Sei sulla pagina 1di 249

KARL R.

POPPER

LARICERCA
NONHAFINE
Autobiografia intellettuale

Seconda edizione interamente riveduta

ARMANDO
EDITORE
KARL POPPER

LA RICERCA NON HA FINE


AUTOBIOGRAFIA INTELLETTUALE

SECONDA EDIZIONE INTERAMENTE RIVED UTA

ARMANDO ARMANDO EDITORE ~ ROMA


Pubblicato originariamentc come «Autobiografia di Karl Popper., in
The Philosophy of Karl Popper, in The Libm,'Y of Living Philosophers,
a cura di Paul Arthur Schilpp, presso la Open Court Publishing Co.,
Illinois, 1974.
Prima pubblicazione in questa edizione liveduta presso Fontana/Col-
lins, 1976.
Copyright -© The Library of Living Philosophers Inc. 1974
Copyright "bJ Karl R. Popper 1976
La fotografia di Sir Karl. Popper stampata in copertina e di Lotte
Meitner-Graf ed e riprodotta su concessione.

fraduzione di DARIO ANnSERI

© 1976 Editore Armando Armando


- "ja della Gem;ola, 60-61 - Roma

1978 Seconda edizione interamente riveduta


SOMMARIO

. 1. Onniscienza e fallibilita 9
2. Ricordi d'infanzia 10
3. Prime intluenze 12
, 4. La prima guerra mondiale 15
5. Un primo problema filosofico: l'infinitii. 17
. 6. II mio primo insuccesso filosofico: il problema dell'es·
senzialismo 19
7. Una lunga digressione sull'essenzialismo: cio che an-
cora mi divide do. moltissimi filosofi contemporanei 20
8. Un anno cruciale: marxismo; scienza e pseudoscienza 33
9. I primi studi 41
10. Una secondo. digressione: pensiero dogmatico e pensie·
ro c1'itico; apprendimento senza induzione 46
11. Muska 55
12. Riflessioni suU'origine della musica polifonica: psico·
logia della scoperta 0 logica della scoperta? 58
B. Due generi di musica 63
14. Progressismo neIl'arte, specialmente nella musica 71
15. Gli ultimi ann; di Universita 7S
16. La teoria della conoscenza: «Logik der Forschung» 82
17. Chi ha ucciso il positivismo logieo? 90
18. Realismo e teoria quantistica 93
19. Oggettivitii. e fisica 99
20. Verita, probabilita, corroborazione 101
21. L'avvicil1arsi della guerra. Il problema degU ebrei 108
22. Emigrazione: Inghilterra e Nuova Zelanda 111
23. Le prime attivita in Nuova Zelanda 115
24. «La societa aperta» e «La miseria deLla storicismo» 117
25. L'ulteriore lavoro in Nuova Zelanda 123
26. InghiLterra: alla London School of Economics and Po·
litical Science 124

5
27. Primo periodo di lavoro in Inghilterra 129
28. Primo viaggio negli Stati Uniti. [neontro can Einstein 131
29. Problemi e teorie 136
30. Dibattiti eon Schrodinger 139
31. Oggettivita e critica 142
32. Indu:done, deduzione, verita oggettiva 145
33. Programmi di ricerca metafisici 153
34. La latta contro il soggecti1.'ismo in fisica: meecanica
quantistica e la propensione 156
35. Boltzmann e la tree cia del tempo 160
36. La teoria soggettivistiea dell'entropia 167
37. II darwinismo come programma di ricerca metafisico 172
38. Mondo 3 0 il Terzo Mondo 185
39. Il problema mente-carpo e it mondo 3 192
40_ La collocazione dei valori in un mondo di taW 198

