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Rocco Liberti

Folklore di Calabria
Proverbi e modi di dire-Filastrocche-Indovinelli-
Blasoni popolari-Scioglilingua-Strambotti
amorosi e stornelli a dispetto

2a edizione
in copertina: i giganti delle sagre paesane negli anni ’30
del passato secolo a Tresilico (foto Luigi Morizzi)

© Copyright, 2011
Rocco Liberti
Via Domenico Carbone Grio 26
89014 Oppido Mamertina (RC)

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA

Tutti i diritti d’autore, di traduzione, elaborazione e ri-


produzione (anche di semplici brani o a mezzo di ra-
diodiffusione) sono riservati per tutti i paesi del mon-
do. Qualsiasi contraffazione e riproduzione di parti
verrà perseguita a termini di legge.

Prima edizione: Barbaro editore,


Gioia Tauro-Oppido Mamertina 1979.

La ricerca che presentiamo è stata effettuata nel territo-


rio di Oppido Mamertina, ma la maggior parte delle
composizioni è patrimonio comune di tutta la Calabria
e anche di altre regioni dell’Italia. Le varie formulazio-
ni sono dovute unicamente alle differenziazioni dialet-
tali e al diverso costume di vita.
La letteratura gnomica relativa a motti, aforismi e sen-
tenze rappresenta uno dei lati più pittoreschi dell’anima
popolare. Essa o paremiologìa raccoglie come in un corpus
le piccole esperienze, buone o cattive, avute dall’uomo
lungo il lento volgere dei secoli tramite uno stretto rap-
porto coi suoi simili e con la natura circostante. Tali espe-
rienze, riprodotte in frasi cadenzate dallo schietto sapore
dialettale e dal profondo e moraleggiante doppiosenso,
che sempre nuove schiere di folkloristi hanno catalogato e
illustrato, hanno significato per i nostri maggiori, in epo-
che alquanto lontane dalla nostra e quando una vera edu-
cazione era ancora di là da venire, la più alta saggezza e il
più efficace insegnamento. Si sono dimostrate sicuramen-
te utili ai fini di un comodo inserimento nella vita sociale.
Leggendo qualsiasi raccolta di questi modi di dire non si
può fare a meno di notare come l’Antico, bella e ideale
figura di vecchio sapiente impersonante tutta l’Umanità,
abbia perlustrato fin nei fondi recessi l’animo degli uomi-
ni, tanto da studiarne tutte le sfumature e da rilevarne
ogni segreto tratto.
Il presente compendio, che per comodità nostra e di chi
legge abbiamo suddiviso in varie rubrìche, è alieno da
qualsiasi pretesa e vuole essere appena un modesto con-
tributo alla sempre maggiore ricerca di quei motti, che,
tramandati oralmente sin dai primordi dell’umano vivere,
sono stati, e permangono a esserlo tuttora, il decalogo se-
greto e morale di ogni famiglia.

FAVOLISTICA

In molti adagi l’uomo rappresenta e fa addirittura agi-


re personaggi animaleschi, ma dietro a questi ultimi si na-
sconde proprio lui, l’uomo, questo sconosciuto, con
pregi e difetti e, proprio come avveniva nell’antichità pa-
gana con le celeberrime e moralistiche favole di Fedro e di

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Esopo, i vizi e le virtù degli animali adombrano, appunto,
quelli più appariscenti degli uomini.

1-‘a crapa si doli e ‘u zzìmbaru si mungi.


2-‘a gaìna faci l’ovu e o’ gaiu nci bruscia ‘u culu.
Questi due proverbi, pur avendo personaggi totalmen-
te diversi, hanno però identico intendimento. Con essi si
ammoniscono tutti coloro che si lamentano per le fatiche
altrui quasi che fossero le proprie. La capra sente dolore,
ma è il caprone a lamentarsi. La gallina fa l’uovo, ma è il
gallo che risente del relativo bruciore all’ano.

3-Se pecura ti fai, lupu ti mangia.


Come non ricordare, a questo proposito, la celeberrima
favola del lupo e dell’agnello? Il debole è da sempre pre-
da del prepotente e ogni agnello deve attendersi la sover-
chierìa di ogni lupo.

4-Amara ‘a pecura chi nd’avi e dari ‘a lana.


Meschina la pecorella che dev’essere tosata! È da com-
piangere colui che deve saldare un debito. La paura di
non poterlo fare non gli fa prendere sonno.

5-Mòrinu cchiù ‘gnej ca crapi.


Muoiono più agnelli che capre! Così va la vita! Peri-
scono più spesso ragazzi in tenera età che non vecchi sta-
gionati.

6-‘A pecura (anche ‘u porcu) rendi cchiù viva ca morta.


La pecora rende più da viva che da morta. Si guadagna
di più ad avere un parente vivo che defunto, pure se, ve-
nendo a morte, ci potrebbe lasciare una cospicua eredità.
L’eredità di un morto si ottiene solo una volta, mentre i
favori di un vivo si possono godere ripetutamente.

7-Cu’ non vitti pecuri a chist’ura


non vidi cchiù pecuri e nò lana.

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Chi non avrà visto rientrare le pecore all’ovile fino a
ora tarda, non rivedrà più non solo le pecore, ma nem-
manco la lana.
Quando una cosa indugia ad accadere ci assalgono il
pessimismo più nero e la sfiducia più completa.

8-a’ ogni mandra nc’è ‘na pecura rugnusa.


Una pecora ammalata di rogna è dato di riscontrarla in
seno a ogni gregge.
In qualsivoglia ambiente ci sarà sempre una persona
che si comporterà in contrasto con le norme del vivere ci-
vile e, di conseguenza, riuscirà di fastidio a tutti gli altri.

9-‘a gatta quandu no’ ‘rriva o’ lardu dici ca feti.


Questo proverbio ricorda molto da vicino l’antica e
sempre valida favola della volpe e dell’uva.
La volpe, che non riesce, dopo vani tentativi, a impos-
sessarsi almeno di un grappolo d’uva, rinuncia
all’appagamento del suo desiderio affermando che non ne
vale la pena, tanto … quel frutto è ancora acerbo!
La gatta, che non può farcela ad arraffare un pezzetto
di strutto, non volendo apparire vinta, dice anche lei co-
me non sia il caso di prendere quel tale oggetto, tanto …
puzza!
Quando un uomo non è capace di raggiungere un suo
preciso scopo, trova sempre la scusa bell’e pronta per dire
come non ci tenga o come non ne valga proprio la pena.

10-‘a gatta prescialòra


fici i gattarèj orbi.
La gatta frettolosa ha partorito dei gattini ciechi. Non
bisogna aver mai fretta. Occorre fare tutto secondo il tem-
po che si richiede.

11-Quandu ‘a gatta no ‘ nc’è, ‘u surici trisca.

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È una variante poco comune dell’altro detto: Quandu ‘a
gatta no’ nc’è, ‘u surici balla. In assenza del gatto, il topo fa
festa o anche si dà all’intrigo.
Quando manca il maggiore, il minore si crede in diritto
di darsi alla pazza gioia ovvero di commettere degli im-
brogli.

12-Chistu non è tempu ‘i dari pani a gatti.


Non è proprio il momento di offrire pane ai gatti. In
tempo di carestìa le bestie possono benissimo morire di
fame. Ogni briciola, è naturale, va riservata alle persone.
Si pronunzia tale frase quando non si vuole soddisfare
nell’immediatezza una determinata richiesta.

13-Dammi tempu ca ti perciu - nc’issi ‘u surici a’ nuci.


Col tempo il sorcio riesce a forare la noce e, quindi, a
mangiarne il contenuto. Tutto si può ottenere se si ha la
pazienza di saper aspettare. Le nespole maturano col
tempo e con la paglia.

14-I muli si sciarrìanu e i barìj vannu po’ menzu.


Tra due persone importanti che litigano, chi ci andrà di
mezzo sarà sempre un terzo. Se due muli attaccano briga,
il peggio lo riporteranno, indiscutibilmente, i barili, che
cadranno a terra e si sfasceranno.

15-Campa, cavallu meu, ca l’erba crisci.


16-Campa, sumèri meu, ca maju veni.
Campa, cavallo mio, che l’erba si farà presto alta o
campa, asino mio, che maggio verrà. Hanno voglia di at-
tendere, che cresca l’erba il cavallo o che arrivi maggio
l’asino. Morranno certamente prima di tali eventi, l’uno
per fame e l’altro per il mancato soddisfacimento dell’atto
sessuale. Quando dobbiamo attendere eventi lontani nel
tempo, ci scoraggiamo facilmente pensando alla lunga at-
tesa che dovremo sostenere e che alla finepotrà riuscire
anche vana.

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17-O’ cavàju hjestimatu nci luci ‘u pilu.
Al cavallo oltraggiato splende il pelo. La persona che
più risulta criticata o invidiata, riluce di più, anzi trae
vantaggio proprio dalle critiche malevoli.

18-L’occhiu du’ patrùni ‘ngrassa ‘u cavàju.


Lo sguardo del padrone contribuisce a far ingrassare il
cavallo. In ogni posto di lavoro la presenza vigile del pa-
drone fa sì che i lavoranti s’impegnino e quindi produca-
no di più.

19-Centu muschi jèttanu ‘nu cavàju.


Cento mosche hanno ragione di un cavallo. Cento de-
boli avranno facilmente la vittoria nello scontro con un
potente, ma solo se, nell’occasione, sapranno restare uniti.
L’unione fa la forza.

20-Cu’ non si movi s’u mangianu ‘i muschi.


Chi ama poltrire è facile preda delle mosche. Chi non
esercita una qualsivoglia attività produttiva perverrà pre-
sto a completa degradazione.

21-‘U sceccu chi mangia ficàra


dassa ‘u vizziu quandu mori.
22-Vizziu e natura fin’a sepurtura.
L’asino, che addenta con piacere l’albero del fico, ab-
bandonerà quel vizio soltanto dopo la morte. I vizi, infat-
ti, sono gli ultimi a morire.

23-‘u sceccu ‘i tanti frati mori da’ siti.


L’asino, che risulta proprietà di vari padroni, è destina-
to a morire di sete.
Se una casa, un podere o altro sono in comproprietà
tra diverse persone, si potrà stare certi che col tempo fini-
ranno tutti alla malora. Difatti, ognuno pretenderà che se
ne occupi l’altro e, non vedendo partecipazione in alcuno,
se ne disinteresserà del tutto.

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24-Quandu lu sceccu non voli ‘mu ‘mbivi,
‘mbàtula frischia lu patrùni.
Quando l’asino non ha sete, è inutile che il padrone
cerchi di costringerlo a bere. Colui che non vuol sentire è
come sordo.

25-Attacca ‘u ciucciu a undi voli ‘u patrùni.


Non si ottiene alcun profitto ad agire contro le direttive
di chi ci comanda e la miglior cosa da fare è accettare
quanto dice lui, anche se a volte erra grossolanamente.
Diceva l’Antico: attacca l’asino nel preciso posto che
t’indicherà il padrone e non te ne preoccupare. Sarà sol-
tanto lui il responsabile degli eventuali errori che potrai
commettere.

26-Cu’ nc’i lava i pedi all’asinu perdi l’acqua e la lissìa.


Chi lava i piedi all’asino perderà l’acqua e la liscivia.
Chi fa dei favori a un amico irriconoscente perderà non
solo il denaro, ma anche il tempo.

27-‘u sceccu quandu ‘rragghia


o canta p’amuri o canta pe’ rraggia.
L’asino, quando raglia o canta per amore o perché adi-
rato. A ogni azione corrisponde una causa, anche nei casi
dove l’evidenza sembra venir meno.

28-‘u sceccu ‘i porta e ‘u sceccu s’i mangia.


L’asino li porta e lo stesso asino se li mangia.
L’ingordo, che regala una leccornia, già prima di conse-
gnarla, ne approfitta per mangiarne una parte.

29-‘u sceccu si mangia ‘a pagghia ca si ricorda ca era erba.


L’asino mangia la paglia perché ha nella memoria
ch’essa un tempo si trovava allo stato di erba. L’uomo de-
ve sempre ricordarsi delle generosità ricevute e, quindi,
agire di conseguenza.

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30-‘u cani mùzzica o’ sciancàtu.
Le sfortune capitano più spesso a chi è già scalognato.
Il cane addenta con più piacere lo straccione perché av-
verte che vi si può afferrare più facilmente.

31-Cani chi ‘bbaia assai mùzzica pocu.


Cane che abbia molto morde poco. L’uomo, che è adu-
so gridare, procurerà sempre poco male. È infatti assai più
pericoloso colui che tace. Mentre l’uno dice solo parole e
resta “cani ‘i vucca”, l’altro compie i fatti.

32-‘nd’avi e venìri ‘u cani ‘i munti


pemmu caccia a chiju di frunti.
Deve venire il cane di monte per scacciare quello di
fronte! Spesso un forestiero, con la sua concorrenza e il
suo saper fare, costringe gli abitanti tradizionali del paese
a sloggiare o reca loro un grossissimo danno.

33-Rispetta ‘u cani p’a facci du’ patrùni.


Si rispetta il cane per il padrone. Si deve avere riguar-
do spesso anche con chi si è mostrato scortese con noi, in
special modo se ha parenti o amici, dei quali si potrebbe
un giorno avere bisogno.

34-Cu’ nci ’una pani a cani strani


perdi ‘u pani e ‘u cani.
Chi offre da mangiare a cani altrui perde non solo il
pane, ma non attira il favore del cane. Chi sfama degli
estranei perde il pane, che ha dato loro ed essi stessi si
guarderanno bene dal farsi rivedere.

35-Non toccàri i cani chi dòrmunu.


Non recare disturbo ai cani addormentati perché ti si
rivolgeranno contro.
Se non vuoi ricevere un danno, spesso devi lasciare le
cose come si trovano.

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36-Occhi nigri ‘i sumèri, occhi janchi ‘i cavalèri.
Le persone nobili si riconoscono dagli occhi. Potranno
essere neri quelli asinini, ma risulteranno sicuramente
bianchi quelli dei cavalieri.

37-Tutti i pùlici nd’annu ‘a tussi.


Tutte le pulci hanno la tosse!
Tutti, anche le persone più insignificanti, cercano di
emergere e di dire una loro parola.

38-Cu’ si curca ch’i pùlici si leva ch’i pidocchi.


Chi la sera prima si è coricato con addosso le pulci
l’indomani mattina si troverà cosparso di pidocchi.
Chi va con le persone d’infimo rango non migliorerà
mai il suo stato, anzi lo peggiorerà.

39-Quandu i porci ‘rrìgghianu ‘u tempu chiovi.


Se i porci giocano è chiaro segno che presto pioverà.
Se delle persone scherzano pesantemente, si può stare
sicuri che il cielo non approverà tale loro comportamento
e quanto prima si avvertiranno scrosci di pioggia.

40-‘u porcu magru si ‘nsonna sempri ‘a gghianda.


Il porco denutrito sogna continuamente le ghiande.
Chi è fissato sopra una determinata cosa la sogna sempre,
giorno e notte.

41-Nnaru nnaru nnaru: lu malatu leva lu sanu.


Così dice la volpe in una vecchia fiaba popolaresca,
burlandosi del lupo, che, sofferente, è costretto a portarla
sulle spalle, in quanto quella birbona gli ha fatto capire di
stare poco bene.
Le persone astute riescono a far agire secondo i propri
desideri i meno dotati di cervello.

42-‘u lupu cangia ‘u pilu,


ma no ‘u vizziu.

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Il lupo con l’età perde il pelo, ma non il vizio.
Le cattive abitudini nelle persone sono le cose più dif-
ficili da abbandonare.

43-‘u pisci randi si mangia ‘u piccirìju.


Il pesce grande inghiotte il piccolino.
Il prepotente fa sempre sua preda il debole. Da che
mondo è mondo è stato sempre così!

44-Jèttanu ‘na ciciarèja a mari


pe’ pigghiàri ‘n aggrancu.
Il pescatore butta in mare dei pesci piccoli sperando di
accaparrarsene di grossi.
La gente fa spesso piccoli doni con la segreta speranza
di riceverne di considerevoli.

45-‘u pisci feti d’a testa.


Il pesce comincia a puzzare dalla testa.
Quando una cosa non va lo si capisce fin dall’inizio. O
meglio. La colpa in molte situazioni ce l’ha chi comanda o
sta a capo di qualche cosa.

46-‘u pruppu si coci cu’ l’acqua sua.


Il polipo vien cotto in mezzo al suo stesso brodo. Deve
venire da sé che col tempo un tizio venga a maturazione e
decida di scendere a patti.

