhi di versatili maestri artigiani abituati
a realizzare un'ampia gamma di oggetti, il meccanismo apparisse sempli­
cemente come un lavoro più vasto e complesso rispetto alla norma.

Imperfezioni e imprecisioni
Quando ci interroghiamo sulla precisione del meccanismo in quanto
calcolatore astronomico, non facciamo altro che condensare una serie
di domande diverse: quali errori sarebbero potuti derivare dalle imper­
fezioni insite nella fabbricazione del dispositivo ? Se tralasciamo tali im­
perfezioni, fino a che punto il progetto del dispositivo rappresentava le
conoscenze astronomiche dell'epoca? E fino a che punto le conoscenze
contemporanee rispecchiavano la realtà dei fenomeni celesti ?
La più evidente delle imperfezioni legate alla fabbricazione avrebbe
potuto essere la difficoltà di dividere i cerchi in frazioni di arco uguali,
un'operazione necessaria sia per l'incisione delle tacche sulle scale gra­
duate dei quadranti, sia per la realizzazione dei denti degli ingranaggi.
Possiamo prendere come esempio la divisione della scala del calendario
egizio in 365 archi (apparentemente) uguali, ciascuno dei quali rappre­
sentava uno dei giorni che costituivano l'anno del calendario egizio. An­
che se il frammento C conserva soltanto un quinto della scala graduata
ad anello, possiamo dare per scontato che il costruttore del meccanismo
si fosse assicurato che la scala comprendesse un totale di 3 65 tacche; per
dirlo altrimenti, non devono essersi verificati errori sistematici nel posi­
zionamento dei segni divisori all'interno del cerchio nel suo complesso.
È però possibile che tali errori sistematici interessassero porzioni più
ampie della scala: ad esempio, avrebbero potuto derivare da imprecisio­
ni commesse al momento della prima divisione geometrica del cerchio
in metà, in quarti o in sesti. Per noi è difficile valutare errori di tal genere
a causa della condizione frammentaria e distorta dei resti. Tuttavia, sic­
come queste ampie ripartizioni di un cerchio sono facili da stabilire e da
verificare, è probabile che si trattasse di errori di piccola entità.
È però possibile stimare la portata degli errori casuali che interessano
le singole suddivisioni. Nel caso della scala del calendario egizio (e lo
stesso vale per la scala dello zodiaco), la deviazione standard fra gli ar­
chi compresi tra tacche consecutive ammonta a circa 1/w di grado: perciò,
la data indicata dalla lancetta subirà uno sfasamento casuale pari a 1/10
276 CAPITOLO 8

di giorno in un senso o nell'altro - in alcuni casi, lo sfasamento può arri­


vare fino a un quarto di giorno. Ciò significa che il meccanismo non era
in grado di indicare i singoli giorni con precisione. Questo dettaglio non
avrebbe avuto alcuna importanza nelle dimostrazioni relative ai corpi
celesti, ma avrebbe potuto essere un problema per chi desiderasse mi­
surare la posizione o la velocità esatte della luna in un giorno specifico:
in effetti, un'imprecisione pari a un decimo di giorno nella lettura della
data avrebbe comportato un errore dell'ordine di un grado nella deter­
minazione della posizione della luna.
M. G. Edmunds ha analizzato gli errori legati alla collocazione dei den­
ti sugli ingranaggi del meccanismo, nonché le loro conseguenze sui qua­
dranti di lettura dei treni di ingranaggi.30 Dall'esame di ampi archi delle
periferie degli ingranaggi, ha riscontrato poche tracce di errori sistematici;
per quanto riguarda gli errori casuali, ha osservato che le deviazioni stan­
dard rientrano in un intervallo da 0,04 a 0,08 rispetto alla spaziatura me­
dia dei denti. I denti erano quindi collocati con maggior precisione rispet­
to alle tacche delle scale del calendario egizio e dello zodiaco. Nei treni
di ingranaggi composti, gli errori casuali si propagano; tuttavia, l'effetto
sui movimenti in uscita sarebbe stato trascurabile rispetto alla spaziatura
delle tacche sulle scale graduate. Prendiamo come esempio il quadrante
metonico: in questo caso, l'errore derivante dal treno di ingranaggi sareb­
be stato considerevolmente inferiore a un grado, mentre le suddivisioni
delle scale graduate corrispondono a circa 7, 7°; in caso di dubbio, poi,
era possibile determinare quale fosse la casella indicata sulla scala consul­
tando le lancette del sole e della luna sul pannello anteriore. È proprio la
lancetta della luna a rappresentare un caso speciale. Secondo i calcoli di
Edmunds, il lungo treno di ingranaggi, con la sua serie di moltiplicatori,
avrebbe condotto a errori ordinari dell'ordine dei 4° e a errori intermitten­
ti che potevano persino triplicare questo valore - in altre parole, si sarebbe
trattato di uno sfasamento pari a un giorno intero.
A causa della forma triangolare dei denti, il meccanismo doveva esse­
re soggetto a un fenomeno chiamato "gioco". Due ingranaggi innestati
dotati di denti triangolari devono essere disposti in modo tale che ci sia
un piccolo spazio fra le punte dei denti dell'uno e le dentellature a forma
di V dell'altro; altrimenti, gli ingranaggi finiscono per incepparsi. L'in­
serimento di questo spazio, però, comporta la presenza di un piccolo
arco all'interno del quale un ingranaggio può ruotare avanti e indietro
senza far muovere l'altro ingranaggio (figura 8.22). In un treno compo­
sto, ogni innesto implicherà l'inserimento di questo piccolo margine di
movimento.
INGRANAGGI NASCOSTI 277

Immaginiamo che gli ingranaggi del meccanismo siano stati imposta­


ti in modo tale che, quando il dispositivo che imprime il movimento in
ingresso viene fatto ruotare in avanti, tutte le lancette siano nel loro cor­
retto allineamento cronologico e astronomico. Se la direzione del moto di
ingresso viene invertita, ogni innesto di ogni treno si fermerà per qualche
istante prima che l'ingranaggio motore ricominci a ruotare e possa per­
correre lo spazio che lo separa dall'ingranaggio condotto. All'inizio, non
si muoverà nessuna delle lancette, ma poi cominceranno a ruotare nella
nuova direzione l'una dopo l'altra, a iniziare da quelle collegate ai treni di
ingranaggi più corti. Essendo connessa a un treno eccezionalmente lungo,
la lancetta lunare sarà l'ultima a muoversi e per tutto il tempo in cui il
meccanismo sarà azionato al contrario, questa lancetta presenterà uno
sfasamento di vari gradi rispetto a quelle di qualsiasi altro quadrante. Per
ripristinare la sincronizzazione, l'operatore dovrà andare un po' più indie­
tro nel tempo rispetto alla data desiderata, per poi azionare il meccanismo
in avanti in modo da annullare gli effetti del gioco.
Cosa dire invece delle imprecisioni insite nelle teorie astronomiche che
hanno ispirato la progettazione del meccanismo ? Queste teorie possono
essere divise in due gruppi: le relazioni periodiche, che determinano fino a
che punto i fenomeni mostrati dal meccanismo rispecchino il reale anda­
mento dei fenomeni naturali, e le rappresentazioni del moto non unifor-

Figura 8.22. Gioco fra due ingranaggi innestati. Il contorno nero dell'ingranaggio
di sinistra mostra la posizione che esso assume quando fa ruotare"l'ingranaggio di
destra in senso orario; il contorno grigio mostra la posizione che assume quando
fa ruotare l'ingranaggio di destra in senso antiorario. L'ingranaggio di sinistra
p uò muoversi liberamente fra queste due posizioni senza spostare l'ingranaggio
di destra.
278 CAPITOLO 8

me. Il meccanismo dava forma concreta a sette relazioni periodiche: una


relazione periodica per ciascuno dei cinque pianeti, cui si aggiungono il
Saros e il ciclo di 19 anni, che rendono conto di tutte le periodicità coin­
volte nei fenomeni lunari mostrati sul quadrante anteriore e nei fenomeni
cronologici illustrati dai quadranti posteriori. Di queste sette relazioni,
non conosciamo quelle relative a Mercurio, Marte e Giove. La qualità
delle altre relazioni periodiche può essere dedotta dai valori che esse ge­
nerano per i periodi sinodici medi, per i periodi di rivoluzione zodiacale
e per il mese anomalistico lunare. Nelle tabelle 8.1 e 8.2 questi valori
sono espressi in anni solari e sono confrontati con altri valori derivanti
dall'astronomia matematica babilonese (Astronomica/ Cuneiform Texts o
ACT), dall'Almagesto di Tolomeo e dalla teoria astronomica modema.31
Conosciamo solo due delle relazioni periodiche planetarie impiegate
dal meccanismo: entrambe hanno una durata di quattro secoli o più e
risultano essere piuttosto precise anche in base a standard moderni. L'er­
rore del periodo zodiacale di Saturno corrisponde a circa un grado ogni

Tabella 8.1. Confronto fra diversi valori antichi per i periodi sinodici medi e il
mese anomalistico, espressi in anni solari. I dati tratti da Tolomeo e dalle teorie
moderne (validi per il 2000 d.C.) sono espressi in anni siderali.

Meccanismo ACT Tolomeo Dati


moderni

Mese sinodico 0,08085 1 1 0,0808480 0,0808489 0,0808489

Mese anomalistico 0,0754384 0,07543 81 0,0754389 0,0754389

Venere 1 ,59861 1 ,59861 1 ,59869 1 ,59873

Sa turno 1,035 1 3 1 ,035 1 6 1 ,035 1 4 1 ,035 1 5

Tabella 8.2. Confronto fra diversi valori antichi per i periodi medi della rivoluzio­
ne zodiacale, espressi in anni solari. I dati tratti da Tolomeo e dalle teorie moderne
(validi per il 2000 d.C.) sono espressi in anni siderali. Il periodo zodiacale medio
di Venere è stato omesso, visto che corrisponde esattamente ad un anno solare.

Meccanismo ACT Tolomeo Dati moderni

Luna 0,0748031 0,0748005 0,0748013 0,0748013

Apogeo lunare 8,8826 8,8505 8,8497 8,8502

Sa turno 29.46667 29.44444 29.45528 29.44750


INGRANAGGI NASCOSTI 279

125 anni. Solo dopo aver fatto avanzare il meccanismo di un periodo


pari a un secolo sarebbe stato possibile osservare un errore di fase nei
fenomeni di Venere e Saturno, anch'esso generato dagli errori insiti nei
loro periodi sinodici. Sembra plausibile che tutte le altre relazioni perio­
diche planetarie fossero di qualità paragonabile.
A quanto sappiamo, nel I secolo a.C. esisteva solo un'altra serie di re­
lazioni periodiche planetarie di livello comparabile: si tratta delle relazioni
ACT babilonesi. Sono attestate per la prima volta in un serie di tavole
astronomiche greche conservate da papiri risalenti al I o al II secolo d.C. : si
tratta più o meno dell'epoca di Tolomeo, anche se, molto probabilmente,
la trasmissione di queste informazioni era già avvenuta nella tarda età el­
lenisticaY D'altro canto, il fatto che Tolomeo associ le più brevi relazioni
periodiche del Goal-Year con Ipparco ci fa pensare che quest'ultimo non
fosse a conoscenza delle relazioni ACTY La relazione periodica di Venere
adottata dal meccanismo corrisponde quasi perfettamente alla relazione
ACT: è possibile che quest'ultima sia stata approssimata in modo tale da
poter essere rappresentata in modo adeguato in un sistema di ingranaggi.
La relazione di Saturno, però, ha un valore lievemente inferiore rispetto
alla corrispondente relazione ACT.
Nel meccanismo, le periodicità relative alla luna sono di qualità infe­
riore e riflettono la relativa brevità delle relazioni periodiche che ne sono
alla base. L'eccesso del periodo longitudinale, che è una conseguenza
della relazione periodica di 1 9 anni, fa sì che, in meno di nove anni, il
moto lunare medio risulti ridotto di un grado. Una simile deviazione si­
stematica sarebbe diventata evidente solo dopo aver azionato il meccani­
smo per un periodo di tempo equivalente a svariati decenni: ciò dipende
dai consistenti errori casuali che condizionavano la visualizzazione della
posizione lunare a causa della spaziatura irregolare dei denti.
Anche il periodo del moto longitudinale dell'apogeo lunare, che deriva
da una combinazione del Saros con la relazione periodica di 1 9 anni, è
troppo lungo e avrebbe generato una riduzione di un grado in meno di
sette anni. L'apogeo non era mostrato dai quadranti del meccanismo, ma
la sua rivoluzione era rappresentata dall'ingranaggio piattaforma e3-e4
su cui era montato il dispositivo a ingranaggi epicicloidali destinato alla
riproduzione dell'anomalia lunare. Tuttavia, per quanto concerne l'ano­
malia, gli errori nella velocità del moto della luna media e del suo apogeo
si annullano ampiamente; perciò, ci sarebbero voluti vari decenni perché
si potesse osservare un errore di fase nella velocità variabile della luna.
Secondo la testimonianza di Tolomeo, già nella seconda metà del II
secolo a.C., Ipparco disponeva di dati sulla periodicità lunare più precisi
280 CAPITOLO 8

rispetto a quelli derivanti dal ciclo di 1 9 anni e dal Saros; con ogni pro­
babilità, questi dati provenivano dai testi astronomici cuneiformi (ACT)
babilonesi.34 Tuttavia, come abbiamo visto nel capitolo 6, Tolomeo di­
chiara anche che alcuni astronomi venuti dopo Ipparco continuarono a
considerare corretto il Saros. È possibile che il progettista del meccani­
smo fosse consapevole che le relazioni periodiche alla base degli ingra­
naggi lunisolari, per quanto adatte a essere rappresentate in modo mec­
canico, non fossero le migliori fra quelle disponibili. Ritengo tuttavia
improbabile che fosse a conoscenza del lavoro di lpparco. Similmente, il
fatto che la lunghezza dell'anno solare e la precessione non riflettano in
alcun modo le ricerche di Ipparco potrebbe derivare o da ignoranza o da
una semplificazione intenzionale.
Per quanto riguarda la gestione del moto non uniforme, è possibile
che il meccanismo rappresentasse in modo ragionevolmente fedele le ac­
quisizioni dell'astronomia geometrica greca contemporanea. Il dispositi­
vo a perno e scanalatura dell'anomalia lunare aveva un sistema di ingra­
naggi che rispecchiava le ipotesi epiciclica ed eccentrica semplici con cui
lavorava Ipparco. Inoltre, la gamma di variazioni di velocità generata da
questo dispositivo si avvicinava all'ideale per una teoria che prendeva in
considerazione una singola anomalia: gli errori di posizione che ne risul­
tavano erano infatti dell'ordine di un grado. Non contemplando alcuna
possibilità di variazione, anche le descrizioni dei cicli sinodici planetari
sull'ICA implicano che i sistemi di ingranaggi dedicati a ciascun pianeta
altro non erano che la controparte di un'ipotesi eccentrica o epiciclica
semplice. Secondo Tolomeo, pur avendo dimostrato che le ipotesi ba­
sate su una sola anomalia non riuscivano a spiegare l'andamento del
moto osservabile dei pianeti, Ipparco non fu in grado di presentare una
soluzione alternativa. Le teorie planetarie di grande successo presentate
nell'Almagesto si fondano sia sulla combinazione dei concetti di epiciclo
e di orbita eccentrica, sia su una nuova e sofisticata definizione del moto
circolare uniforme, nozioni che avrebbero dovuto rappresentare le fon­
damenta delle ipotesi astronomiche; tuttavia, è altamente probabile che
queste innovazioni risalissero a un'epoca decisamente posteriore rispetto
a lpparco. Quanto al meccanismo, è inevitabile che i dispositivi volti a
mostrare le posizioni dei pianeti nello zodiaco fossero soggetti a errori
significativi, soprattutto per quanto riguarda Marte e Mercurio, le cui
orbite intorno al sole sono meno circolari di quelle degli altri pianeti. Nel
caso di Marte, gli errori dovevano essere dell'ordine dei 30°_35
In qualità di simulatore qualitativo dei moti celesti, il meccanismo
doveva essere davvero impressionante; tuttavia, in quanto calcolatore
INGRANAGGI NASCOSTI 281

di posizioni e fenomeni quantitativi, era intralciato dalle limitazioni de­


rivanti dalla tecnologia degli ingranaggi e dall'astronomia matematica
dell'epoca. A differenza di quanto accadeva nella Babilonia contempo­
ranea, l'astronomia del mondo ellenistico si basava solo sporadicamente
sulle osservazioni empiriche: forse, solo pochi astronomi esperti si sa­
rebbero resi conto della scarsa corrispondenza fra alcuni dei fenomeni
mostrati dal meccanismo e la realtà delle cose.

Progettare il meccanismo
Gli antichi autori che si erano occupati di tecnologia meccanica erano
ben coscienti della tensione fra i suoi aspetti teorici e pratici. Per dirlo
con le parole del matematico Pappo di Alessandria (circa 300 d.C.):36

Una parte della meccanica riguarda la teoria e un'altra le abilità pratiche. La


parte teorica consiste nella geometria, nella teoria dei numeri, nell'astrono­
mia e nei ragionamenti sulla natura, mentre la parte pratica ha a che fare con
la lavorazione del bronzo, con la costruzione di edifici, con la carpenteria,
con la pittura e con la formazione pratica in queste discipline. Un individuo
che si sia formato nelle scienze suddette fin dalla giovinezza, che abbia svi­
luppato un'abilità notevole nelle suddette arti manuali e che abbia una men­
te flessibile sarà il più illustre inventore e costruttore di opere meccaniche di
tutti i tempi. Ma per una singola persona è impossibile eccellere in così tanti
ambiti del sapere e imparare allo stesso tempo le abilità di cui sopra.