Note 203

Bibliografia 233

Indice dei nomi 241

Indice analitico 246

6
If}j ~ t; ;(!AU~

~~~&/~
J~~~~~
~ ftze R4t~ ~ ~
,
~/~ u(~u.t
twd;~~ ~ ~ ~~/-
~ M7Je4~~
"lte M7~~6u4~V ~
~ te ~ ~/i):u,? ~ ~
~/'r-e o-r ?~ t!rY ~
~ ~ u,.4-,.~ ~t~
~tkf~ UH a!H~
-h-- -- &:t 6:uA:. 'i ~ &e077"-,
-- ~ be ~ ~~~

Riproduzione di uHa pagina manoscritta di Popper


RIl\'GRAZI,\MENTI

Questa Autobiografia hi scritta originariamente nel quadro


dell'opera in due volumi The Philosophy of Karl Popper. a cUra
di Paul Arthur Schilpp, opera pubblicata corne volumi 14/1 e 14/II
ill The Library of Living Philosophers (La Salle. Illinois. The Open
Court Publishing Company, 1974). Come tutti gli altri saggi pub-
biieati in questa colJana, anehe l'Autobiografia e dovuta all'ini-
~iativa dd Professor SchEpp, fondatore della «Library». A lui
50no immcnsamente grato per tutto quello che ha fatto e per
l'infinita pazienza con cui ha atteso let mia autobiografia daI
1963 al 1969.
Sono profondamente grato a Ernst Gombrich, Bryan Magee,
Anle Petersen, Jeremy Shcarmur, Mrs ,Pamela Watts, e soprat-
tutto a David Miller e a mia moglie, per Ia pazienza con cui
hanna letta e corretto il mio manoscritto.
Durante In preparazione deU'edizione originale si presenta-
rono "ari problemi. Solo dopo 1a correzione delle prime bozze
si deeise, per motivi tecnici, di raccogliere Ie note alia fine di
ogni saggio. (Cio non c "enza irnportanza, giacchc il manosclitto
era stato redatto con la previsione che Ie note sarebbero state
starnpate a pie di pagina, nelle paginc in cui erano richlarnate).
Il lavoro compiuto dal Professor Eugene Freeman, Mrs Ann
Freeman e clai lora collaboratori di redazione durante Ia fase
di allestimento dci due voIumi originali fu enorme. ed io dcsi-
dero qui ringraziarli ;:meora una volta per il loro aiuto e Ie lorD
prcmure.
II testa della presente edizione e stato riveduto. Sono state
fatte alcune pic.:colc aggiunte. ed un branD e stato tolto dal testo
e inserita nella nota 20.

Penn, Buckinghamshire
Maggio 1975
K. R. P.
'What to leave out and what to put in?
That's the problem.
[Che cosa tralasciare e su che cosa soffennarsi?
Questo e il problema]
HUGH loFTING, Doctor Dolittle's Zoo

1. Onniscienza e fallibilita

Avevo vent'anni quando fui accolto come apprendista da un


anziano ebanista di Vienna, il cui nome era Adalbert Posch. Can
lui lavorai dal 1922 a1 1924, a pochi anni dalla fine della Prima
Guerra Mondiale. Egli assomighava perfettamente a Georges Cle-
menceau, rna era un uomo assai mite e gentile. Una volta guada-
gnatami la sua fiducia, mi avrebbe offerto sovente, quando resta·
varna soli nel suo laboratorio, it beneficia della sua inesauribile
dovizia di conoscenze, Un giorno mi disse di aver lavorato per
tanti anni a vari modelli di una macchina del moto perpetuo, sog-
giungendo, pensieroso: «Dicono che e impossibile costruirla; rna
una volta castruita, parleranno diversamente! » «{
Da sag'n s' dass
rna' so was net rnach'n kann; aber wann amal cina ein's g'macht
hat, dann wer'n s' schon anders red'n! .,). Uno fra i suoi modi di
fare preferiti consisteva nel pormi una domanda storica, alIa quale
rispondeva egli stesso quando accadeva che io non sapessi la ri-
sposta (ancorche io, suo allievo, fossi uno studente universitario
- un fauo di cui andava molto orgoglioso). « E sa lei - mi chiedeva
- chi ha inventato gli stivali con risvolto? Non 10 sa? E' staio
Wallenstein, i1 Duca di Friedland, durante la Guerra dei Tren-
°
t'anni ». Dopo aneora una due dornande, anche piil. difficili, poste
da lui medesimo e aIle quali egli stesso rispondeva trionfante, i1
mio principale diceva poi, can una leggera vena di orgoglio:
({ Ecco, lei pub chiedermi tutto db che vuole: 10 so tutto" (<< Da
konnen S' mi' frag'n was Sie woll'n: ich weiss alles »).
Sulla teoria della conoscenza credo di aver imparato pili dal
mio caro maestro onnisciente Adalbert Posch che da qual un que
altro dei miei insegnanti, Nessuno feee COSl tanto da rendermi

9
un eliscepolo di Socrate. Fu infatti il mio maestro a inseanarmi
non solo che era tanto poco quel che sapevo, rna anche che ogni
sapienza aUa quale io potessi aspirare sarebbe consistita in nien-
t'altro che nel prendere pili coscienza deU'infinita della mia
ignoranza.
Questi ed altri pensieri, appartenenti al campo dell'episterna-
login, tenevano occupata la mia mente mentre lavoravo a una
scrivania. In que} periodo avevamo una cospicua ordinazione di
trent a scrivanie intarsiate di mogano, con molti, molti cassetti.
Temo che la qualita di aIcune di queste scrivanie, e specialmente
della loro verniciatura, abbia sofferto trernendamente della mia
preoccupazione per l'epistemologia. Cia fece cap ire a1 mio mae-
stro, e ne fui io stesso convinto, che io ero troppo ignorante e
fallibile per questa tipo di lavora. Cosi decisi che, completato
l'apprendistato nell'ottobre del 1924, avrei dovuto cercare qualcosa
di piiI facile che fare scrivanie di mogano. Per un anno lavorai
come assistente sociale tra i bambini abbandanati, cosa che avevo
faUa aoche prima, trovandola assai difficile. Poi, dopo altri cinque
anni che dedicai per 10 pill alla studio e a scrivere, mi arnmogliai
e mi sistemai felicemente come insegnante. Cia accadeva nel 1930.
In quel tempo non avevo nessun'altra ambizione professionale
che quella dell'insegnamento, quantunque ne fossi gia un po'
stanco dopa la pubblicazione della mia Logik der Forschung, suI
finire del 1934. Mi ritenni pertanto assai fortunato quando, nel
1937, ebbi l'opportunita di lasciare l'insegnamento per diventare
un filosafo di prafessiane. Era sui trentacinque, e pensavo di aver
finalmente risoIto it problema di come poter lavorare ad una
------..
scrivania ed insieme preoccuparmi dell'episternologia./
...
"'.'~--.'.:,; --...:,~ ..... ' ' ...-~-- .. " ---
" ..

2. Ricordi d'infanda

Benche generalmente conosciamo la data e i1 luoga della no-


stra nascita - la mia data eli nascita e it 28 luglio 1902, in una 10-
calita chiarnata Himmelhof, nel distretto di Vienna: Ober St Veit -,
pochi di noi sanno quando e come abbia avuto inizio la loro
vita intellettuale. Al punta in cui e giunto il mio sviluppo filosofico,
ricordo aneora qualcosa delle sue prime fasi. E' certo, tuttavia,
che esso e cominciato piil tardi del mio sviluppo emozionale e
morale.

10
Da bambino, mi pare di poter dire, ero un po' puritano, perfino
pedante, anche se e probabile che questa atteggiamento fosse tem-
perato dalIa consapevolezza che io non avevo alcun diritto di
sedere in giudizio per nessuno, salvo che per me stesso. Sono tra
i rniei primissimi ricordi i sentimenti eli ammirazione per i piu
grandi e migliori di me, ad esempio per mio cugino Eric Schiff, che
ammiravo tanto per i1 fatto che era di un anna pi'll grande di me,
per il suo ordine e, soprattutto, per il suo bell'aspetto: dati che
considerai sempre importanti e inaccessibili.
Oggigiorno si sente spes so dire che i bambini sono crudeli
per natura. 10 non ci credo. Da bambino er9 quel che gli ameri-
cani potrebbero chiamare un «sofiY»~-deb~~_», ~-1~c.9mpas­
sione e una gelle .~~ozioni pi]J,.fo.rtLche....io...ricordi. Fu la compo-
riente 'principale della mia prima esperienza di innamoramento,
che ebbe luogo quando avevo quattro 0 cinque anni. Mi avevano
portato in un asilo infantile, dove e'era una bella bambina cieca.
Mi si spezzo il cuore, vuoi per it faseino del suo sorriso e vuoi
per la tragedia della sua cecita. Fu un amore a prima vista. Quella
bambina non l'ho mai piu dimenticata, anche se l'ho vista una
sola volta e solo per un'ora 0 due. Non mi mandarano pili al-
l'asilo; mia madre aveva probabilmente notato quanta io fossi
sconvolto.
La .vista della degradal1te "R<?.v~r:Ht_.~:!LYi~:gn.a fu uno.. dei prin-
cipali problemi che mr agitarono quando aneora era un bambino
- tanto che ci pens avo quasi di continuo. Poche persone, fra queUe
che vivona attualmente in una delle demacrazie occidentali, sanno
che cos a voleva dire poverta all'inizio di questo secolo: uomini,
donne e bambini che pativano la fame, il freddo, e la disperazione.
Ma noi bambini non potcvamo farei nulla. Non potevamo fare
nient'altro che chiedere qualche spicciola da dare ai poveri.
Solo parecchi anni dopa mi resi canto che mio padre aveva
lavorato soda e a lungo per migliorare alquanto questa situazione,
benche di queste attivita non avesse mai parlato. Lavoro presso
due comitati che dirigevano delle case per senzatetto: una loggia
massonica, della quale fu per diversi anni Maestro, gestiva un
ospizio per orfani, mentre l'altro comitato (non massonico) aveva
costruito e amministrava una grande istituzione per adulti e fa-
miglie senza casa. (Un ospite di quest'ultima - «Asyl fur Obdach-
10se:o " fu Adolf Hitler durante il suo primo soggiorno a Vienna).
Questa attivita di mio padre ebbe un riconoscimento inatteso
allorquando il vecchio Imperatore 10 creb cavaliere dell'Ordine
di Francesco Giuseppe (Ritter des Franz Josef Ordens) , cosa che
dovette essere nOn solo una sorpresa, rna anche un problema.
Infatti, benche mio padre - come gli austriaci in generale - nu-

11
trisse rispetto per I'Imperatore, era tuttavia un liberalc radicale
della seuoIa di ,John Stuart Mill, e niente affatto un sostenitore
del regime.
Come massone egli era anche membro di una societ8. che in
quel tempo era ritenuta illegale dal governo austriaco, quantun-
que non 10 fosse per i1 governo ungherese di Francesco Giuseppe.
Per questa ragione i massoni si riunivano spesso oltre i eonfini
ungheresi, a Pressburg (oggi Bratislava, in Cecoslovacchia). L'im-
pero austro-ungarico, benche fosse una monarehia costituzionale,
non era retto dai suoi due parlamenti: quesH non avevano alcun
potere di dimettere ne it Primo Ministro ne i due Consigli dei
Ministri, nemmeno con till voto di censura. II Parlamento au-
striaeo, a quanta pare, era aneor piiJ. debole del Parlamento inglese
sotto Guglielmo e Maria, ammesso che si possa fare un simile
confronto. C'erano pochi contrulli economici, ed esisteva una
rigorosa censura politica; per esempio, una brillante satira poli-
tica, Anno 1903, che mio padre aveva scritto satta 10 pseudo-
nimo di Siegmund Karl Pflug, venne sequestrata dalla polizia al
momenta della Slla pubblicazione nel 1904 e rimuse nell'Indice
dei Iibri proibiti fino al 1918.
Cii) non ostante, in quei giorni, prima del 1914, c'era una
certa atmosfera di liberalismo in Europa, ad occidente della Russia
zarista; un'atmosfera ehe aveva pervaso anche l'Austria ed ando
distrutta per sempre, a quanto sembra, can la Prima Guerra Mon-
diale. L'Universita di Vienna, con i suoi tanH docenti veramente di
prestigio, godeva di molta liberta ed autonomia. Cosl pure i tea-
tri, import anti neUa vita di Vienna - quasi altrettanto importanti
quanto la musica. L'Imperatare manteneva Ie distanze rispetto a
tutti i partiti politici e non si identificava con nessuno dei suoi
governi. In effeUi seguiva. almena nella forma, Ia massima data
da Soren Kierkcgaard a Cristiano VIII di Danimarca (I).

3. Prime influenze

Il dima in cui fui cresciuto era decisamente coito. Mio padre,


Dr. Simon Siegmund Carl Popper, come i suoi due fratelli, era
un dottore in legge dell'Universita di Vienna. Aveva una grande
biblioteca, e c'erano Iibri dappertutto - eccetto che nella sala da
pranzo, dove c'era un pianoforte a coda Bosendorfer e molti vo-
lumi di Bach, Haydn, Mozart, Beethoven, Schubert e Brahms. Mio
padre, che era coetaneo di Sigmund Freud - del quale possedeva

12
le opere e Ie avev8,.le.tte a1 tempo della pUbblicazione -, era avvo-
cato. Di mia madre, Jenny Popper nata Schiff, diro di pili quando
vern) a parlare di musica. Mio padre era un oratore raffinato.
Solo una volta 10 udii patrocinare una causa in tribunale, nel
1924 0 1925, quando fui 10 stesso l'imputato. A mio avviso, il caso
era chiarissimo (2). Per questo non avevo chiesto a mio padre di
difendermi, e mi sentii imbarazzato quando egli insistctte. Ma
l'estrema semplicita, chiarezza e sincerita del suo parlare mi im-
pressionarono molto.
Mia padre lavorava duramente nell'esercizio della sua profes-
~ione. Era stato arnica e socio dell'ultimo borgomastro liberale di
Vienna, Dr. Carl Griibl, e aveva riIevato it suo studio legale. Lo
studio faceva parte di un grande appartamento, nel quale abita-
vumo, proprio nel cuore di Vienna, di fronte al partone centrale
della cattedrale (Stephanskirche). Egli lavorava lunghe OI'e nel
suo studio, ma·in realta era pili un umanista che un giurista. Era
uno storieo (la parte storica della sua biblioteca era considere·
vole) e si interessava soprattutto del periodo ellenistico, e dei
secoli diciottesimo e diciannovesimo. Scriveva poesie e traduceva
versi greci e latini in tedesco. (Di rado parlava di queste case. Fu
per puro caso che travai, un giomo, alcune sentite traduzioni in
versi di Orazio. Sue dati particolari erano iI toceo )eggero e
un forte senso dell'umorismo). Gli interessava moltissimo la filo-
sofia. Ho ancora Ia sua raccolta delle opere di Plat one, Bacane,
Cartesio, Spinoza, Locke, Kant, Schopenhauer e Eduard von Hart-
mann; Ie opere di r. S. Mill in una versione tedesca pubblicata
da Theodor Gomperz (del quale apprezzava molto i Pensatori
greci); quasi tutte Ie opere di Kierkegaard, di Nietzsche e di En-
eken, e queUe di Ernst Mach; aveva 1a Critica del lil1guaggio di
Fritz Mauthner e Geschlecht und Charakter di Otto Weininger
(It:: quali opere sembra che abbiano avuto entrambe una certa
influenza su Wittgenstein) (3); e aneom Ie traduzioni di quasi tutti
i libri di Danvin. (I ritratti di Darwin e di Schopenhauer pende-
vano nel suo studio). Naturalmente c'erano anche gli autori pili
significativi della letteratura tedesca, francese, inglese, russa e
scandinava. Ma uno dei suoi interessi principali verteva sui pro-
blcmi sociali. Egli aveva non solo Ie principali opere di Marx ed
Engels, di Lassalle, Karl Kautsky e Eduard Bernstein, rna anche
queUe dei critici di Marx; Bohm-Bawerk, Carl Menger, Anton
Menger, P. A. Kropotkin, e Josef Popper-Lynkeus (probabilmente
un mio lantana parente, dato che era nato a Kolin, la cittadina
da cui proveniva il mio nonno paterno). La biblioteea aveva an-
che una sezione pacifista con libri di Bertha von Suttner, Frie-
drich Wilhelm Forster, e Norman Angell.

13
I libri furono dunque parte della mia vita aneo!" molto prima
che io potessi leggerli. II primo libra che mi lascia un'imprcs-
sione grande e duratura fu queUo che mia madre lesse aIle mie
due sorene e a me poco tempo prima che io imparassi a Jeggerc-
(10 era il pili piccolo di tre figli) , Era un libro per bambini, della
grande scrittrice svedese Selma Lagerlof, in un'ottima versione
tedesca (Wunderbare Reise des kleinen Nils Holgcrsson mit den
Wildgiinsen; Ia versione italiana e intitolata II viaggio meraviglioso
di Nils Holgersson attraverso la Sve(;ia) , Per tantissimi anni ho
rHetto questo libra almena una volta all'anno; e col tempo kssi
probabilmente tutto. e piu d'una volta, di Selma Lager16f. Non mi
piace il suo primo racconto, Costa Berling, anche se e indubbia-
mente assai notevole, Ma ognuno degli altri suoi libri resta per
me un capolavoro.
Imparare a Icggere e, in minor grado, a scrivere, sono certa-
mente gli eventi pili importanti nello sviluppo in tellettuale. Non
v'e niente di paragonabile a questa, data che pochissime persone
(Helen Keller e la grande eccezione) possano ricardare che cosa
abbia per lora significato imparare a parlare. Sara eternamente
ricanoscente alIa mia prima maestra, Emma Goldberger, la quale
mi insegno Ie tre erre [leggere, scrivere e far di canto] *, A mio
avviso sono queste Ie sale case essenziali che si devono insegnare
a un bambino; e ci sana dei bambini che non hanna neanche
bisogno che queste cose gli si insegnino, perche Ie imparino.
Tutto i1 resto e atmosfera, e imparare leggendo e pensando,
Ottre ai miei genitori, aUa mia prima maestra di scuola, e a
Selma LagerlBf, la persona che esercitb la pili forte influenza sul
mio primo sviluppo intellettuale fur a mio modo di vedere, il mio
arnicQ di sempre Arthur Arndt, parente di Ernst Moritz von Arndt,
il quale era s1ato uno dei famosi padri fondatori del nazi on ali-
sma tedesco all'epoca delle guerre napoleoniche (4). Arthur Arndt
era un ardente antinazionalista. Sebbene di discendenza tedesca,
era nato a Mosca, dove trascorse auche la sua giovinezza. Era piu
grande di me di circa vent'anni - era sulla trentina Ia prima volta
che 10 incontrai nel 1912, Aveva studiato ingegneria all'Universita
di Riga ed era stato uno dei leaders studenteschi durante la fallita
rivoluzione russa del 1905, Egli era un socialista e al tempo stesso
un energico avversario dei Bolscevichi, dei quali conobbe perso-
nalmente alcuni esponcnti nel 1905. Li dcscriveva come i Gesuiti
del socialismo, capaci cioe di sacrificare uomini innocenti, per-
fino della lora stessa fede, in quanto i grandi fini giustificavano

* The three R's = reading, (w)riting, (a)rithmetic (leggere, scrivere e


far di con-to, come base della. istnlzionc dcmcnt:u'e) (N.d.T.),

14
tutti i mezzi. Arndt non era un marxista convinto, rna era per-
suaso che Marx fosse stato fino a que) momenta il pili impor-
tante tcorico del socialismo. Egli mi trovo molto ben disposto
a prestare ascolto ~ i~eC;,",~.cj~ niente, pensavo, poteva es-
sere pili import ante die par fine aHa poverta. Arndt era profon-
damente interessato (molto pill di mio padre) aI movimento che
era statu avviato dai discepoli di Ernst Mach e di Wilhelm Ostwald,
una societa i cui membri si chiamavano «j,M£..r4§ti. ),! (C'era un
legame col famoso giornale americana The Monist, di cui Mach
era collaboratore). II 10m joteresse.._v.er.te\!a...sulla..scienza. .l'episte~.
rnologia1._~ .s.u... queua_,~..oggisi direbbedilosofia, clella.,sci~a.
FralMonisti di Vienna, il (( semi-socialista » Popper-Lynkeus aveva
un notevole seguito, compreso Otto Neurath.
n primo libro che lessi suI socialismo (probabilmente sotta
l'inf]uenza del mio amieo Arndt - mio padre era restio ad influen-
zanni) fu Looking Bachvard, di Edward Bellamy. Debbo averlo
letto quando avevo dodici anni, e mi fece grande impressione. Arndt
mi portava aIle escursioni domenicali, organizzatedai Monisti, nel-
Ie foreste viennesi, e in queste occasioni spiegava e discuteva suI
marxismo e suI darwinismo. Molte di queste case erano ovviamente
troppo difficili per me. Ma era una cosa interessante e stimolante.
Una di queste escursioni domenicali coi Monisti ebbe luogo
il 28 giugno 1914. Verso sera, mentre ci avvicinavamo ai sobborghi
eli Vienna, sentimmo dire che I'arciduca Francesco Ferdinando,
erede legittimo a1 trono d' Austria, era stato assassinato a Sarajevo.
Circa una settimana dopa, mia madre porto me e Ie mie due
sorc~lle ad Alt·Aussee, un vHlaggio non lontano da Salisburgo, per
Ie vacanze estive. E qui ricevetti, in oecasione del mio dodicesimo
compleanno, una lettera di mio padre, in cui mi diceva di essere
spiacente di non pater venire per il mio compleanno, come avrebbe
voluto, « perche, disgraziatamente, c'e la guerra» (<< denn es ist lei-
der Krieg »). Poiche la lettera mi giunse proprio U giorno della di-
chiarazione di guerra tra Austria.Ungheria e Serbia, mio padre ne
aveva probabilmente presagito l'imminenza.

4. La prima guerra mondiale'

Avevo dodiei anni, a11ora, quando seoppio Ia Prima Guerra


Mondiale; e gli anni dena guerra, e Ie eonseguenze della guerra,
furono da ogni punta di vista decisivi per il mio sviluppo intel1et-
t~lale. MlL~~II~E9-..EritJ.C:~ .E1~!..!~~di del!~_ ~illioni accettate, sp~­
clalm~gle...Jie e .0piniQ'p.j. E~~~~C!!~.:

15
Certamente poche persone sapevano in quel momento che cosa
volesse dire la guerra. Nel paese c'era un clamore assordante di
patriottismo, a1 quale partecipavano perfino alcuni membri del
nostro circolo, che in precedenza era ben lungi dall'essere guerra-
fondaio. Mio padre era triste e depresso. Tuttavia anche Arndt po-
te vedere qualcosa di auspicabile. Egli auspicava una rivoluzione
democratic a in Russia.
In seguito ho ricordato spesso questi giorni. Prima della guer-
ra, molti membri del nostro circol0 avevano discusso teorie politi-
che che erano decisamente pacifiste, e quantomeno assai critiche
nei confronti dell'ordine esistente ed avevano assunto un atteg-
giamento critico nei confronti dell'alleanza tra Austria e Germa-
nia, e della politica espansionistica dell'Austria nei Balcani, spe-
cialmente in Serbia. 10 fui scosso dal fatto che costoro poterono
diventare repentinamente fautori proprio di questa politica.
Oggi Ie capisco un po' meglio queste cose. Non si trattava so-
lamente della pressione dell'opinione pubblica; c'era anche il pro-
blema dei divisi lealismi. E c'era anche paura -la paura di misure
violente che in tempo ill guerra Ie autorita avrebbero preso can-
tro i dissidenti, dato che non si puo tracciare una linea nett a che
djstin~'lla iI dissenso dal tradimento. Ma in quel tempo era assai
perplesso. Naturalmente non sapevo nulla di do che era accaduto
ai partiti socialisti di Germania e Francia: come si fosse disinte-
grato i1 loro internazionalismo. (Una meravigliosa descrizione eli
questi eventi la si puo trovare negli ultimi volumi di Les Thibaults
di Roger Martin du Gard) (5).
Per alcune settimane, sotto l'influenza della propaganda di
guerra nella min seuola, fui un po' contagiato dall'umore generale.
Nell'autllnno del 1914 scrissi una stupida poesia, «Celebrando la
pace ", in cui si esprimeva Ia supposizione che gli austriaci e i te·
deschi avessero resistito con successo aU'attacco (aHora credevo
che «noi» eravamo stati attaccati), e descriveva e celebrava la re-
staurazione della pace. Benche non si trattasse di una vera e propria
poesia guerresca, mi vergognai subito profondamente d'aver pen-
sato che « noi » era varna stati attaccati. Mi resi canto che l'attacco
austria co alIa Serbia e l'attacco tedesco al Be\gio {'rano case terri-
bili e che un gigantesco apparato propagandistico cercava di per-
suaderci che tali attacchi erano giustificati. Nell'invemo del 1915-16
mi convinsi - indubbiamente sotto l'influenza della propaganda so-
cialista prebellica - che la causa dell'Austria e della Germania era
una causa sbagliata e che noi meritavamo di perdere la guerra (e
che quindi dovevamo perderla, come io ingenuamente ragionavo).
Un giorno, credo che debba essere stato nel 1916, avvicinai mio
padre can una formulazione ragionevolmente ben preparata ill

16
questa posizione, rna 10 trovai mena sensibile di quanta mi aspet-
/avo. Egli nutriva pili dubbi di me riguardo ai diritti e ai torti
della guerra, cd anche suI suo esito. Satta runa e I'altro aspetto
edi era stato corretto, naturaImente, ed e avvio che io vedessi
allora queste cose in modo troppo superficiale. Eppure prcse malta
seriamente Ie rnie opinioni, e dopo una lunga discussione espresse
Ia tendenza a conclividerle. La stessa cosa fece il mio arnica Arndt.
In seguito a cio mi rimascro pochi dubbi.
Frattanto tutti i miei cugini che erano abbastanza grandi com-
battevano come ufficiali nell'esercito austriaco, e cosl pure tanti
miei amici. Mia madre ci porto ancora sulle Alpi per ]e nostre
I'acanze estive, e nel 1916 eravamo di nuovo nel Salzkammergut -
questa volta a Ischl, dove prcndemmo in affitto una caseUa in
alto su un pendio boscoso. Era can noi Ia sorella di Freud, Rosa
Graf, che era arnica dei miei genitori. Suo figlio Hermann, di soli
cinque anni pili grande di me, venne in visita in unifonne durante
Ia sua ultima licenza prima di partire per il fronte. Subito dopo
giunse In notizia della sua morte. II dolore della madre - e della
sorelIa, la nipote prediletta di Freud - fu terribile. Cia mi feee
capire il significato di queUe lunghe e spaventose liste di persone
uccise, ferite e disperse.
Subito dopo i problemi politici si fecero nuovamente sentire.
La vecchia Austria era uno stato multilinguistico: c'erano Cechi,
Slovacchi, Polacchi, Slavi del Sud (Yugoslavi), e gruppi di lin-
gua italiana. Ora cominciavano a trapelare voei sulla defezione di
Cechi, Slavi e Italiani dall'esercito austriaco. La dissoluzione era
cominciata. Un arnico della nostra famigIia, che faceva il giudice
presso iI Tribunale militare, ci parlo del movimento panslavo, che
aveva dovuto studiare per motivi professionali, e di Masaryk, un
filosofo delle universita di Vienna e di Praga, che era iI leader dei
Cechi_ Sentimmo parlare dell'esercito ceco, addestrato in Russia
da prigionieri di guerra austriaci eli lingua ceca_ E sentimmo anche
delle voci sulle condanne a morte per tradimento, e suI terrore col
quale Ie autorita austriache perseguitavano Ie persone sospettate
di slealta.

5. Un primo problema filosofico: l'infinita

Ho sempre creduto che esistano problerni filosofici auten-


tid che non sono dei meri rompicapi. originanti dall'abuso
del linguaggia. Alcuni di questi problemi sono evidenti. perfino ai

17
fanciulli. Accadde COS! che inciampai in uno di essi quando era an-
cora ··un ·bambino, probabilmente (sugli ..otto anni;l
~!L q1J~J£he.. ~~d_o~V~Y9..sentito .parhu:e . del sistema solare c::.._
dell'infmita. del.Io spazio (ovviamente della spazio newtoniano), ed
era preoccupato: non riuscivo a immaginare ne ch~ 10 spnzio f9ss~
fmito (che cosa c'era, infatti, fuori di esso?) ne che fosse innnito_
Mia padre mi suggeri di chiedere ad uno dei suoi fratelli, il quale,
mi disse, era molto bravo a spiegare queste cose. QUesto zio mi chie-
se innanzituttose ave'!o ..delle djfficolta Ilel portare avanti, sempre
avanti, Ia serie dei numeri. Nonne avevo.· Quindi mi chiese di
immaginare un rnucchio di mattoni, e di aggiungere ad esso un
maHone, e ·poi an cora un altro mattone,.e. COS! via, senza. fme;
esso non avrebbe mai riempito interame~t(do_spazio....dellj.miyen;o.
-10 anniiir,U:i1iiornIuttii-i f~CI:le··era-~I.1a ·rt~post<l~s.~~"J,!tiI~l.. ~~IfC he
non ne fossi ·completamen~esoddisfatto. Naturalmcnte non ero
in grade di formulare i dubbi -~~-~ ~.-.
ehe aneora avvertivo:
........... - ....... '.' --. .', ... era la diffe-
renza .. ~!<}.. inp.J1WI. P.2~:p..~~_~~.~ttuale, e l'impossihiliHl di ridurre
]'infinita attuarea quella patenziale. Il.problf"ma, corne e o~'"vi~, e
parte. (1a parte spaziale) della prima antinomia di Kant, ed e (spe-
ciaimente se si 'aggiunge la parte temporale) uri problema filosofieo
serio ed aneora insoluto (6) - sopTattutto dacche Ie speranze di
Einstein, di risolvere doe il problema dimastrando ehe l'universo
e uno spazio riemanniano ehiuso di raggio fiDito, sono state piu
o meno abbandonate. Certo non mi venn~jn. mep~e, ~.he quel che
mi preoceupava poteva--essere-un proolema apeTta. Pensavo piutto-
sto chti·!osse una "doinanda che un "adulto iritelligente'·come mio zio
govev~ capire, mentte io era aneora troppo ignorantt:, 0 forse trop-
po giovane, 0 troppo stupido, per aiferrarlacompletamente.
B...iforc;lo tanti di qu~sti problemi - problemi seri, non rompi-
capi a per-plessita::.... 9-e1 periodo successiv~, di quando ero sui do-
dici 0 tredici anni; ad esempio il problema dell'origine della vita,
a,
lasciato aperto dalla teoria darwinian "e :se l~. vita. fosse sempli-
cemente unprocesso chimico (io optavo per .In Jeor~a secondo Ia
quale gli organismierano fiamme).
Questi, a mio avviso, sono problemi pressoche inevitabili per
chiunque abbia anche solo sentito parlare di Darwin, si tratti di
un bambino 0 di un adulto. Il fatto che it lavoro sperimentak
procede in connessione can tali problemi non basta a renderli non-
filosofici. Meno che mai dovremmo decretare arbitrariamente ~he
i problemi filosofici non esistono, 0 che sono insolubili (anch<;:....se
forse dissolvibili).
II mio atteggiamento verso questi problemi rimase immutato
per lungo tempo . ~on avrei mai g~9.U1;Q... . p.ossibile.£h~..!~t!L@~j.
.problemi
. . ._r'· __ che mi
""' _ _ _ '.'tormentaVailoIiOn fossero
•..•.. _ _ ._. __ , •.... __ .••.. ____ .... stati risolti gia
',... da _ mol-
___ ...

18
to temPQ; ancor meno che qualcuno potesse essere nuovo. Non
avevo alcun 4~pbio.che. p~r~one come il grande Wilhelm Ostv.:aid~
clii..eiiore· delia rivista ({ Das mOrUstische Jahrhundert » (cioe " II se-
colo del Monismo ») c:o;lOscessero t!,ltte Ie _rispo~te,~.,~e :m.i~ difficol-
til. pensavo, erano dovute interamente al mio limitato ingegno.

6. Il mio primo insuccesso filosofico:


if problema dell' essenzialismo

Ricordo Ia prima dis.£.ussione Q.t:!..E!im~p.~Q1J!~1I!.~)~1Q.~Q~<?2_~h~.


risultopCli"deCISlVO perH l11iosvilqppo intellettuale. II problema
sOl~se:··~a,l ..m.,io. E~iill.~o , rj~lI'a ttegg ia lTI ellJ94L ~~ettere~fri:li1qd~#Z~
aIle .p-~n~J~e::.41J9r.q, ~l1ifiCf11Cl. (o.QJ..Joro. «. ~ero siglJifJ,!;ato,Jl).
Dovevo essere sui quindici anni. ,MJ0.pEl:dreavt:va, .detto che
avrei do,'u~o_JJ~gg~~_~kuni"olumi deU'autop.iografia di Strindberg.
Non ncoJ:do quale dei pass!" di tale"autobiografia illl avesse 'spinto,
in una conver-sazlone can rriio padre,·.a criticare quello chej2_~.~!1·
[ivo come un atteggiamento oscurantista di Strindberg':ilsuo ten-
tativo eli estrarre qualcosa eli importaritedal «vero.» significato' di
eerte parole. Ma ricordo che quando cer.cai .diincalzl.lre:~!=on 1e
mie obiezioni. fui disturb~to.anzi scosso, nel trovareche mio padre
non vedeva la miaquestione. A me ii probiema sembrava evidente,
e tanto piuevidente qtlaTlto pili a lunge> 5"1· protracva la nostra di·
scu~sione. Quando la interrompemmo. a TIoHe iooltrata, mi resi
('onto di non aver avuto molto successo. Cera tra noi un vera abis-
so su di una qll<;)stione importante. Rkord6-d1e,ctoi)o 'questa·-di·
SC1.1ssione, cereai di imprimermi benet!iIiiCilte'-che'-avrei aovufo
sempre ricordarmi del prinripi9 _,eli non di~p~tef~ mai suUe parole.
e sui loro, significato, 2.t}J,"_G}i¢,siH1iI'~arg§I$~iJ.ir:soiio·kpedQsr~· insi~~
gnificnntL ;Ricardo, 'fijoltre,che non ;rvevo alcuQ. dubbio. sul fatto
che questo semplice principia dovesse essere ben conosciuto e lar-
gamente accettato; avevo il sospetto che sia Strindberg che mio
padre dovessero essere arretrati in queste. cose.
Annj dopa. dovetti prcndere atto,d'av~r;resQ lora un'ingiusti-
zia, e' cheJa.£Ql.;l,v.inzjpn~..d.e.llJmp'q~lJ.ijgQHj.£A!O denf;i.J)~.J..~
sJ?ccialme.nte ~en~~l?fil.lizioni, era .pressocheuniversale. !--~l:l.tt~g­
glamc;mo che .p_t4. tardLavre.i. ~hj_~matQ_....essenzial.ismo» e aneora
assai dilfuso, ~ it sensa dell'ins_uc!;ess.p_.che _prO)l.aL.ct~.:"ituden~e._.~
spes so riaffiorato'in me negli anni successivi.
II primo ritorna di questo senso di fallimento ebbe luogo
allorche tentai eli Ieggere qualcuno dei libri di filosofia della biblio·

19
teea di mio padre. Constatai immediatamente ehe l'atteggimneTltc
eli Strindberg e di mia padre era del tutto generale. Cia mi ere.o
enormi diflicolta e un'avversione per 1a filasafia. Mio padre mi sug·
ger! che avrei dovuto provare Spinoza (forse come una cum). Sfor:
tunatamente nan feci questa tentativo con Ie sue Lettere, ma con
I'Eticae i Principi della filo50fia di Cartesio, entrambi pieni di de·
finizioni che mi sernbravano arbitrarie, inutili, e che aggirassero Ie
questioni, se si poteva dire che vi fossero delle questioni. Questa
fatto insinuo in me un'avversione, conservatasi per tutta 1a vita~
alIa teorizzazionc su Dio. (La teologia, cos!. penso tuttora, e dovuta
a mancanza di fcde). Mi resi anche conto che la somiglianza tra i
modi della geometria, 1a materia per me pill aifascinante a scuola,
e i1 more geomelrico di Spinaza era asso1utamente superficiale.
Kant era un/altra cosa_ Benche trovassi Ia Critica troppo difficile,
potei vedere che trattava di problemi reali. Ricardo che dopp aver
cercato oi leggere (probabilmente senza capirci malta, rna certa·
mente affascinato) 1a Prefazione alla seconda edizione della Critica
(nell'edizione curata da Benno Erdmann), voltai Ie pagine e fui
colpita e imba.razzato dalla strana disposizione delle Antinomie.
Non ne colsi l'essenziale. Non riuscivo a capirfl che casa potesse
intendere Kant (a chiunque a1tro) ,dicendQ ch.e..I.a.ragionc. puo con-
traddirsi. Eppure, dalla tavola della prima antinomia, vedevo che
si discutevano prablemi concreti; e campresi anche, dalla Prefa·
zione, che per capire queste cose erana necessaiie ia matematica
e la fisica.
Ma qui cl-edo di dover tornare al problema che stava ana base
di quella discusslone, e di cui ricorda bene la presa che fece su di
me. E' un problema che mi divide tuttora da quasi tutti i miei
contemporanei, e siccome e risultato COS! cruciale per la mia sue-
cess iva vita di filosofo, credo di daverlo esanlinare in modo a1·
quanta particolareggiato, anehe a costo di una lunga digressione.

7. Una lunga digressione sull'essenzialismo:


cia che ancora mi divide
da moltissimi filosofi contemporanei

Per due ragioni 1a dieo una digressione. Prima di tutto la


formulazione del mio antiessenzialismo nel terzo paragrafo di que·
sta sezione subisce indubbiamente l'influenza delle mie vedute sue-

20
cessive. In secondo luoga, perche i successivi paragrafi di questa
parte sono dedicati non tanto a portare avanti Ia storia del mio
sviLuppo intellettuale (benche questa non venga trascurata), quan-
ta piuttosto aHa discussione di un problema che mi ci e voluta
tu tta una vi ta per chiarire.
Non vaglio dire che la seguente formulazione ce ('avevo gia
in mente quando era quindicenne, rna ora non posso esprimere me-
glio di cosl l'atteggiamento che raggiunsi in quella discussione
can mio padre, di cui ho fatto menzione nella sezione precedente.
Non lasciarsi mai spingere. a prel1dere se.riamente i pr{)blemi
concernenti Ie parole· i e loro· significati. Qllel ehe'deve essere
preso sul serio sono Ie questioni di fatto e Ie asserziol1i su tatti:
teorie eipotesi,·. i problemi c/ze.risolvon<;>; e i problel1'!:Lche so.t-
levana. . .. . . .
In seguito mi richiamero a questa auto-avvertimento come'
alIa mia esortazione antiessenzialista. Se si preseinde dal rifed-
menta aIle teorie e al1e ipotesi, che probabilmente ebbe luogo in
un periodo molto piu tardo, questa esortazione non puo essere
molto lantana da un'articolazione di quei sentimenti che nutrii
non appena divenni consapevole della trappola posta daIle preoc-.
cupazioni e dalle dispute ~:;ulle parole e i loro signifieati. Questa,
penso ancora, e Ia via pin sicura pe~.la perdizione. intellet1~
abbandonare. i problemi reali p~:rjproblerni verb;:ili.. ....
Le mie ideesu questa problema, tuttavia, sona state per molta
tempo confuse a causa della mia sicura eonvinzione che tutte que-
ste case dovessero essere ben note, specialmente ai filosofi, purche
sufficientemente aggiornati. Questa convinzione mi porto pili tardi,
quando cominciai a leggere pill seriamente i libri di filasofia, a
cercare di identificare il mia problema -Ia I'elativa non-importanza
delle parole - can uno dei problemi tipid della fHosofia. Come risul-
tato di cib, decisi che esso era assai strettarnente connesso col pro-
blema classico degIi universali. E quantunque mi fossi reso conto
abbastanza presto che it mio problema non era identico a que) pro-
blema classico, cercai insistentemente di vederlo come una variante
del problema classico. Fu uno sbaglio. Ma in conseguenza di cio
mi interessai molto del problema degli universali e della sua sto-
ria; e giunsi presto alla conclusione che dietro al problema clas-
sica delle parole universali e delloro significato (0 senso, 0 deno-
lazione) affiorava un problema aneor pili profondo e pili impor-.
tante: i1 problema delle leggi universali e della loro verita; vale
a dire, i1 problema delle regolarita_
II problema degli universali viene aneor oggi trattato come
se fosse un problema concernente Ie parole 0 gli usi linguistici;
OVvcro Ie similarita neUe situazioni e il modo in cui esse trovano

21
un riscontro nelle similarita presenti nel nostro simbolismo lin-
guistico. Tuttavia mi sembrava del tutto evidente che era un pro-
blema molto pill generale; che era fondamentalmente un problema
di reazione similare a situazioni biologicamcnte simili. Siccome
tutte (0 quasi tutte) Ie reazioni hanno, biologicamente, un valore
anticipatorio, noi siamo portati al problema dell'anticipazione 0
deU'aspettazione, e quindi a quello dell'adattamento aIle rego-
larita.
L Ora. per J!l!t~.JIL.Vi1a,jo non. solo ho creduto all'esistcnza .di
quello che i filosofi chiaman..o«( n;tQn.qo e~t~r:no », rna ho anche COI).-
siderato la concezione opposta come non meritevole d'esser presa
suI serio. Cib non significa che io non abbia mai discusso il pro-
blema can me stesso, a the non abbia mai preso in esame, ad
esempio, il «monisma neutrale,. e analoghe posiziani idealistiche.
Ma sana sempre stato "y'1Lfau.tore...dcl. r.eaUs.ltJ.o; e cia mi rese.sen-
sibile at fatto 'ene 'net contesto del problema- degiiuniversali que-
sto termine« realismo » era. US;;Lt() in unsenso affatto diverso; cioc;:
per. denotare posizioni opposte a1 not1J.inalismo. Per ovviare a que-
sto usa alquanto fuorviante inventai, mentre lavoravo a The Po~
verty of Historicism (prababilmente nel 1935; vedi 1a "Nota sto-
rica» all'edizione del libra}, il termin~, ~(essenzialismo» per desi-
gnare ogni posizione (classica) opposta al nominalismo, e special-
mente Ie teorie di Platone e d.i Aristotele (e, tra Ie moderne, la
« intuizione delle essenze II di HusserI).
Avevo seelto que!ito norpe. .nlm~m) !;l..ieci anni_prima, ed era di-
venuto consapevole del fatto che il mio problema, in quanto oppo-
sto al problema classico degli uriiversali (e alIa sua variante bio-
logica), €2t:...al~r.LP!l?_N.e?J1:q..4lmetodo- Dopo tutto, cio che fin dall'ini-
zia mi ero messo in testa era un'esortazione a 'pensare, a procedere
in uri."modo piuttosto che in un altro. E' questa la ragione per cui
maltoprima avevo inv~I).tato i termini -;e.ssenifa7ismo1> .(~ ani!- e
esserz.zifllismo~. Avevo qualificato il terrnine «nominalismo» col
-termine "metodologico II, usando l'espressionc «nominalismo me-
todologico» come l'atteggiamento caratteristico della mia esorta-
zione. (Ora penso che questa espressione sia un po' sviante. La
scelta della parola «( nominalismo.; fu il risuItato del mia tentativo
di identificare il mio atteggiamento con qualche posizione ben nota,
o di trovare almena delle somiglianze tra il mio atteggiamento e
quatche altra posizione. 11 «nominalismo») classica, tutta"ia, e
una posizione che non ho mai accettato).
All'illizio degli anni 1920 ebbi due discussioni che esercitarono
una certa influenza su queste idee_ La prima fu una discussione
con KarLPalanyi, teorico deU'economia e della politica, Polanyi
pensava cl1e que:1 che io descrivevo come "nomiualismo metodo-

22
logico» fosse caratteristico delle scienze naturali, rna non delle
sdciize s.~-cTal.i-,~:ra: -~ecoiid3.~'~nscussiline,--quaIcheferripo-'a6j)o:-fU
con. Relnrich._G9JIlPe.rz, un pensatore assai originale e d'immensa'-
cultura, il3~l'lle_!:l!!...'=-2.1EL4escriYJ;ndo .RP?,ia .E9~i3:!..one.sQIUe « rea-
\ista» in entrambi i _~~:q.sL .4e.U~J!l!Ql~.
. -Ora' 'crecio'che--Polanyi e. 9omper~..ay~ssc::!g . .!".~gton~~!!I~g~.
Polanyi" aveva 'ragicine}Jeich~.Ie.scienze_naturalLsonQjn,,_lLn:t,Pj,?':.JJl.j.-
5 ura:'1ili~re.· ~aJia discl:l.~sil)ne yerEal~t ID,~ntre jI verba.Usm(dmper-
versava, e tuttora imperversa, in tante forme. ·nelle scienze sociali.
Ma c'edi piit. f~:r.Qra.qip) CL~:Q~_J~cx:e~R.m s..QciaY, appar~~on.<2.
in van modi, a quello che piu di recentE}h9'chiiiln3to .~. iLterzo
monda'); 0, meglio, «~opdo' ,3 .~'",~Lr:r~ol!-~~Q~n~.J!::.o.r.i.~,..A~Ui~ri..!.
dellejdeeJcl~ip.roqleroi; un mondo che, a cominciare da Platone -
che 10 ..
vide come un mondo di'concetti -,.......'~-stato'Stuaiato--so-
,.. - - .__ .'-" '_. __ . - -- ... .... - - --" -." -..._..... -
:., , - '---'.- ... -._- ._ .. .......,:......- _
,-,
'. A.' ,t,:> "":. :~(). :~~.}

LE IDEE <j'
...... <::~ . . -;-' l{.(~ c::.~.::·'- ..
"" ,
oloa " ~ I
~.

• .. -

LE DESIGNAZION!, -- ASSERT! ;:', C .'


o TERMINI, o TEORIE ',i
a CONCml o PAOPOSIZ!ONI
possono eSS6re formulate in
PAROLE . ASSERZIONI
ohe possono essere
DOTATE DI SlGNIFICATO VERE
e if loro (/a/oro)
SlGN!FICATO VERITA'
si put; ridurre, tramite ,;-

DEFINIZIONI DERIVAZIONl
a queJlo di
CONCm! INDEFINITI PROPOSIZIONI PRIMITIVE

iI tentativa di stabilire, piuttasto che ridurre if lorD (fa foro)


SIGNIFICATO VEAITA'
valendos; di questi mezzi, conduce a un regresso all'infinito.

23
prattutto da essenzialisti. (iOJPperz era _nel giusto, perche un
realista che crede in un «manda esterno » crede necessariamente
anche neU'esistenza di un cosmo piuttosta che di uncaos; _yale
a dire, in regolarita. E sebbene mi sentissi contrario pili all'essen-'
zialismo classico che al nominalismo, non nil resi conto allora, nel
sostituire il problema deII'esistenza di similarita col problema del-
l'adattamento biologico aIle regolarita, di star pili vicino aI «rea-
lismo» che at nominalismo.
Per spiegare queste cose come Ie veda al presente, farb uso
di una tavola di idee che pubblicai la prima volta in Le tonti della
conosccnza e dell'ignoranza (8).
Questa tavola e in se stessa assolutamente bana1e: l'analogia
logica tra i Iati siuistro e destro eben stabilita. Tuttavia pub essere
usata per richiamare la mia esortazione, che ora puo essere rifor-
mulata come segue.
Nonostante La perfetta analogia logica tra le parti sinistra e
destra di questa tavola, la parte sinistra e. filosoficamente senza
importaT'lZQ, mentre la parte destra e filosoficamente importantis-
sima (9).
Cio vool dire che Ie filosofie del significato e Ie filosofie del
linguaggio (in quanto si occupano delle parole) sono sulla strada
sbagliata. Per quanta concerne le questioni intellettuali, le sole
cose per Ie quali vale Ia pena di storzarsi sonD le teorie vere,
a Ie teorie che si avvicinano aUa verita - che in ogni caso vi si
avvicinano piu di qualche altra teoria (in concorrenza). ad esem-
pio una teo ria piu vecchia.
Questo, suppongo, 10 arnmetterebbero quasi tutti; rna sarebbe-
ro portati a fare il seguente l-agionamento. Che una teoria sia
vera, 0 nuova, 0 inteUettualmente significativa, dipende dal suo
significato; e if significato di una teoria (ammesso che sia fornm-
lata in modo grammaticalmente non ambiguo) e una fut!.zione dei
significati delle parole in cui ta teoria e formulata. (Una «funzio·
ne» e qui intesa, come in matematica, nel sensa che rende conto
dell'ordine degli argomenti).
Questa concezione del significato di una teoria sembra pres-
socht! ovvia; e largamente diffusa, e spes so e data inconsapevol-
mente per scontata (Ill). Nondimeno e difficile trovare in essa una
verita. lola coniuterei con la seguente formulazione rudimentale.
La f'elaziol1e tra una teoria (0 un'asserzione) e Ie parole usate
nella sua formula-done e per certi aspetti analoga a queUa tra le
parole seritte e Ie lettere usate per scriverle.
E' evidente che Ie lettere non hanno alcllll « significato », nel
senso jn cui Ie parole hanno " significato », sebbene dobbiamo eona-
scere Ie lettere (doe it loro « significato» in qualche a1tro sen-

24
so) se vogliamo riconDscere Ie parole, e cosl discernere il 10ro si-
gnificato. All'incirca la stessa cosa si puo dire a proposito delle
parole e delle asserzioni e delle teorie.
Le lettere giocano un molo prettamente tecnico 0 pragmatico
nella 'formulazione delle parole. A miD avviso, anche Ie parole
giocano 1lI!.. !l:1.~~o I?re~tCl!lle11.~~ .t~cnico opra~atico nella ·f9pTIu.:
lazione'iIelle teorie, ~i~le le!1ere che Ie parole. pertanto, non
sono .~he._mezzLln.Drdine.JLfini (fini differelJJi). E i soli fini intel-
lcttualmente importantLfiPno:ji··formulizione. di pro blemi; 'ilteJl~
lativo d[,£roporre -ieorie per.-1"l,solfedt. ',LI'a-"iIi'sCtlSsione critica
delle teorieJii.concol;renia.,.La-·dis·cllssione crlilCa:Y:agTIi)eTe(jrie
da provare in·· base ~t..Lo.r.o .. v.aIOl:e:~I:aZioi:iale~o.~lntellettuale come
soluziorii def probi~mapreso in, cDnsider<!-.z!Q.n.e; .~e in i:Tg!!'aI~Q~~~
lora verita, oapprossimazione al~a verita. La ver~ e i1 principale
principi() regolatJY9 nella cri~ica.A,e!J_~..!~.2..tie; ~_~l~roe iUoro po~
tere di suscitare Duovi pi6blemi e eli risolverli. (Cfr. le mie Con-
getture e confutazioni, capitolo 10):
q sono ottimi esempi dai quali si pub vedere. ehte flue. teor:.ie,
II e T 2, formulate in termini totalmente differenti (termini non
traducibili l'uno neU'altro), possono nondimeno esser~ ID~camente
equivalenti, sl che possiamo dire che 11 e T2 sona semplicemente
formulazioni differenti di li:Ilastess_a e identka ·teoria. ~ib dimo-
stra che e un errore ilconsid~rare. il « signififato » logico ill una
teoria come una funzione dei «significati» delle parole. (Per
stabilire l'equivalenza di Tl e Tl puo essere' necessaria costmire
una piil ricca teoria Tl nella quale possano essere tradotte sia
Tl che T 2• Ne sono un esempio Ie vade assiomatizzazioni della
gcometria proiettiva; ed anche i formalismi di particella e di onda
della mE:ccanica quantistica. Ia cui equivalenza pub essere stabilita
traducendoli entrambi in un linguaggio di operatori*) (11),
CertD e del tutto evidente che iI cambiamento di una parola
puo mutare radicahnente iI signijicato di \In'-assert6; proprio co-
me il cambiam.entD di una letter~.p'1,l9. mutare radicafInenieif si~
gnificato di una paroli:' equindi di una teoria::-::.- e de cibpotia
rendersi canto chiunque si interessi dell'interpretazione, diciamo,
di Parmenide. Eppure gli errori dei copisti e dei tipDgrafi, benche
possano essere fatalmente fuorvianti, il pill delle volte possono
essere corretti riflettendo suI contesto.
Chilmque abbia fatto una qualche traduzione, ed abbia ri-
flettuto su questo fattD, sa che non esiste una traduzione gram-
Inaticalmente carretta ed anche quasi Ietterale d'un qualsiasi testo
interessante. Ogni buona traduzione e un'inter pretazione del testo

* Ci si riferisce ad operatori in spazi hllbertiani .~,

25
originale; ed io mi spingerei anche fino a1 punto di dire che ogni
buona traduzione di un testa non banale deve essere una ricostru-
zione teoretica. Essa cornprendera quindi perfino un po' di corn-
mento. Ogni buona traduzione deve essere, al tempo stesso, pre-
cisa e libera. Detto per inciso, e uno sbaglio pensare che nel
tentativo di tradurre un branD di uno seritta puramente teore-
tieo Ie considerazioni estetiche non siano importanti. Basti pen-
sare ad una teoria come queUa di Newton 0 di Einstein, per ve-
dere ehe una traduzione che renda il contenuto di una teoria rna
non riesea a evidenziare eerte simmetrie interne puC> essere del
tutto insoddisfacente; al punta ehe se uno facesse solo questa
traduzione, ave scoprisse queUe simrnetrie avrebbe esattarnente
l'impressione di aver recato egli stesso un contributo originale,
di aver scoperto un teorema, anche se il teorema interessava prin-
cipalmente per ragioni estetiche. (In modo alquanta simile, una
traduziona-,m versi eli Senofane, Parmenide, Empedocle, a Lucre-
zio, e preferibile, restando immutate Ie aItre condizioni, a una
versione in prosa) (ll).
Ad ogni modo, anc.orche una traduzione possa essere cattiva
perche non sufficientemente precisa, una traduzione precisa di un
testa difficile semplicemente non esiste. E se Ie due lingue hanno
una struttura differente, certe teorie passono essere quasi intra·
ducibili (come ha dimostrato COSl bene Benjamin Lee Wharf).
Certamente, se Ie Hngue sono fra lora strettamente connesse come,
ad esempio, il greco e il latino, l'introduzione di poche parole
coniate appositaruente puo essere sufficiente a rendere possibile
una traduzione. Ma in altri casi e" possibile ehe tutto un elabo-
rata commentario prenda i1 posta della traduzione (13).
Tenendo pres~~H ,tnt~." queste cose, l'i4ea Pi . un linguaggio
preciso, 0 della prec:J_si!:)ne nel )inguaggi9,_~~mqr~ . ~~sere comple-
tamente sbagliata. Se voiessimo inserire « precisione » nella. Tavola
delle idee (v'ecli sop.r~1,~~~~.:~p:4rebl?f! nellap~rte~ sini-stra- (percM
la precisione linguisticadiun asserto dipenderebbeJ in effetti, in-,
terainente dalla precisione delle-parole usate)1Jl_ suo analogo. pella
parte destrap9trepbe essere.« certezza ». '!:!!t!.aY!!:Lnon ho inserito
queste due idee, per, il fatto che Ia mia tavola e COS! castruita che
Il~"idE£ del1a~.p'art~.,destra sono tutte valutabili: mentre sia Ia
predsione"che Ia certezza sana falsi ideali. Esse sono impossibili
da raggiunger<::, e- p,erCio sono perlcolosanlentefuorvianti se vengo-
no accettate acriticamente come guide. La .!.icerca del!a .P.r:~cj.?"i2!l!
~~':arlqJEZ"~,._'a!la ricerca della £Iez:tf~, ed"'entrambedovrebbero es-
sere ~bbandonate.
10 non dico, ovviamente, che una maggior precisione, diciamo,
di una predizione, ad anche di una formulazione, non possa talora

26
essere estremamente desiderabile. Cib che intendo dire e che e
sempre indesiderabile di fare uno sforzo per aumentare La pred-
sione in ragione della precisiol1e medesima - spedalmente della
precisione linguistica -, dato "he cib conduce generalmente a una
perdita di chiarezza, e ad uno spreco di tempo e di energie su
pre1iminari che sovente risultano essere inutili perehe superati
dano sviluppo effettivo della cosa: non si dovrebhe mai cercare di
essere piu. precisi di quanta la situazione del problema non
richieda.
Forse potrei fonnulare la mia posizione come segue. Ogni mi-
glioramento nella chiarezza h.a in se stesso w! valore intellettua-
Ie: un miglioramento nella precisione 0 esattezza ha solamente un
valore pragmo_tico come mezzo in ordine a un determinato fine -
dove il fine e generalmente un miglioramento nella provabilita 0
eriticabilita richiesta dalla situazione problematiea (ehe pub richie-
dere, ad esempio, che distinguiamo tra due teorie in concorrenza
ehe portano a predizioni che possono essere distinte solo se aumen-
tiamo la preeisione delle nostre misure) (14),
Risultera chiaro che queste idee differiscona notevolmente
da queUe sostenute implicitamente da tanti filosofi della scienza
contemporanei. II lora atteggiamento nei confronti della preei-
sione data, a mio avviso, dai tempi in cui la matematica e la fisica
crano liguardate come -Ie scienze esatte. Gli scienziati, ed anche i
filosofi di tendenza scientifica, ne furona assai impressionati. Essi
sentirono quasi come un dovere di mettersi al livello di questa
." esattezza », 0 di emularla, forse nella speranza che Ia fecondita
sarebbe emersa dall'esattezza come una specie di sottoprodotto.
Ma la fecondita e il risuItato non dell'esattezza, bensi del vedere
nuovi problemi dove prima non se ne vedevano, e del trovare
nuovi modi di risolverli.
Tuttavia rimandero Ie mie osservazioni sulla storia dena fila-
sofia contemporanea al termine di questa digressione, ed ora rI-
prendo 1a questione del significato 0 significanza di un asserto
o di una teo ria.
Tenendo presente la mia esortazione a non disputare mai sul-
Ie parole, sono ben disposto ad ammettere (can una scrollata di
spaBe, per cos! dire) ehe possono esserci significati della parola
<~ significato» come quello che il significato di una teoria dipende
lnteramente dal significato delle parole usate in una formulazione
molto esplicita della teoria. (Uno di questi e probabilmente il
« senso » <Ii Frege, anehe se malta di que} ehc egli dice pnrla con·
tro di esso). N6 nego ehe, per regola, dobbiamo capire Ie parole
perche possiamo capire una teoria (quantunque cio non sia aIfatto
vero in generale, come indica l'csistenza della dcfinizione impIi·

27
cita). l'vIa quel che reude una teoria interessante 0 significante -
do che cerchiamo di capire, se vogliamo capire una teoria - e qual-
cosa di divcrso. Per esprimere innanzitutto !'idea in un modo
puramente intuitivo, e forse al.quanto impreciso, cio che rende
interessante una teoda e 1a sua relazione logica can 1a situazione
problematica dominante: Ia sua relazione con Ie teorie prccedenti
e in concorrenza; it suo potere di risolvere i problemi esistenti e
di suggerirne dei nuovi. In aItre parole, il significato 0 significanza
di una teoda, in questo senso, dipcnde da contesti assai ampi,
benche sia ovvio che 13 signiticanza eli questi contesti dipende a
sua volta clalle vade teorie, clai vari problemi e dalle vade sHun-
zioni problematiche di cui essi constano.
E' interessante il fatto che questa idea, apparentemente vaga
(e si potrebbe dire « olistica 1», della significanza di una teoria pos-
sa essere analizzata e chiarita, in misura considerevole, in termini
puramente Iogici - col sussidio dell'idea del contenuto di lill
asserto 0 di una teoria.
Sana in usa, generalmente, due idee di contenuto, che intui-
tivamente sana assai differenti rna logicamente sono quasi identi-
che, due idee che io ho talvolta chiamate «contenuto logico» e
« conter/uto injormativo »; un caso speciale di quest'ultimo rho
anche chiamato «contenuto empirico».
Il contel1llto logico di Wl asserto 0 teoria puo essere identifi-
cato can quel1a che Tarski ha chiamata ({ classe conseguenza »;
ossia Ia classe di tutte Ie conseguenze (non-tautologiche) che pos-
sono essere tratte da un asserto 0 teoria.
Per i1 contenuto illformativo (come io l'ho chiamato) dobbia-
rno considerare l'idea intuitiva che gli assel·ti 0 teorie ci dicono
tanto pili « quanto pili proibiscono» 0 escludono (15). Questa idea
intuitiva conduce a una definizione del contenuto informativo che
ad a]cWli e parsa assurda: il contel1uto il1fonnativo di una teoria
~ l'il1sierne degli asserti che sono incompatibili con la teoria (16).
Si puc. immediatamente vedere, tuttavia, che gli elementi di
questo insieme e gli elementi del contenuto logico starmo in una
corrispondenza di Wlo-a-uno: per ogni elemento che si trova in
uno dei gruppi c'e nell'altro gruppo un elemento corrispondente,
cioe la sua negaziol1e.
Troviamo quindi che ogni volta che in una teoria cresce 0
decresce la forza logica, 0 1a potenza, a Ia quantita delI'informa-
zione, alIa stesso modo deve crescere 0 decrescere sia il suo conte-
nuto logico sia il suo contenuto informativo. Cia dimostra che Ie
due idee sona molto simili: c'e una corrispondenza di uno-a-uno
tra do che si puo dire dell'uno e cio che si puo dire dell'altro. Da
cio si vede che la mia definizione del contenuto informativo non e
del tutto assurda.
28
Ma ci sono anche differenze. Per esempio. per il contenuto
logico vale la seguente regola di transitivita: se b e un clemento
del contenuto di a. e c un elemento del contenuto di b, aHora
anche c e un elemento del contenuto di a. Benche esista. natural-
mente. una regola corrispondente per it contenuto informativo,
essa non e una sempIice regala di transitivita come questa (17).
Inoltre, il contenuto di ogni asserto (non-tautologico) - ponia-
mo una teoria t - e infinito. Si ponga, infatti, una serie infinita
di asserti a, b, C, ••. che siano a due a due contraddittori e che
individualmente non implichino t. {Per Ia maggior parte delle t.
asserti come Q.: « il numero dei pianeti eO», b: «il numero dei
pianeti e 1 ». e COS! via. sarebbero generalmente adeguati). Allora
l'asserto « t oppure a oppure entrambi » e deducibile da t. e pertan-
to appartiene al contenuto logko di t; e 10 stesso vale per b e per
qualsiasi altro asserto della serie. Dai nostri assunti su a, b, c, .. _,
si puo ora dimostrare semplicemente che nessuna coppia di asserti
della sequenza « t oppure a oppure entrambi )), « t oppure b oppw'e
entrambi ".... , e interdeducibile; doe nessuno di questi asserti ne
implica qualche altro. Quindi il contenuto logico di t deve essere
infinito.
E' ben nato, Qvviamente, questa risultato element are concer-
nente i1 contenuto logico di qualsiasi teoria non-tautologica. L'ar-
gomento e banale, proprio perche si basa su un'operazione bana]e
('01 logico (non-esclusivo) « oppure» (18); e COSt si potrebbe forse
dubitare se l'infinita del contenuto non sia del tutto una cosa
banale, dipendente puramente da quegli asserti come « t oppure a
oppure entrambi", che sonG i risultati di un metoda banale di
indebolire t. Comunque, in tennini di conteHuto informativo di-
venta immediatamente chiaro che la questione non e poi cosl ba-
nale come sembra.
Sia. infatti, la teoria in questione la teotia newtoniana della
gravitazione; chiamiamola N. AHara ogni asserto od ogni teoria
che sia incompatibile can N fara parte del contenuto informativo
di N. Chiamiamo E la teo ria della gravitazione di Einstein. Poi-
che Ie due teorie sana incompatibili. l'una appartiene al conte-
nuto informativo delI'altra; I'una esclude. 0 vieta, 0 proibisce l'aItra.
Cia dimostra, in modo assai intuitivo, che il contenuto infor-
mativo di una teoria t e infinito in un modo ben lungi dall'essere
banale: ogni teoria che sia incompatibile con t. e quindi ogni fu-
tara teoria che un giorno possa prendere il posto di t (dopo che
un esperimento cruciale, ad esempio. abbia deciso contra t). ap-
partiene evidentemente al contenuto intorma.til.lo di t. Ma e altret-
tanto evidente che noi non possiamo conoscere, 0 costruire. queste

29
teorie in anticipo: Newton non potcva prevedere Einstein 0 i sue-
cessori di Einstein.
Ora, naturalmente, e facile trovare una situazione esattamente
simile, bench6 un po' menD intuitiva, riguardo al contenuto logico:
poiche E appartiene al contenuto informativo di N, nan·E appartie-
ne al contenuto lagico di N: 11.on-E e implicato da N, un fatto che,
ovviamente, non avrebbe potuto esser nato nemmeno a Newton,
o a chiunque aItro, prima che E fosse scoperto.
Nelle ruie lezioni ho spesso descritto questa interessante situa-
zione dicendo: noi non sappiamo rnai di che cosa stiama parlando.
Tnfatti, quando proponiamo una teo ria, 0 cerchiamo di cap ire una
teoria, proponiamo al tempo stesso, 0 cerchiamo di capire, Ie sue
implicazioni logiche; vale a dire, tutti quegli asserti che da essa
conseguono. Ma questa, come abbiamo appena visto, e un'impresa
disperata: c'e un'infinita di imprevedibili asserti non banali che
appartengol1o al contenuto informativD di una teo ria, ed una esat-
tamente corrispondente infinita di asserti che appartengono a1
suo contenuto logico. Percib non possiamo mai conoscere 0 capire
tutte Ie implicazioni di una teoria, ne la sua piena significanza.
Questo, a mio avviso, e un risultato sorprendente per quanta
concerne il contenuto logico; quantunque risu1ti piuttosto natura-
le per il contenuto informativo. (Questa affermazione l'ho trovata
solo una volta in una pubblicazione (19), benche per vari anni io
vi abbia fatto riferimento neUe mie lezioni). Cio dirnostra, fra Ie
aItre cose, che il comprendere una teoria e sempre tm compito
infinito, e che Ie teorie possano, in linea di principio, essere com-
prese sempre meglia. Ma dimostra pure che, se vogliamo compren-
dere meglio una teoria, cia che dobbiamo fare innanzitutto e di
scoprire Ia sua relazione logica con quei problemi esistenti e Ie
teorie esistenti che costituiscono quell a che potremmo chiamare
la «situazione del problema» nel particolare momenta temporale.
A dire il vera, noi cerchiamo anche di guardare avanti: cer-
chiamo di scoprire nuovi problemi suscitati dalla nostra teoria.
Ma i1 compito e infinito, e non puo mai essere partato a termine.
Ne rislllta quindi che la formulazione, che preeedentemente
ho detto « meramente intuit iva, e forse un po' imprecisa », puo
essere ora ehiarita. L'infinita non bana1e del eontenuto di una
teoria, come qui l'ho descritta, trasforma la significanza di una
teoria in una questione in parte logica e in parte storica. Que-
st'ultima dipende da cio che si e scoperto, in un data tempo,
aHa luce della situazione problematica prevalente, circa il conte~
nuto della teoria; e, per dir cosl, una proiezione di questa situa-
zione storica del problema suI contcnllto logico della teoria (20).
Riepilogando, e'e almeno un significato del « significato» (0

30
« significanza ») di una teoria che 10 rende dipendente dal suo
contenuta, e quindi dipendente piu dalle sue relazioni can Ie altre
teorie che dal significato di un qualsiasi insieme di parole.

Questi, a mio avviso, SOno alcuni dei piu ilnportanti risultati


che, nel corso della mia vita, sono emersi dalla mia esortazione
anti-essenziaIista - la quaJe (u a sua volta il risultato della
discussiane descritta nella sezione 6. Un ulteriore risultato, sem-
plicissimo, e la constatazione che Ia ricerca della precisione, nelle
parole 0 nei concetti 0 nei significati, e una vana impresa. Un
concetto preciso semplicemente non esiste (poniamo nel senso di
Frege), sebbene concetti come «it prezzo di questo boUitore» e
« trcnta pence» siano general mente abbastanza precisi per i1 con-
testo del problema in cui vengono usati. (Si noti perc il fatto che
« trenta pence» e, come concetto sociale 0 economico, estremamen-
te variabile: qualche anna fa aveva una significanza differente ri-
spetto a quella che ha oggi).
L'opinione di Frege e differente; egli infatti scrive: «La defini-
zione di un concetto ... di agni soggetto deve determinare in modo
non ambiguo se cada 0 no sotto il concetto ... Per usare una meta-
fora, possiamo dire: i1 concetto deve avere un confine netto » (2').
Ma e chiaro che perch6 si possa esigere questo genere di preci.
sione assoluta da un concetto definito, la si deve prima di tutto
esigere dai concetti definenti, e in ultima analisi dai nostri ter-
mini indefiniti, 0 primitivi. Cic e pero impossibile. Infatti, i nostri
termini indefiniti 0 primitivi 0 hanno un significato tradizionale
(che non e mai molto preciso) oppure sono introdotti dalle cosid-
dette « definizioni impIicite» - vale a dire attraverso il modo in
cui vengono usati nel contesto di una teoria. Quest'ultimo modo
di introdurli - se devono essere «introdotti» - sembra essere iI
migliore. Ma cib fa dipendere il significato dei concetti da quello
della tearia, e quasi tutte Ie teorie possono essere interpretate in
piu di un modo. Ne cOn segue che i concetti definiti implicitamente,
e quindi tutti i concetti che sono definiti esplicitamente col loro
aiuto, diventano non semplicemente «vaghi », rna sistematicamente
ambigui. E Ie varie interpretazioni sistematicamente ambigue
(come i punti e Ie linee rette deUa geometria proiettiva) possono
essere compietamen.te distinte.
Cib dovrebbe essere sufficiente per stabilire iI fatto che i
concetti « non ambigui », 0 i concetti con nette linee di demar-
«(

cazione '1>, non esistono. Non dobbiamo quindi meravigliarci di


un'osservazione come quella di Clifford A. Truesdell a proposito
delle leggi della termodinamica: « Ogni fisico sa esattamente che
cos a significhi Ia prima e Ia seconda legge, rna... non si trovano due
fisici che siano d'accordo sulle medesime» (22).
31
Ora, noi sappiama ehe la scelta dei termini indefiniti e in
ampia misura arbitraria, come 10 e 1a seelta degli assiomi di una
teoria. Su questo plmto, a mio avviso, Frege era in errore, alme·
no nel 1892: credeva che ci fossero termini intrinsecamente inde-
finibili perche {( do che e logicamente semplice non puo avcre una
veTa e propria definizione » (23). Tuttavia, quel che egli intese come
un esempio di un cancetto semplice - il concetto di «concetto » -
risultb essere aifatto diverso da cia che pensava che fosse. Da
aHora esso si sviluppo in queUo di «insieme", e pochi 10 diTeb-
bero ora non ambiguo 0 semplice.
Ad ogni modo, In vana impresa (intendo dire l'interesse per
la colonna di sinistra della Tavola delle idee) e andata avanti.
Quando scrissi la mia Logik der Forschung, pensavo ehe Ia ricer-
ca dei significati delle parole stesse per finire. Ero un ottimista:
stava guadagnando d'importanza (24). 11 compito della filasafia ve-
niva 5empre piil diffusamente descritto come vertente suI signi-
ficato, e cio voleva dire. per 10 pill, i significati delle parole. E
nessuno metteva seriamente in discussione il dogma implicita'
mente accettato che il significato ill un asserto, almena nella sua
formulazione pili esplicita e non ambigua, dipende da (0 e una
funzione di) quello delle sue parole. Cia vale altrettanto per gli
analisti inglesi del linguaggio quanta per colora che seguono Car-
nap nel sostenere la tesi che il compito della filosofia consiste nella
«esplicazione dei concetti », ossia nel rendere precisi i cancetti.
Ma 110n esiste nulla di simile a una «esplicazione », 0 a un con-
cetto {( esplicato ., 0 «preciso D.
II problema, tuttavia, resta ancora: che cosa dovremmo fare
per rendere pill. chiaro il nostro significato, ave sia richiesta una
maggior chiarezza, 0 per renderlo pill. preciso, ove sia richiesta
una maggior precisione? AlIa luce della mia esortazione, Ia princi-
pale risposta a questo interrogativo e: ogni mossa per aumentare
la chiarezza 0 la precisione deve essere ad hoc 0 « graduale» (<< pie-
cemeal »). Se, per mancanza di ehiarezza, sorge un malinteso. non
cercare di gettare nuove e pill solide fondamenta su cui costruire
uno «schema concettuale» pill preciso, ma I-ifoI·mula Ie tue for-
mulazioni ad hoc, con l'intento di ovviare a questi malintesi che
sono sarti ache tu puoi prevedere. E ricorda che e impossibile
parlare in modo tale che tu non possa essere frai11teso: ci sara
sempre qualcuno che ti fraintendera. Se 5i richiede una maggior
precisione, questa e necessaria perche la esige it problema da
risolvere. Cerca semplicemente di fare del tuo rneglio per risol-
vere i tuoi prob1emi, e non tentare di rendere in anticipo pill pr~
cisi i tuoi concetti 0 Ie tue formulazioni neU'ardente speranza
che cio ti procuri un arsenale per l'usa futuro nell'affrontare

32
problemi che ancora non sono sorti. Questi possorlO non sorgere
mai: l'evoluzione della teoria puo seguire una strada diversa da
tutti i tuoi sforzi. Le anni intellcttuali neeessalie in un'epoca sue-
cessiva potranno diffelire molto da queUe che uno ha in serbo.
E' quasi certo, ad esempio, che nessuno che avesse cereata di ren-
dere pin precisa il concetto di simuHaneita si sarebbe imbattuto
nella «analisi» di Einstein prima della scoperta del problema di
Einstein (Ie asimmetrie nell'elettrodinamica dei corpi in movi-
mento). Non si dovrebbe pensare che io sottoseriva l'opinione
anear aggi comune ehe quella di Einstein fu un'impresa di "ana-
lisi operazianale ». Non 10 era. (Cfl'. a pagina 20 della mia Open
Society [1957 (h)] * ed edizioni successive, volume II).
II metoda ad hoc di affrontare i problemi della chiarezza e
della precisione man mana che se ne presenta i1 bisogno, potrebbe
essere chiamato « dialisi », al fine di distinguerlo dall'analisi: dal-
!'idea che l'analisi del linguaggio come tale possa risolvere i pro·
blemi, 0 creare un arsenale per usa futuro. La dialisi non puo
risalvere i problemi. Non puo fare niente di pili di quanta puo
fare la definizione 0 l'esplieazione a l'analisi del Iinguap:gio: i
problemi possono essere risolti esc1usivamente con l'ausilio di
llUove idee. Ma i nostri problemi possono talvolta richiedere che
facciamo nuove distinziolli - ad hoc, per 10 scopo del momento.
Questa lunga digressione (25) mi ha portato lontano dal tema
principale della mia storia, al quale ora ritorno.

8. Un anno cruciale:
marxismo; scienza e pseudoscienza

Fu durante gli ultimi terribili anni della guerra, probabilmente


nel 1917, al tempo in cui soffersi di una lunga malattia, che mi resi
conto molto chiaramcnte di eio di cui per lungo tempo ero stato
pienamente convinto: che nelle nostre famase seuale secondarie
austriache (dette «Gymnasium» e - horribile dictu - « Rea.lgym-
l1asium ») stavarno scandalosamente sprecando il nostro tempo,
quantunque i nostri insegnanti avessero una buona formazione e
cercassero can tutte Ie loro farze di fare delle scuale Ie migliori

* I richiami in parcntesi quadre, come [1957 (h)] rimiano aHa bibliografia


:,:celta in fondo a1 volume.

33
del mondo. Che molto del lorD insegnamento fosse estremamente
noioso - ore ed are di tortura disperata - non mi era nuovo. (Mi
avevano irnmunizzato: da allora non ho mai piu sofferto la noia.
A scuoIa era possibile essere scoperti se si pensava a qualcosa
che non era in rapporto con la lezione: si era costretti a stare
attenti. E cosi, in seguito, con un conferenziere noioso fu possibi-
Ie intrattenersi coi propri pensieri). C'era solo una materia in
cui avevamo un insegnante interessante e veramente ispiratore.
La materia era Ia matematica, e i1 nome dell'insegnante era Philipp
Freud (non so se fosse un parente di Sigmund Freud). Ma quando
rientrai a scuoIa, dopo una malattia durata piit di due mesi, tro-
vai che Ia mia cIasse non aveva fatto proprio nessun progresso,
nemmeno in matematica. Questa fatto mi aprl gli occhi: mi rese
impaziente di Iasciare la scuola.
11 crollo dell'impero austriaco e Ie conseguenze della Prima
Guerra Mondiale, Ia carestia, i tumulti a causa della fame a Vien-
na, e Ia rapida inflazione, sono stati descritti molte volte. Avevano
distrutto il mondo in cui era cresciuto~ ed era cominciato un
periodo di guerra civile fredda e calda che si concluse con l'inva·
sione dell'Austria da parte di Hitler, e che porto poi alIa Seconda
Guerra Mondiale. Quando la guerra fin}, io avevo gia. sup erato i
sedici anni, e la rivoluzione mi incito a mettere in atto Ia mia
rivoluzione personale. Decisi di abbandonare la scuola, suI finire
del 1918, e di studiare per conto mio. Mi iscrissi all'Universita di
Vienna dove fui, all'inizio, uno studente non-immatricolato, ch6
non avevo dato I'esame di ammissione (<< Matura »), fino a1 1922,
quando fui immatricolato come studente. Non c'erano borse di
studio, rna Ia tassa di iscrizione all'Universita era solo nominale.
Ed ogni studente poteva seguire qualsiasi corso di Iezioni.
Era un periodo di sconvolgimenti, benche non solo politici.
10 ero abbastanza vicino da sentire Ie pallottole fischiare quando,
in occasione della proclamazione della RepubbUca Austriaca, i
soldati cominciarono a sparare sui membri del Governo Provviso-
rio riuniti in cima alle scale che portano al palazzo del Parlamento.
(Questa esperienza mi indusse a scrivere un articolo sulla liberta).
C'era poco da rnangiare; e per vestire, generalmente potevamo di-
sporre soItanto delle uniformi smesse deIl'esercito, adattate ad usa
civile. Pochi di noi pensavano seriamente a una carriera - non
ce n'erano (ad eccezione, forse, che in banca; rna l'idea di una
carriera neI commercia non rni e mai passata per la testa). Noi
non studiavamo per una carriera, rna giusto per studiare. Studia-
varna; e discutevamo di politica.
C'erano tre pc.rtiti politici principali~ i socialdemocratici e
due partiti antisocialisti, cioe i nazionalisti tedeschi (allora il piu

34
piccolo fra i tre partiti principali, e che successivamente sarebbe
stato assorbito dai nazisti) e quello che in realt~ era il partito
della Chiesa Romana (l'Austria aveva una larga maggioranza di
cattoIici romani) e che si diceva «cristiano» e « sodale» (christ-
lich-sozial), benche fosse antisocialista. C'era poi il piccolo partito
comunista. 10 divenni membro dell'associazione dcgli studenti so-
cialisti delle scuole secondarie (sozialistische MittelschUler) e par-
tecipai ane lora riunioni. Partecipai anche alle riunioni degli
studenti universitari socialisti. In queste riunioni, gli ora tori erano
ora del partito socialdemocratico ora del partito comunista. Le lora
convinzioni mandste erano in quel tempo assai simili. E tutti insi-
stevano, giustamente, sugli orrori della guerra. I comunisti soste-
nevano di aver dimostrato il lora pacifismo in Russia, terminando
la guerra, a Brest-Litovsk. La pace, dicevano, era cia the per lora
eontava prima di tutto. In quel particolare momento essi non era-
no soltanto per la pace, rna, almena nella loro propaganda, anche
contro ogni violenza ('( non necessaria» (lAI). Per un certo periodo
fui diffidente nei riguardi dei comunisti, soprattutto per quello
che mi aveva detto di loro il mio arnico Arndt. Ma nella primavera
del 1919 io e poehi amici fummo convertiti dalla lora propaganda.
Per due 0 tre mesi cirea mi considerai eomWlista.
Ma ne fui presto disincantato. L'incidente che roi mise contra
it comunismo, e ehe presto mi porto lontano dal marxismo in
generale, fu uno degli avvenimenti piu import anti della mia vita.
Accadde poco prima del mio diciassettesimo coropleanno. A Vienna
partirono dei colpi durante una dirnostrazione di giovani socialisti
disannati, i quali, istigati dai comunisti, cercavano di aiutare a
fuggire aIcuni comunisti che erano in stato di arresto nell'ufficio
centrale di polizia a Vienna. Aleuni giovani operai socialisti e co-
munisti rimasero uccisi. Fui inorridito e colpito dalla brutalita della
polizia, ma anche da me stesso. Pensavo infatti che come marxi-
sta portavo parte della responsabilita della tragedia - almena in
linea di prinCipia. La teoria marxista esige che la latta di classe
venga intensificata, per affrettare l'avvento del socialismo. La
sua tesi e che, benche la rivoluzione possa richiedere aIeune vitti-
me, il eapitalismo fa ancor pill vittime dell'intera rivoluzione 50-
cialista.
Quella era Ia teoria marxista - parte del cosiddetto «sociali-
sma scientifico ». E ora io mi chiedevo se un simi.le calcolo potes-
se essere incoraggiato dalla «scienza». L'intera esperienza, e spe-
cialmente questo interrogativo, produsse in me un improvviso mu·
tamento di sentimenti, ehe dura poi tutta la vita.
11 comunismo e un credo che promette di portare a un manda
migliore. Dice di basarsi sulla conoscenza: canoseenza delle leggi

35
dcll'evoluzione storica. 10 spcravo ancora in un mando migliore,
in un moudo menD viol en to e pill giusto, rna mi domandavo se io
conoscessi veramente - se quei che io pensavo che era conoscenza
non fosse piuttosto una mera pretesa. Naturalmente avevo Jetto
un po' di Marx ed Engels - rna l'avevo capito veramente? L'avevo
esaminato criticamente, come dovrebbcro fare tutti prima di accet-
tare un credo che giustifica i propri mezzi in base a un fine piut-
tosto remoto?
10 fui scosso da! fatto di dover ammettere davanti a me stesso
che non solo avevo accettato alquanto acriticamente una teoria
complessa, rna che effettivamente avevo notato anche parecchio
di quel che v'era di sbagliato, sia nella teoria che nella prassi del
coml1l1ismo. Ma questo 10 avevo represso - in parte per lealta
verso i miei amici, in parte per lealta alIa « causa ", e in parte
perche c'e un meccanismo per cui uno viene semprc piu profonda-
mente coinvolto: una volta che si e sacrHicata la propria cosdenza
intellettuale in un punto di minore importanza, non ci si vuole
arrendere troppo facilmente; si vuol giustificare l'autosacrificio
convincendo se stessi della fondamentale banta della causa, che si
considera pili importante di qualsiasi piccolo compromesso, mo-
rale 0 intellettuale, che pub essere richiesto. Con tutti questi sacri-
.tid morali e intcllettuali uno viene sempre piu profondamente coin-
vol to. 5i giunge cosi ad essere disposti a consolidare con nuovi
investimenti i propri investimenti morali 0 intellettuali nella causa.
E' come se si volesse investire il denaro buono a sostegno di
quello falso.
Mi accorsi di come questo meccanismo aveva agito nel mia
caso e ne fui inorridito. Vidi la stessa cosa anc11e in altri, special-
mente nei miei amici comunisti. E l'esperienza mi pennise di
capire, in seguito, tante case che altrimenti non avrei capito.
Avevo accettato acriticamente, dogmaticamente, un credo pe-
ricoloso. La reazione mi rese in un primo tempo scettico; poi mi
porto a reagire, ancorche solo per brevissimo tempo, contra ogni
razionalismo. (Come pili tardi constatai, questa e una reazione ti-
pica di un marxista delusoL
A diciassctte anni ero diventato un anti-marxista. Mi era reso
canto del carattere dogmatico del credo e della sua incredibile
arroganza intel1ettuale. Era una cosa terribile auogarsi un tipo di
conoscenza secondo cui era un dovere it rischiarc la vita di altre
persone per un dogma accettato acriticamente a per un sogno che
sarcbbe potuto risultare irreali zzabile. Cia era particolarmente
brutto per un intellettuale, per uno che sapeva leggere e pcnsare.
Fu tremendamente deprimente i1 fatto d'esser caduto in una simile
trappoia.

36
Una volta che ebbi considerato Ia cosa criticamente, Ie lacune
e le scappatoie e Ie incoerenze della teoria marxista divennero
ovvie. Prendiamo iI suo punto centrale riguardo alIa violenza,
aUa dittatura del proletariato: chi era il proletariato? Lenin,
Trotsky, e gli altri leaders? I couumisti non avevano mai costituito
una maggioranza. Non avevano conquistato la maggioranza nem-
menD tra gli operai delle fabbriche. In Austria erano certamente
una piccola minoranza, e sembrava ehe fosse la stessa casa dap-
pertutto.
Mi ci voUero alcuni anni di studio prima di sentirrni in qu.al·
che modo sicuro d'aver coIto il nocciolo dell'argomento marxiano.
Esso eonsiste in una profezia storica, combinata con un appeno
implicito alIa seguente legge morale: Aiuta a provocare l'hlevita-
bile! Ma nernmeno a110ra intesi pubblieare la mia eritica a Marx,
ehe l'anti-marxisrno era in Austria aneor peggio del marxismo:
data ehe i socialdemocratici erano marxisti, l'anti-marxismo era
pressoche identico a quei movimenti autoritaristi che pili tardi
furono chiamati fascisti. Naturalmente ne parlai eoi mid amici.
Ma non fu che sedici anni piil tardi, nel 1935, che corninciai a scri-
vere suI marxismo can I'intenzione di pubblicare cia che scrivevo.
Come risultato ne uscirono fuori due libn, tra it 1935 e il 1943
- The Poverty of Historicism e The Open Society and Its Enemies.
Ma nel periodo di cui ora sto parlando (deve essere stato nel
1919 0 nel 1920) una delle case che mi disgustarono fu Ia presun-
zione inteUettuale di alcuni miei amici e colleghi studenti marxisti
che prendevano quasi per sicuro chc essi sarebbero stati i futuri
leaders della classe lavoratrice. Sapevo che non possedevano aIcuna
capacita intellettuale speciale. Tutti potevano appellarsi ad una
certa conoseenza della Ietteratura rnarxista - anche se proprio non
completa, e certamente non critica. Della vita di un lavoratore
manuaIe, la maggior parte di loro ne sapeva meno di quanta ne
sapessi io. (10, almeno, durante la guerra avevo lavorato per
alcunj mesi in un'officina). Reagii energieamente contro que-
sto atteggiamento. Mi rendevo conto che noi eravamo grandemente
privilegiati in quanto avevamo In possibilita di studiare - immeri-
tatamente, invero -, e cosi decisi di cerear di diventare un lava-
ratore manuale. Decisi pure di non cercar mai alcuna influenza
nella politica di partito.
In effetti feci vari tentativi per diventare un lavoratore ma-
nuale. II secondo tentativo falIi perc he non avevo la forza fisica
necessaria per sfondare col piccone, per giorni e giorni di seguito,
it manto di cementa delle strade. Il mio ultimo tentativo fu quello
di diventare un ebanista. Dal punto eli vista fisico non richiedeva

37
malta, rna il male era che eerte idee speculative che mi interessa-
vane interferivano nel mio lavoro.
E' forse questo il momento di dire quanta io ammirassi i la-
voratori di Vienna e illoro grande movimento - diretto dal partito
socialdemacratico -, anche se consideravo fatal mente erraneo 10
storicisrno marxista dei loro leaders socialdemocratici (27). I lea-
ders erano capaci di infondere in essi una meravigliosa fede nella
lora missione, che era niente meno, cosi credevano, che 1a libera-
zione dell'umanita. Benche i1 rnovimento socialdemocratico fosse
in ampia misura ateo (nonostante un piccolo e ammirevole gruppo
i cui membri 5i dicevano socialisti religiosi), l'intero movimento
si i5pirava a queUa che non si puo definire che come una fede
ardente, religiosa e umanitaria. Era un movimento di lavoratori
che intendevano formarsi al fine di compiere la loro « missione
storica », di emanciparsi, e COS! contribuire alla Iiberazione del-
l'umanita; e soprattutto per por fine alIa guerra. Nel loro limitato
tempo libero, tanti lavoratori, giovani e anziani, frequentavano
corsi di perfezionamento, 0 una delle « universita popolari " (Volks-
hochschulen). Presero un grande interesse non solo per Ia pro-
pria formazione, rna anche per Ia formazione dei loro figli, e per-
il miglioramento delle condizioni dei loro alloggi. Era un program-
ma ammirevole. Nella loro vita, che in certi casi mostrava forse
un pizzico di presuntuosita, sostituirono l'alpinismo aU'alcool, 1a
musica classica al swing, Ie letture serie ai gialli. Queste attivita
erano tutte paciJiche, mentre essi vivevano in un'atmosfera am·
morbata dal fascismo e dalla latente guerra civile; ed anche, di·
sgraziatamente, da reiterate e confuse minacce dei leaders dei
lavoratori di abbandonare i metodi democratici e far ricorso alIa
vioIenza - un retaggio dell'ambiguo atteggiamento di Marx ed En·
gels. Questo grande movimento e la sua tragica distruzione ad
opera del fascismo produsse una profonda impressione in alcuni
osservatori inglesi e americani (ad esempio G. E.R. Gedye) (21!).
Per diversi anni rimasi socialista, anche dopo i1 mio ripudio
del marxi5rno; e se ci fosse stato qualcosa come un socialismo
combinato can Ia liberta individuale, sard ancor oggi un sociaLi-
sta. E, infatti, non potrebbe esserci niente di megHo che vivere
una vita modesta, semplice e lib era in una societa egalitaria. Mi
ci volle un po' di tempo per riconoscere che questo non era
nient'altro ehe un sogno meraviglioso; che la liberta e piu impor-
tante dell'uguaglianza; che il tentativo di attuare l'uguaglinnza e
di pregiudizio aHa liberta; e che se va perduta la liberta, tra non
liberi llon e'l:: nemrneno uguaglianza.
L'incontro col rnarxismo fu uno dei principali eventi del mio
sviluppo intellettuale. Mi insegno tante di queUe lezioni che non

38
ho mai piil dirnenticato. Mi insegnb la sapienza del detto socratico:
([ 10 so di non sapere ». Mi rese fallibilista, e impresse in me il
val ore della modestia intellettuale. E mi feee sommamente consa-
pevole delle difIerenze esistenti tra pensiero dogmatico e pensiero
critico.
Paragonato a questa incontro, i1 tipo alquanto simile dei miei
incontri can la « psicologia individuale l> di Alfred Adler e con la
psicoanalisi freudiana - che avvennero piu 0 men a conternparanea-
mente (tutto cio accadde nel 1919) - fu di minare importanza (29).
Considerando quell'anna retrospettivamente, mi stupisce che
in COSl breve tempo possano accadere tante cose nell'evoluziane
intellettuale di una persona. Nel medesimo tempo, infatti, studiai
Einstein; e questi esercitb l'infIuenza dominante suI mio pensiero
- a lungo andare, forse, l'influenza piu importante di tutte. NeI
maggio del 1919, Ie predizioni delI'eclisse da parte di Einstein
furano provate con successo da due spedizioni britanniche. Con
queste prove venne improvvisamente ana ribalta una nuova teoria
della gravitazione e una nuova cosmologia, e non solo come una
mera possibilita, rna come un reale miglioramento rispetto a New-
ton - una maggiore approssimazione alIa venta.
Einstein tenne una conferenza a Vienna, alIa quale io fui
presel1te; rna ricorda solo che ero sbalordito. Questa cosa an-
dava assolutamente altre Ia mia comprensione. 10 era cresciuto
in un'atmosfera in cui Ia meccanica di Newton e l'elettrodinamica
di Maxwell erano accettate franco a fianco come verita indubita-
bili. Perfino Mach, nella sua Scienza della meccanica, in cui aveva
criticato la teo ria newtoniana della spazio assoluto e del tempo
assoluto, aveva tuttavia mantenuto Ie leggi di Newton - inc1usa
)a legge dell'inerzia, della quale aveva dato una nuova e afi'asci-
nante interpretazione. E quantunque prendesse in considerazione
la possibilita di una teoria non-newtoniana, pensava che prima di
poterla avviare si sarebbero dovute attendere nuove esperienze;
che sarebbero patute giungere, forse, da nuove conoscenze fisiche
o astronomiche sulle regioni dello spazio in cui sono presenti
movimenti piu celeri e piu complessi di queUi che si possono
avere nel nostro sistema solare (30). Nemmeno la meccanica hert-
ziana deviava, eccetto che nella sua presentazione, da queUa di
Newton.
II generale riconascimento della verita della teoria newtonia-
na era ovviamente il risultato dell'incredibile successo della me-
desima, culmina to nella scoperta del pianeta Nettuno. II successo
fu COS} impressionante perche (come 10 ho precisato in seguito)
la teoria di Newton corresse ripetutamente il materiale empirico
che si proponeva di spiegare (Jl). Eppure, a dispetto di tutto cio

39
Einstein riuscl a produrre un'alternativa reale e, sembrava, una
teoria migliore, senza attendere nuove esperienze. Come 10 stesso
Newton, anch'egh predisse nuovi effetti nell'ambito (ed anche
fuori) del nostro sistema solare. Ed alcune di queste predizioni,
messe alla prova, si erano ora dimostrate esatte.
Fui fortunato per essere stato introdotto a queste idee da
un giovane e brillante studente di matematica, Max Eistein, un
arnico che morl nel 1922 a ventuno anni di eta. Egli non era un
positivista (come era Einstein in que} tempo, e negli anni a
venire), e metteva quindi in risalto gli aspetti oggettivi della teo-
ria di Einstein: l'approecio della teoria del campo; l'elettrodina-
mica e la meecanica e il loro nuovo legame; e 1a meravigliosa
idea di una nuova cosmologia - un universo finito, rna illirnitato.
EgJi richiamo la mia attenzione suI faUo che 10 stesso Einstein
considerava corne uno dei principali argomenti in favore della sua
teoria il fatto che questa ammettesse 1a teoria di Newton come
un'approssimazione molto buona; e inoltre che Einstein, benche
convinto che la sua teona fosse un'approssimazione migliore
rispetto a quella di Newton, riteneva tuttavia Ia sua teoria sempli-
cemente corne un passo in avanti verso una teoria aneor pill gene-
rale; e aneora, che Hermann Weyl aveva gia pubblicato, aneor
prima delle osservazioni dell'eclisse, un libro (Raum, Zeit, Materie,
1918) in cui si proponeva una teoria pili generale e comprensiva di
quella di Einstein.
Non v'e dubbio che Einstein avesse in mente tutto questa, e
specialmente la propria teo ria, quando scrisse in un altro conte-
sto: «Una teoIia fisica non puo avere destino migliore che quello
di dover segnare il cammino per una teoria pill comprensiva, nella
quale continui a vivere come un caso limite» (32). Ma que1 che pili
mi impressiono fu la chiara affermazione di Einstein ehe avrebbe
considerato la sua teoria insostenibile ave avesse dovuto fallire
in certe prove. Cosl scrisse, ad esempio: «Se non dovesse esiste-
re 10 spostamento verso il rosso delle linee spettrali davute al po-
tenziale gravitaziona1e, 1a teoria generale della relativita sarebbe
aHora insosteni bile» (33).
Qui c'era un atteggiamento completamente differente dall'at-
teggiamento dogmatico ill Marx, Freud, Adler, e quello ancor pill
dogmatico dei lora seguaci. Einstein era aHa ricerca di esperi-
menti cruciali, il cui accordo con Ie sue predizioni avrebbe sen-
z'altro corroborato la sua teoria; mentre un disaccardo, come fu
egli stesso a ribadire, avrebbe dimostrato che 1a sua tearia era
insostenibile.
Sentivo che era questo iI vero atteggiamento scientifico. Era
completamente differente dall'atteggiamento dogmatico, che con-

40
tinuamente affermava di trovare «veriftcazioni» delle sue teorie
preferite.
Giunsi COSl, suI finire del 1919, aUa conclusione che l'atteg-
giamento scientifico era l'atteggiamento cIitico, che non andava
in cerea di verificazioni, rna bensl di prove cruciaU; prove che
avrebbero potuto confutare Ia teOlia messa alIa prova, pur non
potendola mai confermare definitivamcnte.

9. I primi studi

Benche gIi anni immediatamente successivi alIa prima Guerra


Mondiale fossero duri per quasi tutti i miei amici ed anche per
me, fu tuttavia un periodo esilarante. Non cbe fossimo fetid.
Quasi tutti eravamo senza prospettive e senza progetti. Vivevamo
in un paese poverissimo, nel quale Ia guerra civile era un faUo
endemico, che di quando jn quando espiodeva suI serio. Sovente
eravamo depressi, scoraggiati, disgustati. Ma imparavamo, Ie no-
stre menti erano attive e maturavano. Leggevamo voracemente,
eravamo onnivori; discutevamo, mutavamo Ie nostre opinioni, stu-
diavamo, vagliavamo criticamente, pensavamo_ Ascoltavamo mu-
sica, andavamo in giro per Ie meravigliose montagne austriache,
e sognavamo Wl mondo migliore, piu sano, piu semplice, e piiI
onesto.
Durante l'inverno 1919-1920, lasciai casa mia per andare a
vivere in una parte abbandonata di un ex ospedale militare che
gli studenti avevano trasformato in una casa della studente estre-
mamente primitiva. Volevo essere indipendente, e cercavo di non
essere di peso a mio padre, il quale aveva gia passato i sessanta
ed aveva perdu to tutti i suoi risparrni in seguito aHa rapida in-
flazione che ci fu dopa Ia guerra. I miei genitori avrebbero prefe·
rito cbe ia fossi rimasto a casa.
Per un certo tempo lavarai gratuitamente pres so la clinica
di arientamenta per bambini di Alfred Adler, e nella stessa tempo
facevo anche altri lavod occasionali per i quali generalmcnte non
venivo pagato. In qualcbe caso si trattava di lavori pes anti (co-
struzione di strade). Ma dava anche lezioni private ad a1cuni stu-
denti universitari americani, i quaU erano assai generosi. Avevo
bisogna di poche case: non c'era molto da mangiare, ed ia non
fumavo e non bevevo. Le sole case necessarie che talvo11a mi era

41
difficile procurarmi erano i biglietti per i concerti. Anche se il
prezzo dei biglietti era basso (se ci si contentava dei posti in
piedi), per diversi anni questa fu una spesa quasi giornaliera.
All'Universita scelsi corsi di lezioni in vade materie: storia,
letteratura, psicologia, filosofia, e pertino lezioni della facolta di
medicina. Ma presto smisi di frequentare Ie lezioni, eccettuate
queUe di matematica e di fisica teorica. L'UniversiHt aveva, in
quel tempo, docenti eli primissirno piano, rna 1a lettura dei lora
libri costituiva un'esperienza incomparabilmente maggiore che
l'ascoltare Ie lora lezioni (i seminari erano solamcnte per gli stu·
denti pill avanti negli anni). Io eorninciai ad aprirrni la strada
attraverso la Critica della ragion pura e j Prolegomeni.
Solo it dipartimento di matematica offriva in realta lezioni
affascinanti. I professori erano, in que! tempo, Wirtinger, Furt-
wangler, e Hans Hahn. Tutti e tre erano matematici creathri. di
fama mondiale. Wirtinger, che Ie voci che cireolavano nell'ambito
del dipartimento davano come il massimo genio fra i tre, 10 trovai
difficile da seguire. Furtwangler era meraviglioso per la sua chia-
rezza e Ia padronanza della materia (algebra, teoria dei numeri).
Ma di piu imparai da Hans Hahn. Le sue lezioni toceavano un
Uvello di perfezione che io non ho mai pill incontrato. Ogni Ie-
zione era un'opera d'arte: drammatica nella struttura logica; non
una parola di troppo; chiarezza perfetta; ed era presentata in
un linguaggio bello e eoIto. L'argomento, e talvolta i problemi
discussi, era introdotto da uno stimolante profilo storieo. Tutto
era vivo, sebbene un po' freddo a causa della sua estrema
perfezione.
C'era anche il docente Helly che insegnava Ia teona della
probabilita e dal quale io udii per Ia prima volta il nome di
Richard von Mises. Piu tardi venne, per un breve periodo, un
giovanissimo e affascinante profess ore tedesco, Kurt Reidemeister;
io frequentai Ie sue lezioni di algebra tensoriale. Tutti questi
uomini - ad eccezione, forse, di Reidemeister, il Quale non era
contrario aIle interruzioni - erano dei semidei. Erano infinita-
mente fuori dalla nostra portata. Non v'era contatto alcuno tra
professori e studenti che non si fossero gia qualificati per una
dissertazione per il dottorato in filosofia (Ph. D.). Ed io non
avevo la minima ambizione ne una prospettiva di fare Ia lora
conoscenza. Non mi sarei mai aspettato di dover conoscere per-
sonalmente. pill tardi, Hahn, HeIly, von Mises e Hans Thirring.
il quale insegnava fisica teorica.
Studiai matematica semplicemente perehe volevo imparare, e
pensavo che nella matematica avrei imparato qualcosa sugli stan·
dards di verita; ed anche perche mi. jnteressava 1a fisica teo rica.
La P1atematica era una materia vastissima e difficile, e se mai
42
avessi pensato di diventare un matematico di profession!", mi sarei
potuto ben presto scoraggiare. Ma non avevo questa ambizione.
Se pensavo ad un futuro, sognavo di pater un giorno fondare una
seuoia in cui i ragazzi a vessero potuto apprendere senza annoiarsi,
e fossero stimolati a porre dei problemi e a discuterli; una seuoia
in cui non si dovessero sentire risposte non sollecitate a domande
non poste; in cui non si dovesse studiare al fine di superare gli
esami.
Conseguii il mio «Matura» * nel 1922, come privatista, un
anna dopo di quel che avrei dovuto, se avessi continuato a seuola.
Ma l'esperimento aveva ben valso l'anno ~ perduto ». Ora venivo
immatricolato a pieno titolo come studente universitario. Due anni
pill tardi superai un secondo «Matura» in un istituto di forma-
zione per insegnanti, ehe mi abilito all'insegnamento nelle scuole
primarie. Sostenni questo esame mentre facevo l'apprendista
per diventare un ebanista. Successivamente aggiunsi Ie abilita·
zioni per I'insegnamento della matematica, della fisica e della chi-
mica nelle scuolc secondarie. Non c'erano pero posti disponibili
per ins egnanti , e una volta concluso i1 mio apprendistato come
ebanista, divenni, come ho gia ricordato, assistente sodale (Hort-
erzieher) per i bambini abbandonati.
Proprio all'inizio di questo periodo sviluppai ulteriormente Ie
mie idee a proposito della demarcazione tra Ie teorie scientifiche
(come quell a di Einstein) e Ie teorie pseudoscientifiche (come
queUe di Marx, Freud e Adler). Mi divenne chiaro che cio ehe
rende scientifica una teoria, 0 un asserto, e il suo potere di scar-
tare, 0 di escludere, il verificarsi di certi eventi possibiU - di
proibire, 0 vietare, il verificarsi di questi eventi. Pertanto, piil. una
te01'ia proibisce, e piit ci dice (34).
Benehe questa idea sia strettarnente rapportata a quella del
«( contenuto informativo» di una teoria e contenga in nuce questa

ultima, in quel tempo non la sviluppai oltre questa punta. Tutta-


via mi interessava molto il problema del pensiero dogmatico e del·
la SHa relazione col pensiero critico. Cia che in particolar modo
mi interessava era l'idea che it pensiero dogmatico, che io coo-
sideravo prescientifico, fosse una fase necessaria perche divenisse
possibile iI pensiero critico. II pensiero critico deve avere dinanzi
a se quaIcosa da critic are, e cio deve essere, pensavo, il risultato
del pensiero dogmatico.
Diro qui ancora poche parole suI problema della demarcazione
e sulla mia soluzione.
1. Cos!. come 10 affrontai all'inizio, it problema della demar-

• Corrisponde aI nostro «esamc di maturita» (N.d.T.).

43
cazione non era i1 problema dt demarcare la scienza dalIa rneta-
fisica, rna piuttosto il problema di demarcare Ia scienza dalla
pseudoscienza. In quel tempo non mi interessava afiatto Ia meta-
fisica. Fu 50]0 pill tardi che estesi alla metafisica il mio «criterio
di demarcazione )}.
2. Era questa, neI 1919, la mia idea principale. Se uno pro·
pone una teo ria scientifica, deve eSsere in grado di rispondere,
come fece Einstein, alIa domanda: ,< Sotto quali condizioni dovrei
ammettere che la mia teoria e insostenibile?)}. In altre parole,
quali fatti concepibiIi accetterei come confutazioni, a falsificazia-
ni, della mia teoria?
3. Era stato colpito dal fatto che i marxisti (Ia cui afferma-
zione ce.ntrale era quella di essere scienziati sociali) e gli psico·
ana1isti di tutte Ie scuole potevano interpretare qualsiasi evento
immaginabile come una verificazione delle loro teorie. Cio mi
porto, unitamente al mio criteria di demarcazione, all'idea che
dovevano eontare eome «verificazioni» sol tanto quelle confuta-
zioni tentate che non fossero risultate qua confutazioni.
4. Sono aneora della stesso parere per quanta eoncerne (2).
Ma aHorquando, un po' pill tardi, introdussi a titolo di prova l'idea
della fals{cabilita (0 controllabilita 0 confutabilita) di una teoria
come criterio di clenzarcazione, ben presto mi accorsi che qual-
siasi teoria puo essere « immunizzata» (questo termine azzeccato
e dovuto a Hans Albert) (lS) contro Ia critica. Se ammettiamo
questa immunizzazione, ogni teoria diventa aHora infalsificabile.
Pertanto dobbiamo escludere almena qualche immunizzazione.
D'altro canto, mi resi anche conto che noi non dobbiamo
escludere tutle Ie immunizzazioni. e nemmeno tutte queUe che
introducono ipotesi ausiliarie ad hoc. L'osservazione del mota di
Urano, ad esempio, avrebbe potuto essere considerata come una
falsificazione della tCOlia di Newton. Pu percio introdotta ad hoc
l'ipotesi ausilial"ia di un pianeta pili lontano, immunizzando in
tal modo 1a teoria. Questa 5i rivelo una soIuzione felice, che
l'ipotesi ausiliaria era controllabile, auche se difficile a con·
tro11arsi, e supero Ie prove can successo.
TuUo cia dimostra non solo che un certo grado di dogrnatismo
e fec.ondo, anche nella scienza, rna c.he inoltre, Iogicamente par-
