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‘Catherine Vallée HANNAH ARENDT Socrate e la questione del totalitarismo traduzione ¢ cura di Francesca Fistetti PAI® MAR passages Tho orgie: Homes Arend Soa et question dtoalarime (© Blips Edion Markerng, France (pera pubbliata con i conributo dell Ambasciata di Francia BOCLA e del Ministero degli Afar esteri frances © 2006 Palomar di Alternative sl. Vie Nicolai 47 - 70122 Bari palomar@aleernativest 191it ‘wwwedizioni-palomarit ISBN 88-7600.125-5 Foracomposcion: Linopuglia sc. - Bari 2 vietata a riprodusione anche parle oad uso interne o didatico, con qualsiasi mezoefesusta, non autorzats, Ringraziamenti a: ‘Anne AMIEL, che ha messo generosamente a disposi- zione articoli e inediti, Pierre BRUNET, che ha riletto il manoscritto con mol- ta attenzione, Jean-Pierre CHARCOSSET, per la pertinenza delle sue cosservazioni, infine e soprattutto Alain VALLEE, il cui aiuto e i cui consigli furono sempre molto prezios. Introduzione Socrate e il totalitarismo: questo titolo potra sem- brare sulle prime fantasioso 0 provocatorio, non fos- s'altro che per 'anacronismo, con il rschio di far du- bitare della serieta di Hannah Arendt o dell’autore di queste righe. Chi potrebbe tuttavia contestare che la questione del totalitarismo sia al centro dell'opera arendtiana? D’altra parte non si saprebbe negare di piti impor- tanza che quest’ultima accorda alla figura di Socrate. Quindi il problema @ semplicemente quello riguar- dante la convergenza dei due temi. Non & come storica della filosofia che Hannah Arendt si interessa a Socrate. Sottraendolo alla sua epoca, ella vede in lui Pesempio o il modello di atteg- sgiamenti di vita edi pensiero che costituiscono, a suo avviso, i soli antidot efficact contro il male del XX se- colo: i «dominio totale». E esattamente questa la catastrofe del nostro tem- po: il totaltarismo, essenzialmente nella sua versione nazista, che Hannah Arendt intende ripensare alla lu- ce del socratismo, come pure il totalitarismo come ti schio ancora presente oggigiorno. In effetti il pensiero nazista sempre stato nel cuo- re dell‘opera di Hannah Arendt, come testimonia uno dei suoi primi testi: Ecco i fat: sei milioni di Ebrei, sei milioni di esseri tumani sono stati condotti a morire senza potersi di fendere e, nella maggior parte dei casi, senza averne il minimo sospetto.[...] Non c' storia pid dificile H. ARENDT, Premessa a EAD., Tra pastato futuro, ed. it Garzanti, Milano 1991, p.38 Hannah Arende ‘Nata ad Hannover nel 1906, Hannah Arendt tra- scorre la sua infancia a Kénigsberg in un ambiente di ebrei colti. Lascesa al potere del nazismo la costringe all'esilio. Raggiunge Parigi nel 1933. Durante il suo csilio in Francia, viene internata nel campo di Gurs, facendo esperienza di un'epoca in cui 1a soria ha creato un nuovo genere di esseri umani = quelli che sono stati messi nei campi di concentra ‘mento dai loro nemicie nei campi di internamento dai loro amici® Riuscendo ad evadere da Gurs nel 1940 grazie al- Varmistizio, raggiunge gli Stati Uniti, ma riuscir’ ad ottenere la nazionalita americana solo nel 1951, e co noscer nell'intervallo «le infinite complicazioni che soffocano Vesistenza degli apolidi»’, queste minoran: ze che il secolo ha generato, di cui non sa che farsene e che raduneri, raggruppera, escludera e sterminera ache. Se Arendt suscita interesse, e talvolta tale interesse trascende perfino la cerchia dei filosofi,& innanzitut- to dovuto a questa sua vita che & come una parabola in cui si rivela il XX secolo. Se ella sceglie di pensare il politico, & per averne dapprima sopportato gli as- salti,e perché & necessario conferire un senso a cid che @ stato subito. Nel cuore stesso del pensiero di Arendt s‘innesta la riflessione sul male politico nella meta del nostro se- colo, di cui si propone di rendere conto a partire dal © H. ARENDT, Noi profughi (1943), in EAD., Ebrasmo e mo dersita ed, it. acura di, Bettini, Feltinell, Milano 1993, p.37, 7H, ARENDTK. JASPER, Carteggio (1926-1963). Filosofia e po- ica, edit. acuta i A. Dal Lago, Felrineli, Milano 1989, p. 47 Si trata della tea di Arendt a Jaspers datata 29 gennaio 1946. 