Ovviamente, questa regola ha un'eccezione ben nota: Archimede. Ma


nemmeno Archimede sfuggì completamente alla dicotomia fra ricerca
teorica astratta e abilità pratiche in cui bisogna letteralmente sporcarsi
le mani. Potremmo persino dire che non c'era un solo Archimede, ma
due. Uno è il protagonista degli aneddoti raccontati da storici e biografi
a proposito delle sue invenzioni straordinarie: si pensi all'invenzione delle
pulegge con cui riuscì, da solo, a tirare in secco uno dei grandi mercantili
del re Ierone, carico di merci e di passeggeri; o si pensi anche all'"artiglio",
che poteva rovesciare le navi d'assedio nemiche, e agli specchi che incen­
diarono le navi romane. Alcuni di questi racconti sono chiaramente frutto
d'invenzione ed è possibile che nessuno di essi sia completamente esente
da rielaborazioni più o meno fantasiose. L'altro Archimede era un autore
di trattati brillanti, difficili e astratti sulla matematica e la fisica matemati­
ca, che ci sono stati tramandati attraverso il Medioevo.
Nella sua Vita di Marcello, Plutarco dichiara che Archimede consi­
derava le proprie invenzioni come delle sciocchezze, realizzate solo per
282 CAPITOLO 8

accondiscendere alle richieste di Ierone. Secondo Pappa, invece, si diceva


che Archimede avesse scritto solo un'opera dedicata alla tecnologia mec­
canicaY Tra l'altro, sembra che questo libro fosse consacrato proprio
alla sphairopoiia, l'arte di costruire " un'immagine della volta celeste uti­
lizzando moti circolari e uniformi". I trattati matematici in greco che
sono giunti fino a noi sotto il nome di Archimede sono chiaramente
autentici, per quanto alcuni siano stati modificati in modi diversi in epo­
che successive a quella dell'autore. La sua reputazione fece sì che il suo
nome venisse collegato a opere anonime o spurie e bisogna essere cauti
quando ci si trova di fronte a un'opera menzionata da un solo testimone
(magari a partire da un'informazione di seconda mano e senza dettagli
relativamente al contenuto dell'opera stessa).
Per gli esperti di meccanica che le concepirono, molte delle inven­
zioni strabilianti descritte nella letteratura meccanica non erano altro
che realizzazioni accattivanti di un repertorio di dispositivi di base: si
potrebbe quasi parlare di variazioni sul tema. Tuttavia, il meccanismo
di Anticitera deve aver avuto una genesi ben diversa. In particolare, deve
essere stato il frutto della collaborazione fra una persona provvista di
competenze astronomiche e un artigiano dotato di creatività e abilità
meccaniche notevoli; oltre a questo, si richiedeva anche una certa di­
mestichezza con la matematica, soprattutto per quanto riguardava la
manipolazione di rapporti di numeri interi. Non è detto che l'equilibrio
fra le competenze fosse perfettamente simmetrico. Mentre il meccanico
doveva essere un professionista di prim'ordine, è possibile che le nozioni
scientifiche provenissero da una conoscenza mirata, anche di seconda
mano, della letteratura astronomica. Il consulente scientifico era l'autore
del progetto iniziale, in cui si specificavano i fenomeni da illustrare, i
parametri teorici (relazioni periodiche, misure dell'anomalia ecc.) e le
informazioni da inscrivere sulle scale graduate e sui testi supplementa­
ri. Ma deve esserci stato un continuo scambio fra questo consulente e
il "mastro meccanico" (per riprendere un'espressione di Wright), che
aveva l'ultima parola su cosa fosse tecnicamente fattibile e cosa no e che
magari, di tanto in tanto, avrebbe anche potuto suggerire l'inserimento
di funzioni che lo scienziato non aveva immaginato.
Ma una simile ricostruzione della genesi del meccanismo non è forse
eccessivamente semplificata? Non dovremmo immaginare che l'oggetto
i cui frammenti ci troviamo a possedere sia il risultato di una lunga sto­
ria di produzione di meccanismi astronomici dalla complessità sempre
crescente? Il buon senso suggerisce che il meccanismo non fosse un pro­
totipo privo di antecedenti. Si tratta di un prodotto troppo complesso,
INGRANAGGI NASCOSTI 283

troppo miniaturizzato e troppo raffinato per essere il primo nel suo gene­
re. È tuttavia possibile che, una volta scoperte le idee chiave che stanno
dietro al funzionamento del meccanismo, un'intensa campagna di speri­
mentazione abbia condotto a realizzare il dispositivo nella forma in cui
è giunto fino a noi, forse nel giro di un'unica generazione e nell'ambito
di un solo laboratorio.
Probabilmente, i primi meccanismi astronomici a ingranaggi impie­
gavano esclusivamente una serie di treni di ingranaggi ramificati per
trasformare un movimento di ingresso uniforme in movimenti di uscita
diversi, ma ugualmente uniformi, visibili su quadranti separati, proprio
come accade con i quadranti posteriori del meccanismo. Un dispositivo
in cui si vedono il sole e la luna ruotare intorno alla terra con moto uni­
forme e secondo rapporti adeguati avrebbe rappresentato un progresso
notevole: da una semplice illustrazione schematica di movimenti, simile
a quella dell'odometro, si sarebbe passati a un vero e proprio realismo
visivo. Per ottenere questo risultato, sarebbero stati necessari degli alberi
tubolari e, se si intendeva mostrare le fasi della luna, degli ingranaggi a
dentatura frontale. L'aggiunta dei pianeti a un simile dispositivo avrebbe
rappresentato un esercizio più problematico e poco soddisfacente. Si sa­
rebbe forse ritenuto utile far vedere che Marte, Giove e Saturno ruotano
intorno allo zodiaco più lentamente del sole, anche se non era possibile
riprodurne le tipiche retrogradazioni. Ma sarebbe stato semplicemente
assurdo rappresentare Mercurio e Venere che ruotano con un periodo
identico a quello del sole, senza poter mostrare che questi pianeti si tro­
vano talvolta davanti al sole, talaltra dietro di esso. I planetari si svilup­
parono in seguito all'invenzione di dispositivi che impiegano ingranaggi
epicicloidali ed elementi scanalati per convertire rotazioni uniformi in
moto non uniforme: simili innovazioni non devono aver preceduto di
molto il nostro meccanismo.
9
Epilogo
Il significato del meccanismo

Nel 1 980, durante un breve soggiorno ad Atene, Richard Feynman scrisse


una lettera alla famiglia, dove descriveva una recente visita al Museo Ar­
cheologico Nazionale, un'esperienza che dichiara di aver trovato comples­
sivamente noiosa e pesante.1 L'unico reperto capace di attirare lo sguardo
del fisico fu il meccanismo di Anticitera, un oggetto "così profondamente
diverso e strano da essere quasi impossibile". Feynman lamenta l'apparen­
te mancanza di consapevolezza o di interesse per il valore dei frammenti
dimostrata dagli archeologi greci: uno di loro viene descritto mentre si do­
manda a gran voce come mai, fra tutti i magnifici pezzi esposti nel museo,
il professore americano chiedesse informazioni solo su quello.
A ben vedere, la posizione di Feynman sembra poco coerente. Da un
lato, accusa i greci moderni di sopravvalutare le conquiste scientifiche
e intellettuali degli antichi - a suo parere, un sintomo dell'ossessione di
questo popolo per il proprio passato. D'altro canto, però, sì lamenta del
fatto che non apprezzassero la straordinaria conquista che quel reperto
specifico doveva rappresentare: un oggetto tanto straordinario da spin­
gere Feynman a domandarsi se non si trattasse di "una qualche forma
di falso " . Bisogna ammettere che nel 1 980, poco dopo la pubblicazione
di Gears (rom the Greeks, sarebbe stato difficile per chiunque trovare
molti punti di contatto fra il meccanismo e la civiltà che aveva prodotto
gli altri reperti e opere d'arte conservati nel museo. Se adesso è possibile
farlo, lo si deve agli enormi progressi compiuti nell'interpretazione degli
ingranaggi e dei quadranti e, ancor più, al notevole potenziamento della
nostra capacità di leggere le iscrizioni.
Nei capitoli centrali di questo libro, ho provato a dimostrare che
ognuna delle funzioni astronomiche e cronologiche del meccanismo si
inserisce perfettamente nella vita quotidiana e nel pensiero della Grecia
antica. Probabilmente è solo una coincidenza se una di queste funzioni
ricorda da vicino ciò che conosciamo da altre fonti o se invece ci dice
qualcosa di sostanzialmente nuovo. Per quanto riguarda i calendari, i
EPILOGO: IL SIGNIFICATO DEL MECCANISMO 285

movimenti del sole e della luna attraverso lo zodiaco e il parapegma, il


meccanismo presenta rapporti molto stretti con Gemino e Ipparco, non­
ché con diverse iscrizioni e papiri. Le previsioni delle eclissi e la teoria
planetaria, invece, toccano aree della scienza antica di cui conosciamo
ben poco, se si esclude quanto abbiamo appreso dal meccanismo stesso.
D'ora in avanti, quest'ultimo rappresenterà un punto di riferimento im­
prescindibile per chiunque si occupi della storia di questi aspetti dell'a­
stronomia antica.
Già a partire da Derek de Solla Price, alcuni studiosi hanno indivi­
duato molti punti di contatto fra il meccanismo e l'astronomia babilone­
se, andando forse un po' troppo oltre. Che l'astronomia greca dipenda
da quella del Medio Oriente antico è innegabile e alcuni elementi specifi­
ci del meccanismo possono senz'altro essere fatti risalire a Babilonia. Fra
questi possiamo citare i segni dello zodiaco, la divisione dello zodiaco
in 360 gradi, il ciclo di Saros per le eclissi e, presumibilmente, anche il
calendario basato sul ciclo di 19 anni. A partire dalla tarda età ellenisti­
ca, questi concetti si erano talmente integrati nella prassi astronomica
greca che non è detto che gli astronomi greci li percepissero ancora come
elementi importati. È possibile - ma non è certo - che le date delle eclissi
iscritte sul quadrante di Saros e la divisione non uniforme della scala zo­
diacale siano anch'esse un riflesso dei metodi aritmetici dell'astronomia
matematica babilonese. D'altro canto, la rappresentazione meccanica
delle diverse velocità lunari, così come tutto quello che sappiamo sui
quadranti planetari, deriva da ipotesi fondate sul moto circolare uni­
forme la cui matrice è indubbiamente greca. Tutto sommato, non mi
sembra che l'astronomia del meccanismo possa dirsi più " babilonese" di
quella di Gemino o Ipparco.
Anche se si considera esclusivamente come un prodotto tecnologi­
co, il meccanismo si inserisce perfettamente nel contesto delle complesse
invenzioni meccaniche greco-romane. Certo, come abbiamo visto, se ci
si concentra sul suo complesso di ingranaggi, i casi paralleli specifici si
limitano a poche descrizioni tecniche di dispositivi molto più semplici e
a vaghe allusioni all'esistenza di planetari. Nonostante nel meccanismo
sia stato trovato un sistema di ingranaggi molto più progredito, i suoi
costruttori appartenevano senza dubbio a quella tradizione artigianale
che ci ha tramandato i manuali di meccanica antica: in queste opere
ritroviamo lo stesso vocabolario e le stesse espressioni che possiamo leg­
gere sull'iscrizione del coperchio posteriore.
Per farla breve, il brillante titolo del saggio di Price, Gears {rom the
Greeks, è pienamente giustificato. Il meccanismo rispecchiava perfetta-
286 CAPITOLO 9

mente il suo contesto culturale: nessun'altra civiltà avrebbe potuto pro­


durre qualcosa di simile. La sua sofisticazione tecnologica sembra essere
il prodotto di una tradizione artigianale nascente, ma in rapido sviluppo:
in questo contesto, idee innovative si trovavano a convivere con mezzi
tutt'altro che ottimali - si pensi in particolare alla forma triangolare dei
denti degli ingranaggi - e scelte di progettazione decisamente discutibili,
come le scanalature a spirale dei quadranti. Anche per quanto riguarda
la rappresentazione dei fenomeni astronomici, le prestazioni del mecca­
nismo dovevano essere piuttosto altalenanti: se confrontate alle teorie
dell'epoca, in alcuni casi erano scientificamente precise, in altri molto
meno. Insomma, si trattava senza dubbio di una creazione notevole, ma
non di un miracolo di perfezione.
Ma qual era lo scopo del meccanismo? Il lettore avrà già capito che, a
mio parere, questo dispositivo non serviva né a ela borare dati, né a fare
previsioni che potessero essere applicate a un qualche contesto pratico.
Dopo aver illustrato tutte le sue funzioni note, posso finalmente giustifi­
care la mia posizione in modo più dettagliato.
L'ipotesi più diffusa fra i primi studiosi era che il meccanismo non
fosse altro che uno strumento di navigazione. Ovviamente, questa idea
fu condizionata dalle circostanze del ritrovamento del dispositivo, che
era stato rinvenuto all'interno di una nave. Per i marinai antichi, le no­
zioni astronomiche erano utili soprattutto per determinare la direzione
e, in misura minore, la posizione. Di notte, la direzione poteva essere
stabilita grazie a una serie di costellazioni facilmente riconoscibili. Fra
queste spiccano I'Orsa Maggiore e I'Orsa Minore, che tutti gli abitanti
del mondo greco-romano vedevano sempre al di sopra dell'orizzonte e
vicino al Polo nord celeste. Durante il giorno, la direzione poteva essere
determinata in base alla posizione del sole nel cielo e, in particolare,
osservando il punto dell'orizzonte in cui esso sorgeva e tramontava. Nel­
le opere di geografia marina antica l'Est e l'Ovest sono definiti in base
alla loro posizione rispetto all'alba o al tramonto in corrispondenza dei
solstizi o degli equinozi. Questo genere di navigazione direzionale non
richiedeva nessuna attrezzatura né istruzioni messe per iscritto; senza
contare che nessuno dei quadranti del meccanismo si sarebbe prestato a
un uso simile.
Non abbiamo alcuna prova del fatto che gli antichi calcolassero la
latitudine e la longitudine durante la navigazione. Volendo, la latitudine
poteva essere misurata osservando l'angolo di elevazione delle stelle ri­
spetto all'orizzonte o quello del sole a mezzogiorno, con l'aiuto di qual­
che tabella di riferimento. Anche in questo caso, però, il meccanismo
EPILOGO: IL SIGNIFICATO DEL MECCANISMO 287

non avrebbe potuto fornire questo genere di informazione. In linea di


principio, confrontando le previsioni delle eclissi lunari (rappresentate
dalle ore iscritte sul quadrante di Saros) con le osservazioni delle mede­
sime eclissi, si poteva stabilire l'intervallo di longitudine fra la propria
posizione e il meridiano in riferimento a cui tali previsioni erano state
calcolate. Ma un navigatore non poteva certo aspettare mesi per osser­
vare un'eclissi adeguata. Senza contare che gli orari del quadrante di
Saros erano indicati con l'approssimazione di un'ora: pertanto, anche se
qualcuno li avesse (imprudentemente) considerati affidabili, avrebbe fi­
nito per calcolare la propria longitudine con un'approssimazione di 15°,
il che corrisponde all'incirca a metà dell'estensione del Mediterraneo.
Si può ipotizzare che il meccanismo permettesse ai marinai di pre­
vedere il tempo atmosferico in base alle teorie meteorologiche antiche.
Ma le previsioni della prima e dell'ultima comparsa delle costellazioni
sull'iscrizione del parapegma avrebbero dovuto essere convertite in pre­
visioni meteorologiche in base a uno schema che il meccanismo non for­
niva. Consideriamo anche le indicazioni direzionali che l'iscrizione della
lastra posteriore associa alla previsione delle eclissi: se queste indicazioni
fossero davvero riferite ai venti e se fosse stato possibile applicarle a un
ampio intervallo di tempo dopo ciascuna eclissi, sarebbero potute appa­
rire utili per la navigazione. Tuttavia, un testo scritto avrebbe fornito le
stesse informazioni in modo più compatto, sicuro ed economico. Infine,
è difficile immaginare che dei marinai potessero essere interessati alle
altre funzioni del meccanismo, come ad esempio il planetario.
Per capire come mai sia così difficile considerare il meccanismo come
uno strumento pratico, da usare sulla terraferma o in mare, bisogna por­
si due domande fondamentali: chi aveva bisogno dell'intera serie dei suoi
quadranti? Quale vantaggio derivante dall'automatizzazione era tale da
poter compensare il costo? Viene subito da pensare al quadrante dei
Giochi, le cui previsioni avrebbero potuto interessare atleti e pubblici
ufficiali - in altre parole, persone che avevano ben poco interesse per
gli altri quadranti del meccanismo e che erano senz'altro capaci di cal­
colare intervalli di due o quattro anni senza ricorrere a un dispositivo a
. .

mgranagg1.
L'astrologia è l'unico contesto pratico in cui era essenziale conoscere
la posizione dei pianeti nello zodiaco. Un astrologo di alta classe, in
grado di permettersi un dispositivo come il meccanismo, avrebbe potuto
usare il planetario come un'alternativa alle tavole astronomiche, senza
le quali non era possibile calcolare la posizione dei corpi celesti per gli
oroscopi dei clienti. Eppure, il costruttore del meccanismo non sembra
288 CAPITOLO 9

aver avuto in mente le eventuali necessità di un astrologo. Da un lato,


l'iscrizione del parapegma e il quadrante dei Giochi erano irrilevanti
per l'astrologia. Dall'altro, un dispositivo concepito specificamente per
l'astrologia (o anche per la pura ricerca astronomica) avrebbe dovuto
adottare un criterio coerente che permettesse di leggere e impostare anno
e giorno esatti in base a un sistema cronologico standard, come il calen­
dario egizio (che contava gli anni a partire da un'era riconosciuta) o il
sistema del ciclo callippico. L'unico sistema per il conteggio degli anni
presente sul meccanismo è rappresentato dall'inconsueto calendario co­
rinzio, utilizzato per il ciclo di 19 anni del quadrante metonico e per il
ciclo quadriennale del quadrante dei Giochi. La scala graduata del ca­
lendario egizio era la sola a distinguere fra giorni diversi, ma il sistema a
ingranaggi non era abbastanza raffinato da poter indicare i singoli giorni
con preciSione.
Si potrebbe trovare un candidato più adatto in un altro ramo dell'a­
strologia, che era strettamente legato a un almanacco astronomico di
grande successo: l'efemeride. Chiunque avesse bisogno di un parere
astrologico per stabilire se un determinato giorno fosse o meno pro­
pizio a un'impresa importante poteva consultare direttamente una di
queste tabelle, senza doversi rivolgere a un astrologo professionista.
E così, nella sesta satira, Giovenale si prende gioco di un certo tipo di
donna che rifiuta di andare incontro al marito se l'efemeride dice che il
giorno prescelto non è propizio al viaggio. Plinio il Vecchio, dal canto
suo, ci parla di Crinia, un medico alla moda originario di Massilia (la
moderna Marsiglia), che consultava un'efemeride prima di decidere
quale cura somministrare ai suoi pazienti romani. 2 I papiri greci pro­
venienti dall'Egitto romano hanno preservato numerosi frammenti di
queste efemeridi (figura 9 . 1 ) . Si tratta essenzialmente di una serie di
tabelle che registrano giorno per giorno le posizioni della luna e i movi­
menti dei pianeti attraverso lo zodiaco: l'utente poteva vedere in quali
giorni la luna si sarebbe trovata a una certa distanza in gradi da un pia­
neta benefico o malefico, il che gli avrebbe permesso di determinare se
le condizioni per lo svolgimento di una certa attività fossero favorevoli
o nefaste. Forse, un individuo particolarmente ricco avrebbe potuto
cercare di procurarsi una sorta di efemeride meccanica, percepita come
un oggetto di lusso. Per un acquirente così poco esperto, le funzioni
in grado di indicare cambiamenti meteorologici e festival panellenici
avrebbero potuto rappresentare degli attraenti accessori aggiuntivi.
Ciò a cui il meccanismo si presta davvero, però, è l'istruzione -
non tanto la formazione degli astrologi, che dovevano necessaria-
EPILOGO : IL SIGNIFICATO DEL MECCAN I S M O 289

Figura 9.1. POxy astron. 4 1 75, il più antico frammento a noi noto di un'efeme­
ride greca, risalente al 24 a.C. La parte superiore della tabella riassume i moti e
i fenomeni dei cinque pianeti, mentre la parte inferiore riporta le posizioni gior­
naliere della luna. Le date sono espresse secondo i calendari egizio e romano (©
The Egypt Exploration Society and Imaging Papyri Project, Oxford).

mente padroneggiare i testi tecnici e matematici, quanto piuttosto la


diffusione dell'astronomia presso gli studenti di filosofia e i membri
delle élite colte. L'Introduzione ai fenomeni di Gemino ci mostra qua­
li fossero le conoscenze considerate basilari nella tarda epoca elleni­
stica: a questo proposito, ho già avuto occasione di notare quanto
Gemino fosse intellettualmente vicino al responsabile della proget­
tazione scientifica del meccanismo. A ben vedere, infatti, quasi ogni
funzione del meccanismo corrisponde a qualche passo dell'opera di
Gemino (ta bella 9 . 1 ).3
290 CAPITOLO 9

Tabella 9 . 1 . Confronto fra il meccanismo e l'Introduzione ai fenomeni di Gemino.