lando, la falsicabilita, 0 controUabilita, non puo essere considerata
come un criterio decisamente netto. Pill tardio nella mia Logik der
ForschuHg, mi occupai di questo problema in tutta la sua am-
piena. Introdussi i gmdi di controilabilitil, e questi risultarono
essere strettamente connessi a1 contenuto (ai gradi del contenuto),
e sorprendenternente fecondi: I'incremento del contenuto divenne

44
iI criterio in base al quale giudicare se dobbiamo 0 no tentare di
adottare un'ipotesi ausiliaria.
Nonostante che tuuo questo fosse chiaramente afl'ermato nel-
la mia Logik der Forschung del 1934, sulle mie idee si propaga-
rono un mucchio di leggende (36). Prima di tutto, che avevo in-
trodotto la falsicabilita come un criterio di significato invece che
come un criterio di demarcazione. In secondo luogo, che non
avevo visto che l'immunizzazione era sempre possibile, e che avevo
quindi trascurato il fauo che, siccome tutte Ie teorie possono es-
sere sottratte alla falsificazione, nessuna pub essere semplice.
mente descritta come «faisificabile ». In aItre parole, stando a
queste leggende, i miei risultati si erano trasformati in ragioni per
respingere il mio approccio (l').
5. Per fare una specie di riepilogo, potra. essere utile rno-
strare, con l'aiuto eli esempi, quanta siano vari i tipi di sistemi
teorici connessi alIa controllabilita (0 falsificabiIita) e ai metodi
di immunizzazione.

(a) Ci sono teorie metafisiche di carattere puramente esi-


stenziale (discusse specialmente in Congetture e confutazioni) (38).
(b) Ci sono teorie c.ome Ie te.orie psicoanalitiche di Freud,
Adler e Jung, 0 come Ie cognizioni astrologiche (abbastanza
vaghe) P!/).
(c) Ci sana queUe che si potrebbero chiamare teorie «non-
sofisticate », come «Tutti i cigni sono bianchi II- 0 Ia teoria geo-
centrica « Tutti gli astri ad eccezione dei pianeti hanna un mota
eirc.alare D_ Possono essere qui incluse Ie leggi di Keplero (benche
sotto diversi aspetti siano estremarnente sofisticate). Queste teorie
sono falsificabili, benche Ie falsificazioni possano ovviamen te essere
eluse: l'immunizzazione e sempre possi6ile. Ma l'eluderle sarcbbe
generalmente disonesto: consisterebbe, cioe, nel negare che un
cigno nero sia un cigno, ache sia nero; 0 che un pianeta non-
kepleriano sia un pianeta.
(d) E' interessante il caso del marxismo. Come rilevai nella
mia Open Society (40), la teoria di Marx si pub considerare confu-
tata dal corso degli eventi accaduti durante Ia Rivoluzione Rus-
sa. Per Marx, i cambiamenti rivoluzionari cominciano alIa base; vale
a dire: i mezzi di produzione cambiano per primi, poi cambiano
le condizioni sociali della produzione, quindi il potere politico, e
infine Ie credenze ideologiche, che sono Ie ultime a cambiare. Ma
nella RivoIU7jone Russa il primo a cambiare fu il potere politiCO,
e quindi l'ideologia (dittatura pia elettrificazione) comincib a
cambiare Ie condizioni sociali e i mezzi di produzione dall'alto.
Per eludere questa falsificazione, 1a reinterpretazione della teoria
marxiana della rivoluzione immunizzo la medesima contra ulte-
riori attacchi trasfonnandola nella teoria marxista volgare (0 so-

45
cioanali.tica) I che ci dice che il «motivo economico). e 1a latta di
classe pervade la vita sociale.
(e) Ci sono teorie pili astratte, come Ie teorie della gravita-
zione di Newton a di Einstein. Queste sana falsificabili - se non
si rilevano, ad esempio, Ie perturbazioni predette, 0 forse da un
esito negativo degli esami coi radar che prendano il posto delle
osservazioni delle eclissi solari. Ma nel lora caso una falsificazione
prima facie puo essere elusa, non solo con immunizzazioni prive
d'interesse, rna anche, come nel tipo del caso Urano-Nettuno, con
l'introduzione di ipotesi ausiliarie controllabili, s1 che il contenuto
empirico del sistema - che consta della teoria originaria pill Ie·
ipotesi ausiliarie - sia maggiore rispetto a quello del sistema origi-
nario. Cia 10 possiamo considerare come un aumento del contenuto
informativo - come un caso di crescita nella nostra conoscenza.
Naturalmente ci sono anche ipotesi ausiliarie che sono semplice-
mente delle mosse di immunizzazione elusive. Esse riducono il
contenuto. Tutto do suggerisce 1a regola mctodologica di non to1-
Ie rare alcuna manovra che dduca il contenuto (0 io « slittamcnto-
di-problema regressivo» [« degenerating problem shifts,,] nellaI

terminologia di lmre Lakatos) (41).


)<: ,.'- '. \
'", i_.

10. Una seconda digressione: pensiero dogmatico


e pensiero critico; apprendimento senza induzione

Konrad Lorenz e l'autore di una teoria meravigliosa, nel cam·


po della psicologia animale, ebe egli ehiama «imprinting ». Essa
dice che i giovani animali hanna un meccanisrno innato per arri·
vare a conclusioni incrollabili. Per esempio, un papero appena
nato adotta come sua «madre» i1 primo oggetto in rnovimento
ehe gli capita davanti agli occhi. Questa meccanismo eben ade-
guato alle circostanze normali, benche un po' riscbioso per il
papero (puo essere rischioso anehe per n genitore adottivo seelio,
come ci insegna Lorenz). Ma in cireostanze normali e un mecca-
nisrno ebe ba successo; ed anche in eerte circostanze che non sono
proprio normali.
Per quanto concerne l'« imprinting» di Lorenz, sana impor-
tanti i seguenti punti:

1. Esso e un proeesso - non l'unico - ill apprendimento per


osservazione.
2. II problema risolto sotto 10 stimolo dell'osservazione e in-

46
nato; i1 papero, cioe, e geneticamente condizionato a guardar fuori
in cerca della madre; si aspetta di vedere Ia propria madre.
3. Anche Ia teoria 0 aspettazione che risolve i1 problema e,
in una certa misura, innata, 0 geneticamente condizionata: essa
va ben oItre l'osservazione reale, che non fa altro (per cosl dire)
che avviare 0 far scattare I'adozione di una teoria che e gia in larga
misura preformata nell'organismo.
4. II processo di apprendimento e non-ripetitivo, benche pos-
sa richiedere un certo periodo di tempo (un breve periodo) (42),
e benche possa comportare spesso una qualche attivita 0 « sforza )}
normale da parte deU'organismo; e quindi possibiIe che esso impJi-
chi una situazione non troppo lontana da queUa che si incontra nor-
malmente. Di questi processi di apprendimento non-ripetitivi diro
che sonG «non-induttivi », assumendo Ia ripetizione come Ia ca-
ratteristica dell'« induzione ». (La teoria dell'apprendimento non-
ripetitivo puo essere descritta come selettiva 0 darwiniana, men-
tre la teoria dell'apprendimento induttivo a ripetitivo e una teori8
di apprendimento istruttivo; e una teoria lamarckiana). Questa,
naturalmente, riguarda semplicemente la terminologja: se tutti
dovessera insistere nel chiamare imprinting un processo indut-
tivo, a me non restel'ebbe a11ro da fare che cambiare 1a mia
terminologia.
5. L'osservazione, da parte sua, ha semplicemente una ftm-
zione allaloga a quella di girare una chiave nel buco della serra-
tura. II suo ruolo e importante, rna il risultato estrernamente com-
plesso e quasi interamente preforrnato.
6. L'impl'inting e un processo di apprendimento irreversibile;
esso, cioe, non e soggetto a correzione 0 a revisione.

Nel 1922, naturalmente, non sapevo nulla delle teorie di Kon-


rad Lorenz (benche da ragazzo 10 avessi conosciuto in Altenberg,
dove avevarno in comune amici intirni). Usero qui 1a teoria del-
I'imprinting semplicemente come un mezzo per spiegare Ia mia
congettura, che era simile rna tuttavia differente. La mia con-
gettura non riguardava gli animali (ancorche io avessi sublto Ia
influenza di C. Lloyd Morgan ed anear pill di H. S. Jennings) (43),
rna bensl Ie persone umane, specialmente i bambini piccoli. Era
Ia seguente.
Quasi tutti (0 farse tutti) i processi di apprendimento con-
sistono nella formazione di teorie; vale a dire, nella formazione
di aspettazioni. La formazione di una teoria 0 congettura ha
sempre una fase «dogmatica », e spesso una fase "critica ».
Questa fase dogmatica condivide, con l'imprinting, Ie caratteristi-
che daUa (2) aHa (4), e talvolta anche la (1) e la (5), rna normal-
mente non condivide la (6). La fase critica consiste nell'abban-
dono della teoria dogmatica satta la spinta delle aspettazioni de-
luse 0 delle confutazioni, e nel sottoporre a dura prova altri

47
dogmi. Notai che il dogma era talvolta COS! fortemente radicato
che non c'era delusione che potesse scuoterlo. E' chiaro che in
questo caso - benche solo in questo caso - la formazione della
teoda dogmatica si avvicina molto all 'imprinting, di cui (6) e
caratteristico (44). Ero tuttavia incline a considerare (6) come
una specie di aberrazione neurotica (quantunque Ie neurosi non
mi interessassero tanto; era Ia psicologia della scoperta che stavo
cercando di capire). Questa atteggiamento nei confronti di (6)
sta a dimostrare che quel che avevo in mente era differente dal-
l'imprinting. quantunque fosse probabilmente connesso con questo.
Consideravo questo metoda della formazione della teoria come
un metodo di apprendimento per prova cd errore. Ma quando
chiamavo «tentativo J) trial»], Ia formazione di un dogma teo-
[({

retieo, nOll intettdevo un tentativo a caso.


Presenta un certo interesse il considerare il problema della
casualita (0 meno) dei tentativi in un procedimento per prove cd
errori. Prendiamo un semplice esempio aritmetico: la divisione
per un numero (poniamo 74856), di cui non sappiamo a memoria la
tavola pitagorica, generalmente e data per prove ed errori; rna
cio non significa che questi tentativi sono casuali, che noi cono-
sciamo Ia tavola pitagorica del 7 edell'S (45). Naturalmente po-
tremmo programmare un computer per dividere con un metodo
che scelga a caso uno dei dieci digits 0, 1,,,. 9. come un tenta-
tivo e. in caso di errore, uno degLi altri nove (essendo stato escluso
il digit errata) col medesimo proccdimento aleatorio. Ma e ovvio
che do sarebbe inferiore rispetto a un procedimento sistematico:
come minima dovremmo far S1 che il computer indichi se il primo
tentativo era in errore perche il digit seelto era trappo piccolo
o perehe era troppo grande, riducendo COS1 la gamma dei digits
per Ia seconda sceJta.
In questa esempio, I'idea dena casualita e applicabile. in linea
di principio, perche ad ogni passo della hmga divisione si ha una
scelta da fare fra un insieme ben definito di possibilita (i digits).
Ma in quasi tutti gli esempi zoologici di apprendimento per prove
cd errori la gamma 0 l'insieme delle reazioni possibili (dei movi-
menti di qualsiasi grado di complessita) non e data in anticipo;
e poiche non conosciamo gli elementi di questa gamma, non
possiamo nemmeno attribuir lora Ie probabiIita. come dovremmo
fare ove volessimo pm'lare di casualita in un senso pin chiaro.
Dobbiamo quindi respingere !'idea che i1 metodo per prove ed
errori operi in generale. 0 normal mente. con tentativi che siano ca-
suali. quantunque possiamo, con 1ma certa ingenuita. costruire
condizioni estremamente artificiali (come i labirinti per i ratti)
aIle quali puo essere applicata I'idea della casllalita. Ma la sua

48
mera applicabilita non stabilisce, ovviamente, che i tentativi siano
effettivamente casuali: il nostro computer pua adottare con pro-
fitto un metodo pili sistematico per la scelta dei digits; ed anehe
un ratto che percorre un labirinto puo agire in base a princlpi che
non siano casuali.
D'altro canto, pero, in tutti i easi in cui il metoda per prove
ed errori viene applicato aDa soIuzione di lID problema come il
problema dell'adattamento (ad un labirinto, poniamo), i tentativi
non sono di regola determinati, 0 non sana complctamente de-
tenninati, dal problema; ne possono anticiparne la soIuzione (sco-
nosciuta) se non per coincidenza fortuita. Nella terminologia di
D. T. Campbell, possiamo dire che i tentativi devono essere ({ cie-
chi}) (forse io preferirei dire che devono essere «cieehi alIa so-
luzione del problema ») (46). Non e in base al tentativo, rna solo
in base al metoda critico, al metodo dell'eliminazione dell 'errore,
che noi troviamo, dopo il tentativo - che corrisponde al dogma -,
se il tentativo era 0 non era una supposizione indovinata; cioe se
aveva abbastanza successo nella soluzione del problema, evitando
di essere eliminato per l'avvenire.
Ma non sempre i tentativi sono del tutto ciechi alle richieste
del problema: spesso e il problema che determina Ia gamma
entro la quale devono essere scelti i tentativi (come la gamma
dei digits). Cia eben descritto da David Katz: « Un animale affa·
mato divide I'ambiente in cose mangiabili e in cose immangia-
hili. Un animale in fuga vede vie di seampo e nascondigli» (47).
Inoltre, con i tentativi successivi, il problema puo in qualche modo
cambiare; I'ambito, ad esempio. puo restringersi. Ma possono darsi
anche easi del tutto difIerenti, specialmente a livello umana; casi
in cui tutto dipende dalla capacita di passare i limiti della gamma
assunta. Questi casi stanno a dimostrare come la stessa scelta de]Ja
gamma puo essere casuale (una congettura inconscia). e che il
pensiero critico puo consistere non solo nella ripulsa di un ten-
tativo 0 di una congettura particalare, rna anche nel riliuta di
cio ehe pua essere descritto come una pili profonda congettura
- l'assunzione della gamma di « tutti i tentativi possibili ». E' que-
sto, a mia avviso, che aceade in tanti casi di pensiero « creativo ».
Cia che caratterizza il pensiero creativo, oItre all'intensita del-
l'interesse per i1 problema, mi par che sia spesso la capacita di
passare i limiti della gamma - 0 di mutare la gamma - entro
la quale sceglie i propri tentativi un pensatore menD creativo.
Questa capacita, che e chiaramente una capacita critica, puo
essere descritta come immaginazione critica, Sovente e il risultato
di uno scontro culturale. cioe di un conflitto fra idee, 0 contesti

49
di idee. Questo scontro puo aiutarci a superare i limiti ordinari
della nostra immaginazione.
Osservazioni come questa, tuttavia, difficilmente risuitereb-
bero soddisfacenti per quanti vanno in cerea di una teoria psicolo-
gica del pensiero creativo, e specialmente della scopcrta scienti-
fica. Quel che essi cercano, infatti, e una teoria del pensiero che
ha successo.
10 ritengo che Ia richiesta di una teoria del pensicro che
ha SlICCCSSO non possa essere soddisfatta, e che essa non sia iden-
tica alla richiesta di llna teoria del pensiero creativo. II successo
dipende da tante cose - ad esempio dalla fortuna. PUD dipendere
dal fatto che ci si e imbattuti in un problema promettente. Di-
pende dal non essere anticipati. Dipende da cose come una fe-
lice divisione del tempo tra il cercare di mantenersi aggiornati
e i1 concentrarsi sull'elaborazione delle proprie idee.
A me sembra perD che do che e essenziale a1 pensiero "crea-
tivo" 0 « inventivo» e una combinazionc di un interesse intenso
per un problema (e quindi una disponibilita a tentare continua-
mente) con un pensiero altamente eritico; con una disposizione
ad attaccare perfino qllei presupposti che per il pensicro menu
eritico definiscono i limiti della gamma entro 1a quale vengono
seelti i tentativi (Ie eongetture); con una liberta immaginativa che
ci permetta di vedere fonti di errore fin qui insospettate: possibili
pregiudizi che richiedono un esame eritico.
(E' mia opinione che la maggior parte delle ricer-ehe nelI'ambito
della psicologia del pensiero creativo siano gcncraimente piuttosto
sterBi - ovvero piu logiche che psicologiche. II pcnsiero eritico,
infatti, 0 la eliminazione degli errori, puo essere megHo caratte-
rizzato in termini ]ogid che in termini psicologid).
Un « tentativo », dunque, 0 un « dogma» di nuova formazione
o una nllova « aspcttazione » e di massima il risultato di bisogni in-
nati chc danne origine a problemi specifici. Ma e anche il risultato
del bisogno innato di form are delle aspettazioni (in eerti campi spe-
cHid, ehe a loro volta sono connessi con altri bisogni); e cio puo
essere in parte anche il risultato di precedenti aspettazioni de-
luse. 10 non ncgo, ovviamente, che nella formazione dei tentativi
o dogmi possa esse, presente anche un elemento di ingegnosita
personale, ma penso che l'ingegnosita c l'immaginazionc espli-
chino 1a loro parte principale nel processo critico di eliminazione
degli errori. La gran parte delle grandi teoric, che sono fra Ie
supreme conquiste della mente umana, sono generalmente il frutto
di precedenti dogmi, con in piu In critica.
n fatte che mi divenne innanzitutto chiaro, in rapporto aUa
formazione-dei-dogmi, fu che i bamhini - speciahnentc i bambini
piccoli - avevano urgente bisogno di pater scoprirc intorno a se
so
delle regolarita; c'era un bisogno innato non solo di cibo e di esse-
re amati, rna anche di poter scoprire neB'ambiente invarianti strut-
turali (Ie «case» son a fra queste invarianti scopribili), di una
routine costante, di aspettazioni determinate. Questa dogmatismo
infantile e stato ossen'ato da Jane Austen: ({ Enrico e Giovanni
ehiedevano ancora tutti i giorni 1a storia di Enrichetta e degli
zingari, e si ostinavano ancora a correggere [Emma]. .. anehe se
ella si allantanava per un minima particolare daUa rappresen-
tazione originale » (46). Specialmente i bambini piu grandicelIi pro-
vavano gioia nella variazionc, rna soprattutto entro una limitata
gamma 0 un limitato contesto di aspettazioni. I gioehi, ad esempio,
erano di questo tipo; e Ie regole (Ie invarianti) del gioco era
spesso quasi impossibile impararle mediante la semplice osser-
vazione (49).
L'ogget.to principale del mio interesse era il fatta che it modo
dogmatico di pensare era dovuto a un bisogno innato di regolarita
e ai meccanismi irinati di scoperta; meccanismi che ci spingono
a cercare delle regolarita. Ed una delle mie tesi era che se noi
parliamo facilmente di « ereditarieta e ambiente ), siamo portati
a sottovalutare il ruolo preponderante dell'ereditarieta - che, fra
Ie altre CDse, determina in ampia misura quali aspetti dell' am-
biente oggettivo (Ia nicchia ecologica) appartengano 0 menu ad
un ambiente soggettivo, 0 biologicamente significante di un animale.
Distinguevo tre tipi di processi di apprendhnento, ii primo
dei quali era queUo fondamentale:

1. Apprendirnento nel senso di scopcrta: formazione (dog-


matiea) delle teorie a aspettazioni, a comportamento regolare,
controllato dall'eliminazione (critica) degJi errori.
2. Apprendimento per imitazione. Si pub dimostrare ehe que·
sto e un easo speciale di (1).
3. Apprendimento per" ripetizione » 0 « esercizia », come nel-
l'imparare a suonare uno strumento a a condurre un'automobile.
La mia tesi e qui che (a) non esiste un'autentica « ripctizione» (;;6),
ma piuttosto (b) il cambiamento attraverso l'eliminaziane degli
errori (in seguito alla fonnazione della teoria) e (c) un processo
che aiuta a rendere automatiche eerte azioni 0 reazioni, permet·
tendo cosl ehe esse scendano a un livello puramente fisiologico,
e che vengano eseguite senza attenzione.

L'importanza delle disposizioni 0 dei bisogni innati in ordine


alIa seoperta delle regalarita e delle regale Ia si pub constatare
nel bambino che impara a parlare una lingua, un processo, que-
sto, che e stato oggetto di moIti studi. E' ovvio che si tratta di
un tipo di apprendimento per imitazione; e ia cosa pili sorpren-
dente e che questa processo assai pre.coce e un processo per ten-

51
tativi e un processo di eliminazione critica degli erron, ill cui
gioca un ruolo importantissimo l'eliminazione critica degli errod.
La forza delle disposizioni e dei bisogni innati in questo sviluppo
la si puo vedere benissimo nei bambini, i quali, a causa della
loro sordita, non partecipano in modo nonnale aIle situazioni
linguistkhe del lora ambiente sociale. I casi piu convincenti sonO
probabilmente quelJi dei bambini che sono sordi e c.iechi, come
Laura Bridgman - 0 Helen Keller, della quale ho sentito parIare
solo piu tardio E' general mente ammesso che perfino in questi
casi troviamo dei contatti sociali - it contatto di Helen Keller
can 1a sua insegnante - e troviamo anche l'imitazione. Ma it modo
in cui Helen Keller imitava il sillabare della sua maestra nella
sua mana eben lungi dalla noonale imitazione che il bambino
fa dei suoni uditi per un lungo periodo, suoni la cui funzione co-
municativa puo essere capita, e a cui si puo rispondere, perfino
da parte di un cane.
Le notevoli differenze esistenti tra i linguaggi umani dimo-
strano che neU'apprendimento del linguaggio deve esserci un'im-
portante componente ambientale. L'apprendimento di una lingua
da parte di un bambino, inoltre, e quasi interamente un esempio
di apprendimento per imitazione. Eppure 1a riflessione sui vari
aspetti biologici del linguaggio dimostra che i fatton genetici
sono molto pill importanti. 10 sana dunque d'accordo con l'af-
fennazione di Joseph Church: «Se una parte del cambiamento
che ha luogo nell'infanzia puo essere spiegata in termini di matu-
razione fisica, noi sappiamo che la maturazione sta in re1azione
circolare, retroattiva, can )'esperienza - Ie cose che l'organismo
fa, sente, e ha fatto nei suoi riguardi. Cia non vuo1 dire sereditare
il ruolo della maturazione; rna si vuol solo insistere suI fatto che
non possiamo considerarlo come una semplice fioritura di earatte-
ristiche biologiche predestinate l> (51). Differisco tuttavia da Church
in quanta sostengo che i1 processo di maturazione geneticamente
fondato e molto pill complesso ed ha un'influenza molto maggiore
che i segnali d'avvio e l'esperienza della lora ricezione. benche
non vi sia alcun dubbio che un minima di cia e richiesto per sti~
mol are la «fioritura ». II modo in cui Helen Keller a"fferro che
la parola siJIabata «acqua» significava quell a cosa che ella po-
teva sentire can la sua mano e che conosceva molto bene, a mio
avviso aveva una certa somiglianza con 1'« imprinting »; rna ci
sono anche parecchie discrepanze. La somiglianza era l'irnpres-
sione inestirpabile fatta su di lei, e il modo in cui una particolare
esperienza feee scattare disposizioni e bisogni repressi. Una di-
serepanza evidente era l'immenso campo di variazione che l'espe-
rienza Ie apd e che la porto in tempo alIa padronanza del lin-
guaggio.
52
AlIa luce di questo, dubHo della pertinenza del commento di
Church: «II bambino non cammina perche sono sbocciati i suoi
"meccanismi di dearnbulazione", rna perche ha acquisito un tipo
di orientamento nello spazio, grazie al quale il camminare diventa
un possibile modo di agire » (52). A me pare che nel easo di Helen
Keller non vi fosse aIcun orientamento nella spazio linguistico,
o ad agni modo ehe ve ne fosse estremamente poco, prima che
ella scoprisse ehe il contatta can Ie dita della sua insegnante
denotava l'acqua, e prima che pen'enisse aHa conclusione che eerU
colpetti potevano avere un significato denotativo 0 referenziale.
Quel che deve esserci stato e una prontezza, una disposizione, un
bisogno di interpretare i segnali; e un bisogno, ima prontezza ad
imparare l'uso di questi segnali per imitazione, col metoda della
prova e dell'errore (con tentativi non casuali e con l'eliminazione
eritica degli errori di compitazione).
Sembra che debbano esistere disposizioni innate di grande va-
rieta e complessita che cooperano in questo campo: la disposizione
ad amare, ad entrare in simpatia, ad emulare i movimenti, a con-
trollare e correggere i movimenti emulati; la disposizione ad
usarli e a comunicare col loro aiuto; la disposizione ad usare il
linguaggio per ricevere comandi, richieste, ammonizioni, avver-
timenti; la disposizione ad interpretare enunciati descrittivi e a
produrre enunciati descrittivi. Nel caso di Helen Keller (in questo
opposto a queUo dei bambini norm ali) , Ie sue informazioni sulla
realta giungevano generalmente attraverso iI linguaggio. Di con-
seguenza, per un certo tempo ella non fu in grado di distinguere
chiaramente tra cia che noi potremmo chiamare « diceria» e l'espe-
rienza, e pertino la sua stessa immaginazione: tutte e tre le cose
giungevano a lei nei termini del medesimo cod ice sirnbolico (53).
L'esempio dell'apprendimento del linguaggio mi fece vedere
che il mio schema d'una sequenza naturale, risultante da una fase
dogmatica seguita da una fase critica. era troppo semplice. Nel-
l'apprendimento del linguaggio e'e chiaramente una disposizione
innata a correggere (doe ad essere flessibili e critici, ad eliminare
gIi errori), che dopo un certo tempo vien meno. Quando un
bambino, che ha imparato a dire «mice}} [plurale di « mouse»
= tapa] usa It hice» come plurale di «house» [casal e segno
che e in atto una disposizione a trovare delle regolarita. Presto
il bambino si correggera, forse sotto l'influenza delle critiche de-
gli adulti. Ma sembra che nell'apprendimento del linguaggio ci
sia una fase in cui la struttura del linguaggio diventa rigida -
forse satto l'influenza dell'« automatizzazione », come ho spiegato
sopra in 3 (c).
Ho usato l'apprendimento del linguaggio semplicemente come

53
un esempio da cui possiamo vedere che l'imitazione e un caso
speciale del metoda del tentativa e deU'eliminazione degli erro-
ri (54). E' anche un esempia della cooperazione tra Ie fasi della
formazione della tcoria dogmatica, della formazione delle aspet-
tazioni, 0 della formazione delle regolarita behaviorali, da una
parte, e Ie fasi della critica dall'altra.
Ma quantunque la teo ria di una fase dogmatica seguita da una
fase critica sia trappo semplice, e vero che non pub esserci una
lase critica sem,a c1ze sia preceduta da una fase dogmatica, da
una lase in cui si e formato un. qualcosa - un'aspettazione, una
regolarita di com-partamenlo -, si che su questa passa caminciare
ad operare l'eliminazione degli errori.
Questa idea mi costrinse a respingere la teoria psicologica
dell'apprcndimento per induzione, una teoria alia quale Hume
aded anche dopo aver rigettato l'induzione per motivi logici.
(Non in tendo qui ripetere quanto ho detto in Congetture e con-
futazioni a proposito delle idee di Hume sull'abitudine) (55). Cia mi
porto anche a vedere che non esiste nulla di simile ad un'osser-
vazione senza pregiudizi. Ogni osservazione e un'attivita con uno
scopo (di trovarc, 0 di eontrollare, qualche regolarita che e
almena vagamente congetturata); un'attivita guidata da problemi
e dal contesto delle aspettazioni (1'« orizzonte delle aspettazioni II,
come pill tardi l'ho chiamato). Non c'l: nuUa di simile ad una
esperienza passiva; non c'e alcuna associazione passivamente im-
pressa di idee impresse. L'esperienza e il risultato di un'esplora-
zione attiva da parte dell'organismo, il risultato della deerea di
regolarita 0 invarianti. Non esiste percezione alcuna a1 di fuori
del contesto degli interessi e delle aspettazioni. e quindi delle rego-
larita 0 «Ieggi ».
Tutte questc cose mi portarono a pensare che 1a congettura 0
ipotesi dovesse venir prima dell'osservazione 0 percezione: noi
abbiamo aspettazioni innate; abbiamo una conoscenza innata la-
tente, in forma di aspettazioni 1atenti, che vengono attivate dagli
stimoli ai quali noi reagiamo normalmente quando siamo impe-
gnati nell'esplorazione attiva. Tutto I'apprendimento e una modifi·
cazione (pub anehe essere una confutazione) di qualche conoseen·
za antecedente e quindi, in ultima analisi, di qualche conoscenza
inna ta (56).
Ern questa teoria psicologica che io elaborai, per tentativi
e con una rozza terminoiogia, tra il 1921 e il1926. Era questa teo ria
della formazione della nostra conoscenza che mi impegnava e di-
straeva durante il mio apprendistato come ebanista.
E' questa una delle cose strane della mia storia intellettuale.
Benche in quel tempo fossi interessato al contrasto fra pensiero

54
dogmatico e pensiero critico e sebbene cansiderassi n pensiero
dogmatko come prescientifico (e, qualora presuma di esserc scien-
tifico, come non-scientifico »), e quantunque mi rendessi conto del
legame can il criteria di falsicabilita della demarcazione tra scienza
e pseudoscienza, non ritenevo che vi fosse una connessione fra
tutto questo e il problema dell'induzione. Per anni questi due pro-
blemi son vissuti in due cornpartimenti differenti (e sembra quasi
in compartimenti stagni) della mia mente, ancorche credessi ill
aver risolto i1 problema dell'induzione can la sernplice scoperta
che l'induzione per ripetizione non esiste (non pii:t di quanta esiste
l'apprendimento di qualcosa di nuovo per ripetizione): il pre-
sunto metoda induttivo della scienza doveva essere rimpiazzato
dal metoda del tentativo (dogmatico) e dell'eliminazione (critica)
dell'errore, che era Ia modalita di scoperta di tutti gli organismi,
dall'ameba fino ad Einstein.
10 ero naturalmente consapevole che Ie mie soIuzioni di questi
due problemi - il problema della demarcazione, i1 problema della
induzione - facevano uso della medesima idea: quella della separa-
zione del pensiera dogmatico e del pensiero eritieo. Nondimeno
i due problemi mi sembravano affatto differenti; Ia demareazione
non aveva somiglianza alcuna con la selezione darwiniana. Solo
dopa a1cuni anni mi resi canto che c'era uno stretto Iegame, e che
il problema deU'induzione sorgeva essenzialmente da un'errata
soluzione del problema della demarcazione - daU'erronea convin-
zione che cia che innalzava Ia scienza a1 di sopra della pseudo-
scienza fosse il «metodo scientifico" del trovare una conoscenza
vera, skura, e giustificabile, e che questo metodo fosse n metodo
dell'induzione; una convinzione erronea per pii:t. di un verso.

11. Musica

In tutto questa ebbero una parte considerevole Ie riflessioni


su11a musica, e cio specialmente durante il mio apprendistato.
La musica e stata un tema dominante nella mia vita. Mia
madre amava molto la musica: suonava il pianoforte mirabilmen-
teo SemOra che la musica sia una cosa che passa dai genitori ai
figli, anche se e difficile spicgare perche sia COS1. La IIlusica euro·
pea sembra un'invenzione troppo reccnte per essere fondata gene-

55
ticamente, e la musica primitiva e una cosa che a molte persone
assai amanti della musica non piace, nella stessa misura in cui
piace 101'0 la musica composta a partire da Dunstable, Dufay,
Josquin des Pres, Palestrina, Lassus e Byrd.
Comunque sia, la famiglia di mia madre era musicale». Puo
(l

darsi che questa attitudine sia stata trasmessa dalla mia nonna
materna, nata Schlesinger. (Bruno Walter era membro della fa-
miglia Schlesinger, 10, per Ia verita, non era un suo ammiratore,
soprattutto do po aver cantato sotto ]a sua direzione nella Pas-
sioHe di S. Matteo di Bach). I miei nonni Schiff erano entrambi
membri fondatori della famosa Gesellschaft dey Musikfreunde,
che eresse la magnifica Musikvereinssaal a Vienna. Entrambe Ie
sorelle di mia madre suonavano molto bene il pianoforte. La so-
rella maggiore era pianista di professione, e i suoi tre figli eranO
anch'essi musicisti di talento - come 10 erano tre altri miei cu-
gini Ida parte di mia madre. Uno dei suoi fratelli suono, per.
parecchi anni, il primo violino in un eecellente quartetto.
Da bambino presi un po' di Iezioni di violino, rna non andai
molto avanti. Non ebbi invece lezioni di pianoforte, e nonostante
cib mi piaceva suonare il pianoforte, e 10 suonavo (e 10 suono an-
cora) molto male. A sedici anni incontrai Rudolf Serkin. Dive-
nimmo amici: e per tutta la vita sono rimasto un fervido ammi-
ratore del suo incomparabile modo di suonare, completamente
assorto nell'opera che suonava, e dimentico di se.
Per un certo tempo - tra l'autunno del 1920 e il 1922, proba-
bilmente -, io stesso pensai abbastanza seriamente di diventare
un musicista. Ma come in tante altre cose - matematica, fisica,
ebanisteria -, alIa fine sentii di non essere in realta abbastanza
in gamba. Nella mia vita ho composto qualche cosetta, prendendo
come mio modello platonico brani di Bach, rna non mi sono mai
fatto illusioni circa i meriti delle mie composizioni.
Nel campo della musica sono stato sempre conservatore. Ave-
vo l'impressione che Schubert fosse stato I'u1timo dei composi-
tori veramente grandi, benche mi piacesse ed ammirassi Bruckner
(specialmente Ie tre ultime sue sinfonie) e qualcosa di Brahms
(il Requiem). Non mi piaceva Richard Wagner, come autore delle
parole del Ring (parole che, francarnente, non potevo considerare
che ridicole) aneor pili che come compositore, e provavo anche
una forte antipatia per la musica di Richard Strauss, anche se
riconoscevo pienamente che entrambi erano rnusicisti di razza.
(Chiunque puo \'edere immediatamente che Der Rosenkal'alier
voleva essere un Figaro riscritto per i tempi moderni; rna a pre-
scindere dal fatto che in questa intento storicistico e mal conce-

56
pito, come pote un musicista come Strauss essere COSl poco
perspicace da pensare anche per un istante che questa sua inten-
zione si realizzasse?). Tuttavia, satta l'influenza di quakosa della
musica di Mahler (un'influenza che non duro) e del fatto che
Mahler aveva difeso Schonberg, sentii cbe avrei dovuto fare uno
sforzo concreto per giungere a conoscere e a godere Ia musica
contemporanea. COS! divenni membra della Societa per i Con-
certi Privati (<< Verein fiir musikalische Privatautfiihrungen »)
presieduta da Arnold Schonberg, e che si dedicava all'esecuzio-
ne di composizioni dello Schonberg, di Alban Berg, Anton von
Webern e altri compositori contemporanei «di punta », come
Ravel, Bart6k e Stravinsky. Per un certo tempo fui anche aI-
lievo del discepolo di Schonberg, Erwin Stein; rna da lui rni
riusel di prendere ben poehe lezioni: io invece 10 aiutai un poco
nelle sue prove per i concerti della Societa. In tal modo rni
rinsel di conoscere intimamente qualcosa della musica di Schon-
berg, specialmente Ia Kammersymphonie e Pierrot LUl1aire. Anda-
vo anche aIle prove di Webem, special mente dei suoi Orchester-
stucke, e di Berg.
Dopo circa due anni, mi resi canto eli essere riuscito a eona-
scere quaIcosa - di un genere di musica che ora mi piace aneor
menD eli quando corninciai a interessarmene. Divenni cosi, per
circa un anno, alIievo in una seuoia di musica assai diversa: il
dipartimento di musica sacra nel Konservatorium di Vienna
(<< Conservatorio musicale »). Fui apprezzato per una fuga che
avevo seritto. Fu alIa fine di questo anna che giunsi alia decisione
di cui ho parlato sopra: che non era abbastanza in gamba per
diventare un musicista. Ma tutto cio acerebbe il mio amore per
Ia musica «classica» e la mia sconfinata ammirazione per i gran-
di compositori del passato.
II rapporto tra 1a musica e la mia evoluzione intellettuale in
senso stretto e data dal fatto che dal mio interesse per la mu-
sica sana scaturite almena tre idee che per tutta la vita hanna
esercitato su di me la lora influenza. llJ:l~ __ di queste idee era
strettamente connessa can Ie roie idee sul pensiero dogmatic.,Q~_
queUo critico e col significato dei dogroi e delle tradizioni. l-a
seconda era una distinzione tra due generi di compQsizione musi-
cale che allora sentivo di immensa importanza e ai qualiadattai
per mio uso personale i termini «oggettivo» e «soggettivo». La
terza fu una presa eli coscienza della miseria intellettuale e -del
potere distruttivo delle idee storicistiche nella musica_e ,nelle arti
in generale. Ora discutero queste tre idee (;J).

57
12. Riflessioni sull'origine della musica lJolifonica:
psicologia della scoperta 0 logica della scoperta?

Le riflessioni che esporro qui brevemente erano strettamente


collegate con Ie mic riflessioni, delle quali ho riferito prcc~den­
temente, suI pensiero dogmatico e suI pensiero critico. Credo che
fossero fra i miei primi tentativi di applicare queUe idee psico-
logiche ad un aItro campo: pill tardi esse mi portarono ad una
interpretazione dell'origine della scienza greca. Trovai che Ie idee
sulla scienza dei Greei erano storicamente feconde, mentre queUe
sull'origine della polifonia possono anche esserc storieamente ern)-
nee. Pib. tardi see lsi la storia della musica come secondo ar-
gomento per il mio esame di Iaurea in 1JIosofia, sperando che cia
mi avrebbe data un'opportunita per indagare se vi fosse qualcosa
in esse, rna non vi trovai nulla, e cosi Ia mia attenzione si volse
subito ad altri problemi. Ora, per Ia verita, ho dimenticato quasi
tutto cio ehe sapeva in questo campo. Ma in seguito queste idee
influirono notevolmente sulla rnia interpretazione di Kant e suI
mutamento dei miei interessi dalla psicologia della scoperta ad
una epistemologia oggettivistica - vale a dire, aUa Iogica della
scoperta.
II mio problema era questa. La polifonia, come la sciem:a, e
caratteristica della nostra civilta occidentale. (Uso il termine « po-
lifonia » per dena tare non solo il contrappunto, rna anche l'armo-
nia occidentale). Diversamente dalla scienza, non pare che sia di
origine greca, rna deve essere sorta tra i secoli nono e quindice-
sima d. C.. Se Ie case stanno cosi, essa e probabilmente una con-
quista senza precedenti, 1a pili originale, anzi miraco1osa, della
nostra civilta occidentale, non esc1usa la scienza.
I fatti sembrano essere questi. C'era molto canto melodico
- canto di danza, rnusica popolare, e sopratutto musica sacra. Le
melodie - spccialmente quelle Jente, come il canto in chiesa -
talvolta erano naturalmente dei canti in ottave parallele. Ci sono
anche testimonianze per il canto in quinte parallcle (Ie quaIL prese
insieme can Ie ottm'e, danno Iuago anche a quarte, non pero se
accompagnate dal basso). Questo modo di cantare (<< organum »)
e testimoniato fm dal decimo secoIo, e probabilmente esisteva
aneor prima. II canto piano era parimenti un canto in terze paraI-
lele e/o in seste parallele (Ie lIne e Ie altre accompagnate dal
basso: «FatL"Cboul'don », faburden ») (SS). Sembra che questa fos-
«(

se avvertita come una vera e propria innovazione, come un ac-


compagnamento, od anche come un abbcllimento.

58
Quel che si potrebbe considerare come secondo passo (an-
che se si dice che Ie sue origini risalgono fino a1 nona seeoIo) sem-
bra eSSere stato it fatto che, pur rcstando immutata la I11clodia del
canto piano, le voci di accompagnamento non procedevano piu
esclusivamente in terze e seste parallele. Ora era arnmesso anche
il movimento antiparalle10 di nota contra nota (punctum contra
punctum, punta c~ntro punta), e poteva portare non solo aIle
tcrze e ane scste, rna anche alle quinte, accompagnate dal basso,
e quindi aIle quarte fra queste ed alcune delle aItre voci.
Nelle mie riflessioni considerai quest'ultimo passo, l'invenzio-
ne del contrappunto, corne queUo decisivo. Benche non sembri
del tutto certo che sia stato l'ultimo passo in ordine di tempo, fu
tuttavia queUo che porto aUa polifonia.
E' ben possibile che in quel tempo l' c< organum» non fosse
percepito come un'aggiunta alia melodia ad una sola voce, se si
eccettuano forse i responsabili della musica sacra. E' del tutto
possibile ehe la cosa abbia avuto origine semplicemente dai
diversi livelli delle voci di una congregazione che cercava di
eantare Ia me1odia. Puo essere stato quindi l'involontario risultato
di una pratica religiosa, vale a dire del canto dei responsori da
parte dena congregazione. Sbagli di questo genere nel canto delle
congregazioni succedono fatalmente. Si sa benissimo, ad esempio,
che nei responsori festivi anglicani, col cantus firmus in chiave
di tenore, Ie congregazioni possono ben fare 10 sbaglio di seguire
(nelle ottave) la voce pili alta, il soprano, invece che il tenore.
In ogni caso, finche il canto e rigorosamente in parallele, non si
ha polifonia. Pub esserci pill di una voce, ma si ha solamente
una melodia.
Si pua benissimo pensare che anche l'origine del canto di
contrappunto risiede negli sbagli fatti dalla congregazione. In-
fatti, ove iI canto in parallele portasse la voce ad una nota piu
alta di quell a che pub cantare eben possibile ehe la voce scenda
alla nota cantata dalla voce bassa piu vicina, procedendo quindi
contra punctum. invece che cum puncta. Questa puo essersi veri-
tlcato sia nel canto con l'organum sia in quello col falsobordane.
Cia potrebbe ad ogni modo spiegare la prima regola fondamentale
del semplice contrappunto di nota contra nota: che il risultato
del contromovimento non puo essere che un'ottava, 0 una quinta,
o una terza, 0 una sesta (sempre accompagnata dal basso). Ma
anche se pub esser questa il modo in cui ebbe origine il contrap-
punta, la sua invenzione e dovuta certamente a quel musicista che
per primo si rese conto che c'era la possibilita di una seconda
melodia piu 0 menD indipendente, che si potesse cantare con-

59
temporaneamente alIa melodia originale 0 fondamentale, il can-
tus firmus, senza disturbarla a interferire con essa pili di quanto
non facesse it canto dell' organum 0 del falsobordone. E questo
porta aHa seconda regal a basilare del contrappunto: Ie ott ave e
Ie quinte parallele devono essere evitate perche esse eliminereh-
bero l'effetto voluto di una seconda meZodia indipendente. Esse, in
reaIta, porterebbero ad un effetto involontario (benche tempora-
neo) di organum, e quindi ana scomparsa della seconda melodia
come tale, che la seconda voce verrebbe semplicemente a rinfor-
zare (come nel canto delI'organum) il cal1.tus fmnus. Le terze e
Ie seste parallele (come nel falsobordone) sono dei passi consen-
titi, a patto che siano precedute 0 seguite abba stanza presto da
un effettivo contromovimento (rispetto a qua1cuna delle parti).
Videa basilare e, dunque, questa. La melodia fonda men-
tale 0 data, il cal1tus [irmus, pone dei Iimiti a quaIsiasi second a
melodia (0 contrappunto), rna nonostante questi limiti il con trap-
punto appadra ancora come se fosse 1m3 melodia indipendente
liberamente inventata - una melodia melodiosa in se stessa e
tuttavia quasi miracolosamente armonizzata col cantus fimms, seb-
bene, a differenza dell'organum e del falsobordon.e, non ne di-
penda in alcun modo. Una volta afferrata questa idea, ci tro-
viamo suI cammino della polifonia.
Non mi dilunghero su questo. Spieghero invece la congettura
storica che feci in rapporto a cib - una congettura che, sebbene
di fatto possa esser faIsa, fu nondimeno eli grande importanza
per tutte Ie mie ulteriori idee. Era questa.
Data il retaggio dei Greei e l'evoluzione (e eanonizzazi.one)
dei modi ecclesiastici a1 tempo di Ambrogio e di Gregorio Magno,
difficilmente ci sarebbe stato il bisogno 0 I'incitamento ad inven-
tare la polifonia se i musicisti di chiesa avessero avuto la stessa
liberta che, ci sia consentito affermare, ebbero gIi iniziatori del
canto popolare. La mia congettum era questa: che fu la canoniz-
zazione delle melodie sacre, Ie restriz.ioni dogrnaticlle delle me·
desime, a produrre il cantus firl11us contra it quale pote poi s. .i-
lupparsi il contrappunto. Fu il cantus firl11us istituzionalizzato ad
offrire il contesto. l'ordine, Ia regolarita che rese possibile Ia li-
berta inventiva senza il eaos.
In certi tipi di rnusica non-europea troviamo che Ie melo(lie
istituzionalizzate harmo data origine a variazioni melodicl1e: que-
sto fatto 10 considerai come uno sviluppo analogo. Ma it combi-
narsi di una tradizione di melodie cant ate in parallele con la sicu-
rezza di un cantus firmus che rimane indisturbato nonostante il
contrappunto, secondo questa congettura ci aprl tutto un mondo
ordinato in modo nuovo, un nuovo cosmo.

60
Una volta esplorate entra una certa misura Ie passibilita di
questo cosmo - con audaci tentativi e can l'eliminazione degli
errori - si pote fare a menD delle melodie originali autentiche
accettate dalla Chiesa. Fu possibile inventare nuove melodie che
prendessero il posto dell'originale cantus firmus, divenendo in
parte tradizionali per un certo tempo, mentre aItri motivi pote-
vano essere usati solo in una composizione musicale, ad esempio
come motivo di una fuga.
Secondo questa congettura storica, che potrebbe anche essere
insostenibile, fu quindi Ia canonizzazione delle melodie gregoriane,
un fatto di dogmatismo, ad offrire il contesto necessaria 0 piutto-
sto l'indispensabile impalcatura perche noi potessimo costruire
un mando nuovo. Questa fatto, inoltre, 10 forrnulai cosi: il dogma
ci fornisce il quadro delle coordinate di cui abbiamo bisogno per
esplorare l'ordine di questo mondo nuovo e sconosciuto e forse
in se stesso anche alquanto caotico, ed anche per creare l'ordine
Hi dove l'ordine e andato perduto. La creazione musicale e scien-
tifica sembrano dunque avere in comune questo grosso elemento:
1'uso del dogma, 0 mito, come un cammino artificiale lungo il
quale penetriamo nell 'i gnoto , esploriamo it mondo, sia creando
delle regolarita 0 regole che controllando Ie regolarita esistenti.
E una volta che abbiamo trovato a fissato alcune pietre rniliari,
andiamo avanti cercando nuovi modi di ordinare il mondo, nuove
coordinate, nuovi modi di esplorazione e creazione, nuovi modi
di costruire un mondo nuovo, eli cui nell'antichim nemmeno ci
si sognava, fuorche nel mito della musica delle sfere.
Una grande opera musicale, dunque (come una grande teoria
scientifica), e un cosmo che si sovrappone a1 caos - inesaustibile,
nelle sue tensioni ed armonie, pertino per il suo creatore. Cio fu
descritto con meraviglioso intuito da Keplero in un brano dedicato
alIa musica celeste (59):

Perc.io i mati celesti non sono nient'altro che una specie di con-
certo perenne, razionale, piuttosto che udibile a vocale. Gli astri
5i muovono grazie aHa tensione delle dissonanze, che sono come
sincapature 0 sospensioni con Ie lora risoluzioni (can le quali gli
uomini imitano Ie corrispondenti dissonanze della natura), termi-
nanti in chiusure sicure e predeterminate, ognuna delle quali can-
tiene sei termini, come una corda consistente in sei voci. E can
queste note distinguono e articolano l'immensita del tempo. Non
v'e dunque niente di meravigliosamente piil. grande e piil. sublime
che Ie regole del canto in armonia simultanea in varie parti, regole
sconosciute agli antichi rna finalmente scoperte dall'uomo, l'imi-
tatore del suo Creatore; si che, attraverso l'abile sinfonia di piu
voci, egU puo far sorgere veramente, nel breve giro di un'ora, la

61
VlSlone della perpetuita totak del mondo nel tempo; e COSI, nella
piiI dolce sensazione di beatitudine goduta aUraverso 1a musica,
I'eco di Dio, puo quasi raggiungere la stessa soddisfazione che
Dio creatore prova per Ie sue opere.

C'erano qui alcune nItre idee che mi distraevano e che inter-


ferivano nel mio lavoro, quando lavoravo a queUe scrivanie du-
rante il mio apprendistato come ebanista (60). Fu al tempo in cui
leggevo la prima Critica di Kant ripetutamente. Decisi sub ito che
la SLla idea centrale era che Ie teorie scientifiche .'WHO costruite
dall'uomo e che noi cerchiamo di imporle al mondo: {( II nostro
intelletto non trae Ie sue leggi dalla natura, rna impone Ie sue leg-
gi alIa natura ». Combinando questa COIl Ie mie idee, giunsi a qual-
cosa di simile a quanto segue.
Le nostrc teorie, a cominciare dai miti prirnitivi ed evolven-
dosi nelle teorie della sdenza, sono efieUivamente costruite dal-
I'llomo, come disse Kant. Noi tentiamo di imporle al mondo, e
possiamo sempre attaccarci ad esse dogmaticamente, se 10 voglia-
rno, anche sc sono false (come sono non solo quasi tutti i miti
religiosi, come pare, rna anchc la teoria di Newton, che e quella
che Kant ha in mente) (6l). Ma anche se all'init::io dobbiamo aUac-
carci aIle nostre teorie - sel1z.a teorie non possiamo nemmeno co-
minciare, giacche non abbiamo nient'altro su cui regolarci -, nel
corso del tempo possiaITIO adottare un atteggiamento pill critieo
nei loro eonfronti. Possiamo tentare di rimpiazzarlc con qual-
eosa di meglio, sc col lora aiuto abbiamo imparato dov'e ehe
esse ci hanna inganTIato. Puo cos} aver inizio una fase scientifi-
ca 0 critica di pensiero, che e necessariamente preceduta da una
fase acritica.
Kant, pensavo, era nel giusto quando diceva che era irn-
possibile ehe Ia conoscenza fosse, per COS! dire, una copia 0 im-
pressione della rea ita. Aveva ragione di credere che la conoscenza
fosse geneticamente 0 psicologicGmente a priori, rna sbagliava
complctamente nel supporre chc qualsiasi conoscenza potcsse es-
ser valida a priori (1)2). Le nastre teorie sono nostre invenzioni;
rna possono essere supposizioni basatc semplicemente su ragio-
namenti sbagliati, congetture audaci, ipotesi. Con tutto questa
nai creiarno un mondo: non il mondo reale, rna Ie nostre reti
con Ie quali cerchiamo di cogliere it mondo rea1e.
Se Ie case stavano cosI, aHara quella che io consideravo
originariamcnte come la psicologia della scoperta aveva un fon·
damento nella logica: non v'era alcun'altra via che portasse nel-
l'ignoto, per ragiani logiche.

62
13. Due generi di musica

Fu il mio interesse per la musica a portanni a quella che


in quel tempo credevo fosse una scopcrta intellettuale di secon-
daria importanza (nel 1920, cioe, aneor prima ehe nasecsse il
mio interesse per la pskologia della scoperta, di cui ho parlato
nella sezione preeedente e nella sczione 10). In seguito, questa
scoperta influl in modo considerevole sui miei modi di pcnsare
in filosofia e fini per portarmi anche alIa mia distinzione tra
mondo 2 e mondo 3, che ha un ruolo rilevante nella filosofia
di questi mid ultimi anni. In un primo momento questa seo-
perta prcse Ia forma di un'interprctazione della dHferenza tra
la musica di Bach e di Beethoven, 0 dei loro modi di afirontare
la musica. Penso aneora che vi sia gualcosa di vero in questa mia
idea, anche se questa interpretazione particolare, come pensai
piu tardi, esagerava tanto la differenza tra Bach e Beethoven.
Eppure l'origine di questa scopcrta intellettuale e per me COSl
inthnamente connessa con questi due grandi musicisti, che ri-
tengo opportuno riferimc secondo il modo in cui mi S1 presento
a11ora. Non in tendo dire, tuttavia, chc Ie rnie osservazioni ren-
dono con to di questi 0 di altri l11usidsti, 0 che aggiungono qual-
cosa di nuovo aBe tante case. buone e cattive, che sonG state
scrittc sulla mtlsica; Ie mie osservazioni hanno un carattere es-
scnziahnentc autobiografico.
La scoperta fu per me qualcosa di assai sconvolgente. Amavo
sin Bach che Beethoven - e non solo la loro musica. rna anche
Ie 101'0 personalitu, Ie quali, cosi pensavo. trasparivano nella loro
musica (non era Ia stessa cosa per Mozart: dietro il suo faseino
c'e qualcosa di insondabile). Lo shock 10 ebbi un giomo allorche
mi colpl il faHo ehe il rapporto di Bach e Beethoven con la
rispettiva opera era completamente differente, e chc sebbene
fosse possibile assumere Bach corne modello. era assolutamente
impossibile assumere questo stesso atteggiamento nei confronti
di Beethoven.
Beethoven, pensavo, aveva fatto della musica uno strumento
di auto-espressione. Nella sua disperazionc, questo deve essere
stato per lui il solo modo di mantenersi in vita. (Penso che 10
si possa inferire dal suo Heiligenstiidter Testament del 6 ottobre
1802). Non v'e opera piu eommovente del Fidelio; non v'e espres-
sione piu commovente della fcde di un uoma, e delle sue speranze,
e dei suoi segreti sogni, e della sua eroica lotta contro la dispera-
zionc. Eppure la sua purezza di euore, la sua potenza drammatica,
it suo talento creativo unico, gli permisero di lavorare in un modo

63
che agJi aItri, a mio avviso, non era possibile. Credevo che non
vi fosse pericolo pili grande per Ia musica che i1 cereal' di fare
del genere di Beethoven un ideale, un esempio, un modena.
Fu appunto per distinguere i due diversi atteggiamenti di
Bach e di Beethoven nei confronti delle 101'0 comp05izioni che
io introdussi - solo a mio uso personale - i termini « oggettivo »
e « soggettivo ». E' possibile che questi termini non siano indo-
vinati (rna cio non e poi tanto importantc). e in un contesto
come il presente e possibile che cssi significhino poca cosa per
un fi1050fo. Ma fui licto di scoprire, tanti anni dopo, che Albert
Schweitzer aveva usato questi termini nel 1905, all'inizio della
sua grande opera S11 Bach (63). Per il mio pensiero risulto deci-
sivo il contrasto tra un approccio, 0 atteggiamento, oggettivo
ed uno soggettivo, specialmente nei confronti della propria opera.
E questa fatto non tarde. ad influenzare Ie mie idee in campo
epistemologico. (Si vedano, ad esempio, i titoli di alcuni dei
miei saggi pin recenti, come Epistemology Without a Knowing
Subject, 0 On the Theory of the Objective Mind 0 Quantum Me-
chanics without "the Observer") (04).
Cerchero ora di spiegare che cosa avevo in mente quando
parlavo (fino ad oggi solo can me stessa, e forse con pochi amici)
di musica a arte « oggettiva» e « soggettiva ». Per meglio chiarire
aIcune delle mie idee di allora, in qualche caso usero delle
formuIazioni che diffic.ilmente ero in grado (li usare in quel tempo.
Dovrei forse cominciare con una critica di Wla teoria del-
l'arte largamente diffusa: la teoria secondo Ia quale l'arte ~
auta-espressione, ovvero l'espressione della personalita deU'arti-
sta, 0 forse l'espressione de])e sue emozioni. (Croce e CalUng-
wood sono due ITa i tanti fautori di questa teo ria. 11 mio punto
di vista antiessenzialista comporta che Ie domande su che cosa e?,
come ad esempio « Che cosa e I'arte?", non costituiscano mai
problemi autentici) (65). La mia critica principale di questa teoria
e sempIice: la teol'ia espressiol1ista de.ll'arte e \iuota. Infatti tutto
cib che un uomo, 0 un animate, puo fare e (fra l'altro) espressione
di uno stato interno, di emozioni, 0 di una personalita. Cib e
banalmente vera per tutti i generi di linguaggi umani e animali.
Questo vale tanto per il modo in cui un uomo a un leone cam-
mina quanta per il modo in cui un uomo tossisce a si soffia
il naso, per i1 modo in cui un uomo 0 un leone ti guarda 0 ti
ignora. Vale per i modi in cui un uccello costmisce il suo nido,
un ragno costruisce la sua tela, e un uomo costruisce la sua
casa, In aItre parole, questa non e una caratteristica dell'arte.
Per la medesima ragione Ie teorie espressionistiche 0 emotivistiche
del linguaggio sono banali, non informative e inutili (659.).

64
E' ovvio che non mi propongo di tispondere alIa domanda
« Che cosa e l'arte? », rna ritengo che que! che rende interessan-
te 0 significativa un'opera d'arte e qualcosa di affatto diverso
dall'espressione di se. Se si considera la cosa da un punta di
vista psicologico. nell'artista si rlchiedono eerte capacita, che
possiamo descrivere corne immaginazione creativa, forse gioeon-
dita, gusto, e - cosa di una certa importanza - dedizione fotale
al suo lavoro. 11 lavoro deve essere, per lui, tutto; deve tra-
scendere la sua personalita. Ma questo e solamente un aspetto
psicologico della cosa, e proprio per questa ragione e di secon-
darla irnportanza. La casa importante e l'opera d'arte. E qui
vaglio dire anzitutto qualcosa di negativo.
Si possono produrre grandi opere d'arte senza una grande
originalita. E' difficile che ci sia una grande opera d'arte ehe
I'artista abbia inteso principalmente che fosse originale a « dif·
ferente» (eccetto forse che per scherzo). Lo scopo principale
del vero artista e la perfezione delI'opera. L'originalita e un
dono degli di:i - come l'ingenuita, che non si puo avere a ri-
chiesta ne si puo ottenere cercandola. n cercare seriamente di
essere originale 0 differente, ed anche it cereare di esprimere 1a
propria personalita, deve comporsi con quella che e stata chia-
mata 1'« integrita» dell'opera d'arte. In una grande opera d'arte,
l'artista non tenta di imporre Ie sue piccole ambizioni personali
aHa propria opera, rna piuttosto fa si che Ie sue ambizioni per-
son ali servano ana sua opera. In questa modo egli puo crescere,
came persona, grazie aU'interazione can que! che fa. Per una
specie di feedback, egli puo guadagnare in abilita e nelle altre
capacita che fanno un artista (66).
Da quanta ho detto si puo vede-re qual era la differenza tra
Bach e Beethoven che tanto mi impressiono: Bach nella sua
opera dimentica se stesso, e un servitore della sua opera. Natural-
mente non manca di imprimere nell'opera Ia sua personalita; cio
e inevitabile. Ma non e, come e invece Beethoven, in certi mo-
menti, consapevole di esprimere se stesso e perfino i propri
umori. Era per questa ragione che dicevo che i due musicisti
rappresentavano due atteggiamenti opposti nei confronti della
musica. 'i i I
Dettanda agli aUievi Ie istruziani suI modo di suonare il
continuo, Bach disse: «Si dovrebbe produrre un'armonia eufo-
niea per Ia gloria di Dio e per il possibile diletto della mente;
e come tutta Ia musica, il suo finis e Ia sua causa finale non do-
vrebbe giammai essere altra cosa che la gloria di Dio e la ri-
creazione della mente, Se non si bada a questa, in realta non c'e
muska, ma solo grida e strepito» (67).

65
Ritengo che Bach volesse escludere dalra causa finale dena
musica il far rum ore per la maggior gloria del musicista.
Per quanta concerne la mia citazione di Bach, vorrer che
fosse completamente chiaro che la differenza che ho in mente
non e quella Ua arte religiosa e arte secolare. Lo dimostra la
Messa in re di Beethoven. COS! suona la dedica: «Dal euore si
possa ritornare al euore» (<< Vorn Herzen - moge es wieder -
zu Herzen gehen »). Si deve anche dire che il rHievo da me data
a questa differenza non ha niente a che fare can una negazione
del eontenuto emozionale 0 can l'impatto emozionale della mu-
sica. Un oratorio drammatico, come ra Passione di S. Matteo di
Bach, descrive forti emozioni e quindi suscita, per simpatia,
forti emozioni - forse aneor pin forti di queUe della Messa in re
di Beethoven. Non v'e ragione di dubitare che anche il composi-
tore abbia sentito queste emozioni; rna a mio avviso egli le senti
perche la musica da lui inventata deve aver fatto necessaria-
mente i1 suo impatto su di lui (altrimenti non v'e duhbio che
egli avrebbe cestinato il pezza come non riuscito), e non perche
s'era gia trovato in uno stato emotivo al quaIe diede poi espres-
sione nella Sua musica.
La differenza tra Bach e Beethoven ha i suoi as petti tecnici
caratteristici. E' diiferente, ad esempio, il ruolo strutturale del-
l'elemento dinamieo (forte contra piano), Ovviamente ci sono
anehe in Bach degli e1ementi dinamici. Nei concerti si hanno
dei cambiamenti che vanno dal tutti al solo. Nella Passione di
S. Matteo e'e il grido «Barabba! D, Bach e spesso altamente
drammatico. Ma ancorche ricorrano Ie sorprese dinamiche e i
contrasti, e raro che siano componenti importanti della strut-
tura della composizione. Di norma ricorrono periodi abbastanza
lunghi senza un contrasto dinamico di riIievo. Qualcosa di analo-
go si pub dire di Mozart. Ma non si pub dire, ad esempio, del-
I'Appassionata di Beethoven, in cui i contrasti dinamici sana
pressoche altrettanto importanti di quelli armonici.
Schopenhauer dice che in una sinfonia di Beethoven «parla-
no tutte Ie emozioni e passioni umane: gioia e dolore, amore e
odio, paura e speranza... in innumerevoli delicate sfumature » (68);
e 10 stesso Schopenhauer fisso la teoria dell'espressione e della
risonanza emozionale nella forma: «II modo in cui ogni musica
tocca il nostro euore... e dovuto al fatto che essa riflette tutti
gli impulsi della nostra piu intima essenza,.. 5i potrebbe dire
che la teoria della musica di Schopcnhauer, e la sua teoria dell'arte
in generate, sfugge al soggettivismo (semmai) solo perchc, se-
condo lui, « Ia nostra pitl intima essenza" - la nostra volonta -
e anche oggettiva, giacche e l'essenza del mondo oggettivo.
66
Ora, pero, torniamo alla musica oggettiva. Senza porci Ia do-
manda che cosa e?, consideriamo Ie Invenzioni di Bach e it lora
frontespizio con un titolo piuttosto lungo, in cui l'autore spiega
di aver scritto per queUe persone che desiderano suonare il
piano. Egli assicura queste persone che impareranno « a suo-
nare bene e can due e tre voci... e in modo melodico» (69), e
che saranno stirnolate ad essere inventive, e cosl « avranno anche
I'occasione di pregustare la composizione ». Qui la musica deve
essere appresa dagli esernpi. 11 musicista deve rnaturare, per
COSI dire, nella bottega di Bach. Egli impara una disciplina, rna
viene anche incoraggiato ad usare Ie proprie idee rnusicali e
gti vien fatto vedere in che modo Ie deve elaborare con chiarezza
e abilita. Indubbiamente Ie sue idee devono svilupparsi. Attra-
verso il lavora, il musicista puo imparare, come uno scienziato,
per prove ed errori. E col maturare della sua opera puo maturare
anchc il suo giudizio e gusto musicale - e forse anche la sua
irnrnaginazione creativa. Ma questa crescita dipendera daUo sfor-
zo, dall'impegno e dana dedizione a1 suo 1avoro; dipendedt daIla
sensibilita per il lavaro degli altri e dall'autocritica. Ci sara un
costante dare-e-prendere tfa l'artista e Ia sua opera; piuttosto
che un dare" unilaterale - una mera espressione della sua per-
{C

sonalita nella sua opera.


Da quanta ho detto dovrebbe essere chiaro che sono ben lun-
gi dall'affermare che Ia grande musica, e la grande arte in gene-
rale, puo non avere un pmfando impatto ernozionale. E meno
che rnai ritengo che un rnusicista possa non essere pro fonda-
mente preso da cio che scrive 0 suona. Ma ammettere l'irnpatto
emozionale della musica non vuol dire, naturalmente, accettare
l'espressionismo musicale, che e una teoria della musica (e una
teOl-ia che ha portato a determinate prassi musicali). Credo che
essa sia un'errata teoria della relazione tm Ie emozioni umane
da un lato e la musica - e l'arte in genera1e - daU'altro.
La relazione t1'a musica ed emozioni umane puo essere vista
in tanti modi differenti. Una delle prime e pili originarie teorie
e Ia teoria dell'ispirazione divina che si rnanifesta in una divina
follia 0 deliria divino del poeta 0 del musicista: l'artista e pas-
seduto da uno spirito, benche questo sia uno spirito benigno
piuttosto che uno spirito maligno. Una formulazione classic-,a di
questa concezione possiarno trovarla nello lone di Platone (10).
Le idee qui formulate da Platone presentano vari aspetti e con-
tengono varie teorie distinte. L'esposiziane di Platone pub essere
usata, in realta, come 1a base per una panoramica generale:

1. Que! che il poeta 0 it musicista compone non e opera


sua, rna e piuttosto un rnessaggio 0 un dono degli dei. in parti.

67
col are delle Muse. 11 poeta 0 il rnusicista e solo uno stnunento
attraverso il quale parlano Ie Muse; non e che il portavoce di
un dio, e « per dimostrarlo it dio canta apposta i canti piu belli
attraverso Ia mediazione del pili mediocre dei poeti» rl).
2. L'artista (sia creativo che esecuto['e) che e posseduto
da uno spirito divino diventa fl'enetico, vale a dire sovraeccitato
emozionalmente, e it suo stato si comunica agli spettatori attra-
verso un processo di risonanza simpatetica (Platone 10 paragona
al rnagnetismo),
3. Quando il poeta 0 il dicitore compone a recita e profon-
damente toccata, e quindi posseduto (non solo dal dio rna anche)
dal messaggio, ad esempio dalle scene che descrive. E l'opera,
piuttosto che sempIicemente il suo stato emozionale, tende a in-
durre emozioni simili nel pubblico.
4. Dobbiamo distinguere tra una mera destrezza 0 abilita
o «arte", acquisita con l'esercizio e can 10 studio, e la divina
ispirazione; e solo quest'ultima che fa il poeta ° il musicista.

Si dovrebbe osservare che nella sviluppo di queste idee Pla-


tone eben lungi dalla serieta: egli parla in ton a ironico. Un pic-
colo gioco di parole, in particolare, e significativo e veramellte
divertente. All'osservazione di Socrate. che quando e posseduto
dal dio il rapsodo diventa naturalmente del tutto pazzo (per
esempio quando trema per la paura, allche se non corre alcun
pericolo) e trasmette anche al suo pubblico Ie stesse insensate
emozioni. il rapsodo lone replica: « Per l'appunto; quando Ii
guardo dalla mia pedana veda come piangono e come mi guar-
dana con occhio intimorito... Ed io sono obbligato a guardarli
molto attentamente; perche se piangono io devo ridere per i soldi
che prendo. e se ridono io devo piangere per i soidi che per-
do» (72), E' chiaro che Platone vuole che noi comprendiamo che
se il rapsodo e posseduto da queste ansie mondane, ed e bell
lungi dal1'essere «pazzo », mentre guarda attentamente i suoi
ascoltatori al fine di regolare il suo comportamento in base alIa
lora reazione, non puo fare il serio quando dice (come fa lone
precisamente ill questo passaggio) che il grande etfetto del rap-
sodo suI suo pubblico dipende interamente dalla sua sincerita
- ossia dal fauo che egli e completarnente e autenticamente pos-
seduto dal dio ed e fuor di senno, (Lo scherzo di Platone e qui
un tipico scherzo di auto-riferimento - e un auto-riferimento quasi
paradossalc) r3). In reaita Platone insinua chiaramente (14) che
ogni conoscenza e abilita (nell'incantare, per COSl dire, il pub-
blico) sarebbe un disonesto imbroglio e inganno, in quanto ver-
rebbe necessariamente a ostacolare il divino messaggio. Ed egli
insinua che il rapsodo (0 il poeta 0 il musicista) e, almeno qual-

68
che volta, un abile ingannatore piu ehe uno veramente ispirato
dagli dei.
OTa mi servin:' del mio elenco da (1) a (4) delle teorie di
Platone per ricavarne una moderna teoria dell'arte come espres·
sione. La mia principale affermazione e che se prendiamo 1a teo-
ria della ispirazione e del deliria, rna fa liberiamo dalla sua jonte
divina, giungiamo irnmediatamente alIa teoria moderna secondo
la quale l'arte e autoespressione, 0 pin precisamente autoispira-
zione e l'espressione e corounicazione di emozioni. In altre pa·
role, Ia teoria rnoderna e una specie di teo1ogia senza Dio - in
cui Ia segreta natura 0 essenza dell'artista prende il posta degli
dei: l'artista ispira se stesso.
E' chiaro che questa teoria soggettivistica deve scartare, 0
quanta menD lasciar cadere, il punto (3): l'idea che l'artista e
il suo pubblico sono ernozionaImente toccati dall'opera d'arte.
Ma a me pare che (3) sia precisamente la teoria che da un'csaUa
spiegazione del rapporto tra l'arte e Ie emozioni. Si tratta di
una teoria oggettivistica, secondo la quale la poesia e la musica
possono descrivere 0 raffigurare 0 drammatizzare scene aventi
un significato emozionale, e possono anche descrivere 0 raffi.-
gurare Ie emozioni come tali. (Si noti che questa teoria non
sostiene che questa e i1 solo modo in cui I'arte puo essere si·
gnifica tiva).
Questa teoria oggeUivistica del rapporto tra l'arte e Ie erno-
zioni Ia si pub cogliere nel passo di Keplero citato nel capitola
preeedente.
Essa ebbe una parte di rilievo nell'origine delI'opera e del-
l'oratorio. Certamente era ben accettabile per Bach e Mozart. E
si da il caso che sia perfettamente compatibile can la teoria di
Platone, esposta ad esempio nella Repubblica e neUe Leggi, teotia
secondo Ia quale Ia musica ha il potere di suscitare emozioni e
di calmarle (come una ninnanannaL ed ha perfino il potere di
formaTe it carattere di un uomo: certi generi di musica possono
renderlo audace, altri possono farne un codardo; e una teoria che
i1 menD che si pub dire e ehe esagera il potere della musica r S).
Secondo ]a mia teoria oggettivistica (che non nega rna ne
sottolinea Ia completa banalita), la funzione veramcnte importante
delle emozioni del compositore non e che queste debbono essere
espresse, ma ehe esse possono essere usate per controllare it
successo 0 ]a rispondenza 0 I'impatto dell'opera (oggettiva): iJ
cornpositore puo usare se stesso come una specie di banco di
prova, e puo modificare 0 riscrivere la sua composizione (come
feee spesso Beethoven) quando non sia soddis£atto della propria
reazione ad essa; 0 pub anche scartarla del tutto. (Indipendente-

69
mente dal fatto che la compOSlZIone sia principal mente emozio-
nale, l'autore puo far uso in questo modo delle proprie reazioni -
del proprio c< buon gusto »: e un'altra applicazione del meta do della
prava e dell'errore).
Si deve osservare che la teoria (4) di PI atone , nella sua forma
non teologica, difficilmente e compatibile con una teoria oggetti-
vistica, la quale vede la sincerita dell'opera non tanto nella genui-
nita dell'ispirazione dell'artista quanto piuttosto nell'esito della
autocritica dell'artista. Eppure, come mi riferisce Ernst Gombrich,
una concezione espressionistica come la teo ria (4) di Platone,
divenne parte della tradizione classiea della teoria della retorica
e della poetica. Giunse perfino ad affennare che una felice descri-
zione 0 raffigurazione delle emozioni dipende dalla profondita
delle emozioni di cui l'artista e cap ace (16). Ed eben possibile che
sia stata quest'ultima dubbia concezione, ossia la forma secolariz-
zata della teoria (4) di Platone secondo Ia quale « suona falso (77)
J)

o e «insincero» tutto cib che non e pura autoespressione, a


condurre alIa modema teoria espressionistica della musiea e
dell'arte r~).
Riepilogando: (1), (2) e (4) senza dei si possono considerare
come una formulazione dena teo ria soggettivistica 0 espressio-
nistiea dell'arte e del suo rapporto con Ie emozioni, e (3) come
una formulazione parziale di una teoria oggettivistica di questa
relazione. Secondo questa teoria oggettivistica, e l'opera la mag-
gior responsabile delle emozioni del rnusicista, e non viceversa.
Passando ora aUa concezione oggettivistica della musica, e
chiaro che (3) non puo bastare a spiegarIa, data che i( suo inte-
resse e centrato esclusivamente suI rapporto tra la musica e Ie
emozioni, e queste non sana Ie sole cose, e nemmeno Ie prind-
pati, che danno senso all'arte. II musicista puo assumere come
suo problema quello di raffigurare emozioni e muoverci alIa
simpatia, come nella Passione di S. Matteo; rna ci sana tanti altri
problemi che egli cerea di risolvere. (Questo fatto e evidente
in un'arte come l'architettura, in cui ci sana sempre problemi
pratici e tecnici da risolvere). Nello scrivere una fuga, il pro-
blema del compositore e quello di trovare un motivo interessan-
te ed un cantrappunto di contrasto, e di sfruttare quindi questa
materiale meglio che puo. A guidarlo potra essere un ben collau-
data sensa di generale rispondenza 0 di «equilibria ». II risul-
tato puo anear essere toccante; rna la nostra valutazione puo
basarsi suI senso della rispondenza - di un cosmo emergente
come da un caos - piuttosto che suILa rappresentazione di una
emozione. La stessa cosa si puo dire di certe InveHzioni di Bach,
il cui problema consisteva nel dare a110 studente un primo as-

70
saggio della compOSlZlone, di soluzione del problema musicale_
AIlo stesso modo il compito di scrivere tm minuetto 0 un trio
pone al musicista un problema definito; e il problema puo essere
reso anear pill specifieo daUa nccessitil di adattarlo ad una eerta
suite semicompleta. Vedere iI musicista nella sforzo di risolvere
problemi musicali e ovviamente assai diverso da! vederlo im-
pegnato nell'esprimere Ie proprie emozioni (cosa che, general-
mente, nessuno pub evitare di fare).
Ho cercato di offrire tm'idea ragionevolmente chiara della
differenza fra queste due teorie della musica, quella oggettivi-
stica e quella soggettivistica, e di metterle in relazione con due
generi di musica - la musica di Bach e quella di Beethoven -,
che a me parvero tanto diiferenti, in quel tempo, benche mi
piacessero entrambi.
La distinzione tra una concezione oggettiva ed una soggettiva
di un'opera divenne per me sommamente importante; e do diede
il colore, potrei dire, aIle mie conceziani del mando e della vita,
gUt da quando avevo 17 0 18 aJmi.

14. Progressismo nell'arte, specialmente nella musica

Non ero certamente nel giusto quando pensavo che Beetho-


ven fosse responsabile dell'alfermarsi dell'espressianismo nella
musica. Non v'e dubbio che egli subisse l'influsso del movimento
romantico, rna dai suoi appunti possiamo renderci canto che era
ben lantana da) limitarsi ad esplimere i suoi sentimenti e Ie sue
fantasie. Spesso lavorava duro, propone.ndosi sempre nuove ver~
sioni di un'idea, nel tentativo di chiarirla e semplificarla, come
si pub vedere dal confronto della Fantasia corale con gli appunti
per la sua Nona Sinfonia. Eppure l'influenza indiretta della sua
personalita tempestosa e i tentativi di emularlo hanna portato,
a mio avviso, a un declino nella musica. Aneor oggi mi pare che
questo declino sia stato in ampia misura causato dalle teorie
espressionistiche della musica. Ora non me la sentirei pero di
negare che ci siano stati anche altri credi, altrettanto pemiciosi,
e tra questi alcuni credi anti--espressionistici, che hanno condotto
ad ogni sorta di esperimenti formalistici, dal serialismo alla mu-
sique concrete. Ma tutti questi movimenti, e specialmente gli
« anti »-movimenti, sono in larga misura una conseguenza di
que! tipo di «storicismo» di cui parlero in questa sezione, e in

71
particolar modo deIl'atteggiamento stoIicistico riguardo al «pro-
gresso ».
E' ovvio che pub esserci un certo progresso anche nelI'arte,
nel senSQ che e possibile che vi 5i 5coprano nuove possibilita ed
anche nuovi probleroi (19). Invenzioni come il contrappunto hanno
rivelato, nella musica, quasi un'infinita di nuove possibihta e
di nuovi problemi. C'e anche un progresso di carattere propria-
mente tecnologico (ad esempio in certi stmmenti). Ma ancorche
possa aprire nuove possibilita, qUlisto tipo di progresso non e
d'importanza fondamentale. (I cambiamcnti nel « mezzo» posso-
no eliminat'e piu problemi di quanti non ne creino). Si potrebbe
pensare ad un pmgresso anehe nel senso di una cl-escita della
conoscenza musicale - una padronanza, ci~e, da parte del com-
positore, delle scoperte fatte da tutti i suoi grandi predecessori;
rna non credo che un qualche musicista abbia mai fatto qualcosa
di simile. (Puo anche darsi che Einstein, come fisico, non !'iia
stato pili grande di Newton, rna aveva llna padronanza completa
della tecnica newtoniana; nel campo della music a non sembra
ehe sia mai esistita una relazione di questo genere). Lo stesso
Mozart, pur essendovisi avvicinato moltissimo, Don vi giunse, e
Schubert nemmeno vi si avvicino. Inoltre sussiste sempre il peri,
colo che la realizzazione delle nuove possibilita possa eliminare
Ie vecchie: gli effetti dinamici, la dissonanza, od anche la modu-
lazione, ave vi si ricorra con troppa liberta, possono ottundere
la nostra sensibilita agJi efTetti menD evidenti del contrappunto
0, poniamo, al riferimento a vee chi modi.
II venir menD delle possibilita, che puo essere l'esito di qual-
siasi innovazione, costituisce un problema interessante. COSl il
contrappunto rappresento una minaccia per it mantenimento de-
gti effetti monodici e in particolar modo degli e1Ietti ritmici, e
la musica contrappuntistica fu criticata per questa ragione, ed
anche per In sua complessita. Non v'e dubbio che questa cdtica
abbia avuto un qualche effetto salutare e che alcuni dei grandi
maestri del contrappunto. Bach incluso, abbiano dimostrato il
pili vivo interesse per i viluppi e i contrasti risultanti dalla com-
binazione di recitativi, arie ed altre alternative monodiche can
la composizione contrappuntistica. Molti compositori recenti so-
no stati meno immaginosi. (Schonberg era persuaso che, in un
contesto di dissonanze, Ie consonanze dovevano essere preparate,
introdotte e forse anehe risolte con molta attenzione. Ma cio si-
gnifica che la loro antica funzione era andata perduta).
Fu Wagner (SO) ad introdurre nella musica un'idea di progres-
so che io chiamavo (net 1935 0 giu di II) «storicistica », e per
questa ragione egli divenne, e ne sono an cora persuaso, l'anima
nera di questa storia. Egli si rese pure responsabile dell'idea aed-
72
tica e quasi isterica del genio incompreso; un genio che non solo
esprime 10 spirito del suo tempo, rna e anche, invero, «avanti
rispetto al suo tempo »; un capo generalmente mal compreso da
tutti i suoi contemporanei, ad eccezione di pochi intenditori
« iniziati l>.
La mia tesi e che la dottrina dell'arte come espressione di
se e assalutamente banale, confusionaria e vacua, rna non neces-
sariamente malvagia, a meno che non venga presa suI serio, che
aHora potrebbe facilruente portare ad atteggiamenti egocentrici
e a megalomania. Ma la dottrina secondo la quale it genio deve
precorrere il suo tempo e una dottrina del tutto faIsa e malvagia
ed espone i1 ruondo dell'arte a valutazioni che non hanno niente
a che fare con i valori dell'arte.
Dal punta di vista intellettuale, l'una e l'altra teoria si tro-
vano a un livello cosl basso che stupisce che Ie si sia mai prese
suI serio. La prima puo essere messa da parte, in quanto banale
e impasticciata, per motivi prettamente intellettuali, anche a pre-
scindere da un pili stretto tiferimento all'arte stessa. La secon-
da - 1a teoria secondo la quale L'arte e l'espressione del genio
che precorre il suo tempo - puo essere confutata da innumerevoli
esempi di geni sinceramente apprezzati da tanti mecenati del1e
arti del lora tempo. Moltissimi fra i grandi pittori del Rinasci-
mento godettero di alta stima. Cosl pure molti grandi musicisti.
Bach fu apprezzato da re Federico di Prussia - ed e chiaro che
non precorreva it suo tempo (come e il caso, probabilmcnte, di
Telemann): suo figlio Carlo Filippo Emanuele 10 considerava
passe ed era solita parlare di lui come dell'« avanzo di Medio-
evo» (<< der alte Zopf I»~. Benche sia morto povero, Mozart fu
apprezzato in tutta Europa. Fa eccezione, forse, Schubert, ap-
prezzato solo da una cerchia relativamente ristretta di amici a
Vienna; rna anche lui si stava faeendo una rinomanza sempre
pill vasta a1 tempo della sua morte prem<!.tura. La storia ehe
Beethoven non sia stato apprezzato dai sliai contemporanci e un
mito. Ma mi sia aneora una volta eoncesso di dire (si veda il
testo, tra Ie note 47 e 48, nella sezione 10) ehe io ritengo ehe it
successo nella vita e in gran parte una questiane di fortuna. C'e
scarsa correlazione col merito, e in tutti i settori della vita ci sono
sempre stati tanti che, pur avendo grandi meriti, non hanno avuto
successo. Si deve quindi presumere che un fatto analogo si ve-
rifichi anche neU'ambito delle seienze e delle arti.
La teoria secondo Ia quale I'arte progredisce grazie ai grandi
artisti che stanno aU'avanguardia non e solo un mito; essa ha
partato al formarsi di cricche e di gruppi di pressione, can Ie
lora macchine propagandistiche, molto sirniJ.i a un part ito poli-
tico 0 ad una setta religiosa.

73
E' generalmente ammesso che ci siano state delle cricehe
prima di Wagner. Ma non c'era nulla di simile ai wagneriani (se
si eccettuano, pili tardi, i freudiani): un gruppo di pressione, un
partito, una chiesa con i suoi rituaIi. Ma di cia non diro altra,
eM Nietzsche l'ha detto malta meglio di me (81).
Ho visto alcune di queste cose molto da vicino nella Societa. di
Schonberg per Ie esecuzioni musicali private. Schonberg era inizial-
mente un wagneriano, come tanti dei suoi contemparanei. Dopo
un certo tempo, il suo problema, ed anche il problema di molti
membri della sua cerchia, divenne il seguente. come disse uno
di loro in una conferenza: «Come possiamo rimpiazzare Wa-
gner?» od anche «Come possiamo sostituire in nai i residui di
Wagner? ». Ancor pili tardi il problema divenne: «Come e pos-
sibile che restiamo all'avanguardia di tutti gli altri, e tuttavia
ci superiamo continuamente? ». 10 credo, pen'>, che Ia valonta di
precorrere il proprio tempo non abbia proprio niente a che fare
col servizio alIa musica, e che non abbia niente a che fare can
un'autentica dedizione alIa propria opera.
Anton von Webern fu un'eccezione. Era dedito aHa musica ed
era un uomo semplice e amabile. Ma si era formato nella dot-
trina filosofica dell'autoespressione e mai ne mise in dubbio Ia
verita. Una volta mi racconto come scrisse i suoi Orchester-
stucke: non aveva fatto che ascoltare i suoni che giungevano at
suo orecchio e metterli per iscritto; e al momento in cui non
gJi giunse alcun suono, finl. E' questa, a suo dire, Ia spiegazione
dell'estrema brevita delle sue composizioni. Nessuno poteva met-
tere in dubbio la purezza del suo cuore. Ma nelle sue modeste
composizioni non ci si pub certo trovare malta musica.
Ci pub essere qualcosa neIl'ambizione di scrivere una grande
opera; e in eifetti questa ambizione puo avere un ruolo strumen-
tale nella creazione di una grande opera, anche se tante grandi
opere sana state prodotte senza che ci sia stata alcun'altra am-
bizione oltre a quella di far bene il proprio lavoro. Ma l'ambizione
di scrivere un'opera avanzata rispetto al proprio tempo e che con
tutta probabilita non sara compresa tanto presto - un'opera che
sconvolga piiI gente possibile -, questa ambizione nan ha niente
a che fare con l'arte, anche se molti critici d'arte hanno incorag-
giato e popolarizzato questa atteggiamento.
Le mode, a mio avviso, sono inevitabili tanto nel1'arte quanto
in molti altri campi. Ma dovrebbe essere a tutti evidente che
quei pochi artisti che non solo furono maestri nella lora arte,
rna ebbero anche il dono dell'originalita, e raro che si siano
preoccupati di seguire una moda, e giammai hanna cercato di
farsi banditori di una moda, Ne Johann Sebastian Bach ne Mo-
zart ne Schubert crearono una nuova moda 0 un nuovo «stile»
74
nella musica. Uno che 10 fece fu Carl Philipp Emanuel Bach,
un musicista esperto, dotato di talento e di fascino - rna di
minore originalitil. di invenzione rispetto ai grandi maestri. Questa
vale per tutte Ie mode, compresa quella del primitivismo - ben-
ebe il primitivismo possa essere in parte motivato dalla pre fe-
renza per Ia semplicita; ed una delle osservazioni piu acute di
Schopenhauer (anche se non e, forse, la pili originale) fu: « In
ogni arte ... la semplicita e essenziale ...; quantomeno e sempre pc-
ricoloso ignorarla» (l!2). Credo che egJi avesse in mente 10 sforzo
per raggiungere que! tipo di semplicita che riscontriamo soprat-
tutto nelle opere dei grandi compositori. Come possiamo vedere
dal Serraglio, ad esempio, l'esito finale puo essere compiesso;
ma Mozart poteva replicare orgogliosamente all'Imperatore Giu-
seppe che in quell'opera non c'era neanche una nota di troppo.
Ma sebbene Ie mode siano inevitabili. e se ancbe possono
emergere nuovi stili, noi dovremmo disprezzare i tentativi di
essere alIa moda. Dovrebbe essere chiaro che it «modemismo ~
- doe il desiderio di essere nuovi 0 differenti ad ogni casto, di
essere all'avanguardia rispetto al proprio tempo, di produrre
({ L'opera d'arte del futuro» (it titolo di un saggio di Wagner) -
non ha niente da spar tire con Ie cose che un artista dovrebbe ap-
prezzare e cercare di creare.
La storicismo neIl'arte e semplicemente un errore. Eppure
10 si trova dappertutto. Perfino in fila sofia si sente parlare di un
nuovo stile di filosofare, ovvero di una « filosofia in una nuova
chiave» - come se contasse Ia chiave, e non il motivo suo nato,
e come se contasse che la chiave sia nuova a vecchia.
E' ovvio cbe non biasimo un artista 0 un musicfsta per i1
semplice faUo che cerca di dire qualcosa di nuovo. Ouel che in
realta biasirno in tanti musicisti «( moderni» e il fatto che non
amino la grande music a ~ i grandi maestri e Ie lora opere pro·
digiose, forse Ie opere piu sublirni che l'uomo abbia mai pro·
dotte.

15. Gli ultimi anni di Universita

Nel 1925, al tempo in cui era impegnato nell'assistenza ai


bambini abbandonati, la citta di VielUla fondo un nuovo istituto
di pedagogia, detto appunto Istituto Pedagogico. L'Istituto do·

75
veva esscre legato, in una certa misura, all'Universita. Avrebbe
dovuto essere autonomo, rna gli studenti dovevano frequent are
dei corsi aU'Universita in aggiunta ai corsi da svolgersi ncll'Isti-
tuto. Alcuni corsi dell'Universita (come ad esempio la psicologia)
erano obbligatori per l'Istituto, alt1'i invece erano lasciati alIa
scelta degli studenti. Lo scopo del nuovo Istituto era di promuo-
vere e incoraggiare la riforma, che in que! periodo andava pren-
dendo pie de, delle senole primaria e secondaIia a Vienna, e ve-
nivano ammessi come studenti anehe alcuni assistenti sociali.
10 fui tra questi, insieme ad alcuni miei amici - Fritz Kolb, il
quale dopa la Second a Guerra Mondiale Eu ambasciatore dell' Au-
stria nel Pakistan, e Robert Lammer, cou .entrambi i quali ho
avuto il piaccre di intrattenermi in tante discussioni affascinanti.
Cio significa che dopo aver laVOl"ato per un breve periodo
come assistenti sociali dovemmo abbandonare il n05tro lavoro
(senza sussidio di disoccupazionc e sellza alc.un altro reddito -
se si eccettua, nel mio caso, it ricavato delle occasionali lezioni
private a studenti americani). Ma noi eravamo entusiastici della
riforma scolastica, ed eravarno entusiastici dello studio - anche
se l'esperienza che avevamo fatto coi bambini abbandonati aveva
reso alcuni di noi 5cettici nei confronti delle teorie pedagogiche
che dovevarno sorbirci in forti dosi. Queste teorie erano per 10
piu importante dall'AmeIica (Jo1m Dewey) e dalla Gennania (Georg
Kerschensteiner) .
Da un punto di vista persona Ie e intellettuale gli anni tra-
scorsi all'Istituto furono per me estremarnente importanti, per-
che fu n che incontrai cold che sarebbe stata mia moglie. Era
una mia campagna di studi e sarebbe divcnuta uno dei piiI se-
veri giudici del mio lavoro. Fin da a110ra eIln ha avuto neI mio
1avoro una parte almeno altrettanto attiva della mia. Senza di
lei, infatti, molto di cib che ho faUo non sarcbbe mai state
realizzato.
I miei anni all'Istituto Pedagogico furono anni di studio,
anni dedicati aIla Iettura e aHo scrivere - ma non alle pubblic.a-
zioni. Furono i miei primi anni di insegnamento accademico (in
forma assolutamente non ufficiale) ..Nell'alTO eli questi anni tenni
dei seminari per un gruppo di compagni di studio Benche aHora
non me ne rendessi conto, erano buoni seminari. Alcuni di questi
era no del tutto informali, e avevano luogo durante Ie escursioni,
o quando andavamo a sciare 0 a trascorrere la giornata su una
isola del Danubio. Dai miei docenti all'Istituto imparai ben poco,
ma imparai molto da Karl Biihler, professore di psicologia ai-
l'Universita. (Benche gli studenti dell'Istituto Pedagogico seguis-

76
sero Ie sue lezioni, egli non insegno in questo istituto, ne vi ebbe
alcun incarico).
Oltre ai seminari. tenevo anche delle lezioni, in forma asso-
lutamente non officiale, per preparare i miei compagni di studio
ad alcuni degli innumerevoli esami che dovevamo sostenere. tra
cui gli esami di psicologia con BUhler. Dopo gJi esami egli mi
disse (in quello che fu i1 mio primo colloquio privato con un
professore universitario) che questo era stato it gruppo di stu-
denti meglio preparati che avesse rnai esaminati. Solo di recente
BUhler era state chiamato a Vienna per insegnarvi psicologia, e
in que! periodo Ia sua fama era Iegata soprattutto al libro Lo svi-
luppo mentale del bambino (83). Era stato anche uno dei primi
psicologi della Gestalt. Fu della massima importanza per i succes-
sivi sviluppi del mio pensiero la sua teoria dei tre livelli delle
fumioni del linguaggio (di cui ho gia fatto cenno nella nota 78):
la funzione espressiva (Kundgabe.tunktion) , Ia funzione di se-
gnalazione 0 di stimolazione (Auslosefunktion). e, a un Hvello
piil alto, Ia funzione descrittiva (Darstellungsfunktion) , Egli spie-
gava che Ie due funzioni inferiori erano comuni al linguaggio
umano e al linguaggio animale ed erano sempre presenti, mentre
Ia terza funzione era caratteristica del solo linguaggio umana e
in certi casi (come nelle escIamazioni) era assente perfino da
questo.
Questa teoria divenne per me importante per tante ragioni.
Confermo Ia mia opinione della vacuita. della teoria secondo Ia
quale l'arte e espressione di se. Piil tardi mi porto a concludere
che la teona secondo cui I'arte e {( comunicazione» (doe stimola-
zione) (M) era altrettanto vacua, per il fatto che queste due fun-
zioni erano banalmente presenti in tutti i linguaggi, anche nei
linguaggi animali. Cia mi porto a consolidare il mio approc-
cio «oggettivistico ». E mi condusse - anni dopo - ad aggiun-
gere aIle tre funzioni di BUhler quella che io chiarnai funzione
argomentativa (65). La funzione argomentativa del linguaggio di-
venne per me particolarmente importante, perche in essa vidi
Ia base di ogni pensiero critico.
Fu durante il secondo an no che trascorsi aU'Istituto Peda-
gogico che incontrai il professore Heinrich Gomperz, al quale mi
aveva introdotto Karl Polanyi. Heinrich Gomperz era il figlio di
Theodor Gomperz (autore dei Pensatori greci, e amico e tradutto-
re di John Stuart Mill). Anch'egJi, come il padre, era un eccellen-
te grecista, e si interessava molto all'epistemologia. Era solo i1
secondo filosofo di professione che incontravo e it primo profes-
sore universitario di filosofia. Prima di lui avevo incontrato Julius
Kraft (di Hannover, mio lontano parente e discepolo di Leonard

77
Nelson) (116), il quale fu successivamente professore di filosofia
e sociologia a Francoforte; In mia amicizia con lui duro fino alIa
sua morte nel 1960 (81).
Julius Kraft, aIlo stesso modo di Leonard Nelson, era un
socialista non-marxista, e quasi la meta delle nostre discussioni,
che spesso si protraevano fino alle ore piccole del mattina, ave·
vano come oggetto la mia critica di Marx. L'altra meta verteva
sulla teoria della conoscenza, soprattutto la cosiddetta « dedu-
zione trascendentale l> di Kant (che io consideravo come una pe-
tizione di principio), la sua soluzione delle antinomie, e 1a «1m·
possibilita della teoria della conoscenza ~ di Nelson (M). SU que·
st'ultima combattemmo una dura battaglia, che si protrasse dar
1926 a1 1956, e non riuscimmo ad avvicinarci ad un accordo se
non pochi anni prima della sua morte prematura nel 1960. Sui
marxismo, invece, raggiungemmo l'accordo assai presto.
Heinrich Gomperz fu sempre paziente con me. Aveva la fa·
rna di essere caustico e ironico, ma io non vidi mai alcunche di
simile. Riusciva ad essere molto brillante, invece, quando raccon·
tava dei fatterelli che avevano per protagonisti alcuni dei suoi
famosi colleghi, come Brentano e Mach. Ogni tanto mi invitava
a casa sua, e mi lasciava parlare.. Generalmente gli portavo a
leggere dei manoscritti, rna faceva pochi commenti. Non e·ra mai
critico nei confronti di cio che io potevo dire, rna spessissimo
richiamava la mia attenzione su opinioni affini e su libri ed ard-
coli che trattavano 10 stesso argomento. Non mi disse mai di
aver trovato interessante quel che io avevo detto, e cio fino al
giorno in cui gli diedi, alcuni anni dopa, i1 manoscritto del mia
primo libro (tuttora inedito - v. appresso, sezione 16). Allora
(nel dicembre 1932) mi scrisse una lettera assai lusinghiera, Ia
prima che abbia mai ricevuto a proposito di qualcosa scritto
da me.
Lessi tutti i suoi seritti, assai rilevanti per il loro approccio
storieD: poteva seguire un problema storico attraverso tutte Ie
sue vicissitudini da Eraelito a HusserI e (almeno nelle conver-
sazioni) fino a Otto Weininger, che egli aveva conosciuto perso-
nalmente e che considerava quasi un genio. Non eravamo d'ac-
corda riguardo alla psicoanalisi. In quel tempo egli ci eredeva e
perfino scriveva per Imago.
I problemi che discutevo con Gomperz appartenevano alla
psicologia della conoscenza 0 dena scoperta. Fu precisamente in
questo periodo che tali problemi si andarono trasformando in pro-
blemi di logica della scoperta. 10 reagivo in modo sempre pill
energico contro qualsiasi approccio «psicologistico », incluso 10
psicologisrno di Gomperz.

78
Anche Gomperz aveva criticato 10 psicologismo - rna solo
per ricaderci (89). Fu soprattutto nelle discussioni con lui che io
cominciai a consolidare il mio realismo, Ia mia convinzione che
esiste un mondo reale, e che il problema della conoscenza e il
problema di come scoprire questo mondo. Mi convinsi che, se
vogliamo argomentare su questa mondo, non possiamo partire
dalle nostre esperienze sensoriali (ad anche dai nostri sentimenti,
come voleva Ia sua teoria) senza cadere nelle trappole della psi-
cologismo, deU'idealismo, del positivismo, del fenomenismo, e
perfino del solipsismo - tutte concezioni ehe mi rifiutavo di pren-
dere in seria considerazione. 11 mio sensa di responsabilita so-
dale mi diceva che i1 prendere suI serio questi problemi era
una specie dt tradimento degli intellettuali - e uno spreeo del
tempo che avremmo dovuto dedicare ai problemi realL
Siccome ero autorizzato a frequentare il laboratorio di psi-
cologia, ne approfittai per fare alcuni esperimenti, i quali mi con-
vinsero presto che i dati sensoriali, Ie idee «semplici» 0 Ie im-
pressioni semplici, ed altre cose di questa genere, non esiste-
vano: erano fittizie - invenzioni che si basavano su tentativi non
riuscit.i di trasferire l'atamismo (0 logica aristotelica - vedi ap-
presso) dalla iisica alIa psicologia. Anche i fautod della psico-
logia della Gestalt avevano assunto una posizione critica: ma io
ero persuaso che Ie lora opinioni non fossero abbastanza radi-
cali. Trovai rhe Ie mie idee erano molto simili a quelle di Oswald
Kiilpe e della sua Scuola (Ia Scuola di Wiirzburg), specialmente
di BUhler (90) e Otto Selz (91). Secondo questi studiosi, noi non
pensiamo per immagini, rna per problemi e tentativi di risol-
verli. L'aver scoperto che alcuni dei miei risultati erano stati
anticipati, soprattutto da Otto Selz, fu, cosl ritengo, uno dei mot i-
vi secondari che mi spinsero ad allontananni daUa psicologia.
L'abbandono della psicologia della scoperta e del pensiero,
alia quale per anni mi era de dicato , fu un lungo processo che
culmina nella seguente idea: trovai che Ia psicologia associazio-
nistica - Ia psicologia di Locke, Berkeley e Hume - aItro non era
che una traduzione in termini psicologici della logica aristotelica
di soggetto-predicato.
La logica aristotelica studia delle proposizioni come « Gli
uomini sono mortali ». Qui si hanno due « termini» e una «ca-
pula» che Ii congiunge 0 associa_ Traduciamolo in termini psico-
logid, e allora diremo che il pensare consiste nell'avere delle
«idee» di uomo e di mortalita « associate»_ Basta leggere Locke
tenendo presente questo fauo per vedere come cib e accaduto:
i suoi assunti principali sana Ia validita della logica aristotelica

79
e il fatto che questa descrive i nostri processi soggettivi, psico-
logici, di pensiero. Ma la Iogica di soggetto-predicato e una cos a
assai primitiva. (La si puo considerare come I'interpretazione di
un piccolo frammento di una teoria ingenua degli insiemi). E' in-
credibile che tutti debbano aneora prenderla erroneamente per
psicologia empirica.
Un ulteriore passo mi fece vedere che il meccanismo della
traduzione di una dubbia dottrina logica in una presunta psico-
logia empirica era aneora operante, e presentava i suoi pericoli,
perfino in un pensatore di tanto spiceo come Buhler.
Nella Logica (92) di KiiIpe. infatti, che BUhler accettava ed
apprezzava moitissimo, Ie argomentazioni erano considerate come
giudizi compiessi (e cib e uno sbaglio. dal punta di vista della 10-
gica moderna) (93). Di conseguenza. non poteva darsi aicuna di-
stinzione reale tra giudizio e argornentazione. Un'ulteriore conse-
guenza era che la funzione descrittiva del linguaggio (che corri-
sponde ai «giudizi ») e Ia funzione argornentativa venivano ad es-
sere Ia stessa cosa. BUhler non riuscl quindi a vedel-e che queste
due funzioni potevano essere separate altrettanto chiaramente
quanto Ie tre funzioni del linguaggio che aveva gia distinto.
La funzione espressiva di Biihler poteva essere saparata dalla
sua funzione comunicativa (0 funzione segnaletica, 0 di stimola-
zione). che un ani male 0 un uomo potrebbe esprimersi anehe se
non vi fosse alcun «rieevente" da stimolare. La funzione espres-
siva e comunicativa insieme potevano essere distinte dalla fun-
zione descrittiva eli BUhler, giacche un anirnale 0 un uomo potreb-
bero comunicare la paura (ad esempio) senza descrivere I'oggetto
della paura. La funzione descrittiva (una funzione superiore. se-
condo BUhler, ed esclusiva dell'uomo). come aHora trovai. era chia-
ramente distinguibile dalla funzione argomentativa, per iI fatto che
esistono dei linguaggi, ad esempio Ie mappe, che sono descrit-
tivi rna non argomentativi (94). (Cio, per inciso, rende particolar-
mente infelice I'analogia che cornunemente si fa tra Ie mappe e
Ie teorie scientifiche. Le teorie sono essenzialmente sistemi argo-
mentativi di enunciati: i1 loro nueleo essenziale e data dal fatto
di spiegare deduttivamente_ Le mappe sono non-argomentative.
E' ovvio che ogni teoria e al tempo stesso descrittiva. come una
mappa - proprio perche, come ogni linguaggio descrittivo, anche
essa e comunicativa, in quanta puo far 51 che una persona agisca;
ed e anche espressiva, giacche e un sintomo della «stato» di
chi comunica - che potrebbe anehe essere un computer). C'era
quindi un secondo caso in cui un errore in logica porto ad un
errore in psicologia. in questo caso particolare Ia psicologia delle

80
disposizioni linguistiche e dei bisogni biologici innati sottesi agli
usi e ai prodotti del linguaggo umana.