2 Introdiaone termine «totalitarismo». Tale affermazione richiede tre osservazioni: 1~Sesi vuole comprendere Arendt, occorre comin- ciare dal!'inizio, ciot scorgere in Le origini del totalita- ‘smo (il suo primo libro pubblicato nel 1951) un'«ope- ra programmatica che ha valore di origine e di cui tut- testi successivi sono la ripresa, la prosecuzione, il chiarimento, a correzione>’. In modo tale che: Sei suoi libri vengono letti come se ognuno si occu- passed un tema che emeige dalle Origin, ma vié la- sciato abbozzato 0 non suflicientemente chiarito, al- Tora noi riuscicemo a vedere questi scrit in una pro- spettivarealisticae tale da costituire un tut unc®. Dungue, la questione del toaltarismo che con- ferisce allopera di Arendt, apparentemente disorga- nica, una grande coerenza, E importante, ad esempio, per leggere Vita activa sapere che @ Pesto della rifles- sione di Arendt sui legami tra marxismo e stalinismo che riprende un’opera non pubblicata: Gli elementi totalitari del marxismo'®, Cosi pure, non si pud com- prendere La Vita della mente, se non sitiene conto del fatto che il progetto & quello di mostrare «con che di- ritto» viene utilizato il eoncetto di «banalita del ma- le»! suggerito dal processo a Eichmann. Cosi anche A, AMUEL, Hannah Arendt: politique et événement, PUF,Pa- is 1996, p. 6 °'B. Crack, Ow Rereading The Origins of Totalitarianism, in AAWv, The Recovery of« Public World, St Martn’s Press, New York 1979. '©Cfz.M, CaNovan, Hannah Arendt « Reinterpretation ofthe Political Thought, Cambridge University Press, Cambridge 1992, cap IL HL Anpnpn, Le vite della mente ed. it, acura di A. Dal La: il Mulino, Bologna 1987, p86. B Hannah Arendt quando Arendt sembra allontanarsi dal nostro tempo per parlare diSocrate, di Platone..ilsuo punto di par. tenza e il suo punto di arrivo sono il nostro secolo. 2=I1 concerto di totalitarismo non ha goduto sem: pre di una buona reputazione: prima compromesso, perché usato come slogan durante la guerra fredda; ‘poi contestato perché I'accostamento che esso impli- ca tra nazismo e stalinismo @ messo in discussione da alcuni storici?, E doveroso percid precisare che que- sto concetto ha per Arendt un duplice significato: & innanzitutto un concetto di «teoria politica», che enu- clea quel che hanno in comune queste forme di «go- vverno di una spaventosa noviti» quali furono lo stal- nismo (a partire dal 1930) e il nazismo (a partire dal 1938). Ma@ anche un concetto di filosofia (politica e morale), che designs la tendenza a dichiarare gliesse- ri umani superflui in quanto esseri umani, a sradicare Ja loro spontaneita, vale a dite la loro facolta di essere degli «iniziatori»®, costituendo cos! un nuovo tipo di cuomini: una «specie umana» di cui le persone non sa- rebbero che esemplariintercambiabili, Stando al pri- ‘mo significato, noi siamo dopo iltotalitarismo; stando al secondo, c'® da temere che siamo ancora dentro, poiché soluzioni, tendenze, momenti totaitari prece- dono o seguono i regimi politici che meritano tale ap- pellativo. 3 ~Se Pinteresse di Arendt & quello di aver sottoli neato precocemente la parentela tra nazismo e sta smo e tentato di teorizzare i caratteri comuni ai due ® Lo storico Tan Kershaw dice per esempio: «ll concetto di ‘otalitarismo ha un valoreeuristico maggiore ma paradoseae:ser- vyeamarcare le dfferenze radical trai due repr, in «Magazi- ne literirer, nov, 1995, © HL Anenpr, Vite active. La condizione umane, ed. it. Bom- pani, Milano 1994, p. 123. 