47-Friji i pisci e guarda ‘a gatta.


Frigge i pesci e, nel contempo, sta attento alla gatta
perché non si avvicini.
Si dice di chi fa varie cose nello stesso momento. Di si-
curo, non riuscirà a combinare alcunchè di buono.

48-Batti ‘u circu e ‘u timpàgnu.


Ha lo stesso significato della precedente. Dare di mar-
tello nel medesimo tempo sul cerchio e sul tondo di una

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botte equivale del pari a non concludere operazioni di
buona qualità.

49-‘a ciciarèja scala ‘a sarda.


Il pesce minuto fa scemare il prezzo delle sarde.
Le piccole cose, se abbondanti, fanno scadere di valore
quelle grandi.

50-Perdìu i vacchi e vaci trovandu i corna.


Si dice di uno che ha perso tutte le sostanze che posse-
deva o pur anche l’onore e cerca di rifarsi lottando dispe-
ratamente e attaccandosi a ogni minimo appiglio. Ha per-
so le vacche e ne va cercando le corna.
Come dire, ha perso le ricchezze e cerca di riemergere
impuntandosi sulle piccole cose.

51-Cu’ gallu e senza gallu Diu fa jornu,


cu’ crivu e senza crivu ‘mpastu e cernu.
Col gallo e senza del gallo Dio fa giorno. Sia col crivel-
lo che senza di esso la massaia riesce a impastare e cerne-
re la farina.
Non è l’apparenza che conta, bensì la sostanza.

52-‘a gaìna ‘i vinti ‘rana a vintun’ura samba sona.


Per la gallina, il cui costo si aggira appena sui venti
grana, a ventun’ore suona la ritirata.
La gallina acquistata a poco prezzo si corica presto,
cioè vale poco.

53-Quandu la strangia quandu la pipìta,


la gajnèja mia sempri malata.
Nella vita, o per un motivo o per l’altro, si hanno con-
tinuamente delle noie. La mia gallina è sempre ammalata
sia che si tratti di mal di gola che di lingua.

54-Palùmba muta non pot’èssiri servùta.

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Colomba che non parla non potrà mai essere soddisfat-
ta. Il timido, che non fa partecipi gli altri di quello che de-
sidera, non sarà mai esaudito.

55-Caca cchiù ‘nu voi ca centu pàsseri.


Le feci di un bue sono molto più abbondanti che quelle
di cento passeri. Una moltitudine di persone insignificanti
ha meno forza di un solo personaggio autorevole.

56-Tutti i ceja passàru e cacàru, puru chij senza culu.


Tutti ci tengono a dire la loro, anche quelli che non ne
hanno la capacità. Tutti gli uccelli hanno potuto svuotare
l'intestino, persino quelli privi di ano.

57-Chi dispettu mi fici la gatta,


stanotti mi pisciàu arrètu a la porta.
La gatta scacciata di casa, non potendo vendicarsi della
padrona, che ha subito serrato la porta, fa i suoi bisogni
appena fuori di quest’ultima. Si pronunzia tale adagio
quando taluni, per vendicarsi di un torto subìto, si servo-
no di mezzi meschini e poco efficaci.

58-La vurpi no’ nesci di la tana,


senza lu so’ bisognu no’ camìna.
o anche:
senza di li soi disinni la vurpi no’ nesci di la tana.
La volpe esce dal suo nascondiglio solo per motivi di
bisogno.
Certe persone si espongono soltanto perché spinte dal-
la necessità.

59-Raccumandàri i pecuri ‘o lupu.


Raccomandare le pecore al lupo equivale a consegnarle
direttamente al loro carnefice. Fare appello al nemico si-
gnifica affrettare la propria fine.

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60-Quattru pili ‘nd’avi ‘u porcu.
Si allude a colui che, pur parlando di altre cose, ritorna
sempre a ogni piè sospinto sull’argomento che più gli sta
a cuore.

61-Megghiu testa ‘i zzafràta ca cuda ‘i leuni.


È mille volte meglio essere testa di lucertola che coda
di leone. Vale più stare a capo di elementi insignificanti
che non fare il lacchè a un potente.

62-Avìri setti spiriti comu ‘e gatti.


Si crede comunemente che i gatti abbiano sette spiriti e
cioè che rinascano per sette volte. Un tizio, ch’è duro a
morire oppure sta sempre sul chi vive e riesce ad appura-
re fin ogni inezia per tempo, è perciò in tutto simile ai
gatti.

63-Nd’avi cchiù vìzzii iju c’a mula ‘i Panzeja


(o anche ‘i Chitì).
Il vizioso supera in vizi perfino la celebre mula di Pan-
zeja o di Chitì.

64-Mortu ‘u cani, morta ‘a rraggia.


Morto il cane, la rabbia che l’ha assalito si è estinta per
forza di cose. Eliminato chi è stato causa di dissapori, non
c’è più motivo per continuare a litigare.

65-Quandu vidi ‘u porcèju fuj cu’ cutèju.


Allorquando avvisterai il porcello sii pronto a lanciarti
col coltello per finirlo. Approfitta dell’attimo fuggente.

66-Se no’ canta ‘u merlu nd’a brujèra


ancora no’ si vara ‘a primavera.
Se il merlo non ha cominciato a cantare nella brughiera
(quindi pressappoco a metà marzo), l’arrivo della prima-
vera si farà ancora attendere.

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67-I muli, se no’ mmùzzicanu, mìnanu puntàti.
È nella natura del mulo dare calci, così come in quella
di certe persone di comportarsi in modo non proprio cor-
retto.

68-Si ‘mbìscanu ‘u voi e la vacca,


unu ‘mu tira n’atra ‘mu ‘nsacca.
Si uniscono il bue e la vacca e mentre l’uno tira l’altra
mette in saccoccia. È l’uomo che ha il compito di lavorare
e di guadagnare. Alla moglie spetta di saper condurre una
buona economia, quindi far aumentare quanto l’uomo
produce.

69-Lupu no’ mangia lupu.


Tra due prepotenti il rispetto e il timore sono reciproci.
È naturale.

70-‘u ceju nd’a gàggia


o canta pe’ ‘mbìdia o canta pe’ rràggia;.
ma anche:
‘u ceju nd’a gàggia o canta p’amuri o canta pe’ rràggia.
Se una persona fa finta di essere contenta in una situa-
zione non proprio felice, due riescono i motivi. O lo fa
perché invidiosa o perché adirata, ma anche in quanto è
innamorata.

71-Posa l’ossu ch’è d’u cani.


Deponi l’osso che hai preso perché è di pertinenza del
cane.
Si rivolge all’indirizzo di chi si appropria di un oggetto
non suo.

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L’auto di una volta: il mite asinello

foto Luigi Morizzi

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L’UMANITÀ

1-Chistu è ‘nu mundu di guai.


Il nostro è un mondo pieno di guai.

2-Tutti simu ‘i carni e d’ossa.


Tutti siamo fatti di carne e ossa e, come tali, abbiamo
un corpo e un’anima e dinanzi a Dio siamo perciò pari-
menti uguali.

L’UOMO E I SUOI PREGI

1-Si’ omu e sì di pagghia.


L’uomo, pure se debole e pauroso, resta sempre tale, in
special modo nei confronti della donna.

2-A ca non si sperdi l’ovu o’ focu!


Un uomo di buona memoria non trascura mai un uovo
che ha messo a cuocere sul fuoco. Chi persegue un certo
fine, non se ne distrae facilmente.

3-‘U rispettu è misuratu:


cu’ ndi porta nd’avi portatu.
Il rispetto è reciproco.

4-A jornu pari


Alla luce del sole tutto è visibile.

5-Prima penza e dopu fai, non currìri di voluntà


Prima di agire fa d’uopo meditare.

6-L’omu è cacciaturi: a undi vidi ‘a caccia s’a pìgghia.


L’uomo è nato cacciatore. Dovunque scova la selvag-
gina, se la prende. È soprattutto la donna che deve guar-

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darsi da lui perché è da tempo immemorabile che la inse-
gue per farne sua preda.

7-L’omu da’ parola e ‘u voi di’ corna.


Il vero uomo si riconosce per la parola data e il bue
dalle corna. L’uomo è tanto più stimato quanto più tiene
fede ai suoi impegni.

8-L’omu drittu campa affrìttu.


L’uomo onesto vive modestamente.

9-‘u calabrisi pe’ n’a testa ‘i sarda passàu ‘u mari.


Il calabrese per una testa di sarda ha varcato il mare.
La nostra gente, che ha nel sangue la passione per la pe-
sca, si spinge alla sua ricerca fin nei mari più lontani.

10-O’ galantomu non si torna restu.


Il galantuomo compie azioni da galantuomo e risulta
sempre al disopra di ogni piccolezza e meschinità.

11-Arba chiara non avi paura di trona.


Il giusto non ha alcun timore di venire tacciato di
commettere cattive azioni. N’è garanzia la sua dirittura
morale.

12-‘u rispettu è misuratu:


cu’ ndi porta nd’avi portatu.
Il rispetto è scambievole. Solo chi rispetta potrà sperare
di essere contraccambiato.

13-‘a troppa carità scianca ‘a vèrtula.


Come la soverchia carità fa bucare la bisaccia del mo-
naco di cerca, così il troppo far bene alla fine è destinato a
degenerare.

14-Camìna gamba e mangia ganga.


Sol chi si dà da fare ha l’opportunità di guadagnare.

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15-‘mbàrcati cu’ ‘nu bonu navigaturi
puru ‘a navi m’è vecchia.
L’esperto infonde fiducia pure nel momento del peri-
colo.

16-‘u bonu navigaturi


naviga c’u tempu bellu
e c’u tempu bruttu.
Occorre sapersi barcamenare in ogni framgente, anche
se incombe qualche pericolo.

17-Hjuri di castagna,
cu’ da’ so’ sudùra ‘a terra vagna
pani, paci e onuri guadagna.
Fior di castagna, il lavoratore che bagna col suo sudore
la terra guadagna pane, pace e onore.

18-Non su’ li belli chi ti fannu amari,


ma su’ li modi e li belli manèri.
Spesso non basta la bellezza a incantare, ma c’è biso-
gno anche di belle maniere.

19-Solitùdini santitàti.
La santità si acquista solo nella solitudine. L’eremita
insegna.

20-È bellu parràri chiaru.


Nella vita è preferibile parlar chiaro.

21-Mali non fari e paura non avìri.


Chi non fa male al prossimo non ha di che temere.

22-Levàri comu ‘a zzita a’ chesa.


Recare un oggetto delicatamente e con accortezza.

23-Cu’ si guardàu si sarvàu.


Il previggente non fallisce mai in alcuna cosa.

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24-‘a megghiu parola è chija chi non si dici.
È assai apprezzabile chi parla poco.

25-Cu’ joca sulu non perdi mai.


È del pari stimabile colui che ignora il gioco. Non avrà
mai di che perdere.

26-È tuttu casa, chesa e putìgha.


Essere tutto casa, chiesa e bottega equivale a persona
seria, timorata e senza grilli per il capo, che conduce una
vita normale e tranquilla.

27-Cu’ veni arrètu cunta i pedàti.


Chi tiene dietro si giova dell’esperienza di colui che lo
ha preceduto. Frase detta da chi invita eventualmente a
seguire le sue orme.

L’UOMO E I SUOI DIFETTI

1-Cu’ caca luntanu non senti fetu.


Chi defeca distante da lui non ne sente il fetore. Colui
che opera malamente lontano non è spinto a ricordare
quanto ha commesso.

2-L’omu gelusu mori cornutu.


L’uomo geloso è destinato a morire cornuto. Di solito,
è proprio al marito geloso che la moglie poco virtuosa ha
piacere di piantare le corna. Più si è pignòli e più
c’imbattiamo in circostanze che vorremmo evitare.

3-L’omu valenti
mori a manu du’ pezzenti.
L’uomo valente finisce sempre per mano del pezzente.
Lo spavaldo, il prepotente perde la vita spesso per mano
di un debole.

22
4-Òmini ‘i vinu: ogni centu ‘n carrìnu.
Gli uomini dediti al vino non servono a nulla. Cento di
essi potranno valere, al massimo, un carlino.

5-Ddiu mu ndi lìbbara dill’òmini spani


e di’ fìmmini barbùti.
Voglia Iddio tenerci lontani dagli uomini privi di barba
e dalle donne barbute. Sembra che tutte e due le categorie
comprendano persone di pessimo carattere.

6-‘u còmbitu (ma anche ‘u bisognu) faci l’omu latru.


Si diviene ladri perché ce n’è data l’opportunità, ma
anche per necessità.

7-Tristi vastùni e malu vastùni:


amara a chija casa chi non di chiudi.
Triste bastone e cattivo bastone: misera quella casa che
non ne racchiude uno.
In ogni casa la presenza di un uomo è quanto mai ne-
cessaria, anche se egli a volte risulta prepotente e cattivo.

8-‘U megghiu nd’avi ‘a rugna.


È una brutta comitiva. Figurarsi che il migliore dei par-
tecipanti ha addirittura la rogna. Cioè, non c’è proprio di
che scegliere.

9-Volìri ‘na paja.


Essere un poco di buono.

10-Non èssiri bbonu né pe’ fùttiri né pe’ fari ‘a guerra.


Non essere capace né di coitare né di fare la guardia
agli altri. Essere buono a nulla.

11-Cu’ non avi pili vindi lana.


Chi non ha peli vende lana. Si comporta così colui che
cerca di offrire quello che non ha.

23
12- ‘i na ricchi nci trasi e ‘i ‘n’atra nci nesci.
Chi non vuole intendere è come sordo. Le parole gli
entrano da un orecchio ed escono dall’altro.

13-‘rrivàri a tavula conzàta.


Trovare la tavola apparecchiata, cioè bello e pronto.

14-Spetta ‘u nci cadi du’ celu (o du’ cernàru).


Colui che non ha voglia di lavorare aspetta che il cibo
gli venga dal cielo, come la classica manna degli ebrei nel
deserto o dal lucernario, come Giufà.

15-Cadìri du lettu (o da’ naca).


Precipitare dal letto o dalla culla equivale a essere ton-
to.

16-Jiri scavandu finocchi ‘i timpa


Sradicare finocchi in un terreno in pendìo è come cer-
care il pelo nell’uovo.

17-Minàri all’orbìsca
Dare botte da orbi e, quindi, a caso.

18-Rispundìri ‘n tozzu
Rispondere a tono.

19-Non si sputa nd’o piattu a undi si mangia


Non si deve parlar male di chi ci aiuta.

20-‘A mala cumpagnìa faci l’omu latru


La compagnia malamente assortita rende l’uomo ladro.
I cattivi compagni inducono l’uomo a rubare.

21-Cu’ ‘a voli cotta e cu’ ‘a voli cruda


Chi la vuole cotta e chi la vuole cruda.
A questo mondo è impossibile trovare due che vadano
completamente d’accordo.

24
22-L’omu da’ mala cuscènza com’è si penza.
L’uomo di cattiva coscienza non può mai pensare bene.

23-Si jetta avanti pe’ nommu resta arrètu.


La persona scaltra cerca sempre di anticipare il suo in-
terlocutore.

24-Avìri ‘a peji cchiù dura di’ buffi.


Avere la pelle più dura delle rane è come essere sfron-
tato oppure una pellaccia.

25-Tutta ‘a farina si ndi vaci pe’ lavàtu.


L’uomo che non la competenza necessaria usa tutta la
farina per fare appena il lievito. Oppure, un’operazione
che inizialmente appare di poco costo, alla fine si qualifica
tutto il contrario.

26-Mastru Nicola dijùna domani.


Mastro Nicola, a chi gli chiede un favore, risponde
sempre: domani, cioè mai.

27-‘A mmerda cchiù ‘a mìsciti e cchiù puzza.


Certi fatti è bene tenerli celati perché più se ne parla e
più recano scandalo.

28-O ciàngiu o tegnu ‘a candila.


O piango o reggo la candela – diceva un tale che si ac-
compagnava a un funerale. Non si possono svolgere due
compiti contemporaneamente.

29-No’ jettàri c’a barrìtta.


Spesso chi reputiamo essere da meno, vale più di
quanto pensiamo.

30-‘ttaccàtimi ccà ca nc’è bon’erba.


Pur di guadagnare, l’uomo è disposto a tutto.

25
31-Cu’ cui non hai chi fari ‘n’àngilu ti pari.
Le apparenze ingannano. Sovente, colui con chi non
abbiamo un rapporto, appare quale un angelo, ma nel
fondo è certamente tutt’altra cosa.