Tutto questa stava a dimostrarmi la priorita della studio del-
la logica rispetto allo studio dei processi soggettivi di pensiero.
E mi rese estremamente sospettoso nei riguardi di tante teorie
psicologiche allora diffuse. Mi resi conto, ad esempio, che la
tcoria del riflesso condizionato era erronea. NOH esiste nulla di
simile a un riflesso condiz.ionato. I cani di Pavlov devono essere
interpretati quali eercatori eli invarianti nel campo dell'aequisi-
zione del cibo (un campo che e essenzialmente «plastico» 0,
in aItre parole, aperto all'indagine per prove ed errori), e quali
costruttari di aspettazioni 0 anticipazioni di eventi imminenti.
A cio si potrebbe anche dare il nome di ({ condizionamento »; rna
non si tratta di un rifles so formantesi in conseguenza del pro-
eesso di apprendimento: e piuttosto una seoperta (puo anche da.rsi
una scoperta non riuscita) di cia che si anticipa (95). Avvenne COSl
che anche i risultati apparentemente empirici di Pavlov, come
pure Ia riflessologia di Beehterev (%) e Ia gran parte dei risultati
della rnoderna teoria dell'apprendimento, fossero mal interpretati,
in questa luce, sotto I'influsso della logica aristotelica; Ia rifles-
sologia, infatti, e Ia teoria del condizionamento altro non erano che
Ia psicologia associazionistica tradotta in te~mini neurologici.
Nel 1928 presentai una tesi per il dottorato in filosofia. BencM
fosse, indirettamente, il risultato di anni di lavoro nel campo del-
la psicologia del pensiero e della scoperta, con questa tesi finivo
per allontananni dalla psicologia. Lasciavo incompiuta Ia mia
opera psicologica; di tante case che avevo scritto non avevo pili
nemmeno una copia decente. E la tesi, « 11 problema del metodo
nella psicologia del pensiero» (97), era una specie di lavoro fatto
in fretta e all'ultimo minuta, su un tema che era stato origina-
riamente inteso solo come introduzione metodologica al mio la-
voro in psicologia, e che ora risultava invece indicativo del mio
passaggio ana metodologia.
Non mi sentivo soddisfatto della mia tesi, e da aHora non
I'ho mill pill presa in mano. Non fui soddisfatto nemmeno dei
miei due esami « rigorosi» «< Rigorosum» era il nome ehe desi-
gnava gli esami orali pubblici per Ia laurea in filosofia), l'uno
di storia della musica, l'altro di filosofia e psicologia. BUhler,
col quare avel10 gia sostenuto l'esame in psicologia, non mi feee
neanche una domanda in questo campo, rna mi incoraggio a par-
lare delle mie idee sulla logica e la logica della scienza. Sehlick
mi esamino soprattutto sulla storia della filosofia, e andai tanto
male su Leibniz che pens avo di non aver sup erato l'esame. Non
riuscivo a credere alle mie orecchie quando mi dissero che avevo

81
sup erato entrambi gli esami col massimo dei voti, «einstimmig
mit .4.ttszeichnung». Ne fui sollevato e felice, naturalmente, rna
mi ci volle parecchio tempo per togliermi dalla testa il pensiero
che avrei meritato di essere bocciato.

16. La teoria della conoscenza:


«Logik der Forschung »

Mi Iaureai in filosofia nel 1928, e nel 1929 mi abilitai all'in-


segnamento della matematica e della fisica neUe scuole secon-
darie (inferiori). Per questo esame di abilitazione scrissi una
tesi sui problemi dell'assiomatica in geometria, che comprendeva
anche un capitola sulla geometria non·euclidea.
Fu solo dopa il mio esame di laurea che tirai Ie somme e
diedi un ordine aIle mie precedenti idee. eapii perche l'errata
teoria della scienza che aveva prevalso fin dai tempi di Bacone
- Ia teoria secondo la quale Ie scienze naturali sono Ie scienze
induttive, e I'induzione e un processo di costituzione a di giu-
stificazione delle teo ric mediante reiterate osservazioni 0 espe-
rimenti - fosse COS! profondamente radicata. La ragione era che
gli scienziati dovevano demarcare Ie lora attivita rispetto ana
pseudoscienz3, come pure rispetto alIa teologia e ana metafisica,
e a tal fine avcvano assunto da Bacone il metoda induttivo come
criterio di demarcazione. (D'altro canto, essi si preoccupavano
di giustificare Ie lora teorie appellandosi a fonti di conoscenza
che avessero un'attendibilita paragonabile a queUa delle fonti del-
Ia religione). Ma io per molti anni avevo avuto in mana un mi-
glior criterio di demarcazione: La controllabilita 0 falsicabilita.
In questa modo potcvo scar tare I'induzione, senza tuttavia"
mettermi nei pasticci riguardo alIa demarcazione. E potevo ap-
plicaTe i miei risultati sui metoda della prova e dell'errore in
modo tale da rimpiazzare l'intera metodologia induttiva con una
metodologia deduttiva. La falsificazione 0 confutazione delle teo-
ric attraverso la falsificazione 0 confutazione delle loro conse·
guenze dcdutttve era chiaramente un'inferenza dcduttiva (modus
to/lens). Secondo questo modo di vedere, le teorie scientifiche,
se non sonG falsificate, rimangono sempre ipotesi 0 congetture.
Si chiari COS! tutta i1 problema del metodo scicntifico, e
con questo il problema del progresso s cienti fico. 11 progresso

82
veniva a consistere in un movimento verso teorie che ci dicono
sempre di pill - tearie che hanna un sempre maggior contenuto.
Ma quanta piu una teoria dice, tanto pill esclude 0 proibisce, e
tanto maggiori sona Ie passibilita di falsificarla. COSl una teoria
che ha maggior contenuto e anche una teoria che puo essere
sottoposta ad una prova pill severa. Questa considerazione mi
porto ad una teoria secondo 1a quale il pragressa scientifico nOn
consiste nell'accumu1azione di osservazioni, ma bensl nell'elimi-
nazione delle teorie meno buone e nella 10ro sostituzione con
teorie migliori, in partico1are can teorie c.he abbiano un conte·
nuto maggiore. Si trattava quindi di una concarrenza fra teorie
- una specie di danviniana lotta per la sopravvivenza.
E' ovvio che Ie teorie, dal momenta che diciamo che non
sono nient'altro che congetture 0 ipotesi, non hanno bisogno di
a1cuna giustificazione (e meno che mai di una giustificazione me--
diante un incsistente « metada dell'induzione", di cui nessuno
ha mai dato una descrizione attendibile). Alle volte, tuttavia, pos-
siamo indicare delle ragioni per cui preferiamo l'una aIle altre
fra Ie eongetture in concorrenza, aHa luce del lora esame cd-
tico (98).
Tutto cio era chiaI"issimo e, se COSl posso esprimermi, estre-
mamente coerente. Ma era assai diverso da quel che dicevano i
positivisti machiani e wittgensteiniani del Cireolo di Vienna. Ave-
vo sentito parlare del Circolo nel 1926 0 1927, prima in un arti-
colo di Otto Neurath e poi in una conferenza da lui tenuta ad un
gruppo giovanile dei socialdemocratici. (Fu questo l'unieo incon·
1ro di part ito a1 quale io abbia mai partecipato; 10 feci perche
conoscevo un pochino it Neurath, fin dal 1919 0 1920,. Avevo
letto Ie pubblicazioni programmatiche del Cireolo e del Ve1·ein
Ernst Mach; in particolare avevo letto un opuscolo del mio pro·
fessore, il matematico Hans Hahn. Ino1tre, qualche anna prima
di scrivere 1a mia tesi di laurea, avevo anche letto il Tractattls
di Wittgenstein e i libri eli Carnap man mano che venivano pub-
blicati.
Mi era chiaro che tutti qucsti studiosi stavano eercando un
criterio di demarcazione, non tanto tra scienza e pseudoscienza,
quanta piuttosto tra scienza e metafisica. E rni era chiaro che il
mio vecchio criteria di demarcazione era migliore del loro. In-
nanzitutto, infatti, essi cercavano di trovare un criterio che fa-
ocesse risultare 1a metafisica insensa ta, un nonsenso, un puro
?bilmcnte mettere nei pasticci, che Ie idee metafisiche sono spesso
>borbottio, e qualsiasi criterio di questo genere doveva inevita-
precorritrici di queUe scientifiche. In secondo luogo, la demar-
cazione mediante 1a contrapposizione di sensatezza e insensa·

83
tezza non faceva che spostare il problema, Come il Circo)o stesso
riconosceva, cio creava il bisogno di un altro criteria, di un
criterio per distinguere tra senso e mancam:a di sensa. A tal
fine avevano adottato la verificabilita, intesa come identica alia
provabilita mediante enundati osservabili. Ma questa non era
che un altro modo per affermare il vetusto criteria degli indutti-
visti; in realta non c'era diffcrenza alcuna tm Ie idee dcll'indu-
ziane e della verificazione. Ma secondo la mia tcoria, la scienza
non e induttiva; l'induzione era un mito che era stato scalzato
da Rume, (Un altro punta, di minore interesse, l'icanasciuta pili
tardi anche da Ayer, era 1a completa assurdita dell'usa della ve-
rificabilita come criteria di senso: come si potrebbe mai dire
che una teo ria e senza senso per il fatta ehc non la si e potuta
verificar'e? Non e forse necessaria cap ire una teoria aI fine di
giudicare se passu 0 no essere verificata? Ed e possibile che
una teoria comprensibile sia assalutamente senza senso?), Tutto
cio mi convinse che per ognuno dei lora problemi principali
io avevo risposte migliori - risposte pill coerenti - delle loro.
n fatto pili importante era forse che essi erano positivisti,
e quindi idealisti epistemoLogici nella tradizione Berkeley-Mach.
Naturalmente non anlluettevano di essere idealisti, Si deilnivano
«monisti neutrali ». Ma, a mio avviso, questa non era che un
altro nome per designare l'idealismo - e nei libri di Camap (99)
l'idealismo (ovvero, come Carnap 10 chiamava, iI solipsismo me-
todologico) era apertamente accettato come una specie di ipotesi
di lavoro.
Scrissi (senza pubbJieare) molte case su questi problemi.
studiando in modo assai minuzioso i libri di Carnap e Wittgen-
stein, Dal puma di vista che avevo raggiunto, questa mi risultava
pedettamente chiaro_ Conoscevo un solo uomo al Quale avrei
potuto esporre queste idee, e costui era Heinrich Gomperz. Ri-
guardo ad uno dei principali punti della mia posizione - che Ie
teorie scientifiehe restano sempre ipotesi 0 eongetture - egli
mi rinvio al libra di Alexis Meinonll daL titolo Ube1' /trll1ahmel1
(1902), che mi pan>e non solo essere pSicologistieo, ma che inoltre
supponesse, implicitamente - come fece Husser! nelle sue Ricer-
che logiche (Logische Untersuchungen, 1900, 1901) -, che Ie teorie
scientifiche sono vere. Per tanti anni fui convinto che La gente
incontrasse grande diffieolta nell'ammettere che Ie tearie, con-
siderate dal punta di vista logico, altro non sana che ipotesi.
L'opinione prevalente era ehe I.e ipotesi sono teorie non aneora
provate, e che Ie teorie sono ipotesi dimostrate, 0 stabilite_ Ed
anche colora che ammettevano it carattere ipotetico di tutte Ie
teorie eredevano che queste abbisognavano di una qualche giu.

84
stificazione; che, anche nel caso in cui non si poteva dimostrare
cite erano vere, la lora verita doveva esserc aitamcnte probabile.
L'elemento decisivo in tutto questo, il carattere ipotetico di
tutte Ie teorie scientifiche, mi appariva chiaramente come una
conseguenza del tutto naturale della rivoluzione einsteiniana, cite
aveva dimostrato che nemmeno una tcoria controllata col massi-
mo successo, come la tcoria di Newton, poteva essere considerata
piu cite un'ipotcsi, un'approssimazione alla verita.
In rapporto alia mia adozione del dcduttivisma - l'idea che
Je teorie sono sistemi ipotetico-deduttivi, e cite il metoda della
scienza non e induttivo -, Gomperz mi rinvio al professor Victor
Kraft, membro del Circolo di Vienna e aut are di un libro su Le
forme basilari del m.etodo scientifico (100)_ Questo libro offriva una
descrizione molto apprezzabile di una serie di metodi effettiva-
mente usati nella scienza, e dimostrava che almena alcuni di questi
metodi non crano induttivi, rna deduttivi - ipotetico-deduttivi.
Gomperz mi presento a Victor Kraft (nessuna parentela con Julius
Kraft), e COS! potei incontrarlo varie volte nel Vollcsgarten, un
parco nei pressi dell'Univershu. Victor Kraft fu il primo del
membri del Circolo di Vienna che incontrai (a menu che io non
eonsideri tale anehe Zilsel, it quale, ad avviso di Feigl (101) non
era membro del Cireolo)_ Egli era ben disposto a prestare la
massima attenzione aIle mie eritiche al Circolo - piu di quasi
tutti gli aitri membri del Cireol0 ('oi quali in seguito mi incontrai.
Ma ricordo bene quanto restasse colpito allorche gli predissi che
la filosofia del Circolo si sarebbe sviluppata in una nuova forma
di scolasticismo e di verbalismo. Credo che questa profezia si
sia avverata. Alludo all'idea programmatica secondo la quale il
compito della filosofia consiste nella «chiarificazione dei con-
cetti ». .
Nel 1929 0 1930 (in quest'ultimo anna ebbi, finalmente, un in-
carico di insegnamento nella seuola secondaria) incontrai un al-
tro membro del Circolo di Vienna, Herbert Feigl (102). Questo in-
contro, combinato da mio zio Walter Schiff, professore di stati-
stica e di economia all'VniversiHl di Vienna, il quale sapeva dei
miei interessi filosofici, Ell decisivo per tutta Ia mia vita_ Gia
prima roi ero sentito incoraggiato dall'interessamento dimostra-
tomi da Julius Kraft, Gomperz e Victor Kraft. Ma sebbene questi
sapessero che avevo scritto molti saggi (non pubblicati) (100), nes-
sunG di lora mi aveva ineoraggiato a pubblicare Ie mie idee.
Gomperz, anzi, mi aveva impressionato dicendorni che il dare alle
stampe una qualsiasi idea filosofica era un'irnpresa disperata-
mente diiIicile. (I tempi sono cambiati). Ne era una prova it
fatto che il grande libro di Victor Kraft sui metodi della scienza

85
era stato pubblicato solo grazie a un finanziamento straordinario.
Ma Herbert Feigl, nel corso del nostro colloquia durato tutta
Ia notte, mi disse che non solo trovava intercssanti Ie mle idee,
quasi rivoluzionarie, rna anche che avrei dovuto pubblicarle in
forma di libro (10.1).
Non mi era mai capiLato di scrivere un libra. Le mie idee Ie
ave-vo sviluppate per puro interesse ai problemi, e qualcuna
l'avevo poi mess a per iscritto per mio usa personale, giacche ri-
tenevo che qu(:;sto modo eli fare non solo portava aIIa chiarezza,
rna era anche necessaria per I'autocritica. In quel periodo mi
consideravo un kantiano non ortadosso e un realista (105). Am-
mettevo, con l'idcalisl1lo, che Ie nostre tcorie vengono prodotte
attivamente dalle nostre menti e non sana impresse in noi dalla
realta, e chc Ie tcorie trasccndono Ia nostra «esperieDZa»); ma
sottolincavo che una falsificazione potcva esscre uno scontro
frontale can la renIta. InoItre interpretavo 1a dottrina kantiana
dcll'impossibilWt di conoscere Ie case in se come dottrina ri-
spondente al carattere ipotetico delle Dostre teorie. Mi ritenevo
kaniiano anche in etica. E in quel pcriodo ero solito pensare
cbe la min critica al Circolo di Vienna fosse il semplice risultato
della lettura di Kant e del fatto di aver capito a1cuni punti im-
portanti della sua dottrina.
Credo che scnza I'incoraggiamento di Herbert Feigl difficil-
mente avrei mai scritto un libra. Scrivere un libra non 5i into-
nava al mio modo di viverc nc col mio atteggiamento nei miei
rigl.lardi. Non era proprio sicuro che qucl che interessava me
fosse abbastanza interessante anche per gli aItri. Nessuno, inol-
tre, mi incoraggib pitt dopo che Feigl parti per l'Americn. Gam-
perz, al quale raccontai la storia del mio eccitante incontro can
Feigl, decisamente mi scoraggib, e la stessa cosa fece mio padre,
iI quale temeva che tutto questa sarebbe finito col farmi diventare
un giornalista. Mia moglie 5i oppose all'idea perclH~ voleva che io
llsassi t1..1tto i1 tempo lib era per andarc a sci are e a fare deU'alpi-
nismo can lei - cose che a noi due piacevano moltissimo. Ma una
volta che cominciai a lavorare al libro, ella imparo a scrivere a
mac china e mi ha dattiloscritto pill volte tutto db che da aHora
ho scritto. (Io non sono mai riuscito a fare alcunche a macchi-
na, perche sana solito fare moltissime correzioni).
II libra chc scrissi era dedicate a due problemi - i problemi
dell'induzione e della demarcazione - e aHa lora interrelazione.
Lo intitolai percio I due problemi fondamentali detla teoria della
conoscenza (Die beillen Gnmdproblefne der Erkenntn.ist11eorie),
che ricordava it thole di un'opera di Schopenhauer (Die beiden
Grundprobleme del' Erhik).

86
Non appena mi trovai con alcuni capitoIi dattiloscritti, Ii
sottoposi al mio amico e gia coHega all'lstituto Pedagogico,
Robert Lammer. Questi era il lettore pili coscienzioso e critico
nel quale mi sia mai imbattuto: egli esprimeva Ie sue riserve
su ogni punto che non trovava chiaro e cristallino, su ogni la-
cuna neU'argomentazione, su ogni conc1usione che avevo lasciato
in termini vaghi. La prima stesura l'avevo scritta molto in fretta,
rna grazie a quel che appresi dalle insistenti critiche di Lammer
non scrissi pili nulla affrettatamente. Imparai anche a non difen-
dere mai qualche cosa che avevo seritto daU'accusa di non essere
sufficientemente chiara. Se un lettore coscienzioso trova che un
passaggio e oseuro, questo deve essere riscritto. COSl mi feci l'abi-
tudine di scrivere e risc"dvere continuamente, chiarificando e
semplificando sempre di piu. Credo di dovere questa abitudine
quasi interamente a Robert Lammer. 10 scrivo, per dir cosi,
come se avessi scmpre qualcuno alle spalle che mi guarda e conti-
nuamente mi indica dei passi che non sono chiari. Naturalmente
so benissimo che non si pub mai prevenire ogni possibile malin-
teso; rna credo che sia possibile evitare alcuni malintesi, supposto
che i lettori vogliano capire.
In precedenza, grazie a Lammer, aveva jllcantrato Franz Urbach
un fisico sperimentaie che lavorava all'Istituto di ricerche suI radio
presso I'Universita di Vienna. Avevamo molti interessi in comune
(e tra questi Ia musicaL ed egli mi incoraggio molto. 1noltre mi
presento a F.ritz Waismann, il quale era stato il primo a formulare
il famoso criterjo di significato col quale it Circolo di Vienna si era
identificato per tanti anni - it criteria verificazionistico di signi-
ficato. Waismann espresse un notevole interesse per Ie mie critiche.
Credo che fosse per sua iniziativa che io ricevetti il mio primo
invito a leggere a1cuni saggi che criticavano Ie vedute del Circolo
in alcuni dei gruppi « epiciclici» che, per cosl dire, gli facevano
corona.
n Circolo stesso, a quanto mi fu data di capire, era il semina-
rio privato di Schlick e si teneva il giovedl sera. Ereno membri
del Circolo soltanto quelIi che Schlick aveva invitato a parteci-
parvi. 10 non fui mai invitato, e mai sollecitai un invito (106). Ma
c'erano anche aItri gruppi, che si riunivano negli appartamenti di
Victor Kraft 0 di Edgar Zilsel, e altrove; e c'era anche i1 famoso
«mathematisches Colloquium» di Karl Menger. Alcuni di questi
gruppi, dei quali nenuneno sapevo che esistessero, mi invitarono a
presentare le mie critiche aIle dottrine centrali del Circolo di
Vienna. Fu neU'appartamento di Edgar Zilsel, in una stanza affol·
lata, che lessi per la prima volta un mio saggio. Ricordo ancora
il panico di quel debutto.

87
In alcuni di questi primi discorsi trattai anche problemi con-
nessi alla teoria de1la probabiIita. Fra tutte Ie interpretazioni esi-
stenti trovai che Ia pin convincente era Ia cosiddetta (' interpreta-
zione fl'equenziale", e Ia forma pili soddisfacente di questa mi
sembrava che fosse guella di Richard von Mises. Ma restavano an-
cora aperti tanti prablemi difficili, specialmcnte se si guardava Ia
cosa da! punta di vista che gli emmciati sulla probabilita sono ipo-
test. La questione ccntmle eI'a aHora questa: tali ipotesi 50110 pro-
vabili? Cercai di esan1inare questa cd aItre questioni sl1ssidiarie,
e da allora ho fatto divel'si tentativi di migIioraL'e Ia rnia trattazio-
ne delle medesime (101). (Alcuni studi relativi ad esse sono tuttora
inediti),
Alcuni membri del Circolo, che erano intervenuti a tali in-
contri, mi invitarono a discutere can lora personalmente questi
punti. Erano fra costow Hans Hahn, Ie cui lezioni avevano lasciato
in me una prafonda irnpressione, Philipp Frank e Richard von
Mises (in occasione delle loro frequenti visite a Vienna). Hans
Thirring, il fisico teorico, rni invito a parlare nel suo seminario; e
Karl Menger mi invito a diventare membro del suo colloquium.
Fu Karl Menger (al quale avevo chiesto consiglio sull'argomento)
a suggerimli che avrei davuto tentare di applicare Ia sua teoria
della dimensione al confronto dei gradi di controllabilita.
All'inizio del 1932 completai queUo che allora consideravo co-
me il primo volume de I due problemi fondumentali della teoria
della conoscem..a. Fin da principio era statu concepito in Iarga
misura come una discussione critica e una correzione delle dottri-
ne del Circolo eIi Vienna; lunghi capitoli erano dedicati anclle alIa
critica di Kant e di Fries. Il libro, tuttora inedito, fu letto prima
da Feigl e poi da Carnap, Schlick, Frank, Hahn, Neurath e da altri
membri del Circolo; ed anche da Gomperz.
Nel 1933 Schlick e Frank accettarono il libro per Ia sua pub-
blicazione nella callana Schriftel1 ZU1' wissenschaftlichen Weltauf-
!assung, di cui erano i curatori, (Questa era una collana di libri
scritti in massima parte dai membri del Circolo di Vienna), Ma
l'editore, Springer. insistette che il libra doveva essere radicalmen-
te accorciato. Al tempo in cui il libro fu accettato, io avevo sedtto
quasi tutto il secondo volume. Cib vole va dire che nel numero di
pagine che l'editore era disposto a pubblical'e avrebbe potuto 1ro-
var posto poco piiI che un abbozzo della mia opera. D'accordo
con Schlick e Frank, presentai un nuovo manoscritto, che consta-
va di estratti da entrambi i volumi. Ma anche questo manoscritto
fu respinto dall'editore, perche troppo lungo. Insisteva per un mas-
simo di quindici sedicesimi (duecentoquaranta pagine). L'estratto
definitivo - finalmente pubblicato come Logik der Forschung - fu
preparato da mio zio Walter Schiff, it quale taglio senza pieHl quasi

88
la meta del testo lOB. Non credo che, dopo aver cercato con tutte
Ie forze di esser chiaro ed esplicito, avrei potuto fare da me una
casa simile.
E' per me difficile presentare qui una sintesi della sintesi che
divenne it mio primo libro pubblicato. Ma ci sana un paio di punti
di cui vogiio parlare. II libro intendeva offrire una teo ria della
conoscenza e, al tempo stesso, doveva essere un trattato sul me-
toda - il metoda della scienza. Questa combinazione era possibile
perche io vedevo la conoscenza umana come consistente nelle no-
stre teorie, nelle nostre ipotesi, nelle nostre congetture, cioe come
il prodotto delle nostre attivita intellettuali. Naturalmente c'e an-
che un aItro modo di considerare Ia «conoscenza »: possiamo con-
siderare la « conoscenza» come uno «stato mentale)) soggettivQ,
come uno statu soggettivo di un organismo. Ma io scelsi ill trat-
tarla come un sistema di enunciati - teorie sottoposte a discus-
sione. In questa senso, la «conoscenza» e oggettiva: ed e ipote-
tiea 0 congetturale.
Questo modo di considerare la conoscenza mi permise di ri-
formulare il problema dell'induzione di Hume. In questa riformu-
lazione oggettiva il problema dell'induzione non e piu un proble-
ma delle nostre credenze - ovvero della razionalita delle nostre
credenze -, rna e un problema della relazione logica tra enuncia-
ti singolari (descrizioni di fatti singoli «osservabili ») e teorie
universali.
In questa forma diviene possibile risol1Jere il problema dell'in-
duzione (109): non c'e induzione alcuna, chIS Ie teorie universali non
sono deducibili dagli enunciati singolari. Ma tali teorie possono
essere confutate da enunciati singolari, giacche esse possono scon-
trarsi con descrizioni di fatti osservabili.
Possiamo parlare, inoltre, di teorie « migliori» e di teorie
« peggiori ", in senso oggettivo, ancor prima che Ie nostre teo-
rie vengano messe ana prova: Ie teorie migliori sono quelle che
hanno un maggior contenuto e un maggior potere esplicativo
(l'uno e l'altro in relazione ai problemi che cerchiamo di risoI-
vere). E queste, come dimostravo, sono anche Ie teorie meglio
controllabili; e - se superano Ie prove - sono anche Ie teorie me-
glio provate.
Questa soluzione del problema deIl'induzione da origine ad
una nuova teoria del metoda della scienza, ad un'analisi del me-
todD cr-itico, del metoda della prova e dell'errore: i1 metoda che
consiste net proporre ipotesi audaci, esponendole aHa critica pin
severa, a1 fine di seoprire in che punto abbiamo sbagliato.
Dal punto di "ista di questa metodologia, Ia nostra indagine
comincia coi problemi. Noi ci troviamo sempre in certe situa-
zioni problematiche; e scegliamo un problema che speriamo di

89
poter riuscire a risolvere. La soluzione, sempre a titolo di prova,
consiste in una teoria, in un'ipotesi, in una congettura. Le varie
teorie in concarrenza vengono messe fra lora a confronto ed esa-
minate criticamente, al fine di scoprire i loro punti deboli; e i
risultati sempre cangianti, sernpre inconclusivi, della discussione
critica costituiscono queUa che potremmo chiamare « la scienza
del giorno ».
Dunque Hon c'e induziotle alcuna: non passiamo mai dai fatti
alle teorie se non per il tramite della confutazione a «falsificazio-
ne ». Questa concezione della scienza potrebbe essere definita se-
lettiva, darwiniana. Al contrario, Ie teorie del metoda che affer-
mana che noi procediamo per induzione, 0 che pongono l'accento
sull~yeritica;il)ne Jinvece che s~I~.talsiticaziqne.)Jono tipicamen-
te Iamarckiane: mettono in risalto l'istruzione da parte dell'am·
biente piuttosto che Ia se1ezione operata dall'ambiente.
Si potrebbe anche accennare a1 fatto (anche se questa non era
una tesi di Logik der Forschung) che la soluzione proposta del
problema dell'induzione indica al tempo stesso Ia via per risolvere
un problema pili vecchio - il problema della razianalita delle no-
stre credenze. Anzitutto, infatti, all'idea di credenza possiamo 50-
stituire quella di azione; e possiamo dire che Ie azioni (0 inazioni)
sono « razionali » se vengono condotte in armonia can 10 stato della
discussione scientifica critica prevalente al tempo in cui hanna
luogo. II miglior sinonimo di « razionale» e «critico». (La cre-
denza, ovviamente, non e mai razionaIe; razionale e Ia sospensione
della credenza; v. nota 266).
La mia saluzione del problema dell'induzione e stata larga-
mente fraintesa. Su cia dira di piu nelle mie Replies to my
Critics (l09a).

17. Chi ha UCCISO il positivismo logico?

Il positivismo logico, dunque, e marta, 0 cosi morto come


mai accade ad un movimento filosofico. JOHN PASSMORE (110)

Dato il modo in cui ebbe ongme, it mio libra Logik der F01"-
schung, pubblicato suI finire del 1934, era in parte progettato in
forma di critica del positivismo. E cib al pari del precedente mia
libro inedito del 1932 e la mia breve lettera ai direttori di Erkennt-

90
nis, neI 1933 (Il!). Per il [atta che in quel tempo la mia posizione ve-
niva ampiamente discussa dai membri pill rappresentativi del Cir·
colo e, inoltre, per il fatto che illibro venne pubblicato in una col-
lana essenzialmente positivistica diretta da Frank e Schlick, que-
sta situaziane della Logik der Forschung ebbe alcune canseguenze
curiose. Una di queste conseguenze fu che, fmo all'edizione ingle-
se del 1959 come The Logic of Scientific Discovery, sembra che
in Inghilterra e in America i filosofi (con solo poche eccezioni,
COme J.R. Weinberg) (112) mi abbiano preso per un positivista 10-
gico, 0 a1 massimo per un positivista logico dissidente che aveva
sostituito 1a verificabilita con 1a falsificabilita (m). Perfino alcuni
dcgli stessi positivisti logici, ricordando che il libro era apparso
in questa collana, preferirona vedere in me un alleato piuttosto
che un critico (113.). Credevano di poter schivare Ie mie critiche
facendo poche concessioni - in un punta 0 in un altro, a se-
conda dei casi - e ricorrendo ad alcuni stratagemmi verbali (114).
(Si persuasero, ad esempio, che io avrei acconsentito a sostituire
La f~lsicabilita aHa verificabilita come criteria di significanza).
E poich6 io non portai fino in fonda il mio attacco (it combat-
tere il positivismo logieo non costituiva affatto per me un inte·
resse precipuo), i positivisti logici non si accorsero che il positi-
vismo logico era seriamente minac.eiato. Prima ed anehe dopo 1a
Seconda Guerra Mondiale continuarono ad apparire libri ed arti·
coli in cui si portava avanti questa metoda di concessioni e
piccoli arrangiamenti. Ma allora iL positivismo logico era gia mor-
to, in reaIta, da qualche anno.
Oggi tutti sanno che il positivismo logico e morto. Ma sembra
che nessuno sospetti che qui ci si pub porre una domanda - e Ia
domanda e questa: « Chi ne e it l'csponsabiIe? », 0, mcglio, c< Chi
1'ha ucciso? ». (L'eccellente articolo storico di Passmore [citato
alia nota 110] non pone questa domanda). Credo di dover am·
mettere la mia responsabiIita. Ma non 10 feci di proposito: la mia
unica intenziane era di mettere in luce quem che mi sembravano
alcuni errod fondamentali. Ben a ragione Passmore addebita Ia
dissoluzione del positivismo Iogieo aile insuperabili difficolth in-
terne. Molte di queste difficoIta erano state messe in risalto nelle
min conferenze e discussioni, e specialmentc nella mia Logik der
Forsc1'lUng (l!4a). Alcuni membri del Circolo erano convinti della
necessita di operare qualche eambiamento. II semc era quindi get·
tato, e a lungo andare porto aHa disintegrazione delle dottrine del
Circolo.
Ma la disintegrazione del Circoio prccedette quella delle sue
dottrine. II Circolo di Vienna era un'istituzione ammirevole. In
realta era un seminario unieo nel suo genere, un seminario di filo·
soft che lavoravano in stretta cooperazione can matematici e scien·

91
ziati di primo piano, vivarnente interessati ai problemi della logica
e dei fondamenti della matematica, e che attirarono due dei mas-
simi innovatori nel campo, come Kurt Gbdel e Alfred Tarski. La
sua dissoluzione fu una perdita gravissima. Personalmente ho un
debito di gratitudine verso aleuni dei suoi membri, specialmente
per Herbert Feigl, Victor Kraft e Karl Menger - per nOll parlare
di Philipp Frank e di Moritz Schlick, i quali avevanO accettato
it mio libro malgrado Ie critiche severe aile loro posizioni. Pu,
inoItre, indirettamente attraverso il Circol0 che incontrai Tarski,
la plima volta al Congresso di Praga nell'agosto 1934. quando
avevo can me Ie bozze della Logik der Forschung; poi a Vienna ne-
gli anni 1934-1935; e aneora a1 congresso di Parigi nel settembre
1935. E da Tarski credo di aver imparato piu che da chiunque
altro.
Ma do che forse maggiormente mi attrasse verso il Circolo
di Vienna fu «l'atteggiamento scientifico.,., ovvero, come oggi
preferisco chiamarIo, atteggiamento razionale. Questo fu formu-
lato meravigliosamente bene da Carnap negJi ultimi tre capoversi
della Prefazione alia prima edizione della prima delle sue grandi
opere, Der logische Aufbau der Welt. In Carnap ci sonG molte
cose ~mlle quali non sono d'accordo; ed anchc in questi tre capo-
versi ci sono delle cose che considero sbagliate. Anehe se con-
vengo con lui, infatti, che in quasi tutti i sistemi filosofici c'e qual-
cosa di « deprimente» (<< niederdriickelld,,), non credo perb che
sia la lora « pluralita» cio che si deve biasimare; e penso che sia
sbagliato pretendere l'eliminazione della metafisica, adducendo -
e questo e un altm sbaglio - Ie ragione ehe « Ie sue tesi non
possono essere giustificate razionalmente ». Ma sebbene la rei-
terata richiesta di "ginstificazione» da parte di Carnap fosse (e
10 e aneora), a mio modo di vedere. un grave sbaglio, in questa
contesto la cosa e quasi del tutto insignificante. Infatti Carnap
si fa qui paladino della razionalita, di una maggiore responsabi-
!ita intellettuale; ci chiede di imparare dal modo in cui procedono
i matematici e gli scienziati, e con questo modo di procedere mette
a confronto i metodi deprimenti dei filosofi: la loro pretenziosa
sapienza e 1a lora pretesa di conoscenza, chc ci presentano can un
minimo di argomento razionale, 0 critico.
E' in questo atteggiamento generale. nell'atteggiamento dell'H-
luminismo, e in questa visione critica della filosofia - di cilJ che
la filosofia sfortunatamente e e di cia che dovrebbe essere - che
mi sento ancora strettissimamente legato al Cireol0 di Vienna
e al suo padre spirituale, Bertrand Russell. Cia forse spiega per-
eh6 alcuni dei membri del Cireolo, come Carnap, roi abhiano ta-
lora considerato eome uno di lora ed abbiano pensato che io esa-
geravo Ie differenze rispetto a lora.

92
la, naturalmente, non ho mai inteso esagerare queste discrc-
panze. Scrivendo la mia Logik deT ForschutZg, speravo solo di pro-
vocare i miei amici ed oppositori positivisti. E non fui del tutto
senza successo. Quando, nell'estate del 1932, ci incontrammo Car-
nap, Feigl ed io nel Tirol0 (1l5), Carnap lesse il primo volume ine-
dito dei mlei Grundprobleme e, con rnia grande sorpresa, poco
tempo dopo pubblico un articolo in Erkennlnis, «Dber ProtokoIl-
satze» (116), in cui espose in modo particolareggiato, e con ampi
consensi, akune mje idee. Egli feee it punta sulla situazionc spie-
gando che - e perdu! - riteneva che quello che chiamava il mio
« procedimento» (<< Verfahren B ») fosse il migliore disponibile.
fino a quel momento, nella teoria della conoscenza. Questa pro-
cedimento era it metoda deduttiva del coHtrallo degli enuuciati
in tisica, tU1 metodo che considera tutti gli enuHciati, ancJw gli
stessi enunciati di controllo, come ipotetici a cOl1getturali, come
imbevuti di teoria. Camap aded a questa idea per lungo tem-
po (117), e cosi pure Hempel (liB). Le recensioni estremamente fa-
varevoli di CaTnap e Hempel aHa Logik der Forschtmg (119) fuwno
dei segni promettenti. come 10 furono, per un altro verso, gLi at-
tacchi di Reichenbach e Neurath (120).
Dato che all'inizio di questa sezione ho accennato all'articalo
di Passmore, mi sia consentito di dire qui che ritengo che la vera
causa della dissoluzione del Circolo di Vienna e del positivismo
logico non e data dai tanti suoi gravi errOli dottrinali (dei quali
nc ho messi molti in risalto), rna daUo scemare dell'interesse per
i grandi problemi: it concentrarsi sulle minu.tiae (sui « rompica-
pi ») e specialmente suI significato delle parole; in breve. il suo
scolasticismo. Questo fu il retaggio per i suoi successori, in In-
ghilterra e negli Statl Uniti.

18. Realismo e teoria quantistica

Benche la mia Logik deT Forschung possa essere apparsa a


certuni come una critica del Circolo di Vienna, i suoi principali
obiettivi erano di cat-attere positivo. 10 cercavo di proporre una
teoria deUa conoSCenza umana. Ma io vedevo l'umana conoscenza
in modo affatto diverso da come la vedevano i filasofi classici.
Giit fino a Uume e Mill e Mach. quasi tutti i filosofi hanno
preso Ia conoscenza umana come qualcosa di ben fissato.
Perfino Uurne, il quare pensava di essere uno scettico e scrisse

93
il Trattato nella speranza di rivoluzionare Ie scienze sociali, identi-
f1cava pressoche del tutto la conoscenza umana can abitudini
umane. La conoscenza umana era quel che quasi tutti sapevano:
che il gatto e sullo stuoino, che Giulio Cesare c stato assassinato,
che ['erba e verde. Tutto questo mi sembrava essere incredibiI-
mente insignificante. Interessante era invece 1a conoseenza pro·
blematica, la crescita della conoscenza - la scoperta.
Se vogliamo considerare Ia teoria della conoscenza come una
teoria della scoperta, alIora sara meglio prendere in considerazio-
ne la scoperta scienti/ica. Una teoria della crescita della conoseen-
za dovrebbe avere qualcosa da dire soprattutto sulla erescita della
fisica e sullo scontro di opinioni in fisica.
Al tempo (1930) in cui, incoraggiato da Herbert Feigl, coroin-
ciai a scrivere il mio libro, In fiska moderna era in fermento.
La meccanica quantistica era stata creata da Werner Heisenberg
nel 1925 (121); rna db accadde alcuni anni prima che i profani -
ed anehe a1cuni fisici di pro£essione - si rendessero canto che si
era andati malta a fondo. E fin dall'inizio ci fu dis sensa e eon-
fusione. I due massimi fisici, Einstein e Bohr, forse i piu grandi
pensatori del ventesimo secoIo, erano in disaccordo l'un can l'al·
tro. E alla morte di Einstein, nel 1955, illoro disaccordo era aItret-
tanto completo come 10 era stato all'incontro di Solvay nel 1927.
C'e un mito Iargamente diffuso, cioe che in questa disputa con
Einstein e stato Bohr a riportare In vittoria (112). E la maggior parte
dei fisici creativi crano dalla parte di Bohr e sottoscrivevano que-
sta mito. Ma due dei massimi fisici, de Broglie e Schri::idinger,
erano ben Iungi dall'essere soddisfatti delle opinioni di Bohr (dette
pili tardi «l'interpretazione di Copenhagen della meccanica quan·
tistica ») e proccdevana per vie indipendenti. E dopa Ia Second a
Guerra Mandiale vi furono parecchi seienziati di rilievo che dissen·
tirono dalla Seuoia di Copenhagen, in particolare Bohm, Bunge,
Lande, Margenau e Vigier.
Gli oppositori dell'interpretazione di Copenhagen sana ancor
oggi in una piccola minoranza, e Ie cose potrebbero anche restare
cos/.. Non vanna d'accordo fra Ioro. Ma si pub vedere un notevole
disaecordo anche in sena all'ortodossia di Copenhagen. Gli aderenti
a questa ortodossia non sembra che si accorgano di queste discre-
panze 0 quanta meno non pare che se ne preoceupino, corne sem-
bra ehe non si avvedana delle difficolta inerenti aIle lora conce-
zioni. Ma a quanti ne sonG al di fuori Ie llne e Ie altre appaiono
ben visibili.
Tutte queste osservazioni troppo superficiali saranno forse
in grado di spiegare perche io mi sentissi imbarazzato la prima
volta che cereai di capire qualcosa della meccanica quantitistica,
che aHora veniva spesso chiamata «la nuova teoria dei quanti b.

94
Lavoravo per conto mia, basandorni sui libri e sugH articoli; runi-
co fisico col quale ebbi talvolta l'occasione di parlare delle rnie
difficolta fu il mio arnico Franz Urbach. Cercai di capiJ'e la teo-
ria, rna egli dubitava che fosse possibile capirla - alrneno dai
sernplici mortalL
Corninciai a vedere un po' di luce quando mi resi conto del-
l'importanza dell'interpretazione statistica di Born della teoda.
All'inizio l'interpretazione di Born non mi piaceva; dal punta di
vista estetico rni attraeva l'interpretazione originale di Schrodin-
ger, che mi piaceva anche come spiegazione fattuale; rna una
volta acccrtato il fatto che questa era insostenibile, e che l'in-
terpretazione di Born aveva invece grande successo, rni nttac-
cai a quest'ultima, e COS! rni trovai irnbarazzato perche volevo
sapere come si pot esse sostenere l'interpretazione di Heisenberg
delle sue formule dell'indeterminazione, una volta accettata l'inter-
pretazione di Born. Sembrava evidente che, se la meccanica quan-
tistica doveva essere interpretata statisticamente, allo stesso modo
dovevano essere interpretate Ie formule di Heisenberg: dovevano
essere interpretate come relazioni di dispersione, vale a dire che
fissavano i limiti inferiori della dispersione statistica 0 i limiti
superiori dell'omogeneita di qualsiasi sequenza di esperimenti di
meccanica quantistica. Questo modo di vedere e ora largamente
accettato (m). (Dovrei chiarire, tuttavia, che all'inizio non sempre
riuscivo a distinguere chiaramente tra la dispersione dei dsultati
di una serie di esperimenti e la dispersione di una serie di parti-
celle in un esperimento; benche avessi trovato negli enunciati
{( formalmcnte singolari» di probabilita i mezzi per risolvere que-
sto problema, il problema stesso fu chiarito completamente solo
grazie all'idea delle propensioni) (124).
Un secondo problema della meccanica quantistica fu il famo-
so problema della «riduzione del pacco d'onda». Forse pochi sa-
rebbero disposti ad ammettere che questo problema fu ri501to nel
1934 neUa mia Logik der Forschlmg; eppure aJcuni fisici veramen-
te competenti hanno arnmesso che questa soJuzlone era esatta.
La soluzione proposta consiste nel sottolineare che Ie probalita che
ricorrono nella meccanica quantistica sono probabilitii relative
(0 probabilita condizionali) (115).
Questo secondo problema e connesso can quello che era forse
il punto centrale delle mie riflessioni - una congettura che diven-
ne poi una convinzione, cioe che i problemi dell'interpretazione
della meccanica quantistica possono essere tutti ridotti ai pro-
blemi detl'interpretazione del cal colo della probabilitil..
Un terzo problema risolto era Ia distinzione tra la preparazio-
ne di uno stato e una misurazione. Quantuuque la mia disami-
na di questo problema fosse del tutto esatta e, penso, assai impor-

95
tantc, commlsl un grave errore in un esperimento immaginario
(nella sezione 77 deUa Logik der FOfschung). Questo errore me 10
presi veramente a cuore. In que] periodo non sapevo che perfino
Einstein aveva comrnesso errori simili, cd io pensavo che Ia can-
tonuta che avcvo pre so fosse una dimostrazione della rnia incom-
pctcnza. Fu a Copenhagen, nel 1936, dopo il " Congresso di filoso-
fla scicntifica» tenutosi a Copenhagen, che venni a sapere degJi
errori di Einstein. Per iniziativa di Victor Weisskopf, il fisico
teorico, Niels Bohr mi aveva invitato a partec.ipare per alcuni gior-
ni aBe discussioni nel suo Istituto. In prccedenza io avevo di£eso
it mio esperimento immaginario contro von Weizs1kker e Heisen-
berg, i cui argomenti non mi convincevano del tutto, e contro
Einstein, i cui argornenti invece mi convincevano. Discussi la cosa
anche con Thin-jng e (ad Oxford) con Schrodinger, il quale mi
disse che Ia meccanica quantistica non gli piaceva affatto e pen-
sava che nessuno la capisse veramente. Respiravo quindi aria di
sconfitta quando Bohr mi racconto delle sue discussioni con Ein-
stein - Ie stesse che in seguito descrisse nel volume Eillstein cu-
rato da SchUpp (126). Non mi fu di alcun conforto il fatto che, ad
avviso di Bohr, Einstein aveva fatto 10 stesso sbagEo che avevo
fatto io; roi sentivo frustrato, e non liuscivo a resistere al tre-
mendo impatto della personal ita di Bohr. (In quei giomi, eomun-
que, Bohr era irresistibile). To piu 0 menD crallai, benche ancora
difendessi la mia spiegazione della « riduzione del pacco d'onda ».
Weisskopf sembrava disposto ad accettarla, rna Bohr era tTOppO
ansioso di esporre Ia sua teoria della cOl11plementarita perche
prestasse attenzione ai miei deboli sforzi di vendere Ia mia spie-
gazione, ed io non insistetti, contento di imparare pili che di
insegnare. Me ne partii can una fortissima impressione della cor-
dialita, della brillantezza e deH'entusiasmo di Bohr. Eave-va ancora
pochi dubbi suI fatto che Bohr avesse ragiooe ed io tor to. Ma
non I'iuscii a perstladermi di aver capito la « compIementarita »
di Bohr, e cominciai a dubit31-e che tutti gIi altri l'avessero capita,
anche se era chiaro che alcuni erano convinti di averla capita_
Questo dubbio era condiviso da Einstein, come egli pili tardi rni
disse, ed anche da Schrodinger.
Tale fatto mi feee riflettere sulla "comprensione ». Bohr,
in un certo sensa, asseriva ehe la meccanica quantistica non era
compreosibile; che solo la fisica cIassica era comprensibile, e che
noi dovevamo rassegnarci al fatto che la meccanica quantistica
poteva essere compresa solo in parte, ed anche in questa caso solo
per il tramite della fisica classica. Questa comprensione si otteneva
in parte grazie a1 modelio classico delle « particelle », in parte gra-
zie a1 modello classico delle «oode »; questi due modelli eraoo
incompatibiH, ed erano, secondo l'espressione di Bohr, "comple-

96
mentari ». Nessuna speranza di poter comprendere la teoria in
modo pib pieno 0 piu diretto; e que! che si richiedeva era una
" rinuncia" a qualsiasi tentativo di raggiungel'e 1ma comprensione
pili piena.
10 avevo il 50spetto che la teona di Bohr si basasse su un'idea
assai ristretta di cio a cui Ia compreusione puo pervenire. Bohr,
a quanto sembrava, intendeva la comprensione in termini di im,
maglTIl e di modelli - doe come una spede di visualizzazione,
Questa era, a mia avviso, una concezione troppo angusta; e al-
lora io sviluppai un'idea del tutto differente. In questo contesto,
cio che importa e Ia comprensione non di immagini, ma della
forza logica di una teoria: il suo potere esplicativo, Ia sua re-
lazione coi problerni importanti e con Ie altre teorle. Portai
avanti questa idea in molti anni di lezioni, prima. credo, ad
Alpbach (1948), e a Princeton (1950), a Cambridge in una lezione
sulla meccanica quantistica (1953 0 1954), a Minneapolis (1962), e
poi di nuovo a Princeton (1963) e altrove (anche a Londra. na·
turalmente). La si ritrovera, anche se solo abbozzata, in alcuni
miei saggi successivi (127).
Per quanto concerne Ia fisica quantistica, per mol ti nnni fui
molto scoraggiato. Non riuscivo a venire a capo del mio errato
esperimento immaginario, e benche ritenga che sia del tutto giu-
sto dolersi di un errore commesso, ora credo di avergli dato
troppo peso, Solo dopa a)cune discussioni, nel 1948 0 1949. can
Arthur March, un fisico quantistico del quale citai, nella mia
Logik der Forschutlg, il libro sui fondamenti della meccanica
quantistica (128), solo aHora ritornai suI problema con rinnovato
coraggio.
Ripresi i vecchi argomenti, e giunsi aIle seguenti concIu-
sioni (129):

(A) II problema del determillismo e dell'indeterminisI11O.


1. Contra il deterrninismo non c'e alcun argomento specifieo
della meccanica quantistica. La meccanica quantistica ~, ovviarnen-
te, una teoria statistica e non una teoria prima facie determini-
stica, rna cio non vu01 dire che essa sia incompatibile can una
teoria prima facie deterministica. (Pili specificamente, la famosa
prova di von Neumann di questa presunta incompatibilita ~ della
non-esistenz.."l delle cosiddette «variabili occulte,. - e invalids,
come ha dimostrato David Bohm e, piu di recente e con rnezzi
pili diretti, John S. Bell) (L'lI). La posizione da me raggiunta nel
1934 era questa: che nella meccanica quantistica non c'e nulla
che giustifichi la tesi secondo la quale il determinismo viene con-
futato in ragione della sua incompatibilita con la meccanica

97
quantistica. Da aHora ho cambiato opinione pii! d'una volta su
questa problema.
Un modelIa che dimostrava che l'esistenza di una teoria pd·
rna facie deterministica era in realta formalmente compatibile con
i risultati della meccanica quantistica fu proposto da David Bohm
nel 1951. (Le idee fondamentali che stanno alIa base di questa
prova erano state anticipate da de Broglie).
2. D'altro canto non c'e alcuna valida ragione pel" affer·
mare che il determinismo ha una base nella scienza fisica; in
realta ci sono forti ragioni contra una tale affermazione, come
e stato rilevato da C. S. Peirce (131), Franz Exner, Schr6dinger (l:!Z)
e von Neumann (lli): tutti cost oro hanno richiamato l'attenzione
suI fatto che il carattere deterministico della meccanica newtonia-
na era compatibile can l'indeterminismo (134). Inoltre, mentre e
possibile spiegare l'esistenza di teorie prima facie detenninistiche
COme Ie macroteorie, e cib sulla base di microteorie indeterministi·
che e probabilistiche, non e invece possibile i1 contrario: si posso-
no derivare (e quindi spiegare) conclusioni probabilistiche non ba-
naZi soltanto con l'ausilio di premesse probabilistiche (135). (In
tal contesto si dovrebbero vedere alcuni argomenti assai interes-
santi di Lande) (136).

(B) Probabilita.

Nella meccanica quantistica ci oecorre un'interpretazione del


calcolo della probabilita, la quale
1. sia fiska ed oggettiva (0 « realistica »);
2. dia luogo a ipotesi di probabilita ehe possano essere con-
trollate statisticamente. E aneara,
3, che queste ipotesi siano applicabili ai singoli casi; e
4. che siano relative al montaggio sperimentale.
Nella Logik der Forschung ho sviluppato un'interpretazione
« formalistica» del calcolo della probabilita che risponde a tutte
queste richieste. Da aUara l'ha perfezianata, sostituendola can
la «interpretazione in termini di propensione» (137).

(C) Teoria dei quanti.

1. Realismo. Benche non avessi alcuna obiezione di princi.


pia contro Ie (I wavic1es» (onde-curn-particelle) 0 simili enti·
ta non-c1assiche, non vedevo (e non veda tuttora) alcuna ragione
per allontanarmi dalla concezione classica, ingenua e realistica
secondo Ia quale gli elettroni eccetera sono semplicemente parti-
celie; cib significa che essi sona localizzati ed hanno momenta.

98
(E' ovvio che ulteriori sviluppi della teoria pOSS01'lO dimostrare
che hanno ragione quelli che non condividono questa opinio-
ne) (138).
2. II eosiddetto « principio di indeterminazione» di Heisen-
berg e un'errata interpretazione di eerte formule che asserisco-
no la dispersione statistica.
3. Le fonnule di Heisenberg non si riferiscono aUe misura-
zioni; do implica che Ia corrente « teo ria quantistica della mi-
surazione» e tutta quanta impregnata di errate inte.rpretazioni,
Lc misurazioni che, secondo Ia comune interpretazione delle
formule ill Heisenberg, sono « proibite », stando ai miei risultati
sono invece non solo permesse, rna effettivamente richieste per
il controllo di queste stesse formule (139), Le relazioni ill dis per-
sione, tuttavia, si riferiscono aHa preparaziol1e degli stati dei
sistemi della rneccanica quantistica. Nel prcparare uno stato
noi introduciamo sempre una dispersione (conjugata) (l3~a).
4. Cib che e veramente peculiare nella teoria dei quanti e
l'interferenza (dipendente dalla fase) delle probabilitlr.. E' ben
concepibile Ia possibilita che noi ci troviamo a dover accettare
questa fatto come quakosa di definitivo. Ma non pare che sia
questa il caso: mentre si opponeva ane prove cruciali di Compton
della teoria del fotoni di Einstein, nel 1923, molto prima della
meccanica ondulatoria, Duane produceva una nuova regola dei
quanti (140), che si puo considerare l'analogo per il momenta del-
la regola di Planck concernente I'energia. La regola di Duane per
la quantizzazione del momento puo essere applicata non solo ai
(0 toni, rna (come ha rilevato Lande) (141) anche ane particelle, ed
offL-e pertanto una spiegazione razionale (ancorche solo qualitati-
va) delI'interferenza delle particelle. Lande ha inoltre sostenuto
che Ie regole quantitative dell'interferenza della meccanica ondu-
latoria si possono derivare da semplici assunti addizionali.
5. Ora si possono quindi esorcizzare una gran quantita di
spettri filosofici, e si possono lasciar cadere tutte quelle vacillanti
asserzioni filosofiche sull'intrusione del soggetto 0 della mente
nel mondo dell'atomo. Questa intrusione si pub spiegnre in am-
pia misura come dovuta all'errata interpretazione soggettivistica
tradizionale del calcolo della probabmta (142),

19. Oggettivita e fisica


Nella sezione precedente ho insistito su alcuni aspetti della
Logik der Forschung e del successivo lavoro che da qui ha avuto
origine e che poco 0 nulla ha a che fare con Ia mia critica del
99
positivismo. Eppure Ia cdtica del positivismo giocO un ruolo
di appoggio pedino neUe mie idee sulla teoria dei quanti. Credo
che contro iI primo positivismo di Heisenberg fui aHora immu·
niz2ato dalla mia ripulsa del positivismo di Einstein.
Come ho accennato (sezione 8, testo tra le note 31 e 32), fui
introdotto da Ma.x Eistein aBe teorie della relativjta ill Einstein.
Egli TIe sasteneva ne criticava Ia concezione osservazianale, tutta-
via mi aiuto a capire il problema della teoria speciale (mi pare
nella solita manicra astorica, come un problema posto dall'cspe-
rimento di Michelson e Morley), e can me discusse Ia forma
di soluziane proposta da Minkowski. E' stata forse questa ini-
ziazione a prevenirmi dal prendere suI serio l'appraccio opera-
zionalistico aUa sirnultaneita: si puo benissimo leggere il saggio
di Einstein del 1905 (143) da una posizione realista, senza prestare
attenzione alcuna all'« osservatore »; 0, alternativamente, 10 si
pub leggere da un'angolazione positivistica 0 operazionistica, te-
nenda sempre presente I'osservatore e Ie sue operazioni.
E' interessante il fatto che. 10 stesso Einstein sia stato per anni
un positivista ed operazionista dogrnatico. Piu tardi egli ricus6
questa interpretazione: nel 1950 mi disse che di nessun altro
sbaglio che avesse mai cammessa si rammaricava piu che di que-
sto sbaglio. Questo en-ore prese una forma veramente grave nel
suo molto diffuso libro La relativita: [a teo ria generale e spe-
ciale ('4-1). A p. 14s (dell'originale tedesco) dice: {( Vond chiedere al
Iettore di non andare avanti finche non sia pienarnentc convinto
di questa punta». II punta e, in breve, che ia «sirnultaneita»
deve essere definita - e definita in termini operazionali -, che
altrimenti "io mi metto in condizione di essere ingannato ... quan·
do immagino di essere in grado di annettere un significato a1-
l'enunciato della simultancWt ». Cia signHica, in nitre parole, che
un tennine deve essere definito operazionisticamente, 0 altrimenti
e sem;a senso (l-H~). (Sta qui in nuce quel pasitivismo che e stato
successivamcnte sviluppata dal Circolo di Vienna sotto !'influenza
del Tractatus di Wittgenstein, e in una forma assai dogmatica).
Ma neHa teoria di Einstein la situazione e semplicemente
questa: che per ogni sistema inerziale (0 per i1 {( sistema staziona-
do ») (145) gli eventi 0 sono a non sono simultanei, proprio come
nella teoria di Newton; e vale la seguente legge della transiti-
vita (Tr): v ~~
(Tr) In ogni sistema inerziale, se l'evento a e simuItaneo
a b, e b con l'evento C, aHara a e sinmltaneo a c.
Ma (Tr) non vale in generate per tre qualsiasi evel1ti distaHti, a
meno che il sistema eli cui a e b sana simultanei nun sia ide1lfico (11
sistema in cui sonG simultanei bee: non vale per eventi distanti
se alcuni di qucsti hanna luogo in sistemi differenti, cioe in

100
sistemi ehe sono in mota relativo. Questa e una eonseguenza del
principio delI'invarianza della ve10eita della luce rispetto a due
sistemi (inerziali) qualsiasi in moto relativo, ossia del principio
che ci permette oi dedurre Ie trasfonnazioni di Lorentz. Non
c'e alcun hisogno di menzionare mai 1a simultaneita, cecetto che
per mettere in guardia l'ineauto suI fatto che ]e trasformazioni
di Lorentz sono incompatibili con un'applicazione di (Tr) ad even-
ti ehe hanna luogo in sistemi (inerziali) differenti (146).
Si vedra che non e'e qui a1cun motivo di introdUl"l"e l'opera-
zionismo ed aneor meno di insistervi. Inoitre, siccome nel 1905
- 0 almeno quando scrisse il SUO saggio sulla relatividl - Einstein
non era aneora a conoscenza dell'esperimento di Michelson, egli
poteva disporre solo di scarse prove a sostegno dell'invarianza
della velocita della luce.
Ma molti eminenti fisiei furono assai attratti dall'operazio-
nismo di Einstein, che consideravano (come feee 10 stcsso Ein-
stein per lango tempo) come parte integrante della re1ativita. E
fu COSl che l'operazionismo diede a Heisenberg l'ispirazione per
il suo saggio del 1925 e per ]a sua opinione, largamente eondi-
visa, che il coneetto dell'orbita di un elettrone, 0 della sua das-
sica posizione·cwn-momento, e senza sen so.
Fu qui che io trovai un'occasione a mettere alIa prova la
min epistemologia realistica, applicandola nella edtica dell'inter-
pretazione soggettivistica di Heisenberg del formalismo della mec-
callica quantistica. Di Bohr ho parlato poco nella Logik der
Forscllung, e cio perche egJi era menD esplicito di Heisenberg
ed anehe perche io ero rill1ttante ad addebitare a Bohr delle
opinioni ehe egli poteva anche non sostenere. Ad ogni modo
era stato Heisenberg a fondare la nuova meccaniea quantistica
su un programma operazionalistico, e ftl appunto il suo suecesso
a convertire a1 positivismo e all'operazionismo 1a maggior parte
dei fisici teoriei.

20. 1/erita, probabilitaJ corroborazione

Al tempo della pubblicazione della Logik der FOJ"schung ero


persuaso che c'erano tre problemi che io dovevo portare avanti:
la verita, la probabilita, e it confronto delle teOlie riguardo at
loro contenuto e ana loro corroborazione.
Sebbene il conc.etto di falsita - cioe di non-verita -, e quindi,

101
pt::r implicazione, il concetto di verita avessero un ruolo di ri-
lievo nella Logile der Forsch.ung, questi concetti Ii adoperai al-
lora in modo affatto ingenuo, discutendoli solo nella sezione 84,
intitalnta « Osservazioni sul1'uso dei concetti "vero" e "carrobo-
rata" » (Bemerkungen uber dell Gebrauch der Begrifte "wahr" und
"bewilhrt" »). In que} tempo non conoscevo ancara l'opera di
Tarski, ovvcro In distinzione tra due specie eli tcorie metalingui-
stiche (1 'una detta da Carnap « Sintassi» e l'altra chiarnata da
Tarski « Semantica », distinte in seguito assai nettamente e di-
scusse da Marja Kokoszynska» (147): rna per quanto concerneva
In reIazione tra verita e corroborazione Ie rnie idee (148) divennero
pill 0 menD comuni in seno a1 Circolo - ossia tra quei mernbri
del Circolo (149) che, come Camap, accettavano la teoria di Tarski
della verita.
AllorcM, nel 1935, Tarski mi spiego (nel Volksgarten di Vien-
na) l'idea dena sua definizione del concetto di verita, mi resi
canto di quanto fosse importante e che egli aveva final mente
riabilitato Ia tanto diffamata teo ria della verita come corrispon-
denza, Ia quale e, a mio avviso, ed e sempre stata l'idea di veriU.
propria del senso cornune.
Le nile successive riflessioni su questo fatto mrono in arnpia
misura un tentativo di chiarire a me stesso que! che Tarski aveva
compiuto. Non si puo dire, invero, che egli abbia detinito Ia ve-
rita. A dire i1 vero, egIi l'aveva fatto per un linguaggio forma-
lizzato molto semplice, ed aveva abbozzato dei metodi di defi-
nizione della verita per una c1asse di altri linguaggi formalizzati.
Ma aveva anche spiegato che c'erano altri modi essenzialmente
equivalenti di presentare la vcrita: non per definizione, rna as-
siomaticarnente. Pertanto non potcva essere fondamentale la que-
stione se Ia verita si dovesse introdurre assiomaticamente 0 per
definizione. Tutti questi precisi metodi, inoltre, venivano rcle-
gati nei linguaggi formalizzati e, come Tarski aveva dimostrato,
non potevano essere applicati al linguaggio ordinario (col suo
carattere « universalistico »). Nondimeno era chiaro che daH'ana-
lisi di Tarski potevamo imparare ad usare, can un po' di atten-
zione, 1a nozione di verita nel linguaggio ordinaria e ad usarla
anche nel suo senso ordinario - come corrispondenza ai fattL
AlIa fine io decisi che I'opera di Tarski era in pratica consistita
nel dimostrare che, una volta che abbiamo capito la distinzione
tra un Iinguaggio oggetto ed un metalinguaggio (semantico) -
un linguaggio in cui possiamo parlare di proposizioni e di fatti -,
non ci sono pili difficolta di rilievo nel comprendere come una
proposizione possa corrispondere a un fatto. (Cfr. Ia sezione 32,
pill avanti).
La probabilWt mi creo dei problemi, e al tempo stesso mi

102
procuro un lavoro eccitante e piacevole. Il problema fondamenta-
Ie affrontato nella Logik der Forschung fu quello della controlla-
bilita degli enunciati di probabilitil nella fisica. Ritenevo che que-
sta problema costituisse una sfida piuttosto seria per la mia epi-
stemologia generale, ed io 10 risolsi ricorrendo ad un'idea che era
una parte integrante di questa epistemologia e non, a mio modo
di vedere, un assunto ad hoc. Era l'idea che nessuna prova d'un
qualsiasi enunciato teoretico e definitiva e eonclusiva, e che 1'at-
teggiamento empirico, 0 critico, comporta I'adesione a eerte «re-
gale metodogiche », Ie quali ci dicono di non eludere Ie critiche
rna di accettare Ie confutazioni (anche se non con troppa facilita).
Queste regale sono essenzialmente qualcosa di flessibile. Di con-
seguenza, I'accettare una confutazione comporta all'incirca 10 stes-
so rischlo dell'adozione, in v.ia di tentativo, di un'ipotesi: e l'aecet-
tazione di una congettura.
Un secondo problema era queUo della varieta delle possibili
interpretazioni degli enw1ciati di probabilita, e questo problema
era strettamente connesso can altri due, che nel mio libro occu-
paV3no un posto di primo piano (rna che avevano un carattere
completamente diverso), Uno era it problema dell'interpretazione
della meccanica quantistica - equivalente, a mio av'viso, al proble-
ma dello status degJi enunciati probabilistici in fisica -; l'altro
era il problema del contenuto delle teorie.
Ma per poter affront are il problema dell'interpretazione degli
enunciati di probabilita nella sua forma pill generale era necessa-
ria sviluppare un sistema di assiomi per it calcolo della probabi-
litO.. Questo era indispensabile anche per un a1tro scopo - per
stabiIire la mia t.esi, presentata nella Logik del' Forschul1g, ehe
la corroborazione Hon era WUl probabilita nel senso del cal·
colo della probabilittl,' doe ehe certi aspetti intuitivi della corro-
borazione facevano S1 che fosse impossibile identificare la corro-
borazione can 1a probabiliHt nel sensa del calcolo della probabi-
lita (149a). (Cfr. anche i) testo, pili avanti, tra Ie note 155 e 159).
Nella Logik der Forschung avevo rilevato che c'erano molte
interpretazioni possibili deIl'idea della prababilita e avevo sotto-
lineato che nelle scienze fisiche era accettabile solo una teo ria
frequentistica come queIIa proposta da Richard von Mises. (Pill
tardi modificai questa opinione introducendo l'interpretazione del-
la probabilidt COme propensione, e credo che von Mises sarebbe
stato d'accorrlo con questa modifica; gli asserti di propensione, in-
fatti, sana anch'essi controllati dane frequenze). Avevo perc) un'im-
portante obiezione tecnica, afi'atto diversa da varie abiezioni di mi-
nor peso, contro tutte le teorie frequenziali conosciute, operanti
con sequenze infinite. E l'obiezione era questa.
Si prenda una quaZsiasi sequenza finita di 0 e di 1 (0 di soli

103
o0 di soli 1), lunga. a piacere; sia la sua lunghezza n, che potrebbe
anche essen~ di migliaia di milionL Da 11+ 1 si continui con una
sequenza casuale in{il1ita (un «collettivo »). AHora per 1a se-
quenza combinata sono significanti solo Ie proprieta di un qual-
che tratto finale (da un m~n+ 1 in sU), chi! una sequenza sod-
disfa Ie richieste di von Mises se, e solo se, Ie soddisfa un suo qual-
siasi tratto [male. Ma do significa che ogni sequenza empirica
e semplicemente irrilevante per giudicare una. sequenza infinita
di cui essa sia il tratto iniziale.
10 ebbi la possibilita di discutere questa problema (insieme
can tanti altri) con von Mises, con Helly e con Hans Hahn. Essi
ne convenivano, ovviamente; ma von Mises non se ne preoccupa-
va poi tanto. Egli era persuaso (come eben risaputo) che una
sequenza che soddisfacesse alle sue richieste - un «collettivo »,
come chiamava tale sequenza - fosse un concetto matematico
ide ale come una sfera. Qualunque « sfela» empirica sarebbe po-
tuta essere solo una rozza approssimazione.
10 era ben disposto ad accettare la relazione tra una sfera ma-
tematica ideale ed una sfera empirica come una specie di mo-
della della relazione esistente tra una scquenza matematica casua-
Ie (un « collettiva ») ed una sequenza empirica infinita. Ma sotto-
lineavo che non c'era a1cun sensa soddisfacente nel dire che una
sequem:a finita era una rozza approssimazione a1 collettivo nel
senso di von Mises. Mi proposi quindi di costruire un qualcosa di
ideale, SI, rna menD astratto: una sequem:a casuale il1finita e idea-
te che avesse la proprieta della casualita fill da; suoi prim is simi
passi, di modo che ogni segmento iniziale finito della lunghezza
n fosse il piu possibile ideal mente casuale.
Nella Logik der Forschung avevo deLineato Ia castruzione di
una simile sequenza (l'<l), ma a quel tempo Don mi rendevo piena-
mente conto che questa costruzione risalveva di fatto (a) i1 pro-
blema di una sequel1za ideale if'/til1ita comparabile can una se-
quenza empirica finita; (b) il problema della costruzione di una
sequenza. matematica che potesse essere usata al posto della defi-
nizione (non-costruttiva) di von Mises della casualita; e (c) il
problema di rendere superfluo il postulato ill von Mises dell'esi-
stenza di un limite, per i1 fatto che questo poteva ora essere
dimostrato. In altre parole, cioe, in quel tempo non 111i rendevo
canto che la mia costruzione veniva a rimpiazzare alcune delle
soluzioni proposte nella Logik der Forschul1g.
Le mie sequenze casuali idealizzate non erano « col1ettivi » nel
senso di von Mises: benche superassero tutte Ie prove statistiche
della casual ita, di fatto erano costruzioni matematiche definite:
la loro continuazione poteva essere predetta matematicamente da
chiunque conoscesse il metoda della costruzione. Ma von Mises

104
esigeva che un « collettivo)} dovesse essere impredicibile (il « prin-
cipio del sistema del gioco escluso »). Questa richiesta radicale
"veva l'infelice conscguenza che non 5i poteva costruire akun
escmpio di un collettivo, sl che era irnpossibile una prova costrut-
tiva della consistenza della richiesta. Il solo modo di sfuggire
aHa difficolta era, ovviamente, qucllo di indebolire Ia richiesta.
Nc nacque COS! un problema interessante: qual era il minima inde-
bolimento che avrebbe permesso lilla pro va della consistenza (0
dcll'esistenza) ?
Era interessante, rna non era it mio problema. II mio pro-
blema centrale era queUo della costruzione di seqllenze finite di
tipo aleatorio di lunghezza arbitraria, e quindi estendibili in se-
quenze casuali ideali infinite.
All'inizio del 1935 tenni delle lezioni su questo argomento in
uno degli epicicli del Circolo di Vienna, e in seguito fui invitato
cla Karl Menger a tenere una lezione al suo famoso « matl1eml1-
tisches Colloquium I). Vi trovai un uditorio assai selezionato di una
trentina di persone, fra Ie quali Kurt GCidel, Alfred Tarski e
Abraham Wald; e, a quanto dice Menger, io divenni inconsape-
vol mente 10 stnlmento per destare l'interesse di Wald al campo
della probabilita e della statistica, nel quale divenne tanto famoso.
Net suo necrologio di Wald, Menger descrive l'avvenimento in
questi termini (151):

In quel tempo si verifieo un secondo fatto ehe si rivel0 di


cmciale importanza per iI resto della vita e dell'opera di Waldo
11 filosofo viennese Karl Popper. .. cerco di rendere precisa I'idea di
una sequenza casuale e di correggere COSl gli evidenti punti de·
boli della definizione dei collettivi di von Mises. Dopo aver' ascol·
tato (nel Cit-colo filosofico di Schlick) un'esposizione semitecnica
delle idee di Popper, pregai costui di present are in ogni parti-
colare l'importante materia al Mathematisches Colloquium. Wald
dimostra vivo interesse aHa cosa, e il risultato fu it suo saggio
magistrale suU'autoconsistenza dell'idea dei coLlettivL Egli basa-
va la sua prova dell'esistenza dei collettivi su una duplice re-
lativizzazione di que! concetto.

Menger caratterizza quindi Ia sua descrizione della defioizio-


ne di Wald del collettivo, e conclude (152):

Sebbene la relativizzazione di Wald restringa !'idea originaria-


mente illimitata (ma inealizzabile) dei colletitvi, essa e molto piu
deb ole delle richieste di irregolarita di Copeland, Popper e Reichen-
bach. In reaita essa abbraccia queste richieste come casi specialL

Cia e verissimo, ed io fui vh'arnente colpito dalla brillante so-

105
luzione di Wald del problema della riduzione mImma delle
richieste di von Mises (m). Ma, come ebbi Ia possibilita ill far
notare a Wald, cib non risolveva it mio problema: un «col-
lettivo di Wald l'> con eguali probabilita per 0 e 1 poteva ancora
cominciare can un bioceo di migliaia di milioni di 0, giacch6 la
casualita era solo una questione di come stessero Ie case al li-
mite. E' comunemente ammesso che l'opera di Wald offriva un
metodo generale per dividere la classe ill tutte Ie sequenze infinite
in collettivi e non-eollettivi, mentre Ia mia autorizzava solo la
costruzione di alcune sequcnze casuali di qualsiasi lunghezza vo-
luta - di aleuni modelli assai speciali, per dir cosi. Tuttavia, ogni
sequenza finita data, di qualsiasi lunghezza, poteva essere sem·
pre continuata in modo da diventare 0 un collettivo 0 un non-col-
lettivo nel sensa di Waldo (La stessa cosa valeva per Ie sequenze di
Copeland, Reichenbach, Church e altri) (154).
Per malta tempo sono stato persuaso che la soluzione del
mio problema, benche sembri del tutto soddisfacente dal punta
di vista filosofico, potesse essere resa piu interessante suI piano
matematico generalizzandola, e che a tale scopo si potesse ricor-
rere al metoda di Waldo Discussi la cosa con Wald, col quale
entrai in amicizia, can 1a speranza che 10 facesse egli medesimo.
Ma queUi erano tempi difficili: ne l'uno ne l'altro di noi pote
ritornare suI problema prima che entrarnbi emigrassimo, in diffe-
renti parti del mondo.
C'e anche un aItro problema, strettamente connesso can Ia
probabilita: it problema {di una misura} del contenuto di un
asserto 0 di una teoria. Nella Logik dey Forschung avevo dimo-
strato che Ia probabilita di un asserto e inversamente proporzio-
nale al suo contenuto, e che quindi poteva essere usata per la
costruzione di una misura del contenuto. (Una tal misura del
contenuto sarebbe a1 piu comparativ8, a meno che l'asserto non
fosse su un qualche gioco di fortuna 0 forse su una statistica).
Da cia si ricavava che tra Ie interpretazioni del calcolo della
probabilita almena due sono di preminente importanza: (1) un'in-
terpretazione che ci permette di padare della probabilitil. di eventi
(singoli), come il lancio di una moneta ° la comparsa di un
elettrone su uno schermo; e (2) la probabilita di asserti 0 propo-
sizioni, specialmente di congetture (di vari gradi di universali-
ta) (155). Di questa seconda interpretazione hanna bisogno coloro
che ritengono che il grado di corroborazione possa essere misura-
to da una probabilita; ed anche quelli che, come me, vogliono
negarlo.
Quanto al mio grado di corroborazione, l'idea era di racco-
gliere, in una formula breve, un resoconto suI modo in cui una

106
teoria ha superato - a non ha superato - Ie sue prove, compresa
una valutazione della severita delle prove: dovrebbero con tare solo
lc prove intraprese can uno spirito critieo - tentativi di confuta-
zione. Superando queste prove, una teoria puo «dimostrare la
,~ua ternpra» - Ia sua ({ capacita di sopravvivere» (156), E' ovvio
ehe possono provare questa «capacita» della teoria di sopravvi-
vere soltanto quelle prove alle quali essa e sopravvissuta; proprio
come nel caso di un organismo, «capacita» significa, sfortunata-
mente. solo sopravvivenza di fatto, e Ie prestazioni del passato
non assicurano in a1cun modo un successo in avvenire.
10 consideravo (e considero tuttora) il grado di corroborazione
di una teoria soltanto come un resoconto critico sulla qualita del-
le prestazioni del passato: non lo si potrebbe tlsare per predire le
future prestazioni. (E' ovvio che la teoria puo aiutarci a predire
gli eventi /utu1'i). Cib comporta quindi un in dice temporale: si
puo parlare esclusivamente del grado di corroborazione di una
teo ria in una determinata tase della sua discussione C1'itica. E tutto
questo costituisce in certi casi un'ottima guida ql.laJora si vo-
gHano accertare i meriti relativi di due 0 piil tearie in concor-
rctlza aUa luce delle precedent; discussioni. Di fronte al biso-
gllo eli agire, in base ad tma a ad un'altra teo ria, la scelta razionale
COllsiste nell'agire in base a quella teoria - se ce n'era una - che
fino a quel momenta aveva retto alIa critica meglio delle altre teorie
in concone.TIza con essa: non v'e idea di razionalita che sia migliore
di quella ill una disponibilita ad accettare la critica; cioe la critica
che discute i meriti delle teorie in concorrenza dal punto di vista
clell'idea regolativa della verita. Di conseguenza, il grado di corro-
borazionc di una teoda e Ima guida razionale alla pratica. Benche
non possiamo giustificare una t€oria - ossia giustificare la no-
stra credenza nella sua verita -, ta1v01ta possiamo pero giustifi-
care la nostra preferenza per una teoria rispetto ad un'altra; cib,
ad esempio, se il suo grado di corroborazione e maggiore (157).
Sana statu in grado di dimostrare, assai semplicemente. che
la teoria di Einstein e (almena al momenta in cui scrivo) prefe-
ribile a quella di Newton, e l'ho potuto dimostrare facendo vedere
che il suo grado di corroborazione e maggiore (1S8).
Un elemento decisivo a proposito del grado di corroborazione
tu che. poiche aumentava col crescere della severita delle prove,
esso poteva essere alto solo per Ie teorie con un elevato grado di
controllabilita 0 di contenuto. Ma cib voleva dire che il grado
di corroborazione era legato all'improbabilita, piuttosto che alia
probabilita: era quindi impossibi1e identificarlo can Ia probabilita
(ancorche 10 si potesse definire in termini di probabilita - come
puo l'improbabilita).

107
Tutti questi problemi furono aperti, 0 affrontati, nella Logik
der Forsc7llmg; rna ero convinto che ci fosse aneora molto da fare
intorno a tali problemi e che la prima cosa da fare fosse un'as-
siamatizzazione del calcolo della probabilita (139).

21. L'avvicinarsi della guerra.


Il problema degli Ebrei

Fu nel luglio del 1927, dopo la grande sparatoria avvenuta a


Vienna (vedi appressa). che corninciai ad aspettarmi il peggio: che
sarebbero crollati i bastioni democratici dell'Europa centrale e
che una Gcrmania totalitaria awebbe data inizio ad un'altra guer·
ra mondiale. Ma verso il. 1929 rni resi canto che tra i politici del-
l'Occidcnte il solo Churchill, in Inghilterra, il quale era aHara un
estraneo che nessuno prendeva suI serio, aveva capito la minaccia
tedesca. In quel momento pensavo che la guerra sarebbe sop rag-
giunta nel giro di pochi anni. Ma mi sbagJiai: Ie case segllirono
uno sviluppo molto piit lento di quanto io credessi possibile, con-
siderata [a logica della situazione.
E' chiaro che ero un allarmista. Ma in sostanza avevo giudica-
to esattamente la situazione. Mi Cl"O reso conto ehe i socialdemo·
cratici (il solo partito politico che conservasse ancora un forte
e]emento democratico) crano impotenti a resistere ai partiti tota-
litari in Austria e in Germania. Dal 1929 in poi, mi aspettavo l'asce·
sa di Hitler; mi aspettavo I'annessione, in un modo 0 neIl'altro,
delL'Austria da parte di Hitler; e mi aspettavo ]a guerra contro
l'Occidente (La guerra contro l'Occidente e it titulo di un ecce]·
lente libra di Aurel Kolnai). In questa prospettiva ebbe un ruolo
rilevante Ia mia valutazione del problema ebraico.
I miei gcnitori erano nati entrambi nella fede ebraica, rna
furono battezzati nella Chiesa protestante (luterana) prima che
giungesse il lora primo figlio. Dopo lunga riflessione, mio padre
decise che il vivere in una societa stragrandemente cristiana im-
poneva l'obbligo di recare la minima onesa possibile - ]'obbligo
di farsi assimilare. Ma cio voleva dire recare offesa al giudaismo
organizzato. E voleva anche dire essere denunciato come vile, come
un uomo che aveva paura dell'antisemitismo. Tutto questo era
comprensibHe. Ma la risposta fu che l'antisemitismo era un male
di cui dovevano aver paura tanto gli ebrei quanto i non-ebrei,

108
e che era compito di tutte Ie persone di ongme ebraica di fare
del lora megIio per non provocarlo: molti ebrei, inoItre, si fu-
sera con Ia popolazione: l'assimilazione era all'opel-a. Certo eben
comprensibile che Ie persone che venivano disprezzate in ragione
della loro origine razziale avrebbero reagito dicendo di esseme
orgogliose. Ma l'orgoglio razziale non e solo una cosa stupida,
ma pure sbagliata, anche ne] caso in cui sia provacato dall'odio
razziale. Ogni nazionalismo 0 razzismo e un male, e il naziona-
lis rna ebraico non rappresenta un'eccezione.
Credo che prima dena Prima Guerra Mondiale gli Ebrei fos-
sero trattati bene sia in Austria che in Germania. Erano lora ri-
conosciuti pressoche tutti i diritti, sebbene vi fossero nlcune bar-
riere poste dalla tradizione, specialmente neIl'esercito. Non v'e
dubbio che in una societa perfetta essi dovrebbero essere trattati
alIa pari sotto ogni riguardo. Ma come tutte Ie societa, anche
questa era ben lungi dall'essere perfetta: benche gli Ebrei, e Ie
persone di origine ebr:lica, fossero uguali davanti alla legge, non
erano tuttavia trattati come uguali sotto tutti gli aspetti. Eppure
ritengo che gli Ebrei fossero trattati tanto bene quanto era
ragionevole aspettarsi. Un membra di una famiglia ebraica con-
vertitosi al Cattolicesimo romano era perfino divenuto arcivescovo
(Kohn, arcivescovo di Olmiitz); sebbene a causa di un intrigo, in
cui si strumentalizzo l'antisemitismo popolare, dovette dimer-
tersi dalla sua sede nel 1903. La proporzione degli Ebrei 0 de-
vii uomini di origine ebraica tra i professori universitari, i me-
dici, e gli avvocati era molto elevata, e un risentimento aperto
al riguardo affioro soltanto dopo la Prima Guerra Mondiale. Gli
Ebrei battezznti potevano ascendere fino aile piu alte posizioni
nel servizio pubblico.
II giornalismo era lUla professione che attirnva molti Ebrei,
e certamente pochissimi di loro fecero qualche cosa per ele-
yare i livelli prafessionali. Il genere di giornalismo sensazionale
che molte di queste persone coltivavano fu aspramente criticato
per molti anni - sopmttutto da altri Ebrei, come ad esempio Karl
Kraus, desiderosi di difendere i livelli di civilta. IJ polverone salle-
vato da queste contese non rese certo popo]ari i contendenti.
Gli Ebrei figuravano anche tra Ie personalita piiI l-appresentative
del Partito Socialista Democratico, e sic-come, per il fatto di es-
sere tra i capi, erano fatti oggctto di viIi attacchi, essi cantri-
buirono ad accrescere la tensione.
E' chiaro che qui si presentava un problema. Malti Ebrei
apparivano assai diversi dalla popolazione «autoctona ». C'erano
molti piu Ebrei poved che ricchi; rna akuni dei dcchi erano
tipicamente nouveaux riches.
Per incisa, mentre in Inghilterra l'antisemitismo e legato al-

109
I'idea che gli Ebrei sono (0 10 erano una volta) . « strozzini» -
come ne II mercante di Venezia 0 in Dickens 0 Trollope -, non
ho mai sentito nulla di simile in Austria, almeno prima delL'av-
vento dei nazisti. Pochi Ebrei enmo tra i banchieri, come i
Rothschilds austriaci, rna non ho mai sentito dire che si fossero
mai imbarcati in quel genere di uSura verso privati, di cui si
legge invece nei rornauzi inglesi.
In Austria, l'antiscrnitismo era fondamentalmente un'espres-
sione di ostilita nei confronti di quelli che erano percepiti come
stranieri; un sentimento sfruttato non solo dal partito naziona-
lista germanico d'Austria, rna anche dal partito cattolico romano.
Ed e caratteristico il fatto che questa biasimevole resistenza con-
tra gli stranieri (un atteggiamento, pare, pressoche universale)
fosse condivisa de molte famiglie di origine ebraica. Durante Ia
Prima Guerra Mondiale affluirono a Vienna molti Ebrei profu-
ghi dal vecchio Impero Austriaco, che era stato invaso dalla
Russia. Questi «Ebrei orientali », come venivano chiamati, veni-
vano direttamente da veri e propri ghetti (160), e [urono mal visti
da quegli Ebrei che 5i erano stabiIiti a Vienna; dagli assimilazio-
nisti, da molti Ebrei ortodossi, e perfino dai Sionisti, i quali si
vergognavano di quclli che consideravano come lora parenti
poveri.
La situazione miglioro, suI piano legale, can la dissoluzione
dell'Impero Austriaco alIa fine della Prima Guerra Mondiale, rna,
come ognuno che avesse un minimo di sensibilita poteva ben
prevedere, peggioro suI piano sociale: molti Ebrei, persuasi che
la liberta e la piena uguaglianza erano finalmente divenute una
reaIta, comprensibilm~nte ma non saggiamente 5i gettarono nella
politica e nel giornalismo. La maggior parte di loro avevano
pensato bene; rna l'afflusso di Ebrei nei partiti di sinistra contri-
boi al crolla di questi partiti. Sembrava del tutto evidente che,
con tutto quell'antisemitismo popolare latente, il miglior servizio
che un buon socialista, che per avventura fosse di origine ebraica,
potesse rendere al suo partito era di non cercare di svolgen'i un
nlOlo. E' abbastanza strano che ben pochi sembrassero pensare
a questa regola ovvia.
Ne risulto che la latta tra la destra e la sinistra, latta chc
quasi fin dall'inizio fu una specie di guerra civile fredda, fu sem-
pre piu combattuta daila destra aU'insegna dell'antisernitismo.
All'Universita vi [urono frequenti rivolte antisemitiche, e vi fu-
rono continue proteste contra l'cccessivo numero di Ebrei tra
i professori. Per chiunque [osse di ongine ebraica divenne impos-
sibile diventare professore universitario. E i partiti rivali di
destra facevano a gam nella lora ostilita nei confronti degli Ebrei.
Altre ragioni per cui mi aspettavo la disfatta del partito 50-

110
cialista democratico almeno dopo il 1929 possono trovarsi in aI·
cune note del mio libro La societa aperta e i suoi nemici (1~1). Esse
erano connesse, in sostanza, col marxismo - e pili in particolare
con Ia politica (formulata da Engels) del ricorso alla violenza,
almeno come minaccia. Nel luglio del 1927, Ia minaccia della vio-
lenza aveva data alIa polizia Ia sensa per sparare sulla massa di
lavoratori e spettatori socialdemocratici, pacifici e disarmati, a
Vienna. Mia moglie ed io (non eravamo ancora sposati) fum-
rna tra gli increduli testimoni di questa scena. Mi divenne chiaro
che la politica dei capi dei socialisti democratici, anche se agio
vano con buone intenzioni, era irresponsabile e suicida. (Per in·
ciso, trovai che anche Fritz Adler, quando 10 incontrai nel luglio
del 1927, pochi giorni dopo il massacro, era della medesima
opinione). Ma sarebbero traseorsi pili di sei anDi prima che il sui-
cidio definitivo del partito socialista democratico ponesse fine
aUa democrazia in Austria.

22. Emigrazione: 111ghilteTra e Nuot'a Zelanda

La mia Logik det' Forsc!mng ebbe un successo sorprendente,


ben ~Itre i confini di Vienna. Ci furono pill recensioni, e in piu
lingue, di quante ne ebbe venticinque anui dopo The Logic of
Scientific Discovery, e recensioni pili ampie anche in inglese. In
conseguenza di questa faUo, ricevetti molte lettere da diversi
paesi europei e molti inviti a tenere conferenze, incluso un invito
da parte di Susan Stebbing del Bedford College di Londra. Giunsi
in Inghilterra nell'autunno del 1935 per tenere due conferenze
al Bedford College. Ero stato invitato a parlare delle mie idee,
rna era COS! profondamente impressionato dai risultati conse-
guiti da Tarski, allora del tutto sconosciuto in Inghilterra, che
preferii scegliere questi come mio tema. La prima conferenza fu
su « la sintassi e la semantica » (la semantica di Tarski) e la seconda
sulla teo ria della verita di Tarski. Credo ehe fu in questa circa-
stanza che destai per Ia prima volta nel professor Joseph Henry
Woodger l'interesse per l'opera di Tarski (162). Cornplessivamente,
negli anni 1935-1936 feci due lunghe visite in Inghilterra, ferman-
domi solo per brevissimo tempo a Vienna ITa l'una e I'altra vi-
sita. 10 ero in congedo, senza stipendio, dal mio incarico di
insegnamento, mentre mia moglie continuava l'insegnamento e a
guadagnare.
:Qurante queste visite non tenni soltanto queste due confe-

111
renze al Bedford College, rna tenni anche tre conferenze all'Im-
perial College, grazie all'invito procacciatomi dal professore Hy-
man Levy, professore di rnatematica all'Imperial College, e les-
si due collfercnze a Cambridge (presente G. E. Moore, e al-
Ia seconda C. H. Langford, che nella discussione fu splendido),
ed una ad Oxford, dove in precedenza Freddie Ayer mi ave-
va presentato a Isaiah Berlin e a Gilbert Ryle. Lessi anche
una relazione, su « La rniseria dello storicismo », nel seminarict
del professore Hayek presso la London School of Economics and
Political Science (1.S.E.). BencM Hayek provenisse da Vienna,
dove era stato professore e direttore dell'Istituto per la ricerca
economica (Korljunkturforschullg), io 10 incontrai per la prima
volta nella 1.S.E. (163). Erano presenti al seminario anche Lionel
Robbins (oggi Lord Robbins) ed Ernst Gombrich. Anni do po
G.L.S. Shackle mi disse che era presente anche lui.
Ad Oxford incontrai Sclu'odinger ed ebbi can lui lunghe COD-
versazioni. Si sentiva molto a disagio ad Oxford. Vi era giunto
da Berlino, dove era stato diret10re di un seminario di fisica teo-
rica che probabilmente era unico nella storia della scienza: furono
tra i suoi membri regolarmente iscritti Einstein, von Laue, Planck
e Nernst. Ad Oxford aveva rieevuto un'ospitalita molto cordiale.
Ovviamente non poteva aspettarsi un seminario di giganti; rna
cio di cui sentiva la mancanza era l'interesse appassionato per
Ia fisica teonea, tanto fra gli studenti quanto fra i docentL Di-
scutemmo In mia interpretazione statistica delle formule di inde-
terminazione di Heisenberg. Egli era interessato, rna scettico, an·
che riguardo 10 status della meccanica quantistica. Mi diede alcuni
estratti di articoli in cui aveva espresso dei dubbi riguardo al·
)'interpretazione di Copenhagen; eben risaputo che egli non si
riconcHib mai con questa interpretazione - cioe con Ia «com-
plementarita» di Bohr. Schrodinger accenno che sarebbe potuto
torn are in Austria. Cereai di dissuaderlo, giacch6 non aveva fatto
un segreto del suo atteggiamento anti-nazista allorche lascio ]a
Germania, e questo fatto avrebbe giocato contro di lui qualora i
nazisti avessero ottenuto iI potere in Austria. Ma suI finire del-
l'autunno del 1936 ritoma. A Graz si era resa vacante una cat-
tedra, e Hans Thirring, profcssore di fisica teorica a Vienna,
propose di lasciare Ia sua cattcdra a Vienna ed andare a Graz, in
modo che Schrodinger potesse ricoprire la cattedra di Thirring
a Vienna. Ma Schrodinger non avrebbe avuto ne l'una ne l'altra
cattedra; egJi andb a Graz, dove Testa per circa didotto mesi.
Dopo l'invasione delI'Austria da parte di Hitler, Schrodinger e
1a moglie Annemarie la scamparono per un pe10. La moglie guido
l'automobilc fin nelle vicinanzc del confine italiano. Abbandonata
qui l'automobile, prescro solo il bagaglio a mana e attraversa-

112
rona i1 confine. Da Roma, dove giunsero quasi senza piil un soldo,
cercarono di telefonare a De Valera, Primo Ministro d'rrlanda
(e matematico), il quale in quei giomi si trovava a Ginevra,
e De Valera disse loro di raggiungerio cosH. Al confine italo-
svizzero destarono i sospetti neUe guardie italiane, per il fatto
che avevano pochissimo bagaglio e il denaro che avevano era
meno di una stcrlina. Furano tatti scendere dal treno, che lascio
la stazione di confine senza di loro. AHa fine fu loro consentito
eli prcndere il treno successivo per 1a Svizzera. E COS! Schrodin-
ger divenne professore decano dell'Institut of Advances Studies
di Dublino, che aHora nemmeno esisteva. (Non c'e aneora alcun
Istituto del genere in Gran Bretagna).
Una delle esperienze di cui ho un bel ricordo, relativo aHa
mia visita nel 1936, fu quando Ayer mi condusse ad una riunione
della Aristotelian Society in cui parle, Bertrand Russell, il quale
e forse il pill grande filosofo dopa Kant.
Russell lesse una conferenza su « r limiti dell'empirismo »(164).
Ammesso che la conoseenza empirica si otteneva per via indut-
tiva, e subendo al tempo stesso il forte influsso della critica hu-
miana dell'induzione, Russell affermava che si doveva adottare
un principio di induzione che a Slla volta Don poteva pero basarsi
sull'induzione. L'adozione di questo principio segnava dun que i
limiti deU'empirismo. Ora, nei roiei Gnmdproblenle e pili in breve
nella LogUe der Forschtmg, io aVevo attlibuito a Kant precisa-
mente questi argomcnti, e mi parve pertanto che la posizione
di Russell fosse sotto questa aspetto identica aU'apriorismo di
Kant.
Dopo la conferenza vi fu una discussione, ed AyeI' mi inco·
raggio a parI are. COS! dissi innanzitutto ehe non crecl~llo affatto
neU'induzione, benehe credessi nell'apprendimento per esperien-
za, e che credevo in un empirismo senza quei limiti kantiani
che Russell aveva proposto. Questa affennazione, che forrnulai
net modo piu conciso ed esplicito che poteva consentirmi l'inglese
incerto di cui aHara disponevo, fu ben recepita dai pre senti , i
quali, a quanta pare, la presero come uno scherzo e risero. Nel
mio secondo tentativo dissi che tutto il pasticcio era davuto al-
l'errata supposizione che la cOl1oscenza sciel1tifica fosse una spe-
cie di C0110SCt?l1W - di conoseellza nel senso ordinario della parola,
per cui se io so che sta piovendo deve esser vem che sta piovendo.
e quindi la canoscenza implica la verita. Ma, io dissi, quella che
noi chiamiamo «eonoscenza sci.entifica » e ipotetica, e spesso non
vera, e tanto menD vera con certezza 0 probabilmente (nel senso
del calc€llo della probabilita). Aneara una valta i presenti presero
l'affermazione per uno scherzo, 0 per un paradosso, e si misero

113
a ridere e a battere le mani. Dubito ebe qualcuno dei presenti
aobia sospettato ehe io non solo sostenevo sul serio queste opi-
nioni, rna ehe queste, col tempo, sarebbero state considerate da
molti come un luogo comune.
Fu Woodger a suggerirmi di rispondere ad un annuncio
pubblicitario per un incarico d'insegnamento di filosofia all'Uni-
versita della Nuova Zelanda (a1 Canterbury University College,
corne era aHara chiamata \'attuale Universita di Canterbury).
Qualcuno - e possibile che sia stato Hayek - mi presento al Dr.
Walter Adams (in seguito direttore della London School of Eco-
nomics) e alIa signorina Esther Simpson, i quali dirigevano in-
sieme l'Academic Assistance Council, che in que1 periodo cercava
di aiutare i tanti scienziati profughi dalJa Germania e aveva
gUI. cominciato ad aiutare anche alcuni profughi dall'Austria.
Nel luglio del 1936 lasciai Londra per recarmi a Copenhagen
- mi accompagno aHa partenza Ernst Gombrich - per partecipare
ad un Congresso (163) ed ineontrarmi con Niels Bohr, incontro di
cui ho parlato nella sezione 18. Da Copenhagen feci ritorno a
Vienna, attrawrsando Ia Gennania di Hitler. AHa fine di novembre
ricevetti una Iettera dal Dr. A. C. Ewing, il quale, a nome della
Facolta di Scienze Morali delI'Universita di Cambridge, mi offriva
ospitaJita accademica, e insieme ricevetti una lettera di Walter
Adams, dell'Academic Assistance Council, ehe mi assicurava l'as-
sistenza; poco dopo, la vigilia di Natale del 1936, ricevetti un
telegramma in cui mi si offriva una cattedra a1 Canterbury Uni-
versity College, Christchurch, in Nuova Zelanda. In questa easo
si trattava di una posizione norrnale, mentre l'ospitalita offer-
tami da Cambridge era Iegata al fatto che sarei stato un profuga.
Mia moglie ed io avremmo preferito andare a Cambridge, rna io
pensai che l'offerta di ospitalita la si sarebbe anche potuta tra-
sferlrc a qualche aItro. Accettai COS! l'invito per la Nuova Ze-
landa, e pregai l'Academic Assistance Council a Cambridge di
invitare, al mio posta, Fritz Waismann, del Circolo di Vienna.
Essi accettarono Ia riehiesta.
Mia moglie ed io ci dimettemmo dai nostri incarichi d'inse-
gnamento e nel giro d'un mese lasciammo Vienna per Londra.
Dopa una sosta di cinque giomi a Londra, salpammo per la
Nuova Zelanda, e arrivammo a Christchurch durante Ia prima
settimana di marzo del 1937, giusto in tempo per l'inizio dell'anno
accademico nella Nuova Zelanda.
Ero certo ehe ci sarebbe stato presto bisogno del mio aiuto
per i profughi austriaci sfuggiti a Hitler. Ma ci fu ancora un
anna prima che Hitler invadesse l'Austria e prima che comincias-
sera a farsi sentire Ie grida d'aiuto. A Christchurch si costitul
un comitato per ottenere ai profughi il permesso d'ingresso in

114
Nuova Zelanda; e alcuni furono liberati dai campi di concentra-
menta e dalle prigioni, grazie all'energia del Dr. R. M. Campbell,
ddJ'aIta commissione della Nuova Zclanda a Londra.

23. Le prime attivita hI Nuova Zelanda

Prima di andare in Nuova Zelanda era stato in Inghilterra


circa nove mesi in tutto, e questa soggiorno era stato per me
lIna rivelaziane ed un'ispirazione. L'one5ta e la dignita delle per-
sone e il lora forte sensa della responsabilita politica mi aveva
lasciato l'impressione piil. profonda possibile. Ma perfino i do-
centi universitari che ineantrai erano del tutto mal informati
riguardo alIa Gerll1ania di Hitler e nella mente di tutti non c'erano
che buoni allspici. 10 era in Inghilterra quando In leatH. popo-
lare alle idee della Lcga delle Nazioni distrusse iI piano Hoare-
Laval (ehc avrebbe ben potuto impedire a Mussolini di unire Ie
sue forze a queUe di Hitler); cd era Ii quando Hitler entra nella
Rcnania, un atta, questa, appoggiato in massa dalla pubblica opi-
nione inglese. Sentii anche Neville Chamberlain parlare a favare
di un bilancio preventivo per il rianno, e cercai di trovar conforto
nell'idea ehe egli in fin dei conti non era che Cancclliere della Seae-
chiere e che pertanto non era proprio necessaria che capisse con-
tra chi 5i stesse armando, 0 quando cib fosse urgente. Mi resi
conto che Ia democrazia - anche Ia democrazia britannica - non
era una istituzione intesa a combattere il totalitarismo; rna fu
triste it dover prendere atto che, a ben guardare, c.'era un solo
lloma - Winston Churchill - che capiva quel che stava accaciendo,
e che proprio ness uno aveva una pm-ola buona per lui.
In Nuova Zelanda Ia situazione era simile, rna alquanto esa-
gerata. La gente non era cattiva: come gli inglesi, dimostravano
dignita ed eTano eordiali eben disposti. Ma il continente europeo
era infinitamente distante. In quei giorni la Nuova Zelanda non
aveva eontatti col manda S0 non attraverso l'Inghilterra, a cin-
que settimane di distanza. Non e'era nessun collegamento aereo,
e non ci si poteva aspettare la rispasta ad una lettera in me,no
di tre mcsi. Nella Prima Guerra Mandiale il paese aveva sublto
perdite gravissime, rna tutto do era stato ormai dimenticato. I
tedcschi erano ben visti, e la guerra era impensabile.
Ebbi l'impressione che Ia Nuova Zclanda fosse il paese me-

115
glio governato del mondo e quello governato can 1a mas sima fa-
cilita.
L'atmosfera era meravigliosamente tranquilla e piacevole per
il lavoro, ed io mi accinsi subito a riprendere e portare avanti
il lavoro ehe era sta10 interrotto per akuni mesi. Mi feci parecehi
amici, che erano interessati al mio Iavoro e ehe mi incoraggia-
rono molto. I primi furono Hugh Parton, il chimico fisico, Frede-
rick White, il 1]sieo, e Bob Allan, il geologo. Poi vennero Colin
Simkin, economista, Alan Reed, giurista, George Roth, fisieo delle
radiazioni e Margaret Dalziel, Ia qualc era aHara studentessa
di lingue cIassiche e di anglistica. Piit a sud, a Dunedin, Otago,
c'erano John Findlay, fiiosofo, e John Eccles, ncurofisiologo. Tutti
costoro roi divennero amici per sempre.
Dapprima mi concentrai - oltre all'insegnamento (io ero il
solo a insegnare filosofia) (l6ci) - sulla teoda della probabilita,
speciaimente sul trattamento assiomatic.o del calcolo delle proba-
bilita e sulla relazione tra il ealcolo della probabilita e l'algebra
di BODle; e portai presto a termine un articoIo, ehe ridussi a1
minima possibile di lunghezza. Questo articolo venne pill tardi
pubblicato in «Mind» (167). Continuai questo lavaro per molti an-
ni; era un grande sostegno ogni volta che mi prendevo un raf-
freddore. Lessi anehe qualcosa di fisica e riflettei ulteriormente
sulla teo ria dei quanti. (Fra Ie altre cose Iessi la lettera (168) ec-
dtante e sconvoIgente, pubblieata in ({ Nature », di Halban, Joliot
e Kowarski sulla possibilita dell'esplosione dell'uranio, alcune let·
tere sullo stesso argomento in « The Physical Review», ed un
artico10 di Karl K. Darrow nell'« Annual Report of the Board
of Regents of the Smithsonian Institution» (169).
Da malta tempo stavo riflettendo sui metodi delle scienze
sociali; dopo tutto era 5tata, almena in parte, l.rna erHica del
marxismo ad avviarmi, nel 1919, suI cammino ehe mi avrebbe
portato alIa Logik der Forschung. Nel seminario di Hayek avevo
tenuto una eonferenza su «La mlseria della storicismo », il cui
contenuto era (0 almeno 10 pcnsavo) qualcosa come un'applica"
zione delle idee della Logik der Forsc1llmg ai metodi delle scienze
sociali. Discussi queste idee can Hugh Parton e jl Dr. H. Larsen,
it quale ultimo era aHara docente nel dipartimento di economia.
Ero pero estremamente riluttante a pubblicare qualcosa contra
il marxismo: 1a dove aneora esistevano suI continente eul'opeo,
i socialisti democratici erano dopo tutto la sola forza politica
che aneora resisteva alla tirannide. Ero convinto che nella situa-
zione aHora dominante non si dovesse pubblieare alcunche contm
di lora. Anche se ritenevo che Ia lora politica fosse suicida, era
irrealistico pensare che Ii si potesse riEormare can uno scritto: la
pubblicazione di qualsiasi critica non pote"\ra che indebolirli.

116
Giunse quindi la notizia, nel marzo del 1938, dell'occupa-
zione dell'Austria da parte di Hitler. A questa punto ci fu I'ur-
gcnte bisogno di aiutare gli austriaci a fuggire. SentivQ anche
che non potevo pill a lungo tener segrete tutte queUe conoscenze
dei problemi politici che avevo accurnulato fin dal 1919. Decisi