4 Introducione segimi, ela consacra molte sue analisi al nazismo. Cid si spiega certamente con il progetto di «pensare gli venti dell'esperienza viva», ma anche con il fatto che ilnazismo pone un problema pit acuto sul piano mo- rale, Lo stalinismo non ha istituito un «nuovo ordine» che abbia tentato di sovvertie la morale, e di fare del- Yomicidio ¢ dellcliminazione sistematica di alcune popolazioni un dovere: sul piano etico, fu meno estre- mo. Se Stalin tradiva le sue idee attraverso i suoi cri- mini, Hitler metteva semplicemente in pratica le sue idee. Se il pensiero deve rimanere legato all’evento, tre avvenimenti appaiono determinant per capire il mo- tivo per cui Arendt sirichiama a Socrate, Possiamo ti- assumerli in tre date: 1933: Hitler conquista il potere in Germania. ‘Arendt fa tisalire a questa data la sua personale presa di coscienza di una responsabilita politica. Aggiunge ‘he cid che allora contava per lei, non fu solo lo choc per Fincendio del Reichstag o Vorrore per gli arrest che ne seguirono, ma soprattutto Yondata di confor- mismo ¢ di collaborazionismo, che non scaturiva an- cora dal terrore e si era tuttavia impadronita degli tellettuali tedeschi: II problema, il problema personale non era cid che facevano i nostri nemici, ma cid che facevano i no- stri amici C.J. Io vivevo in un ambiente intlletts- le, ma conoscevo anche altra gente, tra gli inelle- tual a Gleichschaltung era, per cosi dire, la regola, ‘non cosi per ali altri. Enon Iho mai dimenticato. Ho lasciato la Germania ossessionata dall'dea — ovwia- SH. Anmpr, Aloune question di filosofia morale, in EAD. Responsabilitte giudizio, acura diJ. Kohn, ed, it, Einaudi, Tor no 2004, pp. 44-45. Hannah Arendt ‘mente un po’ esagerata ~ che... mai pi! Non mi im- ‘ischierd mai pid in nessun genere di attvit intel- Jettuale, Non voglio avere nulla a che fare con quel- la genia” B evidente che Heidegger é stato pit che uno fra i tanti, non solo per ragioni biografiche che pit) nessu- no oggi ignora, ma perché egli era il maestro con il quale «il pensiero @ tornato a diventare vivo>"®; Pade- sione di Heidegger al nazismo va oltre la delusione provocata da un uomo e da un filosofo, @ proprio lo scacco della filosofia. Come mai Heidegger ha potu- to? Non bisogna, quindi, disperare di ogni filosofia? ‘Lanno 1933 segna dunque la rottura di Arendt con la filosofia; e quando dopo una dozzina d’anni di vita activa riprendera con «la vita della mente», manife- stera tutta la sua diffidenza nel definirsi una filosofa. Anche quando elabora, specialmente in Vita activa e La vita della mente, una «enomenologia dell azione», Arendt dichiara il suo rifiuto di essere definita una fi- Josofa, in ogni caso una «dilosofa politica», come per timore di essere confusa con una tradizione di filoso- fia politica che ella ricusa: To non appartengo alla schiera dei filosofi. La mia professione, se si pud considerarla tale, @ la teoria politica [..] Sono convinta di essermi congedata dal- Ja flosofia una volta per tutte. Come lei ben sa, ho studiato filosofia, ma cid non significa che da allora non abbia cambiato strada (...J. Vi & una sorta di 9H, AEN, Che cone vesta? Resa l lingua, Una comversaco- se com Gionter Gaus (1964), in EAD, Archivio Arendt, al I: 1930. 1948, edit. a cura di. Forti, Felrnel, Torino 1994, pp. 45-46. ‘HL ARENDT, Martin Heidegger compie ottant anni (1969), in AaWW,, Su Heidegger. Cinque voc ebraice,introduzione iF Volpi, Donzeli, Roma 1998, p. 65. 16 Intodssione ostlita verso la politica nel suo complesso in gran pparte dei filosof, con ben poche eccezioni. Kant & tuna di queste eccezioni C.J. Non voglio avere nulla a che spartire con questa ost”. La filosofia tradizionale rende ostili alla politica, vale a dire allesperienza del mettere in comune paro- lec atti: il filosofo diffida sempre pido meno delle ini- tive di un popolo che tende a disprezzare, Kant fa eccezione, sa onorare gli uomini e ha davvero il senso dell'uguaglianza, Secondo lui, i filosofo chiarifica le cesperienze che tutti facciamo: il pensiero non é riser- vato ad una élite; contrariamente a Hegel, che asseri- va «che non & destinato di per sé alla plebe, né adatto ad essere reso a questo accessibile»!”