32-Tu chi nd’hai ‘a testa ‘i vitru, vai ammenzu e’ petràri!


33-Cu’ nd’avi a testa ‘ i vitru nommu tira petri.
L’imprevidenza può giocarci brutti scherzi. Chi ha una
testa di vetro deve fare il possibile per non frequentare
strade selciate, indiscutibilmente assai pericolose per la
sua conformazione.

34-Cu’ simìna spini nommu vaci ‘a scaza.


Chi ha seminato discordia, quindi spine, non potrà mai
impunemente andare scalzo. Si pungerà certamente,
quindi, ne subirà le conseguenze.

35-Pe’ lignu non mi minàu.


Non mi ha bastonato per mancanza dei mezzi necessa-
ri. Si dice di chi è lì lì per darcele, ma poi si limita a com-
piere atti non meno compromettenti.

36-Se ‘a ‘mbìdia era guàira, l’avìvimu tutti.


L’invidia regna sovrana fra gli uomini. Se essa fosse
ernia, ne soffriremmo certamente tutti.

37-L’omu vanu si canusci all’occhi


e ‘a donna malata a li stendìcchi.
L’uomo inutile e vanesio si conosce a vista, mentre la
donna ammalata per come stira le membra.

38-No’ vitti a giugnu nivicàri


e a mmenzu mari ‘u quagghia ‘a nivi.
È in riferimento a eventi impossibili a realizzarsi. Mai
ha nevicato nel mese di giugno e mai la neve si è solidifi-
cata in mezzo al mare. In verità, in talune condizioni cli-
matiche gli stessi sono possibili.

26
39‘A superbia non regna e, se regna, non dura.
Il superbo non può restare tale in eterno.

40-‘a còllira da’ sira sarbatìlla p’a matina.


Se ti capita di adirarti la sera, evita. Fatti piuttosto una
bella dormita e l’indomani tutto sparirà. È un invito a
starsene calmi.

41-Cu’ voli assai lepri ‘u cchiappa


quali fuji e quali scappa.
Come dire che chi vuole troppo nulla stringe.
Non riuscirà mai agevole poter trattenere nello stesso
momento molte lepri.

42-A hjumàra citulìja non jri a piscàri.


Se l’acqua del fiume non scorre chiara, non andarci a
pesca.
Se la persona con cui si ha a che fare non appare lim-
pida, è bene lasciar perdere.

43-Pe’ camàtri Ddiu no nc’è patri.


Dio non potrà mai riuscire un padre per gli oziosi.

44-‘u Signùri ‘u ndi guarda di’ singàti smei.


Che il Signore ci liberi della presenza dei guerci e di
chi reca cicatrici sul volto.
Tale genere di persone è guardato assai di malocchio
dal popolino.

45-Voli gutti china e mugghieri ‘mbriaca.


L’uomo incontentabile pretende che la moglie sia
ubriaca e che la botte resti ancora piena. Vuole, in buona
sostanza, l’impossibile.

46-Pe’ cazzùni non c’è riparu.


47-I fissa stannu a’ so’ casa.
La stoltezza è una malattia inguaribile.

27
48-‘u menzognàru nd’avi ad avìri bona memoria.
Il bugiardo deve possedere una buona memoria, altri-
menti rischia di venire scoperto e smascherato.

49-Cu’ tardu arriva mal’alloggia.


Il ritardatario dovrà accontentarsi di ciò che troverà.

50-Cu’ dissi apoi non fici casa mai.


Chi rimanda al domani, non riuscirà a compiere un bel
niente.

51-Cu’ voli ‘u mali ‘ill’autri ‘u soi è vicinu.


Chi augura il male al suo prossimo dovrà aspettarselo
anche lui a breve scadenza.

52-Du’ malu pagatùri o orgiu o pagghia.


Dal debitore, che ha fama di non soddisfare quanto
dovuto, si accettino anche le cose di poco conto, come or-
zo o paglia, se non si vorrà restare completamente a mani
vuote.

53-Tristu pignàtu non cadi d’ancìnu.


Una pignatta in cattivo stato non cade facilmente
dall’uncino a cui è stata appesa. All’uomo malvagio le
sfortune capitano assai di rado.

54-‘a mala ruggia rresta a’ mola.


La ruggine resta attaccata alla mola. In alcune famiglie
le iniquità si perpetuano.

55-Stendi ‘u pedi fin’a undi ‘u lenzòlu veni.


Stendi il piede fin dove arriva il lenzuolo. Cioè, non fa-
re il passo più lungo della gamba.

56-Ogni lignu avi ‘u so’ fumu.


Ogni persona immancabilmente ha i suoi difetti, picco-
li o grossi che siano. È un fatto naturale.

28
57-Cu’ spini simìna spini ricògghi.
Chi semina vento raccoglie tempesta. Si otterrà in rela-
zione a quanto si sarà seminato.

58-Jri trovandu ‘u pilu nd’all’ovu.


Pescare nel torbido, suscitare continue zizzanie.

59-I paròli su’ comu ‘e ceràsi.


Si cerchi sempre di parlare il meno possibile perché le
parole sono come le ciliegie. Escono di bocca con tale im-
peto da non poter essere mai più riprese.

60-Faci l’arti ‘i Michelacciu:


mangia, mbivi e vaci a spassu.
Il fannullone non compie alcuna azione produttiva.
Mangia, beve e va in giro a spassarsela.

61-Vaci videndu quali furnu fuma.


L’incontentabile, l’insaziabile, l’abile fiutatore sta sem-
pre sul chi vive ed è sempre pronto a seguire le buone pi-
ste lanciandosi a capofitto in ogni impresa.

62-‘u jmbùsu ammenzu la via


non si guardava ‘u jmbu c’avìa;
anche Ognunu nd’avi ‘u si guarda ‘u so’ jmbu.
Il gobbo, che stava in mezzo alla strada, invece di rimi-
rare la propria protuberanza, osservava quelle degli altri.
Si ripropone con questo detto la nota favola delle due
bisacce di fedriana memoria. L’uomo tarato non vede le
proprie manchevolezze, ma si accorge molto bene di quel-
le degli altri.

63-‘u cacàtu ngiurìja o’ pisciàtu.


Lo sporcato schernisce l’insozzato. Come dire: chi ha
molti difetti dileggia coloro che ne hanno quanto lui se
non di meno.

29
64-Arìganu e pilèju:
unu tintu e l’atru peju.
Non c’è proprio di che scegliere tra due persone che
appartengono alla stessa risma. Se l’uno è un poco di
buono, l’altro non gli è da meno.

65-Quandu Petru vindigna


Gianni ‘mpala.
Tra due fratelli o tra due soci, se uno imprende a fare
qualcosa, l’altro cerca, come si suol dire, di rompergli le
uova nel paniere ostacolandolo in tutti i modi.

66-‘nu pezzu ‘i manicu ‘i mola.


67-‘nu bellu nòzzulu gerfùni.
Non v’è che dire! Un bel tipo davvero! Il nòcciolo gerfu-
ni è quello contenuto dall’omonimo frutto, che si ottiene
dal nespolo, la Mespilus germanica.
Tale detto si riferisce sicuramente al fatto che la polpa
del frutto, che si raccoglie in ottobre, è dura e aspra e che
esso potrà maturare soltanto nella paglia.

68-Voli erba pe’ centu cavàj.


69-‘i ‘nu pilu faci ‘nu travu.
L’uomo irragionevole pretende cose impossibili e il
suo parossismo arriva alle stelle. Se pretende erba per
cento cavalli, quindi esagerando al massimo. Spesso di
una minuzia ne fa un caso esasperato.

70-Duru cu’ duru non fràbbica muru.


Tra due persone intestardite non si potrà mai giungere
ad alcun serio accomodamento.

71-Cca ssutta non chiovi.


Sotto il palmo della mano non potrà mai piovere. Co-
lui, al quale è stato fatto uno sgarbo, non dimentica cer-
tamente l’offesa, ma se ne ricorda per tempi più propizi.

30
72-‘a lingua non avi ossu,
ma rrumpi l’ossu.
La lingua può offendere più di qualsiasi arma. È essa
stessa l’arma più tagliente che esista.

73-Sciacqua Rosa e mbivi Agnesi.


È il motto dello scialacquatore.

74-O’ jornu nghiri nghiri e a’ sira carcarìri.


Chi di giorno si dà al bel tempo cerca poi invano di re-
cuperare alla sera.

75-Megghiu di favi ‘na mali simenza


ca di chiss’occhi ‘na sguardatùra.
È assai meglio una cattiva semente che un brutto
sguardo.

76-Di st’erba è fatta ‘a scupa.


Una scopa ha esito a seconda del materiale usato. Lo
stesso vale indiscutibilmente per l’uomo. Questi riesce a
seconda dell’educazione ricevuta o dell’estrazione sociale
da cui proviene.

77-‘nd’a vucca du’ dragu ‘u hahòmulu.


La fragola nella bocca del drago! Per un mangione una
porzione normale di cibo è come una fragola nella bocca
di un drago.

78-Cu’ ti sapi ti rapi.


Chi ti conosce ti ruba.
I ladri sono sempre al corrente di ciò che possediamo e
spesso sono proprio quelli che vivono entro la nostra stes-
sa cerchia a rapinarci.

79-Facci tosta rendi ‘n giardinu.


Una buona dose di faccia tosta può rendere parecchio,
anche un giardino.

31
80-Quandu ‘u diavulu t’accarìzza voli l’anima.
Se qualcuno ti blandisce è chiaro segno che prima o poi
ti chiederà qualcosa in cambio.

81-Fari du’ parti ‘n cummèddia.


82-Fari du’ facci.
Recitare contemporaneamente due parti nella stessa
commedia equivale ad agire doppiamente.

83-Avìri ‘a facci comu ‘a cipùja.


Come sopra. Avere il viso come la cipolla significa
mostrare un volto diverso per ogni situazione.

84-Non si fidi u’ teni ‘n gula.


Il chiacchierone non è capace di tenere il benchè mini-
mo segreto.

85-Petrusìnu d’ogni minestra.


L’impiccione si trova dappertutto e tiene a intrometter-
si in ogni occasione. È prezzemolo valido per qualsivoglia
minestra.

86-‘a troppa cumpidenza


è patrùna da’ mala criànza.
Il troppo storpia. Prendersi eccessiva libertà è solo da
screanzati.

87-‘a mala testa s’accumpagna c’a mala sorti.


Il cattivo agire s’accompagna spesso con un ingrato de-
stino. Quando, dopo tanto mal fare, un uomo riesce a
mettere un po’ di senno, è allora che comincia a essere
combattuto dalla malasorte, stanca ormai di vederlo ope-
rare disastrosamente.

88-‘i ’na nuci non caccia mancu ‘a scorcia.


L’avaro non vuole perdere nemmeno le cose più insi-
gnificanti. Di una noce mangia perfino l’involucro!

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89-Cu’ di cutèju feri, di cutèju peri.
Chi di coltel ferisce, di coltel perisce.

90-Curtu e malu cuvàtu.


Molte volte una persona insignificante nasconde in sé
insospettate qualità.

91-O tu chi mi nd’hai e dari, rifùndiri mi voi.


Il debitore pretende di poter avere ragione anche nei
riguardi del creditore.

92-Stavi bonu unu fin’a chi voli ‘n autru.


Spesso un uomo che si fa i fatti propri, non può vivere
tranquillamente perché c’è un altro che non vuol lasciarlo
in pace.

93-Voli ‘u caccia ’u grancu ch’i mani ‘ill’autri.


Sovente l’uomo cerca di far bella figura o di togliersi
dagli impicci per mezzo degli altri.

94-Tira ‘a petra e ‘mmuccia ‘a manu.


Il malvagio, a volte, è anche vile. È il primo a scagliare
la pietra, ma è anche il più lesto a nascondere la mano con
la quale l’ha lanciata.

95-Comu non vo’ pe’ ttia non fari ad autri.


Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto
a te.

96-Passàri ‘a manu a centu brigghia.


Passare la mano a cento birilli equivale a essere prepo-
tente oltre misura.

97-A chist’ura ‘u sapi ‘u populu e ‘u tignùsu.


Non appena un evento viene a conoscenza di un chiac-
chierone, non passerà molto tempo che lo si verrà a sape-
re in giro.

33
98-Cu’ non ‘rrobba o’ guvernu vaci o’ ‘mpernu.
Antica e stupida mentalità, residuo di epoche molto
lontane.
Un tempo, quando il governo non era il rappresentante
ideale della nazione, ma s’identificava in un tutt’uno con
la persona del re, era lecito per il popolino rubacchiare al-
lo Stato.

99-E d’undi vegnu, vegnu du’ mulìnu.


Pronunzia questa frase colui che racconta di averle da-
te di santa ragione a un altro.

100-Pa’ mamma e p’a mammìna


si perdìu la criatura.
I competenti riescono spesso … incompetenti. La morte
di una creatura è a volte da addebitarsi sia all’imperizia
della mamma che a quella della levatrice.

101-Non si faci nenti pe’ nenti.


In ogni dono è insito sempre un secondo fine. Non si
concede niente per niente.

102-A hjùmi vantàtu non jri a piscàri.


Colui che viene lodato a volte vale meno degli altri.

103-Fora ‘i mia a undi pìgghia pìgghia.


104-A ‘nu parmu du’ me’ culu comu cadi cadi.
L’egoista non si preoccupa minimamente di quanto ac-
cade al di fuori della sua persona.

105-Jri (o levàri) comu cìciri o’ crivu.


Andare girovagando di qua e di là e non avere la mi-
nima requie, proprio come i ceci sbattuti nel crivello.

106-Lungiùtu ‘i sangu e mortu ‘i fami.


Si dice di chi ne ha le possibilità e non riesce a sfruttar-
le in modo adeguato.

34
107-I chiàcchiari avanzi o’ furnu
sunnu ‘a rrovìna du’ pani caddu.
Il fornaio, che si perde in chiacchiere mentre il pane sta
a cuocere nel forno, rischia di perdere il lavoro già fatto.

108-Cu’ voli ‘u mangia cu’ du’ ganghi s’affùca.


Il troppo storpia. Chi vuol mangiare smodatamente
corre il rischio di morire soffocato.

109-Quandu ‘mmàzzanu a unu spiàti ‘u locu.


Spesso, quando un individuo viene ucciso, non è il ca-
so di chiedere il motivo del misfatto, ma il luogo dove è
stato consumato. Per fare una così triste fine avrà pure lui
commesso qualcosa di grave e, in ultima analisi, l’avrà
meritata.

110-Faci comu a chiju: jatta e mungìja.


L’insaziabile ha sempre un problema ricorrente. Più ne
ha e più si lamenta.

111-No’ nci mèntiri ‘ssa macchia a ‘ss’utri d’ogghiu.


A un uomo pieno di difetti affiabbiarne uno in più fa lo
stesso.

112-Quandu ‘u vidi nd’o pizzu da’ timpa


mìnanci ‘na spinta.
Il popolino bandisce dal suo decalogo una delle più
belle virtù cristiane: la misericordia.
Più che un aiuto, a chi sta per precipitare in un abisso è
lecito rifilare un sonoro calcione per farlo andare giù an-
cora più velocemente.

113-‘u tempu è di’ vacabbundi.


Il tempo appartiene solo ai vagabondi. Chi lavora non
pensa minimamente di racimolare un paio d’ore di libertà
da dedicare all’ozio.

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114-Chista è di’ ‘n’atra gutti.
Si dice a chi dà un’altra versione di un fatto notoria-
mente accertato.
Nel caso, si tratta indiscutibilmente di vino spillato da
altra botte

115-Cu’ veni appressu cunta i pedàti.


L’ingordo pensa solo a sé. Diceva Luigi XIV di Francia.
“Aprés moi le deluge”.

116-Passu lentu cadi cu’ misùra.


Chi va piano, va sano e va lontano. Chi fa il passo più
lungo della gamba, invece incespica facilmente.

117-Cu’ nci ndavi carità e’ carni d’autri


i soi s’i mànginu i cani.
La carità è una virtù che non dovrebbe esistere. Se
qualcuno ne sente per il prossimo, questo non ne avrà per
lui.

118-Fari beni è delittu.


Alcune volte compiere il bene è la stessa cosa che
commettere un delitto, in quanto si viene ripagati con
tutt’altra moneta.

119-Chija manu chi voli tagghiàta voli basàta.


Spesso taluno, facendoci del male, ci ha procurato o ci
procurerà inconsapevolmente anche del bene.