Caratteristica del meccanismo Capitolo corrispondente nell'opera


di Gemino

Scala graduata dello zodiaco l . Sul circolo dei segni zodiacali.


Scala graduata del calendario egizio 8. Sui mesi.
Moti del sole, della luna e dei pianeti l . Sul circolo dei segni zodiacali.
12. Sul fatto che i pianeti hanno
un moto contrario a quello del cosmo.
1 8 . Sull'Exeligmos.
Dispositivo di visualizzazione delle 9. Sulle fasi della luna.
fasi lunari
Iscrizione del parapegma 1 3 . Sulle aurore e sui tramonti.
1 7. Sui segni meteorologici provenienti
dalle stelle.
Quadranti metonico e callippico 8. Sui mesi.
Quadrante dei Giochi nessun capitolo corrispondente
Quadranti di Saros 10. Sull'eclissi di sole.
e dell'Exeligmos 1 1 . Sull'eclissi di luna.
1 8 . Sull'Exeligmos.

Ovviamente, il meccanismo non illustra tutti i temi trattati da Gemino. Si


limita ai fenomeni astronomici osservabili su una scala temporale di giorni,
mesi e anni, ma non considera gli eventi relativi a frazioni di giorno. Argo­
menti come le forme delle costellazioni, la variazione stagionale dei giorni
e delle notti, la geografia astronomica e le relazioni astrologiche dei segni
zodiacali vanno ben al di là del suo scopo. Tuttavia, in perfetto accordo con
Gemino, il meccanismo incarna una visione ben precisa dell'astronomia,
concepita come una disciplina che non si occupa solo dei movimenti e dei
fenomeni dei corpi celesti, ma anche del loro impatto sull'ambiente terrestre
e sulla società umana. Il meccanismo era troppo piccolo per poter essere
usato efficacemente in dimostrazioni destinate a gruppi numerosi. Tuttavia,
nel contesto di lezioni individuali, avrebbe avuto un impatto didattico enor­
me. In effetti, non si limitava a rappresentare in modo visivo e dinamico una
serie di strutture cronologiche astratte, ma era anche in grado di simulare i
moti celesti su una scala temporale notevolmente accelerata.
Ma il meccanismo era molto più di un insieme di quadranti legati a
diversi fenomeni astronomici. In quanto immagine mobile del cosmo,
EPILOGO: IL SIGNIFICATO DEL MECCAN I S M O 291

esso mostrava l'armonia e il contrasto fra i fenomeni celesti e quelli ter­


restri, tutti governati dal passare del tempo e sottoposti a profondi prin­
cipi di regolarità. Dopo tutto, secondo i filosofi ellenistici, era proprio
questa la più grande sfida dell'astronomia: ridurre l'apparente comples­
sità dei fenomeni visibili a una serie limitata di movimenti fondamentali,
costanti e regolari, adeguati a degli esseri divini. Un oggetto che, pur
prodotto da mani umane, fosse capace di esibire proprio questo genere
di comportamento non poteva non suscitare domande sul funzionamen­
to del cosmo e sulle sue cause.
A questo punto, però, non stiamo più parlando solo del meccanismo
i cui frammenti sono conservati presso il Museo Archeologico Naziona­
le - dopo tutto, è possibile che esso non sia mai stato visto o azionato
da nessun altro se non dagli artigiani che lo costruirono - ma dell'intera
categoria degli antichi modelli meccanici del cosmo. Quanto era ampia
questa categoria e quante persone avevano potuto osservarne diretta­
mente degli esemplari? La lista (peraltro non esaustiva) compilata da
M.G. Edmunds include, secondo i miei calcoli, 1 8 testi greci e latini che
menzionano in modo plausibile e non ambiguo dei meccanismi astrono­
mici: un numero rispettabile, che dimostra quanto fosse diffusa l'idea di
simili dispositivi.4 Tuttavia, in nessuno di questi testi l'autore dichiara di
averne visto uno in prima persona. Nella maggior parte dei casi è difficile
stabilire se quello che viene detto a proposito dei meccanismi sia frutto
di esperienza diretta o di letture sull'argomento; in alcuni casi, poi, si
tratta senz'altro di finzioni letterarie o figure di stile.
Dobbiamo inoltre distinguere con attenzione i planetari meccanici da
altri concetti e categorie di oggetti che avrebbero potuto essere descritti
con espressioni paragonabili. Il termine greco sphaira (o il latino sphaera)
poteva riferirsi a un meccanismo astronomico, ma era anche usato per de­
signare un semplice globo. Per citare un esempio, quando descrive il botti­
no che Lucullo si procurò a Sinope intorno al 71 a.C., Strabone menziona
la sphaira di un certo Billaro. In questo caso, non ci troviamo di fronte
a un meccanismo, ma a un semplice globo celeste o terrestre.5 Il termine
sphairopoiia può designare sia un complesso di sfere celesti nell'ambito di
una teoria astronomica, sia un modello meccanico, sia la prassi di costru­
ire tali modelli. I modelli del cosmo potevano anche essere costituiti da
parti mobili indipendenti, prive di ingranaggi o altre connessioni meccani­
che. Probabilmente Platone aveva in mente un oggetto simile quando, nel
Timeo, scrisse che la complessità dei movimenti celesti può essere piena­
mente compresa solo osservandone le "imitazioni ". In un passo frammen­
tario della sua opera Sulla natura, il filosofo Epicuro (ca. 300 a.C.) critica
292 CAPITOLO 9

gli astronomi di Cizico perché, per visualizzare i fenomeni astronomici, si


basavano su "strumenti" (organa): non compare però nessuna allusione
al fatto che questi strumenti fossero meccanizzati.6 Infine, alcuni passi in
cui si descrivono dispositivi capaci di mostrare i moti celesti si riferiscono
ai quadranti di orologi a acqua, che rappresentavano le costellazioni in
proiezione stereografica (capitolo 2).
I passi in cui Cicerone menziona le sphaerae meccaniche non vanno
annoverati soltanto fra le più importanti testimonianze che possediamo,
ma anche fra le più antiche. Bisogna esaminarli in relazione a due episodi
della sua giovinezza: il suo viaggio nell'Oriente greco del 79-77 a.C. e la
sua questura in Sicilia nel 75 a.C. Durante i suoi viaggi ad Atene, a Rodi
e nell'Asia Minore, Cicerone incontrò numerosi insegnanti di filosofia
e di retorica, alcuni dei quali divennero suoi maestri. Fra costoro, c'era
anche il filosofo stoico Posidonio di Apamea, la cui sct,Iola si trovava a
Rodi. 7 Anche se non conosciamo le circostanze precise del loro incontro,
sappiamo che Cicerone fu profondamente impressionato da Posidonio,
che da quel momento in poi avrebbe considerato sia come un amico
(fami/iaris) sia come un maestro (magister).8 Quanto alla sua questura,
l'episodio più rilevante, narrato nelle Tuscolanae disputationes, è la for­
tunata ricerca della tomba di Archimede, che era caduta nell'oblio ed era
coperta di vegetazione.9 Cicerone era affascinato dalle storie relative ad
Archimede: nei suoi discorsi e nelle sue opere il nome del matematico è
spesso sinonimo di eccellenza intellettuale.
I passi sulla sphaera appartengono alle opere filosofiche che Cicerone
compose al termine della propria carriera: da un lato, il De re publica,
risalente al periodo fra il 54 e il 5 1 a.C., dall'altro, il De natura dea­
rum e le Tusculanae, composte entrambe intorno al 45 a.C. Il De na­
tura deorum racconta una conversazione fittizia avvenuta fra tre amici
di Cicerone, più vecchi di lui di qualche anno. Si deve immaginare che
l'evento si sia verificato dopo il ritorno di Cicerone a Roma nel 77 a.C.
Lo stesso Cicerone compare nel ruolo di testimone silenzioso. Quando
lo stoico Balbo immagina i popoli barbari della Scizia e della Britannia
che si imbattono nella "sphaera che il nostro Posidonio ha recentemente
costruito ", non si può non pensare che Cicerone stia alludendo a qualco­
sa che aveva personalmente visto a Rodi. Forse si trattava di un cugino
prossimo del meccanismo di Anticitera.
Per quanto riguarda le descrizioni della sphaera di Archimede che
compaiono nel De re publica e nelle Tusculanae, la situazione è meno
chiara. La descrizione del De re publica è più precisa, ma compare nel
contesto di una narrazione retrospettiva, a propria volta inclusa in un
EPILOGO: IL SIGNIFICATO DEL MECCANISMO 293

dialogo collocato in un passato lontano: il lettore è esonerato dal dove­


re di interpretarla come una testimonianza storicamente attendibile, un
po' come accade nel passo del Simposio platonico in cui Socrate riferi­
sce la propria conversazione giovanile con l'ostetrica Diotima. Anche le
Tusculanae sono in forma di dialogo: però Cicerone parla al presente
e in prima persona quando istituisce un paragone fra Archimede che
"rinchiude" in una sphaera i movimenti dei sette corpi celesti e il De­
miurgo del Timeo intento a plasmare il cosmo. A quanto sembra, quindi,
Cicerone era convinto che Archimede avesse costruito un meccanismo
astronomico: probabilmente dietro a questa convinzione c'era una trac­
cia di verità.
Quanto sapeva Cicerone del dispositivo di Archimede? Forse ben
poco, oltre al fatto che era esistito. Quanto alla sphaera di Posidonio, la
caratteristica che più aveva impressionato Cicerone consisteva nel fatto
che un singolo movimento rotatorio dava luogo a una riproduzione dei
movimenti distinti del sole, della luna e dei pianeti, in tutto e per tutto
simili alle loro traiettorie nel cielo. Questa descrizione, che sarebbe stata
una perfetta rappresentazione del meccanismo di Anticitera, compare
quasi identica in entrambi i passi dedicati ad Archimede. Nel De re pu­
blica, Cicerone attribuisce un'altra caratteristica alla sphaera di Archi­
mede: essa avrebbe rappresentato in modo realistico le ombre del sole e
della luna, riproducendo le condizioni da cui derivano le eclissi. È però
difficile immaginare come una simile funzione potesse essere concreta­
mente realizzata da un punto di vista meccanico. Si potrebbe anche pen­
sare che Cicerone l'abbia inventata per collegarsi alla sezione successiva,
dedicata alla lezione sulle cause delle eclissi che Sulpicio Gallo impartì
alle truppe romane.
Comunque sia, il fatto che Cicerone evochi, a sostegno delle proprie
tesi filosofiche, specifici meccanismi associati ad Archimede e Posidonio
implica che si trattava di oggetti rari, che non si potevano trovare in una
qualsiasi aula scolastica o nella casa di qualunque ricco collezionista.
Non sentiamo più parlare di sphaerae o sphairai meccaniche fino al II se­
colo d.C., quando i meccanismi astronomici fanno nuovamente capolino
fra gli argomenti di discussione di scrittori filosofici e scientifici, come
Teone di Smirne, Tolomeo, Galeno e Sesto Empirico. Dal modo in cui
questi autori parlano dei meccanismi possiamo dedurre che i loro lettori
avevano una certa familiarità con questo genere di oggetti; è persino
possibile che avessero occasione di vederli personalmente. Forse il vero
culmine del progresso tecnologico non va collocato nell'epoca ellenisti­
ca, ma nella Roma degli Antonini.
294 CAPITOLO 9

Per quanto riguarda la maggior parte dell'attività scientifica del mon­


do greco-romano, il III secolo d.C. rappresenta un altro periodo di vuo­
to. Quanto al secolo successivo, ci si imbatte in rare allusioni informa­
te ai meccanismi astronomici; fra queste, però, figurano alcuni accenni
all'esistenza di una letteratura tecnica sulla sphairopoiia. Nel V secolo, il
filosofo neoplatonico Proda cita un "trattato astronomico" (astrologike
pragmateia) composto da un certo Carpo di Antiochia, che viene suc­
cessivamente descritto come un esperto di meccanica. Proda ne parla
in riferimento a una serie di problemi legati a definizioni matematiche
fondamentali, un argomento che, a sentire lo stesso Proda, avrebbe avu­
to ben poco a che fare con il tema principale del trattato di Carpo. 10
Ma di cosa parlava davvero quest'opera? La risposta può essere dedotta
non solo dalla professione dell'autore, ma anche dal fatto che, secondo
Pappa di Alessandria (circa 300 d.C.), Carpo avrebbe dichiarato che
l'unico libro di meccanica mai scritto da Archimede aveva a che fare
con la sphairopoiia (capitolo 8). Sfortunatamente, le fonti antiche non ci
dicono altro sulle opere di Carpo o di Archimede.
Grazie a Proda sappiamo anche che, ai suoi tempi, si costruivano
ancora meccanismi astronomici. Verso la fine di un breve trattato Sulla
Provvidenza, Proda accenna al fatto che Teodoro aveva assemblato un
dispositivo "utilizzando dischi e torni" e che lo aveva battezzato " para­
pegma " . 1 1 Ammesso che questo termine sia stato usato con cognizione
di causa, il meccanismo di Teodoro non doveva essere un planetario
completo, quanto piuttosto un semplice strumento per la visualizzazione
di cicli di tempo. Più che di una controparte portatile dei parapegmi
astrali e meteorologici incontrati nel capitolo 4, doveva trattarsi di un
dispositivo analogo alle iscrizioni con fori e alloggiamenti per i pioli dif­
fuse nell'Impero romano occidentale, le quali permettevano all'utente di
rilevare la data attuale in base a cicli che includevano il mese lunare e la
settimana astrologica di sette giorni (figura 9.2). 12
Il caso vuole che l'unico altro esemplare di dispositivo astronomico
a ingranaggi che ci sia giunto dall'antichità sia proprio un parapegma
mobile, risalente più o meno alla stessa epoca di Teodoro e Proda, o di
poco posteriore. Si tratta di una meridiana portatile di origine sconosciu­
ta (sicuramente proveniva da qualche area del Mediterraneo orientale),
adesso custodita presso il Museo della Scienza di Londra (figura 9.3).U
Questa meridiana appartiene a una tipologia piuttosto comune nella
tarda antichità, la cui funzione era quella di indicare l'ora del giorno a
un'ampia gamma di latitudini diverse; ma oltre a segnalare l'ora, questo
esemplare era anche dotato di un sistema di ingranaggi interno. Secondo
EPILOGO: IL SIGNIFICATO DEL MECCANISMO 295

la ricostruzione di Michael Wright, questo meccanismo era attivato da


un impulso manuale, che faceva ruotare gli ingranaggi di uno spazio
equivalente a un giorno di tempo: in tal modo i quadranti sui pannelli
anteriore e posteriore mostravano il giorno del mese lunare in corso,
la fase della luna, il giorno della settimana astrologica e forse anche la
posizione del sole e della luna nello zodiaco (sfortunatamente la faccia
posteriore e alcuni degli ingranaggi sono andati perduti, quindi questa
ricostruzione è parzialmente speculativa ). I rapporti alla base del sistema
di ingranaggi sono piuttosto semplici e rozzi (in particolare, due mesi
lunari sono equiparati esattamente a 59 giorni) e non si tenta in alcun
modo di riprodurre il moto non uniforme.

l
.r .

x y ·. t � . .

X V' l i @
l
Il ,' 'f<;>l f// � .

x. . "<V/ Il l·· . il
Ili
x x @)
!Ili
·.x X l ®·
v
X. X l i E>·
,Qo v l
� VI I X X I I I · �.
.
e VI l i X Xli i i ®
.
: V II\ 1
t> X
x xv �
x x. v t t!) '
.

{r) x l
. x. x l

t) X I l
.

f) X l i i
xx�
X X Vl . C!) l iI

x x .><.

Figura 9.2 Disegno (realizzato nel 1 8 1 6) dell'iscrizione del parapegma risalente al


IV sec. d.C. trovata presso le Terme di Traiano, a Roma. L'originale è perduto. l
fori per i pioli servivano a monitorare la settimana astrologica (in alto, con i busti
degli dei planetari), il mese lunare (colonne di destra e di sinistra) e lo spostamento
del sole e della luna attraverso lo zodiaco (in basso, al centro) (Guattani 1 8 1 7,
tavola XXII).
296 CAPITOLO 9

Le tecniche necessarie alla costruzione di meccanismi a ingranaggi


piuttosto semplici sopravvissero fino al Medioevo (a quanto ne sappia­
mo, però, non si trattava della tecnologia raffinata del meccanismo di
Anticitera ), per riaffiorare· secoli più tardi nel mondo islamico (figura
9.4 ).14 A mio parere, i sofisticati orologi con planetario comparsi nell'Eu­
ropa del XIV secolo sono il risultato della reinvenzione di congegni ca­
paci di riprodurre il moto non uniforme e non dell'improvvisa riscoperta
di idee provenienti dall'antica Grecia che si sarebbero annidate per più di
un millennio in fonti a noi sconosciute.15
Siamo ovviamente ben lontani dal poter ricostruire una storia co­
erente dello sviluppo e del successivo declino dell'antica tradizione di
costruzione di meccanismi astronomici. Ci sono però prove sufficienti
per concludere che, perlomeno nei tre secoli che vanno dal 1 00 a.C. al
200 d.C. circa, si costruivano meccanismi complessi e scientificamente
ambiziosi. Sappiamo anche che le persone che avevano più possibilità
di imbattersi in simili dispositivi erano senz'altro i meccanici, i filosofi e
gli scienziati. L'esistenza e la natura stessa dei meccanismi suscitarono
reazioni diverse presso gli esponenti di queste tre categorie.

