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IO E IL LIBRO: RACCONTI DI ENIGMI

1. ‘Racconti di Enigmi’ di Edgar Allan Poe

2. All’inizio confesso che ero molto titubante, perchè pensavo che non ci fossero
altri gialli paragonabili a Sherlock Holmes di Arthur Conan Doyle, ma dopo
aver scoperto che è stato proprio Allan Poe ad essere l’inventore, se così
possiamo definirlo, del genere giallo, mi sono convinta.
Le prima pagine sono state confusionali per me, che mi aspettavo fossero
l’inizio di un caso di omicidio, ovviamente abituata alla scrittura di Doyle.
Allan Poe non è solo uno scrittore di gialli, ma anche un grande poeta.
Esprime i pieni concetti della vita poetica sulla Terra, che possono anche
essere contraddittori con le creazioni di Dio.
Secondo lui, se un uomo vuole ammirare nel modo giusto la gloria di Dio,
deve farlo in solitudine.
Desidera ardentemente il distacco dalla vita umana, tutto ciò che è diverso
dalla ‘vita verde’, per poter godere il panorama.
Ho semplicemente adorato il modo in cui differenzia la sua scrittura,come
scrittore di gialli, da tutte le altre, facendo fermare il lettore per godere delle
sue fantasie più o meno bizzarre, che per un uomo dell’epoca erano
inaccettabili.
I casi avevano qualche nota di orrore, per portare il lettore ad uno stato di
angoscia.
Che dire, il giusto equilibrio tra poesia, sorpresa e disgusto.

3. SOLITUDINE- La visione della gloria terrena e celeste è solo visibile se


in solitudine. La solitudine è anche una potenziale arma contro chi ti ama,
trasformando la voglia di stare da soli nel bisogno assoluto di allontanarsi
dalla società.
Ferendosi socialmente, creando traumi ed essere costretti ad una vita
sedentaria, vivendo nella più sporca apatia.
Ma Dupin, il brillante nobile, pur vivendo nella più totale solitudine a causa
della perdita dell’eredità della sua famiglia, successivamente ad alcune
disgrazie sul suo conto, occupa il suo tempo a fantasticare sulla filosofia nel
salottino della sua umile casuccia.
La solitudine lo porta all’improvviso ad intraprendere una vita attiva.
Ha poche passioni, ma la solitudine era tutto ciò che aveva avuto per molti
anni al proprio fianco, quasi come se non fosse una parte di se stesso, ma
una cara amica.
Intraprende percorsi senza tracce, nutrendosi dell'ignoranza altrui.
Il giovanotto non ha nessun titolo investigativo e mangiato dalla noia, trova
divertimento ad indagare su casi in cui la povertà analogica prende il
sopravvento.
GIOVINEZZA- La fanciullezza per cui qualcuno potrebbe uccidere.
Gelosia, possessività, invidia, ma anche ammirazione, affetto, supporto.
La giovane Marie Roget, l’innocenza della giovinezza; Auguste Dupin, la
giovinezza di una mente analitica; William Legrand, un’anima giovane in
un corpo rugoso; Hans Pfall, la giovinezza dei sogni…

INFELICITA’- Si ritrova in ogni pagina del libro, che sia una poesia o
un caso d’omicidio.
Però, la ritroviamo sotto aspetti molto complicati e nascosti.
La parola “infelicità” non è presente nel libro, ma si può analizzare
attraverso i pensieri dei personaggi.
Per metterlo in chiaro, credo che ogni individuo presente nel libro
sia il protagonista.
Troviamo degli aspetti che non caratterizzano il personaggio, non
avendo né descrizioni fisiche né caratteriali e che quindi tengono il
vero protagonista nascosto.
Possiamo dunque, chi è al possesso di una vaga immaginazione,
ricavare dal testo, che non è importante colui che racconta in prima
persona, ma i personaggi presentati.
Ogni personaggio, vero protagonista del libro, affonda nella propria
infelicità.

4. “Egli era molto istruito, dotato di facoltà intellettuali non comuni ma affetto da
misantropia e soggetto a morbose alternative di entusiasmo e di malinconia.
Aveva con sé molti libri ma raramente leggeva.”
Il protagonista, di cui non viene mai presentato il nome, descrive un suo caro
amico come un genio consumato dall’apatia.
William Legrand soffre di una profonda depressione causata dalla perdita
dell’intero patrimonio della famiglia nobile.

Devo essere molto sincera ora.