120-Da’ spina nesci ‘a rosa.


Dal male sovente può originarsi il bene.

121-Non t’impacciàri, non t’intricàri,


non fari beni ca ricivi mali.
Non t’impicciare, non intrometterti nei fatti altrui, an-
che se a fin di bene, perché ne sarai ripagato con tutt’altra
moneta.

36
122-Fa’ beni e spèrditi,
fa’ mali e ricòrdati.
Ricordati del male che hai fatto e dimentica il bene ar-
recato al prossimo. Il bene ti sarà ricambiato quando me-
no te lo aspetterai.

123-Cu’ non suffri ‘u fumu


non suffri mancu i corna.
Le corna sono peggiori del fumo agli occhi. Sono del
pari insopportabili.

124-A nuju ‘mu pozzu, ma a mugghièrima!


Del debole ne approfittano tutti.

125-Se non si paga, lungìtimi tuttu.


Se assicurarsi una data cosa non ci costa niente,
l’accettiamo volentieri, anche se essa non riuscirà di alcun
sollievo.

126-Tuttu fumu e nenti arrustu.


È tutto apparenza.

127-Santi nt’a Chesa e diavuli ‘n casa;


anche Santi fora e diavuli dintra.
Si dice di coloro che si comportano in modi totalmente
diversi dentro e fuori casa.

128-Non si sapi chi pisci è;


o anche Non è né carni né pisci.
Si dice di chi non fa trasparire la sua personalità o di
colui che non ne ha affatto.

129-Cu’ cchiù nd’avi cchiù ndi voli.


L’incontentabile non è mai sazio.

130-Avìri ‘u cori ch’i pili.


Si dice di un malvagio.

37
131-Avìri i mani perciàti.
Lo scialacquatore ha le mani bucate.

132-Mori cornutu e mori ‘n città.


È preferibile avere le corna, ma soggiornare in una
città.
È questo il lamento dell’uomo che è costretto ad abi-
tare in paese, dove la vita rimane sempre monotona e ug-
giosa.

133-Avìri ‘na manu longa e n’atra curta.


Essere pronti a ricevere, ma non a dare.

134-Tri voti nt’a vita si nesci pacci:


nt’a cotrarànza, nt’a gioventù e nt’a vecchiaia.
Nella vita si può impazzire in tre stadi: quando si è
bambini, in gioventù e quando infine si perviene alla vec-
chiaia. Quindi, la probabilità che ciò si verifichi permane
sempre.

135-Cu’ fici zzappètti faci zappùni.


Chi da giovane è riuscito a costruire zappe minute, da
grande sarà in grado di realizzarne di maggiore dimen-
sione.
Chi nella gioventù è incorso in piccole colpe, da grande
non si smentirà, anzi incoccerà in altre molto più vistose.

38
LA DONNA

1-P’a casa e p’a vigna si marìta ‘a signa.


Non c’è ragione d’allarmarsi! Anche le donne brutte
riescono alla fine a trovare uno straccio di marito. È im-
portante però che esse posseggano qualcosa di solido,
come una vigna.

2-Ija è da’ gatta e cu’ no’ sapi cara s’a ‘ccatta.


Certe donne sono astute come le gatte e, al pari di que-
ste, hanno la virtù di mostrarsi quali in effetti non sono.
Coloro che non hanno la fortuna di conoscerle a fondo, le
stimano e le tengono per amiche, anche se poi in definiti-
va non lo meritano.

3-I fìmmini d’aguànnu su’ comu e’ fica ‘i ‘mbernu:


no’ ‘mbàttinu ‘u si marìtanu
e s’a pìgghianu cu’ patreternu.
Dice questo stornello popolaresco che le donne in
quest’anno sono come i fichi nell’inverno. Non riescono
ad accaparrarsi un marito e se la pigliano col Padreterno.
Le donne propense a sposarsi, non solamente non im-
precano contro se stesse, in quanto brutte o a motivo delle
loro poco edificanti qualità, ma criminalizzano addirittura
chi colpa non ne ha affatto, il Padreterno.

4-Quandu ‘u cunnu è stancu si menti l’àbbitu jancu.


La donna di facili costumi, quando alla fine riesce a
mettersi l’animo in pace, si veste con l’abito bianco, cioè
tenta di rifarsi una impossibile verginità.

5-Né fìmmina né tila a lumi di candìla.


Né le qualità della donna né quelle della tela si posso-
no stimare al fioco lume di una candela. Le cose buone ri-
saltano solo alla luce del sole.

39
6-Cùrcati cu’ ‘na gnura,
puru m’è vecchia.
Vai a letto con una vera signora e non ti preoccupare
s’è vecchia perché perlomeno sarà pulita.
È bene entrare in contatto con persone di sostanza e
qualità piuttosto che con quelle d’infimo ceto. Ci sarà
sempre da guadagnare.

7-‘na voti si futti ‘a vecchia.


La vecchia, che durante tutta la sua vita ha accumulato
parecchia esperienza, potrà essere gabbata una sola volta
perché alla seconda ne saprà abbastanza.

8-Facci ’i chiattìja e culu ‘ì maìja.


La donna ideale e ben formata deve risultare dotata di
un viso piccolo e affilato come un pidocchio e di un dere-
tano abbastanza grosso quanto una madìa.

9-‘a facci chi non è vidùta, centu ducati ‘i cchiù è valùta.


Vale molto di più delle altre la donna che passa intere
giornate tappata in casa a lavorare.

10-Ddiu ’mu ndi lìbbara di’ fìmmani o’ suli


e dill’òmani a ‘la tàgghia.
Voglia Iddio farci grazia delle donne sfaccendate, che
stanno a godersi il sole e degli uomini maldicenti. Risul-
tano entrambi pericolosi perché lo stare aggruppati as-
sieme induce sia uomini che donne a criticare sempre
qualcuno o qualcosa.

11-Manu i‘ barbèri e culu ‘i fìmmana


su’ sempri friddi.
Mano di barbiere e deretano di donna sono, per loro
propria natura, sempre freddi.

12-‘a vecchiaia è ‘na carogna.


La vecchiaia è brutta a sopportarsi.

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13-Cu’ ‘i gatta nasci sùrici pìgghia.
Tale madre, tale figlia. Chi nasce da gatta è destinata a
pigliare sempre sorci. Se la madre ha fatto in gioventù la
malafemmina, si può stare certi che presto anche la figlia
ne seguirà il poco edificante esempio.

14-‘a fìmmina c’a scorcia da’ nucìja e l’omu cu’ carru.


La donna col guscio delle nocciòle e l’uomo col carro.
Se la donna non è previggente e parsimoniosa, è vano che
l’uomo si sforzi di portare a casa la roba col carro, perché
tutto andrà alla malora.

15-Cani e pputtàni quandu su’ vecchi mòrinu ‘i fami.


Cani e malefemmine sono destinati, nella vecchiaia, a
morire di fame. Questo perché a quell’età, malridotti co-
me sono dagli acciacchi o dalla vita scandalosa trascorsa,
nessuno ardisce più guardarli, ma pure perché non rie-
scono a procacciarsi il necessario per vivere.

16-Comu su’ li donni fannu i cosi


e comu sunnu i ligna fannu i brasi.
Come sono le donne così compiono le cose e come è la
legna così risultano i tizzòni.

17-Casa stritta, fìmmina destra.


Casa stretta, donna capace. Solo in un’abitazione angu-
sta si riesce a notare la destrezza di una brava massaia.

18-‘a fìmmina ‘i rrazza


a cinquant’anni teni ‘n brazza.
La donna di razza buona riesce a procreare anche in
età avanzata.

19-‘a pàgghia a la pagghièra,


‘a fìmmina a la lumèra.
Come la paglia si conserva in un pagliaio, così la don-
na ha il suo posto in casa accanto alla lucerna.

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20-I figghi fìmmini
su tovàgghi ‘i facci:
cu’ ‘rriva si stuja.
Le figlie femmine sono come gli asciugamani. Il primo
arrivato vi si vorrebbe asciugare.
Le figlie femmine devono essere ben guardate e stare
al loro posto perché il primo che capita potrebbe sentirsi
autorizzato ad allungare le mani o a dirne male.

21-‘na fìmmina e ‘na sumèra


‘rribbèjanu ‘na fera.
Sia una donna che un’asina sono capaci di far tanto
baccano da allarmare un’intera fiera di paese.

22-‘a bella quandu è bella di natura


cchiù sciampariàta va e cchiù bella pari.
La donna bella è tale per natura e non per l’apporto di
abbigliamenti e cosmetici.

23-L’ortu nt’a hjumàra,


livàri nt’a costèra
e fìmmina finestrèra
no’ fannu bona spera.
Sono un cattivo investimento un orto in una fiumara,
olivi in un pendìo e una donna che sta sempre affacciata
alla finestra.

24-Porti aperti e fìmmini spenserati.


Per le donne, che invece di badare alla casa lasciano
tutto aperto e si mettono a chiacchierare con le vicine.

25-‘a fìmmina nd’avi e parràri


quandu piscia ‘u gaiu.
Col maschilismo dominante dei tempi passati alla
donna non toccava mai aprire bocca. Poteva farlo solo al-
lorquando il gallo aveva bisogno di orinare, cioè quasi
mai.

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26-I fìmmini sunnu boni sulu ‘u fannu cazètti.
Quando imperava il maschilismo alla gran parte delle
donne era riservato il ruolo di stare in casa, cucinare e fare
la calza.

27-Quandu ‘a fìmmina ‘u culu balla,


se pputtàna non è, regula falla.
Una donna che agita il culo, se non è una donna di faci-
li costumi, vorrà dire che la regola fa un’eccezione.

28-‘a fìmmina a quindici anni


o ‘a marìti o ‘a scanni.
Per una donna pervenuta in età da marito non ci sono
che due soluzioni. O la si fa sposare o la si uccide.

29-Tira cchiù ‘nu pilu ‘i fìmmina nd’a schianàta


ca ‘nu cavàju nd’a calàta.
La forza d’animo di una donna è stimata più forte
dell’impegno di un cavallo.

30-Nci màncanu i cugghiùni.


Si dice di donna che sa il fatto suo e si comporta come
un vero uomo.

IL MARITO

1-All’àrbiru cadùtu accetta accetta,


all’omu carceratu mora mora,
‘nu bonu maritu ti pingi
e ‘nu malu maritu ti tingi.
Ad albero caduto accetta, accetta; a uomo carcerato
muoia, muoia. Un buon marito ti dipinge e un cattivo ma-
rito ti tinge.
Tutti siamo pronti a dire la nostra contro chi è caduto
in disgrazia e un marito può riuscire a far risaltare o con-

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siderare cosa da poco una moglie. Dipende tutto dalle sue
virtù o dai suoi difetti.

2-Megghiu maritu nipitèja e no’ garzu ‘mperiali.


È sempre preferibile un marito insignificante a un gan-
zo importante.

3-no’ mazzi e no’ mazzùni e no’ maritu battitùri.


È felice colui che non dipende da alcuno.

4-Cu’ si marìta è cuntentu ‘nu jornu,


cu’ ‘mmazza ‘u porcu è cuntentu ‘n annu.
Chi si sposa è felice solo in quel dato giorno. Chi am-
mazza il porco invece godrà della sua carne per tutta
un’annata.

5-Cu’ si vergogna nommu si marìta.


Chi non ha almeno un po’ di spirito non può convolare
a nozze.

LA MOGLIE

1-Àngiula si chiamava la prima cumpagna,


‘a secunda vastunàti e corna.
Recriminazioni di un tale ch’è convolato a nozze per la
seconda volta. La prima moglie è stata per lui Angela di
nome e di fatto, mentre la seconda, che l’ha reso cornuto,
gli ricorda le corna e le bastonate che di volta in volta le
ha dato.

2-Se voì vidìri i peni du’ ‘mpernu


gràvita ‘i stati e partorùta o’ mbernu.
La donna si trova in un grande impiccio a essere in
avanzato stato di gravidanza in estate e, quindi, a partori-
re nell’inverno.

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3-‘a mugghieri ‘ill’autri è sempri megghiu.
La moglie degli altri attira di più. È storia di sempre!
L’uomo, stanco della propria consorte, gradirebbe volen-
tieri possedere le mogli altrui.

4-‘a mugghieri è menzu pani.


Per l’uomo una moglie previggente e risparmiatrice è
l’equivalente di mezzo pane.

5-Manda dinàri, cornùtu meu.


Se mi li mandi d’oru,
quandu veni arrìvi ‘u figghiolu.
Se mi li mandi d’argentu,
ti fazzu cornùtu cuntentu.
Così dicono le mogli degli “americani”, Sono “ameri-
cani” i calabresi che espatriano in terre lontane in cerca di
lavoro e lasciano a casa le “sconsolate” - si fa per dire -
spose. Non tutte le spose riescono una Penelope e spesso
sono proprio i denari degli “americani” che spingono le
mogli a darsi alla pazza gioia.

6- ‘a vera maritàta: senza sòggira e senza cugnàta.


Il vero matrimonio riesce tale se gli sposi metteranno
su casa lontano da qualsivoglia parente.

7-Corna ‘i soru: corna d’oru:


corna ‘i mugghièri: corna veri.
Le vere corna sono soltanto quelle che la moglie pianta
al marito, in quanto sono le più dirette.

8-Cu’ lìbbara po’ stari non si nd’avi a ‘ncatinàri.


Il matrimonio non rappresenta una necessità impellen-
te. Chi è in grado di mantenersi da sola potrà farne anche
a meno.

45
IL PADRE

1-‘a mamma o’ foculàru


e ‘u patri nd’o mundizzàru.
Il posto della madre è accanto al focolare, ma quello
del padre, invece, dovunque, anche nei posti più sordidi,
in quanto è a lui che spetta procacciare quanto serve a una
famiglia per vivere.

LA MADRE

1-Cu’ ‘na figghia faci centu jènnari.


Una donna, che ha soltanto una figlia, non sa come de-
cidersi a sceglierle il destino nuziale. Con essa vorrebbe
ottenere non uno, ma cento generi.

2-‘na mamma faci pe’ centu figghi,


ma centu figghi non fannu p’a mamma.
La mamma ha il cuore grande e si sacrifica volentieri
per cento figli, ma, al contrario, i cento figli, pure se uniti,
non riescono o non vogliono contraccambiare quanto una
mamma sola ha potuto fare per loro. L’amore di una
mamma è grande come il mare.

3-C‘a scusa du’ ngangà mangia puru ‘a mammà.


Con la scusa del neonato, alla madre vengono offerti
pranzi speciali. Spesso otteniamo favori non perché ne
abbiamo il merito, ma per via indiretta e a causa degli al-
tri.

4-Cu’ ti voli beni cchiù da’ mamma


o ti tradi o ti ‘nganna.
L’amore di una mamma è inimitabile. Chi osa afferma-
re il contrario è solo un mentitore.

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I FIGLI E I RAGAZZI IN GENERE

1-Prima i figghi e poi i figghiastri


Nella nostra società vengono in graduatoria prima i fi-
gli e in un secondo momento i figliastri. In ogni situazione
a godere debbono essere per primi coloro che stanno più
vicini, gli altri dopo.

2-Figghi màsculi cu’ meli e figghi fìmmini cu’ feli.


I figli maschi vanno trattati in modo dolce mentre le fi-
glie femmine col fiele e cioè con durezza se si vuole che
riescano al meglio.

3-Ddiu ‘mu ndi lìbbara di’ figghi picciùsi


e di’ vicini ‘mbidiùsi (o ciangiulùsi).
Che Dio ci liberi dai figli piagnucolosi e dai vicini invi-
diosi

4-Mazzi e panelli fannu i figghi belli.


Botte e cibo sono la migliore medicina per ottenere che
i figli riescano sani, forti, belli ed educati.

5-Magghiu e magghiòlu: comu ‘a mamma ‘u figghiolu.


Rosa e bocciòlo: tale la madre, tale il figliolo.

6-Porci e figghioli: comu ’i mpari ‘i trovi.


Porci e bambini crescono secondo quanto s’impartisce
loro. La responsabilità della loro riuscita è, quindi, tutta
dei genitori o dei guardiani.

7-I vastunàti fannu i figghi abbàti.


Solo con le bastonate i figli riescono a trovare la giusta
strada e a pervenire a un’alta posizione sociale.

8-I figghi ‘i pputtàna sunnu furtunati.


I figli della malafemmina sono favoriti dalla sorte.

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9-Cu’ pe’ figghi s’ammazza mori sutt’a ‘na mazza.
I figli sono spesso irriconoscenti.