. E questo di- sprezzo per il senso comune si accompagna spesso al- la perdita della capacita di giudizio. A differenza del- la filosofia, la «teotia politica» non ha lambizione di pensare in generale costruendo un sistema o una dot- trina, ma solo quella di dare un senso a certi eventi Gli interrogativi arendtiani scaturiscono percid dal- amara scoperta che gi intellettuali in generale, ifilo- sofi in particolare, e Martin Heidegger nello specifico, hanno potuto partecipare al male assoluto, esserne i complici 0 essere incapaci di riconoscerlo, ‘La prima questione concern allora la filosofia: co- me é stato possibile in Heidegger che tanta profondi- ti filosofica abbia condotto a un cosi grande acceca- mento politico e a una tale insensibilita di fronte alle persecuzioni? E possibile evitare che filosofo,il qua 1 AnENDr, Che cara resta? Resa La lingua ct, pp. 35-36. 4H. AuENDr, Teoria del giudizio politico. Lezion sulla floso- {fia politica di Kant, ed. americana a cura di R. Beine, trad. it. di ‘melangolo, Genova 1990, p. 47. Hannah Arendt le siritira nel mondo degli invisibili, arivi a disprez. zare la pluralita, e spesso a perdere ogni buon senso? Da dove viene la mancanza di giudizio dei «pensatori professionali» nella «sfera degli affari umani», e come evitarla? Questa sara la prima occasione per volgersi a Soctate, poiché se egli é un pensatore, non & ancora un filosofo; non ha lasciato né sistem né dottrine; se sa ritirarsi per pensare, non & meno presente nel cuo- re della citta; «in uomo fra gli uomini, «un cittadino tra gli altri»; non disdegnando nessuno, disponibile con tutti, chiede solo il diritto di rifletere su talune nozioni incontrate tutti i giorni e invita i suoi interlo- cutori a fare altrettanto*, Egli il cittadino-pensato- re per eccellenza; ¢ contro tutta una tradizione filoso- fica che ha rigettato la politica, @ forse possibile, ba- sandosi su di lui, edificare un autentico pensiero poli- tico per il nostro tempo. 1943: E Portenda scoperta della «soluzione finale», € dello stermino; un orrore che lascia senza parole ¢ che non ha nulla a che fare con i crimini del passato: Si pud esprimere lo stesso concetto in parecchi modi diversi, Per quanto mi riguarda, sono soita dire che tutto questo non sarebbe dovuto accadere perché gli cuomini non potranno mai punire né perdonare una simile mostruosita. Non potremo mai scendere a pat tio rconciliarci con essa, cosi come dobbiamo e pos siamo fare con ogni altro evento del passato* Era accaduto qualcosa con cui era impossibile veni rea patti? ARENDT, La vita delle mente, cit, pp. 260-26. 2 ARENDT, Aleune question’ diflosofia morale, ct, p. 46. 2 Anup, Che cosa reste? Rest la lingua cit, 9.4. 18 Intradcione Ebbene il problema del nazismo - aggiunge Arendt — non deriva dal comportamento dei nazisti stessi, Che tuna banda di briganti, di perversi o di fanatici abbia sognato di costruire un ordine nuovo, che sifonda sul rovesciamento del decalogo, ¢ che fa dell’omicidio un dovere, & certamente deprecabile, ma non ha nulla di sorprendente. Il vero problema, il problema morale, @ Papprovazione da parte di migliaia di cittadini nor- sali che non erano dei criminali, che non hanno agi to per convinzione e che hanno comunque passiva- mente «seguito la corrente (Gleichscbaltung)». Se fu «tracciata dall’odio», la strada di Auschwitz fu «lastri- cata dindifferenza»®, vale a dire dobbedienza, di scacco del giudizio ¢ di abdicazione della coscienza morale. I nazismo significa innanzitutto un collasso della morale. Come hanno potuto i Tedeschi condur- re lasciare al potere degli uomini che facevano del- Tomicidio un imperativo in nome della salvezza della sazza? E come hanno potuto quei milioni di uomini ‘comuni? Dobbiamo perdere la fiducia in ogni morale? Questa é la seconda ragione per guardare a Socra- tc, perché eg il fondatore della morale occidentale. E lui il primo ad affermare che Puomo non instaura solo dei rapporti con gli altri, ma anche con se stesso. Egli teorizza la coscienza come testimone interiore che ci vieta di commettere certe azioni per non per dere la stima di noi stessi: «L.] & meglio subire Pin- siustizia che commettetla» per restare in armonia con se stessi. Ma possiamo ancora credere a una coscienza morale presente in tutti gli uomini e che parla loro con un linguaggio inequivocabile quando la morale comu ne @ crollata con tanta facilita sotto il Terzo Reich? Quale fragilita, quale faglia si nasconde in questa tra- 2 La formula & iL. Kenstiam, LOpinion allomonde sous le [Naxime: Bair 1933-1945, CNRS éditions, Pri 1995, p. 244, 9 Hanna Arendt dizione inaugurata da Socrate? Che cosa ha lui stesso da insegnarci sulla coscienza? E se non possiamo piit veramente avere fiducia nella morale, non & necessatio esercitare la cittadinanza per difendere i valori che es sa ci ha trasmessi ¢ a cui non intendiamo rinunciare? 