quindi di redigere «La miseria dello storicisrno» al fine di una
pubblicazione. Ne vennero fuori due lavori pili 0 menu comple-
mcntari: La miseria della storicismo e La sacieta aperta e i slloi
nemICl (che in un primo tempo avevo intenzione di intitolare:
"Falsi profeti: Platone - Hegel - Mane »).

24. « La saclet?! aperta »


e «La miseria della storicisl110 »

All'inizio la mia unica intenzione era di elaborare e redigere


in un Inglese decoroso per la pubblicazione it testa fetto al se-
minario di Hayek (Jetto la prima volta in tedesco, a BlUxeHes t
in casa del mio arnica Alfred Bl-aunthal) (170), dimostrando piu
da vicino che 10 «storicismo» ispirava tanto il marxismo quanta
il fascismo. L'articolo, messo a p1.rnto, mi appariva eruaro: era
certo un lungo articolo, rna poteva benissimo essere pubblicato
tutto d'un pezzo.
II mio guaio era soprattutto di doverlo scrivere in un in-
glese accettabile. Prima di aHora avevo gia scritto qualche cosa,
ma dal punto di vista linguistico era scritto veramente male. II
mio stile tedesco nella Logik dey FOTSc11lmg era stato abbastanza
accessibile - per i lettori tedescru; avevo pero scoperto che il
modo di scri"\>'ere degli inglesi era del tutto diverso e molto supe-
riore al livello dei tedeschi. Nessun lettore tedesco, ad esempio,
bada ai polisillabi. In inglese, invece, si deve imparare a provarne
repulsione. Ma se si deve aneora lottm-e per evitru:e gli ermri piu
semplici, questi obiettivi piil elcvati restano ben piil lontani,
per quanta Ii si possa riconoscere vahdi.
Credo che La miseria della sloricismo sia uno dei miei scritti
pili noiosi. Inoltre, quando avevo gUt scritto Ie dieci sezioni che
formano il primo capitolo, tutto il mio progetto ando a monte:
la sezione 10, sull'essenzialismo, risulto irnbarazzante per i miei
amici, tanto che cominciai a rielaborarla; e in seguito a questa
elaborazione e aile poche osservazioni che feci sulle tendenze

117
totalitarie della Repubblica di Platone - osservazioni che ai role!
amici risultarono anche oseure (specialmente a Henry Dan Broad-
head e a Margaret Dalziel) - venne fuori, 0 esplose, senza tID pro-
getto e contro tutti i progetti, una conseguenza del tutto non
voluta, La societa aperta. Quando questa eomincio a prender for-
ma, la staecai da La miseria dello storicismo, riducendo questa
scritto a quello chc piu 0 meno era il suo contenuto originaria-
mente inteso.
Ci fu anche un fattore di minore importanza che eontribul
alIa nascita de La societa aperta: fui irritato dall'oseurantismo
di aleuni temi d'esame Sl1 «l'uno e i molti » nella filosofia greea,
c volli portnre allo scopcrto Ie tendenze politiche eonnesse a
queste idee metafisiche.
Dopo aver staccato La societa aperta da La miseria, portai
innanzitutto a termine i primi tre capitoli di quest'ultimo scritto.
n quarto capitolo, the fino a quel momenta esisteva solo in ab-
bozzo (scnza ehe vi fosse affatto discussa quel1a che in seguito
avrei chiamato ({ logica situazionale »), credo di averlo completato
solo dopa aver seritto la prima stesura del volume su Plat one de
La societa {[perta_
Non v'e aIcun dubbio ehe, in parte anche a causa dell'evalu-
zione interna del mio pensiero, queste due opere andassero avanti
in modo alquanto confuso; rna cia, a mio avviso, era in parte do-
vuta anehe al patto Hitler-Stalin e alI'effettivo scoppio della guer-
ra, ed anche alia strana piega che la guerra andava prendendo.
Come tutti, anch'io temevo che dopa In caduta della Francia
Hitler avrebbe invaso l'Inghilterra. Mi sentii sollevata quando, in-
vece dell'Inghilterra, invase la Russia, rna temevo che Ia Russia
sarehbe cro\lata. Ma, come dice Churchill nel suo libra sulla Pri-
ma Guerra Mondiale, Ie guerre non si vincono se non si perdono. E
Ia Seconda Guerra Mondiale fu persa a motiva dei carri armati di
Hitler in Russia e dei bombardieri del Giappone su Pearl Harbor.
La miseria e La societa aperta furono Ie mia Fatica di guerra.
Pensavo che Ia liberta potesse ancora una volta diventare un pro-
blema centrale, soprattutto per la rinnovata influenza del marxi-
smo e dell'idea di una ({ pianificazione» (0 ({ dirigismo ») su vasta
scala. Per tale ragione qucsti libri furano intesi come una difesa
della liberta contro Ie idee totalitarie e autoritariste ed anche
come un ammonimento contra i pericoIi delle superstizioni stori-
cistiche. Entrambi i libri, e in modo particolare La societil aperta
(indubbiamente i1 pib. importantc fra i due), possono essere con-
sidenl1i come libri di filosofia deIla politica.
Entl'ambi scatul'irono dalla teoria della conoscenza della Lo-
gik der Forsclzung e dalla mia convinzione ehe Ie nostre opinioni,
~pesso inconsce, sulla teoria della conoscenza c sui suoi problemi

118
centrali {« Che cosa possiamo conoscere? », "Fino ache punto
la nostra conoscenza e certa? ») sono determinanti per il nostro
atteggiamento riguardo a noi stcssi e alla politica (171).
Nella Logik der Forsc1zung avevo cercato di dimostrare che la
nostra conoscenza progredisce per tentativi ed eliminazione de-
gli errori, e che la differenza principale tra 1a sua crescita pre-
scientifica e quell a ~cientifica consiste nel faUo che a livelLo scicn-
tifteo noi andiamo consapevolmente alla ricerea dei nostri errori:
l'adoziune cosciente del metoda critico diventa il principale stru-
mento della crescita. Credo che gUt a quel tempo fossi ben con-
sapevole che i1 metodo critico - ovvero l'approccia critieo - eon-
siste, generalmente, nella ricerca delle difficolta 0 contraddizioni
e nel tentativo di risolverle, e che questa approccio puo trovare
applicazione ben oltre la scienza, per la quale soltanto i control1i
critici sono caratteristici. Infatti serivevo: « In questa opera ho
lasciato in secondo piano il metodo critico - 0 "dialeUico", se si
vuole - per risolvere Ie contraddizioni, dato che i1 mio obiet-
tivo era quello di cereal' di sviluppare gli aspetti metodologici pra-
tid della mia eoneezione. In un lavorn non aneora pubblicato
110 cercato di prendcre la via eritica... » (172) (e qui alludevo a Die
beiden Grtlndprobleme).
Ne La societa aperta rilevavo che il metodo critico, pur usando
i controlli ogni volta che sia possibile, e preferibilmente controlli
pratici, puo essere generalizzato in quello ehe chiamavo atteggia-
mento elitico 0 razionale (17.1). Sostenevo ehe uno dei migliori
sensi di «ragione» e «ragionevolezza)l era l'apertura alIa eritica
- disponibilita ad essere criticati e desidel'io di criticare se stes-
si -; e cercavo di dimostrare ehe questa atteggiamento critico di
ragionevolezza doveva essere diffuso i1 piu possibile (174). Sugge-
rivo ehe la richiesta di estcndel'e i1 piil possibile l'atteggiamcnto
critieo venisse indicata come « razionalismo critico )), un suggeri-
menta ehe fu in seguito raccolto da Adrienne Koch (175) e. da Hans
Albert (176).
In questa atteggiamento e irnplicita la presa d'atto che noi
dovrema sempre vivere in una soeieta imperfetta. E cib non solo
perche anehe Ie persone migliol'i sona assai imperfette; e neanche
perehe, come e naturale, noi facciamo spesso degli errori per il
fatto di non sapere abbastanza. Aneor pill importante di queste
due ragioni e il fatto che esistona sempre insolubili conflitti di
valori: ci sono molti problemi morali insolubili perch6 i princlpi
morali possono essere Ira lora in conflitto.
Non pub esistere alcuna societa umana senza conflitti: una
siffatta societa sarebbe una societa non di amici rna di formiche.
Supposto anche che 1a si potcsse ottenere, ci sarebbero sempre

119
valori umani della massima importanza che verrebbero distrutti
dul conseguimento di una simile societa, e che dovrebbero quindi
impedirci eli cercarne la realizzazione. E' certa, d'altro canto, che
dm'remmo eercare di ridurre il confiitto. Gia qui abbiamo dunque
un esempio di confHtto tii valori 0 prind.pi. Questo esempio, inoI-
tre, sta a dimostrare che i conflitti di valori e principi possono
essere fecondi, e perfino essenziali, per una societa aperta.
Uno dei principali argomenti de La societa Qperta e diretto
contl'O il reiatil,ismo morale. Il fatto ehe i valori 0 prindpi moraE
possano entrare fra loro in conflitto non Ii invalida. I valori 0
princlpi moraU possono essere scoperti, e perfino inventati. In
una data situazione possono essere rilevanti, mentre in aItre si-
tuazioni possono essere irrilevanti. Possono essere accessibili a
ccrte persone e inaccessibili ad altre. Ma tutto cio e affatto di-
verso dal relativismo, ossia dalla dottrina secondo Ia quale si puo
difendere qualsiasi complesso di val~ri (177).
In questa mia autobiografia intellettuale si dovrebbe certo
far menzione di tante altre idee t"ilosofiche de La societa aperta
(alcune delle quaJi relative alIa storia della filosofia, altre alIa fiIo-
sofia della storia) - certamente pili di quante ne possano essere
qui discusse. E' fra queste quell a che fu la prima esposizione ab-
bastanza ampia della mia posizione anti·essenzialistica e, a mio
avviso, 1a prima formulazione di un anti-essenzialismo che non sia
nominalistico od osservativistico. Nella scia di questa esposizione,
La societa aperta comprendeva alcune critiche del Tractatus di
Wittgenstein, critiche che sono state pressocche del tuHo igno-
rate dai commentatori di Wittgenstein.
In tal contesto scrissi anche sui paradossi logici e formu1ai
alcuni nuovi paradossi. Esaminai inoltre ]a lora relazione col [Jara~
dOS50 della democrazia (una discussione che ha dato origine ad
una lettcratura piuttosto nutrita) e coi pitl generali paradossi della
sovral1ita.
Un'ampia letteratura, che, a mio modo di vedere, ha recato
uno scarso contributo a1 problema, e scaturita da un'errata cd-
tica delle mie idee sulla spiegaziol1e storica. Nella sezione 12
della Logik der Forschtmg avevo discusso quel1a che chiamavo
{( spiegazione causate,. (178). 0 spiegazione deduttiv3, una discus-
sione che era stata antic.ipata, serna che io ne fossi a conoscenza,
da 1. S. Mill, anche se forse in modo alquanto "ago (perche non
distingueva ancora tra una condizione inizialc e una legge univer·
sale) (119). Quando lessi ia prima volta "La miseria della storici-
sma" a Bruxelles, un mio ex-allievo, it Dr. Karl Hilfcrding (16~),
porto un interessante c.ontdbuto ana discussione, aHa quale con-
tribuirono anche Carl Hempel e Paul Oppenheim: Hilferding fece

120
notare la re1azione tra alcune mie osservazioni sulla spiegazione
~t.orica e Ia sezione 12 della Logik der Forschung. (Queste Osser-
vazioni trovarono poi posto nelle pagine 143-146 dellibro [1957(g)]
La miseria della staricismo. La discussione di Hilferding, che si
basava sulla Logik der Forschul1g. mise in risaIto alcuni punti ora
considerati neJle pagine 122-124 e 133 di [1957(g)] 181; punti in
parte connessi alIa relazione 10gica 1ra spiegazione e predizione, e
in parte ana banalita delle leggi universali molto usate neIle spie-
gazioni storiche: queste leggi sono di solita prive d'interesse, per
il semplice fatto che net contesta sono aproblematiche).
Comunque non consideravo questa particolare analisi come
di speciale importanza per la spiegazione storica, e quel che can·
sideravo importante ebbe aneora bisogno di qualche anna per
maturare. Era il problema della razionalita (0 del «principia di
razionalita» 0 del « metodo zero» 0 aneora della «logica della
situazione ») (182). Ma per anni la tesi senza importanza - in una
forma erroneamente interpretata - ha favorito, sotto it nome di
"madelIo deduttivo », il sorgere di lm'amplissirna letteratura.
L'aspetto assai pili importante del problema, il metodo del·
l'analisi situazionale, che trattai prima ne La miseria della stori-
cismo (1113) nel 1938, presentandolo poi alquanto pili diffusamente
nel capitolo 14 de. La societCJ. aperta (184), si sviluppava da queUo
che in precedenza avevo chiamato « metoda zero». L'obiettiva
prindpale era qui costituito da un tentativo di generalizzare it
metoda della teoria economica (teoria dell'utilita marginale) in
modo da poler essere applicata aUe nitre scienze sociali teodclze.
Nelle mie pili recenti formulazioni, questa metodo consiste nella
costruzione di un modello della situazione saciale, inc1usa in modo
particolare la situazione istituzionale in cui un agente opera, in
modo tale da spiegare Ia razionalita (il earattere zero) della sua
azlone. Questi modelli sono dunque ipotesi controllabili delle
scienze sociali; e quei modelli che sono « singolari", in senso
pili specifieo, sono Ie ipotesi singolari della storia (controllabili
di principio).
In questo contesto posso forse aceennare anche alIa teoria
della societa astratta, che fu inserita per la prima volta nell'edi-
zione americana de La societiz aper-ta (ISS).
La societa aperta segna per me una svolta, poiche esSa mi of-
frl l'occasione per scrivere di 8toria (di storia piuttosto specula-
tiva), e cio mi diede 111otivo, in una certa rnisura, di scrivere
sui metodi della ricerca storiea (JM). Gia prima avevo faUo delle
ricerche, peraltro inedite, sulla storia della filasofia, rna questo
libra rappresentava il mio primo contributo pubblicato. A mio

121
parere essO ha sollevato, a dire il meno, molti nuovi problemi
storid - in realta un vespaia di prablemi.
Il primo volume de La societa aperta, che intitolai It /ascino
di Platone «< The Spell of Plato »), nacque, came ho gia ricordato,
da un ampliamento della sezione 10 de La miseria dello siorid-
smo. Nella prima stesura di questo ampliamento c.'erano alcuni
paragrafi suI totalitarismo di Platone, suI rapporto tra il tot alita-
rismo e In teoria storicista di Platone sulla decadcnza a degene-
razione, e Sll Aristotele. Queste consideraziani si basavano sulle
mie precedenti letture della Repubblica, del Politico e del Gorgia, e
di alcuni libri delle Leggi, e inoltre sui Pensatori greci di Theodor
Gompcrz, un libra che mi piacque molto fin dai tempi della scuola
secondaria. Le reazioni contrarie dei miei amici della Nuova
Zelanda a questi paragrafi finirono per produrre Il fascino di Pla-
tone, e con esso La societa aperta. Cia mi costrinse infatti a ristu-
diare Ie fonti, per il fatto che volevo offrire una dimostrazione
piena delle mie opinioni. Rilessi Platone can la massima aiten-
zione. Lessi anche Diels Grote (Ia cui opinione, a mio avviso, era
essenzialmente identica aHa mia), e molti altri commentatori e
storici deH'epoca. (Le citazioni complete Ie si potranno trovare ne
La societa aperta). Le mie letture erano condizionate in ampia
misura dai libri che patevo trovare in Nuova Zelanda: durante
1a guerra non v'era possibilita alcuna di procurarmi, per i miei
scapi, libri d'oltremare. Per I'una a per l'altra ragione. ad esem-
pia, non mi fu possibile disporre dell'edizione di Loeb della Re-
pubblica (nella traduzione di Shorey), bench6, come venni a sa-
pere dopa la guerra, il secondo volume fosse stato pubblicato
nel 1935. Fu un vera peccato, dato che era questa Ia miglior tra-
duzione, come pili tardi avrei scoperto_ Le versioni disponibili era-
no cosl insoddisfacenti che, col sussidio della meravigliosa cdi-
zione di Adam, corninciai a fare da me Ie traduzioni, nonostante
il mio greco assai scadente, che cercai all ora di migliorare can
l'aiuto di una grammatica scolastica che mi era portata dall'Au·
stria. Non ne sarebbe venuto fuori niente, se non fosse stato per
tutto il tempo che dedicai a queste traduzioni: gUt. da prima mi era
reso canto che avrei dovuto riscrivere continuamente Ie traduzioni
dal latino e perrino dal tedesco, se avessi voluto rendere in modo
chiaro, in un ioglese ragionevolmente vigoroso, un'idea interes-
sante. Sono stato accusato di essere prevenuto nelle mie tradu-
zioni; e queste sana in effetti prevenute. Ma non c'e akuna tradu-
zione di Platone che non sia pmvenuta e, credo, non ce ne pos-
sono cssere. La versione di Shorey e una delle poche in cui non si
riscontrano prevenzioni liberali, per il fatto che egli accettava la
politica di Platone, approssimativamente, nel medcsimo sensa in
cui io la rifiutavo.

122
Inviai La miseria dello stonclsmo a «Mind", rna 10 scritto
Ju respinto; e subito dopo aver compietato La societd aperta, nel
febbraio 1943 (l'opera era stata riscritta parecchie volte) , In in-
viai in America per la pubblicazione. II libro era stato scritto in
circostanze difficili; Ie biblioteche erano assai limitate, ed io do-
vetti arrangiarmi con i libri di cui potevo disporre. 11 mio onere
di insegnamento era disperatamente gravoso, e Ie autorita univer-
sitarie non solo non mi diedero alcun aiuto, rna facevano di tutto
per crearmi delle difficolta. Mi fu detto che dovevo star bene
attento a non pubblicare alcullch6 finche era in Nuova Zelanda,
e che tutto it tempo dedicato aUa ricerca era rubato al tempo
che dovevo dedicare al 1avoro come docente e per cui venivo
pagato (187). La situazione era tale che, senza it sostegno morale
dei miei amid in Nuova Zelanda, difficilmente avrei patuto $0-
pravvivere. In queste circostanze, la reazione di quegii amici negli
Stati Unit.i, ai quali avevo inviato il manoscritto, fu un colpo
terribile. Per tanti mesi, questi non si fecero affatto sentire; e poi,
invece di sottoporre it manoscritto a un editore, sollecitarono l'opi-
nione di un'autOl-ita famosa, la quale decise che il libro, a causa
della sua irriverenza nei confronti di Aristotele (non di Platone),
non era tale da esserc sottoposto a un editore.
Dopo quasi un anno, quando non sapevo pill cosa fare ed era
terribilmente gill di morale, riuscii per caso a procurarmi l'in-
dirizzo inglese del mio arnica Ernst Gombrich, col quale avevo per-
duto i contatti durante Ia guerra. Insieme can Hayek, che con la
piu grande generosita offrl il suo aiuto (io non avevo osato im-
portlmario, per i1 faUo che in tutta la mia vita l'avevo viSlO sol·
tunto un paio di volt e) , egli trovb un editore. Entrambi mi scris-
seTO in modo estremamente incoraggiante a proposito del libro.
II sollievo fu immenso. Pensai, e 10 penso tuttora, che questi due
mi avevano salvato la vita.

25. L'ulteriore lat'oro In Nuova Zelanda

Questa non fu il solo lavoro che svolsi in Nuova Zelanda.


Lavorai anchc nel campo della logica - in reaita inventai per conto
mio quella chc oggi si chiama «deduzione naturale)} (158) - e la-
vorai molto e tenni moIte lezioni sulla logica della scoperta scien-
tifica, compreso il 1m.'oro sulla storia della scicnza. Quest'ultimo

123
lavoro consisteva principalmente nelle applicazioni delle mie idee
logiche sulla seoperta aile scoperte cffettive; rna cercai aoehe di
ehiarirmi l'irnmensa importanza storica delle tcorie erronee, come
la teoria parmenidea del mondo pieno.
In Nuova Zelanda svolsi anehe corsi di 1ezioni sui metodi
non·induttivisti della scienza, e tenni questi corsi ana sezione di
Christchurch della Royal Society di Nuova Zelanda e alIa Scuo1a
di Medicina dt Dunedin. Questi corsi crano stati avviati dal pro-
fessor (poi Sir John) Eccles. Negli ultimi due anni trascorsi a
Christchurch tenni delle lezioni pomeridiane ai docenti e agli stu·
denti dei dipartimenti di scienze del Canterbury University Col·
lege. Tutto cia cornportava un duro lavoro (oggi non riesco a
immaginarrni corne abbia fa110 a svolgel'Jo), rna estremarnente pia·
cevole. Anni dopo ho incontmto alcuni ill quelli che avevano par·
tecipato a qucsti corsi, qua e Hi per i1 mondo, scienziati che rni
hanno assicurato che io avevo aperto lora gli occhi - e tra questi
c'erano alcuni scienziati di gl'ande successo.
La Nuova Zelanda mi piaceva rnoltissirno, malgrado I'ostili·
ta che alcune auto rita universitarie avevano dimostrato nei con·
fronti del mio lavoro, cd ero disposto a rimanel"Vi definitivamen-
teo All'inizio del 1945 ricevetti un invito dall'Universita di Sydney.
A cia fecero seguito, in Australia, alcune critiche da parte dei
giomali per Ia nomina di uno stralliero, e furono presentate al-
cune interrogazioni in ParJamento. Inviai percio un telegrarnma
ringraziando e declinando !'invito. Poco dopa - 1a guerra in Eu-
ropa era aUe sue ultime battute - ricevetti un telegramma, fir·
mato da Hayek, in cui mi si offriva un lettorato aU'Universita
di Londra, che avrei potuto otten ere presso la Scuola di Eco-
nomia di Londra, e rni ringraziava per l'invio de La miseria della
storicismo a Economica, di cui egli era direttore ad interim.
Ebbi l'impressione che Hayek mi avesse salvato la vita aneora
una volta. Da quel momenta fui impaziente di lasciare Ia Nuova
Zelanda.

26. Ingh.ilterra: alla London School of Economics


and Political Science

Quando lasciai ia Nuova Zelanda, la situazione era preva·


lcntemente ancora quella del tempo di guerra, e In nostra nave

124
ebbe l'ordine di doppiare Capo HOID. Fu questa una visione
fantastica e indimenticabilmente bella. Arrivammo in Inghilter-
ra ai primi di gennaio del 1946, ed io corninciai 1a mia aitivita
presso la Scuola di Economia di Londra [L.S.E.].
La L.S.E. era in quel periodo, subito dopa la guerra, tm'isti-
tuzione meravigliosa. Era abbastanza piccola perehe ogni mem-
bra del personale docente potesse conoscere tutti gli altri. n per-
sona1e docente, pur composto da poche persone, era eeeellente,
come del resto anche gli studenti. Gli studenti erano molti - Ie
classi erano piu nurnerose di queUe ehe ebbi pill tardi alia L.S.E. -,
desiderosi di apprendere, maturi, ed estremamente riconoscenti; e
per il docente essi rappresentavano una sfida. Fra questi studenti
c'cra un ex-ufficiale regolare della Regia Marina. John Watkins,
attualmente mio successore ana L.S.E.
Avevo fatto ritorno dalla Nuova Ze]anda con tanti problemi
aperti, in parte prablemi puramente logici, in parte questioni di
metoda, incluso il metoda delIe scienze sociali; e trovandomi
Ora in una seuola di scienze sociali, sentivo ehe questi ultimi pro-
blemi reclamavano, per un certo tempo, la precedenza rispetto
ai problemi del metoda neUe scienze naturali. Eppure Ie scienze
sociali non hanno mai avuto per me la stessa attrazione delle
scienze naturali teoriche. In realta, la sola scienza sociale teorica
ehe mi attraesse era l'economia. Mat come molti altIi prima di
me, it mio interesse era di mettere a confronto Ie scienze natu-
l'ali e Ie scienze sociali dal punto di vista del lora metado, e
questa era in una certa misura la continuazione del lavoro che
avevo fatto ne La miseria dello storicismo.
Una delle idee discusse ne La miseria della storicismo era
l'influenza d.i una predizione sull'evento predetto. Avevo dato
a questa influenza il nOme di «effetto di Edipo ", e cio perche
l'oracol0 giocava un ruolo importantissimo nella sequenza degli
i:venti che portavano alIa rea1izzazione della Sua profezia. (Era
anche un'allusione agli psicoanalisti, che stranamente non erano
riusciti a vedere questa fatto interessante, benche 10 stesso Freud
avesse ammesso che i veri sogni sognati dai pazienti erano spesso
colorati dalle teorie dei loro analisti; Freud Ii chiamava «sogoi
compiacenti »). Per un certo tempo pensai che I'esistenza del-
j'effetto di Edipo distingueva Ie scienze sociali dalle scienze na-
turali. Ma anche in biologia - perfino nella biologia molecolare -
Ie aspettazioni giocano sovente un ruolo nel prodUlTe quel che
ci si aspetta. Ad ogni modo, la mia confutazione dell'idea che
questa effetto potcsse servire da carattere distintivo tra la
scienza sociale e la scienza naturale diede origine al mio articolo
"Indeterminism in Quantum Physics and in Classical Physics»

125
Per questa ci volle pero un po' di tempo. II mio primo arti-
colo dop(} il ritorno in Europa scaturl da un invito assai cortese
a contribuire ad un simposio su «Perche i ca1coli della logica e
deU'aritmetica sana applicabili aHa realla)) (190), simposio tenuto
alla sessionc congiunta delI'Aristotelian Society e della Mind As·
sociation a Manchester, nel luglio 1946. Pu un incontro interes-
sante, ed io fui accolto dai filosofi inglesi in modo estremamente
amichevole e, specialmente da Rylc, con notevolc interesse. In
eiIetti, la mia La societa aperta era stata accoJta favorevolmente
in Inghilterra, ben al di 111 delle mie attese; gli stessi platonisti
che odiavano i1 libro parlavano della sua "fecondita eli idee",
dicendo che « quasi ogni frase ci da qualcosa su cui rifletterc"
- e questo, ovviamente, mi faceva pili piacere di qualsiasi fa-
cile consenso.
Eppure non potcva esservi akun dubbio ehe i miei modi di
pensarc, i miei interessi e i miei problemi fossero del tutto
sgraditi a tanti 1ilosofi inglesi. Le ragioni non Ie conosco. In
qualche caso potrebbe esser state it mio interesse per Ia scienza.
In qualchc aItro casa potrebbe esser stato il mio atteggiamento
critico nei confronti del positivismo e della filosona del linguag·
gio. Cio mi porta al mio incontro can Wittgenstein, di cui ho
sentito dire Je cose pili svariate e assurde.
All'inizio dell'anno accademica 1946-47 rkevetti un invito dal
Segretario del Moral Sciences Club di Cambridge perc he leggessi
una conferenza su di una qualche ({ perp1essita filosofica ". Era
chiaro, ovviamente, che si trattava di una formulazione di Witt-
genstein, e che dietro ad essa c'era la tesi filosofica di Wittgen-
stein, secondo 1a quaLe in filosofia non eS1stono problemi autcn-
tici, rna soltanto perplessitil linguistiche. Siccome questa te5i
era fra queUe che pill avversavo, decisi di pnrlare su « Ci sono
problemi filosofici? ». Cominciai la mia conferenza (letta iI 26
ottobre 1946 nella studio di R. B. Braithwaite nel King's College)
esprimendo Ia mia sorpresa per essere stato invitato dal Se-
gretario a tenere una conferenza per «formulare una qualche
perplessita filosofica II; e rilevai che, negando implicitamente che
esistano problcmi filosofici, chiunque fosse stato a scrivere I'in-
vito aveva preso posizione, forse senza volerlo, su una questione
creata da un autentico problema filosofico.
Va da se ehe con questa intendevo solo introdurre il mio
tema, in modo provocatorio e magari un po' scherzoso. Ma proprio
a questo punto Wittgenstcin saito su e disse, ad alta voce e,
cosl mi parv-e, con rabbia: «II Segretario ha fatto esattamente
cib che gli e stato detto di fare. EgJi ha agito su rnia istruzione )1,
10 non ci feci casa, e continuai; rna accadde che almena a1cuni

126
fra gli ammiratori di Wittgenstein, tra i presenti, se ne accor-
sera, e di consegucnza presero la mia osservazione, intcsa corne
uno scherzo, come un grave rimprovero a1 Segretario. E COS!
fece anche it pavero Segretario, come risulta dalle minute in cui
riferisce sulI'incidente. aggiungcndo in cake aHa pagina: «Que-
sta e la formula d'invito del Club» (191).
Comunque andai avanti, e dissi che se pensavo che non esi-
stevana autentici problemi filosofici, non potevo certo esscre
un filosafo; e ehe i1 £atto ('he tanti, 0 forse tutti, adottano sCOll~
sideratamente soluzi6ni insostenibili per tanti, 0 forse tutti i
problemi filosofici, bastava a giustificare i1 £atto di essere un
fi1050fo. Wittgenstein saita su un'altra volta, mi interruppc, e
parlo a lungo sulle pcrplessita e i rompicapi e sulla non-esistenza
dei problemi filosofici. At momento in cui mi sembro piu oppor-
tuna fui io ad in terro mp erlo , presentando un e1eneo da me
preparato di problemi filosofici, come: Conosciamo le case attra-
verso i nostri sensi? Otteniamo la nostra conoscenza per indu~
zione? Wittgenstein Ii respinse, dicendo che erano problemi 10-
gici, piuttosto che filosofi.ci. Posi alIora il problema se esista I'in-
finito potenziale 0 forse anche quello attuale, un problema che
egli respinse come matematico. (Questo rifiuto fu trascritto nel
verbale), Ricordai quindi i problemi morali e it problema della
validita delle norme morali. A questo punto Wittgenstein, it quale
sedeva vicino al caminetto e giocava nervosamente can I'3ttizza-
toio che talvolta usava come bacchetta da direttore d'orchestra
per sottolineare le sue affermazioni, mi lancio la sfida: «Dai un
esempio eli lUla regola morale! », 10 replicai: « Non minacci i
conferenzieri ospiti con gli attizzatoi ». Dopo di che Wittgenstein,
infuriato, getta giu l'attizzatoia e se ne anda adirato dalla stanza,
sbattendo dietro di se Ja porta.
Mi dispiace veramente tanto. Riconosco di essere andato a
Cambridge con La speranza di provocare Wittgenstein a difendere
la tesi che non esistono problemi filosofici autentici, e di cOnl-
batterlo in questa punto. Ma non mi era mai passato per la
testa di farlo arrabbiare; e fu una sorpresa il dover constat are
che egli era incapace di cap ire uno scherzo. Solo piu tardi mi
resi canto che forse cgli capl veramente che io scherzavo e che
fu proprio questo ad offenderlo. Ma anche se avevo voluto affron-
tare il mio problema in modo alquanto scherzo so, io prendevo Ia
casa can la massima serieta, forse ancor piu dello stesso Witt-
genstein, giaechc, dopo tutto, egli non credeva in problemi filo-
sofici autentici.
Dopo che Wittgenstein ci ebbe lasciati, ci fu tra noi una
discussione assai piacevole, in cui Bertrand Russell fu uno degli

127
interlocutori di maggior spiceo. E Braithwaite mi feee poi Wl
compJimento (forse un complimento equivoco), dicendo che io
ero stato l'unico che si fosse azzardato ad interrompere Witt-
genstein allo stesso modo in cui Wittgenstein era solita interrom-
pere chiunque aItro.
II giorno appresso, suI treno che mi portava a Londra, nel
mio scompartil1lento c'erano due studenti seduti l'uno di ITonte
aJl'altro, un ragazzo che leggeva un libro ed una ragazza che
lcggeva un giornale di sinistra. All'improvviso la ragazza chiese:
« Chi e questo Karl Popper? ». E il ragazzo replica: «Mai sentito
parlare », Eceo la fama. (Poi venni a sapere che nel giornale c'era
un aUacco a La societil aperta).
L'incontro 31 Club delle Scienze Morali divenne quasi su-
bito oggctto di discorsi fatti a vam'era, A breve distanza di tempo
fill sorpreso nel ricevcre una !cttera dalla Nuova Zelanda, in
cui mi si chiedeva se fosse vera che Wittgenstcin ed io eravamo
venuti aile mani, entrambi armati di attizzatoi. Pili vicino a casa
Ie storie erano meno esagerate, 111a non tanto.
L'incidente fu in parte dovuto alIa mia abitudine, ogni qual
volta venga invitato a pariare da qualche parte, di cercare di
sviluppare alcune conseguenze delle mie vedute che ritengo che
siano inaccettabili per un pubblico particolare. Credo infatti che
l'unica ragione che giustifichi una conferenza sia il lanciare una
sfida. E'l'unico modo in cui iI parlare puo a,'ere dei vantaggi nei
confronti della stampa. Fu per questa ragione che seelsi il mio
tema in que! modo. La controversia con Wittgenstein, inoltre,
toccava questioni fondamentali.
Ritengo che esistano problemi filosofici e perfino che alcuni io
Ii abbia risolti. Ma, come ho scritto altrove, «non c'e niente
che sembri meno auspicabilc di una soluzione semplice per un
annO$O problema filosofico» (192). L'opinione di molti filosofi, e
in particolar modo, pare. dei VV'ittgensteiniani, e che se un pro-
blema e risolubile, non e possibile che si tratti di un problema
filosofico. E' ovvio che ci sono anche altri modi di superare 10
scandalo di un problema risolto. Si puo anche dire che e tutta
roba veechia; 0 che lascia intatto il vero e pl'Oprio problema.
E dopo tutto non e vero che questa soluzione deve essere del
tutto sbagliata? (10 sono disposto ad ammettere che assai spes-
so tm atteggiamento come questo e pili valido di un consenso
eccessivo) ,
Una delle cose che in quel periodo mi risultava difficile ca-
pire era la tendenza dei filosofi inglesi a simpatizzare per Ie
epistemologie non-t'ealistiche: fenomenismo, positivismo, ideali-
smo berkeleyano 0 machiano (<< monismo neutrale »), sensismo,

128
pragmatismo in quei giorni, questi balocchi dei filosofi gode-
vane ancora di una popolarita maggiore che il realisrno. Dopo una
guerra crudele, durata sei anni, era sorprendente che sussistesse
ancora questa atteggiamento, e riconosco che aHora credevo che
esso fosse alquanto «obsoleto» (per usare un'espressione sto-
ricistica). COSl, invitato nel 1946-47 a leggere una conferenza
ad Oxford, diedi ad essa il titolo «Una confutazione del fenome-
nismo, del positivismo, dell'idealismo e del soggettivismo". Nel
corso della discussione, la difesa delle idee the io avevo attaccato
fu cosl fiacca da fare poca impressione. I frutti di questa vittoria,
tuttavia (se vittoria ci fu), furono raccolti dai filosofi del linguag-
gio ordinaria, che la filosofia del linguaggio ghmse presto a pren-
dere Ie difese del senso comllne. Infatti i tentativi di aderire al
sen so comllne e al rea1ismo sono, a mio modo di vedere, di
molto il migliore 'aspetto della filosofia del linguaggio ordinario.
Ma il senso comune, ancorche sia spesso nel giusta (specialmente
nel suo realismo), non sempre e nel giusto. E Ie case diventano
veramente interessanti proprio qllando il sensa comune e in er-
rore. Sono precisarnente queste Ie occasioni che dimostrano che
lloi abbiamo terribilmente bisogno di illuminazione. E sono an-
che Ie occasioni in cui gli usi del linguaggio ordinado non sono
in grado di aiutarci. Per dirlo in altre parole, il linguaggio ordi·
nario - e con esso la filosofia del linguaggio ordinario - e conser-
vatore, Ma neUe case dell'intelletto (in quanta opposto, forse, aI-
l'arte a alia politica) non c'e niente di me no creativo e piu ba-
nale del consen,atorismo.
Tutto questa mi sembra assai ben espresso da Gilbert Ryle:
« La razionalita dell'nomo non consiste nel non far domande in
qucstioni di principio, ma net non star mai senza fare domande;
non neU'attaccarsi a queUi che sono ritenuti assiomi, rna nel non
prendere alcunche per garantito» (19]).

27. Primo periodo di lat'oro in [nghilterra

Benche abbia conosciuto dispiacere e grande tdstezza, come


del rest a accade a tutti, non credo di aver passato, come filosofo,
un momento infelice dacche siamo ritornati in Inghilterra. Ho
lavorato duro, e spesso mi sono irnmerso fino al collo in difficolta
insolubili. Pero sono stato felicissimo di aver individuato nuovi

129
problemi. di averli aifrontati, e di aver fatto qualche passo avanti.
E' questa, 0 almeno COS! credo, la vita piu bella. Una vita COS!
mi pare infinitamente migliore della vita puramcnte eontempla·
tiva (per non parlare dell'autocontemplazione divina) che Aristo-
tele raccomanda come Ia migliore. E' una vita che non conosee
un momento di riposo, rna e del tutto autosufficiente - autarchica.
nel senso di Platone, anche se e chiaro chc non puo esservi vita
alcuna ehe sia completamente autarcflica. Ne a mia moglie ne a
me piaceva vivere a Londra; rna da quando ci siama trasferiti
a Penn nel Buckinghamshire, net 1950, credo di essere stato il
filosofo piu felice che io abbia mai conosciuto.
Cia eben lungi dall'essere irrilevante per i1 mio sviluppo
intellcttuale, dacche questa fatto mi e stato di immenso giova-
menta nel mio lav~r~. Ma qui c'e anche una specie di feedback:
una delle maggiori fonti di fe1icita e stato il vedere. qua e la, un
qualche aspetto nuovo del mondo incredibile nel quale viviamo
e dell'incredibile ruolo ehe noi vi svolgiamo.
Prima del nostro trasferimento nel Buekinghamshire, i1 mio
1avoro principale verteva sulla «deduzione naturale ». Avevo co-
minciato a lavararci sapra in Nuova Zelanda, dove uno dei miei
studenti del corso di logica, Peter Munz (attualmente professore
di storia aHa Victoria University), mi incoraggio tanto can Ia
sua intelligenza e per }'eccellente e indipendente sviluppo che
aveva dato a un argomento (194). (Egli non puo rieordare l'inci-
dente), Dopo it mio ritomo in Inghilterra, ne parlai a Bemays.
ed una volta anche a Bertrand Russell. (Tarski non era interes-
sato a questo, c potevo ben capirlo, in quanto aveva in mente
idee pili importanti; rna Evert Beth se ne interesso abbastanza).
Si tratta di una teoria assai elementare, rna anehe stranamente
bella - molto piu bella e simmetrica delle teorie logiche che aveva
conosciuto fino a quel momento.
L'interesse generaJe che ispira queste mie ricerche era stato
suscitato dall'articolo di Tarski «Sul concetto eli conseguenza
logica »(l95), che avevo sentito leggere da lui ad un Congresso
tenuto a Parigi nell'autunno del 1935. Questo articolo, e in par-
Heotare alcuni dubbi che vi si esprimevano (196), mi coudussero
a due problemi: (1) fino a qual punto e possibile formulare Ia
logiea in termini di verith 0 deducibilita, ossia di trasmissiane
della vedta e di ritrasmissione della falsita.? E (2) fino a qual
punta e possibile caratterizzare Ie costanti logiche di un lin-
guaggio oggctto come simboli, il cui funzionamento possa es-
sere descritto pienarnente in termini di deducibilita (trasrnissione
della verita)? Tanti altri problemi scat uri rona da questi pro-
blemi e dai molti tentativi ehe io feci per risolverli (1'17), Ma alIa

130
fine, dopo alcuni anni di lavoro, vi rinunciai, allorche scopersi un
errore che avevo fatto, sebbene l'errore non Fosse poi tanto grave
ed anche se nel correggere questa errore ero stato condotto a
risultati interessanti. Questi risultati, tuttavia, non Ii ho mai pub-
blicati (1 98).
Ne1 1946, invitato a un Congresso della International Society
for Significs, andai in Olanda insieme con Fritz Waismann. Que-
sto fu l'inizio di uno stretto rapporto con l'Olanda, che continuo
per alcuni anni. (In precedenza avevo ricevuto, in Inghilterra, la
visita del fisico J. Clay, il quale aveva letto la mia Logik der
Forschul1.g e col quale condividevo moIte idee). Fu in questa cir-
costanza che incontrai per 1a prima volta Brouwer, ed anche
Heyting, A. D. De Groot, e i fratelli Justus e Hennan Meijer.
Justus si interessb molto alIa mia La societa aperta, e avvio quasi
subito la prima traduzione del libra, in lingua olandesc (l99).
Nel 1949 fui promosso professOl-e di logiea e metodologia
scientifica all'Universita di Londra. Forse per riconoscenza presi
I'abitudine di cominciare Ie mie lezioni suI metoda scientifico
spiegando perche questa cosa non esisteva - piu aneora di altre
cose inesistenti. (Nelle mie Iezioni, tuttavia, non mi son ripetuto
poi tanto: non ho mai ltsato due volte gli stessi appunti per Ie
lezioni). ': : ,.\f!.~ ~::': ,
Le persone dalle quali imparai di pill in quel primo periodo
trascorso in Inghilterra furono Gombrich, Hayek, Medawar e
Robbins - nessuno fra costoro era filosofo. Fu tra queste persone
anche Terence Hutchinson, il quale aveva scritto con molta per-
spicacia sui metodi dell'economia. Ma cia di cui sentii maggior-
mente la mancanza in que! periodo fu di non pater par]are a
lungo can un fisico, benche a Londra avessi incontrato nuova-
mente Schrodinger, e avessi avuto buoni contatti can Arthur
March ad Alpbach, nel Tirolo, e con Pauli a Zurigo.

28. Primo viaggio negli Stati Uniti.


Incontro con Einstein

Nel 1949 ricevetti !'invito a tenere Ie William James Lectures


a Harvard. Cio mi porto ad intraprendere il mio primo viaggio
in America, e questa si ripercasse tremendamente sulla mia vita.
Quando lessi Ia lettera d'invito, del tutto inatt.esa, del professor

131
Donald Williams, pensai che c'era stato un errore: pensai che mi
avessero invitato credendo che fossi Josef Popper-Lynkeus.
In quel periodo stavo lavorando a tre cose: una serie di
articoli sulla deduzione naturale; vade assiomatizzazioni della
probabilita; e la metodologia della scienza sociale. 11 solo argo'
mento che mi sembrava adatto per un corso di otto 0 died
lezioni pubbliche era l'ultimo di questi, e quindi scelsi come
titolo delle lezioni: «Lo studio della natura e della societa ».
Salpammo net febbraio 1950, Dei membri del dipartimento
di filosofia di Harvard a\~evo incontratD, prima di aHora, solo
Quine. In questa circostanza incontrai anche C.1. Lewis, Donald
Williams e Morton White. E incontrai anche, nuovamente, per
la prima volta dopo il 1936, molti dei miei vecchi amici: il mate-
matico Paul Bosehan, Herbert Feigl, Philipp Frank (H qua Ie mi
prcsento al grande fisieo Percy Bridgman, col quale feci presto
amicizia), Julius Kraft, Richard von Mises, Franz Urbach, Abra-
ham Wald eVictor Weisskopf. Incontrai inoitre, pel' la prima
volta, Gottfried von Haberler, il quale, come venni pill t3l-di a
sapere da Hayek, par che sia stato il primo economista a inte-
ressarsi aHa mia teoria del metodo; George Sarton e 1. Bernard
Coben, stariei della scienza; e James Bryant Conant, rettore del-
l'Universita eli Harvard.
L'Ameriea roi piacque fin dal primo istante, forse perche
prima avevo qualche pregiudizio nei suoi confronti. Nel 1950
c'era un senso di liberta, di indipendenza personale, che non
esisteva in Europa e che, pensavo, era aneor piu forte che in
Nuova Zelanda, il paese pili libero che io conoscessi. Erano quel-
Ii i primi tempi del maceartismo - del crociato anticomunist3,
ormai in parte dimenticato, senatore Joseph McCarthy - ma,
a giudicm-e dall.'atmosfera generale, pensavo che questo movi-
mento, che prospcrava nella pam'a, sarebbe andato a finire in
un fallimento. AI mio ritorno in Inghilterra ne parIai con Ber-
trand RusselL
Riconosco ehe Ie CDse avrebbero potuto avere uno sviluppo
assai differente. II « non e possibile che questa accada qui» e
sempre sbagliato: una dittatura puo aver luogo dappertutto.
L'impressione pill forte e pill duratura della nostra visita
fu quell a che ci fece Einstein, Ero stato invitato a Princeton,
e in un seminario lessi una conferenza su «Indetenninismo nel-
la fisica quanlistica e nella Liska dassica", una sintesi di uno
scritto molto pili lungo (100). Nella discussione, Einstein disse po-
che parole di consenso, e Bohr parlo a lungo (a dire il vero. parlb
fino a quando non restammo che noi due soli), affcrmando, con
I.'ausilio del famoso esperimento delle due fcssUl-e, chc nella

132
fisica quantistica In situazione era completamente nuova e del
tutto incomparabile can quella della fisica classica. II fatto che
Einstein e Bohr siano venuti alia mia conferenza 10 considero
come il massimo eomplimento ehe io abbia mai ricevuto.
Avevo incontrato Einstein prima del mio discorso, 1a prima
volta grazie a Paul Oppenheim, nella casa del quale eravamo
ospitati. E benche io fossi assai riluttante a togliere del tempo
ad Einstein, egli mi feee venire di nuovo. In tutto mi incon-
trai can lui tre voIte. L'argomento principale delle nostre COll-
versazioni era l'indeterminismo. 10 cercai di pcrsuaderlo ad ab-
bandonare il suo determinismo, che in pratica si riduce\'a aL·
l'idea che il mondo fosse un universo chiuso, di tipo parmeni-
deo, a quattro dimensioni, nel quale it cangiamento era un'illu-
sione umana, 0 qualcosa di molto simile. (Egli era d'accordo che
questa fosse la sua opinione, e discutendo di cio io 10 chiamai
« Parmcnide »). 10 sostene.vo che se gli uomini, 0 altri organi-
smi, potevano fare esperienza del cangiamento e della vera e
propria successione nel tempo, questo era allora reale. Non era
possibile spiegare questo fatto attraverso una teoria del succes-
siva affiorare alia nostra coscienza di porzioni di tempo che in
un certo senso coesistono; infatti questa specie di «affiorare
alIa coscienza» avrebbe avuto esattamente 10 stesso carattere
di quella successione di cangiamenti che la teoria cerca di spie-
gare. Tirai fuod aHora argornenti biologici piuttosto ovvii: che
l'evoluzione della vita e il modo in c.ui si comportano gli orga-
nismi, specialmente gli animali snperiori, non si puo capire vera-
mente suHa base di una teoria che interpreti il tempo come se
fosse qualcosa come un'altra coordinata spaziale (anisotropica).
Dopo tutto, noi non abbiamo esperienza delle coordinate spa-
ziali. E cib per il semplice fauo che esse non esistono: dobbiamo
guardarci bene dall'jpostatizzarle; sono costruzioni quasi del
tutto arbitrarie. Perche, poi, dovremmo avere espcrienza dena
coordinata temporale - a dire il vera, l'unica appropriata al no-
stro sistema inerziale - non solo come reale rna anche come
assoluta, vale a dire come inalterabile e indipendente da tutto
cio che noi possiamo fare (eccetto iI cnmbiare il nostro stato
di moto)?
La 1'ealtil del lettlpO e del callgiamento mi sembrava essere
it punto cruciale del realisrno. (Aneora ]a vedo COS}, e alLo stesso
modo 1a vedono alcuni oppositori idealisti del realismo, come
Scbrodinger e GodeI).
Quando andai a far visita ad Einstein, era stato appena pub
blicato, in The Library of Livitlg Philosophe.rs, il volume Einstein
a cura di Schlipp; questo volume conteneva un contributo, ora

133
famoso, di G6del ehe adoperava, contra Ia realta del tempo e del
cangiamento, argomenti tratti dalle due teorie einsteniane della
relativita (201). In questo volume Einstein era apparso assai favo-
l'evole a1 realisrno. Ed era chiaro che non S1 trO\'ava d'aceordo
can l'idealismo di Glidel; nella sua replica egli affermava ehc Ie
soluzioni di G6del delle equazioni eosmologiche dovevano « es-
sere escluse per ragioni fisiche» (202).
Orbene, nel modo pio efficace possibile io cereai di presen-
tate ad Einstein-Parmenide il mio convincimento cbe era ne-
cessario prendere chiara posizione contro tutte le concezioni idea-
listiche del tempo. E cereai pure di fat vedere ehe, sebbene Ia
concezione idealistica fosse compatibile tanto col determinismo
quanto con I'indeterminismo, si doveva prendere chiaramcnte
posizione in favore di un universo «aperto" - un universo in
cui il futuro non sia in alcun senso contenuto nel passato 0 neI
prescnte, anehe se questi gli impongono severe restrizioni. 10
sostenevo che non dovevamo lasciarci influenzare dalle nostre
teorie per abbandonare con troppa facilita il sensa comune.
Era chiaro che Einstein non voleva abbandonare i1 realismo
(per il quale gli argomenti pio consistenti si basavano suI senso
eomune), anehe se ritengo che egli fosse disposto ad ammettere,
corne 10 ero io, che un giorno potremmo essere costretti ad
abbandonarlo, quaIora contro di esso fossero addotti argomenti
assai consistenti (del tipo di G6del, ad esempio). Sostenevo
percib che, per quanto eoncerne il tempo, ed anehe l'indetermi-
nismo (vale a dire l'ineompletezza della fisica), 1a situazione
era esattamente simile aHa situazione coneernente it realismo.
Faeendo appeUo a1 suo stesso modo di esprimere Ie cose in ter-
mini teologici, io dissi: se Dio avesse voluto mettere tutte Ie
case nel monelo fin dall'inizio, avrebbe creato un mondo senza
cangiamento, senza organismi e senza evoluzione, e senza I'uoma
e l'esperienza umana del eangiamento. Ma sembra che Dio abbia
pcnsato ehc un mondo vivo, can eventi inaspettati da Lui me-
desimo, sarebbe stato pill interessante di un mondo morto,
Cercai anehe di spiegare ad Einstein che una simile posi-
zione non scomodava proprio per niente il suo atteggiamento eriti-
co nei confronti dcll'affcrmazione eli Bohr, doe ehe la meccanica
quantistica e completa; al contrario, stando a quella posizione
noi possiamo sempre portare avanti i nostri problemi e 1a scien-
za in generale e facile che risulti incompleta (in un senso 0
nell'altro) .
Noi, infatti, possiamo continuare sempre a porci dei perehe.
Benchc Newton credesse alla verita della sua teoria, non credeva
tuttm'ia che questa desse una spiegazione definitiva, e cercb di

134
affrire una spiegazione teoiogica dell'azione a distanza. Leibniz
non credeva che l'impulso meccanico (azione a distanza tendcnte
a zero) fosse definitivo, e pose l'interrogativo di una spiegazione
in termini di forze che si respingono; una spiegazione che fu
fornita pili tardi dalla tearia elettrica della materia. La spiega-
zione e sempre incompJeta (203): possiarno sempre porci un aItro
perche. E il nuovo perche puo portarci ad una nuova teoria,
che non solo «spiega» Ja vecchia teoria, rna anche la corregge (204).
E' per questa mativo che }'evoluzione della fisica e proba-
bilmente un processo infinito di correzione e rnigliore appros-
sirnazione. Ed anche se un giorno dovessimo giungere al punto
in cui Ie nostre teorie non fossero pili apcrte alia correzione, per
il fatta che sarebbero semplicernente vere, queste teorie non
~arebbero aneora complete - e noi 10 sapremmo. Infatti. en-
trerebbe in gioco il famaso teorema di incompletezza di Godel:
considerato 10 sfondo matematico della fisica, nel migliore dei casi
ci sarebbe bisogno di una serie infinita di queste teorie vere
per risalvere i problemi che in qualsiasi teoria (formalizzata)
data sarebbero indecidibili.
Queste considerazioni non dimostrano che il mondo fisico ag-
gettivo e incompleto, 0 indeterminato: provano soiamente l'in-
compiutezza essenziale dei nostri sforzi (2Q4~). I\-1a dimostrano pure
che e difficilmente possibile (se pur e possibile) che la scienza
giunga a uno stadio in cui sia in grado di offrire un'autentica
prova dell'ipotesi che il mando fisico e deterministico. Per-
che, allora, non dovremmo accettare la sentenza del senso co-
mune, almeno fino a quando non siano staH confutati questi
argomenti? (205)
E' questa la sostal1za del ragionamento col quale cercai di
convertire Einstein-Parmenide. Oltre a questo, discuternmo an-
che, ph:t brevemente, di problemi come l'operazionismo (11"'), il
positivismo e i positivisti e Ia lora strana paura della metafisica,
Ia verificazione eontrapposta aDa falsifieazione, la falsificabilita
e 1a semplicita. Fui sorpreso nell'apprendere ehe Einstein pen-
sava che le mie afferrnazioni concernenti la semplieitb. (nella
Logik der Forschung) erano state universalmente accettate, tanto
che ormai tutti sapevano ehe Ia teo ria pili semplice era prefe-
ribile in ragione del suo maggior potere di escludere dei possibili
staH di eDse, vale a dire in ragione della sua migliar control-
labilita (207).
Un altra argomcnto di cui discutemrnofu Bohr e la compIe-
mentarita - un terna inevitabile, dopo il contributo di Bohr
aHa diseussiane Ia notte precedente; e Einstein ripete nel modo
piu energico possibile quel ehe aveva detto nel volume di Schilpp,

135
doe che, malgrado tutti i suoi sforzi, non era riuscito a capire
che cosa intcndesse Bohr per complementarita (208).
Ricordo anche alcune osservazioni caustiche di Einstein sul-
Ia banalita, dal punta· di vista di un fisico, della teoria della
bomba atomica, osservazioni che mi sembrarono andar giusto
un po' oitre, considerando che Rutherford aveva ritenuto impos-
sibile l'utilizzazione dell'energia atomica. Queste osservazioni ri-
sentivano forse alquanto della sua avversione aUa bomba e a
tutto cia che essa comportava, rna non v'e dubbio che dices-
se quel che pensava, e non v'e dubbio che essenzialmente ave5se
ragione.
E' diflicile esprimcre l'impressione che mi fece la persona-
lita di Einstein, Forse Ia si puo descrivere dicendo che con lui
ci 5i sente immediatamente a proprio agio. Era impossibile non
entrare in confidenza con lui, non fare implicitamente affidamen-
to sulla sua schiettezza, la sua gentilezza, il suo buon senso,
Ia sua saggezza. e la sua semplicita. quasi infantile. Cio dice
qualcosa per iI nost1'o mondo, e per I'America, cioe che un tale
uomo, COSl estraneo al mondo, non solo pote sopravvivere, ma
fu anche apprezzato e assai onorato.
In occasione della mia visita a Princeton incontrai di nuovo
anche Kurt Godel, e con lui discussi il suo contributo aI volume
su Einstein ed anche aJcuni aspetti della possibile importanza
del teorema di incompletezza per la fisica.
Fu dopo il nostro primo viaggio in America che ci trasferim-
mo a Penn nel Buckinghamshire, allora una bella e tranquilIa
c;ittadina. Qui potei lavorare pio di quanta non avessi mai potuto
fare in precedenza.

29. Problemi e teorie

Gia nel 1937, quando cercavo di spieganni il senso della fa-


mosa «triade dialettica» (tesi-antitesi-sintesi) interpretandola co-
me una fonna del metodo del tentativo e dell'eliminazione del-
I'errore, sostenevo che ogni disc.ussione scientifica comincia con
un problema (P l ), per i1 quale presentiamo una specie di tenta-
tivo di soluzione - un tentativo di teoria (TT); questa teoria viene
quindi criticata, in un tentativo di eliminare fen'ore (EEL e, co-

136
me nel caso della dialettic3, questa processo si rinnava: la teo-
ria e la sua revisione critica da origine a nuovi problemi (P2) (209).
In seguito condensai tutto questa nel seguente schema:

uno schema che ho frequentemente adottato neUe lezioni.


Mi piaceva riassumere questo schema dicendo che la scienza
comincia con problemi e finisce can problenzi, l\'la era sempre un
po' incerto riguardo a questa sintesi, che ogni problema scientifi-
co sorge, a sua volta, in un contesto teorelico, Esso e intnso
di teona. Ero quindi soli to dire che possiamo corninciare 10
schema da qualunque punto: possiamo cominciare da TTl e
finire con TT2; 0 possiamo corninciaxe con EEl e finire con
EE2. Comunque solevo aggiungere che spesso e da un qualche
problema pratico che pal'te uno sviluppo teoretico; e ancorche
qualsiasi fonnulazione di un problema pratico conduca inevi-
tabilmente ad una teoria, il problema pratico in se 10 si puo
giusto « sentire»; puo essere «prelinguistico »; noi - 0 un'ame-
ba - possiarno sentire caldo 0 qualche altra irritazione, e do puo
indurci, 0 pub indurre una ameba, a tentare dei movimenti -
forse dei movimenti teoretici - al fine di eliminare l'irritazione.
Ma il problema «Che cosa viene plima, il problema 0 la
teoria?» non SI risolve COS! facilmente (210). In realta io 10 trovo
inaspettatamente fecondo e difficile.
I pmblemi pratici, infatti, sorgono perche quaJche cosa non
e andata per il giusto verso. a causa di un qualche evento inatteso.
Ma cio vuol dire che l'organismo, non importa se un uomo 0
un'ameba, si e precedentemente adattato (forse in modo inade-
guato) al suo ambiente, sviluppando una qualche aspettazione 0
qualche altra stntttura (per esempio, un organo). Ma un tale adat-
tamento e la forma preconscia dello sviluppo di una teoria; e sic-
come ogni problema pratico sorge in relazione a un quaLche adat-
tamento di questa genere, i problemi pratici sono, essenzial-
mente, impregnati di teorie.
Noi arriviamo, in pratica, a un risultato che inaspettatamente
presenta consegnenze interessanti: Ie prime teorie - ciae i pri-
mi tentativi di soluziol1e dei problemi - e i primi problenzi de-
1Iono i11 qualche modo essere sorti conternporm1eamente.
Ma cio presenta ulteriori conseguenze:
Le struttltre O1'ganiche e i problemi sorgono insieme. 0, in
altre parole, Ie struttw'e o1'ga11icl1e salta problemi che al tempo
stesso incorporano teorie e risolvorw problemi.
Pili in ia (specialmente nella sezione 37 di questa Autobiogra-
fia) ritornerb sulLa biologia e la teoria evoluzionistica. Qui vogUo

l37
solo rilevare ehe ci sono delle sottili qucstioni intorno aBe
vade distinzioni tra i problemi formulati e teoretici da un lato e
i problemi che vengono meramcnte «sentiti », ed anche i pro-
blemi praticl, dall'altro.
Sono fra tali questioni Ie seguenti:

1. La relazione tra un problema formulato ed una soluzione


(tentativo di soluzionc) formulata pub essere considerata come,
essenzialmente, una relazione logica.
2_ La rclazione tra un problema «sentito» (0 un problema
pratico) cd una soluzione e invece una relazione fondamentale
della biologia_ Essa puo essere importante nella descrizione del
comportamento di organismi individuali, 0 nella teoria dell'evo-
luzione di una specie 0 di un phylum. (Quasi tutti i problemi -
forse tutti - sono piil che « problemi di sopravvivenza », sono
problemi molto conereti posti da situazioni assai specifiche).
3. La relazione tra problemi e soluzioni gioca ehiaramente
un ruolo importante nelle storie dei singali organismi, special-
mente degli organismi umani; e gioca un ruolo particolarmente
import ante nella storia degli sforzi intellettuali, come la storia
della scienza. Tutta la storia dovrebbe essere, a mio modo di
vedere, una storia di situazioni problematiche.
4. Questa relazione, d'altro canto, sembra che non svolga
alcun ruolo nella storia dell'evoluzione inorganica delI'universo,
o delle parti inorganiche di questo (come l'evoluzione delle stelle,
o la «sopravvlvenza» di elementi stabili, a composti stabili, 0 Ia
conseguente rarita di quelli instabili).
Ha una certa importanza anche un altro punto, assai dif-
ferente.
S. Quando diciamo che un organismo ha cercato di risolvere
un problema, ad esempio P" Doi facciamo una congettura sto-
rica pili a meno azzardata. Benche si tratti di una congettura
storica, essa viene proposta aUa luce di teorie stariehe 0 biolo-
giche. La congettura e un tentativo di risolvere un problema sto-
rico, poniarno P(P,), il quaIe e atratto distinto dal problema PI
che la congettura attribuisce alL'organismo in questione (211). E'
COS! possibile che uno scienziato come Keplero abbia pensato
di aver risolto un problema PI, mentre 10 storieo della scienza
pub cercare di risolvere il problema P(P)): « Keplero ha risolto
PI 0 un attro problema? Qual era la concreta situazione proble-
matica? ». E la situazione di P(P1) pub essere in effetti (e io
credo che 10 sial che Keplero ha risalto un problema affatto
differente da quello che credette di aver risolto.

A Hvella animale e ovviamente sempre congetturale in


realta si tratta di una costruzione altamente teoretica - il fatta
ehe uno scienziato congetturi ehe un animale 0 una specie in
particolare (poniamo, un qualche microbo trattato con la penni-

138
cillina) ha ottenuto una soluzione (diciamo, e divenuto resisten-
te ana pennicillina) per un problema che gli si e presentato_
Questa attrlbuzione Sllona mctaforica, anzi antropomorfiea, rna
potrebbe non esser cosl: potrebbe sernplicemente affermare la
eongettura ehe la situazione ambientale era tale che, a meno
ehe la specie (0 popolazione di organismi) non 5i fosse mu-
tata in un certo modo (forse per un'alterazione nella distribu-
zione della popolazione dei suoi geni) , s1 sarebbe trovata nei
pasticei_
Si potrebbe anehe dire ehe tutto questa e evidente: la mag-
gior parte di noi sappiamo ehe e un compito diflicile quello di
formulare ehiaramente i nostri problemi, e ehe questa compito
spesso non ci riesce. Nan e facile individuare e descrivere i
problemi, a mena ehe non ci venga posto, come in un esame,
un problema gia bell'e pronto; rna anche in questo caso possiamo
trovare ehe l'esaminatore non ha fonnulato bene il suo problema,
e ehe noi possiamo farlo meglio. II piu delle volte, dunque, rest a
solo il problema di formulare il problema - e il problema se era
proprio questa il problema da formulare.
I problemi, quindi, anche i problemi pratici, sono sempre
teoretici. Le tearie, d'altro canto, possono essere intese sola-
mente come tcntativi di soluzione di problemi, e in relazione a
situazioni problematiche.
Al fine di evitare dei malintesi, voglio sottolineare che Ie re·
lazioni di cui qui si parla, doe Ie relazioni tra problemi e teorie,
non sono re1azioni tra Ie parole «problema» e «tem-ia»: non
ho discusso ne degli usi ne dei concetti. Cia di cui ho parlato
sana Ie relazioni tra problemi e teorie - specialmente quelle
teorie che precedono i problemi; quei problemi che sorgono dalle
tearie, 0 can Ie teorie; e queUe tearie ehe sono tentativi di solu-
zione di certi problemi.

30. Dibattiti con Schrodinger

Fu nel 1947 0 nel 1948 ehe Schrodinger mi feee sapere ehe


veniva a Londra, ed io mi incontrai con lui nella casa di cam-
pagna di un suo amico. Da aHora restammo in cantatto epistolare
assai regolare, e ci incontrammo di persona a Londra, e poi a
Dublino, ad Alpbach, in Tirolo, e a Vienna.

139
Nel 1960 ero in ospedale a Vienna, e siccome egli stava troppo
male per vcnirrni a trovare in ospedale, era sua mogHe, Anne-
marie Schrodinger, che veniva a farmi visita tutti i giorni. Prima di
far ritomo in Inghilterra, anJai a trovarli nel loro appartamento
sulla Pasteurgasse. Fu l'ultima volta che 10 vidi.
I nostd rapporti erano stati alquanto burrascosi. Nessuno di
quanti 10 conobbero si sorprendera di questa fatto. Noi eravall10 in
violento disaccordo su moIte cose, Fin dall'inizio avevo preso quasi
per scontato che, data la sua ammiraziol1e per Boltzmann, egli non
avrebbe sostenuto un'epistemologia positivistica; rna il nostro con-
flitto piil violento scoppio alLorcM io tm giomo (approssimativa-
mente nel 1954 0 ne] 1955) criticai la concezione machiana che oggi
viene comunemente chiamata can il nome di « monismo neutrale "
- anche se entrambi eravamo d'accol'do che, contro Ie intenzioni di
Mach, questa dottrina era una forma di idealismo rI2).
Sehrodinger aveva assorbito il suo idealismo cia Schopcn-
hauer. Ma mi aspettavo che egli si accorgesse della debolezza di
questa filosoJla, una filosofla sulla quale Boltzmann aveva detto
cose assai dure e contro la quale Churchill, ad esempio, che mai
aveva 3VUto la pretesa di essere un filosofo, aveva prodotto ar-
gomenti eccellenti ( 13). Fui aneor pill sorpreso quando SchTo-
dinger espresse opinioni sensiste c positivistiche, come ad esem-
pia che «tutta la nostra conoscenza ... si basa interamente sulla
percezione immediata dei sensi» (21~).
Avemmo un altro seantro violento in seguito al mio at-Heolo
«The Arrow of Time), (215), in cui affermavo l'esistenza di pro-
cessi fisici che era no irreversibili, a prescindere dal fatto che ad
essi si potessero 0 no connetterc incrementi dell'entropia. 11 casu
tipico e un'onda luminosa sferica in espansione, ovvero un pro-
cesso (come un'esplosione) che invia particelle all'infinito (della
spazio newtoniana). II contrario - un'onda sferica caerente che
si contragga dall'infinita (0 un'implasione dall'infinito) - non si
puo verificare, e cia non perche questa cas a sia esclusa dalle
lcggi universali dena propagazione della luee a del moto, rna per-
che sarebbe fisicamente impossibile realizzare Ie condizioni ini-
ziali (2l6).
Schrodinger aveva scritto alcuni interessanti articoli in cui
cercava di salvare la teoria di Boltzmann, secondo la qua1e 1a
direzione dell'incremento deU'entropia determinava in tutta e
per tutto Ia direzione del tempo (0 <t definiva» questa direzione
- rna dimentichiamo queste case). Egli aveva insistito nel dire
che questa tearia sarebbe CI'ollata se vi fosse stato un metodo,
come quello che io indicavo, col quale poter decidere 1a dire-
zione del tempo indipendentemente dall'incremento dell'entro-
pia (217)_

140
Fin qui eravamo d'accordo. Ma quando gli chiesi di dirrni in
qual punta fossi in errore, Schrodinger mi accuso di distruggere
insensibilmente Ia piit bella teoria della fisica - una teoria che
aveva un profondo contenuto filosofico, una teoria alIa quaIe
ncssun fisico avrcbbe osato far del male. Per uno che non era
fisic.o, attaccare una simile teoria era, a suo avviso, presuntuoso,
se non sacrilego. E continuo inserendo (in parentesi) un nuovo
passo in Mind and Matter: « Cia ha una conseguenza import an-
tissima per la metodo1ogia del fisico. Egli non deve mai intro-
durre alcunche che decida indipendentemente sulia direzione del
tempo, chc altrimenti verrebbe a crollare il meraviglioso edifi-
cio di Boltzmann» (218). Credo ancara che Schrodinger si fosse
lasciato trascinare dall'cntusiasmo: se i1 fisico 0 chilmque altro
pub decidere indipendentemente sulla direzione del tempo, e se
do ha 1a conseguenza che Schrodinger attribuisce a questo fatto
(e credo ben a ragione), aHora, gli piaecia 0 no, deve accettare
iI crolla della teoria Baltzmann-Schrodinger e deU'argomento, che
su questa teoria si basa, a favore dell'idealismo. II rifiuto, da
parte di Schrodinger, di farlo era sbagliato - a mena che egli non
fosse riuscito a trovare un'altra via d'usc.ita. Ma egli credeva che
non vi Fosse altra via.
Un altro scontro fu a proposito di una sua tesi - una tesi
non importante, a mio avviso, ma che egli riteneva molta impor-
tante - formulata nel suo libro What is Life? Questa e un'opera
di genio, special mente il breve capitola intitolato « II codic.e ere-
ditario ", che nello stesso titolo con1iene una delle piu irnportanti
teorie bialogiche. II libro e veramente una meraviglia: scritto per
i non-scienziati calti, esso contiene idee scientilkhe nuove e pio-
nieristiche.
Ma eontiene anehe, in risposta al suo principale interrogati-
vo «Che cosa e la vita? ", un'afIermazione che mi sembra evi-
dentemente sbagliata. Nel capitola 6 c'e una sezione che comincia
can Ie parole: <~ Qual e il tratto caratteristico della vita? Quando
e che un pezzo di materia si dice vivente? ». A questa domanda
Schrodinger risponde nel tholo della sezione successiva: « Si
alimenta di "entropia negativa" }) (219). La prima frase di questa se-
zione dice: «E' nelL'evitare iI rapida decadere nella stato inerte
di "equilibria" che un arganismo appare cosl enigmatico ... ».
Dopa aver discusso brevemente Ia teoria statistica deLl'entropia,
Schrodinger si chiede: « Come potremmo esprimere, nei termini
della teoria statistica, la meravigliosa facol ta di un orgal1ismo
vivcnte, grazie aHa quale essa differisce il deeadimento nell'equi-
libria termodinamico (morte)? Abbiamo prima detto: "Esso si
nutre di entropia negativa", attraendo a se, per cosi dire, una cor-

141
rente di en tropia negativa ... » (210). E aggiunge: «Quindi il mezzo di
cui un organismo si serve per mantenersi stabilmente ad un li-
vella di ordine abbastanza elevato (= ad un Hvello di entropia
abbastanza basso) in realta consiste nel succhiare continuamente
l'ardine dal suo ambiente» (121).
Orbene, e ammesso che gli organismi fanno tutto questa. Ma
io negavo, e nego tuttora (222), la tesi di Schrodinger che sia
questa il tratto caratteristico della vita, 0 dell'organismo. Cib vale
infatti per ogni macchina a vapore. Di fatto ogni caldaia a nafta
ed ogni orologio a carica automatica si pub dire che «succhiano
eontinuamentc l'ordine dal 101'0 ambiente». Perch,) Ia risposta
di Schrodinger alla sua domanda non puo essere giusta: il nu-
trirsi di en tropia negativa non e «iI tratto caratteristico della
vita ».
Qui ho seritto di alcuni dei punti di disaeeordo tra me e
Schrodinger, rna io ho verso di lui un immenso debito personale:
malgrado tutte Ie nostre ]iti, ehe pili d'una volta furona suI punto
ill illvidere Ie Dostre strade, egli torna sempre a rinnovare le
nastre discussioni - discussioni che furona pill ill teres santi, e
certamente piu eccitanti, ill quante io ne abbia mai avute con
qualunque aItro fisico. Gli argomenti da noi diseussi erana argo-
menti sui quali io cereavo di fare un qualche lavora. E proprio
il fatto ehe egli avesse posto la domanda Che cosa e la vita? in
quel suo libra meraviglioso, mi diede il coraggio di pon-e nuova-
mente a me stesso quella domanda (anehe se cercavo di evitare
la forma di domanda che cosa e?).
Ne1 resta di questa mia Autobiografia intendo riferire piu
su idee che su eventi, benche passa fare dei richiami storici Ia
dove do mi sernbra rilevante. Cio che intendo fare e di offrire
una panorarnica sulle vade idee e sui vari problemi a cui ho
lavorato nei miei ultirni anni. e a cui sto aneora Iavorando. Si
vedra che alcuni di questi sono connessi ai problemi che ebbi la
gran buona fortuna di discutere con Sehrodinger.

31. Oggettivita e critica

In questi ultimi anni, gran parte del mio lavoro e stato in


difesa dell'oggcttivita, attaccando 0 contrattaccando Ie posiziani
soggettivistiche.

142
Tanto per cominciare, voglio che sia assolutamente chiaro
che non sono un behaviorista, e la mia difesa dell'oggettivita non
ha niente a che fare con una ncgazione dei « metodi introspetti-
vi» in psicologia. 10 non nego l'esistenza di esperienze soggetti-
ve, di stati mcntali, di intelligenze, e di menti; anzi credo che
tutte queste cose siano di estrema importanza. Ma penso che Ie
nostrc tcoric su queste esperienze soggettive, 0 su queste menti,
debbano essere altrettanto oggettive quanta Ie altre teorie. E
per teoria oggettiva io intendo una teoria che sia discutibile, che
possa essere esposta alia critica razionale, preferibilmente una
teoria che possa esscre controllata: una teoria che non faccia
appello esclusivamente alle nostre intuizioni soggettive.
Come esempio di una legge semplice controllabile sulle espe-
rienze soggettive patrei cit are Ie illusioni ottiche, corne l'illusione
di Miiller-Lver. Reeentemente. mi e stata fatta osservare una
interessante" illusione attica dal mio arnico Edgar Tranekjaer
Rasmussen: se si asserva un pendola oscillante - un peso s05peso·
ad una corda - ponendo un vetro scurato davanti ad un oechio,
nella visione binoculare sembra che il pendolo si muova in un
cerchio orizzontale inveee che su un piano verticale; e se it vetro
oscurato viene messo davanti all'altro acchio, sembra che il pen-
dolo 5i muova intorno aHo stesso cerchio in direzione opposta,
Queste esperienze possono essere controllate licorrendo a
soggetti indipendenti (i quali, per inciso, sanna, ed hanna vis to ,
che il pendolo oseilla su un piano). Le si puo controllare anche
con rusa di soggetti che abitualmente (0 per prova) usano la
sola visione monoculare: essi non riferiscono suI movimento 0-
rizzontale.
Un effetto di questo genere pua dare ongme ad ogni sort a
di teOl·ie. Per esempio, che Ia visione binoculare e usata dal no-
stro sistema centrale di decodificazione per interpretare distanze:
spaziali, e che queste interpretazioni possono aver luogo, in certi
casi, indipendentemente da una nostra «miglior conoscenza:&,
Queste interpretazioni sembrano svolgere un sottile ruolo bioIa-·
gico. Non v'e dubbio che operino molto bene, e a livello del tutto
ineonscio, in condizioni norrnali; rna it nostro sistema di deeodi-
ficazione .puo essere fuorviato da condizioni anormali.
Tutto questo sta a indicare che i nostri organi di senso hanna
in Sl! incorporati molti e sottili congegni di decodificazione e
di interpretazione - vale a dire adattamenti 0 teorie. Queste teorie
non sono della stessa natura delle teorie ( valide» (<< valide ),
cioe, perche si impongono necessariamente a tutte Ie nostre espe-
rienze), rna sana piuttosto della natura delle congetture, giacche.

143
specialrnente in condizioni insolite, possono dar luogo ad errori.
Una conseguenza di questo fatto e che non esistono dati senso-
ria Ii visivi non interpretati, che nOll esistono sensazioni 0 "ele-
menti » nel sen so di Mach: quaIunque cosa ci sia «data », e
gia interpretata, decodificata.
In questo senso e possibile costruire una teoria oggettiva
della percezione soggettiva. Si trattera di una teoria biologica che
dcscrivera la percezione nonnale non come 1a fonte soggettiva
o 1a base epistemologica soggettiva della nostra conoscenza sog-
gettiva, rna piuttosto corne un'acquisizione oggettiva dell'organi-
smo, grazie aHa quaIe l'organismo risolve ce.rti problemi di adat-
tamento. E questi problemi possono, congetturalmente, essere
specificati.
Si vedra quanta $ia lontano da1 behaviorismo l'approccio qui
delineato_ E quanto al soggettivismo, sebbene l'approccio qui de-
scritto possa fare delle esperienze soggettive (e delle esperienze
soggettive del « sapere » 0 I< credere >;) il proprio oggetto, Ie teorie
o congetture con cui esso lavora possono essere perfettamente
oggettive e controLlabili.
Questo e solo un esempio dell'approccio oggettivistico per
il quale ho lottato nell'epistemologia, nella fisica quantistica, nel-
la mec.canica statistica, nella t.eoria della probabilita, nella biolo-
gia, nella psicologia e nella storia ('.2.l).
La cosa pill importante per l'approccio oggettivistico e forse
i1 riconoscimento di (l) problemi oggettivi, (2) acquisizioni og-
gettive, ossia soluzioni di problemi, (3) conoscenza in senso og-
gettivo, (4) critica, la quale presuppone una conoscenza oggcttiva
nella forma di teorie formulate linguisticamente.

1. Benche possiarno senti rei disturbati da un problema e


possiamo desiderare ardentemente di risolverlo, i1 problema e
in se stesso qualcosa di oggettivo - come 10 e una mosca dalla
quale noi siamo disturbati e di cui possiamo desiderare ar-
dentemente di liberarci. II fatto che sia un problema oggettivo,
chc sia presente, e il ruolo che esso puo giocare in certi eventi,
sono congetture (proprio aHo stesso modo in cui e una conget-
tura 1a presenza della mosca)_
2_ La soluzione di un problema, che in genere si ottiene per
pro\'a ed errore, e un'acquisizione, un successo, in senso oggetti-
vo. Che qualcosa sia un'acquisizione, e una congettU1'3, e puo
essere una congettura diseutibile. L'argomento dovra riferirsi a1
problema (congetturato), giacehe l'acquisizione 0 successo e, co-
me una soluzione, sempre relativa ad un problema.
3. Dobbiamo distinguere Ie acquisizioni 0 soluzioni in senso
oggettivo dai sentimcnti soggettivi di acquisizione, 0 di conoseen-
za, 0 di credenza. Ogni acquisizione In si puo considerare corne

144
una soluzione di un problema, e quindi come una tcoria in un
senso generalizzato; e in quanto tale essa appartiene al mondo
della conoscenza in senso oggettivo - che e appunto il mondo
dei problemi e dci tentativi di risolverIi, cd e il mondo degli
argomenti critici che ad essi si riferiscono. Le teorie geometriche
e Ie teorie ftsiche, ad esempio, appartengono a questa ll1ondo
della conoscenza in sensa oggettivo (<< mondo 3 »). Di norma esse
sana congetture, nelle varie fasi della loro discussione critica.
4. Si pub dire che Ia critica continui I'opera della selezione
naturale ad un livello non-genetico (esosoma tieo): essa presup-
pone l'esistenza della conoscenza oggettiva nella forl11a di tcorie
formulate. E' dunque escIusivamente attraverso il linguaggio che
diventa possibile Ia critica cosciente. E' questa, a mio <I\lviso, Ia
ragione principale dell'importanza del linguaggio, e ritengo che
sia il linguaggio umano il l'esponsabile delle peeuliarita dell'uomo
(inc1use anche Le sue produzioni nelle arti non-linguistiche, come
ad esernpio la musical.

32. Induzione, deduzione, vedta oggettiva

Qui e forse necessalio dire qualche parol a a proposito del mito


dell'induzione e di alcuni miei argomenti contro l'induzione. E
siccome al presente Ie forme pill di moda del mito collegano la
induzione can una insostenibile filosofia soggettivistica della de-
duzione, anzitutto devo dire qualcosa di piil sulla teoria ogget-
tiva dell'inferenza deduttiva e sulla teoria oggettiva della verita.
Originariamente non intendevo spiegare in questa Au/obio-
grafia la teoria di Tarski della ",erita oggettiva; rna dopa averne
parIato succintamente nella sezione 20, mi sana imbattuto in
alcune prove che dimostravano che certi Iogici non hanna com-
pre so Ia teoria nel senso in cui credo che debba essere com-
presa. Siceome la teona e indispensabile per spiegare la diffe-
renza fondamentale che. c't: tra l'inferenza deduttiva e la mitica
infcrenza induttiva, la spiegbero brevemente. Comineero col se-
guen te problema.
Come si puo sperare di capire che eosa si intende quando
si dice che un asserto (ovvero una « proposizione dotata di sen-
sa », come Tar-ski ]a chiama) (124) corrisponde ai Eatti? Sembra,
infatti, che, a menD che non si accetti qualcosa come una teoria
del Unguaggio come raffigurazione (come feee Wittgenstein nel
Tractatus) non si puo par]are afi'atto di corrispondenza tra un

145
asserto e un faUo. Ma Ia teoria della raffigurazione e disperata-
mente ed anche gravissimamente errata, e pertanto non par che
vi sia alcuna prospcttiva di pater spiegare Ia corrispondenza di un
asserto con un fatto.
Si pub dire che sia questa it problema fondamentale incon-
trato dalla cosiddetta «teoria della verita come corrisponden-
za '), ossia dana teoria che spiega 11.1 verita come corrisponclenza
ai fattL E' abbastanza comprensibile ehe questa difticolta abbia
parlato ccrti filosofi al ~ospetto chc Ja teoria della corrispon-
denza debba essen~ falsa 0 - aneor peggio - senza sensa. La con-
quisla filosofica di Tarski in questo campo fu, a mio avviso, l'aver
rovesciato questa decisionc. Lo fece, malta scmplicemcnte, ri-
nettcndo sui fatto che una teoria che tratti la relazione tra un
asserto e un fatto deve cssere in grado di parlare di (a) asscrti
e (b) fatti. Per pater parlarc di asserti, questa teoria devc usare
nomi di asscrti, ovvero dcscrizioni di asserti, e forse anche pa-
role qllali «asserli,,; la teoria cleve cioe essere in un metalin-
guaggio, lin linguaggio in cui si puo parlare del linguaggio. E
per poter parlare di fatti c di ratti presunti, la teoria deve
usare nomi di fatti, 0 deserizioni di btti, e forse anche parole
come «fatto)}. Una volta che disponiamo di un metalingl.laggio,
di un linguaggio come questo in cui possiamo parI are di asserti e
di fatti, e facile fare asserzioni sulla eorl'ispondenza tra un asser-
to e un fatto: possiamo infatti dire:
L'asserto in lingua tedesca, consistente nelle lre par'ole « Gras »,
« is!" e «griin", in questa ordine, corrisponde (Ii [alii se, e solo
se, l' erba e verde.
La prima parte e una deserizione di un asscrto in tedesco
(la descrizione· e data in italiano, che qui runge da nostro me-
talinguaggio e eonsiste in parte nel mcttere tm virgolette, nel
contesto italiano, Ie parole tedesche); e In seconda parte con-
tiene una descrizione (aneh'essa in italiano) di un [atto (pre-
sllnlo), di un (possibile) stato di eose. E !'intero asscrto asseri-
see la COl'rispondenza. Piu in generale possiamo fOl'mularlo cosi.
Sia «X» l'abbrcviazione di un nome italiano, 0 di. una deserizio-
ne in italian a di un asserto appartenente al linguaggio L, e
con « X») si indichi Ia tradllzione di X in italiano (chc funge da
metalinguaggio di L); allora possiamo dire (in italiano, cioe nel
melalinguaggio di J.) in modo affatto generalc:
(+) L'asserto X nel linguaggio L corl'isponde ai taftl se e
solo se x.
E' COSt possibile, anzi banalmente possibile, parlare in un
metalillglluggio apprupri({to della corrispondenza tra un asserto
e un fatto (significato). E cosl l'cnigma e risolto: Ia corrispon-

146
dcnza non comporta ia similarita strutturale tra un asserto e un
ratto, ne qua1cosa come una rclazione tra UD quadro e Ia scena
raffigurata. Giacche, una volta che ahhiamo un metalinguaggio
adatlo, e facile spiegare, con l'ausilio di (+), che cosa intendia-
Ina per corrispondcnza ai fatti.
Una volta che abbiamo cosl spiegato Ia corrispondenza ai
fatti, al posto di " corrisponde ai [atti» possiamo mcttere « e vero
(in L)". Si noti che « e ve.ra» e un predicato metalinguistico,
predicato di asscrti. E deve essere preceduto da nOl'ni metalingui·
slid di asserti - per escmpio da nomi tra virgolette -, 51 chc 10 si
possa chiammente distinguere da una frase come" E' vera che »,
Ad cscmpio, «E' vera che In neve e rossa» non contiene un pre·
dicato metalinguistico di asserti, rna appartiene alIa stesso lin-
guo.ggio di « La neve e rossa », e non al metalinguaggio di questa
Iillguaggio. L'inattesa banalWl del risultato di Tat'ski sembra es-
sere una delle ragioni per cui e difficile capirlo. D'aItra parte, ci
o5i sarcbbe potuti ragionevolmente aspettare questa banalita, dato
che in fin dei conti tutti capiscono che «veritrt» ha un senso
finche non ci si comincia (erroneamente) a pensare suo
L'applicazione pilt sig:nificativa della teoria della corrispon-
c1enza non e ad assertispecifici, come « L'erba e verde» 0 {( L'er-
ba i:~ rossa". 111a a descrizioni di situazioni Jogiche generali. Vo-
giamo dire, ad esempio, case come questa. Se un'inferenza e va-
lida. allora, ove Ie premesse siano tutte vere, Ja condusione deve
essen:: vera; vale a dire che 1a verita delle premesse (ave tutte
siano vere) e invariabilmente traSl11cssa alIa conclusione; e la fal-
sita della conclusione (se questa e falsa) f> invariabilmente ri-
trasmessa ad almeno una delle prem~sse, (Queste leggi Ie ho bat-
t.ezzate rispettivamcnte « la Iegge della trasmissione della verita)}
Ii' «ia legge della ritrasmissione della falsita »).
Queste leggi sona fondamclltali per la teoria della deduzione,
e l'uso che si fa qui delle parole :( verita" e «sona veri)} (che
si possono sostituire con Ie parole «corrispondenza ai futti» 0
"cor.rispondono ai faW,,) e ovviamcnte ben lungi daU'essere d·
clondante.
La teoria dena veriHt come corrispondenza, che Turski ha
recuperato, e una teoria che considera la verita come oggettiva:
COlUe una propriet~ di teorie, piuttosto che come un'esperienza
o credenza 0 qualcosa di soggettivo come questa. Essa e anche
assoluta., e non relativa ad un insiemc eli assunti (0 credenze);
che di ogni insierne di assunti noi possiamo chiedcrci sc questi
assunti siano veri.
Ora passo alia deduzione. Un'illferenza dcduttiva puo esser det-
ta valida se e solo se trasrnette invariabilmente Ia verita dane

147
premesse al1a conclusione; vale a dire, se e solo se tUUe Ie in-
ferenze della medcsima forma logica trasmettono Ia verita. Cib
si puo anche spiegare col dire: un'inferenza deduttiva e valida
se e solo se non esiste alcul1 esempio in contrario. Un esempio
in contrario e qui un'inferenza della medesima forma con pre-
1l1esse vere ed una conclusione falsa, corne in:
Turri gli lIomini S0110 mortali. Socrate e mortale. Quindi So-
crate e un uomo.
Sia qui "Socrat€» il nome di un cane. In questo caso Ie
premessc sono vel'e e la conclusione e falsa. Allora abbiamo un
esempio in contrario e l'inferenza e invalida,
L'inferenza deduttiva, dWlque, come la velita, e oggettiva, ed
anche assvluta. Oggcttivita non significa, ovviarnentc, che pos-
siamo sempre accertare se un dato asscrto sia vero 0 falso. N6
possiamo sempre accertare se una data inferenza sia valida. Se
conveniamo di usare il tel'mine "vero» esclusivamcnte in sen so
oggettivo, aHara ci sono molti asserti dei qua]i possiamo pro-
vare the sono veri; ma 110n possiamo avere un criterio generate
di 'Verita. Se possedessimo un tal criterio, saremmo onniscienti,
almeno in potenza, do che invece non siamo. Stando ai risultati
di Godel e Tarski, non possiamo avere un criterio generale di
verita neanche per gli enunciati aritmetici, anche se natural-
mente siarno in grauo di dcscrivere infiniti gruppi di enunciati
aritmetici che sono veri. AlIo stesso modo, possiamo convenire di
usare il terrnine «inferenza valida» in sen so oggettivo, nel qual
caso possiamo provare che moIte inferenze sono valide (cioe
trasmettono infallibilmente Ia verWt); eppure non possediamo
alcun criteIio generale di validita - neanche se ci limitiarno agli
enunciati puramente aritmetici. Di conseguenza non abbiamo al-
cun criterio generate per decidere se un dato enunciato aritme-
tieo segua 0 no validamente dagli assiomi dell'aritmetiea. Non-
dimeno possiamo descrivere un numero infinito di regole d'infe-
renza (di va rio grado di complessita) per Ie quali e possibile
provare la validita; cioe ]a non·esistenza di un esempio in con-
traria. £' dunque falso dire che l'infcrenz.a deduttivQ si basll sulla
nostra intuizione. E' ovvio che se non abbiamo stabilito Ia va-
lidita di un 'in fere nza, allora possiamo ]asdarci guidare da con-
getture, vale a dire dall'intuizione; delnntuizione non possiamo
fare a meno, rna il pill delle volte essa ci conduce fuori strada.
(Questa e evidente; dalla storia della scienza sappiamo che ci
sono state moIte pili teorie cattive ehe buone). E il pensat'e intui-
tivamentc e una cosa totalmente differente dall'appellnrsi all'in-
tuizione, come se cib fosse altrettanto bene quanta appellarsi ad
un'argomentazione.

148
Come pill volte ho ripetuto neUe rnie 1ezioni, case come l'in-
tuizione, 0 il sentire che qualcosa e autoevidente, forse si pos-
sana in parte spiegare con la verita, 0 can la validita, rna rnai
viceversa. Nessun asserto e vero, e nessuna inferenza e valida,
per il semplice fatto che noi sentiamo (per quanto forte) che 10 e.
Naturalmente si pub ammettere che il nostro intelletto, 0 la nostra
facolta eli raziocinio ° di giud!zio (0 comunque la si chiami),
e fatta in modo che, in normali circostanze, noi accettiamo, °
giuciichiarno, 0 crediamo, cib che e vera; indubbiamente cio e
dovuto, in ampia rnisura, al fatto che sono insite in noi eerte di-
sposizioni che ci fanno prendere Je cose criticamente. Le illusioni
ottiche, tuttavia, tanto per prendere un esempio relatjvamente
sernplice, dimostrano che noi non possiamo fidarci poi tanto
della nostra intuizione, anche se prende una forma che ta101'8
somiglia alla costrizione.
II fatto che possiamo spiegare queste :-.ensazioni soggettive,
o intuizioni, come il risultato del trovarci di £I-onte aUa verita
(] alIa validita 0 dell'aver eseguito rapidamento aIcuni dd nostri
normali tontrolli critici, non ci autorizza a rigirm'e la casa e dire;
questo asserto e vero, 0 questa inferenza e valida, perch~ io 10
credo, 0 perche mi sento costretto a crederlo, 0 perche e di per se
evidente, 0 perche il contrario e inconcepibile. Nondimeno i filasofi
soggettivisti si sono serviti. per secoli di questo modo di parlare
al posto degli argomenti.
E' tuttora largamente diffusa l'idea che in logica dobbi:'lrno fare
appello all'intuizione, perche scnza circolarita non possono darsi
argomenti pro 0 contra Ie regale della logica deduttiva: tutti gli
argomenti devono presuppan-e la logica. Va da se che tutti gli
argomenti devono fare usa della logica e, se si vuole, devono
« pl-esupporla », Mche se malta si pub dire contra questo modo
di imposlare Ie cose. E' un fatto, pero, che noi possiamo stabilire
la valid ita di alcune regale d'inferenza senza fare usa delle me-
desime (225). In breve, 1a deduzione, a la valid ita deduttiva, e og-
gettiva, come e oggettiva ]a verita. L'intuizione, 0 il sen so della
credenza 0 della costrizione, puo forse essere talvolta dovuta al
[atto che certe inferenze sono valide; ma 1a validita e oggeuiva,
e non la si puo spiegare ne in termini psico\ogici, ne in termini
behavioristici ne in termini pragmatistici.
Piu volte ho espresso questa atteggiamento dicendo: {{ 10 non
sono un filosofo della credenza". Le credenze, infatti, sana del
tutto insignificanti per la teoria della verWl, 0 della deduzione, 0
della « conoscenza» in senSa oggettivo. Una cosiddetta (' credenza
vera.) e una credenza in una teoria che e vera; e che questa
sia vera 0 no, non e una questione di Cl'edenza, rna lma questio-

149
ne eli fatto. Allo stcsso modo 1a «credenza razionalc ", se si
pub dire che esisla qualcosa del genere, consiste nel dare la pre-
ferenza a qualcosa chc e prefcribile aIla lm:e di argomenti eritici.
Ed unehe questa non e una qllestione di credenza, rna una que-
stione di argomentazione, e eoncerne 10 stato oggettivo della di-
scussione critica (220).
Per quanta riguarda l'induzione (0 la logica induttiva, 0 il
comportamento ind1.lttivo, 0 l'apprcndimento per indllzione 0 per
ripe1izione 0 per « istruzione »), dieo che non esiste nulla del
genere. Se sono nel giusto, db risolve, naturalmente, il proble.
ma dell'induzione (227). (Ci sono anche altri probkmi ehe si po·
trebbero dire problemi di induzione, come il pl"Oblema se il fu-
turo sara come il passalo. Ma questo problema, che, a mio modo
di vederc, eben lungi dall'essere stimolante, pub essere egual-
mente risolto: it futuro sara in parte come il passato e in parte
del tutto diverso dal passato).
Qual e al prescnte La replica piu di rooda a Hume? E' che
l'induzione non e «valida », ovviamente, perche 1a parola « valida ~
significa «deduttivamente valida »; quindi l'invalidita (in sensa
deduttivo) degli argomenti induttivi non erca alcun problema: noi
abbiamo un I'ngionamento deduttivo e Ull ragionamento induttivo;
e scbbene i due tipi di ragionamento abbiano molto in comune
- entrarilbi con:;istono nell'argomentare in conformita a regole
ben collaudate, abituali c chiaramcnte intuitive -, ci sono anche
moIte differenze (2.28).
Que! ehe Ia deduzione e l'ind1.lzione si suppone che, in par·
ticolare, abbiano in comune, si pub esprimere COSI. La validita
della deduzione non si pub provare vaHdamente, che eti) equivar-
rebbe a provare Ia logica mediante la logica, e do sarebbe cir-
colare. Ma questa argomcnto circolare puo in efietti, si dice, chia-
rire Ie nostre idee e rafforzare la nostra fiducia, Lo stesso e vero
per l'induzione. L'induzionc puo forse essere al di Iii della giu-
stificazionc ind1.lttiva, rna il ragionamenta induttivo sull'induzione
e pratico e utile, se non indispcnsabile (2.29). Inoltre, sia nella teoria
della dcduzione sia nella teoria deU'induzione ci si pub appellare
a case come l'intuizione a abita 0 convenzione 0 successo pra-
tieo; e talvolta e. necessario appellarsi a queste cose.
Per criticare questa opinione alIa meda, ripeto quel che ho
detto prima in questa sezione: un'in£crenza deduttiva e valida se
non esiste alcun esempio in contrario. Abbiamo COSl a disposizione
Un metodo di con1rallo critico oggettivo: p.:r ogni regola propo-
sta dt deduziane, possiarno cercare di costruire un esempio in
contrario. Se questa ci riesce, l'inferenza, 0 ]a regola C\'jnferenza,
e aHora invalida, sia ehe venga considcrata 0 no ihtuitivamente
15'0
valida da qualcuno ad anche da tutti. (Brouwer pensava di aver
fatto nient'a]tro che questa - di aver dato un esempio in con-
trario per Ie prove indirette - spiegando che si era erroneamente
pcnsato che queste siano valide perche esistono solo escmpi in
contrario infi17iti, S1 che Ie prove indirctte risultano valide in tutti
i casi finiti). Avendo a nostra disposizione dei controlli oggcttivi
e in molti casi anche prove oggettive, Ie eonsiderazioni psicologiche,
le eonvinzioni soggettivc, gli abiti c Ie eonvenzionl diventano del
tutto irrilevanti per 1a questione.
Ora, com'c la siluazione per quanto concerne I'induzione?
Quando e che un'inferenza induttiva e induttivamente «viziata)l
(per usare una parola diversa da « invalid a »)? La sola risposta
chc e stata data e questa: quando essa porta a frequenti errori
pratici nel eomportamento inciuttivo. Ma 10 afferrna che tutte Ie
regale di inferenza induttiva ehe siano mai state proposte por-
tcrebbero, se Ie si dovcsse adoperare, a questi frequenti errori
pratici.
11 fatta e che nessuna regola di inferenza induttiva - inferen·
za chc porta a teorie 0 a leggi universali - che sia rnai stata pro-
posta puo essere presa suI serio neanehe per un solo istante. Car-
nap sernbra essere d'accordo; egli infatti scrive (230):

Popper, per inciso, trova « intel-essante» it fatto che nella


mia confcrenza io adduca un esempio di inferenza deduttiva. rna
ncssun esempio di inferenza indut !iva. Poiche nella mia eonce-
zione it ragionamento probabilistico (<< induttivo ») consiste es-
senzialrnente non nel fare inferenze, rna piuttosto nell'assegnare
delle probabilita, egli avrebbe dovulo esigcre invcce esempi eli
princip'i per Ie assegnazioni di probabilita. E questa richiesta,
non fatta rna ragionevoIc, e stata anticipata e soddisfatta.

Ma Carnap sviluppo solo un sistema che assegna la probn-


bilita zero a tutte Ie leggi l1niversali (2-'1): e scbbenc Hintikka (e
altri) nbbiana in seguito sviluppato dei sistemi ehe attribuiscono
una probabilita induttiva diversa cia zero agli enunciati universuli,
non ,,'e alcun dubbio che questi sisterni sembrano essere essenzial-
m~nte Iimitati a linguaggi assai paved, nei quali non sarebbc pos-
sibile fonnulare neanche una scienza naturale primitiva. Essi, inol-
tre, sona limitati ai casi in cui in un dato momenta si pub di-
sporre solo di un numero fil1ito di teorie ('.32). (eio non impcdi-
sec che i sistemi siano spaventosamente cornpHcatj). A rnio mo-
do di vedere, comunque, a queste leggi - il cui numera, in pra-
tiea, c scmpre infinito - si dovrebbe attribuire la «probabilita»
zero (nel sensa del calcolo della probabilita), quantunque il lora
grado di corroborazione possa essere piu grande di zero. Ed an-

151
che se adottiamo un nuovo sistema - un sistema che attribuisca
ad alcune lcggi la probabilita, diciamo, di 0,7 -, che cosa ne
guadagnumo? Potra cio dirci se Ia Iegge abhia 0 no un buon
supporto induttivo? Proprio per niente; tutto questa sta a dirci
che, secondo qualche nuovo sistema (largamente aTbitrario) -
non importa quale - noi dovrcn1l1lo credere aHa Iegge con un
grade di credenza uguale a 0.7, ammesso che vogliamo che Ie
nostre sensazioni di credenza si conformino a questo sistema. Che
differenza faccia una simile regola e, se fa diHerenza, come In si
debba criticare - che cosa esc1uda e pen'he la si debba preferire a
queLla di Carnap cd anche ai miei argomenti per l'attribllzione
di probabilita zero aile leggi universali - e difficile dido (233).
Regole ragionevoli di inferenza induttiva non ne esistono. (Que-
sta sembra essere ammesso daU'induttivista Nelson Goodman) (134).
La regola migliore che posso trarre da tutto cio che ho Ietto
della letteratura induttivista suonerebbe all'incirca COS):
" II futuro non sara. probabilmelHe tanto diverso dal passato ».
Questa, naturalmente, e una regoIa che tutti, nella pratica, ac-
cettano; e se siama realisti (come credo che tutti siamo, qualun-
que cosa si possa dire), qualcosa di anal ago dobbiamo accettarlo
anche in teoria. La regola, comunque, e tanto vaga da essere
difficilmente interessante. E malgrado la sua indeterminatezza, Ia
regola suppone troppo, e certamente malta di pili di quanto noi
(e quindi qualsiasi regola induttiva) dovremmo supporre ante-
rim'mente alIa formazione di qualsiasi teoda; infatti suppone una
teoria del tempo.
Ma era da aspettarselo. Siccome non puo darsi alcuna osser-
vazione libera da teoria, e nemmeno un linguaggio Iibero da teo-
ria, e ovvio che non puo darsi neanche una regola 0 principio di
induzione libero da teoria, ne puo darsi una regola 0 ptincipio
su cui debbano basarsi tutte Ie teorie.
L'induzione, pertanto, e un mito. Non esiste alcuna «logica
induttiva ». E benche esista un'interpretazione "logica» del cal-
colo della probabilita, non c'e alcun buon motivo per assumere
che questa «Iogica generalizzata» (come Ia si puo chiamare) sia
un sistema di "Iogica induttiva» (235).
Naturalmente, se questa e un buon modo di procedere - un
modo di procedere che ha successo -, Goodman e
aItri possono
aHora dire che 5i tratta di una regola dell'induzione «induttiva-
mente valida". Ma per me Ia cosa sta tutta qui: che questa e
un buon modo di procedere non perche ha successo 0 e a ttendi-
bile, 0 altro che dir si vogHa, ma perche e tale da poterci in-
durre in errore e quindi ci mantiene consapevoli della necessita
di and are in cerca di questi errori e di cercare di e1iminarli.

152
33. Programmi di ricerca metafisici

Dopo la pubblicazione de La sociela aperta, nel 1945, mia mo-


glie mi feee rilevare che questo libro non rappresentava i mid
interessi filosofici centrali, dato che io non ero in primo luogo
un 1ilosofo politico_ Questa, in realta, l'avevo detto nell'Introduzio-
ne; rna ella non fu soddisfatta ne di questa diniego. ne dal mio
successivo ritomo ai vecchi interessi, vale a dire alIa teoria della
conoscenza scientifica. Mi fece notare che 1a mia Logik der
Porschung era esaurita da un pezzo ed annai era stata quasi
dimenticata; e quindi, dato che ne andavo riprendendo i risultati
nei miei nuovi scritti, era divcnuto pressante il bisogno di tra-
durla in inglese. 10 fui del tutto d'aeeordo con lei, rna se ella
non me l'avesse ricordato con tanta insistenza, per tanti anni,
io avrei Iascjato perdere la cosa. Nonostante cio, ci v01lero attri
quattordici anni prima che fosse pubblieata The Logic of Scien-
tific Discovery (nel 1959), e ci voIlero altri sette anni perche
uscisse la secollda edizione tedesca della Logik der Forsclnmg.
In tutti questi anni lavorai moltissimo ad un'opera che in-
tendevo affiancare a The Logic of Scientific Discovery, e nel
1952, aU'incirca, decisi di intitolare questo volume Postscript:
After Twenty Yean, nella speranza che esso potesse uscire nel
1954.
Fu mandato in tipografia nel 1956, unitamente al manoscrit-
to (inglese) di The Logic 01 Scientific Discovery, e di entrambi
i volumi ricevetti Ie bone all'inizio del 1957_ La lettura delle
bozze si risoIse in un incubo. Riuseii a completare solo it primo
volume, che fu pubblkato nel 1959, e quindi dovetti affront are
l'operazione a tutti e due gli occhi. Per un certo periodo, dopa
I'operazione, non fui in grado di riprendere Ia lettura delle boz-
ze, e di conseguenza il Postscript non e aneora pubblicato, se si
eccettuano uno 0 due estratti (136)_ Naturalmente e stato letto da
diversi miei colleghi e studenti.
In questo Postscript passavo in rassegna e sviluppavo i pro-
blemi e Ie soIuzioni principali di cui avevo discusso nella Logik
der Forscfnmg. Sattolineavo, ad esempio, che avevo respinto tutti
i tentativi di giustificazione delle teorie, e che avellO sostituito
la giustiticazione con ta critica (237): non possiamo mai giustifi-
care una teoria_ Ma talvolta possianlo «( giustificare» (in un
sensa differente) la nostra prclererzza per una teoria, consideran-
do 10 stato della di.scussione critica; una teoria, infatti, puo
reggere alIa c.ritica meglio delle altre teorie concorrenti. A cio

153
si puo obiettul'c che una critica deve sempre giustificare la sua
posizione tearetica. La mia rispasta e questa: non e necessaria,
per il semplicc falto che essa puo criticarc in modo significativo
una teoria se e in grado di mostrare l'esistenza di una contrad·
dizione inaspettata 0 in sen a alIa teoria 0 tTa questa teoTia e qllal·