10-Figghi pìcciuli, guai pìcciuli;


figghi randi, guai randi.
Più i figli crescono e più aumentano i pensieri e le
preoccupazioni dei genitori.

11-Mèntimi ogghiu e dimmi: figghiu ‘i pputtàna.


L’uomo, che trae vantaggio da certe situazioni, non si
preoccupa minimamente se viene definito con i più ingiu-
riosi epiteti.

12-Chiama patri a cu’ ti duna pani.


Onora e chiama padre chi ti è largo di aiuti e fregatene
di tutti gli altri. Nella lotta per la sopravvivenza l’ideale
non conta.

13-Figghi pe’ natura e muli pe’ figura.


I figli avuti al di fuori del matrimonio tradiscono nel
volto le fattezze del genitore naturale.

14-Cu’ ‘u pani ‘ill’autri s’avi e mangiari


figghiu ‘i pputtàna s’avi e chiamàri.
Chi deve la sua posizione all’aiuto altrui, deve essere
riconoscente e non temere di venire considerato scarsa-
mente.

15-Se voi ‘a verità va’ nd’e cotràri.


La verità la dicono solo i ragazzi perché ancora non
hanno raggiunto l’età della malizia.

16-Cu’ tempu i scartagnòla si fannu fica.


Col tempo anche i fichi neonati perverranno a matura-
zione.
Pian pianino anche i bambini più piccoli diverranno
degli uomini.

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17-Cu’ ‘a sira si curca ch’i cotràri a’ matina si leva cacàtu.
I ragazzi sanno fare azioni solo da ragazzi. Chi si mette
con essi al fine di condurre una data impresa, dovrà riti-
rarsi prima del tempo perché quelli non gli potranno esse-
re mai di alcun aiuto, anzi gli riusciranno fatalmente
d’impaccio.

18-‘u pìcciulu chi voli ciangìri cu’ lu randi s’avi a mentìri.


Il piccolo, che cerca di azzuffarsi col grande, dovrà soc-
combere per forza di cose. Tra un ricco e un povero in lot-
ta tra di loro, a rimetterci le penne sarà sempre il secondo.

19-I vecchi su’ comu e cotràri.


A una certa età si ritorna inevitabilmente bambini. I
vecchi, che combinano stramberìe di ogni sorta, vanno
trattati alla stessa stregua dei più piccoli e si debbono
perdonare loro tutte le marachelle eventualmente com-
messe.

20- Cotràri mandi e cotràri vidi.


I ragazzi possono compiere solo azioni da ragazzi. Se
abbiamo necessità d’inviare qualcosa, anche una semplice
comunicazione, è certamente più proficuo se provvedia-
mo noi stessi piuttosto che affidare il tutto a dei ragazzi.

21- E chi ssì, figghiu da’ gaìna janca?


Chi ti senti di essere? Una persona altolocata?

22-È ‘nu bravu figghiolu: quandu dormi non cerca pani.


Elogio ironico. È un ragazzo che si comporta bene.
Non cerca pane solo quando dorme!

23-Megghiu rricchi ‘i sangu ca di dinàri.


È più proficuo a questo mondo avere una grande fi-
gliolanza che denari.

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24- I figghi su’ i vastùni da’ vecchiaia.
Sicuramente, i figli si adopereranno a sostenere i geni-
tori nella vecchiaia.

25-I cotràri nd’hannu l’artètica nd’e mani.


I ragazzi hanno le mani atletiche o, meglio, sempre in
moto. È proprio dei ragazzi non stare mai fermi.

I PARENTI

1-I parenti da’ mugghieri su’ duci comu o’ meli,


i parenti du’ maritu su’ ‘mari comu o’ cannìtu.
I parenti acquisiti per parte della moglie sono dolci
come il miele, mentre quelli del marito riescono aspri co-
me le canne.

2-Parenti: amàra a chija casa chi non avi nenti.


Parenti: misera quella casa che non ha niente di suo! È
un’amara affermazione e mai detto è stato più vero di
questo. Spesso i parenti non sono di alcun aiuto e noi
siamo costretti a sostenerci soltanto con le nostre forze.

3-I parenti su’ chij chi unu chiudi d’intra.


I veri parenti riescono soltanto quelli strettamente ap-
partenenti alla nostra famiglia.
Il resto non conta.

4-I nipùti? Pùtali


e se tornanu a jettàri tornali a putàri.
I nipoti? Pòtali e, se tornano a ricrescere, pòtali di bel
nuovo. Per i nonni e gli zii i nipoti sono più una peste che
altro, per cui è bene liberarsene presto. Tali parenti non
risulteranno mai riconoscenti per quanto è stato fatto per
loro.

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5-Zzii e cuggìni pìgghiali i primi.
Non bisogna paventare di avere approcci sessuali con
parenti, anzi bisogna contattarli per primi.

6-‘u sangu, se non t’arrusti, mancu ti mangia.


La voce del sangue non potrà mai essere soffocata e
ogni parente sarà sempre trattenuto da essa a non infierire
sui propri congiunti prossimi o lontani.

7-Se vo’ vidìri l’onestàti:


mamma ch’ i figghi e soru ch’i frati.
L’onestà può notarsi solo nei rapporti tra madri e figli
e tra sorelle e fratelli.

8-Parenti chi non t’ama e cammìsa chi ti puzza:


sciàncali e jèttali.
Quel parente che non prova amore alcuno verso i pro-
pri congiunti e una camicia sporca sono ugualmente da
buttare via.

9-Parra c’a sòggira ‘u senti so’ nora.


Rivolgersi alla suocera perché nuora intenda vuol si-
gnificare parlare a uno, ma far sì che chi gli è vicino e al
quale noi effettivamente intendiamo rivolgerci, capisca
che indirettamente è proprio lui il nostro interlocutore.

10-‘a sòggira cu’ la nora


mancu di zzùccaru esti bona.
È una pessima idea quella di far coabitare suocera e
nuora. La prima riuscirà sempre insopportabile all’altra,
anche se fatta di zucchero.

11-Mugghieri nd’abbrazzu, figghi ndi fazzu,


ma frati e soru non di vidu e non di fazzu.
Le mogli e i figli sono di facile acquisto, non così i fra-
telli e le sorelle.

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12-Chi nnicchi e nnacchi e chi parenti simu!
E chi mai ti conosce!

L’orologio civico di Tresilico

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COMPARI E COMARI

1-Cumpàri e cummàri pìgghiali pari.


Se insorge il desiderio erotico non bisogna rifiutare
compari e comari, anzi tali vanno appetiti così come si
presentano.

2-Cumpàri fin’a votàta.


Compare fino alla prossima svolta. Si dice di chi si di-
chiara compare per celia.

3-Cumpàri ‘i Ruma e matrimoni ‘i ruga.


Se poco importa che il compare venga scelto anche in
posti lontani, in tutt’altro modo ci si dovrà regolare nei
confronti di un matrimonio. Perciò, riuscirà un ottimo ac-
coppiamento quello tra due persone nate e cresciutesi nel-
lo stesso vico e per le quali il tempo di conoscersi e
d’intendersi c’è stato a iosa.

I VICINI

1-‘a reggìna nd’eppi bisognu da’ vicina.


Tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri. Perfino la re-
gina, così potente, in un’occasione ha avuto bisogno della
vicina.

2-Di Ddiu e di’ vicini non ti poi ammucciàri.


Da tutti ci si potrà nascondere, men che da Dio e dai
vicini. Questi ultimi sono sempre in attesa di spiarci.

3-Cu’ voli gabbàri lu so’ vicinu


si curca prestu e si leva matìnu.
Chi vuol fregare o superare il vicino deve coricarsi pre-
sto e alzarsi di buon mattino.

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4-Ortu e mulinu: non ci ’u diri o’ vicinu.
Non dire al vicino che possiedi orto o mulino perché
non riuscirai mai a stare in pace a causa delle sue reiterate
richieste.

5-Po’ pani e po’ vinu si cangia ‘u vicinu.


Si cambia senz’altro il negoziante del quartiere che non
mette in vendita vino e pane di buona qualità.

6-Vicinu chi nenti duna


e parenti chi non si presta
fùjli comu ‘a pesta.
Sfuggi come la peste il vicino avaro e il parente, che,
nell’occasione, non ti soccorrerà.

7-Quandu ‘u vicinu nd’avi beni


carchi hjarbu veni.
Se il vicino è ricco, di riflesso ne verremo a godere an-
che noi.

8-Ognunu s’avi e fari ‘i fatti soi.


In questo mondo ogni persona è tenuta a badare ai fatti
propri e a non occuparsi di quelli degli altri.

9-Fatti li fatti toi, mala vicina


e di li fatti mei non t‘intricàri.
Bada ai casi tuoi, o cattiva vicina e non intrometterti
nei miei.

10-‘u vicinu ti ‘mpara.


Il vicino è un ottimo maestro di vita. La sua bontà o la
malvagità riusciranno a influenzare il nostro agire.

11-Diu ‘mu ndi libbara di’ mali vicini.


Che Iddio ce ne scampi dai cattivi vicini. Riescono pe-
ricolosi in ogni caso.

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GLI AMICI

1-L’amicu ti po’ vidìri quand’hai


e ti saluta cincu voti e sei,
ma se pe’ casu disperatu vai
lu po’ cantàri lu miserere mei!
Bell’amico! Ti guarda e ti riverisce di continuo quando
ti sa ricco. Ti porge il saluto anche per cinque o sei volte
di seguito, ma, se per caso sei un disperato, hai voglia di
lamentarti e chiedere aiuto! Nessuno ti starà a sentire.

2-Patti chiari e amicizia longa.


Da contratti chiari scaturisce un’amicizia duratura.

3-Nt’o bisognu si vidi l’amicu.


L’amico si rivela tale proprio nelle necessità.

4-Càrciru, malatìa e necessitàti


scoràggianu ‘u cori dill’amici.
I veri amici soffrono con l’amico che soffre e gioiscono
con l’amico che gioisce.

5-Amicu cu’ tutti e fidìli cu’ nuju.


L’uomo dev’essere furbo e saper praticare amicizia con
tutti, ma, se vuole mantenere la propria libertà d’azione,
non deve rimanere fedele ad alcuno.

6-Se vo’ pèrdiri l’amicu marìtalu o fallu zzitu.


L’amico che si fidanza o si sposa è bell’e perduto per
gli amici, in quanto si allontanerà subito da essi e prati-
cherà un’altra compagnia di certo più piacevole.

7-Pe’ scandagghiàri ‘u cori ‘i ‘n’amicu


nd’avi ‘u si mangia centu sarmi ‘i sali.
Il cuore di un amico non si riuscirà mai a soppesarlo. È
insondabile.

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8-È bonu avìri amici puru nt’o ‘mpernu.
È bene procacciarsi amici in ogni luogo. Occorrendo, si
potrà sempre invocare il loro aiuto.

9-Amicu chi vo’ beni a ‘n’atru amicu,


non ti fidàri quantu teni ‘n cori,
ca veni ‘n giornu chi ti fa’ nimicu
e dici chiju chi sapi lu so’ cori.
Non è bene confidare a un amico tutto quello che por-
tiamo dentro. Potrebbe, infatti, accadere un giorno che
quegli, inimicatosi con noi, sia tentato di svelare a tutti
quanto esternato in un momento di debolezza.

10-Ohimè! Tri voti dicu: cu’ cadi ‘n povertà l’amici persi.


Gli amici ce li vediamo sempre d’attorno quando sia-
mo ricchi e possono, perciò, spillarci qualcosa, ma, se ca-
dremo in povertà, si può stare certi ch’essi a poco a poco
si dilegueranno.

11-Se vo’ vidìri lu nimicu morìri passa e non ci rispundìri.


Il peggior affronto che si possa fare a un nemico è quel-
lo di non rispondere alle sue parole.

12-Vali cchiù ‘n amicu ‘n chiazza


ca centu ducati nt’a sacchetta.
Il vero amico vale un tesoro. Vale più un amico in
piazza che cento ducati in tasca.

13-Dandu cu’ dandu s’acquista l’amicu,


non è veru amicu cu’ pìgghia e non duna.
14-‘na manu lava l’àutra e tutti i dui làvanu ‘a facci.
L’amicizia dev’essere reciproca. Il vero amico non può
essere “cu’ ‘na manu longa e ‘n’atra curta”, cioè non può
pretendere e non dare. Infatti, “non è veru amicu cu’ pìgghia
e non duna”. Si potrà anche dire “c‘u te e dammi s’acquista
l’amicu”.

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15-Amicu meu curtèsi, comu su’ l’entrati si fannu li spesi.
Si deve spendere in relazione a quanto si guadagna e
non di più.

16-All’amicu si parra chiaru.


In amicizia tutto deve risultare lineare e sincero.

17-‘a ‘micizia rinnovata è comu ‘na minestra riscaddàta.


Un’amicizia riannodata dopo una lite piuttosto seria
non potrà mai più ritornare tale. Sarà sempre qualcosa
che si regge in piedi per forza.

LA CASA

La casa è tutto per l’uomo. È il “sancta sanctorum” dei


suoi affetti, delle sue pene e delle sue gioie.

1-Casi terràni casi pputtàni.


Le case sistemate a pianterreno sono da scartarsi per-
ché tutti vi si possono introdurre e tutti, di conseguenza,
hanno l’opportunità di venire a conoscenza di ciò che fac-
ciamo o diciamo.

2-Quandu chiovi e mina ventu


e malu tempu fa
cu’ è nd’a casa ‘ill’àutri
’u faci prestu ‘mu si ndi va.
Non è bene che il cattivo tempo ci sorprenda quando ci
troviamo in casa altrui. Non saremmo a nostro agio, sta-
remmo in pensiero per quelli che abbiamo lasciato a casa
e, a lungo andare, potremmo riuscire d’incomodo ai no-
stri ospiti.

3-A porta larga trasi ‘i hjancu.

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Attraverso un ingresso spazioso è bene penetrare giràti
di fianco. Occorre stare in guardia e diffidare di chi ci ac-
coglie a braccia aperte e fa le più grandi cerimonie perché
spesso è proprio in un tale comportamento che si cela
l’insidia.

4-Si sapi a undi si nesci


e non si sapi a undi si mori.
Si conosce il luogo, in cui si è nati, perché ci troviamo
di fronte a evento già accaduto, ma non sapremo mai il
luogo nel quale morremo perché quest’ultimo è un fatto
che accadrà quando e dove Dio vorrà. Il destino è imper-
scrutabile.

5-O’ lettu fa’ du’ cosi::


se non dormi, ti riposi
e ti pensi li to’ cosi.
A letto, se proprio non si riesce a prendere sonno, si
possono fare almeno due cose utili: si riposa e si può me-
ditare sui nostri casi.

6-A undi nc’è ‘u lettu


nc’è ‘u dilettu.
Il letto è anche sinonimo di piacere.

7-Casa fatta e rrobba spatta.


Sono beni immobili di gran valore le case già costruite
e gli appezzamenti di terreno coltivati a dovere.

8-‘u cumprimentu trasi da’ porta


e ‘u diavulu nesci da’ finestra.
Nessuno resiste ai regali. Mentre questi entrano trion-
falmente dalla porta principale, il rancore, l’animosità, il
dispetto si dileguano silenziosamente dalla finestra.

9-Terra quantu ndi po’ avìri e casa quantu ‘mu stai.


10-Terra quantu ndi vidi, vigna quantu ‘u mbivi

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e casa quantu ‘mu stai.
L’Antico raccomanda: terra quanta ne puoi arraffare,
vigna soltanto per il comodo di bere un buon bicchiere di
vino e casa abbastanza per abitarci.

11-Cu’ intra ti menti fora ti caccia.


Se ti metti un tizio dentro casa per carità e compassio-
ne, un bel giorno tale galantuomo si sdebiterà cacciandoti
fuori.

12-Ogni casa (anche ognunu) avi ‘a so’ cruci.


13-Non c’è chesa senza artàru e né casa senza cruci.
Ogni famiglia deve portare la sua croce in questo
mondo e, per quanto possa sembrare che nulla le manchi,
ha tuttavia sempre qualche pena nascosta da sopportare.

Il gioco dei birilli (‘u jocu d’i brigghia)

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Una bottega di sarto negli anni ’50 del ‘900 :
mastro Beniamino Rossi

60
MESTIERI E PROFESSIONI

Il mestiere è una nobile occupazione, ma, come dice il


popolino, è una fatica cui ognuno si sobbarca solo per ne-
cessità di vita. Difatti, “s’era bona ‘a fatica, ‘a facìvanu i ca-
ni”. Il lavoro è un peso, non un divertimento.