1961: Arendt assiste come giornalista, su sua ri- chiesta, pet senso di responsabilita verso il suo passa- to, al processo contro Eichmann a Gerusalemme. Ta- Je processo dara vita ad un libro, ma anche a tutta ’ul- tetiore riflessione fino a La vita della mente. Eich- mann rappresenta l’esempio tipico di quelli che ogi vengono definiti «criminali burocrati> o «funzionari del male». Se eglinon ha mai partecipato alle esecuzio- ni, nondimeno é stato Larchitetto effciente e zelante della soluzione finale, Quello che Arendt scopre a Ge- rusalemme & che quest uomo capace di crimini tanto ‘mostruosi non ha nulla di mostruoso: viene descritto come normale, non ha tendenze omicide; non & nep- pure un ideologo fanatico né un antisemita convinto, La nozione di . Anenpr, La dizobbedienza civile, io EAD. La disobbe dienza cvilee alr sagged, it. acura di T. Serra, Gift, Mil ‘0 1985. 2 Anupn, Teoria del giudizio politico ct. > ARENDT, Responsoblitde giudiao, ci. Fa Introducione In compagnia di Socrate Arendt elabora alcuni fondamentali concetti del suo pensiero: quelli di «plu- raliti», di «due-in-uno», di «giudizion. I! Socrate di Hannah Arendt ha tre volt: il cttadino-pensatore, il pensatore morale e il pensatore critico. A queste tre fi- igure Arendt fa appello per trattare rispettivamente i tre problemi sopra richiamati: come cittadino-filoso- fo, Socrate l’aiuta a pensare la relazione tra filosofia e politica; come moralista, Paiuta a pensare quella tra morale e politica; come pensatore critic le consente di indagare il rapporto trail pensiero (o la sua assen- za) ela facolta di discernere il bene dal male. Analiz- zeremo prima questi tre volti di Socrate per cercare di capire poi come esi pud, secondo Arendt, aiutarci a chiarire il cuore del XX secolo che la sua opera tenta dicomprendere. Ttre volti di Socrate Ieiitadino pensatore ela pluralita Ponendosi sotto il vessilo di coloro che «da qual- che tempo hanno tentato di smantellare la metafi cay", appare logico che Arendt individui in Platone lo spostamento del pensiero verso la metafisica; ma, a differenza di Heidegger, cid che oppone a Platone, @ Socrate e non i presocratici. Cosi esiste, secondo lei, ‘ana linea di demarcazione precisa tra cid che @ au- tenticamente socratico ¢ la filosofia insegnata da Pla- tone»*. Non si insisterebbe mai abbastanza sulla frat- tura che Arendt fa passare tra Socrate e Platone tanto ssa ha, nella sua opera, un carattere centrale: Socra te incarna, come afferma Barbara Cassin, «il momen: to prefilosofico-politico»?, dove pensiero e politica sembrano potersi accordare anche se il binomio che formano non & esente da conflit. Al contrario, con Platone cominciano una tradizione ostile alla politica ¢ un rovesciamento delle esperienze e delle convin- zioni socratiche. Mentre Platone disprezza Pazione comune, Socrate ha una comprensione autentica di cid che é la politica. Eglirivela anche, poiché non é so: lo cittadino ma anche pensatore, quale pud essere il nuolo del pensatore nella citta. Questo punto di par- tenza pone gia un primo problema: se Platone ha tra- 1H ARENDT, Le vite della monte, ed. it. a cura di A. Dal La 40, il Mulino, Bologna 1987, p. 306 2 ei, p. 261, > B. CASSIN, Les paredigmes de !Antiguité, in AANV., Polit. ue et Pensées, Payot, Paris 1996, p. 29. a MPCs crettetteS Hannah Arendt dito Socrate, dove potremo ritrovare lautentico So- crate? La risposta consiste nel dividere opera plato- nica in due, nell’introdurre una separazione netta tra