che altra tcoria interessante, benche naturalmente q"\.Iest'ultima
crilica non sia di norma dccisiva (23S). Moltissimi filosofi, nel
passato, avevano creduto che qualsiasi pretesa di l'azionalita si-
gnificaOise giUSliticazione razionale (di una credenza); Ia mia tesi
era invece, almena dopo La societa. aperta, che razianalita signi-
fica critica razionale (della propria teoria e delle teol'ie in con-
c.orrenza). La vecchia filosofia collegava dun que I'ideale della
razionalita con Ia conoscenza definitiva, dimostrabile (proreligiosa 0
antireligiosa: la religione era il problema principale), mentrc io
collegavo I'ideale della razionalita alIa crescita della conoscenza
congetturale. Questa poi, Ia collegavo all'idca di una sempre mi-
gliore approssimazione alIa verita, 0 di un aumerzto della vero-
sirniglianza (119). Secondo questa modo di vedere, il trovare delle
teorie che siano approssimazioni migliori alIa verita e cib a cui
aspira 10 scicnziato; 10 scopo della scicnza e di conoscere scm·
pre piu. Cia implica l'aumenta del contel1uto delle nostre teorie,
I'incremento della nostra conoscenza del mondo.
Oltre a una riformulazione della mia teoria della conoscenza,
uno degli obicttivi del Pustscript era di far vedere che il reali-
smo della mia Logik der Forschung era una posi:lione critic a-
bile 0 discutibile. Sottolineavo che Ia Logik de,. Forsclzung era
it libro di un realista, rna che in quel tempo non osai dir molto
sui realismo. La ragione era che allora non mi ero resoo conto
che una posizione metafisica, pur non eontrollabile, poteva esse-
re razionalmente criticabile 0 discutibile. Avcvo confessato di
essere un realista, rna avevo creduto che questa non fosse niente
pill ch~ una professione di fede. Cosl, di un mio argomento rea·
lista avevo scritto chc esso «esprime la fede metafisica ncll'esi-
stenza di regoIariUl nel nostro mondo (una fede che condivido
e senza la quale un'azione pratica e difficilmente concepibilc ),) (24D).
Nel 1958 pubblicai due discorsi, che si basavano in paTte suI
Postscript, sotto il titolo di «Lo slatus delta scienza e della me-
tafisica» (ora in Con.gettllre e cOl1tutaziol1i) (241). Nel secondo di
qucsti discorsi cereavo di mostrare ehe Ie teorie metafisiche pos-
sono essere suscettibili di critica e ctiscussione, pcrclH~ possono
essere dei tentativi di risolvere problemi - problemi aperti, for·
se, a soluzioni migliori 0 menu buone. Ncl secondo discorso ap-
plicavo questa idea a cinque teorie metafisiche: determinismo, idea·
Usmo (e soggelivismo), irrazionalismo, volontarismo (di Schopen·

154
hauer) e nichilismo (filosofia heideggeriana del nulla). E indica-
V(J Ie ragioni della ripulsa di queste teorie come tentativi faHiti

di risolvere i lora problemi.


Nell'ultin1.o capitola del Postscript facevo 10 stesso ragiona-
menlo a propos ito dell'indeterminismo, del realismo e dell'oggetti-
vismo. Cercavo di dimostrare che queste tre teorie metafisiche
sana compatibili e, per addurre una specie di modello a dimo-
slrazione della compatibilila, dlcevo che noi congetturiamo la
realttl delle disposizi01li (come potenziali 0 campi) e special-
mente delle propeltsioni. (E' questo un modo di argomentare in
[;wore dell'interpretazionc della probabilita come propensione. A
un altro modo accennercmo nella sezione seguente).
Ma uno dei temi principali del capitola era una descrizione
e valutazione del ruolo espticato dai programmi di ricerca meta-
(isici (242); can l'ausilio di un breve schizzo storico, facevo vedere
che col lX1ssare del tempo ci sono stati dei mutmnenti nelle no-
stre idee su cib che dovrel}be essere una spiegazione soddisfa.-
cenlc. Queste idee mutarono sotto Ia pressione della critica_
Del rest.o erano criticabili, scbbcne non controllabHi. Erano idee
metafisiche - invero, idee metafisiche della massima importanza.
Illustravo questa fatta con alcuni rilievi storici sui diversi
« programmi di rice rca metafisici che hanna influito sullo svi-
luppo della fisica fin dai tempi di Pitagora »; C prOpOll(;'VO una
nnova visione mclafisica del mondo, e con questa un nuovo pro-
gramma di ricerca basato sull'idea della realtl'l delle disposizioni
e sulI'interpretazione della probabiUta come propensione. (Oggi
ritcngo che questa concezione sia utile anche in rapporto all'evo-
luzione).
Eo l'iferito qui di qucsti sviluppi per due ragioni.

1. PerchC iI realismo mctafisico - l'idea che ci sla un mon-


do reale da scoprirc - risolve alcuni problemi chc erano rimasti
aperti con la mia soluzione del problema dell'induzione.
2. Perdu; intcndo sostenere che Ia ieoria della sclezione na·
turale non e una teoria scicntifica controJlabile, rna un program-
ma di ricerca metafisico; e bcnchc sia indubbiamente il migliore
disponibile 0.1 prcsente, e probabilc cIle passa essere leggermente
migliorato. ....

SuI primo punta dirb solo che, se crediamo di aver trovato


un'approssimazione alla veritil nella forma della teona scientiIi-
ca chc ha retto meglio delle teode concorrcnti alla critic a e alIa
prova, in quanto realisti dobbiamo accettare tate teoria come base
per l'azione pratica, e do per it scmplice btto che non abbiamo
nicnte di meglio (0 di piil vicino alia verita). Ma non e necessario

155
che l'accettiama come vera: non siamo costretti a credere in essa
(vale a dire credere nella sua verita) (243).
SuI secondo punto paden) pill diffusamente quando arrivero
a discutere la teoria dell'evoluzione, nella sezione 37.

34. La latta contra it soggettivismo in fisica:


meccanica qualltistica e la propensione

Poehi grandi uamini hanna avuto sui ventesimo seealo un'in-


fluenza inteTlettuale paragonabile a queJla ehe ha esercitato Ernst
Mach. La sua infiuenza si e fatta sentire nel campo della fisica,
della fisiologia, della psicalagia, delJa filosofia della scienza e
della filosofia pora (speculativa). Egli influi su Einstein, su Bohr,
su Heisenberg, su William James, su Bertrand Russell - tanto
per citare qualche nome. Mach non fu un grande fisico, ma cer-
tamente una grande personal ita e un grande storico e filosafo del-
la scienza. Come fisiologo, psicologo e filosofo della scienza ebbe
molte idee importanti ed originali ehe io sottoserivo. Fu, ad escm-
pio, un evoluzionista nella teoria della conoscenza e nel campo
della psicologia e della fisiologia, in particolar modo nello studio
dei sensi. Fu critico nei riguardi della metafisica, rna abbastanza
tollerante da amrnettere, e perfino sottolineare, la necessWl delle
idee metafisiche come Iuci di orientamento per il fisico, anche per
il fisico sperimentale. Cosi, nei suoi Pri11ciples of the Theory of
Heat, egli scrisse di Joule (244):

Quando viene aIle questioni generali (filosofkhe) [che alia


pagina precedente Mach chiama «metafisiche »], Joule quasi tace.
Ma quando parIa, Ie sue affermazioni rassomigliano da vicino a
queUe di Mayer. E in effetti non si puo dubitare che cosl vaste
indagini sperimentali, tutte intese al medesimo scopo, possano
essere condotte solo da un llomo ispirato da una grandiosa vi-
sione del mondo, quanta mai profonda dal punto di \'ista fi-
losofico.

Un passaggio come questo e tanto piLI degno di nota in quan-


to Mach aveva precedentemente pubblicato un libw, L'analisi
delle sensazioni, in cui scriveva che «il mio metodo elimina tutte
le questioni metafisiche », e che «tuuo cio che possiamo cono-

156
~cere del mondo 5i esprime necessariamentc in sensazioni,) (os5ia
in dati sensoriali, « Sinnesempfindttngen »).
Sfortunatamente, ne it suo approccio biologico ne la sua tol1e-
ranza ebbero molta risonanza neI pensiero del nostro secolo; cio
che esercito un'influenza considerevole ~ special mente 5ulla fisica
atornica - fu la sua intolleranza antirnetafisica, congiuntamen-
te alIa sua teoria delle sensazioni. II fatto, poi, che l'i;;:f1uenza di
!\Jach sulla nuova generazione di fisici atomici sia stata COSl per-
suasiv3, in verita e una delle ironie della storia. Egli, infatti, fu
un tenace avversario delL'atomismo e della teo ria « corpuscolare »
della materia, che considerava, come aveva fatto Berkeley (245), me-
tafisica.
L'irnpatto filosofico del positivismo di Mach fu in larga rni-
sura mediato dal giovane Einstein. Ma Einstein si allontano da!
positivismo machiano, in parte perche 5i rese canto, can stupo--
re, di alcune sue conseguenze - conseguenze che la successiva
generazione di fisici bril!anti, fra i quali Bohr, Pauli e Heisen-
berg, non solo scoprirono rna abbracciarono con entusiasmo, di-
venendo soggettivisti. Ma 1a ritrattazione di Einstein giunse troppo
tardi. La fisica era diventata una roccaforte della filosofia sogget-
llvistica, e tale e rimasta fino ad oggi.
Dietro a questi sviluppi c'erano, tuttavia, due importanti pro-
blemi connessi alia meccanica quantistica e aHa teoria del tempo;
e c'era anche un altro problema che, a mio avviso, non e poi
tanto importante: la teoria soggettivistica dell'entropia.
Con la nascita delta meccanica quantistica, quasi tutti i gio--
vani fisici si convinsero che la meccanica quantistica, al contrario
della meccanica statistica, non era una teoria di insiemi (ensem-
bles), rna Ulla teoria della meccanica di particelle fondamentali sin-
gole. (Dopo qualche incertezza, anch'io ho accettato questa can·
cezione). Essi, d'altro canto, erano anehe convinti che 1a l11ecca-
nica quantistica, alIo stesso modo della meccanica statistica, fosse
una teoria probabilistka. Come teoria meecanica delle particelle
fondamentali, essa aveva un aspetto oggettivo. Come teoria proba-
bilistica aveva (0 almeno COSl pensavano) un aspetto soggettivo. Si
trattava dunque di un tipo completamente nuovo di teoria fon-
damentaIc, che combinava insieme aspetti oggettivi e soggettivi.
Era questa il suo carattere rivoluzionario.
La concezione di Einstein era pero alquanto diffcrente. A
suo avviso, Ie teorie probabilistiche, come la meccanica statisti-
ca, erano estremamente interessanti e importanti e belle. (In gio-
venti! egli avevu portato a queste teorie alcuni contributi sostan-
ziali). Ma non erano teorie fisiche fondamen tali , ne teorie ogget-
tive; al contrario, erano teorie soggettivistiche, teorie ehe dobbia-

157
rno introdurre in J'llgione del caratterc framnwJ!tal'io della nostra
conoscem:.a, Ne conscgue che 1a meccanica quantistica, ancorch6
eccellente, non e una tcoria fOlldamcntale, rna una teoria incom-
pleta (perche il suo carattere statistico dimos1ra che CSSa opera
con una conoscenza incompleta), e che la teoria oggettiva e com-
pleta che dobbiamo cere are non cleve esserc una teoria proba·
bilistica, ma bensi determini.stica.
Si vedra che Ie due posizioni hanno un elcmento in comune:
l'una e l'altra assumono che una teoria probabllistica 0 statisti·
ca fa in qualche modo uso della nostra conoscenza soggettiva, ov-
vero della nostra mancanza di conoscenza.
Cia si puo ben comprendere se teniamo presente che la sola
interpretazione oggettivistica della pr;:,babilita eli cui a quel tem-
po (su] Jinire degli anni 1920) si discuteva era l'interpretazione fre-
quenziale, (Questa intcrprctazione e stata sviluppata in varie
versioni da Venn, von Miscs, Reichenbach. e pill tanh anche da
me). Ora i tcorici <lelia frequenz.a sostengono che ci sono que-
stioni oggetlive concernenti i Icnomeni di massa, e che ad esse
corrispondono quindi risposte oggettivc. Castoro devono pero
ammettere che quando parliamo della probabilita di un evento
sil1g%, qua elemento di un fenomeno di massa, l'oggettiviHI di-
vent a prob]ematica, tanto che si puo ben affennare che, riguardo
agli eventi singoli, come I'emissione di un fotone, Ie pl'Obabilita
non fanno che mi~urare la nostra ignoranza, La probabiHta og·
gettiva, infatti, ci dice soltanto che cosa si veri fica in media, se
questo tipo di evento si ripetc roolte volte: dcll'evento singolo
in se la probabilita statistica oggettiva non dice niente.
Fu a questo punto che il soggettivismo fece il suo ingresso
nella meccanica quantistica, secondo la concezione sia di Einstein
sia dei suoi oppositori. E hl a questo punta ehe io ce['cai di com·
ba ttere il soggetti vismo in troducendo 1'in tcrpretazione de 11 a pro·
babilita come propensione. Non si t.ratto eli un'introduzione ad
hoc. Fll pluttosto il ['isultato di un'accurata revlsione degli argo·
menti che stavano alia base dell'interprel3zione della probabilita
come frcqucnza.
L'idea di fondo era che Ie propensioni potevano esscre con-
siderate come realta fisiche. Erano misura di disposizioni. Le di·
sposizioni fisiche misurabili (:( potenziali }» erano state introdotte
in fisica dalla teoria dei campi. Cera dunque un precedcntc pc['
considerare Ie disposizioni come fisicamente reali; e qlliudi I'idea
eli dover considerarc Ie propensioni come fisicamentc rcali non
era poi tanto strana, Inoltre cio lasciava spazio, come e ovvio,
all'indcterminismo.
Per illustrare il tipo di problema di interprctazione che l'in-

158
lmduzionc delle propensioni era inteso a risolvere, prendero ora
in csamc una lettcra che Einstein scrisse a Schrodinger (2"'J. In
quesla Icttera, Einstein fa rifcrimento ad un ben noto csperimen-
to mentale che Schrodinger aveva pubblicato nel 1935 (W). Schro-
clinger avcva messo in rilievo la possibilita di dispone un certo
lllatcriale radioattivo in modo, ad esempio, da inncscare una bom-
ba, con l'allsilio di un conlalure Geiger. Le cose si pos50no dispol're
in modo che 0 Ia bomba esplode in un dcterminato intervallo
di tempo oppurc il detonatore viene disinnescato. Sia la probabi-
lllll di una esplosione uguale a 1/2. Schrodingcr affcrmava che
Se si ructte un gatto vicino alla bomba, sara di 1/2 anche la pro-
babilita che il gatto rimanga ucciso.Tutto questo dispositivo puo
essere descritto in termini di meceanica quantistica, e in questa
dcscrizione si avra una sovrapposizione di due stati del gatto
- uno stato in cui il gatto e vivo ed uno in cui e morto. La
deserizione meccanico-quantistica - 1a funzione 11' - non deseri-
\Cri:1 quindi alcunche di reale: che il gatto rcale sara 0 vivo 0
morto.
Nella sua lettera a Sehr6dinger, Einstein dice che db signi-
fica che la meccanica quantistica e soggettiva e ineompleta:

Se si cerea di intcrpretare Ia funzione \{f come una deseri-


zione completa [del processo fisico reale da essa descritto ] ... vor-
r~t dire, allora, che nell'istantc in qucstione it galto non sara JH!
vivo ne. ridotto a frammt'nti. Ma ]'osservazione dovri.I realizzare
o l'una 0 l'altra eondizione.
Se si respingc questa idea [della completezza della funzio·
ne 'If], aHora si deve assumere chc Ia funzione 'If non descrive
uno sta1.o di case reale, rna la 10tali6 della nostra conoscel1za
r{:.;petto allo stato delle case. E' questa l'interpretazione di Born,
che oggi sembra esserc accettata da quasi tutti i fisici teorici (2-18).

Una voTta accettata Ia 111ia interpretazione della probabilita


come propensione, questo dilemma scornpare, e la rneccanica quan·
tistica, vale a dire la funzione \fI, descrive un rcale slato di cost'
- una disposizione reale -, anche se non si truttu di uno stato
eli case detcrministico. E benchc si possu ben dire che il fatto
che 10 stato di case non e deterministico sta ad indicare un'in·
compiutezzu, questa incompiutezza non pliO essere imputata aHa
teoria - alIa descrizione -, 111a riflette l'indeterminatezza della
l'calta, dello stesso stato dj cose.
Schrbdinger e stato sempre persuaso che I 'If 'I' * I deve de·
scrivere qualcosa di risicamente reale, come ad escmpio una den-
sila reale. Ed era anche convinto della possibilit~'l (249) che 1a realta
stessa fosse indeterminata. Secondo l'interpretazione della pro·
babilita come propcnsione, queste intuizioni erano del tutto esatte.
159
Qui non discutero ulteriormente fa teoria della probabilita
come propensione e il ruolo che essa puo avere nella chiarifica-
zionc della meccanica quantistica, dato che questi argomenti Ii
ho trattati abbastanza diffusamente altrove (2"0). Ricordo che al·
l'inizio Ia teoria non ebbe un'accoglienza favorevoIe, rna cio non
fu per me una sorpresa, ne mi scoraggio. Da aHora Ie cose sono
cambiate moltissimo, e a1cuni di quegli stessi critici (e sosteni-
tori di Bohr) che all'inizio rifiutarono sprezzantemente Ia mia
teoria come incompatibiIe con Ia meccanica quantistica ora dico-
no che e roba vecchia e che eli fatto Ia mia teolia e identica a
quella di Bohr.
Mi sono ritenuto pili che ricompensato per i quasi quaranta
almi di ricerca appassionata, quando ho ricevuto una lettera di
B. L. van der Waerden, matematico e storieD della meccanica
quantistica, a proposito del mio articolo del 1967, « Quantum Me-
chanics without "The Observer" », In questa lettera mi diceva di
condividere pienamente tutte e quindici )e tesi del mio articolo
ed anche Ia mia interpretazione della probabilita come propen-
sione (251).

35. Boltzmann e la freccia del tempo

L'irruzione del soggettivismo nella fiska - e specialmente nella


teoria del tempo e dell'entropia - ebbe inizio assai prima che ve-
nisse aHa ribalta Ia meccanica quantistica. 11 fatto era connesso
ai dramma di Ludwig Boltzmann, uno dei grandi fisici del di·
ciannovesimo secolo e al tempo stesso un realista e oggettivista
ardente e quasi militante.
Boltzmann e Mach erano colleghi all'Universita di Vienna.
Boltzmann era professore di fisica, allorche Mach vi fu chiamato,
nel 1895, a ricopdre la cattedra di filosofia della scienza. creata
apposta per lui. Deve essere stata la prima cattedra di questa
materia nel mondo. Successivamente oecupo questa cattedra Mo-
ritz Schlick, e dopo di lui Victor Kraft (252). Nel 1901, quando
Mach si dimise, gli Sllccesse Boltzmann, iI quale conservo anche
Ia sua cattedra di fisica. Mach, pill anziano di Boltzmann di circa
sei anni, si trattenne a Vienna, approssimativamente. fino alIa
morte di Boltzmann, nel 1906; e durante questo periodo, e per

160
molti anni ancora, l'influenza di Mach crebbe continuamente. En-
trambi erano fisici, e fra i due Boltzmann era chiaramente il
piu brill ante e creativo (ZSJ); ed entrambi erano filosofi. Mach fu
chiamato a Vienna come filosofo. su iniziativa di due filosofi. (Do-
pa che Boltzmann fu chiamato a succedere a Stefan alia catte-
dra ill fisica - una cattedra per la quale Mach aveva nutrito qual-
che speranza -, !'idea di chiamare Mach a ricoprire invece la
cattedra di filosofia parti da Heinrich Gornperz, allm-a solo ven-
tunenne, il quale agi per it tramite del padre (254). Sui medti
filosofici di Boltzmann e di Mach il mio giudizio, 10 confesso,
e partigiano. Boltzmann e poco conosciuto come filosofo; fino
a poco tempo fa, io stesso non sapevo pressoche nulla della
sua filosofia, e tuttora ne so molto menD di quanto dovrei.
i\1a nei limiti in cui la conosco la condivido; pili da presso, forse,
di qualsiasi altra filosofia. E' dunque chiaro che preferisco Boltz-
mann a Mach - non solo come fisko e come filosofo, rna anehe,
10 confesso, come persona_ Pero trovo estremamente avvincel1te
anche la personalita di Mach, e sebbene io sia del tutto contra rio
alia sua «anaIisi deBe sensazioni », tuttavia condivido il suo ap-
proccio biologico al problema della conoscenza (soggettiva).
Tanto Boltzmann quanto Mach ebbero un largo seguito tra i
fisici, eppure erano impegnati in una lotta quasi mortale. Era
una latta suI programma di rice rca in fisica e sull'ipotesi « corpt!-
scolare », vale a dire sull'atomismo e sulla teoria molecolare 0
cinetica dei gas e del calore. Boltzmann era un atomista e
difendeva sia l'atornismo sia la teoria cinetica di Maxwell del ca-
lore e dei gas. Mach si opponeva a queste ipotesi « metafisiche )}.
Egli sosteneva una «termodinamica fenomenologica ", dalla qua-
Ie sperava di escludere TIltte Ie «ipotesi esplicative ,,; e sperava
di potel' estendere il metoda «fenomenologico" 0 «puramente
dcscrittivo" a tutta la fiska.
In tutti questi problemi Ie mie simpatie stanno interamente
dalla parte di Boltzmann. Devo riconoscere, tuttavia, che Boltz-
mann, nonostnnte la sua miglior padronanza della fisica e la suo
periorita (a mio avviso) della sua filosofia, perse la battaglia_ Fu
battuto su una que-stione di fondamentale importanza - Ia sua
andace derivazione probabilistica della seconda legge della ter-
modinamica, Ia legge deTl'aumento dell'entropia, dLllla teoria cine,
tica (teorema H di Boltzmann). Fu battuto, penso, perche era
stato tmppo audace.
La Sua derivazione e intuitivamente assai convincente: egli as-
socia l'entmpia ai disordine; dimostra, in modo convincente e
corretto. che in un contenitore sono pili «probabili» (nel senso
perfettamente buono ed oggettivo di (' probabile ») gli stati disor-

161
dinati di un gas che non gli stati ordinati. E quindi conclude (e
questa conclusione risulto invalidata) (255) che c'e una legge mec-
canica generale secondo la quaJe i sistemi chiusi (i gas chiusi)
tendono ad assumere degJi stati sempre pili probabili; do vuol
dire che i .sistemi ordinati tendono, col passare del tempo, a di-
venire sempre pill disordinati, 0 che l'entropia eli un gas tende
ad aumentare col tempo.
Tutto do e estremamente convincente; rna, sfortunatamente,
in questa forma e sbagliato. In un primo tempo, Boltzmann inter-
preto il suo teorema H come provante un incremento undirezio-
nale del disordine col tempo. Ma, come ha rilevato Zermelo (256),
gia prima Poincare aveva pravato (e Boltzmann non aveva mai
sfidato questa prova) che ogni sistema chiuso (gas) ritorna, dopo
un certo tempo finito, ad uno stato vicino a queUo in cui prima si
trovava. Tutti gti stati, dunque, sono (approssimativamente) sem-
pre ricorrenti; e se una volta un gas si trovava in uno stato ordi-
nato, a questa stato fara nuovamente ritorno, dopo un certo
tempo. Ammesso cib, ne consegue che non pub esserci una dire-
zione privilegiata del tempo - una «freecia del tempo" - che sia
associata all'incremento dell'entropia.
L'obiezione di ZermeIo fu, a mio avviso, decisiva: essa rivo-
luziono Ia teoria di Boltzmann, e Ia meeeanica statistica e Ia ter-
modinamica divennero, speciaImente dopo il 1907 (Ia data dell'ar-
ticolo degli Ehrenfests) (251), strettamente simmetriche rispetto
alIa direzione del tempo; e tali sono rimaste finora. La situazione
si presenta COS!: ogni sistema chiuso (ad esempio un gas) rim a-
ne per quasi tutto il suo tempo in stati disordinati (stati di equi-
librio). Ci saranno delle fluttuazioni dalIo stato di equilibrio, rna
Ia fr~quenza del loro verifiearsi diminuisce rapitiamente col ere-
scere della loro entita. Cos'!, se troviamo ehe un gas e in uno
stato di fluttuazione (ossia in uno stato di ordine rnigliore della
stato di equilibrio), possiamo concludere che era probabilmente
preceduto, e altrettanto probabilmente sara seguito, da uno stato
pili vicino all'equilibrio (disordine). E' chiaro aUora che, se vo-
gliamo predire il suo futuro, possiamo predire (con elevata pro-
babilita) un incremento dell'entropia; e in modo esattamente ana-
logo si puo anche fare una retrodizione del suo passato. E' strano
che solo di rado sia accaduto di prendere atto che can Zermelo
si e compiuta una rivoluzione nella termodinamica: di Zerrnelo
si parla spesso in modo disonorevole, 0 non se ne parla affatto (25a).
Boltzmann, sfortunatamente, non si accorse subito della gra-
vita dell'obiezione di Zermelo; e cosi la sua prima replica fu
insoddisfacente, come rilevQ Zerrnelo. E can Ia seconda replica

162
di Boltzmann a Zermelo ebbe mlZIO queUa che io considero la
grande tragedia: la caduta di Boltzmann nel soggettivismo. In
questa seconda replica, infatti,

(a) Boltzmann abbandono la sua teoria di una frcccia og-


rrcttiva del tempo ed anche 1a sua teoria secondo la quale l'en-
tropia tende a crescere nella direzione di questa freccia; egli:
in altre parole, abbandono quello che era stato uno dei SUOI
punti centrali;
(b) introdusse ad hoc un'ipotesi cosmologica suggestiva, rna
avventata;
(c) introdusse una teoria soggettivistica della freccia del tem-
po, c una tcoria che riduceva ad una tautologia la legge dell'in-
cremento dell'entropia.

La connessione fra questi tre punti della secunda replica di


Boltzmann la si puo meglio chiarire come segue (2.."9).
(a) Cominciamo con J'assumere che il tempo non abbia ogget-
tin'lmcnte ne una freccia ne una direzione, che sotto questa aspet-
to sia semplicemente come una coordinata spazialc; e che I'" uni-
verso" oggettivo sia completamente simmetrica ri.spetto aIle due
di rezioni del tempo.
(b) Assumiamo, inoltre, che !'intero universo sia un sistema
(come un gas) in equilibrio tel'mico (massimo disordine). In un
t3le universo vi saranno delle flu.ttttazioni di entropia (disordine);
rcgioni nella spazia e nel tempo, vale a dire, in cui c'e un qual·
che ordine. Queste regioni di bassa entropia saranno rarissime -
tanto pill rare quanta piu basso sara l'avvallamento dell'entropia;
e stando al nostro assunto della simmetria, l'avvallamento si alzera
in modo simile in entrambe Ie direzioni del tempo e si appiattira
verso il massimo dell'entropia. Supponiamo, inoHre, che 1a vita
sia possibile solo sui Iati degli avvallamenti di entropia con depres-
sione profonda; e chiamiamo « mondi» queste regioni di entropia
cangiante.
(c) Ora non ci resta che supporre che 110i (e probabiImente
tutti gli animali), soggettivamente, avvertiamo Ia coordinata tern·
porale come se avesse una direzione - una freccia - tendente verso
l'incremento dell'entropia; cio significa che Ia coordinata tempo-
rale diventa successivamente a serialmente a noi cosdente man
mano che, nel «mondo)} (nella regione in cui viviamo). cresce
hmtropia.
Se e vero da (a) a (c), allara e chiaro che l'entropia crescera
S(;1npre col passare del tempo, doe col passare del tempo della
nos [ra coscienza. S tando all'ipotesi biologica che il tempo segue
lIna direzione solo nell'ambito dell'esperienza degli animari, e che
va solo nella direzione in cui aumenta l'entropia, Ia Iegge del-

163
I'incremento dell'entropia diventa una legge necessaria - ma
valida solo soggettivamente.
Per capirlo, puo essere di aiuto il seguente diagramma (v.
fig. 1).

freccia del tempo freccia del tampo


solo psr questa lasso dl tempo SQ1Q per Questo lasso di tempo
c:ootdlnata temporale I"I II I 'I coordlnala tempo
J I

\.... livello dl
equilibrio

' " Curva dell'entropla


delerminsnte Is
dl,ezione del tempo

FIG. 1

La linea di sopra e la coordinata temporale; la linea di sotto


indica una fluttuazione dell'entropia. Le freece indicano Ie regioni
in cui e possibile 1a vita, e in cui il tempo puo essere esperito
come avente 1a direzione indicata.
Boltzmann - ed anehe Schrodinger - affermano che la dire-
zione verso il «futuro» si pUG fissare can una definizione, come
si puo rilevare dalla seguente citazione dalla seconda replica di
Boltzmann a Zermelo (260):

Noi abbiamo la scelta di due tipi eli immagine. 0 assumiamo


che I'intero universo e aJ momenta attuale in uno stato assai im-
probabile. Oppure assumiamo che gli eoni durante i quali si
svolge questo statl) improbabile, e Ia distanza cia qui a Sirio. sana
mil1llscoli a confronto con l'eta e la grandezza dell'universo inte-
1'0. In un tale universa, che llel suo i'Dsieme si trova in un equi-
libria termico, e pcrcio e morto, si possona trovare qua e HI delle
regioni relativamente piccole della grandezza della nostra galas-
sia; regioni (che possiamo chiamare «mondi ») che deviano in
modo significativo dall'equilibrio termico per tratti relativamente
brevi di quegli <t. eoni » di tempo. Entro questi mondi, Ie probabilitil
del Lora stato [cioe l'entropia] aumenteranno con Ia stessa fre-
quenza con cui diminuiscono. Nell'universo nel suo insieme Ie due
direzioni del tempo sono indistinguibili, esattamcnte alIo stcsso
modo in cui nella spazio non C'f: un sopra e un satta. Tuttavia,
come in un certo punto della superficie terrestre possiamo indi-

164
care con «sotto l> la direzione verso il centro della terra, cosi
un organismo vivente ehe viene a trovarsi in questa mondo in
tm determinato periodo di tempo puo definire la « direzione » del
tempo nel senso ehe va dallo stato meno probabile a quello
pili probabile (il primo sara it «passato» e l'ultimo sara il «fu-
t lifO »), e grazie a questa definizione [sic] trovera che la sua
piccola regione, isolata dal res to del1'universo. «inizia1mente» e
sempre in uno stato improbabile. A me pare che questo modo di
vedcre Ie cose e il 50]0 che ci permetta di cap ire 1a validi1a della
secunda legge, e la morte termica di ogni singolo mondo, senza
invocare un mutamen10 unidirezionale dell'intero univen;o da un
definito stato iniziale ad uno s1ato finale.
Penso chc l'idea di Boltzmann sia impressionante nella sua
audacia e bellezza. Ma credo pure che questa idea sia del tutto
i llsostenibile, almena per un realista. Essa qualifica come un'H-
lusione il mutamento unidirezionaJe. Cio rende un'musione la
catastrofe di Hiroshima. E cosi rende un'illusione il nostro mon-
do, ed anche ogni nostro tentativo di scoprire qualcosa di piu a
proposito del nostro m()ndo. Si demolisce quindi da se (come
ogni idealismo). L'ipotesi idealistica ad hoc di Boltzmann viene
quindi a cozzare contro 1a sua filosofia realistica e antiidealistica.
difcsa quasi appassionatamente, ed anche contro il suo appassio-
nato desiderio di conoscerc.
Ma l'ipotesi ad hoc di Boltzmann distrugge anche, in misura
considerevo!e, Ia teoria fisica che intendeva salvare. Fallisce del
tutto, infatti, il suo grande e audace tentativo di derivare la legge
dcIl'incremento dell'entropia (dS/dt ~ 0) da assunti meccanici e
statistici - il suo teorema H. Fallisce per il suo tempo oggettivo
(ossia per it suo tempo senza direzione), giacch6 in esso l'entro-
pia diminuisce con la stessa frequenza con cui aumenta (261). E
fallisce per il suo tempo soggettivo (tempo con una freccia) per-
che qui solo una definizione 0 un'illusione fa aurnentare ren-
tropia, e non c'e alcuna prova cinetica, ne dinamica, ne statisti-
C3, nr:! meccanica che possa (0 a cui si possa chiedere di) accertare
questo fatto. Percib questa distmsse la teoria fisica - la teoria
cinetica dell'entropia - che Boltzmann cercava di difendere contro
Zcrmelo. 11 sacrificio della sua filosofia realistica per il suo teorema
H fu vano.
Credo che, col tempo, avrebbe preso atto di tutto questo, e
che la Sua depressione e suicidio nel 1906 possa avere una rela-
zione can questo fat to.
Quantunque apprezzi la bellezz3 e l'audacia intellettuale del-
l'ipotesi idealistica ad hoc di Boltzmann, ora risulta che questa
ipotcsi non era «audace" nel senso della mia metodologia: non
aggiungeva nulla alIa nostra conascellza, non accresceva il conte-
165
nuto. AI contrario, era distruttiva di ogni contenuto. (La teoria
dell'equilibrio e delle fluttuazioni, ovviamente, non ne fu intacca-
ta; v. nota 256).
Fu per questa ragione che non mi dispiacque (benche mi di-
spiacesse molto per Boltzmann) quando mi resi conto che it mio
esempio di un processo fisico non-entropico con una freccia del
tempo (262) veniva a distruggere l'ipotesi idealistica ad hoc di Boltz-
mann. Riconosco chc distruggcva qualcosa di notevo1e - un argo-
mento a favore dcll'idcalismo che sel11brava appartenere alIa fi-
sica pura. Ma, diversamente da Schrodinger, io non era propenso
a cercare sjmili argomenti; e siccome, come Schrodinger, rut op-
ponevo all'uso della teoria dei quanti a sostegno del soggettivi-
smo, fai ben felice di aver potuto attaccare una roccaforte ancor
pili antica del soggcttivisruo in fisica (263). E credo che Boltzmann
avrebbe approvato il tentativo (anche se non avrebbe forsc accet-
tato i risultati).
La storia di Mach e Boltzmann e una delle pill strane nella
storia della scienza; e mette ben in luce il potere storico delle
mode. Ma Ie mode sono stupide c cieche, special mente Ie mode
filosofiche; e in esse e inclusa la credenza che 1a storia sara it
nostro giudice.
AlIa luce della storia - 0 nelle tenebre della storia - Boltz·
man fu sconfitta, comunque si guardino Ie cose, anche se tutti
riconoscono in lui un fisico eminente. Egli, infatti non riuscl
mai a spiegare 10 status del suo teorema H; ne spiego l'incre-
mento dell'entropia. (Crea, invece, un nuovo problema - 0, come
credo, uno pseudoproblema: la freccia del tempo e una conse-
guenza dell'incremento dell'entropia?). Fu sconfitto anche come
filosofo. Nell'ultimo periodo della sua vita, il pasitivismo di Mach
e l' «enel'getismo» di Ostwald, l'uno e l'altro antiatomisti, ehbero
tanta risonanza che Boltzmann si demoralizzo (come dirnostrano
Ie sue Lezioni sulla teoria dei gas). La pressione fu tale che egli
perse la fiducia in se stesso e nella realta dcgli atomi: afferrnb
che l'ipotesi corpuscolare pateva anche essere solo uno strum en·
to euristico (piuttosto ehe un'ipotesi su una reaith fisica); un'af-
fermazione alla quale Mach reagi ossen'ando che questa «non
era una contromossa po1emica del tutto cavalleresea» ((( ein l1icht
ganz ritterlicher polemischer Zug ») (2M).
Fino ad oggi, il realismo e l'oggettivismo di Boltzmann non
sono stati rivendicati ne da lui ne dalla storia. (Tanto peggio
per la storia). Ancorche l'atomismo da lui difcso avesse consc-
guito la sua prima grande vittoria grazie alta sua idea delle flut-
tuazioni statistiche (e qui alludo all'articolo del 1905 di Einstein
suI movimento browniana), fu la filosofia di Mach - la filosofia
del maggior avversario dell'atomismo - a divenire it credo aeeet-
166
tato dal giovane Einstein c forse per questa il credo dei fondatori
della meccanica quantistica. Nessuno ha mai negato Ia grandezza
di Boltzmann come fisico, naturalmente, e specialinente come uno
dei due fondatori della meccanica statistica. Ma qualunque cosa
si passa dire in ordine ad una rivalutazione delle sue idee, pare
che cib sia legato 0 alIa sua teoria soggettivistica della freccia del
tempo (Schrodingcr, Reichenbach, Grlinbaum) 0 ad un'interpre·
tazione soggettivistic.a della statistica e del suo teorema H (Born,
Jaynes). La divinita della storia - venerata come nostra giudice -
fa aneora i suoi scherzi.
Ho raccontato qui questa storia perche getta un po' eli Iuee
sulla teoria idealistica secondo 1a quale Ia freccia del tempo e
un'illusione soggettiva, ed anche perche Ia lotta contro questa
leoria ha impegnato gran parte del mio pensiero in questi ulti-
rni anni.

36. La teoria soggettivistica dell'entropia

Per teoria soggettivistica dell'entropia (265) non intendo qui


la teoria di Boltzmann, nella Quale la frecc.ia del tempo e sogget-
tiva rna l'entropia oggettiva. Intendo invece una teoria, dovuta
originariamente a Leo Szilard (::66), secondo la quaJe l'entropia di
un sistema aumenta col decrescere della nosUa infonnazione suI
medesimo, e viceversa. Stando alIa teoria di Szilard, ogni incre-
mento di informazione a conoscenza deve essere interpretato come
un decremento nell'entropia: in conformita can la seconda legge,
in qualche modo si deve pur pagare, can un incremento almeno
uguale neIl'entropia (261).
Ammctto che in questa tesi c'e quaIcosa di intuitivamente
soddisfacente - specialmcnte, come e o\'"\Iio, per un soggettivista.
L'informazione (0 "contenuto informativo ») puo, indubbiarnente,
csserc misurata per mezzo dell'improbabilita, come di fatta avevo
rilevato nel 1934 nella mia Logik der Forschung (268). L'entropia,
d'altra parte, pub essere equiparata aLIa probabilita dello stato
del sistema in questione. Le seguenti equazioni appaiono percib
vaIide:
in£ormazione = neghentropia;
entropia = mancanza d'informazione nescienza.

167
Di queste equazioni si dovrebbc fare, tllttavia, un uso estre·
mamente cauto: tutto cib che si e dimostrato e che l'entropia e
la mancanza d'informazione si possono misurare in base aile
probabilitii, 0 si possono interpretare come probabilita. Non si
e invece dimostrato che sana probabilita degli stessi attributi del
medesimo sistema.
Consideriamo uno dei casi pill sempJici possibili di incre-
mento deU'entropia, l'espansione di un gas nella spinta di un pi-
stone. Poniamo un cilindro can un pistone al centro_ (V. fig. 2).
II cilindro sia mantenuto ad una temperatura elevata e eo stante
tenendolo immerso in acqua calda, 51 che agni perdita di calore
sia subito reeuperata. Se sulla sinistra e'e un gas che spinge il pi-
stone verso destra, mettendaci COSt in grado di ottenere un la-
voro, (sollevamento di un peso), per questa lavoro noi paghiamo
aHora con un incremen10 nell'en1ropia del gas.

FIG. 2

Supponiamo, per arnor di sernplicita, ehe il gas consista di


una sola molecola, la molecola M. (Questa supposizione viene
comunemente usata dai miei oppositori - Szilard, 0 Brillouin -,
e quindi e ammissibile (269) adottarla; cornunque la discutero cri-
ticamente piu avanti). Allora possiamo dire che l'incremento
dell'entropia corrisponde ad una perdita di informazione. Prima
dell'espansione del gas, infatti, sapevamo che il gas (ossia Ia no-
stra molecola Ai) el'a nella meta di sinistra del ciIindro. Dopo
l'espansione, e quando ha gia compiuto it suo lavoro, non sap-
piamo piu se si trovi nella meta di sinistra 0 nella meta di destra,
giacche il pi.stone si trova ora al punta estremo a destra del
cilindro: il contenuto informativo della nostra conoscenza e chia-
ramente assai ridott a (Z70).
Questo, naturalmente, sana disposto ad ammetterlo. Quel
che non sono disposto ad accettare e l'argomento pill generale di

168
Szilard, col quale egli cerca di provare il teorema che la cono-
scenza, 0 l'informazione, su11a posizione della molecola M puo
csscre convertita in neghentropia, e viceversa. Questo presunto
teorema 10 considero, e me ne dispiace, come un puro nonsenso
<;oggettivistico_
L'argomento di Szilard consiste in un esperimento mentale
idcalizzato; 10 si puo descrivere - con un qualche miglioramento,
cl-edo - come segue (211).
Poruamo che a1 momento t" sappiamo che il gas - vale a
dire l'unica molecola M - si trova nella meta di sinistra del no-
stro cilindro. In questo momento noi possiamo allora far scor-
rere un pistone portal1dolo al centro del cilindra (per esempio,
da una fessura su un lato del cilindro) (112) e attendere finche
l'espansione del gas, 0 il momento di Ai, non abbia spinto il pi-
stone verso destl-a, sol1evando un peso. L'energia richiesta e stata
rornita, mrviamente, daU'acqua calda. La neghentropia richiesta, e
perduta, e stata fornita dalla nost1'a conoscenza; la conoscenza
e andata perdnta quando si e consumata Ia neghentropia, ossia
net processo di espansione e durante it movimento del pistone
verso destra; quando il pistone raggiunge l'estremita destra del
cilindro, noi abbiamo perduto tutta Ia conoscenza della parte del
cilindro in cui si t1'ova M. Se invertiamo il procedimento spin-
gendo indietro il pistone, si richiedera la stessa quantita di ener-
gia (da addebitare aJl'acqua calda) e la stessa quuntita eli neghen-
tropia dovra venire da qualche altra parte; e do perche andiamo
a finire nella stessa situazione da cui siamo partiti, C0111preSa
la conoscenza che il gas - ovvero M - si trova nella meta di si-
nistra del cilindro.
COS1, come afferma Szilard, la conoscenza e la neghentropia
possono essere convertite l'una nel1'aItra. (EgU sostiene questo
attraverso un'analisi - spuria, a mio avviso - di una misuraziolle
diretta della posizione eli M. Ma siccome si lirnita ad affermare,
rna non dimostra, che questa analisi e generalmente valida, non
argomentero aHora contro di essa. Credo, inoltre, che la pre-
sentazione che ne ho dato qui raffarza alquanto il suo caso -
e comunque 10 rende pill plausibile).
Ed ora vengo alIa mia critica. Ai fini di Szilard e essenziale
procedere can una sola molecola A1 piuttosto che con un gas
di piit molecole (213). Se abbiamo 1m gas eli pili molecole, la co-
noscenza delle posizioni di queste molecole non ci aiuta minima-
mente (e quindi non e suffideute.). a menD che non accada
che il gas si trovi in uno stato notevolmente neghentropico, ponia-
1110 con Ia maggior parte delle molecole suUa sinistra. Ma aHora
sara ovviame1'lte questo state ne.ghel1tropico oggettivo (piuttosto
che la nostra conoscenza soggettiva del medesimo) che noi pos-

169
siamo sfruttare; ese, senza saperlo, introduciamo il pistone al
momenta giusto, ancora una volta possiamo sfruttare questo sta-
to oggettivo (Ia conoscenza, quindi, non e necessaria).
Procediamo innanzitutto, come indica Szilard, con una sola
molecola, M. Ma io dieo che in questa c,aso non abbiamo bisogno
di alcuna conoscenza sulla locazione di M: tutto cib di cui ab-
biamo bisogno e di spingere i1 nastro pistone nel cilindro. Se
per caso M 5i trova sulla sinistra, it pistone sara spinto a de-
stra, e COS! possiamo sollcvare il peso. E se M si trova sulla de-
stra, il pistone sara spinto verso sinistra, ed anche in questa
caso possiamo sollevare un peso: non c'e niente di piil facile che
costruire un apparecchio con un congegno tale da permettergli
di sollevare un peso in entrambi i casi, senza che noi dobbiamo
sapere quale delle due possibili direzioni prendedt i1 movimento
imminente.
Qui non si riehiede quindi alcuna conoscenza per equilibrare
l'incremento dell'entropia; e l'analisi di Szilard risulta errata:
egli non ha fornita alcuna prova valida per I'intrusione della co-
noscenza nella fiska.
Mi sembra necessaria, tuttavia, dire qualcosa di pili sull'espe-
rimento mentale di Szilard e suI mio. Si pone infatti la que-
stione: questo mio esperimento particolare si pub usare per con-
tutare la seconda legge della termodinamica (la legge dell'incre-
menta dell' en tropia)?
Non 10 credo, anche se sono convinto ehc Ia seconda legge e
in effetti confutata dal movirnento browniano (214).
La ragione e questa: il prendere un gas rappresentato da
una sola molecola, M, non so]o e una idealizzazione (che non ci
sarebbe nulla di male), rna si risolve nell'assumere che it gas
e, oggettivamente, costantemente in uno state di entropia mini-
male. E' un gas che, anche se espanso, dobbiamo supperTe che
non occupa un sub-spazio apprezzabUe del cilindro: e per questo
che 10 si trovedl sempre soltanto da un lata del pistone. Per
esempio, possiamo azionare una valvola dentro al pistone, e porla,
diciamo, in posizione orizzontale (v. fig. 3), si che il pistone possa
essere spinto indietro senza resistenza al centro, dove viene rip or-
tato alla sua posizione di lavoro; COSl facendo, siama completa-
mente sicuri che tutto il gas - tutto M - si trova da una sola parte
rispetto al pistone; e cosl spingera il pistone. Ma poniamo di avere
invece due molecole di gas; queste potranno essere aHara in
parti differenti, ed e possibile che il pistone non sia spinto da
loro. etC> sta a dimostrare che l'uso di una sola molecola M ha
un ruolo essenziale nella mia risposta a Szilard (proprio corne
queUo che ha avuto nell'argomento di Szilard) e dimostra anche

170
che se potessimo averc un gas consistcnte di una sola potente
molecola M, esso verrebbe di fatto a violare Ia seconda legge. Ma
cio non deve sorprendere, data che la seconda lcgge descrive
un effetto essenzialmente statistico.
Esaminiamo piu da vicino questo secondo esperimento men-
tale - il caso delle due molecole. L'informazione che entrambe Ie
molecole si trovano nella meta di sinistra del cilindro ci mettera in
condizioni di poter chiudere Ia valvola e porre COSl i1 pistone
nella sua pOSlZlone di lavoro. Ma do che spinge i1 pistone verso
la destra non e la nostra conoscenza del fatto che entrnmbe Ie

FIG. 3

mulecole stamm sulla sinistra, Sono, invece, i momenti delle due


molecole - 0, se si preferisce, it fatto che il gas 5i trova in uno
statu di bassa entropia.
Questi miei esperimenti mentali particolari non dimostrano
dunque che e possibile una macchina del moto perpetuo del secon-
do ordine (275); ma siccame, da quel che abbiarno visto, ruso eli
una sola molecola e esscnziale per l'esperimento mentale di Szilard,
i miei esperimenti mentali dimostrano l'invalidita dell'argomento
eli Szilard, e quindi del tentativo di basare l'interpretazione sog-
gettivistica della seconda legge su esperimenti di questo tipo.
L'edificio castruito sull'argomento (invalido, a mio avviso)
di Szilard, e su argomenti analoghi di altri, temo che continue·
ra a crescere; e noi continueremo a sentir dire che I'entropia -
come la probabilita - « misura la mancanza d'informazione », e
che Ie macchine possono essere messe in mota dalla canoscenza,
Come Ia macchina di Szilard. L'aria friUa e l'entropia continue-
ranno ad essere pradotte, immagino, finche ci sara qualche sog-
gettivista capace di fornire una quantita equivalente di nesciem:a.

171
37. Il darwi1'lismo come programma
di rice rca metafisico

Ho sempre nutrito un estremo interesse per 1a teo ria della


evoluzione, e semprc sana stato ben disposto ad accettare l'evo-
luzione come un fatto_ Sono stato affascinato, inoltre, sia da
Darwin che dal danvinismo - benche alquanto indifferente nei
riguardi di quasi tutti i fHosofi evoluzi.onisti, can una sola grande
eccezione, ossia Samuel Butler (276)_
La mia Logik der Forschwlg contelleva una teoria della cre-
scita della conoscenza per tenlativo ed eliminazione degli errori,
vale a dire mediante la selezimze darwiniana piuttosto che ad opera
deU'istruzioue lamarckiana. Questa fat10 (al quale accennai in que1
libro) accrebbe, naturalmente, il mio interesse per la teoria del-
l'evoluzione. AIcune delle cose che sto per dire sono dovute a
un tentativo di utilizzare In mia metodologia e la sua rassomi-
glianza al darv,,Iinismo per gettare luce sulla teoria darwiniana
dell'evoluzione.
La miseria dello stol'icismo (m) contiene il mio primo breve
tentativo di trattare alcune qUestioni epistemologiche connesse
alIa teoria deLI'evoluzione. 10 continuai ancora a lavorare Sll que·
sti problemi, e a cio fui assai incoraggiato allorche mi resi canto,
piil tardi, di essere pervenuto a risultati assai simili ad alcuni
dei risultati ottenuti da Schrodinger (273).
Nel 1961 tenni ad Oxford la Herbert Spencer Memorial Lec-
ture, can it titolo «Evolution and the Tree of Knowledge l> (179).
In questa conferenza andai un po' oltre. credo, Ie idee di SchrO-
dinger; e da alJora ho sviluppato ulteriormente quel che ritellgo
che sia un leggero miglimamento della teoria dar\viniana (280).
mantenendomi rigorosamente entro i Iimiti del danvinismo in
quanto contrapposto al lamarckismo - tenendomi aHa selezione
naturale, in quanto contrapposta a\l'istruzione_
Nella mia Compton Lecture (1966) ('ii.la), inoLtre, cercai di chia-
rire parecchie questioni connesse; ad esempio, la questione della
status scientifico del danvinismo. A me pare che it darwinismo
stia rispetto al Iamarckismo esattamente nella stessa relazione
in cui sta

il deduttivismo con l'induttivismo,


Ia seIezione con l'isU'uzione per ripetizione
l'eliminazione critica dell'er- con la giustificazione.
rore

172
L'insostenibilita logica delle idee elencate nella colonna di
destra di questa tabella costituisce una specie di spiegazione 10-
gica del darwinismo: esso, pertanto, si potrebbe descrivere come
{( quasi tautologico »; 0 come Iogica applicata - comunque come
logica situazionale applicata (come vedremo).
Oa questo punto di vista, Ia questione dello status scient i-
fico della teoria darwiniana - nel senso piu lato, la teoria del
tentativo e deIl'eliminazione degJi errori - diventa una questione
interessante. 10 sono giunto alIa conclusione che il darwinisD10
non e una teoria scientifica controllabile, ma un programma di
ricerca metafisico - un possibile schema di riferirnento per teo-
rie sdentifiche controllabili (231).
Ma c'e di piu: io considero it darwinisD10 anche un'applica-
zione di quella che chiamo «Iogica situazionale ». II darwinisrno
come logica situazionale pub essere inteso nel modo seguente.
Sia dato un mondo, uno schema di riferimento di costanza
Jimitata, in cui ci siano entita di variabilita limitata. In tal caso,
alcune entita prodotte dalla variazione (queUe che si {( adattano »
aUe condizioni dello schema di riferimento) possono « soprav-
vivere », mentre altre (queUe che entrano in conflitto can Ie con-
dizioni) possono essere eliminate.
Si aggiunga la supposizione dell'esistenza di uno speciale
schema di riferimento - un compJesso di condizioni abbastanza
rare ed altamente individuali -, in cui sia possibile la vita 0,
pill in particolare, siano possibiIi corpi autoriproduc.entisi, rna,
cia nonostante, variabili. In tal caso si avra una situazione in
cui l'idea del tentativo e dell'eliminazione degli errari, ovvero del
darwinismo, diventa non solo applicabile, rna quasi logicarnente
necessaria.
Ma cia non vuol dire che 10 schema di riferimento 0 l'origine
della vita sia necessaria. Ci pua essere una situazione in cui la
vita sarebbe possibile, rna in cui non ha avuto luogo il tenta-
tivo che porta aHa vita, 0 in cui sono stati eliminati tutti quei
tentati"i che portano aHa vita. (Quest'ultimo caso non ~ una
mera possibilita. rna pub verificarsi in qualsiasi momenta: c'e
piu d'un modo in cui potrebbe andar distrutta ogni forma di vita
sulla terra). Qui si vuo1 dire che se si verifica una situazione che
rende possibi]e Ia vita, C se ]a \'ita ha inizio, questa situazione
totale fa aHora della idea danviniana una logica situazionale.
Per ovviare a qualunque maIinteso: non e in ogni possibile
situazione che Ia teoria darwiniana pub aver successo; si tratta,
invece, di una situazione specialissima, forse addirittura di una
situazione unica. Ma fino a un certo punta 1a selezione darwi-

173
niana pub valere anche in una situazione senza vita: i nuclei
atomici, che sono relativamente stabili (nella situazione in que·
stione), tendera nno ad essere pili ab bondanti di quelli instabili;
e la stessa cosa pub valere per i composti chimici.
Io non penso che il darwinismo possa spiegare I'origine della
vita. Credo che sia del tutto possibile the Ia vita sia cosi estrerna-
mente improbabiIe che niente puo « spicgare}) come mai abbia
avuto origine; Ia spiegazione statistica, infatti, deve operare, in
quest'ultimo caso, can probabilita altissirne. Ma se Ie nostre
elevate probabilita aItro non sona che probabilita basse, diventa·
te alte a causa dell'immensita del tempo a disposizione (come
nella «spiegazione J> di Boltzmann, v. testo aUa nota 260 nella
sezione 35), a1l0ra non dobbiamo dimenticare che in questo modo
e possibile « spiegare» pressocche tutto (Z112). Ma anche COS! ab-
biamo ben poche ragioni per congetturare ehe una qualche spiega·
zione di tal genere e applicabile all'origine della vita. Ma cio non
intacca Ia concezione del darwinismo come Iogica situazionale, una
volta che si e assunto che la vita e il suo schema di riferimento
costituiscono la nostra « situazione D.
Credo che suI darwinismo si debba dire qualcosa di piu, 01-
tre a1 fatto che e un programma di ricerca metafisico, fra altri
prograrruni. La sua strctta somiglianza con la logica situazionale,
invero, pub spiegarne il grande successo, malgrado il carattere
quasi tautologico inerente alia formulazione darwinian a di esso
programma, e puo anche spiegare il fatto che fin ora non si sia
pl'esentato alcun serio eoncorrente.
Se dovesse essere aecettabile la concezione della teoria dar-
winiana come logica situazionale, potremmo spiegare la strana
rassomiglianza tra la mia teoria della cresdta della conoscenza
e il darwinismo: entrambe Ie teorie sarebbero dei casi di 10'
gica situazionale. L'elemento nuovo e specifieo dell'approccio
consapevolmente scientifico alla cO'l'loscenz;a - critica cosciente
dei tentativi di congetture, e una costruzione cosciente della pres·
sione selettiva su queste congetture (col criticarle) - sarebbe
una conseguenza dell'emergenza di un Iinguaggio descrittivo ed
argomentativo, vale a dire di un linguaggio deserittivo ill eui e
possibile criticare Ie dcscrizioni.
L'emergenza di un tale linguaggio ci metterebbe qui nuova-
mente di fronte ad una situazione estremamente improbabile e
possibilmente unica, forse altrettanto improbabile quanto la vita
stessa. Ma una volta data questa situazione, la teoria della ere-
scita della conoscenza esosomatica mediante un procedimento
eosciente di congctture e confutazioni segue «quasi» Jogica-
mente: diventa parte della situazione, alto stesso modo in cui
diventa parte del darwinismo.

174
Per quanto concerne Ia teoria darwinian a in se, devo ora preci-
sare che sto usando il termine «darwinismo» per Ie forme mo-
derne di questa teoria, chiamate can nomi diversi, come « neo-
danvinismo» 0 (in Julian Huxley) «la nuova sintesi». Questa
Ilco-darwinismo c data, essenzialmente, dai seguenti assunti a con-
getture, ai quali mi richiamero in seguito.
(1) La gran varieta delle forme di vita sulla terra traggono
origine da pochissime forme, forse addirittura da un solo orga-
nismo: c'e un albero evolutivo, una storia dell'evoluzione.
(2) Questo fatto e spiegato da una teo ria dell'evoluzione. Essa
e data, in sostanza, dalle seguenti ipotesi:
(a) Ereditarieta: la disccndcnza riproduce abbastanza fedel-
mente gii organismi generanti.
(b) Variazione: ci sono (forse tra Ie altre) « piccole varia-
1)

zioni. Le piu importanti fra queste variazioni sono Ie mutazioni


,: accidentali)l> ~d ereditarie.
(c) Selezione naturale: ci sono vari meccanismi, grazie ai
quali non solo Ie variazionj rna tutto if materiale ereditario e
controllato per elimin3zione. Sono fra questi i meccanismi che
consentono Ia propagazione delle sole mutazioni «piccole »; Ie
{{ grandi» mutazioni (<< mostri che han no successo») sono gene-
ralmente let ali, e vengono percH) eliminate.
(d) Variabilita: benehe Ie varia;:iolli in un certo senso - la
presenza di vari conconenti - siano ovvie ragioni anteeedenti
alia selezione, puo anche darsi it caso che la l'ariabililli - della
variazione - sia controllata dalla selezione naturale, per esem-
pia sia rispetto ana frequenza sia rispetto all'entita delle ,'aria-
zioni. Una teoria genetica dell'ereditarie.ta ~ della variazione
puo anehe ammettere che speciali geni controllino Ia variabiU-
t[l di altL'i gent Possiamo cost giungere ad una gerarchia, 0 forse
anche a strutture di interazione aneor pill complesse. (Le com-
plicazioni non devono, metterci paura; si sa, iniatti, che ci sono.
Da un punto di vista selezionistico, infatti, siamo costretti ad
ammettere che qualcosa come il metoda del codice genetico di
controllare l'ereditarieta e anch'esso un primo prodotto della
selezione, e che e un prodotto estremamente sofisticato).

Gli assunti (1) e (2) sono, a mio avviso, essenziali al danvi·


nismo (unitamente ad a1cune supposizioni circa un ambiente can-
giante dotato di certe regolarita). II seguente punto (3) e una
mia riflessione suI punto (2).
(3) Si vedra che c'e una stretta analogia tra i principi «con-
servativi)} Ca) e (d) e quello che io ho chiamato pensiero dogma-
tieo; e aUo stesso modo tra (b) e (c) e queUo che io ho chiarnato
pensiero critico.

175
Vorrei ora addurre qualche ragione del perch!!! considero
il darwinismo come metafisico e come un progmmma di ricerca.
E' metafisico perche non e controllabile. Si potrebbe pensa"
re che 10 sia. Sembra che affermi che, se mai in quaIche pianeta
troviamo una vito che soddisfi alle condizioni (a) e (b), al"
lam entrera in gioco (c) e produrra nel tempo una ricca varieta
di forme distinte. II darwinismo, tuttavia, non giunge a dire
tanto. Poniamo, infatti, che si trovi Ia vita su Marte, una vita
consistente in tre specie eli batteri con un corredo genetico esat"
tamente simile a queUo di tre specie tenestri. E' COS! confutato
il darwinismo? Niente affatto. Diremo che queste tre forme era-
no Ie sale forme tra Ie tante mutazioni che erano sufficientemente
ben adatte per sopravvivere. E la stessa cosa dovremmo dire
anche se si trattasse di una sola specie (0 di nessuna). II darwi-
nismo, pertanto, non pre dice veramente l'evoluzione della varie-
tao E quindi non puo veramente spiegarla. Nel migliore dei casi
puo predire l'evoluzione della varieta in «condizioni favorevoli ».
Ma difficilmente e possibile descdvere in termini generali quali
siano Ie condizioni favorevoli - rna e solo possibile dire che, in
lora presenza, emergeranno una varjeta di forme.
Eppure io credo di aver preso 1a teoria quasi a1 suo meglio
- quasi nella sua forma meglio controllabile. Si potrebbe dire che
essa «quasi predice» una gran varieta di forme di vita (283). In
altri campi la sua capacita predittiva 0 esplicativa e ancor piu
sconcertante. Prendiamo 1'« adattomento ». A un primo sguardo,
la selezione naturale sembra spiegarlo, e in un certo senso 10
fa; rna e difficile che 10 faccia in un modo scientifico. Dire che
una specie attualmente vivente e adattata al suo ambiente e, di
fatto, quasi tautologico. In effetti noi usiamo i termini « adaUa-
menta» e "selezione» in modo tale da poter dire che se la
specie non si fosse adattata sarebbe stata eliminata per selezione
naturale. SimiImente, se una specie e stata eliminata, 'lUol dire
che deve esscrsi adattata male aIle conelizioni. L'adattamento, 0
l'aggiustamento. e definito dai moderni evoluzionisti come valore
di sopravvivenza. e pUG essere misurato dal successo effettivo
nella sopravvivenza: difficilmente csiste la possibilita di control-
lare una teoria deb ole come questa (~).
Eppure la teoria e inestimabile. Non veda in che modo, senza
questa teoria, la nostm conoscenza avrebbe potuto fare tutto
que! progresso che ha fatto dai tempi di Darwin. Nel tentativo di
spiegare gli esperimenti coi batteri che si adattano. poniamo, alla
penicillina. e del tutto evidente che Ia teoria della selezione na-
turale ci e di grande aiuto. Ancorche sia metafisica, essa geUa
malta luce su riC-erche assai concrete e pratiche. Essa ci permette

176
di studiare l'adattamento ad un nuovo ambiente (come ad esem·
pio un ambiente invaso da penicillina) in modo razionale: essa
indica l'esistenza di un meccanismo di adattamento, e ci pemlette
anche di studiare in modo particolareggiato il meccanismo in
funzione. E finora e la sola teoria che fac.cia tutte queste case.
E' questa, naturalmente, Ia ragione per cui il darwinismo e
stato accettato quasi lmiversalmente. La sua teo ria dell'adatta-
mento fu la prima teoria non teistica che fosse convincente; e it
teismo era peggio di ammcttere apertamente il fallimento, giac-
che creava l'impressione che si fosse gia raggiunta 1m3 spiega-
zione definitiva.
Ora, nella rnisura in cui il darwinismo crea la medesima im-
pressione, non e molto migliore della concezione teistica dell'adat-
tamento; e dunque impOl1:ante far vedere che it darwinismo non
e una teoria scientifica , rna rnetafisica. Ma il suo val are per la
scienza in quanto programma di ricerca metafisico e assai gran·
de, specialmente se si ammette che 10 si puo criticare, e mi-
gliorare.
Esaminiamo ora piu a fondo il programma di ricerca del dar-
winismo, cosl come e stato formula to sopra nei punti (1) e (2).
In primo luogo, benche (2), cioe la teoria darwiniana del·
l'evoluzione, non abbia una sufficiente forza esplicativa per spie-
gare l'evoluzione sulla terra di una gran varieta di forme eli vita,
certamente la suggerisce, e quindi attrae I'attenzione suUa medesi-
rna. Ed e certo che predice che se una simile evoluzione si verifi-
ca, deve essere graduate.
La non banale predizione della gradllalita e importante, e
segue immediatamente da (2) (a) - (2) (c); e (a) e (b) ed almeno
In piccolezza delle mutazioni predette da (c) non solo go dono di
llna buona conferma sperimentale, rna sono a noi note in modo
assai particolareggiato.
Da un punto di vista logic a, dunque, Ia gradualita e ]a predi-
zione centrale della teoria. (A me pare che sia 1a sua sola predi·
zione). Inoltre, per quanto grandi i mutamenti nella base genetica
delle forme viventi sana graduali, e sono spiegati - almena « in li-
nea di pIincipio» - dalla teoria; Ia teona, infatti, predice il ricor-
rere di piccoli mutamenti, OgnUllO dei quali e dovuto aHa muta-
ziane. Tuttavia, la « spiegazione in linea eli principio » (2<JS) e una co-
sa assai diversa dal tipo di spiegazione che si richiede in fisica. Men-
tre possiamo spiegare una particolare ecl.isse predicendola, non
possiamo predire 0 spiegal'e un particolare mutamento evolutivo
(ad eccezione, forse, di certi mutamenti nella popolazione dei
geni 1lell'ambito di una specie); tutto quel che possiamo dire e
che, se non si tratta di un piccolo cambiamento, devono esserci

177
state delle fasi intermedie - un'importante indicazione per Ia ri-
cerca: un programma di ricerca.
La teoria, inoltre, predice mutazioni accidel1tali, e quindi cam-
biamenti accidentali. Se una qualche « direzione » e indicata dalla
teoria, e che Ie mutazioni regressive saranno relativamente fre-
quenti. Dovremmo quindi aspettarci delle sequenze evolutive con
un percorso di tipo casuale. (Un percorso casuale e, ad esempio,
la linea tracciata da Un uomo che ad ogni passo consulti la roulette
per stabilire la direzione del passo successivo).
Qui si pone un'irnportante questione. Corn'e che i percorsi
casuali non sembrano esserc preminenti nell'albero evolutivo?
Si potrebbe rispondcre a questo interrogativo se il darwinismo
potesse spiegarc Ie "tendenze ortogenetiche », come talvolta ven-
gono chiamate; cioe se potesse spicgare Ie sequenze dei muta-
menti evoiutivi nella medesima «direzione» (percorsi non-ca-
suali)_ Vari pensatori, come Schr6dinger e Waddington, e special-
mente Sir Alister Hardy, hanna cercato di dare una spiegazione
darwiniana delle tendenze ortogenetiche, ed anch'io ho tentato di
farlo, ad esempio nella mia Spencer Lecture.
Le mie indicazioni per un arricchimento del darwinismo, in
modo che possa spiegare I'ortogenesi, sono in breve Ie seguenti.
(A). 10 distinguo Ia pressione selettiva esterna 0 ambientale
dalla pressione selettiva interna. La pressione selettiva interna
proviene dall'organismo stesso e, suppongo, in ultima analisi daUe
sue pre{ererlze (0 «obiettivi »), anche se e ovvio che queste pos-
sono mutare in risposta ai mutamenti esterni.
(B). 10 suppongo che vi siano diverse classi di geni: quelli
che controllano soprattutto l'anatomia, e che chiamerei geni aj
e quelli che controllano soprattutto i1 comportamento, e che io
chiamo geni b. I geni intermedi (cioe quelli dalle funzioni miste)
qui Ii lascero da parte, anche se par che esistano. I geni b, a
loro volta, possono essere alIo stesso modo suddivisi in geni p
(che controtlano Ie preferenze 0 gli «obiettivi ») e geni s (che
controllano Ie capacita).
Suppongo, inoltre, che alcuni organismi, sotto Ia pressione
selettiva esterna, abbiano sviluppato dei geni, e specialmente geni
b, che consentono all'organismo una certa variabilita. L'ampiezza
della variazione del comportamento sara in qualche modo control-
lata dalla struttura genetica b. Ma dacche variano Ie circostanze
esterne, una detenninw,ione non troppo rigida del comporta-
mento da parte della struttura b puo avere altrettanto successo
quanta una dctenninazione genetica non troppo rigida dell' ere·
dita, vale a dire dell'ampiezza della variabilita dei geni. (v. sopra,
2, d). Possiamo quindi parlare di mutamenti «puramente beha-

178
viorali" del comportamento. e di variazioni del comportamento,
intendendo i mutamenti non ereditari neIl'ambito dcll'ampiezza
o del repertorio della variabiIita determinata geneticamcnte; e pos-
siamo mettere a confronto questi mutamenti con i mutamenti be-
haviorali fissati 0 determinati geneticamente.
Ora possiamo dire che certi mutamenti ambientali possono
portare a nuovi problemi e quindi aU'adozione di nuove prefe-
renze 0 di nuovi obiettivi (ad esempio, percl1t~ sono scomparsi
c.erti tipi di cibo). Le nuove preferenze 0 i nuovi obiettivi pos-
sono, aU'inizio, apparire nella forma di nuovo comportamento
effettuato in via di tentativo (permesso, rna non fissato dai geni b).
In tal modo l'animale puo tent are di adattarsi aUa nuova situazione
senza un mutamento genetico. Ma questo mutamento puramente
behaviorale e in via sperimentale equivarra, ove abbia succeSSOr aI-
I'adattamento, 0 ana scoperta, di una nuova nicchia ecologica,
Esso favoridl, dunque quegli individui la cui struttura genetica p
(ossia Ie loro prderenze 0 i lora « obiettivi » istintivi) pili 0 menD
allticipa 0 fissa il n110VO schema behaviorale di preferenze. Que-
sta passo si dimostrera decisivo; ora, infatti, nella struttura del-
le capacita (stnlttura s) saranno favOliti quei mutamenti cbe si
conformano ane nuove preferenze: Ie capadta, ad esempio, di
procacciarsi it cibo preferito.
Ora io affermo che solo in seguito al cambiamento interve-
Iwlo nella struttura s saramzo favoriti certi mutmnenti nella strut-
tura a; doe quei cambialltellti nella. struttw'a a!1atomica che fa-
voriscoflo Ie nllove capacita. In questi casi, Ia pressione selettiva
interna sara «diretta", e portata cost a una specie di orto-
genesi.
La mia idea per quanta riguarda questo meccanismo interno
di selezione puo essere espressa schematicamentc come segue:
p - s - a,
La struttura delle preferenzc, cioe, e Ie sue variazioni control-
lanD Ia selezione della struttura delle capacita e delle sue va-
riazioni; e questa a sua volta controlla Ia selezione della strut-
tura puramente anatomica e delle sue variazioni.
Questa sequenza, tuttavia, puo essere ciclica: la nuova ana-
tomia puo, a sua volta, favorire dei mutamenti di preferenza, e
COSt via.
Quena che Darwin chiamava «selezione sessuale» sarcbbe,
dal punto di vista qui presentato, un caso particolare della pres-
sione selettiva intern a che ho descritto, ossia di un cicio che ha
inizio can nuove preferenze. E' caratteristico i1 fatto che 1n pres-

179
sione selettiva interna possa portare ad un adattamento relativa-
mente cattivo all'ambiente. Dal tempo di Darwin, questo fatto e
stato messo spesso in risalto, e la speranza di spiegare certi sin-
golari disadattamenti (disadattamenti dal punto di vista dena so-
pravvivenza, come l'ostentazione della coda del pavone) fu uno dei
principali lllotivi dell'intwduzione, da parte di Darwin, della sua
teoria della "selezione sessuale". La preferenza originaria puo
essere stata ben adattata, rna la pressione selettiva interna e il
feedback daIla nmtata anatomia aIle mutate preferenze (da a a
p) puo portare a forme esagerate, sia behaviorali (riti) sia
ana tomiche.
Come esempio di selezione non sessuale posso citare it pic-
chio. Una supposizione ragionevole sembra essere che questa
specializzazione comincio can un cambiamento ncl gusto (prefe-
renze) per nuovi cibi, e questa porto a mutamenti behaviorali
genetici, e quindi a nuove capacita, secondo 10 schema
p - s;

e si puo supporre che i mutamenti anatomici siano venuti per


u1timi (286). Un uccello che subisca delle modificazioni anatomiche
nel becco e nella lingua senza attuare mutamenti nel gusto e
nelle capaeita, ci si puo aspettare che venga rapidamente elimi-
nato per selezione naturale, ma nOll nel caso inverso. (Ana stesso
modo, e con non minore evidenza: un uccello che abbia nuove
capacita., rna non Ie nuove preferenze che possono essere sod-
disfatte dalle nuove eapacita, non avrebbe alcun vantaggio).
In ogni fase, O\'Viamente, ci sara una buona rnisura di retro-
azione: p - s portera aHa retroazione (5, cioe, favorira ulteriori
mutamenti, incIusi i mutamenti genetici, nella stessa direzione
di p), e5attamente come a reagira sia su S che su p, come 5i e
detto. Si potrebbe supporTe che 5ia questa retroazionc ad essere
soprattutto responsabile delle forme e dei rituali pili esagerati (lll7).
Per spiegare la cosa con un altro e5empio, supponiamo che in
una data situazione 1a pressione selettiva esterna favorisca la
grossezza. La stessa pressione favorira al10ra anche la preteren1.a
sessuale per la grossezza: Ie pre£erenze possono essere, come. nel
caso del dbo, i risultati di una pressione esterna. Ma una volta
che ci sono nuovi geni p, si avviedt un cic10 completaPlente nuo-
vo: sonO Ie mutaZloni p che innescano l'ortogenesi.
Cib porta al principio generate del mutuo rinfm.'zo: da un
Iato abbiamo un controllo gerarchico primario nella struttura
delle preferenze 0 obiettivi suUa struttura delle capacita ed anche
suUa stIuttura anatomica; rna abbiamo anche una specie di inte-

180
razione 0 retroazione secondaria tra queste strutture. 10 penso
che questo sistema gerarchico di rinforzo reciproco funziona in
modo tale che nella maggioranza dei casi it controllo nella strut-
tura delle preferenze 0 degli obiettivi domina ampiamente i con-
trolli infcriori attraverso l'intera gerarchia (283).
Per illustrare queste due idee si possono addurre degli esem-
pi. Se distinguiamo i mutamenti gelletici (mutazioni) in queUa
ehe io chiamo {( stluttura delle preferenze" 0 «struttura degli
obiettivi» dai mutamenti genetici nella « struttura delle eapa-
cita» e dai mutamenti genetici nella «struttura al1atomica", al-
lora, per quanto concerne l'intenelazione tra la struttura degli
obiettivi e Ia struttura anatomica, si avranno Ie seguenti pos-
sibilita:

(ll) Azione delle mutazioni della stluttura degli obiettivi sul-


la struttura anatomica: se si verifica un cambiamento neL gusto,
come nel casu del picchio, allora In struttura anntomica rilevan-
te per l'acquisizione del cibo puo restare immutata, nel qual
casu e estremamente probabile che la specie venga eliminata per
seIezione naturale (a meno che non si usino capaeita straor·
dinarie); oppure Ia specie puo adattarsi sviluppando una nuova
specializzazionc anatomica, qualcosa di simile ad un organo eo-
me l'occhio: un piiI forte interesse aUa vista (struHura degli
obiettivi) in una specie pub portare alIa selezione di una muta·
zione favorevole ad un miglioramento dell'anatomia dell'occhio.
(b) Azione delle mutazioni della struttura anatomica sulla
struttura degli obiettivi: se muta I'anatomia rilevante per rae-
quisizione del dbo, la struttura degli obiettivi concernenti il eibo
corre aHora il pericolo di divenire fissa 0 ossificata per selezione
naturale, e cio puo a sua volta portare ad un'ulteriore specializ-
zazione anatomica. La stessa cosa avviene nel caso dell'occhio:
una nmtazione favorevole ad un miglioramento dell'anatomia ac-
crescera l'acutezza delL'interesse nel vedere (questo e simile al-
]'effeUo opposto).

La teoria delineata indica qualcosa come una soluzione del


problema di come l'evoluzione porti verso queUe che si possono
ehiamare forme « superiori" di vita. II darwinismo, cosl come
viene solita mente presentato, non riesce a fornire una simile
spiegazione. At mnssimo esso puo spiegare qua1cosa come un
miglioramento nel grado di adattamento. Ma i batteri devono
adattarsi almena quanto gli uomini. Ad ogni modo, essi esistono
da piu lungo tempo e d sonO motivi di temere che sopravvive-
ranno all'uomo. Ma quel che forse si puo identificare con Ie
forme superiori di vita e una struttura di preferenze behavioral-
mente pili ricca - una struttura piu ampia; e se la struttura del-

181
Ie preferenze dovesse avere (nell'insieme) il ruolo di guida che
io Ie ascrivo, l'evoluzione verso forme superiori puo aHora di-
ventare comprensibile (289). La mia teoria puo anche essere pre-
sentata COSl: Ie forme superiori originano attraverso la gerar-
chia primaria di p ~ s - a, vale a dire sempre c finche Ia
struttura delle preferenze e aUa guida. La stagnazione e Ia rever-
sione, inclusa la sQvraspecializzazione, sono il risultato di una
inversione dovuta aHa retroazione nell'ambito della gerarchia
primaria.
La teoria prop one anche una possibile soluzione (forse una
tra tante) del problema della separazione delle specie. 11 pro-
blema e questo: dalle mutazioni in 56 ci si pub aspettare che por-
tino solo a un mutamento nell'insieme dei geni della specie, rna
non ad una nuova specie. Si dovra quindi chiamare in causa la
separazione locale per spiegare l'ernergere di una nuova specie.
Generalmente si pensa alla separazione geografica (290). Ma io
ritengo che Ia separazione geografica sia sernplicemente un caso
particolare di separazione dovuta aU'adozione di un nuovo com-
portamento e di conseguenza all'adozione di una nuova nicchia
ecologica; se la preferenza per una data nkcbia ecologica - un
dato tipo di locazione - diventa ereditaria, cia potrebbe allora
portare ad una separazione locale sufficiente perche l'incrocio
si arresti, anche se questo fosse fisiologicamente possibile. Due
specie potrebbero cosi separarsi pur vivendo nella medesima re-
gione geografica - anche se questa regione non e piu grande di
una mangrovia, come par che sia accaduto per certi molluschi
africani. La selezione sessuale puo avere conseguenze analoghe.
La descrizione dei possibili meccanismi genetici che stanno
dietro Ie tendenze ortogenetiche, come appare daUo schizzo ap-
pena abbozzato, e una tipica analisi situazionale. Cia vuol dire
che Ie strutture sviIuppate possono avere un qualche valore di
sopravvivenza soltanto se sono di quel tipo che puo simulare j
metodi della logica situazionale.
Merita aneora di essere ricordata un'altra affennazione suUa
teoria dell'evoluzione, connessa con l'idea del « valore di soprav-
vivenza », e quindi con la teleologia. Penso s:he queste idee si
possono rendere un po' pitt chiare in termini di soluzione di
problemi.
Ogni organisrno ed ogni specie si trova costantemente di
fronte alIa minaccia di estinzionc; rna questa minaccia assume
la forma di problemi concreti che l'organismo 0 la specie ha
da risolvere. TanH ill questi problemi concreti non sono propria-
mente problemi di sopravvivenza. n problema di trovare un po-
sta favorevole per la nidificazione puo essere un problema con-

182
creto per una c.oppia di uccelli, senza essere tuttavia per questi
uccelli un problema di sopravvivenza. anche se tale puo risul-
tare per Ia loro prole; e Ia specie puo trarre ben scarsi benefici
dal successo, di questi uccelli in particolare, nella soluzione del
problema che si presenta n per n. Congetturo, pertanto, che i pro-
blemi sono posti in genere non tanto dalla sopravvivenza, quanto
piuttosto dalle preferenze, specialmente dalle preierel1ze istinti-
ve; ed anelle se gli istinti in questione· (geni p) dovessero esser-
si evoluti satta la pressione selettiva estcrna, i problemi posti
dai medesimi non sarebbero di norma problemi di sopravvivenza.
E' per ragioni come queste che io penso sia meglio considerare
gli organismi come solutori di problemi piuttosto che come
tendenti a un fine; come ho cercato di dimostrare in «Of Clouds
and Clocks» (2'11), in tal modo noi possiano offrire una spiega-
zione razionale - « di principia », ovviamente - dell'evoluzione
emergente.
Sostengo che l'origine della vita e l'origine dei problemi
coincidano. Questo fatto non e irrilevante dspetto alIa questione
se noi possiamo aspettarci che La biologia risulti riducibile aIla
chi mica e poi ancora aHa fisica. 10 ritengo non solo possibHe rna
anche verosimile che un giorno noi saremo in grado di ricreare
Ie cose viventi da case non viventi. Anche se do sarebbe. natu-
ralmente, estremamente eccitante in s6 (292) (come anehe dal
punto di vista riduzionistico), non basterebbe tuttavia a stabilire
che ia biologia puo essere «( ridotta» alIa fisica 0 aHa chimica.
Non offrirebbe, infatti, tllla spiegazione fisica dell'emergere dei
problemi - non piu di quanto ]a nostra capacita di produrre
composti chimici con strumenti fisici stabilisca tllla teoria fisica
della catena chimica od anche l'esistenza di una simile teoria.
La mia posizione puo dunque essere presentata come una
posizione che sostiene una teoria deLL'irric1ucibilitc'i e dell'emer-
genza, e forse puo essere meglio sintetizzata in questo modo:
(1) 10 ritengo che non vi sia alcull processo biologico che
non si possa considerare come correlato nei particolari ad tlll
proccsso fisico 0 non si possa progressivamente analizzare in
termini fisiCo-chimici. Ma non c'e alcuna teoria fisico-chimica che
possa spiegare l'emergenza di un nuovo problema, e non v'e alcun
processo fisico-chimico che come tale sia in grado di risolvere un
problema. (I princlpi della variazione in fisica, come il principia
della minima azione 0 il principio di Fermat, sono probabilmente
simili, ma non sono soluzioni di problemi. II metoda teistico ill
Einstein ccrca di usare Dio per scopi analaghi).
(2) Se questa congettura e sostenibile, essa porta a varie di-
stinzioni. Possiamo distinguere l'un dall'altro:
183
un problema fisico = il problema di un fisico;
un problema biologico = il problema di un biologo;
un problema di un organismo = un problema di questo ge-
nere: Come potro sopravvivere? Come potro propagarmi? Come
potro mutare? Come potro adattanni?
un problema umana * = un problema quale: corne controllare
10 spree~?

Da queste distinzioni siamo condotti alla tesi seguente: i proble-


mi degli organismi non sana fisici: non sona ne case fisiche, ne
leggi fisicile, ne fatti fisici. 80110 roealtiL biologiche specifzche; 50110
" reali» net sensa che la loro esistenza pub essere la causa di ef-
tetti biologici.
(3) Poniamo che alcuni carpi fisici abbiano «risolto» i1 Ioro
problema della riproduzione: che possano riprodursi, ° esatta-
mente 0, come i cristaIIi, con difetti di lieve entita che dal
pun to di vista chirnico (od anche funzionale) possono non essere
essenziali. Nondimeno, se non sana in grado di adattarsi, non
sono aneora «viventi» (nel sensa pieno della parol a) ; per giun-
gere a tanto hanno bisogno della riproduzione e di un'autentica
variabilita.
(4) La «essenza » della questione e, a mio avviso, la soluzione
dei prablemi. (Ma noi non dovremmo parlare di «essenza »; e qui
il termine non e preso troppo seIiamente). La vita, COS) come noi la
canosciamo, consta di « corpi)> fisici (pitl precisamente, di strut-
ture) che sono risolutori eli problemi. Le varie specie hanna <'< ap-
preso» a risolvere i problemi per selezione naturale, ossia grazie
al metodo della riproduzione pili la variazione, che a sua volta e
stato appreso col medesimo metodo. Questa regresso non e neces-
sariamente infinito - in effetti puo andare indietro fino a un mo-
menta di emergenza abbastanza ben definito.
Domini, quindi, come Butler e Bergson, benche io ritenga
Ie loro teorie completamente en-ate, furono nel giusto per quanta
concerne fa loro intuizione. La forza vitale (<< abilita. ,,), ovvia-
mente, esiste - ma a sua volta e un prodotto della vita, della
5elezione, pili che una cosa come I'" essenza J> della vita. In realta
sonG Ie preferenze cite tracciano it cammino. Questa cammino,
pero, non e lamar kiana , rna danviniano.
II riLievo dato aIle preferenze (Ie quali, essendo disposizioni,
non sono poi tanto lontane dalle propensioni) nella mia teol"ia e,
com'e chiaro, un affare puramente « oggettivo »: nolt e necessario
supporre che queste preferenze siano coscienti. Esse, tuttavia,
.. Ho tradotto con «problema llnlanD}) l'cspressione "a manomade pro-
blem" [Nod.to].

184
possono diventare coscienti, in primo luogo, penso, in fomla di
stati di benessere e di sofferenza (piacere e pena).
II mio approecio, quindi, porta quasi necessariamente ad un
programma di ricerca che postula una spiegazione, in termini
biologici oggettivi, dell'emergenza degli stati di eoscienza.
Rileggendo questa sezione dopa sei anni (2928), sento ii bi-
sogno di aggiungere quaIche riga per esporre in modo piu sem-
plice e chiaro come una teoria puramente selezionista (la teoria
della « selezione organica» di Baldwin e Lloyd Morgan) possa
essere usata per giustificare certi aspetti intuitivi dell'evoluzione,
messi in risalto da Lamark 0 da Butler 0 da Bergson, senza fare
ale una concessione aHa dottrina lamarckiana dell'ereditarieta dei
caratteri acquisiti. (Per 1a storia della selezione organica cfr. speciaI-
mente il grande libra Tlte Living Stream di Sir Alister Hardy) (292 b ) .
A un primo sguardo, il darwinismo (in quanta col1trapposto
al lamarckismo) non sembra attl'ibuire a1cun effetto evolutivo
aile innovazioni behaviorali adattive (preferenze, desideri, scelte)
del singolo organismo. Questa impressione, tuttavia, e supcdi·
ciale. Ogni innovazione behaviorale nel singolo orgal1ismo muta
la relazione t1'a questo organismo e iI suo ambiente: questa mu-
tamento consiste nell'adoziol1e, od anche nella creazione, da parte
deU'organismo, di una nuova nicchia eeologica. Ma una nuova
nicchia ecologica significa un nuovo complesso di pressioni seIet·
tive, operanti in favore della nicchia see Ita. Can Ie sue azioru e
preferenze, quindi, l'organismo in parte scegUe le pressioni selet-
tive che agiranno su di lui e sui suoi discendenti. Cio puo dunque
infIuire attivamente suI corso che l'evoluzione verra a prendere.
L'adozione di un (lUOVO modo di agire, 0 di una nuova aspet-
tazione (0 «teoria »), apre per dir COSl un nuovo sentiero evolu-
tivo. B la differenza t1'a il daI"W'inismo e il lamarckismo non e una
differenza tra fortuna e abilita, come suppone Samuel Butler:
optando per Darwin e la selezione, noi non neghiamo l'abilita.

38. Mondo 3 0 it Terzo Mondo

Nella sua Wisserlsc/lattslehre, Balzano parlava di « vedta in


se» e, piu in generale, di «proposizioni in se», contraddistinte da
quei processi di pensiero (soggettivi) grazie ai quali un llomo puo
pensa1'e,o cogliere Ie verita; 0, pili in generale, proposizioni 0 vere
o false.

185
La distinziane di Bolzano tra asserti in se e processi sag-
gettivi di pensiero mi e sempre apparsa della massima importan-
za. Gli asserti in se possono essere in relazione logica I'un can
{'aItro: un asserto pub seguire da un altro, e gli asserti possono
essere logicamente compatibili 0 incampatibili. I processi sagget-
tivi di pensiero, d'altra parte, possono stare solo in relazioni
psicologiche. Essi possono essere per noi motivo di turbamento 0
di conforto, e passono ricardarci certe esperienze 0 suggerirci
eerte aspettazioni; possono indurci ad intraprendere un'azione 0
a lasciare incompiuta un'azione programmata.
I due tipi di relazioni sana completamente difIerenti. I pro-
cessi di pensiero di un uomo non possono ne eontraddire quelli
di un altro uomo ne i propri processi di pensiero in qualche altro
momenta; rna i contertuti dei suoi pensieri - ossia gli asserti in
se - possono ovviamente contraddire i contenuti dei pensieri di
un aItro llOma. D'altra canto, i contenuti 0 asserti in se non pas·
sono stare in relazioni psicologiche: i pensieri nel senso dei con-
tenuti 0 degli asserti in se e i pensieri nel senso dei processi di
pensiero appartengono a due «mondi» affatto differenti.
Se il mondo delle «cose» - 0 degli oggetti fisici - 10 chi a-
miamo primo mondo, e il manda delle esperienze soggettive (co-
me i processi di pensiero) 10 chiamiamo secondo mondo, il man·
do degli asserti in se possiamo chiarnarlo terzo rnondo. (Attual·
mente (29:') preferisco chiarnare questi tre mondi, rispettivamente,
'( mondo 1 », « monda 2» e «monda 3 »; quest'ultimo Frege 10
chiama talvolta «terzo regno »).
Qualunque cosa si possa pensare circa 10 status di questi
tre mondi - ed io ho in mente delle «questioni,. come se essi
« esistono realmente» 0 no, e se il mando 3 possa essere in qual-
che sensa «ridotto» al mondo 2, e forse il manda 2 al mando 1
-, sembra essere della massima importanza, innanzi tutto, di-
stinguere tali mondi it pili nettarnente e chiaramente possibile.
(Se Ie nostre distinzioni sana troppo nette, 10 si puo mcttere in
evidenza nella successiva critica).
Per il momento, e la distinzione tra il mondo 2 e il mando 3
che deve essere messa in chiaro; e in tal contesto ci imbattere-
rna e dovremo affront are argomenti come it seguente.
Se penso ad un quadro che conosco bene, pub cssere neces-
saria un certa sforza per ricardarlo e ({ metterlo dinanzi agli occhi
dena mia mente». Posso distingucre tra (a) iI quadro reale, (b)
il processo di immaginazione, che comport a uno sforza, e (c)
l'esito pili 0 menD (avorevole, vale a dire il quadro immaginato.
E' chiaro che il quadro immaginato (c) appartiene esattamente,
come (b), al mondo 2 e non al mondo 3. Ma al riguardo io posso
dire delle case che sono del tutto analoghe aIle relazioni logiche

186
tra asserti. Posso dire, ad esempio, che la mia immagine del
quadro a1 momenta t) e incompatibile con la mia immagine al
momento t 2, e forse anche can un asserto come questa: ({ Nel qua-
dro sana visibili solo la testa e Ie spalle dell'uomo dipinto ». Si
pub dire, inoltre, che il quadro immaginato e il contenuto del
processo di immaginazione. Tutto cib e analogo a1 contenuto del
pensiero e a1 processo di pensiero. Ma chi potrebbe negare che
il quadro irnrnaginato appartiene al mondo 2, ossia che e mentale
e, in reaIta, parte del processo di immaginazione?
Questo argomento mi pare valida e assai importante: ammet-
to che nel processo di pensiero si possano di.stinguere delle parti
che forse possono esser chiamate i1 suo contenuto (ovvero il pen-
siero, 0 l'oggetto del mondo 3), cosl come esso e .ltuto eolto. Ma
e precisamente per questa ragione che ritengo importante dis tin-
guere tra il processo mentale e il contenuto del pensiero (come
Frege 10 chiama) nel suo sensa [ogleo 0 nel sensa del mondo 3.
Personalmente, io ho solo vaghe immaginazioni visive; di so·
lito e solo con difficolta che riesco a richiamare alla mia mente
un'immaginazione chiara, particolareggiata e vivida. (Non cosl per
la musica). 10 penso, piuttosto, in termini di schemi, di disposizioni
a seguire una certa «linea» di pensiero, e spessissimo penso in
termini eli parole, specialmente quando sto per mettere per iscrif..
to qualche idea. E sovente mi col go in errore nella persuasione
di «possederla)}, di avere afferrato chiaramente un pensiero:
quando cerco di metterlo per iscritto, mi accorgo di non posse-
de do ;meora. Questo {( quid », questo qualcosa che posso non
possedere ancora, che posso non essere del tutto certo di posse-
dere prima di averlo messo per iscritto 0 comunque formulato
linguisticamente in modo COSt chiaro da pOledo esamirlare criti-
camente sotto i vari aspetti, questa « cosa » e it pensiero in senso
oggettivo, I'oggetto del monda 3 che sto cercando di afferrare.
La cos a decisiva mi sembra essere il fatto che noi possiamo
porre dinanzi a noi dei pensieri oggettivi - ossia teorie - in modo
da poterii criticare e da poter ragionare sui medesimi. Per far
questo, e necessario che formuliamo questi pensieri in una forma
(speciaImente linguistica) piu 0 meno stabile. Una forma scdtta
Sara preferibile ad una forma parlata, e la stnmpa potra esse-
re ancora mcglio. Ed e significativo il fatto che noi possiamo
distinguere tra la critica di una mera formulazione di un pensiero
- un pensiero puC> essere formula to piuttosto bene, 0 non tanto
bene - e gli aspetti logici del pensiero in se stcsso: la sua verita;
o Ia sua verosimiglianza in cOllfronto con quclla di aItri pensieri
in concorrenza; 0 la sua compatibilita con certe aItre teorie.

187
Una volta giunto a questa punto, mi accargo di aver dovuto
popolare il mio mondo 3 con abitanti diversi dagli asserti, immet-
tendovi, ~Itre agli asserti 0 teorie, anche i problemi, e Ie argomen-
taziOlli critiche. Le teorie, infatti. dovrebbero essere sempre di-
scusse con un occhio rivolto ai problemi che esse possono risolvere.
Libri e giomali possono considerarsi come oggetti tipici del
mondo 3, specialmente se sviluppano e discutono una teoria. E' ov-
vio che la forma fisica del libro e insignilicante, ed anche la non
esistenza fisica nulla toglie all'esistenza del mando 3; si pensi
a tutti i libri «perduti", alla loro influenza e alia I"icerca dei
medesimi. E sovente non conta un gran che neanche la forrnulazio-
ne di un argomento. Cib che importa sono i contenuti, nel senso
logico 0 nel sensa del mondo 3.
E' chiam che chiunque sia interessato alla scienza deve es-
sere interessato agli oggetti del mando 3. Un fisico, tanto per
cornincial'e, puo essere interessato principaLmente agH oggetti
del mando 1 - poniamo i cristaIli e i raggi X. Ma ben presto
dovra rendersi canto eli quanta do dipenda dalla nostra inter-
pretazione dei fatti, ossia dalJe nostre teorie. e quindi dagli
oggetti del mondo 3. AHo stesso modo uno storieo della scienza,
o un fUosofo interessato alia sciell2a, deve essere in larga misura
uno studiaso degli oggetti del mondo 3. Va da se che egli pub
anche essere interessato aHa relazione tra Ie teorie del mondo
3 e i processi di pensiero del mondo 2; rna questi ultimi 10
interesseranno soprattutto nella lora relazione aIle teorie, ossia
agH oggetti che appartengono al mondo 3.
Qual e 10 status ontologico di questi oggetti del mondo 3? 0,
per usare un linguaggio meno aLtisonante, i problemi, Ie teorie,
e Ie argomentazioni, sono « reall », corne i tavoli e Ie sedie? Quando,
circa quarantaquattro anni or sono, Heinrich Gomperz mi avvertl
che, potenzialmente, ero un realista non solo nel sensa che ere-
devo aHa realta dei tavoli e delle sedie, rna anehe nel senso di
Platone, il quale eredeva aHa realta delle Forme 0 Idee - dei
concetti e dei loro signifieati, 0 essenze -, [a cos a non O1i piacque,
e tuttara non includo la colonna di sinistra della tavola delle
idee (vedi sopra, sezione 7) tra gU abitanti del mio mondo 3.
Tuttavia sono diventato un realista per quanto concerne il monda
3 dei problemi, delle teorie e delle argomel1tazioni critichc.
Bolzanu, a mio avviso, era incerto liguardo aHo status onto-
logico dei suoi asserti in s6, e Frege pare che fasse un idealista,
o gill ill Ii. Anch'io, come Balzano, sono rimasto incerto per
molta tempo, e suI mondo 3 non ho pubblicato niente prima di
giungere ana canclusione che i suoi abitanti emno reali, pill 0

188
meno altrettanto reali, invero, quanto 10 erano i tavoli e Ie sedie
fisici.
Nessuno porra in dubbio questa fatto, ave si prendano in
eonsiderazione i libri, 0 aItre CDse scritte. Come i tavoli e Ie sedie,
anch'essi sono fatti da noi, anche se non per sedercisi sopra, rna
perche vengano letti.
Go sembra abbastanza facile. Ma che dire delle teorie in se?
Ammetto che esse non sono affatto «reali» come 10 sono i ta-
voli e Ie sedie. Sana pronto ad accettare qualcosa come un punta
di partenza materialistieo, secunda il quale, in primo luogo, solo
Ie case fisiche come i tavoli e Ie sedie, i sassi e Ie arance, pos-
sono dirsi « reali 1I. Ma si tratta soltanto di un punto di partenza:
in secondo luogo, siamo quasi costretti ad estendere radicalmente
la portata del termine: i gas e Ie correnti elettr'iche possono uc-
dderei: non dovremmo forse didi realj? Il campo di un ma-
gnete puo esserci 1'eso visibile dalla limatura del ferro. E chi
puo dubitare, can un fenomcno cosi familiare come Ia televisione.
che si debba attribuire una qualche specie di realta alle onde
hertziane (0 di Maxwell)?
Non dovremmo dire « reali» Ie immagini che vediamo alIa
televisione? 10 penso di si, dato che possiamo fotografarle con
vade macchine fotografiche, e queste fotografie andrebbero cl'ae-
corda, quali testimoni indipendenti (294). Ma Ie immagini televisive
sono il risultato di un processo attraverso il quale l'apparecchio
televisivo decodifica. messaggi estremamente complicati e « astrat-
ti » trasmessi per il tramite delle onde; e quindi dovremmo. penso,
dire che questi messaggi «ast1'atti» codificati sono « reali ». Essi
possono essere decodifieati, e il risultato della decodificazione e
« reale ».
A questo punto non Slamo forse tanto lontani daHa teoria in
se - i1 messaggio astratto codificato in un libra, poniamo, e de-
codificato da noi medesimi quando leggiamo il libra. PUG essere
necessario, tuttavia, un argomento piit generale.
Tutti gli esempi addotti hanno una cosa in cornune. Sembra
che tutti siano disposti a dire I-eale una eosa che puo agi1'(! su
cose fisiche. come i tavoli e Ie sedie (e, potremma aggiungere, la
pellicola fotografica), e sulle quali possono agi1'e Ie case fisi-
che (295). Ma il nostro mondo delle case fisiche e statu notevoI-
mente modificato dal contenuto delle tearie. come quelle di Max-
well e di Hertz, vale a dire dag]i oggetti del man do 3. Questi og-
getti, pertanto, dovrebbero essere detti «reali».
Si potrebbero fare due obiezioni. (1) II nostro mondo fisico
e stato modificato non dalle teorie in se, rna piuttosto dalla laTa
incorporazione fisica nei libri e aItrove; e i libri appartengono

189
al mondo 1. (2) II mondo fisico e stato modificato non dalle
teorie in s6, rna dalla nostra comprensione delle medesime, dal
nostro averle afferrate, cioe dai nostri stati mentali, dagli oggetti
del monda 2.
Ammetto entrambe Ie obiezioni, rna rispondo a (1) che it carn-
biamento e state prodotto non dagli aspetti fisici dei libri, rna
esclusivamente dal fatto che i libri « recavanO» in qualche
modo un messaggio, un contenuto informativo, una teoI'ia in s6.
In risposta a (2), che considero l'obiezione di gran lunga pili
importante, ammetto pure cl1e e esc1usivamente attrat'erso il
n-lOndo 2, quale i1'lterrnediario tra il mondo 1 e il mondo 3, che
it mondo 1 e il mondo 3 possono i1'lteragire.
Questo e un punto import ante, come si vedra quando passe-
remo al problema corpo-mente. Vuol dire che il mondo 1 e il
mondo 2 possono interagire, e ehe possono interagire anehe il
mondo 2 e il mondo 3; rna il mondo 1 e il mondo 3 non possono
interagire direttamente, senza un'interazione mecliatrice esercitata
dal mondo 2. Percio, anehe se solo i1 mondo 2 puo agire immedia-
tamente suI mondo 1, il mondo 3 puo agire suI mondo 1 in modo
in diretto, grazie alla sua influenza suI mondo 2.
In eifetti, la «incorporazione» di una teoria in un libro -
e quindi in un oggetto fisico - ne e un esempio. Perehe possa es·
sere letto, i1 libro richiede l'intervento di una mente umana, del
mando 2. Ma richiede anche ia teOl"ia in se. 10, ad esempio, posso
fare uno sbaglio: 1a mia mente puo non riuscire ad afferrare esat-
tamente ia teoria. Ma c'e sempre ia teoria in se, e qualche aItro
puo capiria e correggermi. E' fadle che possa essere un caso non
di differenza di opinione, rna un caso di errore reale, evidente -
un insuccesso nel capire la teoria in se. E la stessa cosa puo acca-
dere anehe al creatore della teoria. (E' aecaduto pili d'una volta,
perfino ad Einstein) (296).
Ho qui toccato un aspetto ehe ho descritto, in alcuni miei
saggi su questo ed altri argomenti affini, come l'autonomia (par-
ziale) del mondo 3 (297).
Con cic> intendo dire che, anche se e possibile che inventia·
mo una teoria, possono darsi (e in una buona teoria si clanno
sempre) delle conseguen.ze non volute e imprevlste. E' possibile,
ad esempio, che gli uomini abbiamo inventato i numeri natu-
rali 0, poniamo, il metoda per procedere senza fine nella serle
dei numeri naturali. Ma l'esistenza dei numeri primi (e la vaH-
dith del teorema di Euclide che non c'e un primo massimo) e
qualcosa che noi scopriamo. Sta Il, e non possiamo carnbiarlo.
E' questa una conseguenza non voluta e imprevista di quella
nostra invenzione. Ed e una conseguenza necessaria: non possia-

190
rno eluderla. Cose come i numeri pl'imi, 0 il quadrato dei nu-
meri, e tante altre cose, sono quindi « prodotte» dallo stesso
monda 3, senza un ulteriare intervento da parte nostra. Entro
questi limiti il mondo 3 puo essere dcscritto.
In qualche modo connesso col problema dell'autonomia, rna
menD importante, a mio avviso, e il problema deU'atemporaliHt
del mondo 3. Se un asserto formulato in modo non ambiguo
e vero ora, aHora e vero sempre, e sempre e stato vera: la vcrita
e senza tempo (e cosl pure la falsita). Anche Ie relazioni logiche,
come la cantraddittorieta 0 la compatibilita, sono atemporali, e do
appare aneor pill ovvio.
Per questa ragione sarebbe fac.ile considerare atemparale il
mondo 3 nel suo complesso, come diceva Platone del suo mondo
delle Forme 0 Idee. Ci basta supporl'e che mai inventiamo una
teoria, 111a soltanto la scapriamo. Avremo cosl un mondo 3 atem-
paraIe, esistente an cor prima che avesse origine Ia vita ed anche
dopo che sara scomparsa ogni forma di vita, un mando del
Quale gli uomini scorprono qua e Itt qualche piccolo frammento.
Questa e un possibile modo di vedere Ie case; rna a me non
piace. Non solo, infatti, non riesce a risolvere it problema dello
status ontologico del mondo 3, ma esso rende questo problema
insolubile da un puuto di vista razionale. Che se anche ci per-
mette di « scopdre» gJi oggetti del mondo 3. non riesce tuttavia
a spiegare se, scoprendo questi oggetti, nor interagiarno con essi.
o se sono soItanto questi ad agire su ill noi; e non riesce neanche
a spiegare in ehe modo questi oggetti agiscono su di noi - spe-
cialmente se noi non possiamo agire su di essi. Cio porta, mi
pare, a un intuizionismo platanico 0 neoplatonico, e a un mucchio
di difficolta. Credo, infatti, che tale modo di vedere si basi suI
rnalinteso che 10 status delle relazioni logiche tra gli oggetti del
mondo 3 deve essere condiviso da questi oggetti.
10 propango un diverso modo di vedere Ie case - un modo
di vedere che ritengo sorprendentemente fecando. Pen so che il
mOl1do 3 sia essenzialmente il prodotto della mente umana. Sia-