1-Non c’è casa di li gnuri undi non piscia ‘u muraturi


Il muratore, nel mentre lavora, gode a orinare in ogni
casa di signore che sta costruendo. Il muratore, che con le
sue mani erige le case per i signori e non per sé, può
prendersi nei loro confronti una minima e magra soddi-
sfazione.

2-‘u mastru pignataru


menti ‘a mànica a undi voli.
Come il fabbricante di pignatte mette il manico dove
vuole, così la persona scaltra e che ci sa fare para qualsiasi
colpo. Sa, insomma, “conzàri quattr’ova nd’a ‘nu piattu”.
Riesce in definitiva a convincere chicchessìa con appena
quattro parole.

3-Pàgati mastru c’o furnu è fattu.


Se il mastro che ha allestito un forno, non farà presto a
chiedere il prezzo della sua fatica, correrà il rischio di
perdere il compenso perché, se il forno non risulterà soli-
do, presto rovinerà e il committente non vorrà più saper-
ne di pagare.

4-Quandu i mulinàri si sciarrìanu,


‘ttaccàti i sacchi.
5-Quandu i barijàri si sciarrìanu
i barìj vannu p‘o menzu.
Attenzione a tenere fermi i sacchi quando bisticciano
tra loro i mugnai, altrimenti la farina andrà tutta in malo-
ra. Lo stesso avviene con i barillari e i barili.

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6-‘anci l’arti a cu’ la sapi fari
e viscotti duri a cu’ nd’avi moli.
L’arte è propria dell’artigiano e mai nessun profano
potrà scimmiottarne il lavoro.

7-Ognunu dill’arti sua vaci scarzu.


La casa dell’artigiano è spesso priva di quelle comodità
ch’egli fabbrica per gli altri.

8-‘u scarpàru vaci a’ scaza.


Il ciabattino, che ripara le scarpe altrui, non trova mai
il tempo per aggiustare le proprie e, quindi, va scalzo.

9-‘ammi arti e non mi dari parti.


È meglio far imparare un’arte ai figli che lasciar loro
un’eredità. La prima apporta senz’altro più vantaggio.

10-Fa’ l’arti chi farai:


se no’ rricchi camperài.
È bene che una persona faccia l’arte che avrà imparato.
Se non diventerà ricco, perlomeno otterrà l’indispensabile
per vivere.

11-L’orìfici canusci l’oru.


L’orefice è il solo intenditore dell’oro.
Le cose buone le conosce soltanto il competente.

12-‘i ‘na porta non faci mancu ‘nu mandàli.


Il cattivo artigiano, da una porta non riesce a ricavare
nemmeno una maniglia.
Il sarto mediocre, da molta stoffa non è capace di otte-
nere un solo vestito.

13-Jri arrètu comu ‘o cordàru.


Andare indietro come il cordaio significa regredire
progressivamente.

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14-L’arti ‘i tata è menza ‘mparata.
Chi ha un padre artigiano è come se già conoscesse
l’arte. Difatti, tenendo con sé in bottega sin dai primi anni
il figlio, il padre sarà facilitato nel suo insegnamento.

15-Figghiola chi ti nd’hai e maritàri,


pigghiatìllu lu fabbricaturi:
ti faci la casettèja a menzu mari
e ‘na finestrella pe’ fari l’amuri.
Il muratore è un ottimo partito per chi deve sposarsi.
Alla futura sposa allestirà una casetta in mezzo al mare,
con una finestrella atta a farvi l’amore. Tale detto è in
chiave ironica e potrebbe riferirsi alle difficoltà in cui si
dibatteva un tempo tale artigiano.

16-‘e tempi di Natali fannu festa li scarpàri:


si ‘mpìgnanu la sola e si ‘ccàttinu la cichitignòla.
A tempo di Natale i calzolai fanno festa e danno in pe-
gno la suola per potersi comprare la “cichitignòla” (“cichi-
tiàri” è lo scricchiolìo che fanno le scarpe nuove).
È ancora un detto che irride alla grama vita degli arti-
giani.

17-Cu’ i sbirri mangia e mbivi, ma cu’ ij non dormìri.


Non ha importanza se si mangia o si beva assieme ai
carabinieri. Quel che si deve evitare è di dormire con essi.
Con i carabinieri bisogna avere rapporti stretti il meno
possibile.

18-Cu’ vaci a’ fera e non leva tarì


va’ cu’ ‘na pena e torna cu’ tri.
Chi si reca a una fiera di paese senza possedere il becco
di un quattrino va con una pena in cuore e se ne ritorna
con più d’una, in quanto non ha avuto la possibilità di ac-
quistare alcuno dei meravigliosi oggetti esposti nei vari
stands.

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19-Fari l’arti di’ pacci.
Fare l’arte dei pazzi significa combinare delle azioni
sconclusionate.

20-‘u parràri è arti leggia.


Un’arte facile è il parlare. Infatti, tutti siamo buoni a
criticare gli altri.

21-Manganèju non fa cazetta.


Il rocchetto del fuso, da solo, non è sufficiente a fare le
calze. Naturalmente, c’è bisogno anche del filo.

22-O medicu chi sani li malati,


sana puru la giurgìlla mia,
e sanammìlla ora ca esti stati,
veni lu ‘mbernu e la vogghiu cu’ mia.
O medico che riesci a guarire gli ammalati, risana pure
la Giorgilla mia e restituiscile la salute ora ch’è estate. È in
arrivo l’inverno e in quel tempo desidero che stia con me.

23-Bon nci crisci.-


Bona venuta.-
Colloquio tra un’acquirente e la fornaia. La prima, en-
trando, formula l’augurio che il lievito possa aver fatto la
sua parte producendo un buon pane. La seconda accoglie
con garbo l’altra augurandole il benvenuto.

24-Pe’ vacabbundi nc’è ‘nu Diu.


Anche per chi non lavora e passa il tempo oziando c’è
un Dio che provvede.

25-Fattu cu’ i cincu sensi.


Si dice di un lavoro eseguito a puntino.

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L’EDUCAZIONE

Forte della sua plurisecolare esperienza, l’Antico ha la-


sciato delle massime educative di tale valore, che ancora
oggi si rivelano più che mai di attualità.

1-Penza e po’ fai,


no’ currìri di volontà.
Prima pensa e poi agisci.

2-Cu’ cchiù sapi, cchiù vali.


Quanto più l’uomo sa, tanto più vale.
Chi vuole il bene dei figli, li alleva con regole molto ri-
gide. Chi, invece, si disinteressa del loro avvenire, li tratta
assai blandamente e domani ne soffriranno.

3-‘a pianta si torci quandu è tènnera.


L’uomo si educa sin da ragazzo. È solo in questo parti-
colare periodo ch’egli forma le sue basi e che tutti i suoi
incipienti difetti possono venire stroncati o perlomeno
corretti.

4-Cu’ ti voli beni ti fa’ ciàngiri,


cu’ ti voli mali ti fa’ rrìdiri.
Chi ti vuole bene, ti fa piangere perché ti dice le cose
come stanno. Chi è tuo nemico, ti fa ridere a motivo che
t’inganna.

5-Cani e villàni pe’ chiùdiri porti


non hannu mani.
6-Cani e figghi ‘i pputtana
dàssanu ‘a porta aperta.
Il villano è in tutto simile al cane e al figlio della mala-
femmina. Non ha la buona abitudine, entrato in casa

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d’altri, di tirarsi dietro la porta. Nelle campagne, ove è
adusato vivere all’aria aperta, non vi sono porte.

7-Ognunu ‘mpara a spisi soi.


8-Sbagghiandu si ‘mpara.
A volte è commettendo uno sbaglio o uscendo dan-
neggiato da un’esperienza che ognuno potrà riuscire ad
apprendere.

9-‘a pratica rrumpi ‘a grammatica.


L’esperienza è più utile delle regole.

10-Noè era ‘i novicentanni


e ancora nd’avìa ‘mu ‘mpara.
S’impara a tutte le età. Noè aveva raggiunto a malape-
na le novecento primavere che ancora doveva pervenire a
imparare!

11-Nuju nesci ‘mparatu.


Nessuno ha dalla sua la prerogativa di nascere già sa-
piente. Tutti dobbiamo imparare.

12-‘a verità veni sempri a galla.


Hai voglia di nascondere le tue marachelle, la verità o
prima verrà a essere conosciuta.

GIURISPRUDENZA SPICCIOLA

Gli antichi regolarizzavano le loro questioni d’interesse


non già appellandosi a leggi scritte o codificate, ma rifa-
cendosi a vecchie usanze tramandate a voce da padre in
figlio.

1-‘a leggi è uguali pe’ tutti.

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Di fronte alla legge siamo tutti uguali, ricchi e poveri,
nobili e plebei o, almeno, così dovrebbe essere nella gene-
ralità dei casi. L’esperienza, purtroppo, c’insegna che non
è proprio così.

2-Lu càrciri di Parmi


è cruci cruci,
malanova m’avi cu’ lu fici.
Il carcere di Palmi è tutto pieno di croci, maledetto sia
il suo costruttore. Il carcere di Palmi è un tetro luogo in
cui molti sono stati i carcerati che vi hanno trovato la
morte.

3-‘a leggi non ammetti ‘gnoranza.


Non è ammissibile che gli articoli della legge vengano
ignorati e tutti siamo tenuti a conoscerli.

4-Ch’i santi comu t’adùri, c’a curti comu t’aiuti.


Dai santi si otterrà quello che si desidera in base a
quanto li si avrà adorati, dal tribunale per quanto ci sare-
mo dati da fare perorando in nostro favore in mezzo ai
tanti cavilli procedurali.

5-Cu’ vaci o’ jazzu perdi ‘u palazzu.


Chi si allontana da un dato posto e vi ritorna dopo al-
quanto tempo non gode più del diritto di reclamare la re-
stituzione da colui che nel frattempo l’avrà giustamente
occupato. Pure, chi va a occupare un posto infimo perde
quello importante. Il “jazzu” è il giaciglio dei pastori in
montagna.

6-Cu’ rrumpi paga e cu’ guasta conza.


Chi rompe è tenuto a rifondere i danni che ha causato e
chi guasta ad aggiustare.

7-Necessità non àbita leggi.

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Quando è lo stato di necessità a imporlo, la legge può
venire giustamente messa da parte.

8-Ogni abbocatu a so’ causa perdi.


L’avvocato, che è buon difensore per gli altri, non rie-
sce a vincere la propria causa.

9-Parmi attacca
e Catanzaru sciogghi.
Le città di Palmi, sede di tribunale e di Catanzaro, con
la corte d’appello, sono i punti focali attraverso i quali si
svolge ogni iter giudiziario per la gente della Piana di
Gioia Tauro. Il reo, che viene condannato dall’ufficio di
Palmi, spera, agendo in appello presso quello di Catanza-
ro, di venirne prosciolto.

10-Nenti vidisti, nenti dicisti


e cchiù prestu ti ndi jsti.
L’omertà è stata sempre una delle grandi piaghe della
nostra regione. Dicendo di non aver visto alcunchè alle
domande dei giudici, si otterrà il non disprezzabile risul-
tato di non immischiarci in alcun modo in faccende che
non ci riguardano e di liberarci presto da lunghi e noiosi
interrogatori.

11-Pati (anche paga)


‘u giustu po’ peccaturi.
In questo nostro mondo molto spesso un giusto si tro-
va a espiare al posto di un peccatore. Gli errori giudiziari
proprio non si contano!

12-Amàru chiju chi si menti


cu’ chiju chi nd’avi ‘nu sulu cancèju.
È da commiserare chi attacca lite con un povero o con
uno che possiede poche sostanze. Ci lascerà certamente le
penne perché, in caso di vittoria, difficilmente potrà esse-
re risarcito.

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13-Vinci ‘a causa e perdi ‘a liti.
Si dice che vince la causa, ma perde la lite, di colui che,
pur di conseguire il suo puntiglio, esaurisce in spese giu-
diziarie più di quello che si attende di ottenere. La sua,
perciò, non potrà risultare che una … vittoria di Pirro.

14-‘u tortu è sempri du’ mortu.


Il morto ha sempre torto! È ovvio! Non potrà mai svol-
gere alcuna autodifesa.

15-Carta canta ‘n cannòlu.


“Verba volant, scripta manent” dicevano i Latini.
Fa fede solo quanto rimane impresso sulla carta. Le pa-
role volano via come fumo. È per questo che i contratti
vanno stesi su carta.

16-‘a gghianda a undi cadi e ‘a liva di cu’ è.


La ghianda diventa proprietà del padrone del suolo sul
quale viene a cadere. Le ulive invece appartengono al
proprietario del fondo dentro cui hanno sede le relative
piante.

17-Fràbbica e liti: provàti e vidìti.


L’edificazione di una casa oppure anche una lite por-
tano l’uomo alla rovina. Per crederlo basterà solo fare una
prova.

18-Cu’ perdi nd’avi sempri tortu.


Chi perde ha sempre torto. Non può, infatti, accampa-
re alcuna giustificazione.

19-Cu’ dinàri e amicizia si teni ‘n culu ‘a giustizia.


La giustizia può essere elusa con denari e amicizia.

20-Ogni testa forma codici.


Ogni uomo spiega gli articoli del codice – ma anche
ragiona - secondo i propri interessi.

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21-‘a leggi è comu ‘a pej di’ cugghiùni:
cchiù ‘a tiri e cchiù veni.
La legge non è mai rigida. È pensiero degli avvocati
trovare gli escamotages per eluderla. È proprio come la pel-
le dei coglioni, che più la stiri e più si allarga.

22-Certi voti vai ‘u cerchi grazia e trovi giustizia.


Certe volte chiedi grazie, ma mal te ne incoglie.

Foto Luigi Morizzi


Il poeta Geppo Tedeschi (in alto col cappello) e amici
in posa davanti a una carbonaia

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CREDENZE SUPERSTIZIOSE

Gli antichi, che erano particolarmente superstiziosi,


prestavano soverchia fede a tutte le bubbolate che si nar-
ravano loro. Un numero fatidico, un gatto nero, un battere
prolungato di palpebre avevano spesso il potere di farli
restare attoniti come se si trovassero alla presenza di chis-
sà quali forze occulte e misteriose.

1-Ffu ffu, tutt ‘a palla du’ mundu, n’a vàgghiu cchiù.


Ffu ffu, tutto il globo terracqueo, non è più valido altro
che eventualmente seguirà. È questa la formula di scon-
giuro con la quale si chiudevano tutti i giuramenti fatti
dai ragazzi.

2-Cu’ ‘mmazza cani e gatti


malanova (o anche “‘a malasorti”) ‘mu nci ‘mbatti.
Chiunque uccida cani o gatti verrà a incorrere
senz’altro nelle ire della cattiva sorte.

3-Canìgghia, canìgghia: cu’ i manda s’i pìgghia.


Crusca, crusca: le maledizioni ricadono sulla stessa
persona che le scaglia.

4-Trìdici: focu e’ fìlici.


Il numero 13 è stato sempre ritenuto una cifra apporta-
trice di grande scalogna.

5-S’avi e penzàri o’ mali ‘u veni ‘u beni.


Occorre stare con l’animo preparato a ricevere cattive
notizie perché possano sopraggiungerne di buone.

6-‘u destru ti sbalèstra, ‘u mancu t’avànta.


Un battere prolungato di palpebre è per il popolino un
gioco degli occhi. Se battono quelle di destra è cattivo se-

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gno, il contrario se a muoversi sono quelle di sinistra. Al-
tra curiosità del genere è il sentirsi prudere un orecchio.
Quando ciò avviene significa che in tale frangente il no-
stro nome viene profferito da qualcuno.

7-Cosi dati e cosi pigghiàti vannu o’ ‘mpernu ‘ncatinàti.


I regali, una volta fatti, non potranno mai più essere ri-
chiesti indietro perché i doni dati e poi ripresi vanno a fi-
nire all’inferno incatenati.

8-‘u gabbu arriva o’ labbru.


9-‘u gabbu arriva e ‘a hjestìma no;
variante: ‘u picciu coli e ‘a hjestìma no.
Attenzione a non manifestare eccessiva meraviglia e
dileggio per le disgrazie altrui perché potremmo, a nostra
volta, incorrere nelle medesime tribolazioni. Le bestem-
mie lasciano il tempo che trovano, lo scherno no. E se il
piangersi addosso a volte produce buoni effetti, la be-
stemmia che si lancia a danno di altri no.

10-I ciangiùti su’ resciùti.