i dialoghi socratici da un lato ei dialoghi platonici dal- Paltro. Arendt si basa sulla lettura del! ellenista ame ricano Gregory Vlastos*. Secondo Vlastos: Nelle diverse parti del corpus platonico, incontria ‘mo due filosofi che portano il nome di Socrate. in. dividuo res lo stesso, ma nei gruppi dei diversi dia Toghi lo vediamo praticae filosofie cost diverse che risulta impossible che siano state descrite in co- stante coabitazione nello stesso cervello, a meno che non fosse il cervello di uno schizofrenico?. Il vero Socrate é quello dei primi dialoghi aporeti- G. VLAsTOs, Socrate contre Soorate chez Platon in 1D.,So- crate: ironieetphilosopbie morale, Avbiet, Pais 1994, p.70. 28 Ire volt di Socrate aver avuto dei problemi con il potere, per aver d’altron- decvitato le catiche pubbliche, e per essersi tenuto a di stanza da ogni politica, quando non V’ha proprio net- tamente condannata. La risposta di Arendt su questo punto mette in risalto che ¢ «politica» (cid che viene eonsiderata tradizionalmente come tale) ¢ politica, ¢ che occorre intendersi sul termine. Loriginalita (alcuni diranno T’eccentricita di Hannah Arendt) consiste nel porsiimmediatamente a lato rispetto a quello che la tra- Eizione ha sempre considerato essere il politico. I ter- mine non designa per lei il potere di costringere né il rapporto di dominio tra governanti e governati, né l'e- sercizio della «iolenza legittima», Per Arendt, lo spa- io politico, essenzialmente inassegnabile, non si iduce a quello delle istituzioni statali; la politica é soprattutto intesa come elo spazio in cui siistituiscee si rivela la co- munita del mondo»®. Come tale, non la si pud citco- scrivere in ambiti ben delimitati definiti in anticipo. La politica non designa per prima cosa l'arte di go- vvemnare, né la lota peril potere,né il gioco dei part, neppure le decisioni del parlamento, Non che occorra sopprimere lo Stato o distruggere i parlamenti (a leg 2 éperil repubblicanesimo di Hannah Arendt il imi te costitutivo del politico), ma rutto cid non deve farci dimenticare un’altra fase dell’ attivita politica umana. Cé politico quando condividiamo il mondo con altri che sono diversi, quando discutiamo e agiamo con es- si, Fare politica significa fare esperienza della comuni- te della reciprocita tra esseri divers’. La politica esi- ste (poiché non existe sempre e forse solo eccezional- mente), la dove ci sono spazi di dialogo, di iniziativa, di © A.M. RoviELLO, Sens commun er Maderité chez Hannah Arendt, Ousia, Bruxelles 1987, p.2. 7H ARENDT, Che cos’ a politica?, acura diU. Luda, pref. di K.Sontheimer, trad. it di M.Bistolfi,Edizioni i Comuniei, Mi Jano 1995, pI. Hanna Arendt azione concertata; spazi in cui ciascuno pu partecipa- re tra eguali, aver la gioia di apparire in pubblico e di poter realizzare con altsi quello che non si potrebbe certamente fare da sol, Si potrebbero esigere esempi che Arendt fornisce volentieri: «i consigli», «questi te- sori perduti delle rivoluzioni» (1776 a Boston, 1789 a Parigi, la rivoluzione di Budapest); a cui aggiunge due esperienze accessbili ad ognuno: la partecipazione co ‘me giurato in un processo e 'appartenenza a un consi ¢glio comunale. Quando sitratta per esempio —sostiene ‘Arendt ~ di decidere se éil caso di condannare qual- uno o se bisogna costruire un ponte, succede di esse- ze stupiti dal senso civico mostrato da ognuno® La politica non sifa soltanto nell eclesia, ma anche sull'agora, ¢ talvolta pit sulla piazza del mercato che in un’assemblea. Era gia la convinzione di Socrate: quando le assemble ufficali praticano solo la «ga- stronomia» (cft. Gorgia 463 b), allora la politica au- tentica si fa sulla piazza del mercato grazie a un dialo- go fa tuti, Cid permette a Socrate di affermare nel contempo ¢ senza contraddizioni, di non fare mai po- liica, ¢,tuttavia, di essere ad Atene ail solo a fare dav- vero politica» (Gorgia 521d). Socrate pratica la sola politica autentica, poiché eglié disponibile con cia- scuno e conduce ciascuno, interrogandolo, non a ri- nunciare alla propria opinione (per Arendt questo punto sara vero solo selativamente a Platone), ma ad assumerla e ad argomentarla davanti agli altri. Socra- te @ il modello del cittadino non per quello che inse- gna, teorizza,afferma o consiglia; ma per quello che fa; ¢ quello che fa @ praticare la maieutica nel cuore della cit Hannah Arendt on Hannah Arendt, in ASNV., The Re covery of a public World, Saint-Martin Press, New York 1979, p. 5317, laettera di Arendt a Jaspers del 16 gennaio 1967. 