rno nOl a creare gli oggetti del mondo 3. II fatta che questi og-
getti abbiano Ie lora leggi immanenti 0 autonome, Ie quali creane
delle conseguenze non prestabilite e imprevedibili, e solo un esem-
pio (benche assai interessante) di una regola piil generale, la
regola secondo la quale tutte Ie nostre azioni hanno simili con-
seguenze.
Vedo pertanto il rnonda 3 come un prodotto dell'attivita uma-
na, un prodotto Ie cui ripercussioni su di noi sono altrettanto
grandi, od anche pili grandi, di queUe del nostro ambiente fisico.
In tutte le attivita umane c'e una specie di retroazione: nel no-
stro agire noi agiamo sempre, indirettamente, su nai medesimi.

191
Pili precisamente considero il mondo 3 dei problemi, delle
teorie e delle argomentazioni critiche come il mondo dei risultati
dell'evoluzione dellinguaggio umano, e come un mondo che retroa-
gisce su questa e\'oluzione.
Cio e perfettamente eompatibile con l'atemporalWl della ve-
rita e delle relazioni logiche; e rende intelligibile la realta del
mondo 3. Questo monda 3 e altrettanto reale quanto gli altri
prodotti umani, altrettanto reale quanto un sistema di codifica-
zione - WI linguaggio; altl'ettanto reale quanto (0 forse aneor piu
reale di) un'istituzione sociale, come una universita a un corpo
di polizia.
E i1 mando 3 ha lma storia. E' la storia delle nostre idee;
non solo una storia della lora seoperta, rna anehe una storia di
come Ie abbiarno inventate: come Ie abbiarno create, e come esse
abbiano reagito su di noi, e come abbiamo reagito a questi prodotti
della nostra stessa opera.
Questo modo di considerare il man do 3 ci permette anche di
inscriverlo nell'ambito di una teoria evoluzionistica che riguarda
l'uomo come animale. Ci sono dei prodotti animali (come i nidi)
che possiarno considerare come precursOli dell'umano mondo 3.
Esso suggerisce, infine, una generalizzazione in un'altra di-
rezione. Possiarno consideral'e il mondo dei pl'oblemi. delle teo-
rie e delle argomentazioni critiche come un caso particolare, come
un mondo 3 in senso stretto, ovvero come la provincia logica 0 in-
tellettuale del mondo 3; e, in un sensa piil generale, nel mondo
3 possiamo includere tutti i prodotti della mente umana, come
gli strumenti, Ie istituzioni e Ie opere d'arte.

39. Il problema mente-corpo e if mondo 3

Penso di essere sempre stato un dualista cartesiano (anche se


non ho mai pensato ehe noi dovessirno parIare di « sostanze ») (293).
E se anche non sono stato un dualista, certarnente sono state pili
incline al pluralismo che al monismo. Mi pare sciacco 0 quanta
meno arbitrario negare l'esistenza delle esperienze mentali a
degli stati mentali 0 stati di coscienza; 0 negare che gli stati men-
tali sono di norma strettarnente connessi con gli stati del corpo,
specialmente con gIi stati fisiologici. Ma sembra altrettanto chiaro
che gli stati mentali sono prodotti dell'evoluzione della vita. e

192
che ben pOco si puo guadagnare daI fatta che li si leghi alIa
fisica piuttosto che alIa biologia em).
I miei primi contatti col problema corpo-mente mi fecero
credere, per tanti anni, che questo fosse un problema disperato.
La psicologia, qua scienza dell'io e delle sue esperienze, era
pressoch6 inesistente, con buona pace di Freud, II behaviorismo
di Watson fu una ben comprensibile reazione a questa stato di
case, ed ebbe anche alcuni vantaggi metodoIogici - come tante
aItre teorie che negano do che 110n riescono a spiegare. Come
tesi filosofica era chiaramente errata, anche se inconfutabiJe.
Che noi facciamo esperienza di gioia e tristezza, di speranza e
timore, per non parlare del mal di denti, e ehc noi pensiamo
tanto con Ie parole quanto per mezzo di schemi; che possiamo
leggere un libro con maggiore 0 rninore interesse e attenzione
- tutto questo mi sembrava evidentemente vero, benche facilmente
negato; ed estremarnente importante, benche owiarnente indirno-
strabile. Mi sernbrava anche del tntto evidente che noi siamo
dcgli ii. 0 menti (0 anime) calati in un corpo, Ma come si pub cono-
scere razionalmente la relazione tra i nostri carpi (0 stati fisiolo-
gici) e Ie nostre menti (0 stati mentali)? II problema corpo-mente
sembrava formulato da questa intelTogativo; e per quanta mi fosse
data di vedere, non c'era Ia minima speranza di fare qualcosa per
avvicinarsi ad una soluzione.
Nella Erkenntn.isleh1'e di Schlick trovai una disCllssione del
rap porto corpo·mente, la prima che riuscisse ad affascinarmi
dopa queUe di Spinoza e di Leibniz. L'esposizione era rneraviglio-
samente chiara e candotta in modo assai particolareggiato. Il
tema e stato discus so brillantemente. e ultetiormente sviluppato,
da Herbert FeigL Ma sebbene questa teoria mi sia sembrata af-
fascinante, non rni ha tuttavia soddisfatto; e per tanti anni ho
continuato a pensare che per questo problema non si poteva
fare proprio niente, eccetto forse che per mezzo della critica,
criticando, ad esempio, Ie opinioni di quanti pensavano che tuUo
il problema fosse dovuta ad un «pasticcio linguistico )} (300). (Non
V'e dubbio che talvolta i problemi ce Ii creiamo da noi, facendo
confusione nel pm'lare del mondo; rna pel-che nOll sarebbe pos-
sibile che il rnondo stesso alberglli in se dei segl-eti realmente
difficili, e forse perfino insolubili? Gli enigmi possono esiste-
re lJ01); ed io credo che esistano).
Pensavo, tuttavia, che it linguaggio espIicasse un certo ruo-
10: che ancorche si possa supporre che la coscierlZa sia prelin-
guistica, quella che io chiamo la l'iena coscietlza di se si pub sup-
poue che sia speciiicamente umana e dipenda dal linguaggio. Ma
mi sembrava che questa idea fosse di scars a importanza, finche,

193
come ho detto nella sezione precedente, non sviluppai certe idee
di Bolzano (e, Come pili tardi dovetti constatare, anche di Fre-
ge) in una teoria di quello che chiamai il «terzo monda» 0
«monda 3 ». Solo allora cominciai a rendermi canto che i1
problema corpo·mente pateva eSsere trasformato campletamente
se chiamiamo in nostro aiuto la teoria del mondo 3 (302). Questa
teoria, infatti, puo aiutarci a sviluppare almena i rudimenti di
una teoria oggettiva - una teoria biologica - non solo degli stati
soggettivi della coscienza, rna anche dell'io.
Qualunque cosa di nuovo, dunque, io possa dire sul problema
corpo-mente, e connessa can la mia concezione del monda 3.
Sembra che i1 problema corpo·rnente sia ancora generalrnen-
te considerate e discusso nel contesto delle varie relazioni pos·
sibili (identita, parallelismo, interazione) tra gli stati della co-
scienza e gli stati corporei. Essendo ane-h'ia un interazionista,
penso che una parte del problema sin possibile discuterla in
questa rnaniera, rna come sempre dubito che valga la pena di
fare questa discussione. Al sua posta propongo invece un approc-
cia biologico e addirittura evoluzionistico al problema.
Come ho spiegato nella seziane 37, non penso molto bene della
forza teoretica a esplicativa della teoria dell'evoluzione. Credo perb
che un approccio evoluzionistico ai problemi biologici sia inevita·
bile e che, inoltre, in una situaziane problematica COS1 disperata
dobbiamo essere contenti di poterci attaccare anche ad una pa·
gliuzza. Propongo quindi, tanto per cominciare, di considerare
Ia mente umana in modo aifatto ingenuo, come se fosse un organa
corporeoaltamente sviluppato, e di chiederci, come potremmo fare
riguardo ad un organa di sensa, qual sia il suo contributo al
mantenimento dell'organismo.
C'e a portata di mano una risposta tipica a questa domanda,
una risposta che propongo di Iasciar cadere. La risposta e che la
nostra coscienza ci permette di vedere, 0 percepire, Ie case, Rifiuto
questa risposta perche a tali fini abbiruno occhi ed altri organi di
sensa. Credo che si debba proprio alI'approccio osservativistico
aIla conoscenza i1 fatta che Ia coscienza venga in ampia misura
identificata col vedere e col percepire.
Prapongo invece di considerare la mente umana irmanzi tut·
to come un organa che produce oggetti dell'umana monda 3
(nel sensa piu generale) e che con questi interagisce. Propongo quin-
di di guardare aUa mente umana, essenzialmente, come al produt-
tore del linguaggio umana, per it quale (come ho spiegato pri~
rna) (303) possediamo capacita di base innate; e eli vederla come
produttore di teorie, eli argomentazioni critiche e di moIte altre

194
cose, come errori, miti, storie, motti di spirito, strumenti, e opere
d'arte.
Pub essere forse difficile mettere un po' d'ordine in questa
confusione, e forse non ne vale la pena; rna non e difficile fare
una congettura, ad esempio, su cio che e venuto prima. 10 credo
che sia it Iinguaggio, c che il linguaggio sia prababilmente l'uni-
co strumento esasamatico innato a, meglio, geneticamente fon-
dato nell'uama.
Questa congettura mi pare avere una certa forza esplicativa,
anche se ovviamente e difficile provarla. 10 penso che l'emergere
del linguaggio descritttvo sia alIa radice del potere umano di
immaginazione, dell'inventivita umana, e quindi dell'emergere del
mondo 3. Possiamo infatti assumere che la prima (e quasi umana)
funzione del linguaggio descrittivo come strumento fosse quella
di sen>ire esclusivamente per una descrizione vera, per resoconti
veri. Ma in seguito si giunse al punto in cui il linguaggio pate
essere usato per Ie bugie, per «raccontar storie ». A me pare
che sia questo il passo decisivo, i1 passo che l'ese n linguaggio
veramente descrittivo e vera mente umano. Esso porto, credo,
a raccontar storie di tipo esplicativo, alia creazione dei miti, al-
l'e-same critico dei resoconti e delle descrizioni. e percio aHa
sciel17;a; porto alIa narrativa immaginosa e, penso, all'arte -
raccontar storie in forma di immagini.
Comunque sia, la base fisiologica della mente umana la si
potrehbe ricercare, se non vado errato, nel centro del linguaggio;
e probabilmente non e un caso che, come sembra, ci sia un solo
centro di eontrollo del lingllaggio nei due emisferi del cervello;
e possibile che questa sia il piil alto nella gerarchia dei eentri
di controlto (304). (Sto eercando qui volutamente di riesumare il
problema cartesiano della sede della coscienza, e in parte anche
l'argomento che porto Descartes alIa congettura, probabihuente
errata, che Ia sede della coscienza dovesse essere la ghiandola
pineale. La teoria potrebbe forse essere contro11ata con esperi-
menii di sezione del cerve.llo) (305).
10 sostengo che noi distinguiamo gli stati di coscienza in gene·
rale da quegli stati altamente organizzati ehe sembrano essere
caratteristici della mente umana, dell'umano mondo 2, dell'io
umano. Credo che gli ani mali siano coscienti. (Si potrebbe con-
troll are questa congettura se, con l'aiuto dell'elettroencefalogra-
fo, trovassimo anche negli animali quel sonno tipico accompagnato
da sogni che si ha nell'uomo). Ma ritengo pure che gli animali non
ahbiano un io. Per quanto concerne la «piena coscienza di se »,
come la si potrebbe chiamare, la ruia idea centrale e che, allo
stesso modo in cui it mondo 3 e un prodotto del mondo 2,

195
cosl anche it moneia 2 specificamente umana - la piena co-
scienza di se - e un prodotto retroattivo della creazione del-
le. teorie.
La coscienza come tale (nelle sue forme inferiori) sembra
emergere e organizzarsi prima del linguaggio descrittivo. Le per-
sonalita, comunque, emergona tra gli anirnali e, specialmente in
alcuni ani mali sociali superiori, emerge anche una specie di co-
noscenza 0 comprensione delle aItre personalita. (I cani pos-
sana perfino sviluppare una comprensione intuitiva delle perso-
nalita umane). Ma la piena eoscienza di se credo che possa emer-
gere soltanto attraverso il linguaggio: solo dopo che si e svi-
Iuppata la nostra conoscenza delle altre persone, e solo dopo ehe
abbiamo presQ eoscienza deU'estensione dei nostri carpi nella
spazio e, soprattutto, nel tempo; solo quando ci sana del tutto
chiare, in astratto, Ie interruzioni regolari della nostra coscienza
nel sonno, ed abbiamo sviluppato una reoria della continuita dei
nostri corpi - e quindi del nostro io - durante it sonno.
n problema corpo-mente si suddivide quindi in almena due
problerni affatto distinti: il pl"Oblema dell'intimo nesso tra gli
stati fisiologici e certi stati di coscienz3, e il problema assai
differente dell'emergenza dell'io e della sua re1azione col proprio
corpo. E' appunto il problema dell'emergenza dell'io che, a mio
avviso, 5i puo risolvere soltanto prendendo atto del linguaggio
e degli oggetti del mondo 3 e della dipendenza de1l'io dai mede-
simi. La coscienza dell'io comporta, fra Ie aItre case, una distin·
zione, seppur vaga, tra corpi viventi e non-viventi, e pertanto
una rudimentale teoria delle principali earatteristiche della vita;
e vi e in qualche modo implicita arrehe una distinzione tra i
corpi dotati di co5cienza e gli altri che non ne sono dotati. Essa
implica, inoltre. Ia proiezione dell'io nel futuro: l'aspettazione
pili 0 menD cosciente del bambino di crescere col tempo fino a
diventare un adulto, cd una coscienza di essere esistito per 1m
certo tempo neI passato. ImpJica qllindi dei problemi ehe compor-
tano la padronanza di una teoria della nascita e forse anehe della
morte.
Tutto cio diventa p05sibile solo grazie ad un linguaggio
descrittivo altamente sviluppato - un linguaggio che non solo ha
portato alla produzione di questa mondo 3, ma che e stato anche
modificato dana retroazione del lUonda 3.
Ma non mi pare che il problema cOl-po-mente si esaurisca can
questi due sottoproblerni, il problema degli stati di coscienza e
n problema dell'io. Sebbene la piena eoscienza di se sia sempre
presente, in forma disposizionale, negli adulti, queste disposi-
zioni non sempre sana attivate. Noi ci troviamo spesso, al can-

196
trario, in uno stato mentale intensamente attivo e, al tempo
stesso-, del tutto dimentichi di nOl stessi, benche sempl"e in
grado di riflettere su noi stessi in qualsiasi momento.
Questo stato di intensa attivita mentale non autocosciente
si raggiunge soprattutto nell'attivita intellettuale 0 artistica: nel
tent at iva oi capire un problema 0 una teoria, 0 nel godersi un ro-
manzo avvincente, 0 forse nel suonare il pianoforte 0 nel giocare
una part ita a scacchi (3CS&).
In stati sirniIi possiamo dimenticare dove siamo - e do viene
in ogni easo ad indicarei ehe ei siamo dimenticati eli noi stessi.
Quel che impegna la nostra mente, con Ia massima concentra-
zione, e il tentativo di afferrarc un oggetto del mondo 3, 0 di
produrlo.
Penso che questa st3tO della mente sia di gran lunga pill in·
teressante e caratteristico della percezione di una macchia tonda
di colore arancione. E ritengo importante il fatto che, ancorche
sia la sola mente umana a consegl.lirio, riscontriamo stati simili di
concentrazione negli animali da caccia, ad esempio, 0 negli ani-
mali che cercano di sfugg1re a un pericoio. Va da se che e in que-
ste fasi di alta concentrazione su un compito, 0 su un problema,
che la mente sia animale che umana serve meglio aBe finalita bio-
logiche. Nei momenti in cui La coscienza e pit1 inoperosa, ['orga-
no mentaLe puo essere, jn verita, giusto in uno stato di ozio, di
dposo, di recupero 0, in una paroLa, S1 prepara, si carica, per
jl periodo di concentrazionc. (Nessuna meraviglia che nell'auto-
osservazione ci cogliamo il piu delle volte in ozio piuttosto che,
poniamo, in un momento dj pensiero intenso).
Ora mi sembra chiaro chc Ie realizzaz10ni della mente richie-
dano un organa come questo, con la sua particolare capacita di
concentrarsi su un problema, con Ia sua capacita linguistica, con
La sua capacita di anticipazione, di inventivita e di immagina-
zione; ed anche con la sua capacita di tentativi di soluzione e di
confu tazioni.
Non par che ci sia un organo fisico capace di fare tutto questo;
sembra indispensabile qualcosa di differente, come la coscienza,
e che questa debba essere usata come una parte del materiale di
costruzione della mente. Solo come una parte, non c'e dubbio:
molte attivita mentali sono inconsce, molto e disposizionale, e
molto e puramente fisiologico. Ma molto di db che e fisiologico
e «automatico» (nel suonare il pianoforte, ad esempio, 0 nel
guidare un'automobile), in un certa periodo di tempo, precedente-
l1u.'.l1te, e stato fatto rla noi can quella concentrazione cosciente
che e tanto caratteristica della mente che va alla scoperta -
la mente che si trova di fronte a un problema difficile. Tutto,
197
dunque, parla a favore dell'imprescindibilitli della mente nell'eeo-
nomia degli organismi superiori, e tutto stn anche a dimostra-
re la necessita che i problemi risoHi e Ie situazioni «apprese I)

si lascino calare e si imprimano nel corpa, forse per lasciar libera


Ia mente affinch6 possa affrontare nuavi campiti.
Una teoria di questa genere e chiaramente interazionistica:
c'e interazione tra i vari organi del corpo, ed anche tra questi
organi e la mente. Ma oitre a cia credo che l'interazione col mon-
do 3 abbia sempre bisagno della mente nelle sue fasi rilevanti -
aneorch6, come si vede dagli esempi deU'imparare a parlare, a
leggere e a scrivere, gran parte del lavoro pili meccanico di
codificazione e decodificazione possa essere svolto dal sistema
fisiologico, it quale fa un lavoro analogo nel easo degli organi
di sensa.
Mi sembra ehe l'approccio oggettivistico e biologico qui de-
1ineato ci permetta di vedere in una nuova luce il problema
corpo-mente. Sembra pure ehe cib 5i armonizzi assai bene con
alcune nuove ricerche nel campo della psicologia animale, special-
mente can l'opera di Konrad Lorenz. E mi pare anche ehe ci
sia una stretta affinita can n1cune idee di D. T. Campbell sull'epi-
stemalogia evoluzionista e can a1cune idee di Schrodinger.

40. La collocazione dei valori in un m.ondo di fatti

II titolo di questa sezione si aVVlcma molto a quello di un


libro di un grande psicologo e grande uomo, Wolfang Kohler (306).
Trovo che Ia formulazione del problema nel primo capitola del
suo libro e non solo impostata mirabilmente, ma e anche assai
toccante; e penso che non sara toccante soltanto per coloro
ehe ricordano i tempi in cui it libro fu scritto (307). Eppure sono
stato sconcertato dalla soluzione che Kohler da al suo problema:
Qual e i1 posta dei valori nel mondo dd fatti; e come han
potuto fare il loro ingresso in questo manda dei fatti? La sua
tesi non mi convince, Ia tesi, cioe, secondo la quale Ia psico-
logia della Gestalt pub recare un importante contributo alIa so-
Iuzione di questa problema.
Kohler spiega assai chiaramente perche siano pochi gli
scienziati e i filosofi. can una preparazione scientifica ehe si
preoccupano di scrivere sui valori. La ragione e semplicemente

198
questa: che tanto di cio che si dice a proposito dei valori sono
parole vuote. COS! molti di noi ·temono che anche noi non Ea-
remmo che buttar fuori parole vuote 0, se non proprio cosl, qual-
cosa di non malta diver so. Questi timori mi sembrano ben fon-
dati, malgrado gli sforzi di Kohler di convincerci che dovremmo
essere audaci e carrere it rischia_ Almeno nel campo della teo ria
etica (non considero qui il Discorso della montagna), con Ia sua
letteratura pressoch6 infinita, non rieordo di aver mai letto al-
cunche di buona e di singolare, ad eccezione dell'Apologia di So-
crate di Platone (in cui la teoria etica ha un molo secondario),
qualche scritto di Kant, specialmente La fondazione della meta-
fisica dei coslumi (che non ha avuta tanto successo), e i distici
elegiaci di Friedrich Schiller che criticano argutamente n rigo-
rismo di Kant (308). A questa elenco si potrebbero forse aggiun-
gere I due problemi fondamcntali dell'etica, di Schopenhauer.
Se si eccettua l'Apologia di Platone e la deliziosa Teductio schille-
riana di Kant, nessuna di queste opere si e mai avvicinata a1 con-
seguimento dello scopo.
Non diro quindi ment'altro se non che i valori emergono
insieme coi problemi; che i valori non potrebbero esistere senza
problemi; e che ne i valori ne i problemi si possono derivare
o in a1tro modo ottenere dai fatti, sebbene si riferiscano spes so
ai fatti 0 coi fatti siano connessi. Per quanto cancerne i pro-
blemi, possiamo congetturaL'e, vedendo una qualche persona (o
qualche animale 0 una pianta), che essa (0 l'animale 0 Ia pianta)
sta ccrcando di risolvere un certo problema, anche se la persona
(0 l'animale 0 la pianta) pub essere del tutto inconsapevole di
tale problema. 0 ancora, un problema puo essere stato descritto
e scoperto, criticamente od oggettivame.nte, nelle sue relazioni,
poniamo, con qualche altro problema 0 con qualche soluzione
tentata. Nel primo caso, solo la nostra congettura stodea appar-
tiene al mondo 3; nel secondo caso, il problema stesso pLIO essere
considerato come uno degli abitanti del mondo 3. La stessa cosa
e coi valori. Una cosa, 0 un'idea, 0 una teoria, 0 un metodo, pos-
sono essere congetturati come oggettivamente valutabili in quanta
mczzi per la soluzione eli un problema, 0 come una soluzione di un
problema, non importa se il loro valore sia 0 no cosdentemente
apprezzato da colora che si sforzano di risolvere quel problema.
Ma se la nostra congettura viene formulata e sottoposta alIa di-
scussione, essa apparterra al mondo 3. 0 ancora, un valore (re-
lativo ad un eerto problema) puo essere creato 0 scoperto, e
discusso, nelle sue relazioni COll altri valori e con altri problemi;
in questo caso del tutto differente, anch'esso puo divenire un
abitante del mondo 3.

199
Percio, se siamo nel giusto quando supponiamo che una vol-
ta c'era un mondo fisico privo di vita, questa mondo doveva
essere. penso, un mondo senza problemi e quindi senza valori.
Tante volte si e sentito dire che i valori entrano nel mando sol-
tanto can Ia coscienza. Io non sono di questa opinione. Credo che
i valori entrino nel mondo con la vita; e se c'e una vita senza
coscienza (e penso che do sia ben possibile, anche negli ani·
mali e negli uomini, dato che sembra esserci una cosa corne il son-
no senza sogni), allora ritengo che debbano anche darsi dei valori
oggeuh'i, anche senza coscienza.
Vi sono dWlque due specie di valori: i valori creati dalla
vita, dai problemi inconsei, e i valori creati daUa mente umana,
sulIa base di precedenti soluzioni. nel tentative di risolvere dei
problcmi che possono essere compresi pill 0 menu bene.
E' questa La collocazione che io vedo per i valori in un
mondo di fatti. E' un posto ne1 mondo 3 dei problemi e delle
tradizioni emergenti stoncamente, e questa fa parte del mondo
dei fatti - bencM non dei fatti del mondo 1, bensi dei faHi pro-
dotti in parte daLla mente umana. IL mando dei valari trascen-
de il mondo dei fatti privi di valori - il mondo dei fatti blUti,
diciamo.
II nueleo pili intimo del mondo 3. cosi come io 10 vedo, e
il mondo dei problemi, delle teorie e della critica. Benche i valori
non appartengano a questa nueleo, esso e dominato da valori: it
valore della verita oggettiva e della sua crescita (.lU'I). Possiamo dire,
in un certo senso, che in tuUa questo mondo 3 intellettuale
umano questo valore resta fra tutti i1 vaLore piu alto, sebbene
nel nostro man do 3 dobbiamo riconoscere aItri valori. Qua1un-
que vaLore si proponga, infatti, si pone il problema: e vero che
questo e un vaLore? Ed e vero che esso ha la sua propria collo-
cazione nella gerarchia dei valori? E' vero che Ia gentilezza e
un valore pili alto cbe la giustizia, od anche paragonabile aHa
giustizia? (10 sono quindi nettamente aU'opposto di quelli che
hanno paura della venti - che considerano peccato il mangiare
dall'albcro della conoscenza).
Abbiamo generaIizzato l'idea di un mondo 3 umano, S1 che
il mondo 3 in senso lato comprenda non solo i prodotti del
nostro intelletto, unitamente aile conseguenze involontarie che
emergono dai medesimi, rna anche i prodotti dena nostra mente
in un senso molto pili ampio; per esempio, i prodotti della nostra
immaginazione. Anche Ie tearle, prodotti del nostro intelletto, risul·
tanG dalla critica dei miti, i quali sana prodotti della nostra
immaginazione: non sarebbero possibili senza miti; ne sarebbe
passibile la critica senza la scoperta della distinzione tra fatto

200
e immaginazione, a tra verita e falsWt. E' per questa ragione che
i miti e Ie immaginazioni non dovrebbero essere esdu5i dal
monda 3. Siamo COSl indotti a inc1udere l'arte e, di fatto, tutti
i proctotti umani in cui abbiamo iniettato alcune delle nostre
idee, e in cui prende corpo iI risultato della critica (in un senso
piu ampio di quello prettamente intellettuale). Possiamo esservi
inclusi anche noi, dal momento ehe assimiliamo e critiehiamo Ie
idee dei nostri predecessori e cerchiamo di formarei; e cosl pos-
sono esservi indusi i nostri figU ed allmni, ]e nostre tradizioni
e istituzioni, i nostri modi di vivere, Ie nostre intenzioni e i nostd
obiettivi.
Uno dei gravi errori della filosofia contemporanea e quello
di non riconoscet"e che queste case - nostre creature -, ancorche
siano prodotti delle nostI·e menti, e benche 5i basi no sulle no-
stre espedenze soggettive, presentano anche un a5petto ogget-
tivo. Un modo di vivere puo essere incompatibile con un nitro
modo di vivere pressappoco nello stesso senso in cui una teoria
puo essere Iogicamente incompatibile con un'aItra. Queste incom-
patibilita ci sono, oggettivamente, anche 5e noi ne siamo incon-
sapevoli. E cosi anche i nostri scopi e i nostri obiettivi, come
Ie nostre teorie, possono competere e possono essere confrontati e
discussi criticamente.
Ma l'approccio soggettivo, specialrnente la teoria soggettiva
della conoscenza, tratta degli oggetti del lUondo 3 - anche di
quelli in senso stretto, come i problemi, Ie teorie e 1e argomenta-
zioni critiche - come se [ossero mere affermazioni 0 espressioni del
soggetto conosccnte. Questo approccio e strettamente <malogo alia
teo ria espressionistica dell'arte. Generalmente considera I'opera
di un llomo sol tanto 0 per 10 piil come espressione del suo stato
interI1O; e considera l'espressione di se come uno seopo.
Sto cercando eli sostituire questa modo di vedere Ia rela-
zione tra l'llomo e la sua opera can un modo di vedere assai
differente. Ammesso che il mondo 3 nasee can noi, ne metto in
risalto la grande autonomia e Ie sue enormi ripercussioni su
di noi. Le nostre menti, noi medesimi non possiamo esistere sen-
za di esso; Ie nOStl-e menti sanD ancorate nel mondo 3. All'inte-
razione col mondo 3 dobbiamo la nostra razionalita. Ia pratica del
pensiero e deU'agire critici e autocritici. Ad essa dobbiamo it nostro
sviIuppo mentale. E dobbiamo ad essa anche la nostra relazione
col nostro compito, col nostro lavoro e con Ie sue ripercussioni
su di noi.
La concezione espressionistica e che i nostri talenti, Ie nostre
doti, e forse anche la nostra educazione, e quindi «tutta la no,-
5t1'a personalita", determinano cio che facciamo. Il risultato e

201
buona 0 cattivo a seconda che siama 0 no delle personalita dotate
e interessanti.
10 ritengo, al contrario, che tutto dipenda dal dare-c-pren-
dere, daUo scambio tra noi e il nostro cornpita, il nostro lavora,
i nastri problemi, il nostro monda 3; dalla ripercussione di que-
sto mondo su di noi; dalla retroazione, che puo essere amplifi-
cata dalla nostra critica di quel che abbiamo fatto. E' precisa-
mente grazie al tentativo di esaminare oggettivamente il lavoro
che abbiamo fatto - cioe di vederlo criticamente - e di farlo
meglio, e grazie all'interazione tra Ie nostre azioni e i lorD ri-
sultati oggettivi, che possiarno trascendere i nostri talenti, e
noi stessi.
Come accade coi nostri figli, cosi anche can Ie 110stre teorie,
e in ultima analisi can ogni opera che produciarno: i nastri pro-
dotti diventano in ampia misura indipendenti dai lora artefici.
Dai nostri figli, a dalle nostre teorie, possiarno guadagnare di
piu, quanto a conoscenza, di quanta ne abbiamo mai dato loro.
Ed e COS! che possiamo sollevarci dalla palude della nostra igno-
rall2a; ed e cosi che possiamo portare tutti it nostro contributo
al mondo 3.
Se e esatta la mia congettura che noi cresciamo e diven-
tiarno noi stessi solo nell'interazione col mondo 3, aHara il fatto
che tutti possiamo portare a questo mondo il nostro contributo,
anche se piccolo, -puo essere di conforto a chiunque; e special-
mente a chi sente di aver trovato nella latta can Ie idee una feli-
ciUl maggiore di quanto avesse mai potuto meritare.

202
Note *

(I) L'allusione e alia eonversazione di Kierkegaard con Cristiano VIII, in


cui il Re gli chiese come pensasse cha WI re dove sse comportarsi. Kierkegaard
disse case come: «Anzil.utto, per un re sarebbe una buona cosa essere brut-
to» (Cristiano VIII era di bellissimo aspetto). «Inoltre dovrebbe essere sordo
e cieco, 0 almeno dovrebbe comportarsi come se 10 fosse. che questo risol-
verebbe moltc diffieolta ... E poi non deve dire molte cose, rna deve avere un
discorsetto standard tale che possa essere usato in tutte Ie circostam:e, un
discorso. quindi. senza contenuto" (Francesco Giuseppe era solito dire: «E'
stato molto bello, e mi ha fatto molto piacere J> lEs war sehr schon, es hat
mich sehr gefreut »]).
(2) II caso emerse dal mio lavoro coi bambini. Uno dei bambini di cui ero
l-csponsabile era caduto da un'!mpalcatura cd aveva riportato una frauura
al cranio. 10 Cui assolto pel'che potei provare ehe per mesi nvevo chiesto ehe
Ie autorlta rimuovessero l'impalcatura. che ritenevo pericolosa. (Le autorita
avevano cercato di addossarmi la colpa, e su questo il giudice ebbe a dire
parole dure).
(3) Cfr. Ono WEININGER. Geschlecht und Charakter, Braumiil1er, Vienna
1903, p. 176: «Tutti gil sciocchi. da Bacone a Frit:1. Mauthner. sono stati eri-
tid del linguaggio» (Weininger aggitmge che dovrebbe chiedere seusa a
Bacone per questo accostamento con Mauthner). Si metta a confronto questa
passe col Tractatw;, 4.0031.
(4) efr. n. 57 al cap. 12 di o.S. [1945(c)], p. 297; [1950(a)], p. 653; [1962 (c)];
[1%3(1}], ed edizioni successive, p. 312.
(!i) ROGER MAllTlN DU GARD, L'Ete 1914.
(6) II problema e entrato recentemente in una nuova fase in seguito aU'ope.
ra di Abraham Robinson su\l'infinitamente piccolo; efr. ABRAH.~M ROBINSON,
Nr)ll-Stallda,-d Analysis, North-Holland Publishing Company, Amsterdam 1966.
(1) 11 termine «esse.n;:ialismo» (ora largamentc usato) e specialmente la
sua applkazione alIe defiHizioni (<< defitlizioni essenzialiste ») fu per la prima
volta introdotto, se ben ricordo. nella sezione 10 di The Poverty [1944(a)];
CIT. specialmente pp. 94-97; [1957(g)] ed edizioni successive, pp. 27·30; e nel
mio O.s., vol. I [1945{b}], pp. 24-27, e vol. II 11945(c).], pp. 8-20, 274-86;
[1950(a)J, pp. 206·18. 621-38; [1962 (c)], [1963(1»), ed edizioni successive: vol. I,
pp. 29-32; vol. II, pp. 9-21, 287-301. A p. 202 di Definition di RICHARD ROlllNSON
(Oxford University Press. Oxford 1950) c'e un richiamo all'cdizione del 1945
del mio O.S. [1945 (c)J, vol. II, pp. 9-20; e cio che egli dice, ad csempio, alle
pp. 153-57 (efr. Ie "aifermazioni» a p. 158) ed anche aile pp. 162·65, e sotto
eerti aspetti assai simile a quel che dieo io neUe pagine del mio Iibro aile
quati egJi si richiama (anche se Ie sue osscrvazioni a p. 71 su Einstein e Ia
simuJtaneita non collimano con do cbe io dico in [l945{c)], pp. 185, 108s;
[1950{a)]. pp. 2165, 406; [1962(c}] e [1963(1)], vol. II. pp. 20, 220}. Cfr. anche
P.WL EDWARDS (a cura dl), The Encyclopedia of Philosoph)', Macmillan Com-
pany and Free Press, New York 1967; Collier Macmillan, London 1967, vol. n,
PP. 314-17. L'« essenzialismo" vi vicne discusso a lungo sotto l'importante voce
Definition (in bibliografia si fa rifcrimento a Robinson).
(1") [Aggiunta in bozze]. Rccentemente, dietro suggerimento di Sir Jolin
Eccles. ho mutato In terminologia da primo, secondo e terzo mondo in mon-
do 1, mondo 2 e mondo 3. Per la mia vecchia terminoiogla, efr. [1968(r)] e
[1968(5)]; per it suggerimento di Sir John, efr. il suo Facing Reality, Springer

* Le abbreviazioni usate in queste note - come Replies, 0 [l94S(c)] - si


riferiscono alia bibliografia scelta ehe segue queste st~sse note.

203
Verlag, New York. Heidelberg e Berlino 1970. II suggedmento giunse troppo
tardi perehc potesse essere inscrito nel testo odginale di queslo libro, eccctto
una 0 due volte. [Aggiunta 1975: ora ho rivisto il testa in lungo e in largo].
Cfr. anehe n. 293. sotto.
(8) ibmual Pllilo50p;lical Lecture. British Academy. 1960 [1960(d)J, [1961(£)];
ristampato in C. &- R. [1963(a)J; dr. spec. pp. 195 ed anche p. 349 della mia
EpisteJl1%x,y Without a Knotl'illg Subject [1968(5)], ora cap. 3 del mio
[lif72 (a)]; (la tavola qui r.iprodotta c kggermente modilicata rispetto alI'ori·
gina Ie).
(9) Cfr. 1a 3 ed. di C. & R. [1969(h) , p. 28, il punto 9 inserito ex novo.
(II punto 9 ddle edizioni prcccllenli porta ora il numero 10).
(10) Nemrneno GOTfI.OB FREGE Ia formula in modu del tutto esplic.ito, ben·
che questa dottrina sia cel·tarnente implieita nel suo Sinn und Bedeutung,
dove egli produce anche degli argomenli a sostegno. Cfr. PETER GEACH e MAX
BLACK (a cura di) Trallslatiuns fr0111 the Philusopllical Writings of Gottlob
Frege, Blackwell, Oxford 1952, pp. 56·78.
(11) Cfr. il miD articolo Quantum Mechanics without 'The Observer'
[1967(k)]; efr. spec. pp. 11·15, dove viene discusso questo problema. (Questa
particolarc equiv;)lenza. per inciso, Ii vicne discussa).
(12) Sarcbbe ben diffieile rendel'e il passo che segue in llla traduzione in
prosa (Parmenide, franunenti 14-15; trad. it. in I Presocratici. Laterza, Barl
1975, vol. I, p. 279):
luce che brilla di nOlte di uno splendore non suo e si aggira intorno
[alla terra,
sempre riguardando verso i raggi del sole.
(13) GonLOS FREGE, in Der Gedaltke, «Beitrag. zur Philos. d. deutschen
Idealismus I (191S-19), 58·77 (eccellente traduzione inglesc ill A. M. e Mar-
I)

celle Quinton. The Thought: .4. Logical Enquh'Y, in «1.Iind", n.s. 65 [1956]
289-311), affenna - erroneamente, a mio avviso - che solo dcgli aspe'tti erno·
zionali del Iinguaggio e "quasi impossibile una traduzione perietta (vollkom-
merle)>> (p. 63; p. 295 della trad. ingl.), e che «quanto pili e strettamente
scientHica una rappresentazione. tanto pili facilmente viene tradotta» (ibid.).
E' abba.~tanza curioso it fatto che Frege continui dicendo, in modo del tutlo
corretto, che in ordine ad un contenuto dt pensiero non fa differenza alcuna
Quale dci quattro sinonimi tedeschi di «cavallo» (Pferd, Ross, Gaul, Miihre
- essi difleriscono soltanto nel contcnuto emozionale; Aliihre. in particolare,
qualunque sia i1 conlcsto, non 111!cessariarnente deve essere una cavalla) venga
usato in una qualsiasi formulazione. Ma questo pcnsicl'O semplicissimo e non
emozionale di Frcge sembra intraducibile in inglese, dato che l'inglese non
pare avere tre buoni sinonimi di «horse ». Ii traduttore dovrebbe qllindi di-
vcntare un chiosatOl'c e trovare quakhe parola ddl'inglese ordinado che
abbia tre buoni sinonimi - prderibilmente con associazioni emozionali 0
poctiche chiaramente diffcrenti.
(14) Cfr., ad esempio. la sezione 37 della rob L.a.F. [1934 (b)] , [l966(e)] e
successive edizioni; ed anche della L.Se.D. [1959(a)] e successive edizioni.
L'esempio che avevo in mente era 10 spostamcnto gravitazionale dci raggi
spettrali verso il rosso.
(15) Per questa idea e la citazione, cfr. sezione 6 della mia L.d.F. [1934(1J)],
p. 13; [l966(e)]. p. 15: «Sie sagen urn so roehr, je rnehr sie verhieten" (<< Di·
cono tanto piu quanto pili proibiscono,,); L.Se.D. [1959(a))) cd edizioni sue·
cessive, p. 41: <, The more they prohibit the more they say». Questa idea
fu adottata da Rli(l(l!,F CARN/IF nella sezione 23 della sua Introduction to Se·
mantics, Harvard University Press, Cambridge, r...1as8., 1942; dr. spec. p. 151.
Carnap attribuiscc qui l'idea a Wittgcnstein, "per un errore di memoria».
come egli stesso ;;crive nella sezione 73 del suo Logical Foundations of Proba·
bility, University of Chicago Press, Chicago 1950, p. 406, dove l'attribuisce

204
a me. Qui Carnap scrive: • La forza assertiva di una propOSlZlonc consistc
ndl'esdudere certi possibili c<lsi ». Qui ribadirei che questi "casi" sono, nella
sciem:a, teorie (ipotesi) di un piit alto 0 pii:! basso grado di lmiversalilii. (Anchc
quelli che in L.Se.D. chiamavano «asserti-base ». sono ipotesi, come sottoli-
ncavo n., benche in un basso grado di universalita).
(16) 11 sottoinsieme del contenuto informativo che consta eli asserti-base
(asserti cropirid), in L.Se.D. 10 chjarnavo Ja classe del «falsilicatori poten-
:,dali" della teoria, 0 il suo «contenuto empirico ".
(17) Non-a, infatti. appartiene al contenuto informativo di a, ed a al COD-
tenuto informativo eli non-a, rna a non apparticne al proprio contenuto infor-
mativo (a menD clle non sia una contraddizione).
(/8) La prova (che nella forma particolare qui indicata mi e stata rno-
strata da David Miller) e evidentissima. Infatti, l'asserto "b 0 to entrambi»
segue da "a 0 t 0 entrambi» se e solo se esso segue da a. cioe se e solo se
la teoria t segue da «a e non-b n. 1\I1a siccorne a e b si contraddicono a vicen-
da (per ipotesi), quest'ultimo asserto dice In stessa casa ill a. Quindi bot (I

o elltrambi» 'segue da - a 0 t 0 entrambi" se e solo se t segue da a; e, per


ipotcsi, non e cos!.
(19) J. W. N. WATKINS, Hobbes"s System of Ideas, Hutchinson, London 1965,
pp. 22s; 2 ed. 1973, pp. 8s.
(20) [Questa nota originariamente faceva parte del testo). TUlto questo
si puo aiIermare bcilmente anehe se ci limitiamo ad una sola delle due idee
di contenuta fin qui discusse. eio diventa ancor piu chiaro nel contesto eli
una terza idea di contenuto, doe l'idea del contenllto problematico ill una
teoda.
Segucndo un'indicazione di Fregc, possiamo introdurre l'jdea del proble-
ma si-o-no a, in breve, del problema y; data till asserto a (ad esempio, « L'erba
e verde»), il probkma y corrispandente (" Verba e verde? ») puo essere de-
notato con" y(a»). 5i vede subito ehe yea) '" y(nort-a): il problema se l'erba
e verde e identica, came problema. al problema se l'crba non e verde, anche
se Ie due domande sono formulate divcrsamcnte, ed anche se ]a risposta
« S1)) all'una e equivalente alia risposta "no» alraltra.
Quello che propongo di chiamare iI contenuto problematico di una teoria
t possiqrno definirlo in uno dei due modi equivalenti: (1) e l'insieme di tutti
quegli yea) per i quali a e un clemento del contenuto Logico di t; (2) e !'in·
sieme di tutti quegli yea) per i quali a e un eLemento del contcnuto infor·
mativo ill t_ II contenuto problematico viene COSl riferito agli altri due con-
tenuti ill modi identici.
Ncl nostro precedentc csempio di N (ia teoria di Newton) e E (la teoria
dl Einstein), y(E) appartiene al contenuto problematico di N, e y(N) a queUo
di E. Se con K (= K. e K2 e KJ ) denoliamo I'asserto che formula Ie tre leggi
(Ii Keplero, limitatamente al problema di due corpi, al\ora Kl e KI seguono
dOl N ma cont.-addicono E. roentre K J e quindi K contraddicona entrambi
N ed E. (Cfr_ iI mio saggio [1957](i)], [1969(k)], ora cap. 5 di [1972(a)]; ed
<lnche [l%3(a)], p. 62, n. 28). Nondimcno. y(K) e y(K,), y(K2 ) , .v(K,) apparten-
gono tutti al eontenuto probkmatico sia di N ehe di E, e yeN) e ,,(E) appar·
tengono enlrarnbi ai contenuti problematici Iii K, K., K z e K 3•
ehe y(E), il problema della vedta 0 falsita della teoria di Einstein. ap-
partenga al (;ontenuto problematico di K e a qut:Uo ill N, illustra il fatto
ehe qui non puo esserci a.lcuna transitivita. Infaiti il problema se la teoria
dcll'effetto ottico Doppler sin vera - doe y(D) - appartiene al contenuto
problematico di E, rna non a qudlo di Nodi K.
Benche non ci sia alcuna transitivita. puo esserci un collegamento: i con-
knuti probIcmatici di a c eli b si possono dire collcgati da y(e) se y(c) ap-
partiene a QueUo di a ed anche a queUo di b. E' cl1iaro che i contenuti pro-
blematici di qualsiasi a e b possono essere sempre coilegati scegliendo appro-

205
priati c (forse c == a 0 b); cos\ i1 pura fatto che a e b siano collegati e banale;
ma il fatto che siano collegati da un problema particolare y(c) (che per una
ragione 0 per l'aHra ci interessa) puo non essere banale, e pub aggiungere qual-
cosa alia significanza di a, di b, e di c. Naturalmente, la maggior parte del
collegamenti sono per 10 pio sconosciuti.
(21) GOTrl.oa FREGH, Grundgesetze der Arithmetik, H. Pohle, Jena 1903, vol.
n, sezione 56.
(12) CLIFfORD A. TRUESDELL, Fou.ndations of Continuum Mechanics, in Dela·
ware Seminar in The Foundations of Ph."sics, a cura di Mario Bunge, Springer-
Verlag, Berlin, Hddelberg, New York 1967, pp. 35-48; efr. spec. sezionc 37.
(23) GOTTLOB FREGE, tJber Begriff und Gegestand, in c Vierteljahrsscluift f.
wissenschaftlich~ Philos.» 16 (1892), 192-205. Cfr. p. 43 di GU....CH e BL\CK (3
cura di), Philosophical Writings of Gottlob Frege, pp. 42-55 (efr. sopra, nota 10).
(24) Cfr. n. *1 alIa sezione 4; [1959(a)] e successive edi:doni, p. 35; [1966(e)]
e successive edizioni, p. 9; ed anche Je roie due prefazioni.
(25) I problemi qui trattati sono discussi (benche forse non abbastanza
esaurientemente) nelle varie Prefazioni a L.d.F. e a L.Se.D. E' forse di un
certo interesse che il falto che io abbia ivi criticato in modo abbastanza
particolarcggiato l'intero approccio dell'analisi del linguaggio non sia stato
ncmmcno menzionato allorche questo libro venne recensito in • Mind» (efr.
anche 1a mla repllea a questa recensione nella nota 243 della sezione 33, piu
avanti), sebbene questa rivista fosse la sede piu adaita per menzionare tale
critica e rispondere ad essa; e di questa critica non si e fatta menzione
neanche altrove. Per Ie altre discussioni dei problemi connessi col tema eLi
questa digressione, cfr. i richiami nella nota 7, nella precedente sezione 6, e Ie
mie vade discussioni delle funzioni descrittiva e argomentativa del linguaggio
in C. & R. [1962(a)J e nelle successive edizioni; ed anche [1966(0], [1%7(k)],
[1968(r)J e [1968(8)J (il primo di questi form." artualmente iI cap. 6 e gli ultiIni
due capitoli 3 e 4 di [1972 (a)J ).
Un interessante esempio di una parola chiave (ephexes in PU.TON!:, Timeo,
55A) che e stata male interpl'etata (come «seguente in ordine di grandezza »,
invece eli «seguente in ordine di tempo,. 0 [orse « in online adiacente ,,) per
i1 fatto che la !eoria non fu capita, e che pub venir interpretata in due diffo-
renti sensi (<< successivamente» nel. tempo a <, adiacente D in riferimento agli
angoli piani) senza influire sulla teo ria di Platone, pub esser trovato nel
mio saggio «Plato, Timaeus 54E-55-A» [1970 (d)l. Per esempi allaloghi, vedasi
la 3" ed. di C & R [l969(h)], spec. pp. 165 e 408-12. In breve, non si puo
tradurre senza tenere costantemente in mente la situazione problematica.
(26) Cfr. la sezione IV del capitolo 19 della mia O.S. [1945(c)], [1950(a)],
ed edizioni successive, per que! chc riguarda l'ambiguita della violenza; crr.
anche l'indice analitico sotto .. violecza ».
(27) Per i commenti su tutto questa, efr. The Poverty [1944 (a) e (b)] e
(1945(a)] e [l957{g)], e spec_ i cappo 17-20 della mia O_S. [1945(c)], [1960(a)].
Le osservazioni, su questi operai di Vienna, che seguono qui nel testo ripo-
tono in linea di massima cio clle ho delto nella mia O.S., nelle note 18-20
al cap. 18, e nella n. 39 al cap. 19. Cfr. anche i richiami dati nella 11. 26
sopra sull' arnbiguita della violenza.
(28) G. E. R. GIillYE, Fallen Bastions, Victor Gollancz, London 1939.
(29) Cfr. [1957(a)J, rist, come cap, 1 di C. & R. [1962(a)] ed edi~ioni suc-
cessive.
(30) Cfr. ERNST MACH, The Science of Mechanics, 6 ed. ingl. con Introdu·
zione di Karl Menger, Open Court Publishing Co., La Salle, Ill., 1960, cap. 2,
sezione 6, sottosezione 9.
(31) La formulazione in corsivo fu per Ia prima volta indicata c discussa
nel suo signiiicato in [1949 (d) J, ora tradoHa com~ Appendice a [1972 (al]; efr.
anche [1957 (i) e (j)], [1969 (k)], ora cap. 5 di [1972(a)].

206
(32) ALllERT EINSTEIN, Vber die spezielle und die allgemeine Relativitats-
theone, 3 ed., Vieweg, Braunschweig 1917; efr. spec. cap. 22. 10 ho usato la
mia traduzione, rna it passo corrispondente si trova a p. 77 della tradUZlOnt:
inglese citata nella nota seguente. Si noti clle Ill. teoria di Newton vive an-
cora come un caso limite della teoria einsteniana della gravitazionc. (Cia e
particolarmente chiaro ove la teoria di Newton sia formulata in un mouo
"relativistico generale» 0 "covariante ", prendendo la vc\ocita della lucc
come infinita (c;: ",,). Questo e state dimostrato da PETER H,\VAS, Four-Dimen·
sional Formulations of Newtonian Mechanics and Their Relation to the Special
and the General Theory of Relativity, in «Reviews of Modern Physics» 36
[19M], 938-(5).
(33) ALBERT EINSTllIN, Relativity: The Special and the General Theory. A
Popular Exposition, Methuen and Co., London 1920, p. 132 (10 ho migliomto
un po' la traduzione).
(~) L.d.F. [l934(b)], p. 13; [l966(e)] e successive. cdizioni, p. 15; e L.Se.D.
[1959(a») e successive edizioni, p. 41; cfr. nota 15 della sezione 7, sopra.
(35) Cfr. HANS ALBERT, Marktsoziologie und EntseheiduI1gs1ogik, Herman
Luchtcrhand Verlag, Neuwied e Berlino 1967; efr. spec. pp. 149, 2275, 309,
341s. La mila espressione assai rozza, che Albert ha rimpiazzato con «immu·
nizzazione contro la critica », era «stratagemma cODvenzionalistico ».
[Aggiunto in bozzeJ. David Miller ha ora richiamato la rnia attenzione
sulia n. 1 a p. 560 di ARTliUR PAP, Reduction Sentences and Dispositional Con-
cepts, in Tile Philosopl1Y of Rudolf Carnap, a cura di Paul Arthur Schilpp.
Open Court Publishing Co., La Salle, m., 1963, pp. 559·97, it quale anticipa
questa uso di «immunizzazlone ».
(36) Cfr. cap. 1 del mio C. & R. [1963(a)] cd edizioni successive.
(37) Per lIDa discussione pii! esauriente, efr. Ie sezioni 2, 3 e 5 delle mie
Replies.
(38) Cfr. C. & R. [1963(a)) cd edizioni successive. cap. 10, spec. rAppen·
dice, pp. 248-50; cap. II, pp. 275·77; cap. 8. pp. 193·200; e cap. 17, p. 346. II
problema l'avevo discnsso prima nella sczione 15 di L.d.F. [1934(b)], pp. 33s;
[l966(e)] e successive edizioni, pp. 39-41; L.Se.D, [1959(a)] e successive edizioni,
pp. 69s. Un esame abbastanza ampio di ak.une tCOl'ie metafisiche (centrate
suI dcterminismo e l'indeterminlsmo metafisico) 5i puo trovare nel mio sag-
gio Indeterminism in Qua1ltum Physics atld in Classical PI1J'sies [1950(b)];
efr. spec. pp. 121·23.
(39) Cfr. pp. 37s di C. & R. [1963(3)J e successive edizioni.
(10) Cfr. [l945(c)J, pp. lOIs; [1962(c)] e successive edizioni, vol. II, pp. l08s.
(41) Cfr. IMRl! LAKATOS, Changes in the Problem of Inductive Logic, in The
Pro/Jlem of Inductive Logic, a cura di Imre Lakatos, North-Holland Publishing
Co., Amsterdam 1968, pp. 315-417, spec. p. 317.
(42) Non sembra esserci una dipendellza sistematica dal tempo, come c'e
invcce nell'apprendimento di sillabe senza significato.
(43) Cfr. C. LLoYD MORGAN, bltroduction to Comparative Psychology, Scott,
London 1894; e H.S. JSKNINGS, The Bellaviour of the Lower Organisms, Colum·
bia University Press, New York 1906.
(44) La mia opinione sulla formazione dcll'abitudine puo essere illustrata
con un richiamo alIa papera Martina in KONRAD LORENZ, On Aggression, Me-
thuen and Co., London 1966. p. 57s. Martina si creo un'abitudine consistente
nel fare una ccrta deviazione verso una. finestra prima di salire Ie scale cite
portano al primo piano della easa di Lorenz ad Altenberg. Questa abitudine
8i formo (ibid., p. 57) con una tipica reazione di fuga verso la luee (la .fine-
stra). Benche questa prima reazione venisse «ripetuta », «Ia deviazione ini-
7.ialc... divenne sempre piu breve ». Non fu quindi la ripetizione a creare
questa abitudine; e in questo caso tendeva perfino a farla scomparire len·
tamente. (Forse si trattava di una specie d.i approccio ad una fase critica),

207
Si da it caso che molti richiami di Lorenz sembrano confennare 1a mia
opinione che gli scienziati usano il metoda critico - il metodo delle conget-
tUl'C C dei tentativi di confutazione. Egli, ad esempio, scrive (ibid., p. 8):
" Per uno scicnziato ricercatorc e un ottimo esercizio mattutino scartare ogni
giomo, prima di eolazione, uu'jpotesi prediletta". Ma nonostantc questa in-
tuizione, sembra che egli stia aneora sotto i'influenza deJI'induttivismo. (Cfr.
ad esempio, ibid., p. 62: «Ma probabilmente era necessaria tutta una serie
di inmunerevoli ripetizioni .. _»; per un altm passaggio con intento chiaramen-
te metodologico, efr. KONRAD LoRENZ, Over tierisches und menschliches Vet'-
hatren, R. Piper and Co., Monaco 1965, p. 388). Non sembra che cgIi si renda
sempre con to del fatto che nella scienza Ie «ripctizioni" delle osservazioni
non sana conferme induttive rna tentativi crilici £Ii controllare se stessi - £Ii
cogliersi in elTore. Cfr. :mebe pili avanti, D. 95 della sezione 15, e il testo.
(.3) Secondo it The Oxfot'd English Dictionary, 1a frase «rule of trial and
errol'» (regola della prova e dell'errore) e nata neU'aritmetica (efr. TRHL 4).
Si noti che ne Lloyd MOl'gao ne Jennings usarono il termine nel sensa di
teutativi casuali. (Questo ultimo usa sembra dovuto a Edward Thorndike).
(40) Prendere alia cieca una pallina da lUl'uma non assicura 1a casualita
a meno che Ie palline nell'uma non siano ben m ischia te. E I'andare alia
cieca riguardo alla soIuzione non comporta la cecita l'iguardo al pl'Oblema:
possiamo sapere che it Dostro problema e di vincere una gara, estraendo una
pallina bianca.
(47) D. Kuz, Animals and Melt, Longmans, London 1937, p. 143.
(48) J.\NE AUSThN. Emma, John Murray. London 1816, vol. III, fine del
cap. 3 (cap. 39 in alcune cdizioni successive). efr. p. 336 di R. W. CHAPMAN
(a cura di), The Novels of Jane Austell, 3 ed., Oxford University Press, Oxford
1933, vol. IV.
(49) Per 10 sviluppo dci giochi, efr. JEAN PrAGET, The Moral Judgment of
the Child, Routledge and Kcgan Paul. London 1932, spec. p. 18 per Ie prime
due fasi dogmatic he e la <J tet-za fase » critica (trad. it. 11 giudi(.io morale nel
fanei!lllo, Giunti-Barbera, Firenze 1972, p. 168); cfr. anehe pp. 56-59 (tt·ad. it_,
PP. 36-57). err. moItre JEAN PIAGET, Play, Dreams, and Imitation in Childhood,
Routledge and Kcgan Paul, London 1962).
(SO) Qualcosa di simile a questa concc7.ione si puo trovare in S~RE~ KIER-
KEGAARD, Repetition, Princeton Univel'sity Press, Princeton; Oxford University
Prcss, Oxford 1942; CIT_. ad esempio, p. 77s.
(51) JoSEPH CHURCH. Language and t1u Discovery of Reality. Random House,
New York 1961, p. 36.
(~2) Ibid.
(53) Scm bra essere questa Ia spiegazione evidente del tragico incidente
del pres unto pi agio di Helen Kcller quando era ancora una barnbina, un
incidente che produsse in lei 1ma pl'Ofonda impressione e forse l'aiuto a
distmguere Ie differenti sorgenti di messaggi che tutti Ie pervenivano nel
medesimo cod ice.
(54) In un passe (sui Quale Arne Petersen ha altratto Ia mb attenzione)
del suo interessante Iibro Learning and Instinct in Animals, j\·1ethuen and
Co., London 1956, p. 122 (2 ed. riv. 1963, p. 135), W. H. THORPE, scrive: "Per
imitazione vera si intende il copiare un atto 0 un'espl'es,~ione insolita 0 altri-
menti improbabile, 0 qua/ehe atto per if quale e clliaro elle non c'e alcuna
tendenza istinti"a ». (In corsivo ncll'originale). Non puo esserci imitazione
a/cuna sen;:;a tendenze istintive elaborate per il copiare in generale, ed anche
pet' il tipo specifieo di imita;:ione di un alto in. partieo/are. Nessun registra·
tore pub fum.:ionare senza 1a capacita insita (per COS! dire innata) di apprende-
re per irnitazione (imitazione di vibrazioni), e se noi non 10 dotiamo di un sur-
rogato di un bisogno 0 un impulso ad usare Ie sue capacita (ad escmplo
nella forma di un opcratore umano che vuole che la macchina cffettui Wlil

208
registrazionc e 1a riproduca), allora esso non imitera. E cio sembra esser
vero anche delle forme pili passive di apprendimento per imitazione che io
posso immaginare. E' del tutto esatto, naluralmente, che dovrcmmo parlare
di imitazione soltanto se l'atto che deve cssere imitato non e un alto che
I 'animale A potrebbe compiere per solo i5 lin to, sellza chc sia state prima
eompiuto da un altro animale Balla presenza di .4. Ma ci sa}'anno pure dei
easi in cui abbiamo ragione di sosp~tlare l;he A pliO aver prodotto I'aHO -
ad esempio in una fase alquanto posteriore - senza imitare B. Non dovrem-
mo ritenerla una vern c propria imitaziollc, se l'atto in B porto aJl'e~ecuzione
dell'atto di A (molto) prima <Ii quanto avrl;bbe falto altrim0nt.i:'
(55) C. & R. [1963(a)] e successive edizioni, cap. I, 5pCC. pp. 42,52. A p. 50,
n. 16, mi richiamo alla tesi ., Gewohnhcit und Gesetzerlcbnis» [L'ahitudine
e la credenza nelle leggi] che ho presentato (non finita) nel 1927, e in cui
ha affcrmato, contra J'jdea di Humc, che J'abitudine non e ehe iI risultato
(passivo) dell'associazione ripetitiva.
(56) Questa assornigIia un po' aHa teoria platonica della eonosccnza nel
Menone 30 D - Su C, rna e ovvio chc al tempo stesso ne differi,:ce.
(57) Credo che sia questo il luogo, pill ehe altro\'e, di esprimere il mio
ricOlloscinwoto per !'aiuto riel'Vl.IlO in tuUo questo seritto dai miei amici
Ernst Gombrieh e Bryan Magee. Cib non fu l3nto diillcile, probabilmcnte,
per Ernst Gombrich, in quanta eg!i, pur non condividendo tutto queUo che
dieo sulla musica, almeno sirnpatizza per il mio attcggiamento. Ma eio tleci-
samente non vale per Bryan Magee, Questi e un ammit'atore di Wagner (sui
quale ha sCTitto un libro briUante, Aspects of Wagner [Alan Ro'ls, London
1968; Stein and Day, New York 1969]). Su questo punto, quindi, siamo com·
p1etamcnte in disaccordo, quanta e possibile ehe due persone 10 siano. E' di
seeondaria importanza it fatto ehe a suo ~iudizio Ie mie sezioni 13 e ]4 can·
tengono dci ben noti pasticci, e che akune opinioni che io attacco sana dci
fantoeci. Naturalmente non sona del tutto d'accordo; rna cib che voglio qui
rilevare e che it disaccordo nOD gli ha impedito di aiutat'mi irnrnensamcnte,
non solo per it resto di questa schizzo autobiogra[ico, rna anche pel' queste
due sezioni che contengono delle idee sulle quali siamo stati per ranti anni
in notevole disaccol"do,
(:;S) E' trascorso ormai malta tempo dacchc ho abbandonato questi studi
e non riesco piii a ricordarne i particolari. Mi sernbra peru pill che proba·
bile che vi fosse una buona parte di canto parallelo, nella fase dell'organum,
contcnente terze e quinte (seandite dal basso). Credo ehe questo abbia pre·
ceduto it Canto falsoOordone.
(59) Cfr, D. PERKIN Wr.LKER, Kenler's Celestial Music, in "Journal of the
Warburg and Courtauld Institutes" 30 (1967), 228,50. Ho un grande debito
verso il Dr. Walker per aver richiamato 1a mia attenzione sui p::.sso ehe eito
lld testo, E' tratto da KEpLER, Gesmnmelte Werke, a eura di Ma" Caspar,
Monaco 1940, vol. VI, p. 328. Walker cita il passo in latino, in Kepler"s Cele-
,Iial Music, pp. 2495, e ne dil anche una traduzione in inglese. La traduzione
qui riportata e mia. (Ho tradotto: tit minim amp/ius non sit: non c'e nulla di
pill mcravigliosamente grande 0 pill sublim<:; ut Illderet [= che dovrebbc mct-
terc in aUo] = che dovrebbe far sorgere una lIisione di; ut quadamtenus de,
guslerat =: ehe dovrebbe quasi [palpare a toccare oJ raggiungere), Per ineiso,
non posso essere d'accordo ehe l'annonia delle sfere di Platonc fosse mono·
diea e constasse «solo di scale,. (dr. WAl.K£R, Kepler's Celesti'li Music, n. 3
c testo); PI atone, al contrario, si preoccupa moltissirno di evitare questa
interpretazione delle sue pal'Ole. (Cfr" ad esempio. Repubblica 617 B, dove
ognuna delle otto Sirene canta in un solo tono, sl chc dagli otto toni messi
insieme " Ie note creavano l'accordo di un'unica armonia ». Timeo 35 B . 36 B
e 90 D dovrebbe essere inlel'pretato ana luce di questo passo. Rilevante e anche
ARISTOTELE, De sensu, "ii, 448 a 20ss, dove si esamin:mo Ie opinioni d.i «aleuni

209
scrittori di problemi relativi agli accordi ", i quali "dicono che i suom non
ci raggiungono simultanearnente, am:he se pare sia cosl» [trad. it.: ARISTO-
TELE, Opere, Laterza, Bad 1913, vol. II, p. 596]). Sui canto in ottave, cfr.
anche ARTSTOTIlLE, Problerni 918 b 40, 919 b 33-35 (<< mescolanza ". «consonao-
za ~) e 921 a 8·31 (cfr. spec. 921 a 215).
(/>Il) Ho accennato a questa storia nel cap. 1 di C. & R. [1%3(a)] e suc-
cessive edizioni. fme ddla SC7.iOne VI, p. 50.
(,,1) Soltanto diversi anni dopo mi rcsi canto che nel chiedcrsi "Come
e possibile la scienza? » Kant aveva in mente 1a leoria di Newton con l'aggiun·
ta della sua interessantc forma di atomismo (che rassomigliava a queUo
di Boscovich); efr. C. & R. [1963(a)], cappo 2, 7 c B, e il mio saggio Phylo-
sophy and Physics [1961(h)].
(62) Per questa distinzione (e per una distinzione aneor piu sottile) efr.
C. & R. [1963(a)], cap. 1, sezione V, pp. 47s.
(6)) ALllERT SCHWF.ITZllR. J. S. Bach. Breitkopf und Hartel. Leipzig 1908;
pubblicato prima in francese nel 1905; 7 ed. 1929; e nuova cd. inglese, A. and
C. Black. London 1923, voL I, p. 1. Schweitzer usa il tennine "oggettivo D
per Bach e ~ soggettivo .. per Wagner. 10 sarci d'accordo che Wagner era
molto pia «soggettivo" di Beethoven. Ma qui dovrei forse dire che, bench6
apprezzi moltissimo il libro di Schweitzer (specialmente i suoi prcgevolissimi
commenti sui fraseggio tid temi ill Bach). non posso affatto accettare una
analisi del contrasto tra musicisti «oggettivi» e «soggcttivi» nel senso della
relazione del musicista al suo «tempo» 0 «periodo". Mi sembra quasi certo
chc Schweitzer sub] in db I'influenza di Hegel il cui apprezzamento di
Bach 10 imprcssionO. (Cfr. ibid., pp. 225s, n. 56 a p. 230. A p. 225 [vo!. I.
p. 244 dell'ed. inglese] Schweitzer riferisce, dane memorie di Therese De-
vricnt, un curioso incidente in cui fu coinvolto Hegel. rna che per lui nOD
e molto lusinghit:ro).
(64) II primo di questi [1968(s)) era una conferenza tenuta nel 1%7 e pub·
blicata la prima volta in Logic, Methodology and Philosophy of Science, vol.
III, pp. 333·13; i1 secondo [196S(r)J fu pubblicato In prima volta nei Proceedings
of the XIVtlz International Congress of Philosophy, Vienna 2-9 September 1968.
vol. I, pp. 25-53, Questi due saggi formano ora rispettivamentc i cappo 3 e 4
di [1972(a)]. II terzo saggio [1961(k)J citato nel testo si trova in Quantum
Theory arid Reality. Cfr. anche la mia L.d.F. e L.Se.D., sezioni 29 e 30 [1934(b)],
pp. 60·67; [1966(c)] ed edizioni successive, pp. 69·76; [1959(a)] ed edizioni sue·
cessive, pp. IDHl; il mio C. & R. [1963 (a)], spec. pp. 224-31; e il mio sagglo
A Realist View of Logic. Physics and History [1970(1)], in Physics, Logic, and
History, ora cap. 8 di [1972(a)].
(oS) Cfr. la mia O.S .. vol. I [1945(b)], pp. 26, 96; vol. II [1945(c)], pp. 12s;
[1950(a)], pp. 35, 108, 210·12; [1962(c)], [1963(1)] ed edizioni successive, vol. I,
pp. 32, 109; vol. II, pp. 135.
(6Sa) [Aggiunta nel 1915]. Lo stesso vale per Ie teorie espressionistica e
emotivistica della morale. e del giudizi morali.
(66) Cfr. anche l'ultima sezione del mio saggio Epistemology Without a
Knowing Subject [1968(s)]. pp. 369·71; [1972(01)], pp. 146-50.
(107) Citato da SCHWEITZER, J. S. Bach. p. 153.
(68) ARTHUR SCHOPENHAUER, Die Welt als Wille und Vorstellung [II mondo
come volonta e rappresentazione). vol. II, 1844, cap. 39; 1a second a citazione
e dal vol. I. 1818 [1819J, sezione 52. Si noti che la parola tedesca VOT"stellung
e sempliccmcnte 1a traduzione in tcdesco del tcnninc "idea" di John Locke.
(69) 11 tedesco suona: "eine cantable Art im Spiel en 7;U erlangerl ".
r O) PI.AlONE, lone, cfr. spec. 553 D - 536 D.
(71) l1?id., 534 E.
(n) PUTONE, lone, 535 E; cfr. 535 C.
(73) Cfr. ancbe i1 mio saggio Self·Reference and Meaning in Ordinary

210
l,an~uage [l954(c)], chc ora forma il cap. 14 di C. & R. [1963(a}]; e il testa
alia Dota 163 delle mie Replies in P. A. SCHILPP (a cum di), The Philosophy
oj KarZ Popper, La Salle, 1974. (Argomenti significativi che dimostrano I'impos-
sibiliHt. dei giochi di parole per autoriferimento 5i possono trovare il GILBERT
RYLE, TIle Concept of AJind, Hutchinson, London 1949, ad esempio aile pp.
193-96; cd. Peregrine Books, Penguin Books, Harmond5worth 1963, pp_ 184-88
[trad. cit. a cum di F. ROSSI-LANDI, col titolo Lo spirito come comportamento,
Torino, Einaudi, 1955J. Cn:do ehe l'osservazione di lone e [0 comport a] «una
autocritiea », che secondr Ryle, p. 196, non sarebbe possibile).
(14) PI.ATONE, lone, 541 E - 542 B.
(15) Cfr. la mia O.S. [194S(b) e (e)] e successive edizioni, nn. 40 c 41 aI
cap. 4, e testo.
(76) Ernst Gombrich mi ricordo che «per farmi piangere, prima devi
essere tu stcsso a soffrire» (Orazio, Ad Pisones, 1035). SI puo ben pensare,
natllralmcntc. che Orazio intendesse qui fonnulare non un punto di vista
espressionistico fila l'idea che solo l'artista chc abbia prima soficrto c cap ace
di giudicare crHicamente l'efl'etto elella sua opera. Ritengo probabile che Ora-
~io non fosse consapevole della ditrerenza tra queste due interpretazioni.
(17) PLATONll, lone 541 E S.
(18) Per grali. parte di questa paragrafo, e per aJcune critiche dei para"
grafi prece(knti, sono debitore al mio amico Ernst Gombrlch.
Si vedra che Ie teo1'ie platoniche secolarizzate (dell'opera d'arte come
cspressione e comunicazione soggcttiva, e come dcscrizione obiettiva) cOlTi-
spondono aUe tre funzioni dellinguaggio di Karl Biihler; efr. il mio [1963 (a)] ,
PV. 134s e 295, e sezione 15.
(19) Cfr. E. H. GOMllRICH. Art and I11U.SiOIl, Phaidon Press, London; Pan·
theon Books, New York 1960; ultima edizione 1972 (trad. it.: Arte e illusione,
Einaudi, Torino 1965), passim.
(ao) Si vedra ehe il mia atteggiamento nci confronti della musica e simile
anc teoric di EDUARIl HANsue!: (soprannominato da Wagner «Beckmesser"
[caviliosoJ), un critico musicale assai inJluente a Vienna, il quole scrisse un
libra contra Wagner (trom M!!sUcali.scll·SchOnm, Leipzig, R. Weigel, 1854;
trad. ingl. oi G. Cohen dalIa 7 cd. riv., col tito10 The Beautiful in Music.
Novello and Co., London 1891). Ma non sono d'accordo cOn Hanslik nel
rifiuto di Bruckner. it quale, pur venerando Wagner, era a suo modo un
musicista tanto saerosanlo quanto Bcc:thoven (ehe ora "jene talvolta crronea-
mente accusato di disonesta). E' un fatto curiosa che Wagner fossc tanto affa·
:scillato da Schopenhauer - Il mondo come volonta e rappresentazionc - c che
Schopcnhaller, in Parerga, vol. II, sezione 224 (pubbIicato per la prima volta
Ilel 1851, quando Wagner cominciava a lavorare alla musica de l'Anello) serio
vesse: "Si pub dire ehe l'Opera e stata Ia rovina dena mllsica ». (Egli ha
in mente, ovviamente, I'opera recente, benche i suoi argomenti abbiano un
(.ono assai generate - in realta, troppo generale).
(81) FRlEDRlCH NIElTZSCHE, Der Fall Wagner [II caso Wagner], Leipzig 1888;
e Nietzsche contra Wagner (trad. it. in: Opere di Friedrich Nietzsche, vol. VI,
tOlnO III, Adelphi, Milano 19i5).
(82) ARTHUR ScrIOPENHAUER, Parerga, vol. II, sezione 224.
(83) K,\RL BiiHLER, Die geistige Entwicklung des Kindes, Fischer, Jena 1918;
3 cd. 1922 (trad. ingl.: The Mental Development of !he Child. Kegan Paul,
Trench, Trubner and Co., London 1930). Per Je funzioni del linguaggio, efr.
anche la sua Sprachtheorie, Fischer, Jena 1934, spec. pp. 24-33.
(8-1) Forse si potrebbe dire una parola suna teoria di Aristotele dell'arte
come purificazione. Non v'e dubbio chc l'artc abbia una qua\che funzione bio·
logica 0 psicologica come la catarsi; non ncgo chc la grande musica possa in un
certo sensa purificare Ie nostre menti. Ma la grandezza di un'opera d'arte
nel suo complesso sta veramentc nel fatto che essa ci purifiea meglio che

211
un'opera minore? Non credo che 10 stcsso Aristotclc aVl'chbe eletto queSlO.
(S5} Cfr. C. & R., pp. 134s, 295; Of Clouds and Clocks U966(OJ, ora cap. 6
di [!972(a)], sezloni 14-17 e D. 47; Epistemology Wilhuut a Knowing Subject
[(I%8(s)), spec. sezione 4, pp. 3455 [1972(:1)]. cap. 3, pp. 119·22).
(i'6) Leonard Nelson era una personalitil eli rilkvo, apparlt'ncntc al pic-
colo gruppo di kantiani che in Germania 5i opposerD alla Prima Guerra Mon-
diale e che mantcnnero viva ]a tradizionc kantiana ddlrr razionalWI.
(!II) CfI-_ il mio saggio Julius Kmlt 1898·1960 [1962(OJ.
(lIS) err. LEoNAR[l NELso~, Die V mnuglichkeit del' Erkenntnistheorie, in
« Proceedings of the IVth international Congress of Philosophy, Bologna, 5-11
Aprile 1911~, Fonniggini, Genova 1912, vol. I, pp. 255-75; cfr. anche L. NELSON,
LIbel' das sogenannte Erkerllllnisproblem, Vamknhoeck and Ruprecht, Got-
tingen 1908.
(~9) Cfr. HF.I:-;IUCH Gor..U'ERZ. U'el1anschauungs/eh1"e, Diederichs, Jell a und
Leipzig 1905 e 1908. vol. I, e vol. II, parte I. Gomperz. mi disse di aver com-
pIela-to la seconda parle dd secondo volume, 111a <\vcva deciso di non pub·
blicarJa e di abbandonare i suoi progetli D('r gli ultri volumi. I volumi pub-
blicati crano stati prognlmmati e rcalizzUl.i su una scala verarnente magnifica,
e non conosco Ie ragioni per cui Gompe!7. smise <Ii lavorarci Sil, circa diciotto
anni prim::! che io 10 incontrassi. E' chiaro che si c trattato di un'csperienza
lragica_ In llno dd suoi libri slIccessi"i, VlJer Sil1n wzd Sinllgebilde - Vcr·
stehen /.md Erkliiren, Mohr, Tiibingen 1929, egli parla ddla sua vecchia teoria
dei sentimenti, spec. aile pp. 206s. Per il suo appmcdo psicologico - che cgli
ehiamava «paternpirismo" (Palhcmpirismus) e che dava risalto al nlolo dei
sentimenti (Getiihle) nella conoscenza - efr. spec. Wellanscltammgslehre. se-
zioni 55·59 (vol. II, pp. 220-93). Cfr. anche Ie sezioni 36-39 (vol. I, pp. 305-94).
(90) KARL Btint-cR, Tatsa.cherl wul Problem.;!. ::u einer Psychologie der Denk-
vorgiirlge, in «Archiv L d. gesamte Psychologie ~ 9 (1907), 297-3&5; 12 (1908),
1-23, 24-92, 93-123.
(91) Orro SELZ, Vbe!' die Gesetzte des geordneten Denkverlaufs, W. Spe-
mann, Stuttgart 1913. vol. I; F. Cohen, Bonn 1922, vol. II.
(92) OSWAlD KULPE, Vorlesultgen iibel' L()gik, a cura di Otto Seiz, S. Hirzel,
Leipzig 1923.
(93) Un errOl-e analogo si puc. tl'Ovare perfino nei Principia Mathematica,
giacche Russell non riuscl, in alcllne parti, a clistingucre tra un'inferenza
(implicazione logical ed un asserto condizionale {implic37.ione materialel_
Cosl mi disorienti:l per vari anni. Ma il punto principak - ehe un'infen:nza
e un insieme ordinato di asserti - nel 1928 mi era sufficientemente chiaro da
poterne padare con Buhler durante iI mio esame (pubblico) pcr Ja lauren
in filosofia. Egli ammisc candidamcnte di non aver preso in considerazlone
la cosa.
(94) Cfr. C. & R. [1963(a)J, p. 134s.
(93) Ora trovo un al'gomento simile in KONRAD LORENZ: ~ ... Ia modificabi-
lita ha Iuogo ... solo in quei ... casi in cui i mcceanismi innati di apprendi-
mento sonG filogcne[il;amente programmati pcr svolgere giusto quella fun-
zione" (cfr. KONRAD LORF::>lZ, Evallllian arid MDdificatiml of Behavior, Methuen,
and Co., London 1966, p. 47). Ma non pare che egli ne tl-agga 1a conclusionc
che Ie teoric della ri.!ltssologia e del rilles so condizionato sono invalide: efr.
specialmenle ibid., p. 66. Cfr. <tnche In sezione 10, sopra, spec. n. 44. Si puo
esprimcl'e la principale diffel'CllZa tra la psicologia associazioristica 0 Ia teo·
ria del riflesso conuizionato da un lato, e ]a scoperta per tcntativo cd errore
dall'altro, diccndo che la prima e esscnzialmento iamarckiana (0 " istruttiva »)
e 1a seconda darwiniana (0 «sclettiva »). Vedi ora, ad esempio, Ie ricerche di
MELVIN COHN, Reflections on a Discussion wWz Karl Popper: The Molecular
Biology of Expectalion, in «Bulletin of tho All-India Institute of Medical

212
Sciences» I (1967), 8-16, e scritti suecessivi del medesimo autore. Per i! dar-
winismo dr. la sezione 37.
(%) W. VON B1XHTEllEV, Objektive Psychologic oder Psychol'ej1exologie (ed.
originale 1907-12), ed. tedesca, Teubner, Leipzig und Berlin 1913; e AllgemdHe
Grundlagen der Rejlexuloggie des Menschen (ed. origin ale 1917), ed. tedesea,
F. Deutickc, Leipzig uml Wien 1926; ed. inglese: General Principles of Human
Reflexology, Jarrolds, London 1933,
(97) II titolo ddla mia dissertazione (inedita) era «Zur Methodenfrage
der Denkpsychologie» [1928{a)].
(98) Si metta a confwnto questo paragrafo con alcune mie osservazioni
contro Reichenbach ad un congrcsso del 1934 [1935(a)], rist. in [1966(0)].
[1969k)]. p. 257; e'c una traduzione in L.Sc.D., [1959(a)] cd edizioni 5UCCcS-
sive, p. 315: «Le teoric scientifiche non possono mai essere "glustificate", 0
vcrificatc. Ma ... un'jpotesi A puu ... real1zzare di pili di un'ipotesi Boo. II meglio
chc possiamo dire eli un'ipotcsi i: chI: linD a que~lo momento ... ha avulo mag·
gior successo di altre ipotesi. sebbcne, in linea di principio, non possa mai es-
sere giustifieata, verificata, od anchc dimostrata probabilc)). Cfr. anchc la fine
della sezione 20 (testo Ira Ie note 156-158), e la nota 243 alla sezione 33, pili
avanti.
(99) RUlJol.F CAR.\lAP, Der logische A.utbau del' Welt, e ScheinpTobleme ill
del' Philosophie: das FTemdpsychische Ulld der Realislnusstreit, pUbblicati
elltrambi la prima volta da Weltkrcis·Verlag, Berlin 1928; se\:Onda cdizione
(i due libri in uno), Felix Mt'iner, Hamburg 1961. Trad, iDglese col titolo:
Fhe Logical Structure of the World c Pseudoproblems of Philosophy, Rout-
ledge and Kegan Paul, London 1967.
(100) VICTOR KRAfT, Die Grundformen do:r .visscnschaftlichen Methoaen,
A<.:cademia delle Scienze, Vienna 1925.
(101) Cfr. p, 641 del saggio affascinante ed cstremamente informativo di
HEUSERI FmGL, l'he Wiener Kreis in America, in Perspectives in American
History, The Charles Warren Center far Studies in American HisIO!)', Harvard
University, 1968, vol. II, pp. 630-73; efr. anche n. 106, sotto. [In base a un 'in·
daginc, Feigl affcrma che e passibile che Zilse! ne sia div.:nuto membra dopo
la sua - <Ii Feigl - emigrazione negli Stati Uniti].
(1\11) HERBERT FEICL dic(! (ibid., p. 642) che cib de\'.: essere accaduto nd
1929, e non v'e dubbio che sia cos!.
(103) I mid soli scritti pubblieati prima che incontrassi Feigl - e per aIm
quattro anni aneora dopo questo incontro - furono su argomenti di peda-
gogia. Se si eccettua il primo [1925(a)] (pubblicato nella rivista pedagoglca
Schuln:form) , erano tutti ([1927(3.)], [1931(a)], [1932(a)]) scritti su invito del
Dr. Eduard Burger, direttore deUa rivista pedagogica Die Quelle.
(IO';) Feigl parln dell'incontro in Wiener Kreis ill America. Ho deseritto
bn:vcmente l'avvio della nastra diScu5sione in C. & R. [1963 (a)] , p. 262s; efr.
n. 27 a p. 263. Cfr. anche A Theorem 011 Trwh-Content [1966 (g)] , il mio con-
tributo alia Festschrift in OIlOTe di Feigl,
(10;) Nel corso di questa prima lunga eonvcrsazione, Fcigl si oppose ill
mio realismo. (In que] tempo egli t:ra favorevole al cosiddetto "monismo
nClItrale". che io eonsideravo come id£:alismo berke\eyano; e tutLora 10 con-
sic.l.cro tale). Sono lieto di sapere che anch£: Feigl e diventnto un realista.
(1(16) In Wiener Kreis in America, p. 641, Feigl scrive che sia Edgar Zilsel
che io cercavamo di salvare la nostra indipemlenza ~ restando fuori del Cir-
colo ». Ma il faHo e che io mi sarci Sf:'Iltilo molto onorato se vi fossi. stato
invitato, e non mi sarebbe mai aecaduto che una talc partecipnzione al semi·
nario di Schlick potessc pregiudicare la mia indipcndenza anche minima·
mente. (Per inciso, prima di leggerc questo passaggio eli Fcigl io non sapevo
che Zilsel non era un membro d~1 Circola. Avevo semprc pcnsaLo che 10 fosse,
r: questo dice VICTOR KR..\Fl' Del suo \ibm Der Wiener Kreis, Vienna, Springer·

213
Verlag, 1950; efr. p. 4 della trad. ingl.: The Vienna Circle, Philosophical Li-
brary, New York 1953. Cfr. nnche sopra, n. 101).
(107) Cfr. Ie mie pubblicazioni elcncate a p. 44 del mio saggio Quantum
Mechanics Withof~t "The Observer" [1967(k)].
(inS) Esiste tuttora il manoscritto del primo volume e delle parti del ma-
noscritto di qudla vcrsione della L.d.F. (;he fureno tagliate da mio zio. Il
manoscritto del secondo volume, con Ja possibilc eccczione di poche sezioni,
sembra sia andatoperduto. (AggiWlta del 1976). II matcriale (tedesco) esi-
stcnte viene attualmcnte preparato da TROELS EGGERS HANSEN per la pubbli-
cazione pres so J. C. B. Mohr di Tubinga.
(109) Cfr. in particolare, ora, il mia [1971(i)], rist. con Ieggeri cambiamenti
come cap. 1 ill [1972(a)]; efr. anche la sczione 13 delle mie Replies.
(IWa) Cfr. Ie sezioni 13 e 14 delle mie Replies.
(110) Cfr. l'articolo di JOHN P.4SSMORE, Logical Positivism, in Encyclopedia
of Philosophy, a cura di Paul Edwards, vol. V, p. 56 (v. sopra, n. 7).
(lll) Qucsta lettera [1933(a)] fu dapprima pubblicata in Erkenntnis, 3,
nn. 4-6 (1933), 426s. Ristampata in inglese nella mia L.Se.D. [1959(a)J e suc-
cessive edizioni, pp. 312-14, e in lingua originale nella seconda e successive
edi7.ioni di L.d.F. [1966(e»), [1969(e)], cee., pp. 254-56.
(112) J. R. WEI!<"BERG. An E:tamil1lltion of Logical Positivism, Kegan Paul,
TI'cneh, Trubner and Co., London 1936 [trad. it., Torino, Einaudi, 1950].
(113) Per una tliscussione piu esawientc di questa leggenda, efr. Ie sezioni
2 e 3 delle mie Replies. .
(lI3a) [Aggiunta nel 1975]. Credo che questa frase fosse un'eco di JOHN
LAIRD, Recent Philowphy, Thornton Bultef\vorth, London 1936, il quale mi
descrivc come .. un critico, bcnehe anche un alleato D del Cireol0 di Vienna
(dr. p. 181; cfr. anche pp. 187-90).
(114) efr. ARNE NllliSS, Moderne Philosopher, Almqvist and Viksell/Gebers
Forlag AB, Stockholm 1965; trad. ing!. col titolo: Four Modern Philosophers,
University of Chicago Press, Chicago and London 1968. Nella nota 13 3 p. 13s
della trad. ingl., Naess scrive: «La mia esperienza fu dd tutto simile a quelJa
di Popper ... La polemica [in un libro inedito di Naessl ... seritta... tra il 1937
e il 1939 era diretta contro alcune tcsi fondamenrali e alcunc tendcnze del
Circolo, 1113 Neurath 1a prese come = proposta di ITIodifkhc gia accettate
in linea di principio e che sarebbero state rese ufficiali in pubblicazioni suc-
cessive. In seguito a questa assicurazione laseiai cadere i progetti eli pubbli-
care l'opera ».
(114.0) Sugli sviluppi di tutte queste discllssioni, efr. Ie note 115-120.
(llS) crr. C. & R. [1963(a)], p. 2538.
(116) Ruu(ll.F CAR..,(AP, Vber Protokollsiitze, in «Erkenntnis » 3 (1932), 215·28;
cfr. spec. 223-28.
(117) Cfr. RlJll()LF CAfu'W', Philo.wphy and Logical Syntax, Psyr.:he Minia-
tures, Kegan Paul, London 1935, pp. 10·13, che corrispondono a « Erkennlnis»
3 (1932), 22485. Carnap pada qui di "verificazione ". mcntrc prima aveva detto
(giustamente) di me cIte parlavo di «contI"Ollo .. (<< testing .. ).
(118) Cfr. C. G. HI!MPEL, in «Erkenntnis» 5 (1935), spec. 249-54, dove Hem-
pel descrive (rifercndosi all'artieolo eli CARN.o\}>, Vber ProtokollsiirZe) iI mio
metoda piu difl'usamenLe di quanta non avesse fatto Camap.
(m) RUDOLF CI\Ill\:I\P. in u Erkenntnis» 5 (1935), 290-94 (con una replica alia
critica eli Reichenbach alla L.d.F.). C. G. HEMPEL, in Deuts<:he Litf'ratllrZeiltlng
58 (1937), 309-14. (Ci fu anche una seconda recensiollc ad opera di Hempel).
Qui faccio menzione solo ddlc recensioni e deIle critichc piiJ. importanti dci
mcmbri del Circolo.
(12Q) HANS RElclmNHACH, in «Erkenntnis» 5 (1935), 367-84 (con una replica
alia recensionc di Carnap dclla L.d.F., aHa qualc Carnap a sua volta replica
brevemente). OTTO NEURAlH, in «Erkenntnis " 5 (1935), 353-65.

214
(121) WERl\fR HEISENBERG, Ober quantentheoretische Umdeutung kilU~ma­
dscher und mechanischer Beziehungen, in « Zeitschrift fUr Physik» 33 (1925),
879-93; MAX BORN e PASCUAL JORD,\N, Zur Quantenmechanik, ibid. 34 (1925),
858-88; MAX BORN - WERNER HEISENBERG - PASCUAL JORDAN, Zur Quantenmechanik
II, ibid. 35 (1926), 557-<515. Tutti e tre questi articoIi sono tradotti in inglese
in Sources of Quantum Mechanics, a cura di B. L. van der Waerden, Not'th·
Holland Publishing Co.. Amsterdam 1967.
(J22) Per una relazione sul dibaUito efr. NIELS BOHR, Discussion with Ein-
stein on Epislt!mological Problems in Atomic Physics, in Albert Einstein:
P/lilosopher,Scientist, a eura di Paul Arthur Schlipp, Library of Living Philo-
sophers, Inc., Evanston, Ill, 1970, pp. 201-41. Per una critica delle argomen-
tazioni di Bohr in questa dibattito, efr. Ia mia L.Se.D. [1959(a)]. nuova Ap-
pendicc * XI, pp. 444-56, L.d.F. [1966(e)] e [1969(e)), pp. 399-411, e [1967(k)].
(123) JAJlvlES L. PARK - HENRY MARGENAtJ, Simultaneous Measurability in Quan-
tum Theor)" in « International Journal of Theoretical Physics" 1 (1968), 211-83.
(124) Cfr. [19S7(e)] e [l959(e)].
(125) Cfr. [1934(b)], pp. 171s, [1959(a)], pp. 235s, [1966(e»), p. 1845; [1967 (k») ,
pp. 34-48.
(1 26 ) Albert Eitlstein: Philosopher-Scientist, pp. 201-41 (cfr. n. 122, sopra).
(12i) Cfr. spec. [1957 (l)] , [1969{k)], ora cap. 5 di [1972{a)1; [1963 (h));
[1966(f)], ora cap. 6 di [1972(a)]; [1967(k)]; e (1968 (s)] , ora cap. 3 eli [1972(a)],
in cui e anche ristampato, come cap. 4, [l968(r)], dove si pUD trovare una
trattazione piu aOlpia.
(1~) AIUHUR M .mcH. Die Gnmdlagen der Quantemmxhanik, Barth. Leipzig
1931; efr. l'indice analitico di [1934(b)], [1959(a)J, 0 [1966(e)].
(!29) I risultati qui riportati sonG in parte di data posteriore. in par-
te di data anteriore. Per le mie vedute successive. efr. il mio contributo
alia Festschrift in onore di Lande. Particle Annihilation and the. Argument
of Einstein, Podolsky, and Rosen [1971(n)].
(130) Cfr. JOHN VON NEllMlINN, Mathematische Grundlagen dcr Quanten-
mechanik. Springer-Verlag, Berlin 1931, p. 170; la trad. Inglese: Mathematical
Foundations of Quanfurn. Mechanics, Princeton University Press, Princeton
1955, p. 323. Guindi. andle Sc l'argomento di von Neumann fosse valida, non
confuterebbe 11 determinismo. InolLre, Ie sUe suppostc «regole" I e II, alle
pp. 3135 (cfr. p. 2255) - edizion~ ted~sea p. 167 (cfr. p. 118) - sono incot!renti
con Ie relazioni dl commutazione, come fu dimostrato prima da G. TIlMPW,
The Fundamental Paradox of tlte QUa/Hum Theory. in "Nature ~ 135 (1935),
957. (Che Ie regole I e II di von Neumann siano ineompatibili con 1a roee-
canica quantistica l'aveva detto ehiaramente R. E. PEIERLS, The Ftmdanumtal
Paradox of tile Quantm'/'l Theory, in "Nature» 136 (1935), 395. Cfr. anche
p,\RK e M\RGEr.'iAU, Simultaneous Measu.rability in Quantum Theory (v. sopra,
n. 123). L'al·ticolo di JOHN S. BELL e On the Problem of Hidden Variables in
Quamum il"lechanics, in «Reviews of Modern Physics" 38 (1966), 447-52.
(HI) C. S. PEIRCE, Collected Papers of Charles Sanders Peirce. a cura eli
Charles Hartshorne e Paul Weiss, Harvat'd University Press, Cambl'idge, Mass.,
1935, vol. VI; cfr. 6.47 (prima ed. 1892), p. 37.
(132) Ad avviso eli Schrodinger, Franz Exner diede questa indicalione nel
1918; efr. ERWIN SCHRODINGER, Science, Theory, and Man, Dover Publications,
New York 1957, pp. 71, 133, 1425 (originariamente pubblicato come Science
and the Human Temperament, Allen and Unwin, London 1935; efr. pp. 57s,
107. 114); e Die Naturwissenschaften, 17 (1929), 732.
(1l3) VON NEllMII_"IN, Matflematical Foundations of Quantum Mechanics,
pp. 326s (ed. tedesca. p. 172: « ... l'evidentc ordine causale del mondo su
vasta scala (. .. [degliJ oggetti visibiIi ad occhio nudo) non ha certamcntc aUra
causa che la "Iegge del grandi mlmeri" ed e completamenle indipelldentc dal
latto che Ie leggi naturali che regolano i processi elementari siano causaZi 0

215
no" (corsivD mio; von Numann si riferisce a Schrodingcr). E' chiaro c1Je
questa situazione non ha alcun rapporto diretto con 1a meccanica quantistica.
(134) Cfr. andle il mio [1934(b)], [1959(a)] e suc(;essive cdizioni, sezionc 78
(ed andle 67-70); [l9S0(b) e (e)]; 11957(g)], Prefaziont:; [19S7(e»), [1959(eJ];
[1966(0], spec. sezione IV [1972(a)], cap. 6; [1967(k.)].
(m) Questa e I'idea che 110 cuel'cntcmenle sostenuto. La si puo trovare.
eredo in Richard vun MisE's,
(130) ALFRDJ LANDE. Decerminism verSIl.S Continuity in Modern SCIence, in
«Mind ", n.S. 67 (1958). 174-81, e From Dualism to Unity in Quuntum Physics.
Cambridge University PL-C5S. Cambridge 1960, pp. 5·8. (Ho chiamato questo
argomento «il r:asolo eli Lande ,,). [Aggiunta del 1975]: Ora vedi allche JOliN
WATKINS, The Unity ot Pupper's Thought, in The Philusophy of Karl Popper,
a cura di Paul Al·thur Schilpp, pp. 371-412.
(137) Cfr. [1957(e)J. [1959 (c)], e [l967(k».
(1Ja) Perch": Ie particelle non dovrebbero cssere particclk, ~Jmeno ad una
prima approssimazione, per esscrc forse ~picgate con una tCOl'ia di campo?
(Una teoria unificata del campo. del lipo, poniamo, tli Mendel Sachs). La
sola obiezione di cui io sia a conoscenza dcriva dall'interprctazione della
« imbrattamento " delle formule di indelenninazione di Heisenberg; se Ie «par-
ticcUc" sono sempl'C « imbrattate ", non sonG particeJ.lc:: rcali. Ma questa obic-
zione non sembra dimostrabilc: c'e un'interprctazione statistica della rnec-
caniea quantistica.
(Dopo aver scritto quanto sopl'a, ho scritto un contributo per la Fest-
schrift in onore di Lande [1971(n)], citato sopra alia nota 129, E poi ho letto
due opere notevoli chc difendono I'intcrpretazione statistica della mcccanica
quantistica: EOWARD NELSON, Dynamical Theories of Brownian Motiorl. Prin-
celon University Press, Princeton 1967, e L. E, BALI.ENTII\'E, The Statistical
Interpretation of Quantum Mechanics, in «Reviews of Modern Physics» 42
(1970). 358-81. E' assai incOL'aggiante trovare qua1che appoggio dopo una lotta
solitaria eli trcntasette anni).
(119) efr. Spec. [1967(k)].
(B9a) Questa frase ~ slata aggiunta nel 19i5,
([40) W. DUANE, The Transfer in Quanta of Radiation .1Homentum to Matter.
in «Proceedings of the National Academy of Sciences" 0Nashington) 9 (1923),
153-64. La regola pub essere scritta cosi:
!).p, == nh! j.x. (n un intero),
Cfr. WERt."'ER HElSfiNBERG, TJze Physical Principles of the Quantum Theory
Dover, New York 1930, p. 77,
(141) LANDE. Dualism to Unity in Quantum Physics, pp. 69, 102 (efr. n. 136,
sopra), e New Foundations of Quantum Mechamcs, Cambridge University
Prcss, Cambridge 1965, pp. 5-9.
(142) efr. spec. [1959(a)], [l966(e)], nuova Appendice ... XI; e [l967(k)).
(I4~) ALBERT EINSTEIN. Zur Eleklrodynamik bcwegtcr Karpel'. in "Annalen
der Physik", 4 ser, 17, 891-921, trac!. ingi.: On the Electrodynamics of iHovhlg
Bodies, in ALBERT EINSTEIN et a1., The PrinCiple of Relativity, trad. ing!. di
W. Pennett e G. B. Jeffery, Dover, New York 1923. pp. 35-65.
(144) EINSTEIN, Relativity: Special and General Theory (1920 ed edizioni
successive), L'originale tedesco c Vi'C/' die spezielle utul die allgemeine Rela/i-
vitiitstheorie, Vieweg lmd Sohn, Brunswick 1916. (V, sopra. nn, 32 e 33).
(144a) [Aggiunta nel 1975]. Questa interprctazione positivistica e operazio-
nalistica della definizionc di Einstein della simull3Ileita iu da me respinta
nel mio O.S. [1945(c)]. p. 18, e piil encrgicamentc in [1957(h)) e successive
edizioni, p. 20.
(145) efr. \'articolo di EINSt"EIN del 1905, sezione 1; in Principle of Relati·
vity, pp. 38-40 (v. sopra. n. 143).
(146) Applicando errUllcamente il principio molto intuitivo della tran·

216
sitivita (Tr) agli eventi che stalUlo al di la di un sistema, si puo facilmente
provare che due eventi qualsiasi sono simultanci. Ma db contraddkc l'assun-
to assiomatico che nell'ambito di un sistema inerziale c'O: un ordine tempo-
rale; cioe chc per ogni due eventi in un sistema, vale una ed una sola delle.
tre relazioni: a e b sono simultanei; a vieDe prima di b; b viene prima di a.
Questo fatto e trascurato in un aTticolo di C. W. RJI:mIJK, A R.igorous Proot
of Determinism Derived from the Special Theory of Relativity, in « Philosophy
of Science» 33 (1966), 34144.
(14i) Cfr. MARTA KOKO$ZY}lSKA, Vber (!en absoluten Wa11rlieil5begriff und
.:inige andere semantische Begriffe, in "Erkenntnis» 6 (1936), 143·65; cfr.
CAR'ilAP, Introduction to Semantics, pp. 240, 255 (v. sopra. n. 15).
(l<lll) [1934(b)J, sezione 84, Wallrht:it und BCl'.'ahnmg; efr. Rt1DOLF CAR..'li\P,
Wahrheit und Bewiihruug, in «Prol·eedings of the IVth International Con-
gress for Scientific Philosophy", Paris 1935. (Paris, Hcnnann, 1936). vol. IV,
pp. 18--23; un adattamenlo e apparso in trad. ingl. col titolo: Truth and COIt-
finnation, in Readings in Philosophical Allalysis, a cura di Herbert Fcigl e
Wilfrid Sellars, Appleton-Century·Crofts, Inc., New York 1949, pp. 119-27.
(149) Molti membri del Circolo riliutarono all'inizio di operare con I'idea
di verita: cf:r. KOKOSZYNSKi\, Vber den absolulen WailrheilSl)cgriff (v. sopra,
n. 147).
(l49,,) [Aggiunta nel 1975]. Cfr. spccialmente L.Sc_D. [1959(a)J cd edizioni
successive, plmti 4-6 aile pp. 3965S (= L.d.F. [1966(e)], plmti 4-6 alie pp. 349s;.
(lSO) efr. Appendi<.:e IV di [1934(b)] c [1959(a)]. Dopo la guerra, una prova
della validita della costmzione l'u data da L. R. B. Elton e da me.
(E' colpa mia, e me ne dispiace, che il nostro 5aggio non sia mai stato
pubblicato). Nella sua recensione di L.Se.D. (in «Mathematical Reviews" 21
[1960J, recensione 6318). I. J. GOOD cita un suo articolo, Normal Recllrring
Decimals, in «JoUInal of the London Mathematical Society» 21 (1946), 1.67-69.
Che la mia costruzione sia valiua scgue facilmente - corne mi ha faHo rile-
vare David Miller - dalle considerazioni di questo saggio.
(J51) Km MENGER, The Formative Years of Abraham Wald al1d His Work
ilt Geometry, in «The Annals of Mathematical Statistics), 23 (1952). 14-20;
efr. spec. p. 18.
(15 2) Km. MENGER, ibid., p. 19.
(ill) AmwIAM WALD,· Die Widerspruchsfreihci! des KoJ/ektivsbegriffes der
Wahrsc1leinlichkeitsreclmung, in «Ergebnisse eines mathematischen Kollo-
quiums» 8 (1937), 38-72.
(154) JEAN VILLE, comunque, iI qua Ie lessc lUl<l relazione al Colloquium
di Menger Quasi contemporaneamcnte a Walu, prodllsse una soluzionc simile
aHa mia «sequenza aleatoria idealc »: egli costmi lUla sequenza matematica
che fin dall'inizio era hernoulliana, doe casuale. (Era ulla sequenza alquanto
« pili lunga» deUa mia; in altTe parole, non diventava insensibilc alia sele·
;':ione precedente cos!. rapidamente come la mia). Cf:r. JEAN A. VILLE, Etude
criti<jt!c de la llOtiort de colleetif. Monographies des Probabilites: calcul des
pl"ObabiIite.s et ses applicatiQtlS, a cura di ~mile Borel, Gauthier-Villars,
Paris 1939.
(155) Per Ie vane interpr-ctazioni della probabilita, efr. spec. [1934(b)),
[1959(a)] e [1966(elJ. seziolle 48; e [l967(k)). pp. 2&-34.
(156) Cfr. l'Introduzione prima della sezione 79 eli [l934(b)]. [1959(a)],
lI966(e)].
(157) Su tutto questo efr. la llota 243 aHa sezione 33, sotto, e il testo;
elr. anche la se"ione 16. testo aHa nota 9il.
(158) Cfr. [1959 (a)] , p. 401, n. 7; [l966{e)], p. 354.
(159) Una parte di questo la\'oro e stata incorporata nelle nuove Appendici
a L.Se.D. [1959(a)], [1966(e)], e successive edizioni.
(160) Ho letto solo due 0 tre libri (molto interessanti) sulla vita nel ghetto,

217
specialmente LEOPOLD INFElD, Quest. The Evolution of a Scientist, Victor Gol-
lttncz, London 1941.
(161) Cfr. [1945(c)J e successive edizioni, cap. 18, n. 22; cap. 19, nn. 35-40
e testa, cap. 20, n. 44 e testo.
(162) CfT. JOHN R. GREGG - F.T. C. HARRIS (a cura di), Form and Strategy
in Science: Studies dedicated to Josefh Henry Woodger, D. Reidel, Dordrecht,
1964, p. 4.
(163) Molti anni dopo, Hayek mi disse che fu Gottfried von Haberler (piiJ
tardi di Harvard) che nel 1935 aveva richiamato la sua attenzione su L.d.F.
(1104) Cfr. B[;RTRAND RUSSELL, The Limits of Empiricism, in «Proceedings
of the Aristotelian Society" 36 (1936), 131·50. Le mle osservazioni alludono
qui specialmente aile pp. 14655.
(165) AI Congresso di Copenhagen - un congresso di filosofia scientifica -
ci fu un simpatico signore americano che mostTo molto interesse nei miei
confronti. Disse di essere il rappre~entante della Rockefeller Foundation e mi
dicde il suo biglietto da visita: «Warnm Weaver, The European of the Rocke-
felleT Foundation» (sic). Per me questa non significava mente; non avevo mai
sentito nulla delle fondazioni e della loro opera. (Evidentementc era molto
ingenuo). Solo quaiche anno dopo mi resi conto che, se avessi capito il senso
di qucsto inconteo, cib mi avrebbc potu to pOl'tare in AmeJica invcce che in
Nuova ZeJanda.
(166) II mio discorso di apertura al mio primo seminario in Nuova Zelan·
da venne pill tardi pubblicato in «Mind» [1940 (a)] , ed ora fonna il cap. 15
di C. & R. [1963(a)] e successive edizioni.
(167) CfT. [1938(a)); [1959(a)], [l966(e)], Appendice *11.
(163) Cfr. H. VON HALDAN Jr. - F. Jouor - L. KOWARSKI, Liberation of Neu-
trons in the Nuclear Explosion of Uranium, in «Nature» 143 (1939), 470s.
(169) KARL K. DARROW, Nuclear Fission, in «Annual Report of the Board
of Regents of the Smithsonian Institution» (Washington, D.C., Govemment
Printing Office, 1941), pp. 155·59.
(170) Cfr. la nota storica in The Poverty of Historicism [1957(g)], p. IV;
ed. americana [1964(a)], p. V.
(171) Questa rapporto c descritto brevemente nella mia lezione alIa British
Academy [1960(d)], ora Introduzione a C. & R. [1963(a)]; efr. sezioni II e III.
(m) Cfr. L.d.F. [1934(b)], pp. 2275; [1959(a)J, p. 53, n. 3 alia sezione 11;
[1966(e)], p. 27. Cfr. anche [194{)(a)J, p. 404; [1963 (a)J , p. 313, dove il metodo
del controllo e descritto come un metoda essenzialmente critico, cioe di in·
di"iduazionc dcgli errori.
(173) In modo del tutto superf]uo, il pill delle volte uso la brutta paroJa
«razionalista» (corne in «attcggiamento l'azionalistico »), dove sarcbbe me·
glio, e piu chiaro, usare " razionale~. La I'agione (non buona) di cio fu data,
probabilmente, dal fatto che parlavo in clifesa del "razionalismo ».
(174) Cfr. O.S., vol. II [1945(c)J ed edizioni successive, cap. 24 (cap. 14
dell'cdizione tedesca [1958 (i))).
(175) AnRTI!NNE KOCH usb «razionalismo critico» come titolo degli cstratd
da O.S. chc scdse per il suo libra Philosoph)' tor a Time of Crisis. An In/er·
pretation with Key Writings by Fift(!.~" Great Modem Thinkers, Dutton anu
Co., New York 1959; [1959 (k)].
(176) HANS ALBERT, Der kritische Ro.liol1alisml~S Karl Rairmmd Poppers, in
"Archiv flir Rechts- und Sozialphilosophie» 46 (1960), 391-415. HANS ALBER'r,
Traktat uber kritische Vernunft, Mohr. Tubingen 1968 cd edizioni successive
(trad. it.: Per un razionalismo critico, II Mulino, Bologna 1973).
(171) Nella 4 ed. di O.S. [l962(c)]. [l963(1) e (m)] e nelle edizioni succes-
sive, c'e un importante Addendum al secondo volume: «Fattj, standards e
verita: un'ultcriore critica del relativism a " (Pl'. 369·96; cd. it., :pp. 485·523),
che, da quanto ne so, e stato trascurato da quasi tutti.

218
(178) L'analisi della spiegazione causale nella sezione 12 della L.d.F. (e
quinili anrne Ie osservazioni in The Poverty e altrove) la considero ora sosti·
[uita da un'analisi basaLa sulla rnia interpretazione della probabilita come
propenslone [1957(e)], [1959(e)J, [l967(k)]. Questa interpretazione, che presup-
pune la mia assiomatizzazione del calcolo della probabilita (efr., ad esempla,
[1959(e»), p. 40; [1959 (a)] , [1966(e)], Appendici *IV e "V), ci penuette di scar-
ta.rc il modo formalc di parlare e di i.tnpostare la cosa in modo pili realistico.
Noi interpretiamo
(1) pea, b) =r
in questa sen so: «La propcnsione dello stato di cose (0 delle condizioni) b a
prodllrre a eguagJia r» (r C Ull qlla1che nllmero reale). Un asserto come (1) puo
(:~sere una congettura, 0 deducibile da quaiche congettura; ad csempio, una
c()ngettura sulle lcggi di natura.
Possiamo dunque spiegare cuusalmente (in un senso generaiizzato e pill
dcbole di •• spiegare ») a come davuto alla presenza di b, anrne se r nOD
~ cguaie a 1. Cile b sia una causa classica 0 compieta 0 detenninistica di a
si puo afIermare con una congcttura come
(2) p(a, bx) = 1 per ogni x,
uove x si estende a tutti i possibili stati di case, inclus! gU stati incompa,
e
tibili can a 0 b. (Non nemmenQ necessaria che escludiamo gli stati di cose
~ impossibili »). Cib mette in luce i vantaggi di un'rlssiomatizzazlone come 12
mia, in cui il secondo argomento puo cssere inconsistente.
Questa modo di mettere le cose e, come e chiaro, una generalizzazione
<.ldla mia anaIisi della spiegazione causalc. Ci permette, inoltre, di formulare
,< candizionali lIomici,. di vari tipi - di tipo (1) can r < 1, di tipo (1) can
r = 1. e di tipc (2). (Esso offre quindi una solU2.i.one <.lei cosiddetto problema
dei condizionali controfattuuli). E ci permette eli risolvere il problema di
Kneale (cIr. [1959(a)], [1966(e)], Appeudice ., X) della distinzione tra asserti
(leddenta/mente universali e connessioni naturalmente 0 fisicamente neces--
sal'ie, come formulate da (2). Si noti pero che sl possono dare connessioni
lisicmnente !lon necessarie che nondhneno non sono accidentali, come (1) con
LIn r non lantana dall'unita. Cfr. anche la replica a Suppes, nelle mie Replies.
(AggilU1ta dopo il wrnplctamento di questa Autobiograjia).
(179) Cfr. anchc The Poverty I1957(g)J. p. 125, Qui si dOVl'ebbe rinviare a
r. s. MILL. System of Logic, 8 ed., libro III, cap. XII, 5czione l.
(10i1) Cfr. KARL HILFERDING, Lr;! /olldement empirique. de la science, in " Revue
cil;!S questions sci.;ntifiques ". 110 (1936), 85·116. In questa articolo, Hilferding
(un cllimico fisico) spiega malta dilIusamente. Ie mie idee, dalle quali si allon·
(ana ammettendo Ie probabilita induttivc nel senso di Reichenbach.
(IHI J Cfr. anche HIl.FERlJIN'G, Le fondemenr empirique de La science, p. Ill,
can un rinvio alia p. 27 (doe sezioue 12) ddla prima cd. della L.d.F. I 1934(b)].
(1&2) Cfr. The Poverty [195i(g»), pp. 140;; e 149s, ultcdormente. sviluppato
nd cap. 14 di O.S. [1962(c) e (d)], [1963(1) e (m)], [1966(i)], [1967(d)], [1968(r)]
(ora [1972(a)] cap. 4); [1969(j)], e in moHe 1eziom im:dite tenute alia London
5(;hoo1 of Economics e aitrove.
(1&1) Cfr. [1957 (g)] , sezioni 31 e 32, spcc. pp, 149 e 154s.
(1S4) Cfr. vol. II di [1962(c)], [1963(1) e (m)], PP. 93·99 e spec. 97s.
(ISS) Cfr. [1950(a)], p. 170s; [1952(a)], vol. I, pp. 174-76.
(186) Cfr. [l957 (g)] , sezioni 30-32; [1962(c)]; e, piu di recente, [1968(1')] e
lI969U)].
(IS7) Fu questa situazione a portarc nel 1945 aHa pubblicazione di un OpU-
~coJo Research and the University [1945(c)], da me red alto in ~ollaborazione
con Robin S. Allan e Hugh Parton, e sottoscritto, dopa piccole modilicalioni,
da HeIlry Forder e da altri. La situazione in Nuova Zelanda cambia assai
presto, rna intanto io ero giil partito per 1'Inghilterra. (Aggiunta 1975: la storia
lii questa oPusco[o e raccontata da E.T. B(;A]IDSLEY in A History of the Univer-

219
sity 0/ Cal1terbur"., 1873-1973, di W. J. G.\lUlNER et ai., University of Canterbury,
ChristchUl-ch, NZ., 1973).
(188) CfL spec. [1947(a)] e [l947(b)]. Fui portato a questo lavoTO in paTte
dui problemi della tcoria della pmbabiliti: Ie regole della «deduzione natu-
rale» SOIlO intimamente eanness", con Ie lIsliali dcfinizioni ncIl'algebra di BODle.
efr. anehe i sa;;gi di ALFREIl TIIRSK[ del 1935 c 1936, cbe ora fo[mano i capi-
toli XI e XII del SliO libra Logic, ScmanLics, Mctamalhematics, trad. ingl. di
J. H. Woodg:er, OXfOl'd TJnivcrsity Press, London and New York 1956.
(18') [195lJ(b) e (cn.
(190) [19%(b)]; cap. 9 di [1963 (a)] e successive edizioni.
(191) I verbali dell'incontro non sono del tlltto fedcli. II titolo della mia
rdazione, ad esempio, viene ivi rifcrito (e 3110 stesso modo e indica to ne1-
l'elenco stampaLO degli incol1tri) come «Methods in Philosophy", invece che
« Arc there Philosophical Problems? ", ehe era il titolo dennitivamente scelto
do. me. II Scgrdario, iooltte, pensava ehe io mi st~ssi lagnando perche mi
aveva invitato per una breve relazione, per intmdurrc una disc!(ssione - cosa
chI" inveec mi amlava benissimo. II sen;;o del mio diseorso gli 5fugg'j eom·
pletalTIente (il rompicapo contro il problema).
(191) Cfr. C. & R. [1963(a)]. p. 55.
(19l) Cfr. p. 167 della recensione di RYLE di O.S. in « Mind" 56 (1947), 167·72.
(194) Proprio aU'inizio di questo corso formulai, e De dimostrai 10. validita,
la regola metalinguistica della prova indin?ua:
Se Cl segue logieamente cia Don·a, al10ra a e dimostrabile.
(195) Ora in T.~I~SKI, Logic, Semantics, Metamathematics, pp. 409·20 (v.
sopra, n. 188).
(196) Ibid., p. 4195,
(197) Cfr. [1947 (a)) , [1947(b)], [1947(c)]. [1948(h)], [1948(e)], [1948(e)J,
[1948(f)]. La cosa e stata ol'a portala avanti da LEJEWSKI. Cfr. il suo saggio
Popper's Theory of Formal or Deductive inference, in The Philosophy of Ka1'l
Popper, a cura di Paul Arthur Sehilpp, pp. 632·70.
(198) L'errore era connesso aile regole della sostituzione a Timpiazzamento
eli espressioni: io avevo pensato erroneamente che fosse sufficientc fonnulare
queste regale in termini di intcrdeducibilita. mentre in realta cib che ci vo-
leva era l'identitii (<lelle espressioni). Chiariro oro questa osservazione: io
postulavo, ad esempio. che se in un asserlo a due sottocspressioDi \disgiunte)
x e y sonG rntrambe, quando ricorrono, rimpiazzate da un'espressione z,