Questa frase la sento mia, sento che mi appartiene.
Non sono sicura di soffrire di misantropia, però ho sempre avuto paura
dell’umanità, o meglio, delle cose che non posso controllare.
Io sono un sognatore lucido, ed essendo abituata a controllare i miei stessi
sogni, vivendo come se fosse nella realtà, quando mi sveglio sento sempre
questo grosso peso al cuore.
Non che io sia una maniaca del controllo, però sento di non essere mai
riuscita a controllare la mia stessa vita.
Io non soffro di malinconia, io la cerco, e quando ritorno a vedermi come un
protagonista secondario o come una semplice apparizione, cerco la solitudine
contorta in ogni minimo dettaglio.
Io possiedo molti libri e una cultura certamente più vasta del normale, ma non
mi metto quasi mai in mostra.
Ho talmente paura delle persone che penso che a volte possano distruggere i
miei libri e incendiare il mio palazzo mentale.

5. Non scriverò di un episodio, ma bensì di un caso.


Come è possibile notare, traggo piacere nel cercare di comprendere la
complessità.
La complessità nella sua generalità mi fa venir voglia di non dormire.
I miei occhi che stanno fissi sul soffitto durante le mie notti insonni, mentre
cerco di mantenere attivi gli ingegni nel mio cervello.
Mi piace quel genere di complessità che ti fa strappare una ciocca di capelli
dal capo, cercando di mantenere la compostezza nel mentre che le lacrime
agli angoli degli occhi minacciano di sgorgare.
Mi piace quel genere di complessità che ti fa sentire incompreso per un
attimo.
Ed è proprio quello che ho trovato in ‘Gli assassinii della Rue Morgue’.
Sono stata in grado di provare i brividi per quanto il caso fosse puro orrore,
come se Allan Poe avesse provato lo stesso disgusto.

Il caso de ‘Gli assassinii della Rue Morgue’ racconta del ritrovo tragico della
famigliola L’Espanaye, madre e figlia, morte in circostanze disgustose.
La figlia, Mademoiselle L’Espanaye, viene ritrovata nel condotto della fornace
a testa in giù.
Il corpo della fanciulla viene esaminato.
Presentava lividi scuri e enormi, i quali alcuni erano posizionati in modo non
casuale intorno al collo, guidando la polizia al momento dell’investigazione ad
un possibile tentativo di furto a scasso, e mancante di alcune ciocche di
capelli.
La madre, invece viene ritrovata in giardino, stesa per terra con il collo tagliato
e il corpo sventrato.
Presentava anche lei dei grossi lividi su tutto il corpo, sembrava che
l’assassino abbia avuto fretta di ucciderla, a vedere dal profondo taglio.
Nella stanza della ragazza, la polizia trova un rasoio zuppo di sangue.
Durante tutto il sopralluogo, nessuno è stato in grado di possibilitare l’apertura
della grande finestra situata nella stanza da letto, così impossibilitando una
vaga idea della fuga dell’assassino.
Come era uscito se tutte le finestre erano bloccate? E com’era entrato
invece?
Le scale non potevano essere una soluzione, essendo che l’appartamento era
situato al quarto piano.
Lo stridio degli scricchiolii, nel bel mezzo della notte, sarebbe rimbombato di
certo.

Il giovane Dupin passa tutta la notte, subito dopo che si è intrufolato


silenziosamente tra gli agenti della polizia francese, a cercare una possibile
pista.
Arriva a pensare che era possibile che gli agenti, poche ore prima, non
avessero osservato bene la finestra della camera della fanciulla, il luogo del
suo delitto.
Trova che l’assassino, o qualunque cosa fosse stato, avendo pensato che la
forza con cui le due vittime sono state picchiate selvaggiamente prima della
morte e le circostanze in cui erano state ritrovate, fosse disumana, avesse
ingegnato in maniera impeccabile un modo per fuggire e possibilmente,
entrare poco prima.

Il caso finisce con una svolta poco sensata e molto inverosimile, a parer mio.
L’assassino della tragedia della Rue Morgue era un orango tango inferocito.
Onestamente penso che dovevano esserci più dettagli.
Non so, ho trovato che lo scrittore volesse aggiungere qualcosa di
“difficilmente immaginabile”, volendo renderlo leggermente più strano.
E’ stato un peccato che il caso fosse troppo corto per i miei gusti, essendo
abituata alle avventure di Sherlock Holmes.
Dopotutto, Allan Poe e Doyle hanno due stili di scrittura completamente
diversi.

6. Non avevo mai visto una bellezza così… triste.


Passavo notti insonni per le strade di Parigi alla ricerca di una costellazione
che potesse ricordare la mia appartenenza al mondo.
Di stelle quella sera non ce n’erano molte, ma quei pochi puntini di diamante
splendevano come se fossero dei fari.
Non avevo molti amici, l’umanità mi terrorizzava.
Mio zio mi aveva insegnato a parlare, leggere, camminare…ma durante il
corso della mia giovinezza, non mi aveva mai parlato del mondo.
Avevo portato con me, durante il lungo viaggio dalla mia adorata Inghilterra,
separandomi dal mio casato, in quanto giovane nobile, parecchi libri di
psicologia, ma raramente spendevo il mio tempo a leggere.
Non avevo nessun interesse nelle strane supposizioni circa la mente umana,
ma trovavo interessante la scienza dell’investigazione.
Bisognava avere contatto con la mente e con il corpo.
Mia madre, la Comtesse Blanchard, aveva il brutto vizio di mettere in mostra
la mia mano a tutti i più dolci fanciulli.