30 Tre volt di Soeate Potremmo, a questo proposito, accostare il Socrate di Arendt a quello di Patocka, un altro filosofo «scon: volt» dalle catastrofi del secolo. Patocka forgia l'e- spressione di «*. Viene cosi svelato cid che i secoli successivi chiameranno la coscienza ‘morale: un testimone interiore che mi giudica, mi sor- veglia, mi condanna; testimone presente anche quan- do sono senza testimoni. Dungue, perché non uccidere mia nonna? Perché vivo con me stesso e vivere con un assassino non pud che trasformare il dialogo interiore in conflito, la st- ma che ho verso di me in odio e il pensiero in non- senso, dato che il limite del conflitto interiore ¢ Pim- possibilita di continuare a pensare a cid che ho fatto. Allora Panima non @ pitt «in armonia, bens! in guerra con sé medesima»*”. Colui che ha commesso un cri- =H, Anenpr, Sulla rvoluzione, trad. it i M. Magen, Ea ion di Comuniti, Milano 1983, p- 109. 2 Cis F Wout, Socate, PUR, Pars 1995, p. 88. 7 Axgnprr, La vita della mente, cit, p. 284 38 1 re vol di Soeate mine non pud pid amarsi né parlare con se stesso, co- sme testimonia in modo straordinario il Riccardo IIT di Shakespeare (menzionato da Arendt). Nei suoi bal- sbettamenti e nelle sue contraddizioni, Riccardo II ri- ‘yela che il crimine rende incapaci di pensare, perché dd che pud cercare di dire Riccardo & subito smenti- to: «No», «si»; «io sono», ‘non sono»; «mi amo», «ani detesto>. II dialogo scivela nel nonsenso; esi sen- te, sottesa, Pangoscia estzema della frantumazione € della spersonalizzazione: Che cosa temo? me stesso? Nessun altro & quis Ric cardo ama Riccardo; io sono io, C’& qui un assasi ‘no? No. Si, son io. Allora fuggiamo. Come, da me stesso? Buona ragione: perché? Perché io non faccia vendetta. Che? Di me sopra me stesso? Ma io amo ‘me stesso, Perché? Per qualche bene che io abbia fatto a me stesso? Oh, no! ahimé, io piuttosto mi ‘dio per odiose azioni commesse da me. Io sono uno scellerato; eppure io mento, non lo sono. Sciocco, parla bene dite stesso; sciocco, non adulart®. A cid bisogna aggiungere che i apport che ho con ‘me stesso governano in parte quelli che ho con gli al: tri: chi vive con un assassino dentro di sé vive anche in un mondo di potenziali assassini?°. La prima stima comincia sempre da se stessi, @ il modo migliore af- finché il mondo ne tragga vantaggio. Tnfine, atraverso le sue considerazioni, Socrate ha fondato la morale nella misura in cui Kant, in un cer- to senso (ma come vedremo pitt in la in un senso so- Jui pp, 284-285. H. ARENDT, Il pension ele riflesioni mo- sali, EAD, Responsabilitae giuditio, a cura diJ. Kohn, ed. it. Et saudi, Torino 2004, p. 161 ARENDT, La vita delle mente, ct, p28. >» Anenbt, Filosofia e politica, cit, p. 961 39 Hannah Arendt Tamente?), riprendera queste considerazioni socrati che, Il valore fondamentale della morale kantiana ri siede anche nella stima di se stessi. Arendt osserva che gli si esprime in termini molto vicini a quelli di So- ‘erate quando scrive: «{...] la perdita della stima di se stessi 2 il male pit. grande che mi potrebbe capita- rey??, dunque non la perdita della considerazione de- ali altri. Secondo Kant, chi commette un’azione im- morale non pud rimanere in armonia con se stesso da- to che pretende nel contempo la legge e l'eccezione alla legge a suo favore: chi, per esempio, fa una pro- messa falsa, riconasce che la legge delle relazioni uma- ne @ i rispetto della parola data, senza di cui si «ren- derebbe impossibile lo stesso promettere e il fine che con esso si abbia, perché nessuno crederebbe