( a) (b)

��' '"''P'J'IIIill'' '�ill'l"i


'' •• Il IH M m IM 141 �� �

Figura 9.3. La meridiana portatile a ingranaggi conservata a Londra. A sinistra,


si vede la parte esterna della faccia anteriore. Il quadrante della settimana astro­
logica, su cui sono incisi i busti degli dei della settimana, è in alto a sinistra. A
destra, si vede la parte interna del pannello anteriore, con gli ingranaggi supersti­
ti. Sull' ingranaggio più grande, dotato di 59 denti, sono incisi i numeri dei giorni
del mese lunare, visibili attraverso una finestra collocata sulla faccia posteriore,
ormai perduta (Science Museum/Science & Society Picture Library).
EPILOGO: IL SIGNIFICATO DEL MECCANISMO 297

Vitruvio appartiene al gruppo dei tecnici capaci di apprezzare sia i


metodi di costruzione sia il funzionamento di simili dispositivi mecca­
nici. Nel suo trattato Sull'architettura, non fa nessun accenno diretto a
planetari meccanici costruiti dall'uomo, ma deve esserne stato a cono­
scenza, visto che descrive la volta celeste come una sorta di meccanismo:
se - osserva Vitruvio - il sole, la luna e i pianeti non ruotassero in modo
meccanico (machinata), non avremmo né la luce né i frutti delle stagioni;
a suo parere, sarebbe stata proprio questa constatazione a spingere i no­
stri antenati a inventare dispositivi capaci di procurare benefici all'uma­
nità. 1 6 L'idea che le rivoluzioni dei corpi celesti mantengano gli elementi

Figura 9.4. Il sistema di ingranaggi interno dell'astrolabio di Abu Bakr di Isfahan


(figura 2.3 ). Gli ingranaggi attivavano i quadranti collocati sul retro, i quali mo­
stravano il moto del sole e della luna attraverso lo zodiaco, nonché le fasi lunari
(Museum of the History of Science, University of Oxford).
298 CAPITOLO 9

del mondo sottostante in un flusso continuo, che rende possibile la vita,


deriva direttamente dal Timeo di Platone e dal trattato aristotelico su La
generazione e la corruzione. Ma il termine machinata aggiunge qualcosa
di nuovo: ci troviamo di fronte a una visione in cui le rivoluzioni celesti
sono causate da un sistema di ingranaggi invisibili e interconnessi.
Teodoro, l'esperto di meccanica amico di Proda, portava alle estre­
me conseguenze l'idea del cosmo come sistema di ingranaggi, applican­
dola non solo alla volta celeste, ma anche al mondo sottostante e a noi
stessi. Così Proda parafrasa le sue convinzioni:17

Tu ritieni quindi che, per utilizzare le tue stesse parole, esista un'unica
causa del tutto, ineludibile, che produce ogni cosa alla pari di un grande
meccanismo e che sia tale causa a muovere ogni parte del reale; l'univer­
so sarebbe una grande macchina dove tutte le parti si incastrerebbero le
une con le altre alla stregua di ingranaggi, alcune come ruote capaci di
muovere e alcune, ovvero gli esseri particolari, i viventi e le anime, mosse
dalle prime, mentre esisterebbe un'unica causa motrice.

Secondo Teodoro, essendo messe in moto da connessioni meccaniche,


tutte le componenti del cosmo, incluse "tutte le faccende umane, che
siano comiche, tragiche o d'altro genere", sono governate dal fato: di
conseguenza, noi non siamo responsabili delle nostre azioni (questo pas­
so sembra anche fare riferimento a qualcosa di simile al teatro automa­
tico in miniatura descritto da Erone di Alessandria, in cui la storia di
Dioniso era rappresentata da una serie di figure azionate tramite corde
e carrucole). 1 8
Le idee di Teodoro avevano qualcosa in comune con il determinismo
della filosofia stoica . Gli stoici, però, credevano che il fato corrispon­
desse al piano provvidenziale di un essere divino che abita il cosmo e lo
governa; a loro avviso, inoltre, era possibile riconciliare questo stesso
fato con la responsabilità individuale umana. Proda, in quanto seguace
di Platone, non credeva in un determinismo assoluto. Eppure, uno de­
gli argomenti che oppone a Teodoro e al suo rifiuto della provvidenza
avrebbe potuto essere concepito da uno stoico: prima che il parapegma
meccanico di Teodoro esistesse come oggetto fisico e che le sue parti
venissero bloccate tramite connessioni meccaniche in una condizione
simile a quella prodotta dal fato, l'oggetto non era forse esistito nella
mente dello stesso Teodoro sotto forma di progetto ? Allo stesso modo,
anche se il cosmo fosse ugualmente bloccato in un percorso evolutivo
d eterminato dal destino, questo percorso non sarebbe forse il riflesso del
progetto del divino Artefice che lo ha concepito ? 1 9
EPILOGO: IL SIGNIFICATO DEL MECCAN I S M O 299

Gli scrittori scientifici sembrano aver adottato una certa cautela nel
formulare analogie fra i meccanismi costruiti dall'uomo e il funziona­
mento della natura. Galeno lo fa in un'occasione soltanto, quando de­
scrive la trasformazione coordinata del seno e dell'utero durante la gra­
vidanza. Questi fenomeni - si domanda Galeno - mostrano forse che gli
organi sanno cosa devono fare in seguito a una sorta di ragionamento?
Se così fosse, però, si tratterebbe di esseri razionali a pieno titolo e non di
organi: dopo tutto, il significato fondamentale del termine greco organa
è quello di strumenti o utensili. Oppure è la struttura fisica del corpo a
determinare il loro comportamento ?

Infatti, come coloro che imitano le rivoluzioni degli astri erranti, dopo
aver dato attraverso certi strumenti [organa] il principio del movimento
se ne vanno, mentre gli astri funzionano come se l'artefice fosse presente
e li sorvegliasse continuamente, allo stesso modo, io penso, ciascuna delle
parti del corpo funziona per successione e trasmissione di movimento a
partire dall'inizio sempre senza aver bisogno di alcun sorvegliante.20

Ma Galeno non intendeva certo suggerire che la connessione fra questi


organi fosse meccanica nel senso letterale del termine. Nel passo in cui
spiega come i seni rispondano ai cambiamenti che avvengono nell'utero,
attribuisce questa apparente azione a distanza a certi vasi sanguigni che,
a suo parere, avrebbero collegato l'utero al seno, portando nutrimento
a entrambiY Proprio come Cicerone, Galeno non vuole che osserviamo
l'interno del meccanismo astronomico per carpirne il funzionamento.
Nel capitolo 7 abbiamo visto che, nella sua ultima opera, intitola­
ta Ipotesi planetarie, Tolomeo si lamentava del "metodo abitualmente
adottato per la sphairopoiia" , che non solo non era in grado di rendere
visibili le ipotesi alla base del moto planetario apparente, ma non riu­
sciva nemmeno a interpretare tali ipotesi nel modo corretto.22 Uno degli
obiettivi del suo libro era quello di fornire ai progettisti dei meccanismi
una serie completa e precisa di informazioni astronomiche a cui ispirarsi.
A parere di Tolomeo, lo scopo legittimo dei meccanismi non era quello
di esibire i ritrovati dell'arte meccanica, ma di insegnare all'osservatore
verità scientifiche: per raggiungere questo obiettivo, bisognava rendere
in qualche modo visibile l'azione degli epicicli e delle orbite eccentriche.
In precedenza, Tolomeo aveva osservato che paragonare i movimenti
del sole, della luna e dei pianeti alle operazioni dei meccanismi realiz­
zati dall'uomo avrebbe potuto rivelarsi fuorviante; in particolare, non
bisognava concludere che un'ipotesi astronomica fosse falsa solo perché
era impossibile realizzarne un modello funzionante in laboratorio.23 I
300 CAPITOLO 9

materiali con cui costruiamo i nostri modelli non sono altro che i quattro
elementi, la cui natura è mutevole; senza contare che le parti meccaniche
sfregano l'una contro l'altra e resistono al moto. Al contrario, la materia
eterea di cui è composta la volta celeste è divina e libera da qualsiasi
impedimento che potrebbe osta�;olarne il moto. Di conseguenza, delle
combinazioni di movimenti che ci appaiono tanto complesse da essere
impossibili potrebbero essere semplici per i corpi celesti e le sfere che li
trasportano.
La cosmologia di Tolomeo rifiuta l'idea del cosmo come meccani­
smo, non importa se privo di scopo come quello di Teodoro o plasmato
da un Demiurgo come quello dei filosofi platonici. Grazie alle loro ca­
ratteristiche fisiche, i corpi celesti eterei possono ruotare senza sforzo,
ma quello che li mette in moto non è altro che l'impulso razionale delle
anime che governano ciascun pianeta, proprio come le nostre anime go­
vernano le nostre membra e i nostri organi.24 Pertanto, non dobbiamo
paragonarli al funzionamento di ingranaggi invisibili, ma "a un circolo
di mani unite in una danza, o a un cerchio di persone che compiono una
danza in armi: nello scambio si sostengono a vicenda e uniscono le forze,
senza che i loro corpi entrino in contatto, in modo tale che questi non
ostacolino le loro azioni, né essi ne siano intralciati" .25
Il meccanismo di Anticitera e i suoi omologhi meccanici antichi con­
vertirono ben poche persone all'idea di un universo a ingranaggi. E così,
non furono in grado di anticipare l'Illuminismo di un paio di millenni,
né di rappresentare l'avanguardia di una Rivoluzione industriale antica.
Lo scrittore scientifico Arthur C. Clarke ha descritto questo potenziale
mancato in termini sensazionalistici: "Se le intuizioni dei Greci fossero
state pari al loro ingegno . . . adesso non ci limiteremmo a girellare sulla
luna, ma avremmo già raggiunto le stelle più vicine."26 Be', forse ! In ogni
caso, queste meraviglie della scienza antica sono riuscite ad avvicinare le
stelle al mondo dei Greci e dei Romani.
Glossario

Albero: un asse fisso o rotante cui sono collegati gli ingranaggi, le lancette o i
puntatori.
Albero tubolare: una componente meccanica a forma di tubo; si può trattare, ad
esempio, di un albero cavo che racchiude un secondo albero con cui condivi­
de lo stesso asse di rotazione.
Anno del calendario (o anno civile): un anno definito da un calendario; si con­
trappone all anno solare.
'

Anno siderale: l'intervallo di tempo medio impiegato dal sole per compiere una
rivoluzione intorno all'eclittica rispetto alle stelle fisse.
Anno solare: un anno definito dalla rivoluzione del sole intorno all'eclittica o da
fenomeni che dipendono dalla rivoluzione del sole.
Anno tropicale: l'anno solare medio, definito da due solstizi o da due equinozi
successivi dello stesso tipo.
Anomalia: termine tecnico utilizzato dagli astronomi per indicare un moto non
uniforme.
Apogeo: in base a un'ipotesi geometrica, è il punto più distante dalla terra
dell'orbita di un corpo celeste o di una componente del suo moto.
Asse: un centro di rotazione. In un sistema di ingranaggi, uno o più alberi possono
condividere lo stesso asse di rotazione tramite l'uso di alberi tubolari .
Calendario: un insieme di pratiche o regole che determinano il numero e il nome
dei giorni all'interno di un mese civile, nonché il numero e il nome dei mesi
all'interno di un anno civile. Normalmente, il calendario svolge una funzione
religiosa, politica e privata nell'ambito della comunità che lo adotta, ma può
anche essere impiegato per stabilire una cronologia astronomica.
Calendario, callippico: un calendario concepito per uso astronomico. È regolato
da un ciclo di 76 anni e i mesi che lo compongono hanno lo stesso nome di
quelli del calendario ateniese. Gli anni del calendario callippico erano con­
teggiati in base a periodi callippici di 76 anni, il primo dei quali iniziò subito
dopo il solstizio d'estate del 330 a.C.
Calendario, egizio: il calendario civile utilizzato in Egitto dall'epoca dei faraoni
fino a quella romana. Il calendario egizio era composto da 12 mesi di 30 giorni
ciascuno, seguiti da alcuni giorni detti "giorni epagomeni", che non apparte­
nevano ad alcun mese. Nella forma originale e non riformata del calendario,
tutti gli anni comprendevano 5 giorni epagomeni, cosicché l'anno egizio era
302 GLOSSARIO

composto da 365 giorni. Quando l'Egitto passò sotto il dominio romano, fu


presto istituito un calendario riformato, in cui un anno ogni quattro aveva sei
giorni epagomeni.
Calendario, lunare: un calendario i cui mesi cominciano sempre in prossimità
della stessa fase lunare, normalmente la fase di luna crescente. I mesi lunari
hanno 29 giorni (mesi "vuoti" ) o 3(} giorni (mesi "pieni" ) .
Calendario, lunisolare: u n calendario lunare i cui anni cominciano sempre in
prossimità della stessa stagione dell'anno naturale. Gli anni del calendario
lunisolare sono formati da 12 mesi (anno "ordinario" ) o 1 3 mesi (anno "in­
tercalare"). I calendari greci, così come il calendario babilonese, erano !uni­
solari.
Ciclo callippico : si veda ciclo di 76 anni.
Ciclo di 1 9 anni: un ciclo che determina quali anni di un calendario lunisolare sia­
no intercalari; si basa sulla corrispondenza approssimativa tra 19 anni solari e
235 mesi lunari. Spesso viene anche definito ciclo metonico.
Ciclo di 76 anni: un ciclo che regola i calendari lunisolari. Comprende quattro
cicli di 1 9 anni. Se si presuppone che l'anno solare duri 365 giorni e lA, que­
sto ciclo di 76 anni corrisponde a 27.759 giorni.
Ciclo metonico: si veda ciclo di 19 anni.
Ciclo sinodico: è il ciclo dei fenomeni della luna o di uno dei pianeti ed è legato
al moto apparente del corpo celeste interessato rispetto al sole (il ciclo delle
fasi lunari è un esempio di ciclo sinodico).
Comparsa, prima: il momento in cui una stella o u n pianeta appare nel cielo
notturno dopo un intervallo di tempo in cui non era visibile. Per una stella o
un pianeta esterno, la prima comparsa corrisponde alla levata mattutina. Un
pianeta interno ha sia una prima comparsa mattutina (che corrisponde alla
sua levata mattutina), sia una prima comparsa serale.
Comparsa, ultima (o scomparsa): il momento in cui una stella o un pianeta cessa
di essere visibile nel cielo notturno. Per una stella o un pianeta esterno l'ultima
comparsa corrisponde al tramonto serale. Un pianeta interno ha sia un'ultima
comparsa mattutina sia un'ultima comparsa serale (che corrisponde al suo tra­
monto serale).
Congiunzione: il momento in cui due corpi celesti (uno dei quali normalmente è
il sole) hanno la stessa longitudine rispetto all 'eclittica.
Congiunzione, inferiore: congiunzione di Venere o Mercurio con il sole, tale per
cui il pianeta interessato è più vicino alla terra che al sole; si verifica durante
il moto retrogrado del pianeta.
Congiunzione, superiore: congiunzione di Venere o Mercurio con il sole, tale
per cui il pianeta interessato è più lontano dalla terra che dal sole; si verifica
durante il moto diretto del pianeta.
Demoltiplicatore: un treno di ingranaggi in cui il moto in ingresso è più veloce
del moto in uscita.
Differenziale: un sistema di ingranaggi che riceve due rotazioni di ingresso e
genera un moto pari alla differenza delle loro velocità o a qualche altra com­
binazione lineare di queste rotazioni.
GLOSSARIO 303

Direzioni dell'oscuramento: le parti del disco del corpo eclissato che sono oscu­
rate all'inizio, alla fine e nelle altre fasi di un'eclissi; vengono definite tramite
le direzioni cardinali nord, sud, est e ovest.
Eclittica: il percorso circolare apparente che il sole traccia sulla sfera celeste at­
traversando il centro dello zodiaco.
Eliocentrico: il sistema di riferimento secondo cui il sole è al centro del cosmo o
del sistema di moto planetario.
Elongazione: l'intervallo di longitudine che separa due corpi celesti.
Elongazione, massima: il momento in cui Venere o Mercurio raggiungono la
loro massima elongazione rispetto al sole in una direzione o nell'altra.
Epiciclo: nell'astronomia greca, l'epiciclo è l'ipotetica traiettoria di un corpo celeste; a
sua volta, il centro dell'epiciclo compie una rotazione più ampia intorno alla terra.
Equatore, celeste: il cerchio della sfera celeste che è equidistante dai poli della sua rotazio­
ne. Esattamente metà dell'equatore celeste è sempre al di sopra dell'orizzonte, cosic­
ché i giorni in cui il sole si trova sull'equatore celeste prendono il nome di equinozi.
Equinozio: il giorno dell'anno in cui il sole sorge esattamente a est e tramonta
esattamente a ovest sull'orizzonte. In un equinozio, la durata del giorno è
quasi perfettamente uguale a quella della notte.
Exeligmos: un ciclo di 669 mesi lunari utilizzato per prevedere le eclissi. Com­
prende tre cicli di Saros di 223 mesi ciascuno e si ritiene corrisponda esatta­
mente a 1 9.756 giorni.
Geocentrico: il normale sistema di riferimento adottato dall'astronomia greca. Nel
sistema geocentrico, il centro della terra è il centro stazionario del cosmo.
Ingranaggio a dentatura frontale: un ingranaggio i cui denti sporgono ad angolo
retto rispetto al piano dell'ingranaggio stesso, permettendo così di trasferire il
moto a un asse perpendicolare rispetto a quello dell'ingranaggio.
Ipotesi: nell'astronomia greca equivale a una teoria o un modello astronomico.
Generalmente, le ipotesi volte a spiegare i moti apparenti dei corpi celesti
includevano moti circolari uniformi come le orbite eccentriche e gli epicicli.
Latitudine celeste: le coordinate della posizione (o del moto) apparente di un
corpo celeste misurate perpendicolarmente a nord o a sud dell'eclittica.
Levata (o sorgere) : il termine "levata" viene spesso utilizzato per indicare il mo­
mento in cui una stella o un pianeta sono visti sorgere per la prima o l'ultima
volta prima dell'alba o dopo il tramonto.
Levata, mattutina: Il momento in cui una stella o un pianeta sono visti sorgere
per la prima volta prima dell'alba.
Levata serale o acronica (sorgere serale o acronico) : il momento in cui una stella
o un pianeta esterno sono visti sorgere per l'ultima volta dopo il tramonto.
Longitudine celeste: le coordinate della posizione (o del moto) apparente di un
corpo celeste misurate verso est lungo l'eclittica.
Luna nuova (novilunio): il giorno in cui, dopo il tramonto, la luna è visibile
per la prima volta sotto forma di falce crescente in prossimità dell'orizzonte
occidentale. (In questo libro non viene mai impiegato un possibile significato
alternativo del termine, equivalente al concetto di congiunzione.)
Marker fiduciale: segno di riferimento su una scala graduata o un quadrante.
304 GLOSSARIO

Mese civile: un mese definito secondo le regole di un calendario. Ad esempio, in un


calendario lunisolare un mese civile non è altro che un mese lunare.
Mese intercalare: in un calendario lunisolare, è un tredicesimo mese civile che
viene aggiunto a un anno civile. Nei più antichi calendari lunisolari il mese
intercalare consisteva in una ripetizione del mese precedente.
Mese lunare: l'intervallo di tempo, misurato in giorni interi, che intercorre tra
due successive occorrenze della stessa fase lunare (ad esempio, il periodo che
separa due noviluni).
Mese pieno: un mese lunare o, più precisamente, un mese civile di un calendario
lunisolare che conta 30 giorni.
Mese siderale: l'intervallo di tempo, o l'intervallo di tempo medio, impiegato dalla
luna per ritornare nella stessa posizione sull'eclittica rispetto alle stelle fisse.
Mese sinodico: l'intervallo di tempo impiegato dalla luna per tornare alla sua
elongazione inziale rispetto al sole (ad esempio, il periodo di tempo che in­
tercorre tra due congiunzioni successive).
Mese vuoto: un mese lunare, o, più precisamente, un mese civile di un calendario
lunisolare che conta 29 giorni.
Moltiplicatore: un treno di ingranaggi in cui il moto in ingresso è più lento del
moto in uscita.
Moto apparente: moto di un corpo celeste percepito da un osservatore terrestre.
Moto diretto: moto apparente di un corpo celeste lungo la longitudine crescente
(ovvero verso est lungo l'eclittica).
Moto non uniforme: moto apparente di un corpo celeste dotato di una velocità
variabile.
Moto retrogrado: moto apparente di un corpo celeste lungo la longitudine decre­
scente (ossia, verso ovest lungo l'eclittica ) .
Moto uniforme: nel contesto dell'astronomia greca, si tratta di un moto circolare
a velocità costante.
Numero dei denti: numero dei denti di un ingranaggio.
Opposizione: il momento in cui la luna o un pianeta sono diametralmente oppo­
sti rispetto al sole in longitudine (il che equivale a dire che la loro elongazione
è pari a 1 80°).
Ora, equinoziale: un'unità di tempo costante pari a '124 di un giorno e una notte
medi (in altre parole, si tratta di un'ora nel senso moderno del termine).
Ora, stagionale: un'unità di tempo che varia a seconda delle stagioni e che cor­
risponde a 1/u dell'intervallo di tempo che separa l'alba dal tramonto o il
tramonto dall'alba. Nel mondo greco-romano, le ore del giorno e della notte
erano solitamente espresse in ore stagionali.
Orbita eccentrica: un'orbita circolare il cui centro non corrisponde a quello della terra.
Oroscopo: un documento astrologico che registra la configurazione delle posizioni
apparenti dei corpi celesti in un giorno particolare o in sua prossimità (ad
esempio, la data di nascita di un certo individuo). Nell'oroscopo greco, sia lo
zodiaco sia l'orizzonte vengono utilizzati come sistemi di riferimento; inoltre
viene conferita particolare importanza al punto dello zodiaco che sorge sull'o­
rizzonte orientale (chiamato "ascendente" o horoskopos).
GLOSSARIO 305

