—O Regina cortese,—io so a voi venuto ch’al mio cor feruto—deiate medecare. Io so a voi venuto—com’omo desperato da omn’altro aiuto;—lo vostro m’è lassato; se ne fusse privato,—faríeme consumare. Lo mio cor è feruto,—Madonna, nol so dire; ed a tal è venuto,—che comenza putire; non deiate soffrire—de volerm’aiutare. Donna, la sofferenza—sí m’è pericolosa; lo mal pres’ha potenza,—la natura è dogliosa; siate cordogliosa—de volerme sanare. Non aio pagamento,—tanto so anichilato; faite de me stromento,—servo recomperato; donna, el prez’è dato:—quel ch’avest’a lattare. Donna, per quel amore—che m’ha avut’el tuo figlio dever’aver en core—de darm’el tuo consiglio; succurrime, aulente giglio,—veni e non tardare. —Figlio, poi ch’èi venuto,—molto sí m’è ’n piacere; adomandimi aiuto,—dollote voluntere; ètte oporto soffrire—co per arte voglio fare.
Medecaro per arte—emprima fa la diita;
guarda li sensi da parte—che non dien piú ferita a la natura perita—che se possa aggravare. E piglia l’oximello,—lo temor del morire; ancora si fancello,—cetto ce de’ venire; vanetá lassa gire,—non pò teco regnare. E piglia decozione—lo temor de lo ’nferno; pens’en quella prescione—non escon en sempiterno; la piaga girá rompenno—farallate revontare. Denante al preite mio—questo venen revonta, ché l’officio è sio;—Dio lo peccato sconta; ca se ’l Nemico s’aponta,—non aia que mostrare.