"Ma douce Reyane, mon bébé, ton mariage sera le plus beau des cadeaux."
“Oh non, maman, je pense que le plus beau cadeau était le bal chez le Vicomte
Dublanc... tu sais, ta Reyane est encore trop jeune.”

Mio zio Eugène aveva preferito un hobby più adatto ad una donna nel
bocciolo della fanciullezza.
La giardineria e la cura della casa erano ciò che aveva scelto per me, ma io
preferivo specchiarmi nell'acqua limpida del nostro piccolo laghetto.
Subito dopo il tramonto, trovavo che l’acqua fosse lo specchio del Diavolo.
Sebbene non sapevo di cosa parlassi, facendo uscire sillabe a vanvera dalle
mie labbra, ero certa che era l’unica verità del mondo che potevo davvero
affermare.
Passavo le notti abbracciata alle stelle, unica fonte di umanità che trovavo
confortevole nel caldo dell’estate.

Il tè si stava raffreddando nel mentre che gli abiti da notte venivano gettati sul
pavimento con non troppa curanza.
Il sole era già Re sopra il cielo azzurro e limpido come un secondo specchio
d’acqua, cocendo l’asfalto e le foglie che si mostravano maestosamente
nell’alto degli alberi.
Gli abiti da passeggio erano già stati stirati e profumati quando il bicchiere di
Oasis, splendeva sotto la luce accecante, poggiato sul tavolino da giardino di
cristallo.
La giovane Marie Roget, una fanciulla dolce e premurosa, dalle sempre
guance rosee e gli occhi scintillanti, aveva richiesto non molto tempo fa una
visita ai nostri giardini, i più belli di tutte le magioni a Parigi.
La tavola era stata adornata con i fiori più belli del giardino, colorati e
profumati, apparecchiata con le posate argento più eleganti che avevamo.
Ogni delizia tipica del territorio natio era stata posizionata sopra la tovaglia
ricamata, facendo invidia anche al più noto nobile dell’intera Francia.

Era una ragazza dalle buone maniere, sempre sorridente.


Dalla fascia del suo cappello da passeggio, spuntava una spilla azzurra con
motivi argento, con un piccolo diamante in cima.
Lo aveva raccolto elegantemente, come se avesse paura di romperlo, di
spezzarlo.
“Prego, Comtesse Neville, vorrei ringraziarvi della vostra ospitalità. So che
non è molto, ma siete state molto gentili con me, vi prego di accettarlo.”
“Certo, Lady Roget, ma, ditemi, volete che vi accompagni a casa? Vostra
madre deve essere molto preoccupata.”


Nei giorni a seguire, abbiamo passato molto tempo insieme.
Aveva molti ammiratori, la sua bellezza era unica, ma aveva la pelle così
chiara che sembrava fosse malata.
Durante le notti non ero più così sola, forse le stelle mi avevano staccato dal
loro abbraccio, come un bambino dal seno della madre, e mi avevano affidato
a lei, la dolce Marie Roget.
“Confidatevi con me, ma chère. I vostri fiori sono i più belli che io abbia mai
potuto vedere a Parigi. Se avete qualche segreto, ditemelo all’orecchio.”
“Oh no, Mademoiselle. Avete sempre questa innocente curiosità, ma non c’è
nessun segreto. Bisogna solo coccolarli.”
Pensava che la vita fosse meravigliosa, colorata e profumata, proprio come i
fiori del mio giardino.
Sembravamo così legate che niente poteva separarci.
Io passavo le giornate libere a leggere e lei a riposare di fianco a me, sulla
poltroncina del mio piccolo studio.

L’unica cosa che poteva separarci era la morte, e un giorno arrivò anche lei.
Arrivò ad abbracciarla, specchiandosi sull’acqua limpida della Senna.
I giornali quotidiani non parlavano d’altro.
Il corpo era stato ritrovato quattro giorni dalla presunta morte, probabilmente
violentato, massacrato e annegato.

"Mademoiselle Neville, vi dispiace partecipare al caso? Voi siete l’unica


compatibile al mio stile di investigazione.
Le mie più sincere condoglianze, Comtesse.
Quartiere Rue Saint-André, alle 11 di questa sera.

Vostro caro,
Chevalier Auguste Dupin.”

7. Mi sono affezionata molto a questo libro, nel suo complesso o nella sua
semplicità.
Ha quel tocco di malinconia, tristezza mischiato con l’orrore e la confusione
che mi ha fatto un certo effetto.
Ho ritrovato un po’ di Sherlock in questo libro, solo dal punto caratteriale di
Dupin.
L’ho adorato, Edgar Allan Poe è uno dei padri del giallo.

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