Parallasse: la differenza nella posizione apparente di un corpo celeste osservato


da punti diversi. In particolare, la parallasse lunare corrisponde alla diffe­
renza tra la posizione apparente della luna (indicata dalla sua longitudine e
latitudine) percepita da un osservatore che si trovi su un punto qualsiasi della
superficie terrestre e quella che sarebbe percepita da un ipotetico osservatore
situato al centro della terra.
Parapegma: un documento o oggetto che permette di monitorare uno o più cicli
cronologici (ad esempio, il ciclo annuale della levata e del tramonto delle
costellazioni o la settimana astrologica) .
Periodo d i eclissi (o periodo eclittico) : un intervallo che comprende un numero
costante di mesi sinodici e durante il quale le eclissi o le possibilità di eclissi
tendono a ripresentarsi.
Periodo sinodico: è l'intervallo di tempo associato a un ciclo sinodico.
Perno e scanalatura (pin-and-slot) : un dispositivo tramite cui un ingranaggio
planare aziona o è azionato da un altro ingranaggio planare mediante un
perno che sporge perpendicolarmente dal primo ingranaggio e si inserisce in
una scanalatura radiale situata sul secondo.
Pianeti: i cinque pianeti visibili a occhio nudo sono Saturno, Giove, Marte, Ve­
nere e Mercurio. Marte, Giove e Saturno sono chiamati "pianeti esterni ",
mentre Mercurio e Venere sono detti "pianeti interni". Talvolta anche il sole
e la luna sono considerati come pianeti (si veda stelle vaganti) .
Pianeti, nomi descrittivi: aggettivi della lingua greca convenzionalmente riferiti
ai cinque pianeti; avevano a che fare con il loro presunto aspetto visivo (ad
esempio, Mercurio era "il Luminoso" [Stilbon]).
Pianeti, nomi teoforici: espressioni convenzionali con cui i Greci associavano i
cinque pianeti alle rispettive divinità (ad esempio, Mercurio era "la stella di
Ermes" ) .
Planetario: un dispositivo meccanico che mostra i l movimento del sole, della
luna e dei pianeti attraverso lo zodiaco.
Possibilità di eclissi: un plenilunio o una congiunzione tra sole e luna in cui la latitu­
dine della luna è sufficientemente bassa da poter generare un'eclissi. Ad esempio,
una possibilità di eclissi lunare potrebbe essere definita come un plenilunio in
cui la latitudine della luna è inferiore rispetto ai pleniluni precedenti e successivi.
Precessione: il graduale spostamento della posizione apparente delle stelle rispet­
to ai punti solstiziali ed equinoziali.
Punto equinoziale: uno dei due punti in cui l'eclittica interseca l'equatore celeste; in
corrispondenza degli equinozi il sole si trova su uno dei due punti equinoziali.
Punto solstiziale: uno dei due punti dell'eclittica (situato a un'elongazione di 90°
dai punti equinoziali) che il sole occupa in corrispondenza dei solstizi.
Rotismo epicicloidale: sistema di ingranaggi i cui alberi sono fissati in posizione
decentrata su un ingranaggio di base.
Ruota folle (o intermedia): nell'ambito di un treno di ingranaggi, una ruota folle
è un ingranaggio intermedio che non ha alcun effetto sul rapporto tra la ve­
locità del moto in entrata e quella del moto in uscita; tuttavia, l'inclusione di
ruote folli può invertire il senso di rotazione.
306 GLOSSARIO

Saros: un ciclo costituito da 223 mesi lunari, impiegato per la previsione delle
eclissi. Alcuni astronomi greci gli assegnavano una durata costante di 6585
giorni e Yl.
Segni zodiacali: ogni segno corrisponde a una sezione dello zodiaco pari a 30" e
prende il nome dalla costellazione con cui coincideva nell'antichità.
Settimana astrologica: un ciclo ricorrente di sette giorni, in cui ogni giorno è
dominato sul piano astrologico da uno dei corpi celesti, secondo la sequenza
seguente: Crono (Saturno), sole, luna, Ares (Marte), Ermes (Mercurio ), Zeus
(Giove), Afrodite (Venere).
Sfera celeste: una superficie sferica immaginaria che ha come centro quello della
terra e che viene utilizzata come quadro di riferimento per le posizioni ap­
parenti dei corpi celesti. Nell'astronomia greca, per giustificare la levata e il
tramonto giornalieri di sole, luna, stelle e pianeti, si immaginava che la sfera
celeste ruotasse intorno a un asse fisso.
Solstizio: giorno in cui i punti dell'orizzonte dove il sole sorge e tramonta e la
sua altitudine a mezzogiorno raggiungono la massima altezza a nord o a sud,
dando luogo al giorno più lungo o più breve dell'anno.
Sphaira (sphaera): termine utilizzato nei testi greci e latini per indicare un pla­
netario.
Stazione: il momento in cui un pianeta passa dal moto diretto al moto retrogra­
do o viceversa.
Stelle vaganti: corpi celesti visibili a occhio nudo che cambiano posizione rispet­
to alle stelle fisse: si tratta del sole, della luna e dei cinque pianeti.
Tramonto: il termine "tramonto" è spesso utilizzato per indicare il momento in
cui una stella o un pianeta sono visti tramontare per la prima o l'ultima volta
prima dell'alba o dopo il tramonto.
Tramonto mattutino: il momento in cui una stella o un pianeta esterno sono visti
tramontare per la prima volta prima dell'alba.
Tramonto serale: il momento in cui una stella o un pianeta sono visti tramontare
per l'ultima volta dopo il tramonto del sole.
Treno di ingranaggi: una serie di ingranaggi connessi per via meccanica.
Zodiaco: la fascia circolare che attraversa le stelle e costituisce il percorso lungo
il quale il sole, la luna e i pianeti compiono il proprio moto apparente; è
diviso in dodici segni zodiacali.
Note

Prefazione
1 Cassiodoro, Variae 1 .45. Trad. it. di L. Viscido.
2 Price, "An Ancient Greek Computer", 60.

l . Il relitto e la scoperta
1 Il più autorevole studio del relitto di Anticitera e del suo carico è quello di Kaltsas et al.

2012 (di cui esiste anche un'edizione in lingua greca). Tra le pubblicazioni precedenti,
si possono segnalare le seguenti: Anonimo 1902, Svoronos 1 903, Weinberg et al. 1 965,
Throckmorton 1970, 1 13-68 .
2 Bouyia 2012. Grazie all'analisi isotopica del piombo contenuto nei ceppi dell'ancora, nel
rivestimento dello scafo e negli altri reperti provenienti dal relitto, possiamo stabilire che
la nave era stata costruita nella Penisola Calcidica e che quindi proveniva dalla Grecia e
non dall'Italia: Foley 2016.
3 Tselekas 2012.
4 Si veda il capitolo 4.

5 Per la storia e l'archeologia dell'isola, Bevan e Conolly 201 3, soprattutto 133-35 e 1 87-

96; Tsaravopoulos 2004-2009.


6 Per i processi corrosivi cui sono sottoposti i vari materiali quando si trovano in ambien­

te marino, Pearson 1 987.


7 Per un resoconto del ritrovamento e delle operazioni di recupero, Svoronos 1 903, 1-14,
Throckmorton 1 970, 1 1 3-68, Tsipopoulou et al. 2012, nonché i reportage dei giornali
ateniesi dell'epoca (dal 1900 al 1901 ). Questi ultimi sono accessibili in formato digita­
le sui siri della Libreria del Parlamento Ellenico (http://catalog.parliament.gr/hipres/help/
nulV horizonlmicrofilms2.html), della Libreria Nazionale Greca (http://efimeris.nlg.gr/ns/
main.html) e dell'Università Aristotele di Salonicco (http://digital.lib.auth.gr; in questo
caso si tratta di trascrizioni). Sui pescatori di spugne greci, Bernard 1967.
8 Zahariadis 2008.

9 11 calendario giuliano fu utilizzato in Grecia fino al 1 923. Le date menzionate dalle fonti
greche appartenenti a questo periodo verranno citate nella loro forma originale, espressa
secondo il calendario giuliano. Per ottenere la data equivalente nel calendario gregoriano
è sufficiente aggiungere 13 giorni. La Pasqua ortodossa del 1 900 cadde il 9 aprile (sempre
secondo il calendario giuliano).
10
Si veda Seiradakis (in corso di stampa), che a propria volta si basa su Lykoudis 1957.
Sfortunatamente, nell'Archivio Storico delle Antichità e Monumenti non si conservano
testimonianze relative a tale evento (come comunicatomi personalmente dalla dott.ssa
Stavroula Masouridi).
308 NOTE

1 1 Throckmorton 1970, 124-26. Secondo Eleni Kladaki-Vratsanou (citata da Stikas 2014,


69), diversi dertagli del resoconto di Throckmorton furono contestati da uno dei discenden­
ti dei pescatori tramite una lettera inviata al quotidiano "Kathimerini" negli anni Settanta.
12
Il solo "The Standard" di Londra pubblicò almeno una dozzina di articoli sulle operazio­
ni di recupero tra il novembre del 1900 e il luglio del 1901.
13 Tsipopoulou et al. 2012, 22.
14 "To Asty", 1 3 luglio 1901. La campagna di scavi del 2015 ha confermato che il relitto

era stato ampiamente perturbato fino a quasi un �J�etro di profondità: Foley 2016.
15 Theofanidis 1929, 83.

16 Oltre al compenso del governo, la Società Archeologica di Atene assegnò 500 dracme a
ciascun pescatore (Svoronos 1903a, 14). La stima dell'equivalente in dollari si basa sul pre­
supposto che il pagamento sia avvenuto in dracme d'oro. Il valore di una dracma in ban­
conota equivaleva a due terzi circa di una dracma d'oro. In ogni caso, il pagamento fu con­
siderevole: ammontava all'otto percento delle spese annuali del governo greco (circa 120
milioni di dracme nel 1 902; Colby 1903, 3 15).
17 Tsipopoulou et al. 2012, 23.
18 Pur essendo stata ampiamente documentata dai giornali ateniesi, la campagna di recupe­
ro del 1 905 fu ben presto dimenticata.
19 Dumas 1 972, 67-82; Kolonas 2012.
20 Vyzantinos 1 901a, Vyzantinos 1 901b.
2 1 La disputa è documentata dai giornali dell'epoca, molti dei quali sono citati da Svoro­
nos 1903.
22 Tsipopoulou et al. 2012, 24-8.
23 Suo padre, Athanasios Rousopoulos (1823-1898), era stato un archeologo ragguardevo­
le, la cui reputazione fu compromessa da accuse di traffico illegale di antichità.

2. Le indagini
1 "To Asty", 21 maggio 1902. Buona parte del racconto che seguirà si fonda su articoli di

giornale dell'epoca, in merito ai quali si veda la nota 7, capitolo l .


2 Tracy 2009.
3 "Skrip", 21 maggio 1902.
4 "Skrip", 22 maggio1902; "Neon Asty", 22 maggio 1902.
5 "Neon Asty", 22 maggio 1 902; "Hestia", 22 maggio 1 902; "Skrip", 23 maggio 1 902;
"To Asty", 23 maggio 1 902; "Neon Asty", 23 maggio 1 902.
6 "Neon Asty", 23 maggio 1902.

7 "To Asty", 24 maggio 1 902; "Neon Asty", 25 maggio 1 902.


8 "To Asty", 29 maggio 1 902.

9 "To Asty", 29 maggio 1902.

10 Anonimo 1902. Secondo Svoronos, gli autori di questo articolo sono da identificarsi con
Valerios Stais, Christos Tsountas e Konstantinos Kourouniotis, che scrissero sotto la super­
visione di Kavvadias (Svoronos 1903, 16).
1 1 Svoronos 1903.
12
Svoronos 1903, 44-52. In una serie di articoli pubblicati su "To Asty" (23 e 24 giugno
1 902), Rediadis aveva già fornito una descrizione provvisoria dei frammenti A, B e C. Il 7
giugno 1 902 (che in Grecia corrispondeva al 25 maggio), "The Standard" (Londra) aveva
pubblicato un breve articolo in cui si annunciava che, tra i frammenti di bronzo provenien­
ti da Anticitera, era stato scoperto uno "strumento astronomico . . . che sembra fosse uti­
lizzato come un astrolabio". Il meccanismo viene citato anche da Vicars, in considerazione
della sua importanza per la datazione del relitto (Vicars 1903, 562, che sembra aver tratto
le proprie informazioni da Kavvadias).
NOTE 309

13 Per un'illustrazione più approfondita dell'astrolabio e delle sue funzioni, Evans 1998,
141-61.
14 L'evento fu annunciato per il 16 dicembre 1 906 in Mitteilungen des Kaiserlich Deutschen
Archi:iologischen Instituts, "Athenische Abteilung" 31 (1906), 569. Per brevi resoconti del­
la conferenza, si vedano le pubblicazioni citate a nota 20.
15 Le pagine seguenti si basano principalmente sugli scritti inediti di Rehm conservati pres­
so la Bayerische Staatsbibliothek (Nachlass von Albert Rehm) di Monaco di Baviera e, in
particolare, su Rehm 1905, Rehm 1906a e Rehm 1906b.
16 Rousopoulos 1905, 253.
17 Stais 1905, 1 8-23.
18 Diels e Rehm 1904.
1 9 Sembra che Karo fosse interessato alle ricerche di Rehm soprattutto in virtù del loro con­
tributo alla datazione del relitto.
20 Rados 1910, 34-6; Rediadis 1 910, 157-9.
21 Theofanidis fu il capostipite di tre illustri generazioni di ammiragli della marina greca;
sua moglie era la pronipote di Kolokotronis, l'eroe della Guerra d'indipendenza.
22 Theofanidis 1929.

23 Theofanidis, 1934; Magou 2012, 235.

24 Beaver 1985; Falk 2014.


25 Petrakos 1994.
26 Vlachogianni 2012; "Eieftheria", 1 1 gennaio 1 959: 1 1 .
27 Il più importante di questi articoli è Price 1 955-1956.
28 Price 1955-1956, 33.
29 Price 1959b; queste informazioni mi sono state comunicate personalmente da Charles B.
Greifenstein, Associate Librarian and Curator of Manuscripts presso la biblioteca dell'A­
merican Philosophical Society (7-8 luglio 2014).
30 Le fotografie raccolte da Price si trovano nella collezione del Planetario Adler, a Chicago.

31 All'epoca, il frammento D non era ancora stato individuato. Per le analisi chimiche e
spettroscopiche dei campioni estrani dalla "scatola di briciole", si veda il capitolo 8.
32 Price 1974, 12.
33 "The Science News-Letter", 75.3 (17 gennaio 1959): 36.

34 "Washington Post", 31 dicembre 1958: A6.

35 "Eieftheria", 8 gennaio 1958: 1; "Baltimore Sun", 7 gennaio 1959: 3.


36 "Eleftheria", 1 1 gennaio 1959: 1 1 .
3 7 Clarke 1975.
38 Price, note indite sulle iscrizioni del meccanismo, collezione del Planetario Adler.
39 Price 1959a, 66.
40 Price 1 959a, 61; Price 1 974, 48.

41 Price 1 959a, 65. Successivamente, Price avrebbe rivisto le proprie argomentazioni e


avrebbe scelto una data meno recente (1'87 a.C. circa): si vedano Price 1974, 19-20 e la re­
lativa discussione nel capitolo 4.
42 Price 1975, 376.
43 Price 1974, 12.
44 Price 1964, 15.

45 Lang e Middleton 2005 offrono un'eccellente rassegna dell'uso della radiografia nell'am­
bito dell'archeologia e degli studi del patrimonio culturale.
46 Nel 1964, Edwin Banison, curatore del reparto di ingegneria meccanica presso la

Smithsonian Institution, chiese aii'Antiquities and Restoration of Monuments Service il


permesso di analizzare i frammenti ai raggi X, ma anche quest'iniziativa non portò alcun
&uno. A questo proposito, si vedano Tsipopoulou et al. 2012, 31, nota 92 e la corrispon­
denza conservata negli archivi della Smithsonian Institution (Archives Collection 397, Box
310 NOTE

20, Folder "Mise., Computer, Astronomica!, Antikythera"). Non è chiaro se Price abbia
avuto qualcosa a che fare con la richiesta di Battison.
47 Toishi 1965; Miller et al. 1970.
48 Price 1974, 12-13.
4� La relazione in cui Karakalos descrive le proprie radiografie del meccanismo è citata da
Price 1974, 66--68.
50 Le parti dell'oggetto più vicine al punto focale generano proiezioni più grandi sulla pelli­
cola. Quest'effetto viene amplificato avvicinando la fonte di raggi X all'oggetto.
5 1 Price 1974, 41.
52 Price 1974, 32.
53 Wright 2003a, 275.
54 Price 1974, 41-42. Si veda il capitolo 8.
55 Zeeman 1986, 150-51.
·16 Wright et al. 1995. Per un resoconto della collaborazione tra Wright e Bromley, frutto
di una serie di interviste rilasciate da Wright, si veda Marchant 2008, 171-93. Questa ver­
sione dei fatti è stata oggetto di diverse critiche da parte degli amici e familiari di Bronùey
(http://www.connectives.com/decoding-the-heavens-bromley-comments.html).
57 Littleton e Littleton 1996.
5 8 Wright 2005a.
5� Price 1959a, 64-65.
60 Price aveva congetturato un treno di ingranaggi che avrebbe prodotto un periodo di 3,8
anni per il quadrante superiore del pannello posteriore, ma la sua ricostruzione si basava
su conteggi errati dei denti degli ingranaggi (Price 1 974, 44). In seguito, Price optò per un
treno di ingranaggi con un periodo più lungo, pari a quattro anni esatti.
61
Wright 2003a, 279; Wright 2005b, 57-59 e 61�2.
62 Price 1974, 34-5; Wright 2005b, 54, nota 34.
63 Wright 2005c.
.., In un momento successivo della sua carriera, Rehm ebbe uno scambio epistolare con lo
storico dell'astronomia Ernst Zinner circa la possibilità di costruire un modello del mecca­
nismo. Tuttavia, poiché era impossibile ottenere misurazioni precise dei frammenti, la cosa
si concluse con un nulla di fatto (la corrispondenza inedita è conservata presso la Bayeri­
sche Staatsbibliothek, Rehmiana IV).
6s Price 1959a, 66.
66 Price 1974, 21.
67 Price 1974, 59.
68 Wright 2002a.
6� Wright 2011.
7 0 Edmunds et al. 2006; Antikythera Mechanism Research Project 2012.
71 La corrispondenza inedita tra Price e Petros Kalligas è conservata presso la collezione del
Planetario Adler; Wright 2004.
72 Zafeiropoulou 2006; Zafeiropoulou 2012, 242.
73 Per spiegazioni e informazioni ulteriori si consultino i siti seguenti: http://www.hpl.
hp.com/research/ptm/ e http://culturalheritageimaging.org/Technologies/RTI/.
74 Heilmeyer 1985; Goebbels et al. 1985.
75 Seabrook 2007.
76 Wright et al. 1995, 542.
n Freeth et al. 2006.