che a lui sia stata promessa qualcosa». ancora grazie a Socrate che Arendt scopre un al- tro dei concetti fondamentali del suo pensiero: quello del adue-in-uno». Nelle sue ricchissime analisi sul «*®, ma «una intuizione nata dall’esperienza del pensiero». Questo non ha nulla a che vedere con la stessa proposizione ripetuta da Carmide, che la pronuncera,rispetto a lui, non per ‘esperienza, ma perché lo diceva Socrate o perché ha detto Criaia, in breve, perché era ei che si affermava all'epoca, nell’ambiente degli amici di Socrate (cfr. Carmide 162d). Cid che per Socrate @ un’evidenza fondata sullesperienza, pud diventare, considerata da un altro, «una vecchia verita riscaldata». La vera mo- rale, dunque, dovra diffidare della morale; poiché nel- la morale cid che conta non @ cid che si pensa quanto iil modo in cui lo si pensa. E vi @ un'ambiguita delle «proposizioni fondamentali della morale», che, ase conda che siano 0 meno fondate sull’esperienza del % Awenpr, Le origin dl totalitarismo, cit, p- 653. >» ARENDT, La eta della mente, ct, p. 276 4 Hannah Arendt pensiero, non avranno affatto lo stesso valore né la stessa solic’ 3 —La coscienza non é per Socrate un possesso che apparterrebbe alla natura dell'uomo e che sarebbe ‘quindi sempre presente in tutti gli uomini. Il testimo. ne di cui parla Socrate resta «a casay**. Cid vuol dire cche compare dopo ’atto, quando si itorna a casa (in se stessi); assume allora la forma del pentimento (co- me in Riccardo II), Pua anche comparire prirea del azione facendosi scrupolo (come il celebre demone di Socrate), nel timore anticipato di cid che potrebbe essere il ritomo a casa, Manon tutti gli uomini hanno rimorsi o scrupoli, perché non tutti convivono con se stessi. Arendt evoca un passeggio dell Ippia Maggiore, che tende a dimostrare che in Ippia non si manifesta nessun testimone interiore: Quando Ippia toma a casa, resta uno, poiché, scb- ‘Bene viva solo, non cerca di tenersi compagnia. Cer to, e@li non perde la coscienza, semplicemente non ha Yabitudine di renderla attiva. Quando Socrate toma, non & solo, eglié con sé, Con questo compa: sno che lo attende, chiaro, Socrate deve pervenire a qualche tipo di accord, piacché vivono sotto lo stesso tetto”, Possiamo notare che questo testo oppone implicita- mente due tipi di solitudine: in Socrate, la solitudine & essere in compagnia di se stesi (cid che Arendt in in- slese chiama solitide), mentre Ippia & incapace di te- nersi compagnia; nella solitudine, egli «manca ase stes- so», ¢ il suo io 'abbandona (cid che traduce il termine 2 Tire volt di Soeate inglese loneliness). Si osservi anche che Arendt rilegge qui i Primi Dialoghi di Platone alla luce della fenome- pologia heideggeriana: non c’@ nessun natura umana ¢ la coscienza non & per F uomo un possesso. In colui che non attualizza mai il dalogo interiore, gli ati che ‘compie non appaiano mai, a meno che non appaiono adaltri. Orbene, secondo Arendt, ogni essere & un ap: parire. Se gli atti non appaiono né a testimoni esterni ‘capaci di giudicarli,né al testimone interiore che @ la coscienza, essi perdono ogni realta. Cost potrebbe spiegarsi il fatto che taluni criminali sembrano igno- rare non soltanto la gravita dei loro atti, ma anche la loro realta 4~Lacoscienza pud non soltanto venire meno, pud anche autoingannarsi: per questa ragione Arend insi- ste anche su un'altra massima socratica, presa questa volta da Senofonte: «Si quale desideri appatire», significa appari sempre ‘come desideri apparire agli altri, anche se ti capita di essere solo ¢ di non appari che a te stesso>°®. Bisogna essere di fronte a se stessi allo stesso mo- do che di fronte agli altri. Il testimone interiore @, dunque, il rappresentante della pluralita;e il dialogo nella solitudine interiorizza il punto di vista degli al- tri, La massima di Socrate biasima il vizio pid grande, cio’ Fipocrisia che si definisce come una menzogna verso gli altri raddoppiata da una menzogna verso se stessi. Jy p. 118, » Ibid. 8

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