Coloro che vengono commiserati nella vita spesso rie-
scono assai meglio degli altri.

11-No’ gabbu e no’ meravigghia.


Di fronte a certi brutti fatti non bisogna meravigliarsi e
deridere eccessivamente.

12-Avìri ‘a zzafratèja.
Chi è fortunato è segno manifesto che possiede una lu-
certolina.

13 – Statt’attentu ca t’a tiri ‘a cazètta!


Attento a come agisci e tira dritto per la tua strada sen-
za commettere soprusi o peccati, se no sicuramente andrai
all’inferno e allora tirerai in su invano la calza per coprirti.

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DIO E I SANTI

Anche Dio e i santi sono personaggi molto quotati nel


settore del folklore, ma il popolino, portandoli come ter-
mini di paragone per le sue vicende quotidiane, non sem-
pre li tratta riverentemente, anzi!

1-Quandu ‘u Signuri voli, ‘a casa ‘a sapi


Dio conosce i bisogni di tutti e, se lo vuole, non occorre
che gli si additi la casa, dove necessita il suo intervento.

2-Faci cchiù miraculi ‘na staja china ‘i cortagghia


ca ‘na chesa china ‘i santi
Produce più miracoli una stalla piena di stabbio che
una chiesa ricca di statue di santi. A volte un bene è com-
piuto da chi meno ce lo aspettiamo.

3-Ddiu non paga ‘u sàbbatu.


Iddio non si dimentica dei malvagi che commettono
turpi azioni, ma li punisce a tempo e luogo opportuni.

4-Dici Diu: ajùtati ca t’aiutu puru jeu.


Il primo aiuto ce lo dobbiamo porgere noi stessi, con le
nostre iniziative e il nostro saper fare. La Divina Provvi-
denza potrà intervenire, ma soltanto in un secondo tem-
po.

5-A Diu e non peju: nc’issi chiju chi jiu ‘u si ‘mpendi.


Contentiamoci che sia andata così. Poteva toccarci as-
sai di peggio! Così ha detto quel tale che andava a impic-
carsi.

6-Diu aiuta o’ jutàtu c’o poveru è ‘mparatu.


Grave affermazione blasfema. È come dire che Iddio
stia dalla parte dei ricchi.

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7-‘u Signuri nc’i manda i viscotti duri
a cu’ non avi moli.
Anche qui ci troviamo di fronte a un’altra grave affer-
mazione. Il Signore non distribuirebbe equamente e con-
cederebbe, errando, le ricchezze a chi non sa cosa farsene.
Però è anche vero che, come si dice appresso,

8-‘u Signuri nci manda ‘a nivi


a chija muntagna c’a poti suffrìri.
Iddio manda, è vero, pene e affanni, ma spesso li indi-
rizza verso quegli animi forti, che, soli, sanno sopportare
stoicamente ogni grave ambascia.

9-Fandi quantu ndi voi ca cca t’aspettu.


Non v’è alcuno scampo per il peccatore impenitente. Il
Signore, che lo attende, gli saprà dare il castigo che si sarà
meritato.

10-Diu dassa fari, ma non suprafàri.


Iddio, a volte, tollera che venga compiuto il male, ma a
esso sa porre sempre un limite.

11-Anima a Diu e rrobba a cu’ tocca.


Dare a Cesare quel ch’è di Cesare e a Dio quel ch’è di
Dio. L’anima appartiene al Signore, la proprietà a chi
spetta per legittima eredità.

12-‘u Signuri affriggi e no’ ‘bbanduna.


Se il Signore, a volte, ci manda delle pene, non per
questo ci abbandonerà, ma, assieme a esse, ci fornirà, nel-
la sua immensa bontà, anche i mezzi per poterle più fa-
cilmente sopportare.

13-‘u Signuri chiudi ‘na porta e japri ‘na finestra.


Il Signore non dimentica alcuno dei suoi figli e, proprio
quanto tutto può sembrare perduto, elargisce un piccolo
insperato aiuto.

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14-No’ grazzii e no’ meriti ‘i Diu.
Si profferisce questa frase allorquando si fa un piacere
e non si viene apprezzati e ringraziati per come si merita.

15-‘u Signuri dopu ‘a piaga manda ‘u ‘nguentu.


Il Signore, assieme alla disgrazia, fornisce anche il sol-
lievo per poterla agevolmente superare:

16-Cristu dissi:
fa’ comu t’è fattu
ca non è peccatu.
È lo stesso Cristo ad ammonirci a rispondere alle offese
con le offese.

17-‘n Paradisu non si vaci ‘n carrozza.


Il Paradiso è la mèta, cui tutti tendiamo, poveri e ricchi,
ma la strada per arrivarci ci viene facilitata solo dalle
buone azioni.

18-È inùtili chi fai ricci e cannòla:


‘u santu ch’è di màrmuru non suda.
È inutile fare voti perché il santo, ch’è fatto di marmo,
non è in grado di concedere alcuna grazia.

19-Cu’ voli o’ santu vaci e ‘u trova.


È chi ha bisogno che deve andare in cerca di colui che
gli potrà essere di aiuto, e non viceversa. È il profeta
Maometto che deve recarsi alla montagna e non questa da
lui.

20-Dopu chi ‘rrobbàru a Santa Chiara


nci fìciru i porti ‘i ferru.
Dopo che il fatto sarà avvenuto ci si preperarà a pren-
dere provvedimenti ormai inutili, quei provvedimenti che
sarebbe stato necessario prendere molto tempo prima.

21-Non promèttiri guti e’ santi

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e mancu cujurèj e’cotràri.
Santi e ragazzi, cui si è promesso qualcosa o per voto o
per regalo, non ci lasceranno in pace finchè non avremo
soddisfatto quanto incautamente fatto sperare. Con le
promesse occorre andare molto cauti perché, una volta
contratte, si rivelaranno peggio dei debiti.

22-‘nt’a calàta ogni santu aiuta.


Nelle discese si cammina agevolmente. È nelle salite
che occorre produrre il massimo sforzo.

23-Prima ‘u spara ‘u lampu


dici Santa Barbara.
Alcuni tremano dalla paura già prima che si avverta il
pericolo. Deriva dall’abitudine di pronunziare il nome di
Santa Barbara allo scoppio di un fulmine.

24-Ogni santu avi i so’ devoti.


25-Ognu santu avi ‘a so’ festa.
Ognuno ha una propria cerchia di amici fidati.

26-‘na vota l’unu, Santu Brunu.


Per San Bruno, uno per volta.

27-A quali santu jsti ‘mu ti voti,


a chiju chi mai a lu mundu fici beni?
A quale santo ti sei mai rivolto, forse a quello che non
ha mai concesso alcuna grazia? A quale amico mai ti sei
indirizzato? Probabilmente a quello che non ti darà mai
alcun aiuto?

28-‘a gatta ‘i San Basili


quandu ciangi e quandu ‘rridi.
I bambini sono come la gatta di San Basilio. Un mo-
mento piangono e un altro momento ridono spensierata-
mente. È la loro età a pretenderlo.

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29-Passàta ‘a festa gabbàtu lu santu.
Trascorsa la festa, il santo è bell’e dimenticato. Passata
la ricorrenza, non è il caso di pensarci più.

30-Ndi facìmu comu e santi ‘i Riggiu.


31-Ndi facìmu tunnìna.
Farsi come i santi di Reggio o come i tonni nella mat-
tanza significa altercare con qualcuno e ridursi, entrambi i
contendenti, a malpartito. Sembra che durante le scorrerie
turchesche dei secoli trascorsi le statue di santi conservate
nelle chiese reggine siano state spesso rese malconce.

32-si faci ‘a cruci c’a manu manca.


Farsi il segno della croce con la mano sinistra significa,
per l’ameno popolino, meravigliarsi di una qualche cosa.

33-Chiovi, chiovi, chiovi,


‘a Madonna cogghi hjuri,
li cogghi pe’ Gesù
e domani non chiovi cchiù.
È da parecchio tempo che piove e intanto la Madonna
raccoglie fiori, li raccoglie per Gesù, per cui si può starne
certi che domani non pioverà più.

34-‘i vénnari non si càmbara.


Di venerdì, giorno consacrato al Signore, il buon cri-
stiano rifiuta la carne.

35-Non cumpundìri ‘u cazzu cu’ Patannostru.


Non confondere il sacro col profano.

36-Cu’ voli beni a Diu voli beni puru e’ Santi.


Se una persona è votata ad amare Dio, allo stesso mo-
do si comporterà con i Santi. Chi è abituato ad agire cor-
rettamente e piamente nei riguardi di un parente stretto,
ugualmente procederà verso quello acquisito. Il segreto
sta tutto nella sua formazione personale.

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37-Nci voli ‘a pacenza di li santi.
In certe situazioni occorre armarsi di santa pazienza.

38-No’ ssi movi fògghia chi Diu non vògghia.


A questo mondo tutto è volontà di Dio.

39-‘u Signuri d’’u lavuratu benidìci ‘u terzu.


Ogni lavoratore di sicuro non s’impegna al cento per
cento, per cui è già tanto se il Signore gli riconosce di aver
operato rettamente solo per un terzo di quanto gli sarebbe
toccato.

Un altarino in occasione dell’ottava del Corpus Domini

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IL DIAVOLO

1-Si parra du’ diavulu e spùntanu ‘i corna


Si discorre del diavolo e, tàffete, ne spuntano le corna.
Spesso capita che il tizio, di cui stiamo parlando, si viene
a trovare subito nei pressi, quasi che abbia avuto il dono
di subdorare ch’era lui l’argomento della discussione.

2-‘u diavulu non avi pècuri e vindi lana.


È riferita a coloro che non si fermano al primo tentati-
vo e cercano sempre di ritornare alla carica.

PRETI E MONACI

I preti e i monaci sono forse i personaggi più singolari


a essere presi di mira dall’ironìa popolaresca, che li rap-
presenta spesso in atteggiamenti non certo consoni alla
loro dignità. In molte situazioni equivoche grassi monsi-
gnori e monaci scostumati ne fanno le spese.

1-Cazzu!- Dissi ‘u ‘bbati


quandu vitti a so’ nipùti prena.
Colorita e stupefatta esclamazione di un monsignore
allorchè si è accorto che la nipote, che viveva in casa sua e
sulla quale aveva sempre vigilato incessantemente, era
rimasta, in barba a tutta la sua guardinga attenzione, ino-
pinatamente incinta.

2-Du’ cìciri pìgghia ‘u brodu e du’ previti ‘a soru.


Il brodo dei ceci e la sorella del prete sono entrambi
piatti prelibati. Il primo è saporito e la seconda non è da
meno, in quanto riesce sempre un partito molto ambìto. I
preti, dati i ricchissimi censi di cui un tempo godevano e

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non avendo alcuna responsabilità di famiglia propria, po-
tevano dare alle proprie sorelle una cospicua dote.

3-E chi su, figghiu ‘i prèviti?


Così dice colui al quale, offrendosi da bere, si riempie il
bicchiere a metà.

4-Dicìva ‘u ‘bbati Conia


ca cu’ settoru non si cugghiunìja.
Il celebre abate galatrese e poeta in vernacolo Giovanni
Conia era solito dire che col settebello, al gioco delle carte,
non era mai lecito scherzare. Le cose importanti vanno
trattate molto seriamente.

5-Se i prèviti non pàrranu i monaci si marìtanu.


6-Se Bonsignuri non parra i prèviti si marìtanu.
Se il vescovo non apre bocca i preti giungeranno perfi-
no a sposarsi. Ma anche se i preti non parlano, sono i mo-
naci a convolare a nozze. Se un tizio, che ha ricevuto un
torto, non se ne risentirà nei dovuti modi, continuerà an-
cora a restare offeso.

7-‘u Papa cumanda i festi.


In ogni settore della vita umana è il dirigente respon-
sabile che impartisce gli ordini. Nella famiglia colui che
deve saper condurre il mènage familiare è il padre.

8-Àbitu non fa monacu e chirica non fa prèviti,


Si è preti anche se non se ne vede la tonsura e monaci
anche se si è privi del saio. Sovente le apparenze ingan-
nano.

9-‘u monacu zzumbarùni jetta pìdita a mucciùni.


Il monaco tonante e scaltro emette suoni sconci di na-
scosto.

10-‘u monacu chi jia fujèndu

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dicìva ca sapi i cazzi soi.
Il monaco in fuga, a chi gli chiedeva perché corresse
tanto in fretta, rispondeva che sapeva i casi suoi. Non bi-
sogna mai meravigliarsi di chi agisce stranamente perché
spesso vi è una giustificazione a tutto, anche nei casi più
impensati.

11-Patri, mi cumpessu,
vaju a’ casa e fazzu ‘u stessu.
Si dice così del peccatore impenitente, che, subito dopo
essersi confessato, ricade nei falli di sempre.

12-Quandu nasci ‘u prèviti pasci,


quandu ti marìti ‘u prèviti ‘mbiti,
quandu mori ‘u prèviti godi.
Nelle occasioni cruciali della vita al centro sta sempre
la figura del prete. Questi, in definitiva, sia nelle situazio-
ni liete che in quelle tristi è l’unico a beneficiarne. Lo si
trova, infatti, presente nei riti del battesimo, del matrimo-
nio e anche nel servizio funebre.

13-Matrimoni e viscuvàti di lu celu su’ calàti.


Sia al matrimonio che al vescovado si perviene per vo-
lontà divina.

14-Fìmmini ‘i chesa, diavuli ‘n casa.


Le donne che frequentano sempre la chiesa, le bizzoche
per intenderci, hanno un comportamento fittizio. In chie-
sa appaiono tutte pie, ma poi a casa ne tengono uno del
tutto opposto. O meglio: le donne di chiesa sono pie sol-
tanto all’apparenza.

81
Il carro funebre con i cavalli nei funerali di una volta

82
RAPPORTI SOCIALI

I rapporti dell’uomo coi suoi simili sono parafrasati in


ogni singolo evento da massime argute, i cui sottintesi ce-
lano spesso grandi verità.

1-Cu’ ‘intra ti menti fora ti caccia.


Colui che avrai beneficato accogliendolo in casa, ti ri-
compenserà cacciandoti da essa.

2-Guardàri ‘u culu nd’o specchiu.


Mirarsi il deretano allo specchio equivale a pretendere
cose impossibili

3-‘u cornu du’ voi nd’o culu ‘ill’autri


è filu d’ariganu.
Il corno del bue nell’ano altrui è come un filo di origa-
no. Una cosa grave che tocca gli altri viene sempre da noi
minimizzata, tanto non siamo noi a subirla.

4-I zzannijàti vannu ‘n Paradisu.


Il regno dei Cieli è di coloro che sono presi in giro, in
definitiva appartiene ai buoni.

5-A undi cundi l’ogghiu, ‘a macchia non si ndi vaci


Un’onta non potrà mai essere cancellata.

6-Sup’o lignu ‘llampàtu non pìgghia focu.


Su un albero, in cui si è abbattuto un fulmine, il fuoco
non fa presa. L’esperienza fa sì che un medesimo errore
non si ripeta.

7-Mentìri ‘n cacaticchiu.
8-Mentìri ‘n pròmprici.
Coprire un posto che non si merita, ma anche mettersi
in evidenza con baldanza.

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9-Va’ e caddìja ‘a seggia ‘i to’ mamma.
Vai a riscaldare la sedia di tua madre. Consiglio che si
dà agli impiccioni.

10-A’ squagghiàta da’ nivi.


Tardi, quando ormai non serve più.

11-Se ti vesti di sgarlàta sempri puzzi di pisciàta.


Puoi indossare anche vesti preziose, resterai sempre un
poveraccio.

12-Cu’ sparti nd’avi ‘a megghiu parti.


Chi fa le divisioni ottiene la parte migliore, anche, na-
turalmente, se trattasi di botte.

13-A undi sputa unu jcca l’àutru.


Così dovrebbero comportarsi tra loro le persone che si
debbono voler bene.

14-Sunnu cazzi e cucchiara.


Sono legati a filo doppio.

15-Anima sì, anima cridi.


Fatti come siamo di anima e di corpo, dovremmo tutti
essere tenuti a comprendere i guai degli altri.

16-Serviziu fattu: paga, aspetta.


Dopo aver ottenuto ciò che si è perseguito, corrispon-
deremo col nostro comodo.

17-I corna su’ comu ‘e denti,


quandu spùntanu stroppìanu,
dopo iùtanu a mangiari.
Le corna sono come i denti. Quando spuntano fanno
male. Dopo sono di aiuto a mangiare. Alle corna ci si fa
l’abitudine. Anzi, col tempo, possono addirittura facilitare
una carriera.