78 Questa modifica fu apportata dopo aver scoperto che il quadrante accessorio conserva­
tosi sulla parte superiore del pannello posteriore non mostrava un ciclo di 76 anni, come
si era pensato in un primo momento, ma di 4 anni. A questo proposito, Freeth et al. 2008,
nota supplementare 22.
NOTE 311

79 Wright 2007, 27, nota.


8° Freeth et al. 2006, informazioni supplementari 5-14.
81
Allen et al. 2016, Jones 2016c, Bitsakis e Jones 2016a, Bitsakis e Jones 2016b, Anasta­
siou et al. 2016a, e Anastasiou et al. 2016b.

3. Uno sguardo al meccanismo


1
Bitsakis e Jones 2016b, 232-8 (testo e traduzione).
1 Non è facile determinarne le dimensioni esatte; per maggiori dettagli, Allen et al. 2016,
24-32.
3 Price ha proposto uno schema della struttura generale della lastra posteriore (Price 1959a,
64, con il diagramma a pp. 62-3). La sua ricostruzione va integrata con la fondamentale
rettifica di Wright, secondo cui le scanalature dei quadranti principali sono ampie spirali,
non cerchi concentrici (Wright 2004, 10).
4 Anastasiou et al. 2014, 3-7, dove si perfeziona la descrizione precedentemente proposta
da Freeth et al. 2006, 589, figura 3.
5 Wright 2005a, 10.
6 Freeth et al. 2008, note supplementari 7-1 1 ; Anastasiou et al. 2016b, 155-7 e 169-75.
71 simboli numerici incisi sul meccanismo seguivano la cosiddetta notazione ionica, che uti­
lizzava le 24 lettere dell'alfabeto greco standard, oltre a tre simboli speciali, per indicare i
numeri dall'l al 9, dal lO al 90 e dal 100 al 900.
8
Freeth et al. 2008, note supplementari 12-4; Anastasiou et al. 2016b, 1 57-8 e 1 70--1 .
9 Questo è i l passo conservato dal frammento 1 9 che, come abbiamo visto nel capitolo 2,
aiutò Price a elaborare una ricostruzione corretta, seppure parziale, di uno dei treni di in­
granaggi del meccanismo.
1° Freeth et al. 2008, note supplementari 19-21; Anastasiou et al. 2016b, 158 e 1 74-75.
1 1 Freeth et al. 2006, 589.
12
Freeth et al. 2006, 589 e informazioni supplementari 5; Freeth et al. 2008, note supple­
mentari 24-29; Anastasiou et al. 2016b, 158--62 e 1 79-91.
° Freeth et al. 2008, note supplementari 39-40.
1 4 Freeth et al. 2006, 589; Freeth et al. 2008, note supplementari 40-41; Anastasiou et al.
2016b, 163.
1 5 Anastasiou et al. 201 6b, 163--68 e 192-209.
1 6 Wright 201 1 , 12-13.
1 7 Price 1959a, 66; Price 1 974, 22.
18
Price 1 959a, 64; Price 1 974, 17-18; Bitsakis e Jones 2016a, 83-84.
19 Price 1959a, 64; Price 1974, 1 8-19; Bitsakis e Jones 2016a, 85. La scala graduata del ca­

lendario egizio fu descritta per la prima volta da Rehm 1905 e Rehm 1906b.
20
Wright 2003b, 20. Price fu il primo a notare questi fori grazie a un esame delle radiogra­
fie, ma la sua descrizione del loro posizionamento è inesatta (Price 1 974, 17).
21
Wright 2002b; Freeth e Jones 2012, sezione 3.3.3.
22
Wright 2006.
23 Freeth e Jones 2012, sezione 2.3.2. Wright ha proposto di ricostruire un sistema di lan­

cette planetarie non dissimile da quello qui descritto (la proposta di Wright precede la deci­
frazione di questo passo deii'ICP; per maggiori dettagli sulle sue argomentazioni, si vedano
Wright 2002 e la relativa discussione nel capitolo 7).
24
Freeth et al. 2006, 590-- 1 . Si veda anche il capitolo 5.
15 Price 1959a, figura a p. 62; Wright 2012. Le ricostruzioni della cornice di legno proposte

rispettivamente da Price e Wright differiscono quanto ad alcuni dettagli strutturali.


26 Price 1 974, 1 6; Bitsakis e Jones 2016a, 85-89.
27 Price 1959a, 64; Price 1 974, 18 e 49.
312 NOTE

28 Bitsakis e Jones 2016a, 76-77 e 103-4.


29 Price 1 974, 12; Wright 2006, 323.
30 Anastasiou et al. 2016a.
31 Price 1959a, 60 e 65; Price 1 974, 20-22.

4. Calendari e giochi
1 Kiilerich 2005.
2 Palagia 2008.
3 BOtticher 1 865.
4 Gemino, Introduzione ai Fenomeni 8.6-15.
5 Traduzione tratta da Attic Inscriptions Online, https://www.atticinscriptions.com/inscrip­

tion/LupuNGSU1, licenza Creative Commons http://creativecommons.orW!icenseslby­


sa/3.0/deed.en_GB (alcuni contenuti editoriali presenti nell'originale sono stati rimossi).
6 Per ulteriori informazioni sui calendari antichi, Hannah 2005, Steele 2007, Steele 2010,

Ben-Dov et al. 2012 e Stem 2012.


7 [Aristotele], Economico 1351b12-16.

8 Samuel 1972; Triimpy 1997.

9 Pritchett e Neugebauer 1974.


10
Orientis Graeci inscriptiones selectae (OGIS) 56.
1 1 Bennett 201 1 , 49-50.
12
Per un resoconto delle osservazioni di lpparco, si vedano le opere di Tolomeo (ad esem­
pio Almagesto 3.1).
13 Jones 2016b.

,. Gemino, Introduzione ai Fenomeni 8.16-17.


15
Gemino, Introduzione ai Fenomeni 8.1 8-20.
16
Jones 1999b.
1 7 Price 1959a, 65.
18
Bromley 1990, 651-52. Carman e Evans ritengono, seppur con cautela, che il marker fi­
duciale (fiducia/ mark) individuato da Price sia autentico (Carman e Evans 2014, 760-63).
1 9 Kourouniotes e Thompson 1 932, 207-11; Scoli agli Uccelli di Aristofane, v. 997.
20 Bowen e Goldstein 1 988, 72-73.
21 Tolomeo, Almagesto 3.1.

22 Diodoro, Biblioteca storica 12.36.

23 Britton 2007.
24 [Teofrasto), Sui Segni 4.

25 Stern 2012, 31, nota 25.


26
Morgan 1996.
27 Le informazioni sui sistemi di intercalazione ateniesi contenute in questo paragrafo mi
sono state comunicate da John D. Morgan in uno scambio privato.
28
Jones 2000.
29 Aristotele, Metafisica 12.8, 1073b32.
30 Bousquet 1991, 1 8 0-3.
31 Teone, Commentario all'Almagesto 839 Rome.
32 Cavaignac 1938, 282-8; Mommsen 1901; Nikitsky 1 895. Ringrazio John D. Morgan
per avermi segnalato queste opere.
33 Wright 2005a.
l< Price 1 959a, 65. Le note inedite di Rehm sono conservate presso la Bayerische Staatsbi­

bliothek (Rehmiana ill , 7 e 9).


35 Price 1959a, 64-65 con il diagramma a pagina 64; Wright 2005a, 10.
36 Freeth et al. 2008.
NOTE 313

37 Tri.impy 1997.
38 Cabanes 2007.
39 Inscriptiones Graecae (IG) XN 423-31; Manganaro 1964, 38-68.
40 Iversen 2013a.
�1 Strabone, Geografia 7.7.3.
42 Toomer 1984, 12-3; Bowen e Goldstein 1 988, 43.

43 Inscriptions de Délos 1957, pubblicata da Bizard e Roussel 1907, 432-5. Ad Atene si

sono conservati i resti di un monumento analogo, fatto erigere anch'esso da Menodoro: a


questo proposito, Geagan 201 1 (Agora XVIII C-196).
� Di fatto, nessuna delle vittorie di Menodoro ancora leggibili fu riportata durante i Gio ­

chi Istnùci. Questa assenza potrebbe dipendere dalla perdita di prestigio subita da questa
manifestazione in seguito alla distruzione di Corinto da parte dei Romani. Dopo questo
evento l'amministrazione dei giochi passò a Sicione.
�s Parker 2004 .
.. Price 1959a, diagramma a pagina 64.
�7 Wright 2005a, 1 0-1 .
48 Freeth et al. 2008, note supplementari 1 9-21.

4 9 Cabanes 1976, 336-41 e Cabanes 1988.

50 lversen 2013a.
51 Per una discussione di questa ipotesi, Iversen 2017.
52 Price 1 974, 44.
53 lversen 2013b. M. Zafeiropoulou aveva già ipotizzato che i giochi menzionati dall'iscri­

zione del quadrante fossero quelli delle Aliee (Zafeiropoulou 2012, 247). La prima pub­
blicazione delle iscrizioni del quadrante dei Giochi suggeriva che ci fosse un terzo nome in
corrispondenza dei settori del secondo e quarto anno. I dati ottenuti tramite la tomografìa
computerizzata hanno definitivamente invalidato tale ipotesi.
5� Scoli alle Olimpiche di Pindaro 7, 147c.

55 Jones 2012.
56 Cicerone, La natura degli dei 2.288.

5. Sole, luna e stelle


1 [Ippocrate], Epidemie 1 .2.7. Trad. it. adattata da quella di M. Vegetti.
2 Aristotele, Historia animalium 599b8.

3 Jones 2007.
4 Sofocle, Edipo Re 1 1 33-7; Tucidide 2.78; [Demostene] Contro Lacrito 10.
5 Diels e Rehm 1903, Rehm 1 904, Lehoux 2005.

6 L'unico altro caso simile di cui io sia a conoscenza è un piccolo frammento di un'iscrizio­

ne latina (Napoli, Museo Nazionale Archeologico inv. 144808) dove un foro atto a ospi­
tare un piolo compare accanto alla frase "Tramonto serale del Delfino, tempesta" (Lehoux
2007, 158-60).
7 Evans e Berggren 2006, 275-76.
8 Gemino, Introduzione ai Fenomeni 17.

9 Esiodo, Le opere e i giorni 5 86-87.


1 0 [lppocrate], Arie acque luoghi 1 1 .
1 1 Tolomeo, Almagesto 3.1.
1 2 Blass 1887.
13 Britton 201.
14 Hunger e Pingree 1989, 67-71 .
15 Per il testo e la traduzione di queste osservazioni si vedano Sachs e Hunger 1 988-.
1 6 Rochberg 1998.
3 14 NOTE

17 Aristotele, Metafisica 1073b20-8.


18
Jones 2007, 161-2.
19 Rehm 1 905.
20 Price 1974, 1 6-17.
21 Bitsakis e Jones 2016a.
22 Le lettere di rimando congetturate per la colonna superiore sinistra sono frutto di una
proposta di Freeth. Per un'illustrazione della sua ricostruzione del pannello anteriore del
meccanismo, Freeth e Jones 2012, figura 4.
23 Anastasiou et al. 2013; Bitsakis e Jones 2016a, 1 17-9.
24 Esiodo, Le opere e i giorni 564-67; [Ippocrate], Sulla dieta 3.68.
25 Questi calcoli sono stati effettuati tramite il software' Alcyone Planetary, Lunar and Stel­
lar Visibility, versione 3.1.0.
26 Galeno, Commento al primo libro delle Epidemie di Ippocrate 17a.17 Ktihn.
27 Neugebauer propone una datazione più tarda, intorno al I secolo d.C. A suo pare­
re, gli Isia menzionati da Gemino corrisponderebbero a un'altra festività egizia (Neu­
gebauer 1975, vol. 2, 579-8 1 ) . Tuttavia, se Gemino avesse scritto la propria opera
dopo gli anni Venti del I secolo d.C., avrebbe quasi certamente menzionato la riforma
romana del calendario egizio. Per una discussione più approfondita, Evans e Berggren
2006, 15-22.
28 Gemino, Introduzione ai fenomeni 1 7.4.
29 Gemino, Introduzione ai fenomeni 9.12; Samuel 1972, 1 1 0-13.
3 0 Gemino, Introduzione ai fenomeni 1 . 1-17.
31 Gemino, Introduzione ai fenomeni 1.19-21 .
3 2 Gemino, Introduzione ai fenomeni 1.23-30.
33 Per il passo in cui Gemino discute della sfericità della terra, si veda Introduzione ai Fe­

nomeni 15 .1.
34 Nel corso dei secoli, i punti in cui i corpi celesti sorgono e tramontano subiscono uno
spostamento significativo a causa del fenomeno della precessione.
-'5 Teone 151-8 Hiller.
36 Tolomeo, Almagesto 3.
37 Teone 158-66 Hiller; Tolomeo, Almagesto 3.3.
18
Wright 2002b.
19 Evans et al. 2010.
40 Gemino, Introduzione ai fenomeni 18.
41 Jones 1983.
42 Tolomeo, Almagesto 4.2.
41 Freeth et al. 2006, 590-1 .
"' Wright 2002a, 1 70.
45 Wright 2005c, 3, figura 2.
46 Evans e Carman 2014.
47 Ippolito, Confutazione delle eresie 1 .6; Graham 2006, 8.
4 8 Graham 2006, 1 79-80.
49 Si veda per esempio la raffigurazione del ratto di Persefone nell'affresco del IV secolo a.C.
ritrovato nella Tomba I a Vergina.
50 Gemino, Introduzione ai fenomeni 9.3-4.
51 Aristarco, Sulle grandezze e le distanze del sole e della luna, ipotesi 4.

52 Aristarco, Sulle grandezze e le distanze del sole e della luna, proposizione 7.


51 Per una storia dei vari tentativi compiuti per misurare queste distanze cosmiche, van Hel­
den 1985, capitoli 2-4.
54 Rehm 1905, Rehm 1 906a, e 1 906b.

c'5 Price 1 974, 20.


NOTE 315

56 Wright 2006. In uno studio precedente, Wright aveva proposto la stessa idea con mag­
gior cautela, ammettendo di essere stato preceduto da Price (Wright 2004, 1 0-1 1 ).
57 Freeth et al. 2008, note supplementari 22, figura 14.
58 In seguito, Freeth abbandonò questa idea e accettò, seppur dubbiosamente, l'ipotesi di
Wright secondo cui l'ingranaggio a dentatura frontale sarebbe stato montato al contrario.
A questo proposito, Carman e Di Cocco 2016, che riportano alcuni scambi privati con
Freeth.
59 Carman e Di Cocco 2016.
60 Gemino avrebbe potuto menzionare la cosa quando scrive che la fase di mezza luna si
verifica nel momento in cui quest'ultima si trova a una distanza dal sole pari a un quarto
dell'estensione dello zodiaco (Gemino, Introduzione ai fenomeni 9.8).

6. Eclissi
1 British Museum K 772, traduzione di Parpola 1 993, testo 1 1 4.
2 Cicerone, De re publica 1.23. Trad. it. adattata da F. Nenci.
3 La lacuna che separa la fine dell'aneddoto sulla sphaera di Archimede dall'inizio di quel­
lo su Sulpicio Gallo è dovuta alla perdita di una o (meno probabilmente) tre delle pagine
del palinsesto Vaticanus latinus 5757, l'unico manoscritto che ci abbia tramandato il De
re publica (Ziegler 1969, ix-xv). Una pagina tipica corrisponde a circa 15 righe nell'edi­
zione di Ziegler.
4 Si veda anche Bowen 2002.
5 Livio 44.37.
6 Polibio 29. 16 = Suda, n 1 867.
7 Rochberg 2010, 303-15.
8 Le tavolette delle eclissi lunari sono edite da Rochberg-Halton 1988.
9 Hunger 1992, testi 115 (British Museum K 742) e 4 (K 750); Parpola 1993, testo 33 (Bri­
tish Museum Rm II 6).
10 Parpola 1 970-1 983, vol. 2, XXII-XXXII.
11 Hunger 1992, testo 4 (K 750).
12 British Museum BM 4 1 1 29, traduzione di Sachs e Hunger 1988-, vol. 5, testo 20.
13 Steele 2000a, 432.
14 Le statistiche sulla frequenza delle eclissi presenti in questo paragrafo e in quello seguente
sono tratte dal sito sulle eclissi della NASA, http://eclipse.gsfc.nasa.gov.
15 Parpola 1993, testo 148 (British Museum 80-7-19, 36); Huber e De Meis 2004, 34-7.
16 Hunger 1 992, testo 25 1 .
1 7 Hunger 1992, testo 382.
1 8 Hunger 1 992, testo 4 1 7.
19 Steele 2000a, 432 e Steele 201 1 , 455-57.
20 Tucidide 2.28.
21 Tucidide 7.50.
22 Tucidide 1.23. Trad. it. di L. Canfora.
23 Graham 2006, 22.
24 Questa argomentazione compare per la prima volta in Aristotele, Sul cielo 297b24.
25 Aristotele, Sul cielo 297b30.
26 Per la familiarità di lpparco con questa argomentazione, si veda Strabone, Geografia 1.1.12.
27 Aristarco, Sulle grandezze e le distanze del sole e della luna, proposizioni 1 5 e 17.
28 Erodoto, Storie, 1.74. A proposito di questa presunta eclissi si veda Stephenson 1997,
342-44. Trad. it. di L. Belloni.
29 Plinio, Storia naturale 2.53. Trad. it. di A. Barchiesi, R. Centi, M. Corsaro, A. Marco­
ne e G. Ranucci.
316 NOTE

30 Erodoto, Storie, 7.37; Stephenson 1997, 342-43.


3 1 Plinio, Storia naturale 2.53.