l'espressione I;sultante (aOlmes;;o che sia un enunciato) c allara il1terdeJucibil~
col risultato del rimpiazzamcnto eli :c, prima, ogni qual volta ricone, con y,
e quindi di y, ogni qual volta rieorre, con z. Quel ehe avrei dovuto PllstU'
lare era che il primo risultato e identico a1 secondo risultato. Mi resi conto
che questo era pili forte, ma pensai erroneamente che potesse bastare Ia
regola piu debole. L'interessante (e t.uttora inedita) conelusione alia quaIt:
fui in seguito port.ato nel tenlativo di rimediare all'errore fu che c'1: una
differenza csscnziak tra logica ptoposizionaie e logic a funzionale: mentre la
logica proposizionale pub essere costruita come lIIl...'l teoria eli insiemi di as,
serti i cui element.i siano parzialmcnte ordinati dalla relazione. di deducibilita,
la logica funzionale richiede, oltre a cib, un metoda specificamcntc morfo-
logico, per it fatto che deve rifel'il'si alla sottocspressione ill un'c-sprcssione
usando un concetto come Quello di idel1tita (rispeHo aIle espressioni). Ma
non si richicde nientc di piu che Ie idee eli irlenlila e lIi sottoespre~,~ione; non
si riehicdc alcuDa ulteriore descrizione, specialmente della forma delle cspres-
sioni.
(199) [1950(d)]
(1(lO) [1950(b) e (c)],
(~I) Cfr. KUln GODEL, A Remark Abou.t the Relationship Between Relati-
vity Theory and Idealistic Philosophy, in Albert Eil1steill; Philosopher-Scien-

220
ist, pp, 555-62 (v, sopra, n, 122), Gli argomenti di Godel sonG (a) filosofici,
b) basati sulla teoria speciale (efr. specialm8nte Ia sua n. 5), e (c) basati
lIUe sue ntlove soluzioni cosmolo~i.::he delle equazioni eli. campo tli Einst.:in,
\'lIle a dire sulla possibilita ill orbite quadridimcnsionali ehiuse in un universo
(rotante) di Goclcl, eome da lui dcscritto in An Example of a New Type of
Cosmological Solutions of Einstein'.~ Field Equations of Gmvitation, in "Re-
views of Modern Physics" 21 (1949), 447-50. (I risultnti (c) furono oppugnati
d" S. CHA.'\'Il!HSI'.KJHR C lAMES P. WRIGHT. The Geodesics it! Gadd's Universe,
in "Proceedings of the National Academy of Scienel::s» 47 (1961], 341-47. Si
noli perC. ehe se anche Ie orbite ehiuse di Godel non sonG geodesiche, questo
18.llo non eostituisce eli per se stesso una confutazione delle upinioni di
Gudel.; che un'orbita dt Godel non e mal stala intesa come perfettamcme
balistiea 0 gravitazionale; perfino quell a di un satellite lunare 10 e solo in
parle).
(202) CfT. SCHIl.PP (a cur-a di), Albert Einstein: Philosopher-Scientist, p. 688
(I'. sopra, n. 122). Non solo sana d'aecordo con Einstein. rna arriverei pef-
j!J10 a dire questo. Se I'esistenza (in senso fisico) delle orbite tli Geidel fosse
una conseguet!za dclla teona di Einstein (iJ che non e), questa fatto dOVTcbbe
,,1\ora valcrc contro la teona. E' chiaro che non sarebbe un argomcnto eon-
clusivo: non e'e nulla del gcnerc; e noi potremmo tro\'arci nella nceessita
eli acccttare Ie orbite di Godel. Penso, tllttavia, che in tal caso dovrenuno
(:el'cnrc qualche alter-nativa.
(203) H~ROL1J HI'lFFIJlNG scrisse {in DCIl melll1eskdige Tanke, Nordisk Foriag,
Copcnhagen 1910, p. 303; trad. tedesca: Der mensclzliche Gcdanke, Leipzig 1911,
p. 333): «La eonoscenzo, ehe deve descrivere e spiegare il mondo pcr noi,
ra sempre parte del mondo esistente; per questa ragione, possono sempre
emergere deJle nuove entita da trattare con essa... Noi non abbiamo eono-
scema a1cuna che vuda oltre I'esperienza; mOl in ne.ssun momento siamo au-
i<.>rizzati a considerare l'esperienzu come eompleta. La cunoscenza pertanto,
anche al SilO apicc, non ci ofIre niente di pii.! chc lin segrnento del mondo
"sislentc. Ogni realta, che lloi possiamo trovarc, e a sua volta lma parte di una
realta pii:! grande". (Devo questa passaggio ad Arne Peterse::n). La migliore
ielca intllitiva di questa incompktezza e qllella di una mappa ehe presenti la
lavola sulla quale viene tracciat3 la mappa e la mappa COSl come viene trae-
ciol:a, (C[r. ane'he Ia replica a Watkins nelle mie Replies.
(204) err. it mio sagl;"'10 [I948(d»), ora [1963(a)], cap. 16 e, pill ditfusamente,
[1957(i)] e [1969(k)J. ora [1972 (a)) , cap. 5.
(2O'Ia) (Aggiunta 1975: CIT. ora il mio [1974 (z,)J).
(205) C'c un int.eressante e den so articolo di WIllIAl\[ KNEALl:, Scientific
Revolution for E~'er?, in "TIle English Journal for Philosophy of Science»
19 (1968). 27-42, in cui egJi sembra toccarc qualcosa della posizione deli-
ocata sopra, e eriticarla. (In molti punti particolari, tuttavia, egli mi frain-
tcndc; p. es., a p. 36: "Chc sc non c'e verila aleum, non puo csscrci un'ap-
prossimazione alia verita ... ". Questo e vem. l'vla dov'e ehe io ho affermato
l"lw non c'/;! verita alcuna? L'illsieme dt'gli asserti teorctici veri della fisica
pui.> non esscre assiomatizzabile [in mo,lo ±inito]; stando a1 teon:ma di Gi::\del
i:: quasi certo che non 10 e. Ma Ia serie dei nostri tentativi di produrre sem-
pre miglior-i approssirnazioni finite pub essere bcnissimo una serie rivoluzio--
llaria in cui noi cerchiamo costantcmente nuovi mezzi tcorctici e matematici
PCI' lma maggiore approssimazionc a questa meta inattingibile).
pool Cfr. C. & R. [1963(a)J, p. 114 (n. 30 al cap. 3 e testo), c it teu-o pa-
ragrafo della sezione 19 della presente Autobiografia.
(:107) In una leltera che mi scrisse it 15 giugno 1935, Einstein approvava
Ie mic idee sullu «falsifieabilitil. come la propricta decisiva di ogni teoria
sulla realta ».

221
(2ll8) efr. Albert Einstein: Philosop!ter-Scientist, p. 674 (v. sopra, n. 122).
E' importante anclle 10. lettera di Einstein riportata a p. 29 di SCHRODINGER
et 0.1., Briefe zur Wel1enmecltanik, a cura di K. Pl7.ibram, Springer-Verlag,
Wien 1961; trad. inglese: Letters on Wave Mechanics, Vision, London 1967.:
la lettera e riportata aile pp. 31s.
(2iJ9) Cfr. iI mio saggio What is Dialectic?, ora cap. 15 di C. &- R. [1963 (a)].
Questa e LIlla vcrsione stilisticamcntc riveduta di [1940(0.)], can alcune note
aggiuntlve. 11 brano qui riassunto ncl testo si trova in C. &- R., p. 313, primo
capoverso. Come mostrr:\to dal1a nota 3 di questo capitolo (n, 1 di [1940(0.)],
io consideravo questa deslOrilione (in cui rik-vavo che il controllo di una teOTia
fa parte della sua critica, ciot: di EE) come una sintesi del mt:todo scien-
tifico descritto in L.d.F.
(210) Can questa SI mettano a confronto i problemi «Chi e nato prima.
l'uovo (0) 0 io. gallina (H)?» e «che coso. viene prima, l'Jpotesi (H) 0 l'Os-
scrvazione (O)? », problemi discussi a p. 47 di C. & R. [1963(a)J. Cfr. anche
[1949{d)], ora in ing!. come Appendice a [1972(a)]; spec, pp. 345s.
("11) Cfr. ad esempio. [1968(r)J, spec. pp. 36-39; [l972(n)], pp. 170·178.
(212) Schrodinger dUende questa concezione come una forma dj idealismo
o panpsichiSU10, nella seconda parte della sua opera postuma Mein WeI/bUd
(ZsoInay. Wien 1961, cap. I. pp. 61-67); trad. ingL My view of the World,
Cambridge University Press, Cambridge 1964.
(213) Alludo qui a WINSTIlN' CHURCHIU" My Early Life, London 1930. Gli
argomenti si possono trovare nel cap. IX (<< Education at Bangalore»), cioe
aile pp. 1315 dell'edizione Keystone Library (1934) a dell'edizione Macmillan
(1944). 10 ho citato lunghi brani nella sezione 5 elel cap. 2 di [1972(a)J; efr.
pp. 42-43.
(214) La citazione non e a memoria, rna c tratta dal primo capoverso del
cap. 6 dj ERWIN SCIrnOI)1NGER, Mind and Matter, 'Cambridge UniVt'rsity Press,
C<lmbridge 1958, p. 88; e di ERWJN SCHRODINGER, Whar is Life? &- Mind and
Matter, Cambridge University Press, Cambridge 1967; (due libri usdti in unico
volume paperback) p. 166. Le idee che Schrodinger difcsc nelle nostrc con-
versazioni erano IDOltO simili.
(215) [l956(b)J.
(216) Per inciso, Ja sostituzione qui di «impossibile ~ con "infinitamente
imllrobabile ~ (forse una dubbia sostituzione) non intaccherebbe il punto
centrale di queste considerazioni; infatti, benche l'entropia sia connessa can
la probabilita, non ogni riferimento alla probabilita. comporta l'entropia,
(217) Cfr. Mind and Matter, p. 86; a What is Life? &- Mind and Matter,
p. 164.
(2IB) Cfr. Mind and Matter, 0 What is Life? &- Mind and .Matter, lac. cit.
Egli usa la locuzione «metodologia del fisico.", probabilmente per disso-
darsi da una m(;'todologia della fisica provenkntc do. un filosofo.
(219) What is Lite?, pp. 74s.
(UQ) Ibid., p. 78.
(2l1) Ibid., p. 79.
(222) Cfr. il miD [1967(b) e (h)J.
(223) Cfr., ad es., Quantum Mecltanics without "The Observer" [1967(k)];
Of Clouds and Clocks [l96{i(f)], [1972{a)], cap. 6; [s tllere all Epistemological
Problem of Perception? [1968(e)]; 01'1 tile Tfleory of the Objective Mirld
[1968{r)]: Epi.~temology without a Knowing Subiect [1968(s)J (risp. cappo 4
e 3 di [1972(a)] e A Pluralist Approach to the Philosophy of History [1969(j)].
(224) To.rski e stato spcsso criticato per aver attribuito verlt(l aIle propo-
sizioni: una proposizione, e stato detto, non e che una fila di parole scnza
sensa: quindi non pUD esserc vera. Ma Tal'ski parla di «proposi~.ioni sen-
sate~, e questa cdtica, come moltc critichc filosofiche, c perto.nto non solo

222
invalida, rna semplicemente irresponsabile. Cfr. Logic, Semantics, Metamathe·
matics, p. 178 (Definizione 12) e p. 156, n. 1 (v. sopra, n. 188); e, pcr i com-
menU, it mio [1955 (d)] (ora un ad<lendwn al cap. 9 del mio [1972(a)] e
[1959(a)], [1966(e» e successive e<lizioni, n. *1 alia sezione 84.
(225) Cio vale anehe per Ia validita ill alcune regole molto semplici, regole
l:l cui valid ita e stata negata per motivi intuitivi da alcuni lil050fi (spcc.
G. E. Moore); la piu sempliee di tutte qucste regole e: da una propo5izione
a noi possiamo dedurre validamente la stessa a. Qui "iropossibilita <Ii costruire
un controesempio puo essere facilmente mostrata. Che uno accctti 0 no
<-Iuesto argomento, e afi'ar suo. Se non l'accetta e semplicemente in errore.
Cfr. anche iI mio [1947(a)].
(22lo) Molte v(llte, dopo [l934(b)l, sezioni 27 e 29, e [1947(a)], ho detto cose
di questo gem:!'c; efr., ad esempio, [1968(s)J: [1972(a)], cap. 3 -, cd ho soste-
nuto che qud che avevo chiamato i1 "grado di corroborazionc di un'ipotesi
" alia Iuce dei controlli 0 della evidenza e» pub esserc inteso come una
sintesi delle prceedenti discussioni criliche dell'ipotesi h alia luce dei con·
trulli e. (Cfr. nn. 156·58, sopra, sezione 20, e testa). Cosi in L.Sc.D. [1959(a)], p.
414, ad escmpio, io scrissi: <l •• , e(h, e) pub essere adcgl1atamentc interprctato
come grado ill corroborazione di It - 0 della razionalita della nostra credenza jn
11, alla luce ill controlli - solo se e consta di informazioni sui risultato di
~wri !:entativi di confutal'e It ... ». In altre parole, solo il rcsoconto di una di-
scussione sineeramente eritica sl pub dh-e che dctermini, anche parziaimente,
il grado di razionalitc'i (0 la nostra credenza in 11). Nel passe citato (come
upposto alia mia terminologia qui nel testa) ho usate Ie parole « grado di
r3.zionalita della nostra credenza ", ehe dovrebbe esscre ancor pill chiaro di
"credenza razionale,,; dr. anche ibid" p. 407, dove spicgo questo fatto e
chiarisco i1 mio atteggiamcnto oggettivistico, ° almeno credo (come ha fatta
ad nGUSt'am altrove). Nondimeno, il passu citato c stato visto (dal professor
L\KATOS, Changes in tllr! Problem of /tuiuctil'e Logic. in Prohlem of Inductive
I-ogic, a cum di Lakatos, n. 6 aile pp. 412s [v. sop.'a, n. 41]) come un sin·
t.omo dcll'incel'te7.Za del mio oggcttivismo, c come un'indicazione del fatto
chc io sa rei incline agli errori soggettiviSli. Credo che sia impossibilc cviture
tutti i malintesi. ll'll chicdo che cosa 5i diril. mai di queste mie osservazioni
sull'insignifieanza della credenza.
(m) efr. spec. il mio [1971{i)], ora cap. I di [1972(a)].
(228) Quella che ho chiamuto «opinione alia llloda" la 8i pUD far risalire
a J. S. Mill. Per Ie formulazioni moderne, eIT. p, F. STR.\WSON, Introduction
to [,ogical Theory, Methuen and Co., Lodon 1952j John Wiley and Sons, New
York 1952, p. 249s; NBLSON GOODMAN, Fact, Fiction, and Forecast, Harvard
University Pl'ess, Cambridge, Mass., 1955, pp. 63·66; e Ruoor_F CARNAP, Induc-
tive Logic and Induclive Intuition, in Proble.m.~ of Inductive Logic, a cura
di Lakatos, pp. 258-67, spccialmente p. 265 (v. sopTa, n. 41).
(W) Questa mi sernbra una formuJazione linguisticamente piil prccisa di
uno degli argomenti di Carnap; dr. CARNAP, Inductive LogiC and Inductive
Intuition, p. 265, il passo che comincia: ~ Penso che sia non solo legittimo,
rna. anche indispensabile, appcllaTsi al ragionamento induttivo nella difesa
del ragionamento induttivo".
(230) Ibid .• p. 311.
(23J) Per la «conferma mediante un esempio,. di Carnap, cfr. il mio
C. & R. [1963(a)], p. 282s. Quella che Carnap chiama «conferma mediante
un csempio» di una Jegge (una ipotesi universal e) coincide di fatto col grado
di conferma (0 con la probabilita) del easo successivo della kgge; e qUbto
si avvicina a 1/2 0 a 0.99, perche la frequenza reiativa dei casi favorevoli
osservati si avvicini a 1/2, 0 a 0,99, rispettivamcnte. Corne una conseguenza
di cio, una leggc che va confutata da un caso si e un caso no (0 cIa certi
easi sl e eerti casi no) ha una conferma mediante esempio che si avvicina a

223
1/2 (o a 0.99): il ehe e assurdo. Questo l'ho !';piegato Ja prima volta in
[1934(s)). p. 191, eio~ [1959(a)], p. 257, molto prima ehe Carnap pensasse alla
eonferma mediante esempia, in una diseussione delle varie po~sibilita di
attribuire la "probabilita r, a un'ipotesi; e allora dis,;"i ehe quesla conseguenza
era « distrutl.iva '; per questa idea della pmbabilita. Sono perplesso per quanta
riguarda la replica di Carnap in LAKATOS ia cura di), Problem of Inductive
Logic. p. 309s (v. sapra, n. 41). Della COnfelTIl<l mediante esempio, Carnap dice
qui eh.: il suo valore numcrico «e ... un'importante caratteristica della legge.
Ndl'escmpio di Popper, ]a kgge ehe e in media soJdisfatta da una meta dei
casi non ha, in base alla mb definizione, la probabitita di 1/2, come Popper
crcde crroncamente, ma 0 ». jl,la anche se ha quella che CaTnap (ed anche
jo) chiama ~ probabilitil 0 ~, ha. anche quelL'! chc Carnap ehiama «conferma
1/2 mediante esernpio "; ed era queslo iI problema in discussione (benche nel
1934 io usassi il termine "probabilita), ndla mia critiell della funzione ehe
Carnap moHo pili t<.lrdi chiamo "conL'erma rnecliante esempio »).
,~i2) Sono grato a David Miller per aver richiamato 1a mia attenzion<! su
Questa carattcristica di tutti i sistemi di Hintikka. 11 primo saggio di Jaakko
Hintikka sull'argomento fu Towards a Theory 0/ Inductive Generalization,
in Logic, Methodology and Philosoph)' 0/ Science, a cura di Jehoshua Bar·
Hillel, North·Holland Publishing Co., Amsterdam 1964, vol. II, pp. 274·88. Ampi
riferhnenti Ii si pub trovare in RISTO HII.PlNEN, Rules of Acceptance and
Inductiw Logic, in "Acta Philosophiea Fennica" 21 (1968).
(233) Stando alia posizione di Carnap negli anni, approssimativamcnte,
1949-56 (almena), la 10gica induttiva e analiticamente vera. Ma se e c051, non
riesGo a vcdcre in che modo il grado (ji credenza SllppostO come razionale
passa subil'C mutatnenti COS1 radicali come nel passaggio da 0 aa piit forte
discredcnza) a 0.7 (c.redenza moderata). Secondo Ie successive teorie di Car-
nap, «l'intuizione induttiva» opera corne 1ma corte d'appello. Ho indicato Ie
ragioni che dimostrano quanta sia irresponsabilc C pl'cvenuta questa corte
d'uppello; ctr. iI mio (1968(0]. spec. pp. 297·303.
1:-'4) Crr. Fact, Fiction, and Forecast, p. 65 (cfr. sopra, n. 228).
(235) CIr. [1968(i)]. Per la mia. teoria positiva della con-oborazione, v. so·
pra, fine della sezione 20, ed anchc fine dclla sezione 33, spec. n. 243 e tcsto.
~) Cfr. [1957(i)] e [1969(k)], ora rist. come cap. 5 di [1972(a)); e [1957(1)].
(237) Cfr. [1959(a)], fine della sezione 29, e p. 315 della traduzione di
[1935(a)], ivi in Appendicc * I, 2, pp. 315·17; 0 [1963(a)] , Introduzione; c v.
50pra, n. 243 e testo.
(238) Su questo problema particolare - eritica seoza giustificazione - ho
tenuta un corso di lezioni all'Istituto di Studi Superiori a Vienna, nel 19M.
(239) Cfr. spec. [1957(i)) e [1969(kJ], ora cap. 5 di [1972(a»); cap. 10 ill
[1963(a)]; e cap. 2 di [1972(<1)). Cfr. n. 16503 delle mie Replies.
(240) Crr. [l934tb»), p. 186; [l959(a)], p. 252 (sczionc 79).
(241) Crr. [1958(c)]. [l958(f)), [19S8(gll; ora cap. 8 dl [1963(a)J.
(2U) L'espressione ~ programma di ricerea metafisiCD» fll usata neUe nne
lezioni a cominciare dal 1949 circa, se non prima; rna non passo ncgli seritti
pubblicati prima del 1958, benche sia I'argomento prineipalE: dell'ultimo ca·
pitolo del Postscript (in bozze incolonnate fin dal 1957). 10 misi il Postscript
a uisposizione dei miei coUeghi e il professor Lakatos ricollosce ehe quel1i
che egli ch..iama ~ pl'Ograrnmi ill ricerea scientifici" SOIlO nella tradizione di
quelli che io descrivevo come «pmgrammi di ricerca metal1ski» ('" meta·
fisici» perche non-falsificabili). Cfr. p. 183 del suo saggio Falsification aHd
the. Methodology of Scientific Research Programmes, in Criticism and the
Growtfl of Knowledge, a cura di Imre Lakatos e Alan Musgrave, Cambridge
University Press, Cambridge 1970).
(243) Pcr indso. e chiaro che i realisti credono nella verita (e chi crede

224
nella verita crede nella rca1ta; efr. [1963(a)], p. 116). e SaruJO anche .::he gli
~,ss~rti veri sana ~ altrettanti,. quanti sana quelli falsi. (Per quanto segue,
dr. anchc la fme della sezione 20, sopra). Data me 10 scopo di quest'opera
~ eli scguire Ja discussione tra i mid critici e me, mi sara consentito eli
acccnnare qui brevemcnte alla recensione di G. J. WARNOCK, della mia L.Se.D.
in « Mind S9 (1960), 99-101 (v, anche Sopra n. 2S, sezione 7). Ivi leggiamo,
J)

a p. 100, a praposito dclle mie idee sui. problema dell'induziooe: "Ora Popper
dice cnfaticamente che questa venerabile problema c insolubile... ». Sana si-
curo di non aver mai dctto questo, menu che mai enfaticamente, <lato che
semprc mi sono illuso eli aver risolto vcramellle questo problema nel libra
recensito, Piu avanti, alia stessa pagina, leggiamo: «[Popper] vuok affer-
marc, per Ie sue opinioni, non ehe offrono una soluzione del problema di
Hume, rna che impcdiscono che qU~5to 5i ponga ". Questo e in contrasto con
J'affcrmazione che si legge all'inizio dd mio libro (specialmente sezioni 1 e 4)
che quelJo che io chiamavo il problema humiano ddl'indllzione t: uno dei
due problemi fondamentali deUa teoria della eonoscenza, Pili avanti 5i ba
una versione veramCl1tc buona della mia fonnulazione di questo problema:
"corne ... possiamo esscre giustiIicati nd ritcnere veri, od anehe probabil-
mente veri, gli asserti generali <li ... una tcoria scientifica l>. La mia risposta
direUa a questa domanda era; noi lion possiamo essere giustifjcali, (Ma tal-
volta possiamo essere giustificati nel preferire una delle teorie concorrenti
alk altre; cfr. il testo al quale si rifcrisce questa nota). M;~ Ja recensione
continua; «Popper sostiene che non c't! speranza alcuna eli rispondere a que-
sta domanda, dato che cssa richiec1e che 51 risolva il problema insolubile
dcll'induzione. Ma, egli dice, e del tutto inutile e fuori Iuogo porsi questa
d()manda », Nessuno dei passi che ho citato vuol essel'e crilico; essi inteD--
dono, piuttosto, riferi,.e do che io «dieo enfaticamente »; do che «voglio
affcrmare", che «sostengo ", che «dieo ». Un po' piu avantl nella recensione,
la critica comincia can Ie parole: « Ora, basta questo ad e1iminare il pro-
blema "insolubile" dcll'induzione?.
Dato che ci sono, posso anche ricordarc che questo recensore COllcentra
ia sua erhica del mio Iibro sulla tesi seguente, che meltero qui in corsivo
(p. 101; la parola "aver fiducia» [« rely n] significa qui, corne appare dal
contesto, «aver fiducia per it futuro »): «E' evidente, e do implica chiara-
mente il suo Iinguaggio, che Popper suppone che noi siama {lutorizzali ad
aver {tducia [per i1 futuro] in una twria ben corroborata ", Ma io non ho
mai supposto nit:ntc di simile, Cib che <lico e chc una teoria ben corroborata
(che sia stata discussa criticamente e mess a a confl"Onto con Ie conconenti,
e StU fino a qHesto momenta « sopravvissuta ,,) e razionalmentc pre/cdlJile
ad una teoria corroborata meno bene; e che (a mCI10 che non si proponga
una nuova teoria in eoncorrenza) non abbiamo nulla di meglio che prefe-
rirla, e basarci su di f:ssa, Gl1che se sappiamo molto belle c11e ill qllalcfle
futuro cast] essa plla illdurci it! errore, Devo quindi I'espingere la critica del
rccensore, in quanto si basa Sl.l un fraintendimento totalc del mio testa, frain-
lcndimcnto causato dalla sastituzione del suo proprio problema dell'induzione
(il pmblcma tl-adizionale), al miD (che e molto diverso). err. O!'ll anche
[1971 (i)l. rist. come cap, 1 <li [1972(a»).
(244} Cfr. ERNST M,K1T, Die Pri1zzipien del' Wannelehre, Barth, Leipzig
Ui96, p, 240; a p. 239, l'espressione «filosofico generalc ~ e equiparata a
« Illctafisico »: e Mach insinua che Mayer (per iI Quale avcva Ima grande
'.Illnnirazione) si ispirava a intuizioni • metafisiche~.
(245) Cf... A Nole on Bel'ke1ey as Precursor of Mach [1953(a)], or cap. 6
di [1 1)';3(a)].
(246) Cfr, SCl-lRODINGER et a1,. Briefe zur Wellenmechanik, p. 32; Ie traduzio-
ni sono mie, mOl la lettera si pub trovare in Inglese nell'edizionc delle Lellers

225
Dn Wave Mechanics, p. 35a (v. sopra, n. 208). La lettera di Einstein porta la
data dd 9 agosto 1939.
(247) Cfr. ERWIN SCHROIl!NGER, Die gegenwartige Situ.ation in der Quanten·
m~chanik, in « Die Naturwissenschaftcn" 23 (1935) 807-12, 823·28-844-49.
(2~) (I corsivi sono rniei). efr. la lettera di Einstein citata sopra, n, 246,
eci. anehc 1a sua 1ettera, molto simile, del 22 diccmbre 1950, nel meclesimo
libro, p. 36s Urad. ing!. pp_ 39s). (Si noti chc Einstein prende per certo
chc una teoda probabilistica debba essere intel'pretata soggettivarncnte ove
cssa si riferisca ad un caso singoJo; Stl questo punto noi due siamo stati <Ii
divcrso avviso fin dal 1935. Cfr. [1959(a)], p. 459, e nota).
(249) efr. specialmente i richiami a Franz Exner in SCHRODINGER; Science,
Theury and Mall, pp. 71, 133, 142s (v. sopra, n. 132l.
(1'iO) efr. il mio saggio Quantum Mecita)lics wit/lOU.t «The Observer»
[1967(k)], dove si 1.1'o\'eranno dei richi:J.rni aDche ai miei altri scritti in questo
campo (specialrnente [1957(c)] e [1959(e)].
(231) La lcttera di van der Wacrden reca la datu del 19 ottobre 1968. (E'
una lettera in eui egli critiea anehe me per un riehiamo storieD errata a
Jacob Bernoulli, a p. 29 di (l967 (k)].
P-Z) Dato che questa e un'autobiografiu, potn:i forse ricordare chc Del
1947 0 1948 rice\'etti una Icttcra da Victor Kraft, il quale mi scriveva a nome
della Facolta di Filosofia ddl'Universita di Vienna, chiedendomi se fossi di-
sposto a ricoprire la cattedra cli Schlick. Risposi che non avrei lasciato rIo-
ghilterra.
(2S3} Max Planck mise in dubbio la eompctcnza <Ii Maeh come fisieo per-
fino nel campo prdcrito da Mach, 1a tcoria fenomenologica del calon~. Cfr.
MAl( P/..~NCK, Zur Machschen Theorie der physikalischen Erkenntnis, in «Phy-
sikaUsche Zdtschrift» 11 (1910) 1186-90. (efr. anehe il precedente scritto di
PLANCK, Die Eirlheit des physikalischen Weltbi/des, in «Physikalische Zeit-
schl'ift", 10 (1909) 62-75; e 1a replica di MACH, Die Leigtgedanken meiner wissen-
schaftlichen Erkenntnislehre und i/lre Aufnahme durch die Zeitgenossen, in
«Physikalische Zeilschrift », 1J (1910) 599-6(){).
(25-1) efr. JOSEI' M!l.YERHOFER. Ernst Machs Berufung an die Wiener Univcr-
sitiit, 1895, in «Symposium aus Anlass des 50. Todestages von Ernst Mach,.
(Ernst Mach Institut, Freiburg im Brcisgau, J966), pp_ 12-25. Un'affascinante
biografia (in tedesco) di Boltzmann e quella di E. BROil.'., Ludwig Boltzmann,
Franz Deulicke, Wien 1955.
(:>55) Cfr. sotto, note 256 e 261.
(236) Cfr. E. ZERNIELO, Ober einen Satz der Dynamik unu die mechanische
Wiirmetheorie, in «Wiedemannsche Annalen .. (Annalen der Physik) 57 (1896)
485·94. Vent'anni prima di Zermelo, I'arnico di Boltzmann, Losc:hmidt, ha ri-
levato che invel'lendo in un gas tutte Ie veIocita si pub far andare indietro
il gas, facendoJo cosi ritornare allo stato ordinato da cui 8i suppone che sia
caduto nel disordine_ Questa obiezionc di Loschmidt e detta 1<1 «obiezionc
della reversibilita », mentre quella di Zermelo e chiarnata «obiezione della
rieorrcnza ~.
(Z57) PAUL e TATIANA EHRENfllST, Ober zwei bekanllte Einwande gegen das
Bolzmannsche H-Theorem, in «Physikalische Zeitsehrift,. 8 (1907) 311-14.
(2;a) Cfr. ad esempio MAx BORN, Natural Philosophy uf Cause and Chance,
Oxford Univcl'sity Prcss, Oxford 1949, il quale, a p. 58, scrive: «Zt:rmclo,
un matcmatico tedesco, il quale lovarava su problcrni astratti come la teoria
degli insiemi di Cantor e i mUlleri transfiniti, si 3YVenturo nella [isica tra-
ducendo in tedc~co l'opera di Gibbs sulla meccanica statistica ». Si 110tino
pero Ie datc: Zcrrndo critico Boltzmann nel 1896; pubblic6 la traduzione dt
Gibbs, che egli ammirava moltissimo, nel 1905; scrisse il suo primo saggio
sulla teoria degli insiemi nel 1904, cd iI secondo solo nel 1908. Era quindi
llll fisico ancor prirna di diventare un matematico «astratto o.

226
(259) efr. ERVIN SCIIRODINGER, Irreversibility, in "Proceedings of the Royal
Irish Academy» 53A (1950) 189-95.
(UiO) Cfr. LUDWIG BOLTZM,\NN, Zu Hm. Zermelo's Abh.andlung: « Vber die
mechanische ErkUirung irrever.~ibler Vorgange », in «Wiedmannsehe Anna-
kn" (,' Annalen de. Physik ,,) 60 (1897) 392-98. La parte centrale del saggio
i! ripetuta nelle sue Vorlesung.:n uber Gastheorie, J. A. Barth, Leipzig 1898,
.... 01. II, pp. 2575; anche qui he usato traduzioni mie, rna it passo corrispon·
dente si pub trovare in L. Boltzmann, Lectures on Gas Theory, trad. ing!. eli
Stephen G. Brush, University of California Press, Berkeley and Los AngeJes
1964, pp. 446s.
(261) La prova migliore di Boltzmann di dSjdt ~ 0 era basata suUa sua
cosiddetta integrale di collisione. Questa rappresenta I'dfelto medio !'iU una
singola moleeola del sistema di tUlle Ie altre molecule del gas. 10 ritengo
(a) che non siano state Ie collision! a portare ai risullati di Boltzmann, rna
la. media come tale; la eoordinata del tempo vi gioea una parte perche
prima della collisione non c'ern alcuna media, e I'incremento dell'entropla
sl'lnbra essere pertanto il risultato di collisioni fisiche. La mill. idea e inoltre
elle, a prescindere del tutto dalla derivazionc di Bollzmann, (b) Ie collision!
tl'a Ie molecole del gas f10n sono decisive per l'incremento dell'entropia, ben-
che 10 sia I'assunto del disordinc: molecolare (che subentra per il tl'amite
della media). Poniamo, infatti, r.:he un gas oceupi cOllternporaneamente la
meta di un recipiente: presto esso «riempira» l'intero recipiente - allche
sc C COS] rado che (in pratica) Ie sole collision! sorw con Ie pal'eri. (Le pareH
50110 essenziali: efr. it punto (3) dl [1956(g))). Dico inoltre che (c) possiamo
intcrpl"etare la deJivazione di Boltzmann nel senso che un sistema ordin;1to
X diventa quasi eel't~lme.nte (cioe can probabilita. 1) di£ordinato in sC'guito
a collisione COrl un qlla!siasi sistema Y (ad e!;empio, lc pareti) che si trova
in lIDO state seeIto a C<lSO, 0 piu precisamentc in uno stato non arrnonizzato
sotto ogni aspelto can 10 stato d"i X. In questa interpretazionc, ovviamentc,
il teorema e valido. La «obiezione della reversihiJita» (v. sapra. n. 256),
infatti, mostrerebbe solo che pel' sistemi come X nel suo stato disordinato
,:,siste almeno un altro sistema Y (« accoppiato »), che per collisione (invcrsa)
I'iporterebbe il siRterna X al suo stB.to ordinato. L'esistcnza prcttamentc mao
tematica (anche in un senso costruttivo) di lID tal sistema Y • accoppiato »
a X non erea difficolta alcuna, dato che Ia probabilita che X entri in eolli·
sione con un sistema ad esso accoppiato sara uguule a zero. Pertanto il
korema H, dS/dt ~ 0, vale quasi cerlamente per tutti i sistemi in collision.:..
(Ci6 spiega perche la seconda legge "alga per tutti j sistemi clliusi). La "obie-
.done della ricoITcnzu» (v. sopra, Il. 256) 1': valida, rna cio non vuol dire ehe
la probabilita di una ricoITcnza - dell'entrata del sistema in uno stato in
cui si troVa\1a prima - sara apprezzabilrncnte maggiore di zero per un sj·
~tema di qualsiasi gr:l.do di compies"ita. Rimangono ancora dei problemi
apcrti. (Cfr. la mia serle di note in "Nature., [l956(b)J, [1956(g)], [1957(d)J,
[1958(b)], [l965{f)], [l967(b) e (h)], e la mia nota [1957(f)], in «The British
Journal for the Philosophy of Science »).
(262) Cfr. [1956{b)] e la sezione 30 (su Schrodinger), sopra, specialmcnte
iI testa alle note 215 e 216.
(263) Vedi sopra, sezione 30. Su questi argomenti tenni una conferenza
alla Oxford Univt:rsity Science Society il 20 ottobre 1967. In questa confe-
nmza feci anche una breve critica dell 'articolo, ehe ebbe grande risonanza,
di Schrodinger sulla ~ irreversibilita" (v. sopra, n. 259); lvi, a p. 191, egli
scrive: «Voglio rifoITIlulare Ie leggi della... irrcversibilita... in modo tale
che 1a contraddizione logica che ogni derivaziont: di queste leggi da modelli
l'eversibili sembra comportare sia rimossa una volta e pcr sempre". La ri·

227
formulazione di Schrodingcr coosiste in un modo ingegnoso (un metodo
chiamato pili tardi iI "metodo del sistemi eli r<lmificazione,,) di introduIT<:' Ie
freece del tempo di Boltzmann con una specie di definizione operazionale;
il risultato e quello di Boltzmann. E il metodo, come quello di Boltzmann,
e troppo forte: esso non salva (come Schrodinge.r pel1sa) la derivazione di
Boltzmann - doc la sua spicgazione fisica del teorema H, J]la piuttosto dil,
aJ. contrario, una definizione (tautologica), daJla qualc la seconda kgge seguc
immcdiatarnente, Rende quindi ridondanle ogni s)Jiegazione fisica della se-
conda legge.
(264) Die Prinzipiett del' Wiirmelehre. p. 363 (v. sopra, n. 244). II nome di
Boltzmann Qui non compare (it nome appare, accompagnato da una ccrLa
stima, aHa pagina seguentc), rna la descrizione della" mossa» (" Zug.) e inc-
quivocabile: in realta esso descl'ivc l'o$cill'llJlcnto di Boltzmann. L'attaeco <.Ii
Mach in questo capitola (<< The Opposition between Mechanicistic and Pheno-
menological Physics »), se letto tra Ie righe, e severo; ed Co associato a un
segno di autocompiacimento e ad una fiduda che il giudizio della staria
sara dalla sua parte; corne difatti fu.
(26;) Questa sezione e siatu qui aggiunta perche 1a lilcngo significativa
per la comprensione della mia cvoluzione intellettuale 0, piil in partkolare,
per Ja mia pill. recente battaglia contro il soggetlivismo in fisica,
(266) Crr. LEo SZILARD, Vber die 11usdehmmg dcr phiinomcnologischcn Ther-
mod),l1amik aut die Schwankl.mgserschcim-mgcn. in « Zeits.:hJ'ift fiil- Physik» 32
(1925) 753-88, e ()ber die Entropievermindcrzmg in t?il1em thennodynamischen
System bci Eingriffen intclligCllter Wesen, ibid. 53 (929) 840·56; questo se-
condo articolo e stato tradotto col tilol0 «On the Decrease of Entropy in
a Thermodynamic System by the Intervention of Intelligent Beings", in
"Behavioral Science» 9 (1964) 301-10. L'idea di Szilard \liene rHinita da L.
BRILLOUIN, Scientific Ul1cer-tai1lty aHd Illformation, Academic Press, New
York 1964. MOl io credo ehc tutte queste idee siano state criticate in modo
chiaro e decisivo da J. D, F.~~T, Entropy, ristampa riveduta e ampliata della
2 ed., Macmillan, London 1970, Appen<.lice 5. Devo questa indicazione a Troels
Eggers Hansen.
(?i>7) NORBI3RT WIENER, Cybernetics: Or Control and Communication in the
Animal and the Machine. M.LT. Press, Cambl-idge, Mass., 1948, p, 44s, cerco
di sposare questa teoria a1la teoria tli Boltzmann; non credo peri> che questo
connubio abbia t1'Oval0 veramente posto nello spazio logico - e neanche
in ql1ello del libro di Wkner, dove le due teorie sono eonfinate in contesti
radicalmente differenti. (Polrebbero incontrarsi nel postulato ehe do ehe si
c.hiama coscienza e essenzialmente crescita di conoscenza, cioe incremento
d'informazione; rna, per Ja verita, ;0 non voglio incoraggiare b specuJazione
idcalistica, e terno assai la fecondita eli un tate matrimonio). La teoria 50g-
getth'a dell'cntropia, comunque, e. strettamente eonne:;~a sia col famoso dia-
1"010 di l\;b.:'i:\vdl sia coL tcorema H di Boltzmann. J\llax Born, ad esempio,
iL quail' crc(k nell'jntcrpretazionc originale del teorema H, attriuui,;ec a Que-
,to un significato (parzialmentc?) soggettivo, inLerpretando l'integralc di <.:01-
lisione e la «media" (entrambe discusse sopra, nella nota 261. alIa sezione
35) come « miscuglio di conoscenza meccanica e di ignoranza dei particolari »;
Questa miscuglio eli conoscenzu c ignoranza, egli dice, «porta all'irreversibi-
lita,,_ err. Bom., Natural Philosophy of Cause and Cllance, p. 59 (v. sopra,
n. 258),
(268) eEL, ad esempio, Ie sezioni 34-39 c 43 della L.d.F. [1934tb)], [1966(e)J,
e L.Se.D. [1959(a)J.
(,.69) Cfr. specialrncnte [1959(a)], nuova Appcndice .... xi (2), p. 444; [1966(e)],
p.399.

228
(210) Per la misurazione e la sua funzione di accJ:'escirnento del contcnuto
(0 di incremento dell'infonnazionc). efr. sezionc 34 di [1934(b)] e [1959(a)).
(211) Per una critica generalc degli esperimenli mentali, efr. Ia nuova
Appendice "xi della mia L.Se.D. [1959*(a»), spec, pp. 4435.
(272) Come l'assunto che il gas consiste di una sola molecola M, COS1 an-
che I'assunto che, scnza dispendio di energia a scnza neghentropia, possiamo
introdurre un pistone da un lata nel eilindro, e ovviarnentc usato dai rniei
critici nelle lora prove della convertilJilita della conoscenza e della neg hen-
tropia. Qui e innocuo, e non e vcramente richiesto; v. satta, n. 274.
(m) DAVlIJ BUHl\i, Quantum Theory, Prentice-Hall, New York 1951,· p. 608,
si richiarna a Szilard, rna opera con piu rnolecole. Egli non 51 fida pero, de-
gli argorncnti di Szilard, TIla si rifa all'ide-" gt'm:rale che il diavolo di Max-
well sia ineompatibilc can la legge dell'incremento dell'entropia.
(Z74j Cfr.il mio saggio irreversibility; 01' Entropy since 1905 [1957(01.
un arlicolo in cui mi richiamavo soprattutto a1 bmasa artieolo di Einstein
del 1905 suI movlmento browniano. In qucU'urticolo crititavo anche, tra gli
altTi, Szilard, benche non 10 faces5i sulla base dell'cspcrirnento qui usato,
Avevo gia sviluppato questo esperimento till po' di tempo prima del 1957,
C Sli di esso, sulla medesima linea seguiLa qui nel testa, avevo tcnuto Lilla
eonferenza ncl 1962, per invito dd professor E. L. Hit], pl'esso H dip~lrtirncl1-
to di fisica dell'Universita del Minnesota.
(275} Cfr. P. K. FEYERMlCND, On the Possibility of a Per'pelutll1l MO/Jile of
the Second Kind, in ,II;J·ind. Matter, and Method. Essays in Honor of Hel'bert
Feigl, a cura di P. K. Feyerabcnd e G. Maxwell. University of Minnesota
Press, Minneapolis 1966, pp. 409,12. Devo qui ricordare che l'idea di reatizzare
una vah'ola nc.I pistone (v. sopra, fig. 3), per evitarc la dit!icolta di dove rio
introdurre da un lato, e un affinamento che Feyerabcnd fece della mia ana-
lisi originale dell'esperimento mentale. ill Szilard.
(276) Samuel Butler ha 5ubito molti torti da parte dcgJi evoluzionisti,
comprcso un grave tort·o da parte ill Charles Darwin il quale, benehe assai
lurbato da questa, mai mise a posta Ie case. Lc cose fuwno messe a posto,
per quanta possibile, <lal figlio di Charles. Francis, dopo la mark di Butler.
La storia, alquanto complicata. menta di esscre rinarrata. Cfr. pp. 167·219
di NDRA BARWW (a cura di), Tilt! Alltobiography of Charles Dlllwin, Collins,
London 1958. spec. p. 219, dove si potranno trovare dei rinvii a moltissimo
altro rnateriale impOTlante.
(m) Cfr. [1945 (a)] , sezione 27; efr. 11957(g)] ed edizioni successi.ve. spec..
pp. 106-8.
(278) Alludo qui aile osservazioni di Schrodinger sulla leoria evoluzioni-
stica in Mind and il,latter. specialmente quclle indicate dalla sua espressione
« Fe.ignet Lamarckism,,; efr. Mind anti Matter, p_ 26; e p. 118 della ristampa
citata nella nota 214 supra.
(279) La confel'enza [l961(j)] fu tenuta il 31 ottobre 1961. e il manoscritto
iu depositato 10 stcsso giomo presso la Bodleian Library. Ora si presenta
in una yersione riveduta, con un addendum, come cap. 7 del mia [l972(a}].
(2oo) CEr. [l966(f)]; ora cap. 6 di [1972(a)]_
(2ro.) Cfr. [1966(f)].
(281) Vedi sopra, sezione 33. spec. n. 242.
(202) Cfr. L.Sc.D., sezione 67.
(;>g]) Per it problema dei «gradi di predizione ». cfr. F. A. HAYEK, Degrees
of Explanation, pubblicato la prima volta nel 1955 ed ora cap. 1 dei suoi
StlIdieS in Philosophy, Politics alld Economics, Routledge and Kegan Paul,
London 1967; cfr. spec. n. 4 a p. 9. Per il darwinismo e la produzione di
« una grande "ariem di strutture D, e per 1a sua irrefutabilitil, efr. spec. p. 32.
(284) La teoria darwiniana della selezione sessualc e in parte un tenta,

229
tivo di spiegare Ie istanzc falsificlmti d.i questa teoria: case, ad esempio,
comc la coda del pavon(! 0 l(! coma ramificate del cervo. Cfr. iI testa prima
della nota 286.
(285) Per il problema della (! spiegazione in linea di principia» (a « dd
pdndpio ») ill quanta contrapposta alia «spiegazione di dettaglio", efr.
Rna:, Philosophy, Politics arid Economics, cap.!, spec. sezione VI, pp. 11·14.
(ZM) DAVID L.\CK fa questa precisazione nel suo Iibro affascinante Darwin's
Finches, Cambridge University Press, Cambridge 1947, p. 72: « ... nei frin·
guelli di Darwin tlltte Ie principali differenze del bccco tra Ie varie specie
si possono considerare come adattamcnti aile differeaze nella dieta» (I ri-
chiami di que5ta nota a1 comportamento dcgli uccclli Ii devo a Arne Petersen).
(287) Secondo la vivida descrizione dl LACK, ibid., pp. 58s, I'assenza di una
lunga lingua nel becco d.i una delle specie til picchio dei frillguelli dl Darndn
non impediscc a questo uccello eli scavare nei tronchi e nei rami in cerca
di insctti; cib va bene per i suoi gtlsti; ma, data 1a sua particolare inferiorita
anatomica, il picchio ha svill1ppato una capacita al fine di ovviare a questa
difficolta: "Una volta che ha sea"alo, esso solleva col becco una spina 0
un ramosccllo del cactus, della ]unghezza di uno 0 due pollici, e tenendolo
Jungo nel bccco scnlta la fessura, abbassando il ramoscello pcr catturare
I'insctto non appella viene fuori ». Questa singolare tcndenza del comporta·
mcnto pub essen~ una « tradizione» non-genetica sviluppatasi in quell a specie
can 0 senza istnlzione tra i suoi rnembri; rna pub anche csscre un modello
comportamenta]e rndicato geneticamente. Cio vuol dire che un'autentica in-
veazione comportamentale puo prendere i1 posta di un mutamento ana to·
mico. Comunque sia, questo esempio fa vedcrc come il comport amen to degIi
organismi possa eS8ere una «punta avanzata,. dell'evoluzlone: una specie
di soluzione biologica dei problemi che pub portare all'emergere di nuovc
forme e specie.
(288) Cfr. ora iI mio Addendum del 1971. A Hopeful Behavioural Monster,
alia Spencer Lecture, cap. 7 di [1972(a)J; efr. anche AusTroR HARDY, The Living
Stream; A Restatement Of Evolution Theory and Its Relation to the Spirit
of Man, Collins, London 1965, iezione VI.
("289) Ouesta e una delle idee principali della mia Spencer Lecture, ora
cap. 7 di [1972(a)].
(291)) La teori., della separazione gcografica 0 spedazione geografica fu
sviluppata dapprima cla MORITZ WAGNER in Die Darwin'seILe Theorit:: l!nd das
Migraliol1sgesetz der Organism en, Dunker und HumboIt, Leip7,ig 1868; trad.
Inglese di J. L. Laird, The Darwinian Theory and the Law of Migration of
Organisms. Edward Stanford, London 1873. Cfr. anche TIlEOllOSIUS DOBzHANsK)',
Genetics and the Origin of SpeCies, 3 ed. riveduta, Columbia University Press,
New York 1951, pp. 179·211.
(291) Cfr. [l966(O], pp. 20-26, spec. p. 24s. punto (11): ora [1972(a)], p. 244.
(292) Cfr. [1970(1)], spcc. pp. 5·10; [1972(a)], pp. 289·95.
(292.) Questa capoverso c iI capm'erso successivo del testo (e Ie note cor·
rispondenti) sono stati inserHi nel 1975.
(2!12b) efr. Sir Al.ISTER HARDY, The Living Stream (cfr. n. 288, sopra), spec.
lezioni VI eVIl. Cfr. anche W. H. THORPU, The Evolutiona.ry Significance of
Bahi/at Selection, ill "The JOllrn31 or Animal Ecology» 14 (1945) 67,70.
(2')1) Dopo aver portato a termine la mia Autobiogralia, ho accolto il sug·
gerimento di John Eccles oi chiamare il terzo mondo «manda 3~; efr. J. C.
ECct,ES, Facing Reality, Springer·Verlag, New York, Heidelberg and Berlin
1970. Cfr. anche n. 7a, sopra.
(29.) Questa argomcntazione per 13 realta di qua1che cosa - chc possiamo
consjderare come l'argomcl1tazione <1elle « coordinate» che coincidono - penso
che si debba a Winston Churchill. Cfr, p_ 43 del cap. 2 del mio Obi. Kn.
[1972(a)].

230
(l~5) Cfr. p. 15 di [1967(k)J: « ... ncll'insieme reputo cccellentc il suggeri-
mento di Lande di dire fisicamente reale do che "si puo pl'endere a calci"
(ed e a sua volta capace di tirar calci se viene preso a calci)".
(296) Si prenda, ad esempio, il fraintendimento di Einstein del suo stcsso
requisito della covarianza (messo per la prima volta in discussione da Kretch·
mann), che avcva gia una lunga storia quando fu Gnalmcnte spiegato, soprat·
tuUo (penso) grazie agli sforzi di Fock e Peter Havas. Gli studi rilevanti
sana: ERICH KkRTSCHMANN, Vber dell pllysikalischm Sinn der Relalivil<'itstheo-
ric, in "Annalen dt:r Physik" 4 serie, 53 (1917) 575-614; e la replica di
EINSTI;lN. Prinziviel1es zur allgemeinen Rdath'iltitstheorie ibid. 55 (1918)
241-244. Cfr. anche V. A. FOCK, Tlte Theory of Space, Time arid Gravitation,
Pergamon Press, London 1959; 2 ed. riveduta, Oxford 1964: e HAVAS, Four-
Dimensional Formulutiorl.5 of Newtonial! Mecllanics and Their Relation to
Relativity (v. sopra. n. 32).
(297) Cfr. [1968(1')], [1968(s)]; efr. :lnche A Realistic View of Logic, Physics,
and History [1970(I)J e [1966(f)]. (Questi saggi sono ora rlspettivamente i
cappo 4, 3, 8, 6 di [1972 (a)]).
(298) II discorso sulle "sostanze» nasce dal problema del mntamento
(<< Che cosa rimane costantc nel cangiamento?~) e dal lentativo eli rispondere
ane domande che cosa e? Il vecchio motto dl spiri to * col quale Bertrand Rus-
sell veniva tOl1nentato da11a nonna - What is Mind? No matter! What is mat·
ter? Never mimI! - mi sembra non solo pertinente, rna pcrfettamente ade-
guato. MegHo chicdere: «Che cosa fa la mente? ».
(2'l9) Le ultime due frasi 5i possono intcrpl'etare come un argomento con·
tro it panpsichismo. L'argomento, come e ovvio, e inconclusivo (giaeche il
pnnps!chis\11o e inconfutabiie). e resta taJe anche se rafforzato daUa scguente
osservazione: anche Sl? attribuiamo stati coscienti (poniamo) a tutti gii atomi,
il problema di spiegare gli stati di coscienza (come il ricordo 0 l'ant1cipa-
zione) degli animali £uperiori resta altrettanto difficilc quanta 10 era prima,
senza questa attribuzione.
(lOO) Cfr. i miei sagg'i Language and the Body-Mind Problem [1953(a)] e
A Note on tlle Body·,Uitld Problem [l955(c»); ora cappo 12 e 13 di [1963(a)).
(30I) Wittgcnstein (<< L'elligma non esiste »: TractalUs, 6.5) esagero l'abisso
ira il mOlldo del fatti descrivibili (" dicibili ») e it mondo di cia che e pro·
fondo e non puo esser detto. Ci sono delle gradazioni; il mondo del dicibile.
inoltrc, non sempre manca di profondita. E se pcnsiamo alla profondita, c'e
un abisso tra queJJe cose ehe possono eSscre dette - tra un libro di cucina
e il De revolutionibus .Ii Copernico - e c'/,:: un abisso nell'ambito di quelle
cose che non possono esserc dette - tra un oggetto del tulto privo tli gusto
artistico c un ritratto dl HOlbein; e questi abissi possono eSSere molto piu
profondi lii queUo che c'e tra qualcosa di dicibile e qualcosa di nOll dicibile.
E' la sua facile soluzione del problema della profondita - la tesi: «H pro-
fondo e l'indicibile» - che unisce il Wittgenstein positivista al Wittgenstein
mistico. Questa tesi, per inciso, e stat a PCI' lungo tempo tradizionale. spe·
cialmente a Vienna (e non solamente tra i filosofi). Cfr. la citazione da Robert
Reininger in L.Se.D., n. 4 alIa sezione 30. Molti positivisti ne convengono;
ad csempio Richard von Mises, 11 qualc fu un grande ammiratore del poeta
mistico Rilke.
(.lIl2) David Miller dice che io ho introdotto il lUondo 3 per riportare
l'cquilibrio tra j mondi 1 e 2.
(303) Vedi sopra. sezione 10 e 15.
(.JIJ.I) Dopa aver scritto questo fui informato del secondo volume delle
opere complete di KONIWl LoRENZ, Uber tieriseltes und menscT1liches Ve 1-11 aI-

* Risultera evidente, a chi conosce I'inglese. il gioco di parole basato


sull'ambiguita in questo contesto di "mind" e "matter", (N.d.T.),

231
terr, Gcsammdte Abhandlungen, R. Piper and Co. Verlag, Munchen 1967, vol.
II; efT. spec. pp. 316s. In questi saggi Lorenz critica, richiamandosi a Erich
von Holst, J'idea che la deJimitazione tra i1 mentale e iI fisico sia anchc una
delimitazione tra Ie funzioni di controllo superiori e quelle inferiori: eerti
processi relativamcnte pl"imitivi (come un forte mal di denti) sono intensa-
mcnte eoscicnti, mentre certi processi altamente controlIati (come l'inter-
prctazione elaborata degli stiolOli sensoriali) sono inconsci, tanto che il loro
risultato - la percezione - ci sembra (erroneamcnte) semplicemente ~ dato -.
A me pare che questa sia wl'jdca importantc, che non puo essere ignorata
in ncs~una teoTia su.I problema corpo-mente. (D'altro canto, pcro, non riesco
a hnmaginare chc il caraltere oImipervasivo di un fmte. mal di dcnti causato
da till nervo rnorente abbia un valore biologico come funzione di controllo;
a qui ci intercssa appunto it earattere geTarchico dei controW).
(305) R. W. SPERRY, The Great Cerebral CommissUlT, in «Scientific Ame-
rican» 210 (1964) 42-52; c Brain Bisection and MecJzanisms of Consciousness,
in Brain QlJd Conscious Experience, a cura di J. C. Eccles, Springer-Verlag,
Berlin, Heidelberg and New York 1966, pp. 298·313, ci dice di non pensare
chc la separazione sia a»soJuta: rimane tula certa misura di col1egamento
con l'altra parte del cervel1o. Nondimeno, nel sCC0ndo saggio menzionato,
egli scrive, a p. 300 :" Lo stesso tipo di separazione mentale destra-sinistra
[aecertato nei pazicnti chc manipolano gJi oggettij risulta anche dai tests
che intcressano la vista. Si tenga presente che la meta di destra del campo
visivo, unitamenle alla mana destra, e rapprcsentata ndl'emisfero sinistro,
e vice. versa. Gli stimoli visivi. come irnma~, parole, numeri, figure geo·
metriche, proieltati su uno schermo direttamente di fronte a1 soggetto e
sulla dcstra di Wl punta centrale eli fissazionc, si che vcngano proiettati
ndl'emisfero dominante del lingllaggio, 50no dcscritti e rifcriti correttamente
seoza alcuna partic.olare difficolta. D'altra parte, perc', 10 stesso materiale
proiettato s1llla meta di sinistra del campo visivo, e quindi neU'emisfero se·
condario, vengono completamcnte perduti per I'emisfero del linguaggio. Gil
stimoli proicttati su una meta del canlpo sembra che non abbiano alcuna
influenza, nei tests finora disponibili, :mlla percezione e interpretazione de·
gJi stimoli presentati alJ'a1tra meta del campo".
(.105a) [AggilUlta del 1975]. Cfr. l'interessantissimo !ibro di A. D. DE GROOT.
Thought and Choice in Chess, Mouton, The Hague 1965; Basic Books, New
York 1966.
(Y.l6) WOLFGANG KOHLE.1!, The Place of tfalue in a World of Fact, Liveright,
New York 1938. Ho sostituito «valori ~ a "valore» e «fatti" 3 «fatto» per
indicare la mia accent.uazione del pluralismo.
(307) Per questo, efr. la conc1usione della replica a Erost Gombrich. nelle
mie Replies. (Aggitillta dopa il completamento ill questa Aurobiografia).
(300) Schiller dice qualcosa di simile a questo:
Amid, qual piacere servirvi! Ma 10 faccio per profonda inelinazione.
Non virtu e dtmque la mia, e ne sono assai addolorato.
Che cosa posso farci? Devo impararc a detestarvi,
E, col disgusto in CUOL'C, a scnrirvi come il do\'cre comanda.
(lOO) Cfr. l'Addendum, Facts, Starldards, and Truth, in O.S., 4 ed. [1962(c)]
cd cdizioni successive:, vol. II.

Ho liletto la traduzione delle sczioni concernenti In fisica can il prof.


Aldo Bressan, ordinario di meccanica razionale presso In Facolta di Scicnze
dcll'Univer~ita di Padova; e ]e sezioni riguardanti la biologia Ie ho rilette
con il prof. G. Federspil, dcll'Istituto ill Semciotica Medica della stessa lIni-
versita. Ringrazio pubblicamente e l'uno C l'altro. La rcsponsabilita della
traduzione resta, ovviamente. mia [N.d.T.].

232
Bibliografia

1. PRINCI~ALI PUBBLICAZIONI E ABBREVIAZIONI DEI TITOLI


Nelle Note vcngono usate le abbreviazioni che scguono per riferirsi alle
principali pubblicazioni dcll'Autore. Tra Ie parentesi quadre si trovano i rio
chiami aUa bibliografia scelta.

L.d.F. = Logik der Forschung. 1934; 6 ed. (basala su L.Se.D.) 1976. Cfr.
[1934(b)) e [1976(a)]; dr. anche L.Sc.D.
0.5. = Th.e Open Society' and Its Enemies, vol. I, TIle Spell of Plato;
vol. II. The High Tide of Profecy: Hegel, ,1;larx. and The Aftermath. 1945;
10 rislampa 1974. CiL [194S(b), (c)]. [1950(a)J. [l974(z,)]. Traduzione in olano
dese. finland ese, tedesco. italiano, giapPOIlcse. portoghese. spagnolo, lurco;
prossimamente: francese.
The Poverty = Tile Poverty of Historicism. 1944-45. 1957. 8 ristampa 1974.
Cfr. [1944(a), (b)]. [1945(a)]. [1957(g)J. [1974(z,)]. Traduzione. in arabo. olano
dese, francese, tedesco, italiano. giapponese, norvegese. spagnolo.
L.Sc.D. '" The Logic of Scientific Discovery. 1959; 8 ristampa 1975. (Com'
prende una traduzione inglese della L.d.F. [1934(b)]. efr. [1959(a)), [1975(u)].
Traduzione in francese, tedesco. italiano, giapponese, portoghcse. serbo·croato,
spngno!o; prossimamcnte polacco e rumcno.
C. & R. :; COtliectures and Refutation: The Growth of Scientific Know-
ledge, 1963; Sa ristampa 1974. efr. (1963(a)], [l974(z,)]. Tratluzione in itaJiano
e spagnolo; prossimamentc: tedesco e gb.pponcsc.
Obi. Kn. '" Objt;ctive Knowledge: An Evolutionary Approach. 1942; 4" rio
stampa 1975. Cfr. [1972(a)J, [1975(r)]. Traduzione in tedesco, italiano, por-
tughese. spagnolo. giapponcsc.
Replies .": Replies to my Critics. in PAUL A. SCHII.l'P (a cura di). The
Philosophy of Karl Popper, vall. 14/1 e 14/1[. in The Library of Li1)illg Phi-
losophers, Open Court Publishing Co .• La Salle, Ill .• 1974. pp. 961-1197.

2. BIBLIOGRAFIA SCELTA
Questa lJibliografia segue, nella sua numerazione (ad esempio « [1945(a)] »),
la «Bibliography of the Writings of Karl Popper », compilata da Troc\s Eg-
gers Hansen per The Philosophy of Karl PoppeT, volL 14/I e 14/11 di The
Library of Li"ing Philosopl1ers. a c.ma di Paul A. Schilpp. La Salle, Ill..
Open Court Publishing Co., 1974-. pp. 1199-1287. Qui sano stati omessi alcuni
titoli e ne sono stati inseriti degLi altrL

1925(a) Vher' die Stelluug des Lehrel'S zu Schule und SchUler. Gcsellschaf-
tliehe oder individuulistiche En:iellLmg?, in «SchulrefOlID» (Vienna) 5, pp.
204·208.
1927~a) lur Philo sophie des Heimatgedankms, in «Die Quelle l> ,Vienna)
77. pp. 899-908.
(b) «Gewoh,!heit" und ~ GesetzeTlebnis" in der ErziehuHg. incdito, tesi
presentata (incompiuta) all'Istituto di Pcdagogia della Citta di Vienna.

233
1928(a) Zur Methodenfrage der Deni<.psychologie, inedito; disscrtazione
presentata pcr il dottorato presso Ia FacoIta di Filosofia dell'Univl.':rsita di
Vienna.
1931 (a) Die GediichtnisptZege Imler dem Gesichspunkl der Selbstliitigkeit,
in «Dic QueUe" (Vienna) 81, pp. 607-619.
1932(a) Piidagogische Zerlsdlriftenschau, in ~ Die QueUc l> (Vienna), 82,
pp. 301-303; 580-582; 646-647; 712-7 J3; 778-781; 846-849; 930·931.
1933(a) Ein Kriterium des empirischen Charakters theoretischer Systeme,
una lettcra al diretlore, in "Erkenntnis", 3, pp. 426-427.
1934(b) Logik der Forschul7g, Julius Springer Verlag, Vienna (con data di
stampa «1935»).
1935(a) "Induktionslogik" und «Hyopthesenwaltrscneinlicrlkeit », in ~ Er-
kenntni.5 », 5, pp. 170-172.
1938(a) A Set of Independent Axioms tor Probability, in «Mind", 47,
pp, 275.2n.
1940(a) What is Dialectic?, in «Mind ", 49, pp. 403-426.
1944(a) The Povert)' of Historicism, I, in «Economica », 11, pp. 86-103.
(b) The Poverty of Historicism. II. A Criticism of Historicist Methods,
in «Economica ", 11, pp. 119-137.
1945(a) The Poverty of Historicism, III, in "Economica », 12, pp, 69-89.
(b) The Open Society and Its Em~mies, volume I, The Spell at Plato,
George Routledge and Sons Ltd., London.
(c) The Open Society and Its Enemies, volume II, The High Tide of
Prophecy: Hegel, Marx, and The Aftermath, George Routledge and Sons Ltd_,
London.
(e) Research and the University: A Statement by a Group of Teachers
in the University of New Zealand, in The Caxton Press, Christchurch, New
Zealand; scritto in collaborazione con R. S. Allan, J. C. Eccles, H. G. Forder,
J. Packer e H. N. Parton.
1946(b) Why aTe the Calculuses of Logic and Arithmetic Applicable to
Reality?, in «Aristotelian Society, Supplementary Volume XX: Logic and
Reality D, Harrison and Sons Ltd., London, pp, 40-60.
1947(a) New Formulations for Logic, in «Mind ~ 56, pp. 193-235.
(b) Logic Without Assumptions, in «Proccedings of the Aristotelian So·
ciety ~ XLVII, pp. 251-292.
(c) Functional Logic withouth Axioms or Primitive Rules of Irlference, in
~ KoninkJijke Ncderlandsche Akademie van Wett:nschappcn, Proceedings
of the Section of Sciences" (Amsterdam) 50, pp. 1214-1224, e (t Indagationes
Mathemalicac », 9, pp. 561-571.
1948(b) On the Theory of Deduction, Part I. Derivation and its Genera·
lizations, in "KoniDklijke Nederlandsche Akademie van Wctenschappen, Pro·
ceedings of the Section of Sciences» (Amsterdam) 51, pp. 173-183, e Inda-
gationes Mathematicae, 10, pp, 44-54.
(c) On the Tllcory of Deduction, Part II_ The Definitions of Classical Qlld
Intuitionist Negation, in "Koninklijke NederIandsche Akademie van Wcsen·
schappen, Proceedings of the Section of Sciences» (Amsterdam), 51, pp. 322·
331, e Indagaliol1es Mat/!ematicae, 10, PP. 111·120.
(d) Prediction and Prophecy and their Significance for Social Tl1€ory,
in (t Library of the Tenlh International Congress of Philosophy, L Procee-
dings of the Tenth International Congress of Philosophy", a cura di E. W.
Beth, H. J. Pos e J. H. A. Hollak, North·Holland Publishing Company,
Amsterdam, pp. 82·91.
(c) The Trivialization of Mathematical Logic, ibid., pp. 722·777.
(f) What can Logic do for Philosuphy?, in « Aristotelian Society, Supple-

234
mentary Volume X.XII: Logical Positivism and Ethics~, Harrison and Sons
Ltd., London. pp. 141-154.
1949{d) Naturgesetze u.nd theoretische Sysleme. in Geset'l. u.nd Wirklich-
keit, a cura di Simon Moser, Tyrolia Verlag, Innsbruck und Wien, pp. 43-60.
1950(a) The Open Society and Its Enemies, Princeton University Press.
(b) Indeterminism in Quantum Physics and in Classical Physics, Part I,
in «The British Journal for the Philosophy of Science ». 1. pp. 117-133.
1950(c) Indeterminism in Quantum Physics and in Classical Physics, ParI
1I, in u The British Journal for the Philosophy of Scienc", », 1, pp. 173-195.
(d) De Vrije Samenleving en Haar Vijarlden, F. G. Kroonder, BUSSUlll,
Holland.
1952(a) Tile Open Society and Its Enemies (seconda edizione ingJese), Rou-
tledge and Kegan Paul, London.
1953(a) Language altd the Body-Mind Problem, in "Proceedings of the
Xlth lntemlltional Congress of Philosophy~. 7, North-Holland Publishing
Company, Amsterdam, pp. 10t-107.
(d) A Hote on Berkeley as Precursor of Mach, in «The British Journal for
the Philosophy of Science », 4, pp. 26-36.
1954(c) Self-Reference and Meaning in Ordinary Language, in "Mind",
63, pp. 162-169.
19.'iS(c) A Norc C'I1 the Body-Mind Problem. Reply to Professor Wilfrid
Sel/ars, in "Analysis~, IS, pp. 131·135.
(d) il Note on Tarski's Definitiou of Truth, in «Mind ", 64, pp. 388·391.
1956(b) The Arm\\-' of Time, in '. Nature ". 177, p. 538.
(g) Ine1Jersibilit)' Clnd iHechanics. in «Natura », 178, p. 382.
1957(<11 Philosophy of Science: .4 Personal Report, in « British Philosophy
in the 1'I·1id-Ccntury; A Cambridge SympQsimu ", a cura di C. A. Mace, George
Allen and Unwin, London, pp. 155-l91.
(d) Irreversible Processes in PlIysical TfJeory, in « Nature", 179, p. 1297_
(e) The Pmpensity Interpretation of tlle Calculus of Pmbahility, and
the Quantum Theory, in «Observation and Interpretation; A Symposium
of Philosophers and Physicists: Proceedings of the Ninth Symposium of
the Colston Research Society held in the University of Bristol, April Ist-
April 4th, 1957 ", a cura di S. Korner, in collaborazione con M. H. Pryce,
Butterworths Scientific Publications, London, pp. 65-70, 88-89.
(f) Irreversibility; or Entropy since 1905, in «The British Journal for
the PhtJosophy of Science », 8, pp. 151·15S.
(g) The Pot'ertJ' of Historicism, Routledge and Kegan Paul, London, and
The Beacon Press, Boston, Mass.
(h) The Open Society arid Its Enemies, terza edizione, Routledge and
Kegan PaUl, London.
(0 The Aim of Science, in «Ratio), (Oxford) .1. pp. 24-35.
(j) Ober die Zielsetwng del' Ertahrunswissenschaft, in «Ratio" (Frank-
furt a.M.), 1, pp. 21-31.
(k) Der Zaubcr Platons: Die offene Gesellschaft und litre Feinde, vol. I,
Francke Verlag, Bern.
(1) Probability Magic or Knowledge out of Ignorance, in «Dialectica »,
11, pp. 354-372.
1958(b) Irreversible Processes in Physical Theory, in u Nature », 181, pp.
402-403.
(c) Das Problem der Nichtwiderlegbarkei! von Philosophien, in «Deut-
sche Universitatszeitung" (Gottingen). 13. pp. 7-13.
(0 On the Statu.s of Science and of Metaphysics. Due discorsi radioEo-
nici: (I) Kant and the Logic of Experience; (II) The Problem of the Inef flta -
['ilily of Philosophical Theories, in «Ratio" (Oxford), 1, pp. 97-115.
(g) Uber die MCiglichkeit der Er!allrungswissenschaft und de,.. Metaphy-

235
sik. Due discorsi radiofonici: (1) Kant Imd die Moglichkeit dcr Er/ahrung·
swissel1schaft; (II) tiber die Nichtwider-Iegbarkeit philo50phischer Theorien,
ill «Ratio" (Frankfurt a.M.), 2, pp. 1-16.
(i) Falscl1e Prophetel1: Hiigel, Marx und die Fe/gen, Die offene Gesell-
schatt und ihre Feinde, vol. II, Francke Vedag, Bern.
\959(a) The Logic of Scientific Discovery, Hutchinson and Co., London,
Basic Books, Inc .. New York.
(e) The l'ropensi.t}' interpretation of Pmbahility, in "The British Journal
for the Philosophy of Science », 10, pp. 2542.
(g) Woran glal/ht der Westen?, in Erziehrmg Zllr Freil/eit, a cura di
Albert Hunole!, Ellgen Rentsch Verlag, Stuttgart, pp. 237-262.
(k) Critical Rationalism, in Philosophy for a Time of CI'isis: .411 Inter-
pretation with Key Writings by Fifler!.11 Great Modern Thinkers, a cum di
Adliennc Koch, Dutton illld Co., New York, pp. 262-275.
1960(d) On the Sources of Knowledge and of Ignorance, in «Proceedings
of The British Academy», 46, pp. 39-71.
1961(d) Sdbstbe/reiung dllrc11 das Wissen, in Der Sinn der Geschichte,
a cura di Leonhard Reinisch, C. H. Beck Verlag, Miinchen 1961, pp. 100-116.
(Trad. ingtese [l968 (t)J).
(0 On the Sources of Knowledge and of Ignorance, Annual Philosophical
Lecture, Hemiette Hertz Trust, British Academy, Oxford University Press,
London.
(ll) Pllilosophy and Physics, in «Atti del XII Congresso Intcrnazionale
di Filosofia". 2. G. C. Sansoni Edilore, Fircnze, pp. 367-374.
(j) Evolution aHd the Tree of Knowledge, Herbert Spencer Lecture, teo
nuta il 30 ottobre 1961 a Oxford. (O.·a cap. 7 di [\972(a)).
1962(c) The Open Society aml Its Enemies. quarta edizione inglese, Rout-
ledge and Kegan Paul, London.
(d) The Open Society and Its Enemies, Routledge Paperbacks, Routledge
and Kegan Paul, Londoc.
(f) Julius Kraft 1898·1960, in «Ratio» (Oxford) 4, pp. 2-10.
(k) Die Logik del' S07..ialwis.~enschaften, in "Kainer Zdtscluift fUr So-
ziologie und Sozialpsychologie ", Heft 2, pp. 233·248. (Cfr. anche [1969(m)J c
[1976(b )]).
1963(a) Con;eclllres and Refutatio/ls: The Growth of Scientific Knowledge,
Routledge and Kegac Paul, London, Basic Books Inc., New York.
(h) Science: Problems, Aims, Responsibilities, in «Federation Procee-
dings" (Baltimore), 22, pp. 961-972.
(1) The Open Society and Its Enemies, Prinedon University Press, Prin-
ceton N. J.
(m) The Open Society and lts Enemies, The Academy Library, Harper
and Row, New York and Evanston.
191i4(a) The Puverty of flistoricism, The Academy Library, Harper and
Row, New York and Evanston.
1965(f) Time's ArrolV and El!tl'opy, in «Nature .. , 207, pp. 233-234.
1966(a) The Open Sociery and Its Enemies, quinta edizione inglese, Rou-
tledge Paperbacks, Routledge and Kegan Paul, London.
(e) Logik der FOTschung. seconda edizione, J. C. B. Mohr (paul Sjebek),
Tiibingen.
(f) Of Clouds and Clocks: An Approach to the Prall/em of Rationality
alld the Freedom of Man, Washington University Press, St. Louis. Missouri.
(Ora in [1972(a)]).
(g) A Theorem Olt Truth-Content, in Mind, Matter Gnd Method: Essays
in PhiloStlphy at/d Science in Honor of Herbert Feigl, a cura di Patti K.
Feyerabend e Grover Maxwell, University of Minnesota Press, Mirmeapoli~,
Minnesota, pp. 343·353.

236
(i) Historical E:>::planation: An interview with Sir Karl Popper, in «Uni-
versity of Denver Magazine », 3, pp. 4·7.
1967(b) Time's Arrow and Feediflg on Negentrop)" in "Nature »,213. p. 320.
(d) La rationalite et Ie statut du principe de rarionalitli, in Les FOl1dements
Philosophiques des Sysfemes EcorlOmiques: Textes de Jacques Rueff et essais
rediges en son honneur 23 aout 1966, a cura di Emil M. Classen, Payot, Paris,
pp. 142·150.
(e} Zum Thema Freiheit, in Die Philosophie und die Wisser/schat/en: Simon
Moser zum 65. C;eburtstag, a cura di Ernst Oldcmeyer, Anton Hain, Meisenheim
am GJan, pp. 1-12.
(h) Structu.ral Information lind the A/"I"ow of Time, in "Nature~, 214,
p.322.
(k) Quamum Mechanics without "the Observer », in Quantum Theory
and Reality, a cura di Mario Blll1ge. Springer-\lerbg. Berlin, Heidelberg, New
York, pp. 744.
(t) Einstein's Influence on My View ot Science: All InterviellJ. in Einstein:
The Man and his Achievement, a cura di G.1. Whitrow, B.B.C., London,
pp. 23,28.
1968(e) Is there an Epistemological Problem of Perception?, in "Procee-
dings of the International Colloquium in the Philosophy of Scieace", 3:
Problems in the Pfrilosophy of Science. a cum di Imre Lakatos e Alan Mu-
sgrave, North·Holland Publishing Company (Amsterdam), pp. 163-164.
(i) Theories, Experience, and Probabilistic Intuitions, in «PwcC'cdings
of the International Colloquium in the Philosophy of Science", 2: The Pro-
blem of Inductive Logic, a cura di Imre Lakatos. North-Holland Publishing
Company (Amsterdam), Pl'. 285·303.
(r) On the Theory of the Objective Mind. in ~ Aktell des XIV. lnteraa-
tionalen Kongresses fur Philosophie », 1, Universita di Vienna. Verlag Her-
der, Vienna, pp. 25·53.
(s) Epistemology Without a Knowing Subject, in <f Proceeding of the
Third International Congress for Logic, Methodology and Philosophy of
Science: Logic, Methodology and Philosophy of Science III ", a eura di E.
van Rootsclaar e J. F. Staal, North-Holland Publishing Company, Amsterdam,
pp. 333-373.
(t) Emancipation through Knowledge, in The Humanist Outlook. a cum
di A. J. Ayer, Pemberton Publishing Companiy, London, pp. 2&1·296.
1969(e) Logik der Forscfrung, terza edizione, J. C. B. Mohr (Paul Siebet:k).
Tubingen.
(h) Conjectures and Refutatiolls, The Growth of Scientific Knowledge,
terza edizione. Routledge and Kegan Paul, London.
(j) 11 Pluralist Apwoach to the Philosopl1y of History. in Roads to Frec-
dom: Essays in HOl1our of Friedricl1 A. von Hayek, a cura di Erich Strcis·
slcr, Gottfricd HaberIer, Friedrich A. Lutz e Fritz Machlup, Routledge and
Kegan Paul. London, pp. 181-200.
(k) The Aim of Science, in Contemporary Pl1ilosophy: A Sun'ey. a eura
di Raymond Klibansky, III: Alclaphisics, P',cnorncno!ogy, Language al1d
Structure, La Nuova Italia Editricc, Firenze, pp. 129-142.
(m) Die Logik der Sozialwissctlsc!ratum, in Der Positivismusstreit in da
deutsclum Soziologie, a eU!"a <Ii H. Maus c E Furstenberg, Hermann Luch-
terhand Verlag, Neuwied und Berlin, pp_ 103-123.
1970(d) Plato, Timaeus 54£·55l1, in "The Clas:>ical Review", XX, pp. 4-5.
(1) .4. Realist View of Lo~ic, Physics, and His/ory, in Physics, Logic and
His/ory, a cura di Wolfgang Yourgrau e Allen D. Breck, Plenum Pl"CSS, New
York and London, pp. 1-30 e 35-37.
(w) Normal Science and Its Dangers, in Criticism and the Growth qf

237
Knowledge, a cura di Imrc Lakatos e Alan Musgrave, Cambridge University
Press, London, pp. 51-58.
1971(g) R!!vo/utiort oefer Reform?, in Revahtlion oder Reform? Herbert
Marcuse und Ka.rl Popper - Bini! KOrl/Tontalion, a cura di Franz Stark.
Kosel-Verlag, Miinchcn, pp. 3, 9·10, 22-29, 34-39, 41. (Traduzione inglese [1972(f)]).
1971(i) Conjectural Know/edge: My Solution of the Pyobl!!m of Induction,
in «Rcvue Internationale de Philo~ophie », nn. 95-96, 25, fs. 1-2.
(I) Conversation with Karl Popper, in Modern BI"itish Philosophy, a
cura di Bryan Magee, Seeker ami Warburg, London, pp. 66-82.
in) Particle Annihilation and the Argument of Einstein, Podolsky, and
Rosen, in Perspectives in Quantum Theory: Essays in Honor of Alfred
Lande, a cura di Wol1'gang Yourgrau e Alwyn van der Merwe, M.I.T. Prcss,
Cambridge Mass. and London, pp. 182·198.
1972(a) Objective Knowledge: An Evolutionary Approach, Clarendon Press,
Oxford. (Tcrza ristampa [1974 (a)]).
(f) On Reason altd the Open Society: A Conversation, in « Encounter 1',
38, n. 5, pp. 13-18.
1973(a) Indeterminism is Not Enough, in «Encounter », 40, n. 4, PP. 20-26.
(n) Die oftene Gese11schaft und ihre Feinde, volL I e II, terza edizione,
Francke Verlag, BCTIl und MUnchen.
1974(b) Autobiography of Karl Popper, in The Philosophy of Karl Popper,
in The Library of Livl/"!g Philosophers, a cura di P. A. Sehilpp, volume I,
Open Court Publishing Co., La Salle, pp. 3-181.
(c) Replies /0 my Critics. in The Philosophy of Karl Popper, in The
Library of Living Philosophers, a cum di P. A. Schllpp, volume 11, Open
Court Publishing Co., La Salle, pp. 961-1197.
(n) 1"he logic of Scientific Discovery, settima ristampa, Hutchinson,
London.
(z,) Scientific Reduction and the Essential Incompleteness of All Science,
in Studies in the Philosophy of Biology, a cura di F. J. Ayala e T. Dobzhansky,
Macmillan, London, pp. 259-284.
(2.,) Conjectures and Refutations, quinta edizione, Routledge and Kegan
Paul, London.
(z,) The Poverty of Historicism, ottava ristampa, Routledge and Kegan
Paul, London.
(z,) The Open Society a.nd Its Enemies, dccima ristampa, Routledge and
Kegan Paul, London.
1975(0) How I See Philosophy, in The Owl of Minerva. Philosopher on Phi·
losophy, a cura di C. T. Bontempo e S. J. Odell, McGraw-Hili, New York,
PP. 41-55.
(p) The Rationality of Scientific Revolutions. in Problems of Scientific Re-
volution. Scientific Progress and Obstacles to Progress in the Sciences, The
Herbert Spencer Lectures 1973, a cura di Rom Harre, Clarendon Press, Oxford,
pp. n.l01.
(r) Objective Knowledge: An Evolutionary Approach. Quarta l'istampa,
Clarendon Press, Oxford.
(t) Wissensdlaft und Kritik, in Idee und Wirklichkeit: 30 Jahre Europa·
isches Forum Alpbach, Springer-Verlag, Vienna e New York, pp. 65-75.
(u) The Logic of Scientific Discovery, ottava ristampa, Hutchinson,
London, pp. 87·104.
1976(a) Lugik der Forschung, sesta ristampa riveduta, J. C. B. Mohr (Paul
Siebeck), Ttibingen.
(b) Th~ Logic of the Sodal Sci~l!ces. in The Positivist Dispute in G(;)rman
Sociology, Heinemann Educational, London, pp. 288-300.
(c) Reason or Revohltion?, in TllC Positidst Dispute in German Sociology,
Heinemann Educational, London, pp. 28&-300.

238
(g) Ullended Quest. An Intellectual Autobiugraphy. Fontana/Co1lins Lon~
don, I rist. 1976. '
(h) A nol e on Verisimilitude, in «The British Joumal for the Philosophy
of Science ", 27, 1976, pp. 157-159.
(rn) Unended Quest. An Intellectual Autobiography, Open Court, La Salle,
Illinois 1976.
(o) The Myth of the Framework, in The Abdication of Philosophy: Phi·
losophy and tile Public Good. Saggi in onore eli Paul Arthur Schilpp, a cura
di Eugene Freeman, Open Court. La Salle, Illinois 1976, pp. 2348.
(s) The Poverty of Historicism, IX rist., Roulledgc and Kegan Paul, Lon-
don 1976.
(t) Conjectures and Refutations, VI rist., Routledge and Kegan Paul,
London 1976.
(u) Unended Quest. An Intellectual Autobiography, II rist., Fontana/Col·
lins, London 1976.

3. PUBBLICAZIONI IN ITALIANO

Questo elenco si basa sulla "Bibliography of the Writings of Karl Popper ",
compilata da T. E. Hansen in The Philosophy oj Karl Popper, La Salle, m.,
The Open Court Publishing Co., 1974, pp. 1199-1287. In genere si sono omessi
gli cstratti ristampati nei giornilli c Ie ristampe immutate dei libri c degli
articoli. Le lettere usate per rinviare ai titoli sonG prese dalla bibliografia
complcta. I rinvii in parentesi si riferiscono alia bibliogl'afia scelta dei mici
scritti, i rinvii in parentcsi quadre si riferiscooo ad altl'i titoli in questa-
stesso elenco.

LIBR[

1954(e) .Miscria dello s/oricis!no, Editrice !'Industria, Milano. [Edizione in


libro, can testo rivcduto, di [I9S2(d)] e [1953(e)]; cfr. anche [1975(a)J].
1969(c) Scienza B Filo.sofia: Problel'ni e scopi della sciel1ZQ, Einaudi, To·
rino. (Traduzione itaIiaoa ddl'edizione di [1963(a)], cap. 30 ; [1957(OJ: versio-
nc riveduta di [1.960{d)J, [1963(h)]; ed edizione di [1963(a)J, cap. 100 ) [terza
ristampa, 1974(g)].
1972(e) Congetture e Confutazioni, Societa Editrice II Mulino, Bologna.
(Traduzione italiana di [1963 (a)], [1969 (h)]).
(h) Epi$temologia, Razionalita t~ Libertiz, Armando Armando, Roma. (Tra-
duzione italiana di [1969(f)] e [1968(s)J).
1973(m) La societa aperta e i suoi nemici, 2 voll., Armando Armando,
Roma. (Tradulionc italiana di [1966 (a)]).
1974(g) Logica della scoperta $ciel'ltiflca: Il carattere autocorretlivo della
scienza, seconda ristampa, Einaudi, Torino. (Nuova ristampa di [1970(e)]).
(h) Scit!nza e Filosofia: Problemi e scopi della sciem:a, 1erLa ristampa,
Einaudi, Torino. [Terza ristampa dl [1969(c)J].
1975(a} MisC!f"ia della s/oricisrno, Fdtrinelli Editore, Milano. (Traduzione
italian a dena ristampa di [1957(g)]).
(b) Conoscenl.a aggettiva. Un punto di vista evoluzionistico, Annando
Armando, Rorna. (Traduzione ituliana di [1972(a)]).

239
ARTICOLl

1952(d) La poverfa della storicismo, in «L'Industria» (Milano), n. 3,


pp. 285·307. (Traduzione italiana di [1944 (a)]).
1953(e) La. povertil. dello storicismo, in "L'Industria» (Milano), n. 1,
pp. 69·93; n. 2, pp. 283·307; n. 3, pp. 451-491. (Traduzione italiana della parte
finalt: di [1944(a)], [1944(b)] e [1945(a)]).
1955(f) V <>'1 so U11a teoria liberale deU'opinione pubblica, in «Il Politico"
(Milano), 20, n. 2, pp. 181-189. (Traduzione italiana di un articolo pubblicato
la prima volta in inglese come cap. lio di [1963 (a))).
1958(d) Tre conceziOP1i sulla conoscem:a umana, in • L'Industria» (Mi-
hmo), n. 1, pp. 60·73; n. 2, pp. 183·198; efr. anchc pp. 138·139, 198-201 e 299,
pel' i I'icpiloghi in inglcsc e la bigliografia. Pubblieato anche in estratto d:!l-
I'Editrice L'Industria, Milano 1958. (Traduzionc italiana di un articolo che
fonna il capitola 3" di [1963(a)]). [Incluso in 1969(c) e 1971(c)J.
19620) La scopo della sCien;:a, in "La scuola in aziune» (Milano), 13,
pp. 5-22. (Traduzione ilaliana eli [1.957 (i)] ). [Un'aJtra traduzioDC e inclusa in
[1969(c)]: anche in [1975(b)].
1964(h) Sulle fOl1ti del/a COllOscem:a e de/l'ignoranza, in ~ L'Industria»
(Milano), n. 2, pp. 219-236; n. 3, pp. 337-354; sommario in inglese, n. 2, pp.
282-283 e n. 3, p. 459. Pubblieato anehe in forma di !ibro ndla ColIana di
0PCI'C cconomiche moderne, Editrice l'Industria, Milano, 1964. (Traduzione
italiana di [l960(d)]. [Un'altra traduzione e inclusa in 1969(c); anche in
1972(c)] .
1966(h) Problemi, finalita e responsabilita della scien;;a, in "L'Industria»
(Milano), n. 6, pp. 157-84; appemlice: «Vita di Karl Popper e sua opera
scientifica» (con una nota bibliografica aggiornata al Gcnnaio 1966), pp. 185·
198; sommari, pp. 321-322. Pubblicata anche in forma di libro deIl'Editrice
L'Illc\ustria, Milano 1966. (Traduzione italiana di [1963(11)]). [Un'altra tra-
duzione e inc\usa in J969(c)J.
1969(d) Tre orim/amenli epistemoiogici; II criterio della rilevallza scien-
tifica; La tematica irlduttiva; congetlure e confutazio;ri; ErIlll1ciati probabili·
stici, teorie, spiega;:ioni, in Jl Neocmpirismo, Classici della Filosofia, a cura
di Alberto Pasquinelli, Unionc Tipografieo·Editrice Torinese, pp. 659-751. (Tra·
uuziune italiana ddl'ediziune di [1963{a)], cappo 30 e 10). [Cfr. anche 1972(e)].
1972(t) Una cotl\:el·sal.ione con Karl Popper, in «Biblioteca della libel·til »,
n. 39, IX, Luglio-Agos\'o 1972, pp. 51·62. (Trauuzionc italiana di [l972(f)]).
(x) La to!lica delle scienze 5ociali, in Dialettica e POSilivismo in $ociolo-
gia, a cura eli H. Maus e F. FUrslenberg, Einaudi, Torino, pp. 105-123. (Tra-
duzione ita1iana di [1962(k)], [1969(m)]).
1973(v) L'emancipazione attraver.~O la. conoscem;a, in «Controeorrenle.,
5, n. 2, pp. 16-18. (Traduzione italiana di [1961 (d)], [1968 (t)]).

4. LIBRI SULL'AUTORE IN ITALIANO

D.~~lO ANUSI;R[, Karl Popper: Epislemuioggia e societiL aperta, Armando,


Roma, 19i2.
BRYA~ M:\vEE, II I'IUOVO radicalismo in politica e l1ella sciel1za. Le. (eorie
di K. R. Poppe, .. lrad. it., Armando. Roma, 1975.
FRANCESCO NuzZA-ccr Karl Popper. Un epistemologo fallibilista, Glaux,
Napoli, 1975.

240
INDICE DEI NOMl *

a cura di J. SHEARMUR

Adam J., 122 Bohr N., 94, 96, 101, 114, 132, 133,
Adams sir Walter. 114 134, 156, 157, 160, 122
Adler A., 39-41, 43, 45 Boltzmann L., 140, 141, 160, 161,
Adler F., 111 162, 164, 165, 106, 167. 254, 256·
Adler V., 111 258, 260-261, 263·264, 267
Albert H., 44, 119, 35, 176 Balzano B., 185, 186, 194
Allan R.S., 187 Boole G., 116, 188
Angell N., 14 Borel E., J54
Aristotc1e, 22, 79, 81, 122, 130 Born M_, 95, 167, 121, 258, 267
Arndt A., 14-15, 17, 35 Boscan P., 132
Arndt E.M., von, 14 Boscovich R.I., 61
Austen June, 51, 48 Brahms J., 13, 56
Ayer sir Alfred, 84, 112-113 Braithwajt~ R.B., 126, 128
Br~nU1thal A., 117
Brcnlaoo F., 78,
Bach C.P.E., 73-74 Bridgman L., 52
Ba.ch I.S., 13, 56, 63~7, 69-74, 63, 67 Bridgman P.W., 132
Bacone F., 13, 82, 3 Brillouin L., 168, 266
Baldwin J .M.. 185 Broadhead H.D., 118
Ballcntinc L.E., 138 Broda E., 254
Bartok B., 57 Broglie L.V.de, 94, 98
Beardsley E.T., 187 Brouwer L.EJ., 131, 15J
Betcherey W.von, 81, 96 Bruckner A.l., 56. 80
Beethoven L.van, 13, 63-66, 69-73 Brush S.G., 260
Bell I.S., 97 Buhler K., 76-81, 78, 83, 90, 93
Bellamy E., IS Bunge M., 94, 22
Berg A., 57 Burger E., 103
Bergson H .. 184, 185 Butlet- S., 172, 184-185, 276
Berkeley G., 79, 84, 157 Byrd W., 56
Berlin sir Isaiah, 112
Bernays P., 130 Campbell D.T., 49, 198
BernouiIIi I., 154, 251 Campbell R.M., l1S
Bernstein E., 13 Cantor G., 258
Beth E., 130 Carnap R., 32, 83, 84, 88, 92, 93,
Bohm-Bawerk E., 13 102, 1.12, 15, 3.=;, 99, 116-120, 147-
Bohm D., 94, 97, n3 148, 228-229, 231. 233
" I numcri in corsivo si rifcriscono dircttamcnte atle note poste aUa fine
del volume.

241
Caspar M., 59 Feigl H" 85, 86, 88, 92, 93, 94, 132,
Chamberlain N., 111-112 1!J3, 101-105, 148, 275
Chamlraseckhar S., 201 Fermat P., 183
Cristiano VIII, 1 Feyerabcnd P,K., 275
Church A., 106 Findlay J,N., 116
Church J., 52·53, 51 Fock V A, 296
Churchill W.S., 108, 115, 213, 294 Forster F.W., 14
Clay J., 131 Forder H.G.., 187
Ckmenceau G., 9 Francesco Giuseppe, 1-1, 12, 75, 1
Cohen I.B., 132 Frank P., 88, 91, 92, 132
Cohn M., 95 Freeman E. eA., 5
Colingwood R.G., 64 Frcge G., 27, 31, 32, 186, 187, 188
Compton A.H., 172 10-13, 20·21, 23 '
Conant J.B., 132 Freud P., 34
Copeland A.H., 105, 106 Freud S., 13, 17, 34, 39-40, 43, 45,
Copernico N., 301 74, 125, 193
Croce B., 64 Fries J.F" 88
FUrtwangler P., 42
Dalziel M., 116
Darrow K., 116, 169 Gard RM. du, 16, 5
Darwin C., 18, 177, 179, 180 Gedye G.E,R., 38, 28
Darwin F., 276 Geiger H" 159
De Groot A.D., 131, 305a Gibbs J,W" 258
De Vah:ra E., 113 GOdel K., 105, 133, 134, 135, 136, 148,
Descartes R., 13, 195 201-202, 205
Dcvrient T., 63 Goldberger E., 14
Dewey I., 76 Gombrich sir E., 70, 112, 114, 123,
Dickens C., 110 131
Diels H., 122 Gomperz H., 12, 23, 24, 77, 78, 79,
Dobzhansky T., 290 84, 85, 122, 161, 188, 57, 76, 78·
Duane W., 99, 140 79, 307
Dufay G., 56 Good I.J., 150
Dunstable I., 56 Goodman N., 152, 228, 234
Graf H" 17
Graf R., 17
Eccles sir J., 124, 7a, 293, 305 Grote G., 122
Edwards P., 7, 110 GrUbl C., 13
Ehrenfest P.e T., 162, 257 Griinbaum A., 167
Einstein A., 39, 94, 96, 3D, 33, 39,40,
43, 44, 46, 55, 72, 96, 100, 101,
107, 112, 132, 133, 134, 136, 156, Haberler G. von, 132, 163
157, 159, 167, 183, 190, 7, 20, 32- Hahn H., 42, 83, 88, 104
33, 122, 126, 129, 143·145, 201-202, Halban H. von, 116, 168
207-208, 246, 248, 274, 296 Hansen T.E., 108, 266
Elstein M., 40, 100 Hanslick E., 80
Elton L.R.B., 150 Hardy sir Alister, 185, 288, 292b
Empedocle. 26 Hartmann E. von, 13
Eradito, 78 Hayek F,A. von, 112, 114, 116, 117,
Erdmann B., 20 123, 124, 131, 163, 283, 285
Eucken R, 13 Hegel G.W.F., 117, 63
EucHde, 190 Heideggcr M., 155
Ewing A.C., 114 Heisenberg w., 914, 95, 96, 99, 100,
Exner F., 98, 132, 249 101, 112, 156, 157, 121, 138, }4{)
Helly E., 42, 104 .
Hempel C.G., 93, 120, 118·119
Fast I.D., 266 Hertz H., 189

242
Heyting A., 131 Lande A., 94, 98, 99, 129, 136, 138,
Hilferding K., 120, 121, 180-181 141, 295
Hill E1..., 274 Langford C.R., 112
Hilpinen R., 232 Larsen H., 116
Hintikka J., 151, 232 Lassalle F., 13
Hitler A., 11, 34, 108, 112, 114, 117, Lassus O. de, 56
118 Laue M. von, 112
H!ilffding H., 203 Lcibniz G.W. von, 135, 193
Holbein H., 301 Lejewsky C" 197
Holst E. von, 304 Lenin V,J., 37
Hume D., 54, 79, 84, 89, 93, 150, Levy H., 112
55, 243 Lewis C.l., 132
Hu!Sscrl E., 22, 78, 84 Locke J., 13, 79, 68
Hutchinson T., 131 Lofting H., 9
Huxley sir Julian, 175 Lorentz A.H., 100
Lorenz K., 4647, 1!t8, 44, 95, 304
Infeld L., 160 Loschmidt J., 256
Lucrezio, 26
James W., 156
Jaynes E.T., 167 Mach E., 13, IS, 39, 78, 83, 84, 93,
Jennings R.S., 47, 43, 45 140, 144, 156, 160, 161, 166, 167,
Jolliot F.., 116, 168 30, 244-245, 253-254, 264
Jordan P., 121 Magee B., 5, 57
Joule J.P., 156 Mailler G., 57
Jung C.G., 45 March A., 97, 131, 128
Margenau H., 94, 123, 130
Kant I., 13, 18, 20, 62, 86, 113, 199, Masaryk T.B., 17
61, 86 Masaryk T.G., 17
Katz D., 49, 47 Mautlmer F., 13, 3
Kautsky K., 13 'Maxwe.ll J. C., 39, 161, 189, 267, 213
Keller H., 14, 52, 53, 53 Mayer J.R., 156, 244
Keplero J., 45, 61, 69, 138, 20, 59 .lI.-1ayerhofer J., 254
Kerschensteiner G., 76 Iv[oCarthy J., 132
Kierkegaard S., 1-2, 13, 1, 50 Medawar sir P., 131
Kneale W.C., 178, 205 Meijer H., 131
Koch A., 119, 175 Meijer J., 131
Kohler W., 199. 306 Meinong A., 84
Kokoszynska M., 147, 149 Menger A., 13
Korb F.A., 76 Menger C., 13
Kolnai A" 108 Menger K., 88, 92, 105-106, 30, 151·
Kowarski L., 116, 168 152, 154
Kraft J., 77. 78, 85, 132, 87 Michelson A.A., 100, 101
Kraft V., 85, 87, 92, HiD, 100, 106, Mill J, S., 12, 13, 77, 93, 120, 179,
252 228
Kraus K., 109 Miller D., 5, 18, 35, 150, 232, 302
Kretschmann E., 296 Minkowskv H.. 100
Kropotkin P A., 13 Mises R. von, 42. 88, 103, 104, 105,
Killpe 0., 79, 80, 92 106. 158, 135, 301
Moore G.E., 112, 225
Lack D., 286-287 Morgan C.L., 47. 185, 43, 45
Lagerltif S., 14 Morley B.W., 100
Laird J., 113a Morzart W.A., 13, 66, 69, 72, 73, 74
Lakatos I., 46, 41, 226, 228, 231, Miiller-Lyer, F .. 143
242 Munz P., 130, 194
Lamarck J., 172, 185,95,278 Musgrave A.E., 242
Lammer R., 76, 87 Mussolini B., 115

243
Niless A., 114 Robinson A., 6
Nelson E., 138 Robinson R., 7
Nelson L., 78, 86, 88 Rosen N., 129
Nernst \V.H., 112 Roth G.B., 116
Neumann 1. VOll, 97, 130. 133 Russell B .. 92, 1.13, 127, 130, 132,
Neurath 0., 15, 83, 88, 93, 114, 120 156, 93, 164, 298
New!on L, 30, 39, 46, 72, 85, 100. Rutherford E., 136
101, 134, 20, 32, 61 RyJe G., 112, 12-6, 73, 193
Nielzsche F.W., 13, 81
Sachs M., 138
Oppenheim P., 120, 133 Sarton G., 132
Ostwald W., 15, 19, 166 Schiff E., 11
Orazio, 13, 76 Schiff W., 85, 88, lOB
Schiller F., 199, 308
Palestrina G.P. da, S6 Schilpp P.A., 135, 35, 122 136 197
Pap A., 35 201·202, 208 ",
Park J.L., 123, 130 Schlick ~-1., 81, 87, 88, 91, 92, 105
Parmenide, 26. 12 160, 19.3, 106, 252 '
Parton H.N., 116. 187 Schonberg A., 57, 72, 74
Passmore J., 90-91, 110 Schopenhauer A., 13, 75 87 199,
68, S(), 82 ' ,
Pauli W., jr., 131
Pavlov l.P., 81 Schrodinger Anna Maria, H2, 139
Peierls R.E., 130 Schrodinger E., 94-98, 112-11.3, 13'1,
Peirce C.S., 9&, 131 133, 139·142, 159, 165--167, 172, 198,
Petersen A.F., 5, 54, 203, 286 132·133, 208, 212, 214, 219-221, 246-
Piaget J., 49 247, 249, 259, 262·263, 278
Pitagora, 155 Schubert F., 13. 72. 73
Planck M., 99, 112, 253 Sdl\veitzer A., 64, 63. 67
Sel;~ 0., 79, 91-92
Platone, 13, 22, 67, 68, 69, 70, 117,
118, 122, 130, 188, 199, 25 56 Senofane, 26
59, 70·78 ' , Serkin R., 56
Podolsky B., 129 Shearmur J.F.G., 5, 241. 246
Pusch A., 9 S~mkin e.G.F., 116
Poincare H., 162 Simpson E., 114
Polanyi K., 22, 77 Soc rate, 10, 199
Popper J., n. Scruff, 13 SIX-Deer B.o 172, 288·289
Popper Simon S.C_, 12 Sp~rry RW., 3()S
Popper-Lvnkeus. J., 13, 15, 132 Spmoza B., 13, 20, 193
Pres J. de, 56 Stebbing S., 111
Przibram K, 208 Stefan J., 161
Stdn E., 57
Strauss R., 56, 57
Quine W.v.O., 132 Stravinsky 1 .• 57
Quinton A. eM., 13 Strawson P.F.. 228
Strindberg A.,· 20
Suppes P., 178
Rasmussen E.T., 143 Suttner B. von, 14
Ravel M.J., 57 Szilard L, 167, 168, 169, 170, 171,
Reed A.A.1., 116 172. 266, 273·275
Reichenbach H., 93, 105, 106, 167.
98, 119·120, 180
Reidcmeister K., 42 Tarski A., 92, 102. 105, Ill, 130,
Reininger R .. 301 145, 148, 188, 195, 224
Rietdijk C.W .. 146 Telemann G.P .. 73
Rilkc R.M., 301 Temple G., 130
Robbins Lord, 112, 131 Thirring H., 42, 88, 96, 112

244
Thorndike E., 45 Watson J.B., 193
Thorpe W.H., 54. 292 b Watts Pamela, 5
Trollope A., 110 Weaver W., 165
Trotsky L., 37 Wcbern A. von, 57, 74
Truesdell C.A., 31, 22 Weinberg J.R., 91, 111
Weininger 0., B, 78, 3
Urbach F., 87, 95, 132 Weisskopf V., 96, 132
Weizsacker C.F., 96
Weyl H., 40
Venn J., 158 White sir Frederick, 116
Vigier J.-P., 94 White M., 132
Ville J. A., 154 Whorf B.L., 26
Wiener N .. 267
Williams D.C., 132
Waddington C.H., 178 Wirtinger W., 42
Waerden B.I. van der, 121, 251 Wittgenstein L.. 13, 83. 84, 100, 120,
Wagner M., 290 126, 127, 128, 145, 146, 3. IS. 301
Wagner R., 56, 72-75, 57, 63, 81 Wooctger J.H., 111, 114, 162, 188
Waismann F., 87, 114, 131 Wright J.P., 201
Wald A., 105, 106, 13-2, 151, 153-154
Walker D.P., 59
Walter B., 56 Zermelo E., 1-62, 163, 164, 256, 258
Warnock G.J., 25, 242 260
Watkins J.w.N., ·125. 19, 136, 203 Zilsel E .. 85, 87, 101, 106

245
INDICE .4NALITICO *

a cura di J. SHEARMUR

Abitudine, 53, 94, lSI, 44, 45 Bambini, 10-11, 43, 51-53, 75-76, 200-
Accettazione, 35.36, 148, 155·156, 197, 202, 2
225 Bio\ogia, 21-24, 4648, 52, 81, 106,
Ad hoc, 32·33, 44, 108, 158, 165-166 125-126, 133-134, .137-138, 141-143,
Ambiente, 50-51, 137, 142, 175-179, 157, 161, 163, 172-185, 192-198, 84,
185, 191 284, 286, 287, 290, 304
Apprcndimento, 47-55, 80-81, 113,
149, 181, 197, 42, 44, 54, 93, 95
Approssimazionc, 39·41, 104, 153- Cambiamento, 133-134, 175-182, 298
155, 138, 205 Capacita, 69, 178-182, 287
A priori, 62, 113 Casualita, 47-49, l{}4..lOS, 178, 4546,
Argomentazione, 77, 80, 143·149, ISO, 154
154-174, 187·194, 201, 25 Causalita, 121, 133, 178
Arte, 63·75, 112, 129, 145, 193·195, Certezza, 26, 119
201-202, 76, 78, 84, 301 Chiarezza, 27, 32-33, 86
Aspcttative, 47, 50-55, 82, 125-126, Clouds and Clocks, 183
185·186, 95 CoC\ificazione, 3, 143, 189, 191, 198,
Asserti, 24-32, 44-45, 89, 93, 103, 145, 53
151, 185·187, 15-16, 18, 93, 224, 243 Collettivo, 104-105
Asserti fondamentali, 89, 93, 15-16 Complementarita, 96-97, 112, 136
Assioroi, 25, 31, 82, 103, 108, 116, Compor1amento, 54, 142-143, 147,
132, J59, 178, 205, v. Probabilita 178-181, 193, 286-287
Associazione, 54, 79, 81, 55, 95 Comprensione, 28-30, 87, 95-99, 139,
Atomi, 79, 99, 157, 161, 166, 174, 61 189, 196
299 Comunicazione, 52, 69, 77, 80, 78
Audacia intellettuak, 89, 162, 165 Concetti, 30-32, 85, 139, 188
Autonomia, 130, 191, 201 Conc\izioni jniziali, 120, 140
Autoreferenza, 68, 73 Conferma, 44, 231
Azione, 47, 51, 54, 88, 90, 107, 122, Confutazione, v, Falsificazione
152, ISS, 185, 189-91, 197, 202, 243 Congctture, v, Ipotesi
* Per ragiani di spa7.io le voei di termini tra lora correlati sono state di
solito fuse.. Cosl per falsilicabilHa ~i veda falsificrrzionc. per matcrialismo,
materia, per marxismo, Marx, ecc. I ri(erimenti alle diseussioni sulle pubbJi-
cazioni di Popper si trovano satta it titolo abbreviato, ad es. Open Society,
I numcri in corsivo 51 riferiscono direttamente aile note po~te alia fine del
volume.

246
Conjectures and Refutations, 25, Educazione (Scuolc, Istruzionc}, lO-
45, 54, 154, 210 ll, 33-43, 52-57, 75-76, 111-112, 115-
Conoscenza, 36-37, 53-55, 62, 69, 72, 116, 103
78,82-90, 93, 113-114, 119, 127, 141, E[fetto ill Eillpo, 125-126
144, 153-155, 165, 168-171, 194-195, Elettroni, 98, 107
201-202, 89, 103 272 Emergenza, 184-185, 196-2()O, 203,
- ipotetica, 82-93, 110, 113, B9, 149, 287
153-154, aumento della -,46, 72, 82, 94, Emozioni, 64-71, 13
119, 154, 172, 174, 176, 267; - ogget- Empirico, 82-83, 104-105, 113-114, 16,
tiva, 89-90, 142-145, 149, 174, 226 164
Conseguenze non volute, 118, 191, Entropia, 141-142, 157, 160, 161. 216,
200 266-267, 272.274
Conservatorismo, 56, 129, 175 Epistemologia, 10, 21.24, 58, 64, 77-
Contenuto, 26, 29-30, 44-46, 83, 89, 93, 102, 106, 119, 140, 153.155, 161,
101, 102-107, 16&-169, 186-189, 15- 172-174, 198-202, 243
17,20, 270 Epistemology without a Knowing
Controllo (controllabilita}, 38, 40, Subject, 64, 8
43-46, 83, 88-89, 101-107, 143-144, Errore, 49·51, 55, 59, 89, 119, 136-
154-155, 173, 117, 172, 209, 226 137, 151, 173, 195, v. Tel1tativD ed
Convenzione, 151, 35 errore
Corrispondema, 102, 146-147 Esperienza, 53-55, 78-19, 127, 133-
Corroborazione, 44, 101. 103, 106- 134, 141-143, 161·163, 192-199, 203,
107, 226, 235, 245 304
Coscienza, 49, 119, 133, 1'45, 174, Esperimenti, 40, 82, 96-99, 169-170,
185, 192-198, 267, 299, 304-305 271, 274-275
Cosmologia, 40, 134, 163, 201 E1sressione, 64-74, 77, 201, 65a, 76,
Creativita, SO, 61-67, 185, 199
Credenza, 89-90, 1.44, 147-1'55, 226, Essenza, 19-33, 64-69, 118-119, 181,
233, 243 188. 7, 298
Crescita. 65, 67, 200-202 Etiea, 3&37, 120, 198-202, 65a, 306,
Critica. 24-26, 35-43, 47-57, 62, 66, 308
70, 72,1 77. 86-92, 107, 119, 137, Evolution and tlte Tree of Knotv·
142-14" 149-155, 172-175, 188, 192- ledge. 172, 279, 288-289
195, 200-202, 35, 44, 49, 172, 209, Evoiuzione, 30, 102, 133-134, 137-
224, 226, 238, 243 138. 156, 172-185, 191-194, 276, 278.
Dati, 79, 144- 287-188, 290
Dedu7.ione, 80-84, 120, 123, 13~131,
145-150. 173, 197-198.. 225 Fallibilitt:l, 9, 10.38-39, 306
Definizioni, 19-20, 24, 27, 100-102, Falsifi.cazione, 43-47. 53-55. 89-90,
9, 263 97, 102. 119, 135-138, 147, 170, 16,
Demarcazione, 4346, 55, 82-86, 155, 35, 44, 201, 207, 231, 242, 284
176-178 Falsita, 100, 130. 148, 185, 191, 195,
Democrazia, 11, 108. 1Hi, 120 200, 20
Determinismo, 98, 133-136, 154, 158- Fascismo, 37-38, 117
159. 38, 130. 136, 146, 178 Fatti, 21- 89, 145-147, 198-202, 306
Dialettica, 119, 136, 209 Fcde, 37, 63, 154
Dialisi, 33 Feed~back (retroazione), 86, 181,
Dio (dei), 65-69. 134, 177, 183 182. 192, 202
Discorso, 51, 195, 197, 13, 305 Felicita, 41, 129-130, 202
Discussione, 25, 89-90, 107, 200, 226, Fenomenoiogia. 78, 129, 161
243 Fiducia, 82, 152, 243
Disposizioni, 51-53, 155, 159, 184, Filosofia 10, 13, 17-22. rl, 42, 75,
187. 196-197 92-93 '116-119, 126-130, 153-157,
Dittatura. 45, 132 165, '188, 198, 201, 191, 218, 224,
Dogmatismo, 37, 38-53, 55, 61, 100, 244, 301
176, 49 Fini, v. Scopi

247
Fisica. 20, 26-27, 39-43, 45, 56, 79, 166, 174-17:5, 195, 199, IS, 44, 178,
93-101, 131-136, 144-145, 156-172, 210, 226
183-184, 14, 32, 201, 218, 253 258, Ipotesi ausiliarie, 45-46
263-265 ' IrrazionaJismo, 36, 154
q Freccia del tempo", 140-141 160- Irreversibilita, 140, 267, 274
167 ' " Irreversibilita », 274
Futuro, v. Tempo Istruzione, 47, 90, 150, 172-173 95

Genetica, 46, 56, 62, 17&-183 Leggi, 21, 35, 55, 62, 120, 143, 151-
Gcumetria, 25, 31, 02, 145 152, 181, 133, 178, 231
Giustificazione, 55, 83-85, 107, ISO, Liberta, 34, 41, 50, 110, 118 132
154, 173, 185, 98, 238, 243 Linguaggio, 17, 22, 24-26, 33, 51-53,
GUerra, 13-17, 108-111, 115, 118, 122, 64, 77, 81, 102, 117, 129-130, 137,
129, 154; 14.5-1.57,. 174, 187, 192-197,3, 13, 25;
~rima - mOlldiale, 15-17, 34, 109-110, fUllZlOIll del-, 52, 65, 77, 80, 174, 195,
66; secollda. - mondiale, 34, 118 196, 25, 78, 83
Logica, 31-32, 50, 58, 62, 78-82, Hl2,
Idealismo, 22, 79, 85, 129, 133-134, 124, 130-131, 137, 145-150, 173-174,
141), 154, 165-166, 188, 105, 201, 186, 191, 201, 93, 188, 194, 197-198
225 '
212, 267 Logic of Scientific Discoverv 91
Idee, 23-24, 79, 181-192, 68;
tavola delle -, 23, 32, 18g Ill, 153, 14-16, 24, 38, 98, 111: 122;
Ignoranza, 10, 18, 30, 35·38, 16B, 150, 178, 226, 231, 243 248
172, 202, 267 Logik del' Forschung, 32: 44, 45, 82,
Immagin~ione, 49, 53, 65, 67, 186-
90-95, 97-116. 111, 113, 116-122, 135,
187, 19J, 197, 200 153, 154, 168, 172. 14-15, 24, 38, 98,
Immunizzazione, 45, 46, 35 108, 111, 122, 150, 163, 178, 209,
Imprinting, 46-47, 52 226, 231
Incomplctczza delle scienze, 134-
135, 203 Mappe, 80, 203
Inconfut:.:hilWl, 193, 283, 299, v. De- Matematica. 20, 33-34,42,56. 83, 87,
marcaZlOne ~n, 104-105, 127, 131, 148, 160,
Indcterminismo, 95, 97·99, 125, 132- 190, 45, 150, 151, 154, 205, 258
135, 155, 158-160, 38, 138 Materia, 40, 95, 134-135, 157, 189,
Induzione, 12, 46-47, 53-55, 82-84, 89- 61, 138, 298
90, 113, 124, 127, 145, 150-152, 155, Metafisica, 44, 45, 83 92 118 135
173, 44, 180, 228-229, 231-232, 243 155-156, 38, 242, 244 ' , ,
Inferenza, 82, 145-148, 93 197 225 Mente, 99, 143, 186-190, 192-196, 298-
Infinita, 18, 127, 140, 32' , 300, 304-305
Informazione, 28-30, 46, 54, 167-171, Metoda, 22, 40, 46, 48, 54, 82-85.
16-17, 20, 266.267, 270, v. Conte- 89-92, 103, 117-119, 124, 131-132,
nuto 136, 141, 172-174, 192,44, 192, 218,
Insegnamento, v. Educaz.ione 263·
Insiemi, 26, 32, 79, 95, 148 20 198 - dcl tf'.ntativo e delI'errore. v. Ten-
205, 258 ' , , talillo ed errore
Interazionc, 186-193, 202 Misticismo, 301
Misma, 27, 95. 270
Interpretazione, 25, 31, 95, 143, 188, Mito, 61-62, 195, 200
25, 305, v. Pro/Jabilitil Moda, 74-75, 166
Intuizionc-, 22, 131, 142, 148-149, 160, Modelli, 56, 64, Cfl, 122, 154
185, 191, 225, 229, 233, 244 Mondo, 22, 23, 61-61, 67, 71, 78, 124,
Invarianti, 51, 54, SO 130, 133·135, 155. 175. 194, 203;
Invem;ione, 59-62, 75 120 185 191- <r - I", 186-l89, 194-197, 7a., 30i: ~-
192, 287 ", 2". 63, 186·190, 193-197, 7a, 302; .-
Ipotesi, 21, 44-46, 54, 60-62, 83-89, 95, 3", 23, 63, 67. 145, 185-202, 7a, 293,
103, 106, 121, 138, 144, 152, 162- 302

248
Monismo, 15, 19, 84, 1:40, 192, 105 Probabilita, 42, 85, 94-108, 152, 156-
Moralila, v. Etica 162, 172-174, 98, 154-155, 178, 180,
Movirnenti browniani, 167, 170, 274 188, 216, 231, 243, 248, 261;
Musir.:a, 12, 41, 55-75, 87, 145, 187, assiomatizzuziont: della -. 103, 108,
57-59, 80, 84 116, 132, 159, 178; intcrpretazioni del-
la -, 99, 103, 154-160, 155, 178
Nazionalislllo, 15, 34, 109 Problema, 17-19, 21, 25-27, 48-50, 55,
Nicchie ecologiche, 179, 182, 185 79, 84-86- 90, 125-130, 13&-139. 144-
Nominalismo, 25, 120 145, 182-184, 191-194, 196-202, 20,
46, 191, 243;
situazionc problematica, 27, 30, 89,
Oggcttivo, 40, 63-71, 88-90, 98-101, 139, 193; soluziont: del -, 47-50, 70-
142-145, 148-150, 158-160, 167, 174, 71, 137-139, 144, 182-183, 287; - e rom-
184, 194, 198-202, 63, 78, 226 picapi, 18, 126-128, 191; - ebraico,
Onniscienza, 9, 148 l09-111 160
Ontologia, 188-189 Problenia mente-corpo, 19(}'198, 212,
Open Society, 37, 45, 117-122, 126- 298-300, 304-305
127, 131, 7, 144a, 177 Problerni innati, 46-48, 51-55, 194,
Operativismo, 33, 99-101. 144a 54. 95
Organismi, t8, 47, 52, 139-143, 183- "Prob1emi fondamentali ", 78, 86.
185, 195-198, 287 88, 113, 119, 108
Originalita, 65, 74-75 Programmi di ricerca metafisici,
Ortogenesi, 178-182 153-156, 172-178, 184, 242
Osservazione, 47, SO, 54-55, 83, 120, Pragresso, 76-77, 82-83. 129
152, 197, 44, 210 Propensioni, 98, 155, 159-160, 184,
178
Prova, 84, 105, 149-151, 18, 50, 194
Panpsichismo, 192, 212, 299 Pseudoscienza, 35..'10, 43-46, 55, 82-
Paradossi, 18, 20, 78, 120 83
Parole, ]9-25, 3()'32, 93, 139, 187 Psicanalisi, 37, 43, 78, 125
Passato, v. Tempo Psicologia, 39-55, 61-62, 76-81, 150,
Pensiero, 46-55, 61-62, 80-81, 95, 185- 156, 187-188, 197-199, 84, 89, 95
187, 192-198
Pcrcezione, 54, 143, 194, 304-]05
Personalita, 64-67, 196, 201 Quanti (teoria dei -), 25, 93-103,
Plato's Timaeus, 25 112, 132-134. 158-160, 166, 121-123,
Pluralismo. 92, 192, 306 128-130, 133, 138, 140, 141, 246-
Politica, 12, 15-17, 35-38, 108-111, 248. 250
115-119, 123, 129, 132, 153 -Quantum Mechanics, 64, 160, 11,
Positivismo, 79, 84-88, 90-93, 99-101, 251
126, 129, 135, 139-140, 144a, 301
Positivismo logico, 84-89, 90-93, 99- Razionalita, 20, 36, 89-9Q, 107, 119-
101, 110, 112. 301 121, 150, 154, 177, 191, 201, 86,
Postscript, 153-155, 242 173, 175, 226, 233, 243
Poverta, 11, 14, 73 Razionalismo critico, 119, 175-176
Poverty of Historicism, 37, 117-118, Realismo, 22-23, 73-79, 94-99, 129-
121-123, 172, 7, 178 134, ISS, 159-160, 165-167, 188-190,
Pragmatismo, 129, 149 105, 178. 203, 207. 243, 294-295
Pratica, 107, 137, 139, 150-154, 179 Regolarita, 21-24, 51-54, 154, 176
Precisione, 27, 31-33, 102 Regole, 51, 103, 127, 151-152, 191
Prcditione, 27, 3941, 106-107, 125- Relativismo, 120, 147, 177
126, 176-1n, 283 Relativita, 39-40, 100, 133, 32-]3,
Preferenza. 82-83, 90, 107, 153-154, 143-146, 201-202, 296
178-185,243 Relazioni di dispersione, 95. 99
Preparazione delle condizioni, 95, Religione, 58-62, 69. 109-110, 154
98 Responsabilita, 79, 92;
Presupposti, SO, 120, 149 - degJi altri, 36

249
Ricerca (progranllni di -), 153-156, 120-123, 138, 144, 155, 166-167, 188,
172-178, 184, 242 192, 199
Riduzione, 184-186 Storicismo, 35-37, 57, 72-75, 112, 117-
Riflessi, 81, 95-96 118, 129, 264
Rivo]uzione, 14-15, 35, 162, 205 Struttura, 137, 178-184
Successo, 50, 144, 152, 98
Scelta, 107, 185
Scicnza, 23, 39-40, 44-46, 55, 58, 81- Tempo, 30, 39-40, 13H34, 141, 152,
84, 112-113, 124-126, 132·145, 155- 160-166, 191, 196"198, 20, 25, 42,
189, 196, 199, 15, 44, 61, 98, 209, 63, 243
243 Tentativo ed errore, 48-55, 8()'82, 89,
Scienze sociali, 23, 94, 121-122, 125- 119-120, 136-139, 172-173, 45, 46,
126, 131-132 95, 209
Scientiflco (Metodo -), v. Metoda Teode, 24-25, 27-32, 43-47, 53-54, 80-
Scoperta, 47-52, 58, '63, 78-82, 94, 85, 92-93, 106-107, 136-139, 143-145,
120, 179, 190"192, 95 151-155, 187-189, 198-202, 20, 25,
Scapi e fini, 25, 36, 54, 154, 178-183, 98, 205, 207, 209, 243
192-202, 205 Teorh: in concorrenza, 25, 28, 83-
Scuole, v. Educazione 84, 90, 107, 154-155, 174, 187, 243
Se, 56, 63-70, 73, 86, 149, 192-197, Tcrmodinamica, 31, 161-171, 253,
201-202 256.263, 266-267, 272-275
Selezione, 46-49, 53-55, 89, 136-138, Tolalitarismo, 108, 116-118
172-176, 178-185, 95, 284 ]radizione, 61, 201, 242, 287
Selezione naturale, v. Selezione Traduzione, 26, 117-118, 122, 13, 25,
Scmplicita, 75, BS 59
Sensi, v. Esperie11za Trascendenza, 65, 202
Senso comune, 102, 129, 134-135
Significato, 19-33, 44, 53, 83, 91-93,
101, 145, 188, 7, 13, 25, 42 Uguaglianza, 38, 110
Simultaneita, 33, 100-101, 7, 144a, Universale, 21-23, 89, 159, 15, 178
146 Universita,9, 12-13, 17, 41-42, 75-81,
Sistemi, 4446, 89, 162, 261 86-87, 111-117, 123-125, 131-132
Situazioni, 27, 30, 89, 108, 120-121, Universo, 133-134, 163-164
139, 174, 182
Socialismo, 15-16, 35-38, 77, 108-111, Validita, 143, 147-150
127 Val~ri, 198-202, 306
Societa, 35, 37-38, 108-111, 118-122, Variazione, 50-52, 178-179, 183-184
191-192 Verificazione, 40, 44, 84, 90-91, 98,
Soggettivismo, 63"71, 143-146, 148- 117
149, 166-171, 201-Z02, 63, 226; Verisimiglianza, 26, 39, 154-155, 187,
- e fisica, 99·101, 156-171, 248, 265-267; 205
- e probabilita, 99, 157-159, 248 Verita, 24-25, 43, 102-103, 111, 134-
Soggettivo, 57, 80, 88-90, 148-149, 135, 145-149, 154-155, 185-187, 190-
185-187, 201-202, 63 191, 20, 149, 205, 233, 243
Solipsismo, 79, 84 Vienna, 9·13, IS, 35-39, 56-57, 75, 75-
Soluzioni, 32-33, 48, 71, 89-90, 127- 77, 87-88, 108-114, 139, 160, 27,
128, 137-139, 183-184; v. Problema 80, 238, 301 .'
Sopravvivenza, 83, 107, 182-184, 243 Circolo di -, 83-88, 91-93, 100, 105-106,
Sostanza, 192, 298 101, 104, 106, 113a, 114, 119, 149; Isti-
Spazio, 18, 39, 133, 163, 195 tuto di Pedagogia di -, 75·77, 87;
Spiegazione, 3941, 96, 99, 120, 135, Universita di -, 12-13, 17, 34, 41-42,
176-178, 181-183, 192, 195, 178, 203, 75·82, 87, 160, 252; lavoratori di -,
283 285 38, 111, Zl
Statistica, 97"98, 106, 112, 166, 138 Violenza, 36·38, 111, 26-27
Stimolo, 46-47, 304 Vita, 18, 133-134, 138, 142, 173-177,
Storia, 13, 30, 35, 42, 58~O, 78, 81, 183-184, 200-202

250

Potrebbero piacerti anche