32 Ipparco 90 Manitius.
33 PBerol. 1 3146+13147, traduzione tratta dall'edizione di Neugebauer et al. 1 981; si veda
anche Jones 2000, 147-48.
34 POxy astron. 4 1 3 7, citato da Jones 1999a.
35 Steele 2000b, 86-91.
36 Rochberg 2010, 306.
37 Efestione, Apotelesmatica 1 .21-22.
38 Montelle 201 1 , 1 52-55.
39 Tolomeo, Tetrabilos 2.5 Hiibner Robbins 2.4.
=

4° Freeth et al. 2006, 589 e informazioni supplementari S; Freeth et al. 2008, note supple­
mentari 24-41; Anastasiou et al. 2016b, sezioni 6-12.
41 Freeth et al. 2006, informazioni supplementari 5.
42 Steele mette in evidenza il legame fra le tavolette babilonesi e il quadrante di Saros,

pur notando delle differenze relativamente alla presentazione dei fenomeni (Steele 201 1,
461-65).
43 Anastasiou et al. 2016b, sezioni 4vi e 9-12; Freeth 2014, nota 52.
44 Le lettere di rimando sono presentate secondo la ricostruzione di Freeth 2014, nota 52;
si veda anche Anastasiou et al. 2016b, sezione 10. La traduzione "grande" si basa sulla
congettura megalen di Charles Crowther, ripresa da Freeth. Si tratta di un'ipotesi plausibi­
le per quanto riguarda il senso, ma il contesto la rende problematica da un punto di vista
grammaticale.
45 Freeth 2014, nota 52.
46 Freeth 2014, nota S2.

47 Anastasiou et al. 2016b, sezione 1 1 .


4 8 Anastasiou et al. 2016b, sezione 12.

49 Montelle 201 1 , 219 e 241-2; Goldstein 2005.


5° Carman e Evans 2014, 741-6; Freeth 2014, nota 54.

51 Altri candidati plausibili, seppur meno soddisfacenti, potrebbero essere i pleniluni del 23

maggio 1 87 a.C. e del 3 giugno 169 a.C., ma solo se il puntatore del quadrante dell'Exelig­
mos fosse stato impostato per indicare una correzione di 8 o 16 ore rispettivamente. Tut­
tavia, è difficile trovare una motivazione plausibile per l'adozione di una simile correzione
per il ciclo iniziale del quadrante di Saros.
52 Carman e Evans 2014; Freeth 2014.

53 lversen 2017. Il ragionamento di Iversen diverge parzialmente da quanto sarà detto in


seguito. A suo parere, infatti, l'anno del calendario corinzio era fondato sul principio che
l'equinozio d'autunno o (meno verosimilmente) il sorgere di Arturo cadono sempre nel
mese di Phoinikaios.
54 Se le linee divisorie fossero state posizionate esattamente a 30• 1 50•, e 270• in senso ora­
rio rispetto alla verticale, cosa che è difficile stabilire a partire dal frammento A, il punta­
tore di Saros si sarebbe trovato a circa 26° e quello dell'Exeligmos a 32". Le dimensioni ri­
dotte del puntatore dell'Exeligmos avrebbero dissimulato una simile discrepanza di 6•. La
sovrapposizione sarebbe stata ancora più precisa per il mese successivo, con i due puntatori
rispettivamente a 32• e 33•. Questo potrebbe indicare che il progetto iniziale era stato con­
cepito per un calendario, come quello di Rodi, il cui inizio cadeva un mese dopo rispetto
al calendario di Corinto.
55 Le tavole astronomiche antiche si basavano su "date zero" che cadevano nei secoli pre­
cedenti alla loro compilazione. Ad esempio, l'Almagesto di Tolomeo utilizzava l'Era Nabo­
nassar (26 febbraio 747 a.C.), le sue Tavole manuali l'Era Filippo (26 febbraio 747 a.C.).
Addirittura, nelle tavole usate dall'autore del papiro P.Fouad 267 A (fine D secolo d.C.) la
NOTE 317

data zero era il 2 giugno 37.633 a.C., u n giorno tanto remoto da essere quasi inconcepibile
(si vedano Fournet e Tihon 20 14 e jones 2016a). Nel caso di un meccanismo astronomico,
però, sarebbe stato preferibile scegliere una data zero meno lontana, onde evitare di dover
ruotare troppo a lungo la manopola che trasmetteva l'impulso iniziale.
56 Secondo i calcoli moderni (e secondo le tavole dell'Almagesto di Tolomeo), il 13 ottobre
del 205 a.C. la longitudine del sole corrispondeva al diciassettesimo grado della Bilancia.
Il marker fiduciale (fìducial mark) del meccanismo coincide con il diciottesimo grado del­
la Bilancia.

7. Vagabondi celesti
1 "To Asty", 23 maggio 1902.
2 Koch-Westenholz 1995, 125.
3 In certe condizioni, anche Urano può essere osservato a occhio nudo. Tuttavia, anche se

un osservatore antico fosse riuscito ad avvistarlo, lo avrebbe di certo scambiato per una
stella dalla luce fioca.
• Traduzioni adattate da Reiner e Pingree 1975.
5Parpola 1993, testi 72 (British Museum 83-1-1 8,126) e 65 (British Museum K 13 104).
6 Rochberg 2010, 1 35-42.

71 Diari astronomici datati sono editi da Sachs e Hunger 1988-, voli. 1-3.
8 Il principio generale in base a cui i fenomeni sinodici di un pianeta seguono un ordine fis­
so non si applica alla prima e all'ultima comparsa di Mercurio. Nelle pagine seguenti fa­
remo riferimento a un'irregolarità, l'omissione sporadica di una comparsa (e successiva
scomparsa) di Mercurio dall'alternanza degli intervalli di visibilità mattutini e serali. Inol­
tre, le stazioni di Mercurio possono cadere all'interno degli intervalli di visibilità e invisi­
bilità del pianeta.
9 Gray e Steele 2008, Gray e Steele 2009.
10 La relazione periodica citata per Mercurio è la più corta delle quattro relazioni ACT at­
testate per il pianeta.
11
Rochberg 1998. Alcuni studiosi moderni hanno preferito definirli "proto-oroscopi" per­
ché non fanno riferimento al punto dell'eclittica che sorge all'orizzonte: quest'ultimo era
designato dal termine greco horoskopos, da cui deriva il nostro "oroscopo".
2
1 Yale Babylonian Collection MLC 2190, testo 10, citato da Rochberg 1998.

13 Senofonte, Memorabili, 4.7.4. Trad. it. adattata da A. Santoni.

14 Koch-Westenholz 1995, 1 1 5-30. Le divinità babilonesi normalmente associate a Saturno

(Ninurta) e Mercurio (Nabiì) presentano affinità meno evidenti con gli dei greci Crono ed
Ermes. A eccezione di Venere-Ishtar, nei testi cuneiformi i pianeti vengono raramente desi­
gnati con il nome delle divinità a essi collegate.
15 Platone, La Repubblica 527dl. Trad. it. di R. Radice.
16
Platone, La Repubblica 614b2--621d3.
1 7 Platone, La Repubblica 616c5--617dl .Trad. it. di R. Radice.
18
La più antica testimonianza a noi nota sembrerebbe essere Ti bullo, Elegie 1.3.18, un'al­
lusione ironica al giorno di Saturno.
19 Robert 1897-1 919, vol. 3, 436-49.
20
Teone 146 Hiller.
21
Cicerone, La natura degli dei 2.88. Trad. it. adattata da D. Lassandro e G. Micunco.
22 Cicerone, Disputazioni tuscolane 1.63. Trad. it. adattata da N. Marinone.

23 Cicerone, De re publica 1.22. Trad. it. adattata da F. Nenci.


24 Marchant 2015.
25 Cicerone utilizza solidus perlopiù nel senso di "solido" o "pieno" (sia in senso lettera­
le che metaforico). L'accezione geometrica "tridimensionale" compare ne La natura degli
318 NOTE

dei 2.47 e in Timeo 15.1; l'accezione "non cavo", in Della divinazione 1.48. L'ambiguità
dell'aggettivo latino rispecchia quella del termine greco stereos.
26 Rehm 1906b.
2 7 Price 1959a, 65.
28 Price 1 974, 21.
29 Wright 2002a, Edmunds e Morgan 2000, Freeth 2002a, Freeth 2002b.
30 Evans et al. 2010, 22-35.
3 1 Price 1974, 47, figura 36; Freeth et al. 2006, informazioni supplementari 8-9.
32 Freeth e Jones 2012, sezione 2.3.2. Si vedano Bitsakis e Jones 2016b.
33 Price 1974, 48 e figura 37, a destra (si tratta della trascrizione del frammento qui desi­

gnato come frammento 21).


34 Aristotele, Metafisica 12 (A), 1073b17-32.
35 Simplicio, Commentario al De caelo, in Heiberg, Co mmentaria in Aristotelem graeca
(CAG), vol. 7, 495-7.
36 Per una rassegna delle diverse opinioni degli studiosi sull'argomento si vedano Bowen

2013, Mendell 2000, Yavetz 1 998, e Yavetz 2001.


37 Simplicio, Commentario al De caelo, in Heiberg, CAG, vol. 7, 50+-5.
38 Jones 2006; P.Oxy astr. 4133, citato da Jones 1 999a.
39 Steele 2013.
40 Gallis 1980.
4 1 Catone, De agri cultura 5.4.5; Valerio Massimo 1 .3.3; Livio, Ab Urbe condita Periochae
ex POxy 668, 191-2.
42 Pingree 1 997, 21-9; Greenbaum e Ross 2010.
43 Jones 1998.
44 Tolomeo, Almagesto 12.1.

45 Tolomeo, Almagesto 9.2.


46 Aaboe 2001, 135-70.
4 7 Anastasiou et al. 2016a.
48 Tolomeo, Ipotesi planetarie 1.1.

8 . Ingranaggi nascosti
1 [Aristotele] Meccanica 848a19. Trad. it. adattata da M.F. Ferrini.
2 Erone, Pneumatica 1.32 e 2.32.
3 Vitruvio 10.9; Erone, Dioptra 34 e 38.
4 Edmunds offre un'utile lista di passaggi della letteratura greca e latina in cui si fa riferi­
mento a meccanismi astronomici (Edmunds 2014, 1 3-4).
5 Field e Wright 1985, 116-25. Nel 2006, a Olbia (Sardegna) è stato ritrovato un frammen­

to di un ingranaggio isolato, nell'ambito di un contesto archeologico risalente all'incirca


al 200 a.C. Si è creduto che questo reperto fosse una componente del planetario originale
di Archimede (si veda Pastore 2006 e 2013). Il frammento è di ottone; i suoi denti hanno
una forma tondeggiante, pressoché cicloidale. La spiegazione più plausibile della sua pre­
senza è che il contesto archeologico sia stato contaminato da un manufarto di epoca deci­
samente più recente.
6 Erone, Dioptra 37; Erone, Meccanica l; Pappo, Collezioni matematiche 8.1 9-24.
7 La notazione qui adottata si basa sul diagramma del treno di ingranaggi pubblicato da
Freeth et al. 2008, note supplementari 22, figura14.
8 Price 1974, 41-42.
9 Wright 2003a, 279; Wright 2005b, 57-59 e 6 1-62.
1 0 Wright 2006.
1 1 Wright 2002a.
NOTE 319

1 2 Nonostante le argomentazioni contrarie di Evans, Carman e Thorndike, Wright (2002b )


ha dimostrato che il braccio scanalato avrebbe potuto essere utilizzato anche per rappre­
sentare l'ipotesi epiciclica dell'anomalia solare: per ottenere questo risultato, sarebbero sta­
ti necessari due distinti puntatori per il sole medio e il sole vero, che avrebbero ruotato in­
torno a un quadrante zodiacale dalla graduazione uniforme.
13 Freeth e Jones 2012, sezione 3.3. 1 .
1 4 Wright 2013b.
15 Wright 2002a, 1 71-72.
16 Wright 2005b; Freeth et al. 2006, 590.
17 La corrispondenza tra i moti previsti dall'ipotesi eccentrica e quelli riprodotti da un
dispositivo a perno e scanalatura è meno immediata se gli ingranaggi di tale dispositivo
sono montati in modo da formare un sistema epicicloidale, proprio come accade nel caso
dell'anomalia lunare: l'innesto con gli ingranaggi fissati all'asse centrale inverte il senso
della loro rotazione rispetto a quanto previsto dalla teoria astronomica. Il disegnatore di
questi meccanismi, che doveva essere dotato di una certa competenza matematica, non
avrebbe avuto alcuna difficoltà a percepire la loro relazione con i relativi modelli teorici.
Per un profano, invece, sarebbe stato difficile coglierla anche potendo osservare il siste­
ma di ingranaggi.
1 8 Tolomeo, Almagesto 4.1 1.
19 Freeth et al. 2006, 590.
2° Carman, et al. 2012, Freeth e Jones 2012. Wright osserva che, al posto del braccio sca­

nalato sopra descritto, si sarebbe potuto utilizzare anche un sistema a perno e scanalat ura
per riprodurre i moti di Venere e Mercurio (Wright 2012, 290).
2 1 Wright 2013a e scambi privati con l'autore.
11
Evans e Carman 2014, 1 64-66; Wright 2012, 291 .
23 Wright 201 1 .
24 Wright 201 1 , 9.
25 Price 1 974, 47.
26 Price 1 974, 63--66.
27 Zafeiropoulou 2012, 243.
2 8 Wright 201 1 , 14-16.
2 9 Wright 1 990, 83-7; Wright 201 1, 15.
30 Edmunds 201 1.
31 Le periodicità lunari "del meccanismo" sono state ricavate dalla ricostruzione del siste­
ma di ingranaggi, mentre le fasi planetarie derivano dalle relazioni recuperare dall'iscrizio­
ne del coperchio anteriore (ICP). Le periodicità planetarie ACT provengono dalle relazioni
descritte nella tabella 7.3; le fasi lunari derivano invece dalla comune equivalenza ACT per
cui un anno corrisponde a 12;22,8 mesi sinodici e dalla relazione del Sistema B per cui 251
mesi sinodici corrispondono a 269 mesi anomalistici. Le "periodicità di Tolomeo" sono
tratte dai moti medi giornalieri descritti nell'Almagesto (4.3 e 9.3) e dalla velocità di preces­
sione da lui calcolata, che ammonterebbe a 1 • ogni 100 anni.
32 Jones 1999a, testi 4152--61 . La più antica di queste tavole planetarie è probabilmente
P.Oxy astr. 4160a, che riporta calcoli ACT relativi ai fenomeni sinodici di Giove fra il 6
e il 13 d.C.
33 Tolomeo, Almagesto 9.2. Sfortunatamente, Tolomeo non chiarisce se i periodi dell'An­
no-Scopo adottati da lpparco prevedessero dei termini di correzione né ci dice a quan to
eventualmente ammontassero.
34 Tolomeo, Almagesto 4.2.
35 Freeth e Jones 2012, sezione 3.10.

36 Pappo, Collezione matematica 8.1.


3 7 Plutarco, Vita di Marcello 14; Pappo, Collezione matematica 8.2-3.
320 NOTE

9. Epilogo: il significato del meccanismo


1 Feynman 1988, 93-97.
2 Giovenale, Satire 6.572-76; Plinio, Storia naturale 29.9.
3 La trattazione che Gemino dedica ai pianeti è piuttosto sommaria, ma in un passo del pri­
mo libro ( 1 .22) annuncia che ne discuterà in dettaglio altrove. Questa promessa, però, non
sarà mai mantenuta. Dobbiamo forse ipotizzare che la sua opera ci sia giunta incompleta?
• Edmunds 2014, 275-6. Edmunds menziona 19 testi, oltre ad altri 6 "meno diretti o

dall'interpretazione dubbia". Tuttavia, la prima delle fonti da lui citate, ossia il presunto
libro di Archimede sulla sphairopoiia, non si è conservata.
5 Strabone, Geografìa 12.3.11. Mastrocinque 2009 ipotizza che il meccanismo di Anticitera
fosse proprio la sphaira di Billaro.
6Platone, Timeo 40d2; Epicuro, Sulla natura, libro 1 1 , citttto da Sedley 1976, 31-7 (secon­
do Sedley, gli organa sarebbero effettivamente degli ingranaggi).
7Piutarco, Cicerone 4.5.
8 Cicerone, De fato 5.7. e De fìnibus 1.6.1 1 . Per lo scambio epistolare che Cicerone intrat­
tenne più tardi con Posidonio, si veda Cicerone, Lettere ad Attico 2. 1 .
9 Cicerone, Disputazioni tuscolane 5.64-66.
1 0 Proclo, Commento al Libro I degli "Elementi" di Euclide 125, 241 e 243 Friedlein.
11
Proclo, Tria opuscula, Provvidenza 65.
12
Lehoux 2007, 168-79.
13 London Science Museum inv. 1983-1393. Si vedano Field e Wright 1 985 e, per una trat­
tazione più generale delle meridiane portatili, Talbert 2016.
14 Field e Wright 1985, 88 e 1 1 6-21 .
1 5 Per u n punto d i vista alternativo, si veda Edmunds 2014.
16 Vitruvio, De architectura 10.1 .4.
17 Proclo, Tria opuscula, Provvidenza 2. Trad. it. di F. D. Paparella.
1 8 Erone, Automata.
19 Proclo, Tria opuscula, Provvidenza 65.
20 Galeno, Dell'uso delle parti del corpo umano 12.5. Trad. it. di I. Garofalo e M. Vegetti.
21 Galeno, Dell'uso delle parti del corpo umano 12.8.
22 Tolomeo, Ipotesi planetarie 1 . 1 .
23 Tolomeo, Almagesto 13.2.
24 Tolomeo, Ipotesi planetarie 2.3.
25 Tolomeo, Ipotesi planetarie 2.8.
26 Clarke 1975, 1 16.
Indice

Abusir ei-Meleq 180 Aristocrate 208


ACT (Testi Astronomici Cuneiformi) Aristofane 96-97
207-9,239-40,278-80 Aristotele 33,120,123,131,210,228
Afrodite 210 (ps.)Economico 82
Aigialeia 9 (ps.)Meccanica 243
Akkullanu 170 (ps.)Sui Segni 99
albero 60, 112, 154-55,246-47,250, La generazione e la corruzione 298
252-53, 256-60, 263, 267-68, Metafisica 102,226-27
270-71 opere zoologiche 119
albero tubolare 247,253,268 Arturo 118-20,122,124,126,134,136,
Alessandria 7,102,113,135,229 138-40
Alessandro Magno 90,124, 198 Assurbanipal 161-62,197
Aliatte 178 astrolabio 22-23, 27-30,35,50,222
Aliee 116-17 astrolabio a ingranaggi di Abi Bakr
American Philosophical Sociery 37,43,47 (Museo della Storia della Scienza,
Ammi�aduqa 196-97 Oxford) 249
Anassagora 151,176 astrologia 74, 129-30, 197, 208,229-32,
Anassimandro 151 287-88
André,Alfred 17,36 Atene 8-9,17,20,22,24,30,33,36-38,
anni 47,51,53,78,81,86,97-102,109,
siderali 138-40 113,131 192,274,284,292
solari 137-40 arconti eponimi 85-86
tropicali 98,100,138-40 giornali 13-14,16
Anticitera IX,1-16 Monte Licabetto 99
Antikythera Mechanism Research Project Pnice 95-96
(AMRP)53,149,224,267 Atlante Farnese 136
Antiochia in Persia 110 Attalo I 230
Antipatro 230 automi 42
Apollonia 107
Apollonia di Perge 232-33 Babbage, Charles 48
Apseude 85,96-97,111 Babilonia 97-98, 127-29,157-58,162,
Arato 130,179 165-66,170,173,180,198,208,
Archeologiki Efimeris 24 229-30, 281,285
Archimede 51-52,106, 159-60,183-84, Bakoulis,Ioannis 36
191,218,220-24,232,272,281- Balbo,Quinto Lucilio 220,292
82,292-94 baroulkos 250-54
Argo 16 Battison,Edwin 309-10
Aristarco di Samo 101,153-54,156, Bel-usezib 157-59, 170
176-77 Berosso 229-30
INDICE 333

Billaro 291 Cerigotto,vedi Anticitera


Bitsakis,Yanis 53 Chaucer 35, 38
Boezio IX Chele (Che/ai) 129,133
Botticher, Karl 78-79 Cicerone,Marco Tullio 33, 41,51,117,
Bowen, Alan 96,108 183-84,223,246,292,299
braccio scanalato 265-66, 269,272 De natura deorum 117, 220,292
British Museum 37,198 De re publica 157-60,218,220-22,
Bromley, Allan 48-49, 53,55 292-93
Brundisium 117 Tusculanae disputationes 220-21,
292-93
Cabanes, Pierre 106 ciclo metonico, vedi periodo di 19 anni
Calano 124 Citera 5,7-8,10,17
Caldei 230-31 Cizico 102, 292
calendari: Clarke,Arthur C. 39,300
ateniese 78-81,86,89,97, 99-104, Cnido 2
115,120,131,191-92, 194 competizioni panelleniche 109-13,115,
babilonese 89,97-98,102, 196,206, 288
285 Corinto 106, 109,116
callippico 101-2,105,107,180-81 corpus ippocratico 119-20
corinzio 103-6,108,114-16,184, Cos 2,229
191-92,288 Cosma lndicopleuste 218,225
dell'Elide 111 cosmologia geocentrica 142,223,233
di Delfi 103 Costantinopoli 16
di Rodi 141 Cousteau, Jacques XII, 15
di Siracusa l 06-7 Creta l, 4, 7, 9,116
di Tauromenio 107
dorico 114 de Dondi, Giovanni 52
egizio 32-33,41,71-74,87-95,97, Delfi l 02-3, l 09
107,115,132-33,138, 140,145- Delo 2,108-9
47,150,181,194,232,275-76, Demostene 120
288;riforma tolemaica 88-89,91; di Cocco, Marcelo 156
riforma ("calendario alessandrino") Diari astronomici 166, 198,206,208-9,
32-33,89,107 229
giuliano 87-88,119 Diodoro Siculo 97, 103
greco 78-84,86,97,140;regolazione Dionisio, astronomo 229
e sincronizzazione 100,102-3,105- Dionisio, tiranno di Siracusa l 06
6,109,112,119, Dioniso 80,298
gregoriano 83 Diotima 293
lunisolare 83-84,91,97,101-2,104, Dodona 110, 113
120,151 Dumas, Frédéric XII
romano ("calendario alessandrino")
33,89 eclissi 157-94
Caley, Earle 273 anulare 169
Callaneo 124 colori 162,165,188-89
Callippo 100-2 dimensioni 165-66, 168-71,173, 178-
Capo Malea 8,16 81,188
Carman, Christian 146,150,156,191, direzione dei venti 162,184, 187-88
224,263,270 direzioni dell'oscuramento 162-64,
Carpo 294 180-82, 188-89
Cassiodoro IX frequenza 170
Catania 2 osservazione 162-66,169-70, 269
Catone il Vecchio 230 penombrale 169
334 INDICE

possibilità di eclissi 172-74,180 Freeth,Tony 53, 56, 113, 155, 191, 259-
previsioni 171-75,177-81,184-94 60,265,270
eclittica 28, 35, 50,70,73,131-32,139, Fuso della Necessità 212-13,216-18,
141-43,164, 179,187-88,221, 220
227,236
Edmunds,M. G. 53,276, 291 Galeno 119, 125, 140,293, 299
"Efebo" (statua di bronzo) 10,16-17,36 Gallo,Gaio Sulpicio 157-60,179,183,293
efemeride 288 Gelb, Dan 54
Efeso 2 Gemino 90-91,94-95,125-27,139-40,
Efestione di Tebe 182-83, 189 150, 152,194,285
Egila,vedi Anticitera Introduzione ai fenomeni 80-81,
Egitto 33,85,87-91, 107,132,136, 90-91,93, 100-1,103,105, 107-8,
180, 182-83,228-29,231,244,288 125, 141-44, 148-49,289-90
Egizi 88, 90-91,93,124,126,182 (ps.) Parapegma 115
Elamiti 171,182 Giochi lstmici 109,111,114
Eleusine 11O Giochi Nemei 109,111,113,116
Elide 86,111-12 Giochi Olimpici 86,109-12,115-16,191
eliotropio 96 Giochi Pitici l 09-11
Empedocle 151 gioco (degli ingranaggi) 276-77
Eniima Anu Enlil 161-62,171,182,189, Giovenale 288
196-97,207 Giulio Cesare 33
Epicuro 291 Glaucone 211
Epiro 105-7,110,113-14,116-17,135 Goldstein, Bernard 96, 108
Er 218 Gospel Riots ("Scontri del Vangelo") 15
Era seleucide 85
Ermes (Thoth) 231 Hadland,Roger 53
Erodoto 178-79 hagnisterion 144
Erone di Alessandria 29, 244-45, 250, Hewlett-Packard 53
252-53,255,298 Hibah 132
Esagila 166,198 Homolion 230
Esarhaddon 157-58,160-62, 165,197
Esiodo 120,126,138 lerapoli 230
Euclide 232; Fenomeni 131 Ierone 281-82
Euctemone 97,100, 124-27, 130, 135, Imhotep 231
139-40 Indipendent 16
Eudosso 93, 102,124-26, 130-32, 139- Inghilterra 37
40,179,226-28,233,238 ingranaggi 246-75,277-78
Eufrate 198 a dentatura frontale 43,45,155-56,
Evans,James 146,150,191,224,270 248,257-58,262-63, 272
exairesimoi (giorni) 101, 108 denti 27, 41,44-50,56, 155, 247-53,
Exeligmos 66,69, 75,148-50,173,190- 257-60,263,265,267-68,271,
92,194,256,260,290 274-76,279,286
differenziali 46,48,50,272
Faino 99 epicicloidali 46, 50,52, 56,263,265-
Falasarna 4 67,269-70,272,279,283
Feynman, Richard 284 ruota folle 266
Filippo Arrideo 90 vite senza fine 252-53
Filippo, astronomo 100, 124 ipotesi epiciclica 143-44, 148,150, 154,
Filo, Lucio Furio 159-60,221 232-33, 236-37,240,263,265,
Filocoro 96-97 269,280
Filopono,Giovanni 29 lpparco 89-90, 101-2,105,117,130,
"filosofo" (statua di bronzo) 7 132,139-40,143,148-50,177,
INDICE 335

179-80, 194, 232-33, 236-37,241, Magnesia sul Meandro 107,110


269-70,279-80,285 Mai,Angelo 218
Ippocrate 118-19 Makris, Yerasimos 53
(ps.) Epidemie 118-19, 123, 126 Malzbender,Tom 53-54
(ps.) Sulle arie, sulle acque e sui luoghi Mangou,Eleni 53
118,126 mappatura della trama polinomiale 54
Ippolito 151 Marcello, Marco Claudio, conquistatore
iscrizioni (vedi anche meccanismo di di Siracusa 159
Anticitera,iscrizioni): Marcello,Marco Claudio,nipote del
datazione in base alla forma delle precedente 159-60,218
lettere 19-22,31-32,41, 105-6 Marduk 166,210,229
Decreto di Canopo OGIS 56 88,93 Mari 182
Delo 108-9 Meccanismo di Anticitera, componenti e
Magnesia 107, 110 struttura:
Mileto (calendario) IMi/et inv. componenti metalliche 273-74
84+1604 89-90,97,103 "coperchi" 75
Mileto (parapegmi) IMi/et inv. 456 A-d cornice !ignea 3,58,69,75,272
e N 27 30,32,34,121, 124-27, dimensioni 58,69,76
133,135 lastra di base 253
Tauromenio (iscrizioni civiche) 106 Meccanismo di Anticitera, date zero 192
Torico (calendario) IG 13 256bis 81 Meccanismo di Anticitera,frammenti:
Isia 93-94,141 Frammento A 20-25,27,32,36-38,
Ispanico, Gneo Cornelio Scipione 218 40-41,43-46, 49-50,52, 54,57-58,
Issar-sumu-eres 165 64,67,76,154,223-24,253,257
Ittiti 182 Frammento B 20-25, 27,29,32-33,
lversen,Paul lO?, 114,116-17 36-37,40,43,49,51,54,57-58,
60,63,76,104,112,154,223-24,
Karakalos, Emilia 44 259
Karakalos, Charalambos 43-47,50-51 Frammento C 20-25, 27, 32, 36-37;
Karo,Georg 30,34 40-41,43,54-55,70, 73,75-76,95,
Karouzos, Christos 37 132, 154, 223-24, 238,262, 275
Kavvadias,Panagiotis 16-17,24 Frammento D 25,32, 43, 52-55
Keplero,Giovanni 147,237 Frammento E 54,58,67,76,224
Kontos,Dimitrios 7-9,11,15 Frammento F 54,58,67
Kourouniotis,Konstantinos 96 Frammento G 32,37,54,57,76,238
Frammenti 1-75 54
Kritikos, Georgios 15
Frammento 19 32-33,41,46,104,
113,224
Larissa 230 Meccanismo di Anticitera,ingranaggi:
lavorazione del metallo 272-74 bO 263
Layard,Austen Henry 161 bl 224,250-51, 256-58,265-67,269-
Leonidas,Dimitrios 15 71
lima 274 el ed el 258, 267-68
Lindiakos,Fotios 7,12 e3-e4 ("ingranaggio piattaforma") 46,
Livio 159-60,179 50,56,262,267-69,279
Luciano 16 eS,e6,kl, e k2 (sistema a perno e
Leucofrienee 11O scanalatura per la lancetta lunare)
luna: 256,267-69
anomalia 54,147-51,260-66,269 Meccanismo di Anticitera, iscrizioni:
distanza dalla terra 151-56,173 calchi speculari delle iscrizioni 21,32,
fasi 73,83-87,151-56,262-63 36, 54,58, 76-77,238
Macrobio 218 glifi delle eclissi 185-94
336 INDICE

Iscrizione del Coperchio Anteriore Mileto 30, 32, 34, 85,89-90,97, 103,
(ICA) 77,237-38,265 121,124-27,133,135;vedi anche
Iscrizione del Coperchio Posteriore iscrizioni
(ICP) 58,63,108,112, 138,224, Mitropoulos,Panagiotis 274
286 Mohr,Karl 39
Iscrizione del parapegma 32,76,126, Momferratos, Antonios 23
133-37,287-88,290 Morgan,John D. 114
Iscrizione della Lastra Posteriore (ILP) Moussas,Xenophon 53
58,61,63,65,67,187-94,287 MUL.APIN 128
Iscrizioni del quadrante dei Giochi Museo Archeologico Nazionale, Atene
113-17 13,16, 19,22,31, 36-37, 43, 53,
Iscrizioni della scala del quadrante 132,154,195,284,291
metonico 63, l 04-5 Mykali 9, 14
lettere di rimando 70,75, 133-34,
185-87 Nabiì-na � ir 166
Meccanismo di Anticitera,quadranti e Naie 110, 113-14, 116
dispositivi di visualizzazione: navigazione 211, 286
dispositivo di visualizzazione dei Nechepso 231
fenomeni planetari 184, 222 Neugebauer, Otto 37,41, 207
dispositivo di visualizzazione delle fasi Nicea 117
lunari 74,225, 262,290 Nicia 175
Marker fiduciale (fiducia! mark) 95, Ninfee 110
194 Ninive 157, 161-62, 166, 197
Quadrante callippico 64,69,75,104, Nippur 157, 208
113,115,192,259,290
Quadrante dei Giochi 64, 69,113-14, odometro 29,252,254-55,283
116-17,191,259,287-88,290 Oikonomos, Antonios 8-9
Quadrante deii'Exeligmos 66,69,75, Olbia,ingranaggio di 318
190,192,260 Olimpiadi 86,111,113-14,116
Quadrante di Saros 64,66-67,69,76, orologio ad acqua 67, 165,171
185,187, 190-91, 194, 223, 260, oroscopi 208,229-31,287
269,285,287,290 Ossirinco 181
Quadrante metonico 60-61,63-64,
66,69,104-6,112,114-16,138, Panatenee 109, 113
141,184,187,191-92,223,258- papm
60,276,288,290 PBero/13146+13147180
scala graduata del calendario egizio PHibeh27 132
71-72,76,91-92,93-95, 138,140, POxy astron. 4133 229
145,288,290 POxy astro n. 4137 181
scala graduata dello zodiaco 70-71, POxyastron. 4175 289
91-93,133,137,140,145,290 PParis 1 = Louvre inv. N2325 127
Memnone di Rodi 82 Pappo di Alessandria 29, 250, 281-82,
Menodoro 108-10,112-13 294
meridiana 96,218 parallasse 177, 181, 187, 189
meridiana portatile a ingranaggi,Museo parapegma 32,126-27,130,132-33,
della Scienza di Londra 249,294 136-38,140,285,294,298
Meritt, Benjamin Dean 37-38,41 Parmenide 151
Metello, Quinto Cecilio 4 Pausania 16, 97
Metone di Atene 96-100,102,111, Peloponneso l, 86,116
126-27 Pergamo 2, 230
Mikri Mitropoli, Atene,fregio del periodi callippici 90, 101, 104,113; vedi
calendario 78-81,131 anche periodo di 76 anni
INDICE 337

periodi dell'Anno-Scopo 206 Rados,Konstantinos 22,34


periodi: Rassam, Hormuzd 161
di 19 anni (enneakaidekaeteris) 46,50, Rediadis,Periklis 14,18,22,25,27,29-
63-64,97-104, 115,127,138-39, 32,34-35,37,39,223,268
191-92,255-56,258,260, 278-80, Reflectance Transformation Imaging
285,288 (RTI) 54,57
di 76 anni 63-64,90,100-4,113,115, Rehm, Albert 30, 32-34, 39,41,49, 51,
192 104,121,132-34,154,222,223,
P eriodikos, vedi Saros 226,238
periodos 109-10, 113 relitto di Anticitera 3-7,9-11,13,15-16,
perno e scanalatura 267-72,280 19,22,24,31,39,41,105,116
Perseo 157,160 data 1-2
pescatori di spugne 6-7,18 Richard di Wallingford 52
Petosiride 231 ricostruzione 47-53
pianeti: Rodi 2,4,105,116-17,135,141,292
nomi 74,211,222,238 Roma 41,106-7,140,178-79,217,292-
ordine 213-18, 224, 238 93; Roma,Tempio della Virtù 159
periodi di ricorrenza 206-7,211,238- Rontgen, Wilhelm 42
40 Rousopoulos,Athanasios 308
periodi sinodici 199-209, 223-24,226, Rousopoulos,Othon 17,23,31,36
228, 232-33, 236-41, 265,270-71, ruota folle,vedi ingranaggi,ruota folle
278-80
stazioni e retrogradazioni 199-205, San Paolo 34
226-29,232 Saros 70,149-50,172-73,181,185-86,
Pidna,Battaglia di 160 189-92, 194,255,260, 269-70,
Pireo 5,9,14 278-80,285
Pitodoro 85,96 Scipione Emiliano 157,218
Platone 159, 210, 221, 227-28, 298 Scizia 221, 292
Repubblica 211-18 Seiradakis,John 53
Simposio 293 Senofonte 209,211
Timeo 221,291,293,298 Serse 179
Pleiadi 118-20,126,134-35 Sesto Empirico 293
Plinio il Vecchio 178-79,288 settimana astrologica 294-95
Plutarco Sillal6
Vita di Marcello 281 Simi 6-8,12, 15
Vita di Nicia 107 Simplicio 227-28
Polibio 160 Siracusa 106,110,116,159, 175
Posidonio 33,41,105,117,141,220- Sirio 88,118-20,126,136,165
23,292-93 Smith,Ciril 273
precessione 139-40, 280 Società per la Promozione dei Recuperi
presagi 130, 195-98,207-8, 230-31 Sottomarini (Society for Promoting
presagi legati alle eclissi 158-66,171, Submarine Recoveries) 15
175,181-83,189 Socrate 209-11,293
previsioni meteorologiche 183, 287 Sofocle 120
Price, Derek de Solla X, 25, 35-54, 56- sole:
57, 67,75-77, 94-95, 104-5, 112, anomalia 142-47
115,133,145,154,194,223-24, distanza dalla terra 151-56, 176-77
226, 238, 245, 262,273,285 solstizi,osservazione 95-100,120
Proclo 294,298 sphaera, Archimede IX, 159-60, 183-
proiezione stereografica 28-30,35,292 84,218, 220-22, 224,292-93;
Posidonio 220-22, 292-93
radiografia 42-48,50-51,55, 155,273 Stadiatis, Ilias 7
338 INDICE

Stais, Spyridon 8-9, 11,14-15,17-20 Almagesto 101, 181-83,188,229,


Stais,Valerios 17,22,32-33 236-37,239,278,280
Stamiris,Georgios 38,41,57, 224 Ipotesi planetarie 241, 299
Steele,John 181 Tetrabiblos 183
Stelle Normali 198,206, 208 tomografia computerizzata 48, 55,57,
Strabone 107,291 104,113,116,133,269,273
Suda 160 tomografia lineare 48-49,55,155
Sudine 230 Toomer, G.]. 108
Sulpicio Gallo, vedi Gallo Tori co,iscrizione del calendario 81
Svoronos, Ioannis 16,19, 21-25,29-30, tornio 274
32-33, 50,54,222 Triimpy,Catherine 105-6
Tselikas,Agamemnon 53
Talete 178-79 Tucidide 120,175-76
Taso 118-19
Tauromenio 106-7
Uruk 157,208
Teodorico IX
Uruk,schema di 98,127
Teodoro, l'esperto di meccanica 294,
298,300
Venere 195-97
Teofrasto (ps.), Sui segni 98
vite senza fine, vedi ingranaggi,vite senza
Teone di Alessandria 102
fine
Teone di Smirne 140, 143,218,220, 293
Vitruvio 29, 245,252, 297
Theofanidis,Ioannis 14,34-35,37,39,51
Vyzantinos,Gavriel 15-16, 20
theoroi 110
Theotokis,Georgios 15
Wilhelm,Adolf 20-22,222
Thompson, Homer 96
Wright,Michael 48-50,52-56,75-76,
Thorndike,Ala n 146,224, 2 70
103-4, 112-13, 146, 149,154-56,
Throckmorton,Peter 7 221,224,259,262-63, 266-67,
Timocari 101,229
272-74, 282, 295
Tolomee 113
Tolomeo I 85
Tolomeo II Filadelfo 85 X-Tek X-Ray Systems 53, 55
Tolomeo III Evergete 88
Tolomeo, Claudio 97, 126, 132, 140, Zafeiropoulou,Mary 53-54
143-44, 148-49, 177,194,228, Zinner, Ernst 310
232,238,269-70,279-80,293,300 zodiaco 78-80, 127-36, 231, 285

Potrebbero piacerti anche