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18-Non senti all’Àngili cantàri
e senti ‘e scecchi ‘rragghiàri!
Non credi a ciò che ti prospettano le persone importan-
ti o capaci e poi credi a quello che ti dicono le persone in-
significanti! Come è mai possibile ciò?

19-‘ncignàmu cu’ tricchi tracchi


e spicciàmu c’a chitarra.
A chi offriamo un dito, pretende poi anche la mano.

20-‘O forestèri fuji e feri.


Rifuggi dal forestiero e, se del caso, feriscilo.

21-I cordi longhi si fannu serpi.


Come le amicizie non possono durare a lungo senza
raffreddarsi, così anche i periodi di fidanzamento do-
vranno essere contenuti nei limiti normali, se non si vuole
che vadano a male.

22-Cu’ si pungi nesci fora.


Chi non riesce a resistere alle pressioni degli altri è
bell’e spacciato.

23-Tuttu ‘u mundu è paisi.


Il mondo, anche se vario, è in fondo in fondo sempre il
medesimo dappertutto.

24-I dìjta da’ manu


non su’ tutti uguali.
L’uguaglianza è una chimera. Ogni uomo ha nel mon-
do il posto che gli compete e una propria marcata perso-
nalità. Ricchi e poveri, patrizi e plebei, dotti e ignoranti
popolano da sempre il nostro pianeta.

25-Ti vannu i scarpi stritti.


Si rivolge a colui il quale noi siamo riusciti a mettere in
soggezione.

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26-Parola ditta è corpu minàtu.
27-Ogni promessa è debitu.
Chi avrà fatto una promessa è tenuto più che mai a
mantenerla, in quanto con essa ha contratto un debito.

28-Omu avvisàtu
è menzu sarvàtu.
L’uomo messo in guardia è salvo già per metà. Dopo
l’avviso starà sempre sul chi vive e non potrà mai, quindi,
venire colto alla sprovvista.

29-‘mbasciaturi non porta pena.


L’ambasciatore, pur essendo latore di notizie sgradite,
è sacro e va rispettato, in quanto non ha alcuna colpa per
quello che deve riferire.

30-I morti ch’i morti


e i vivi ch’i ricotti.
Le persone decedute, una volta che sono pervenute
nell’aldilà, sono bell’e dimenticate e chi resta conoscerà
bene il modo di scordarsele.

31-‘u primu chi si leva cumànda.


In tempi di anarchia e di apatia, il primo a svegliarsi è
subito pronto a prendere il comando.

32-Cu’ servi du’ patruni


‘n pagghiàru mori.
Chi serve due padroni, è destinato a finire miseramen-
te. Non avendo potuto servirli adeguatamente entrambi,
non potrà aspettarsi alcuna riconoscenza da parte di nes-
suno dei due.

33-Cu’ cumanda non suda.


Chi comanda non suda. Saranno invece i suoi sottopo-
sti, che s’incaricheranno di sudare per lui.

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34-Cu’ arma sconza.
Chi impianta una qualsiasi azienda rompe le uova nel
paniere a coloro che già da tempo operano in quel deter-
minato settore.

35-Munti cu’ munti non s’arrivanu, ma frunti cu’ frunti sì.


Se i monti non potranno mai raggiungersi e unirsi, gli
uomini avranno sempre l’occasione di ritrovarsi faccia a
faccia. Per quanto grande possa riuscire, il mondo si rive-
la sempre più piccolo.

36-Ogni aru cu’ so’ paru.


Ogni uomo deve ricercare la compagnia di quelli che,
per varie cause, gli somigliano.

37-Megghiu sulu ca mali accumpagnatu.


Piuttosto che godere di una cattiva compagnia, è prefe-
ribile rimanersene soli.

38-Cu’ tanta cumpagnia e cu’ dormi sula.


Amara riflessione della zitella.

39-Cchiù pocu simu e tantu megghiu stamu.


In meno si è, meglio ci si ritrova.

40-Pràtica ch’i megghiu ‘i tia e pàganci i spisi.


È preferibile ricercare la compagnia di gente che ci è
superiore per vari motivi, anche se ciò dovrà costarci pa-
recchio.

41-Ognunu sapi i cazzi soi.


Ogni uomo conosce a menadito i propri casi e le pro-
prie necessità.

42-Amaru a cu’ mori.


Chi fa la fine peggiore è sempre colui che muore. I re-
stanti, gli eredi, che sembra da un momento all’altro deb-

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bano schiattare dall’afflizione, trascorso appena il rituale
periodo di lutto stretto, faranno presto a consolarsi.

43-Cornutu e vastuniàtu.
Oltre il danno anche le beffe.

44-O’ tempu du’ dilluviu


tutti i strunza nàtanu.
A tempo di diluvio tutte le minuzie vengono a galla e
in tempi di disordine e di disorganizzazione tutti, anche
gli esseri più insignificanti, cercano di emergere e di con-
quistare le prime posizioni in società.

45-‘na nuci nd’a ‘nu saccu no’ scrusci.


Una sola noce in un sacco non produce rumore. Così è
anche per ogni manifestazione. Infatti, occorre essere im
parecchi per far pesare la bilancia dalla nostra parte.

46-Sup’o mortu
si canta ‘u misereri.
Si discute su di un fatto solamente dopo che lo si sarà
conosciuto nella sua interezza e non prima.

47-Ogni nasu a so’ facci meri.


Il naso di ogni persona è proporzionato al resto del vi-
so. Nel mondo tutto è relativo.

48-Cchiù nd’ammazzu e cchiù nd’i vidu


Le persone insignificanti e che cercano di alzare la cre-
sta sono come le pulci. Più se ne ammazzano e più ne
spuntano fuori.

49-Pari ca ndi canuscìmu a’ fera vecchia.


Si dice a colui che guardiamo dall’alto in basso o a chi
vogliamo far credere di non riconoscere.

50-Acqua passata non màcina mulinu.

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Le cose passate non contano più.

51-Petra disprezzata è cantunèra ‘i muru.


Sovente, le cose o gli uomini, che noi sottovalutiamo,
alla resa dei conti si rivelano migliori degli altri.

52-Scupa nova faci scrùsciu.


È sempre la prima impressione quella che conta. Dal
modo di presentarci dipenderà il nostro successo nella vi-
ta. Chi occupa un nuovo posto porta sempre innovazioni
per farsi notare.

53-‘mpàrati ‘ngrata se vo’ èssiri amata.


La bontà è una virtù da scartare. Se si vuole essere ri-
spettati e amati occorre imparare a comportarsi da ingrati.

54-Cu’ no’ rrìzzica no’ rrùzzica.


Il rischio è in ogni azione.

55-Supa o’ bruschiàtu non pìgghia focu.


Gli errori non sono mai ripetibili. Chi avrà avuto una
brutta esperienza, non sarà tentato di rifarla.

56-Se no’ lungi non mangi.


57-Se n’a lungi ‘a barca non vara.
Si ottengono favori solo elargendo doni.

58-Nuju dici:
- Làvati ‘ a facci ca si’ megghiu ‘i mia.
La semplicità e un’esatta misura di se stessi a questo
mondo non esistono. Nessuno vuol riconoscere la propria
pochezza di fronte agli altri.

59-Cu’ non si gratta ‘a testa ch’i so’ mani


non ci passa mai la mangiasùmi.

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A chi non si gratta la testa con le proprie mani il pruri-
to non passerà mai. Ognuno deve badare ai propri casi
personalmente se vuole che riescano bene.

60-Se d’è vera nivi cogghi sula.


La vera neve cade da sola. Le cose buone maturano da
sole.

61-A occhi visti nci vonnu provi?


Di fronte all’evidenza le prove sono inutili.

62-nd’avi ad èssiri di patta la pignata


‘mu veni la minestra sapurita.
Perché la minestra risulti saporita occorre che la pento-
la sia di creta. Ottiene buone affermazioni solo chi possie-
de le doti necessarie.

63-Ciàngiri ‘n omu mortu sunnu lacrimi persi.


Piangere un morto è fatica sprecata, come pure dispe-
rarsi per una cosa che ci è stata rubata.

64-Cu’ currìja tanti lepri non pìgghia a nuju.


Chi insegue tante mète non riesce a conseguirne alcu-
na. Il cacciatore, che si mette sulle piste di tante lepri, non
ne piglierà neanche una.

65-Ognunu tira l’acqua o’ so’ mulinu.


66-Ognunu pensa pe’ santu soi.
Ognuno fa i propri interessi.

67-Vidi moju e zzappa fundu.


Chi trova il terreno favorevole ne approfitta per con-
durre fino in fondo le sue imprese.

68-Cu’ mali fa mali ricìvi.


Chi commette cattive azioni, se ne dovrà attendere del
pari anche lui.

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69-Quandu a mai Riggiu vindìu ranu!
A Reggio non si è mai prodotto grano. Si dice ciò
quando ci accadono cose impensate o quando vediamo
che altri fanno azioni, di cui non li abbiamo mai creduto
capaci.

70-Fatti ‘i sira testimoni i stij.


Di notte soltanto le stelle sono testimoni di quanto fac-
ciamo nel bene o nel male.

71-Se non chiovi zaghalìja.


Chiunque è messo a dirigere una qualche azienda o en-
tra in un posto qualsiasi, se proprio non ne uscirà ricco,
qualcosa riuscirà a sgraffignarla. Se proprio non piove, al-
cune gocce cadranno.

72-Tenìri pe’ cannàta ‘i pisciàri.


Tenere una persona come un vaso da notte, cioè in nes-
sun conto.

73-Ogni dottu perdi ‘a so’ virtù.


Tutti possiamo sbagliare, anche le persone ritenute più
esperte.

74-Sapi cchiù ‘u pacciu ‘n casa sua


c’o saviu ‘n casa d’atri.
Ognuno conosce i fatti propri. Nessuno può sapere più
dei padroni di casa quanto in questa vi si trovi.

75-Mangia Janni ca du’ toi mangi.


Mangia Giovanni chè stai mangiando del tuo. Si dice
quando un tizio, che crede di aver fatto bottino delle cose
altrui, sta invece dilapidando le proprie.

76-‘u fattu è fattu e ‘a casa è china ‘i sennu.


Dopo che il fatto sarà avvenuto, tutti sapranno sugge-
rire questo o quel provvedimento.

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77-Tuttu ‘u porcu faci pe’ ttia.
L’egoista pretende di trattenere tutto per sé.

78-Nesci ardìca
e trasi sambùcu.
Si buttano le ortiche per prendere il sambùco. Si ab-
bandona cioè un amico, che è un poco di buono, per allac-
ciare amicizia con un altro che si rivelerà ancora peggiore
di lui.

79-Comu vèninu i patannostri, i calàmu.


Le cose si affrontano così come si presentano.

80-Mussu chiusu non caca musca.


Chi non mette avanti le proprie ragioni, non potrà mai
essere agevolato.

81-Tantu vaci ‘a cortàra all’acqua chi si rrumpi.


Tanto s’insiste in una determinata azione fino a che
tutto viene scoperto. Oppure, tanto va la gatta al lardo che
ci lascia lo zampino.

82-Spiàndu spiàndu si ‘rriva a Roma.


È chiedendo continuamente notizie a questo e a quello
che si potranno raggiungere anche le mète più lontane e
difficili.

83-A undi non si’ ‘mbitàtu


non jri ca si’ cacciàtu.
Il comune galateo prescrive di non andare in posti do-
ve non si è stati invitati perché si potrebbe fare una ben
magra figura.

84-Chiju chi vidi menzu cridi,


chiju chi senti non cridìri nenti.
Di quello che vedi pensa di aver visto solo la metà, di
quanto ti dicono non credere nulla.

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85-O tu chi non hai chi fari, rifùndiri mi voi.
Si dice a un tizio che dovrebbe operare in un certo sen-
so, ma approfitta di chi già è impegnato a farlo.

86-Calabrisi e muli non pìscianu suli.


I Calabresi in certe azioni amano avere compagnia e,
quando debbono orinare, agiscono come i muli.

87-‘ncarta frusciu e veni primèra;


Voci del gioco della scopa. Come dire che, girala come
la vuoi, siamo sempre allo stesso stato o sempre al punto
di partenza.

88- Sunnu n’igghiu e n’agghiu.


Non c’è alcuna differenza tra due persone o due cose
che si mettono a confronto.

89-Èssiri facci ‘i muru.


Avere la faccia tosta.

90-A vucca chiusa non càcanu muschi.


La persona che sa tacere non ha timore d’imbattersi in
guai.

91-Cu’ nd’avi pietà di’ carni ‘ill’àutri,


‘a soi s’a mangianu i cani.
Non si deve aver pietà del prossimo se non si vuole fa-
re una brutta fine.

92-Cu’ lìttara manda lìttara vidi.


Se si vuole ottenere qualcosa di sostanziale, bisogna
agire in prima persona. Alla lettera si risponde con la let-
tera, cioè conseguendo scarsi risultati.

93-Dundi vaju e dundi vegnu, sempri ccà mi mantègnu.


Donde vado e donde vengo, resto sempre nello stesso
posto o con la stessa idea.

93
94-Fari du’ parti ‘n cummèddia.
Agire doppiamente.

95-‘i ‘na ricchi nci trasi e ‘i ‘n’atra nci nesci.


È di chi proprio non vuol sentire;
anche ‘i sta ricchi non senti.

96-I paròli non jnchinu panza.


Per stare bene nella vita occorrono fatti e non soltanto
parole.

97-Jettàri ‘u cincu.
Rubare. Il numero cinque si riferisce ad allungare la
mano per prendere.

98-Iettàri ‘na cantunèra ‘i muru.


Spararla grossa.

99-Caminàri ch’i pedi ‘i chiùmbu.


Procedere con circospezione.

100-Jocàri ‘i cuda.
Giocare di coda. Uguale che defilarsi o agire con sotter-
fugio.

101-Èssiri ‘na vota di’ pedi e ‘na vota da’ testa.


Non agire sempre rettamente. Tergiversare.

102-Niru cu’ niru no’ tingi.


Due persone poco rette s’intendono a vicenda.

103-No’ fari ‘u passu cchiù longu da’ gamba.


Non esagerare nelle tue intraprese. Agisci con buona
misura.

104-Trovàri ‘a furma pe’ so’ scarpi.


Incappare in uno che ti metterà a posto.

94
105-Ancora ti puzza ‘a vucca ‘i latti.
Si dice all’indirizzo di chi si erge sugli altri specie se si
tratta di persona minore di età.

106-‘u grassu nci ‘rrivàu o’ cori.


È quello che a un certo punto capita al mangione o
all’accaparratore.

107-Cu’ vaci cu’ zzoppu zoppìja.


Chi va con lo zoppo, alla fine lo imiterà. Il tutto è este-
so, naturalmente, ai comportamenti dell’uomo.

108-Cu’ dormi no’ pìgghia pisci.


Chi trascura d’intervenire, non può produrre alcunchè
di buono.

109-Vèstiti pistùni ca pari barùni.


Per fare la tua figura dovrai vestirti in modo degno da
farti notare e quindi apprezzare.

110-Sunnu i tri da’ chiazza:


Petru, Paulu e Barbazza.
Sono i soliti tre vagabondi che agiscono sempre tutti
assieme.

111-Sunnu i tri da’ chiazza:


trivulu, malanova e scuntentizza.
Vale come sopra.

112-Ciccu, Cola e ‘u so’ garzuni.


Vale come sopra.

113-Cric e croc e mànicu d’ancìnu.


Vale come sopra.

114-Cola, fra Cola e‘ u so’ priuri.


Praticamente, la medesima persona.

95
115-Si dici ‘u peccatu, ma no’ ‘u peccaturi.
Quando si raccontano degli avvenimenti, è bene fer-
marsi ai fatti e non rivelare i protagonisti degli stessi.

116-Fìmmini ch’i fìmmini e màsculi ch’i màsculi.


Nei tempi in cui vigeva la rigida regola ch’era buona
norma che le donne stessero separate dai maschi, quando
avveniva che a essa si facesse eccezione, c’era sempre
qualcuno che, anche celiando, ricordava di evitare una
mescolanza di sessi. Quindi: le donne con le donne e gli
uomini con gli uomini.

STUPIDITÀ UMANA

1-Unu nc’era: ‘u scacciàu ‘a hjocca oppure


n’atru nc’era comu a tia: ‘u scacciàu ‘a hjocca!
Uno c’era simile a te: l’ha schiacciato la chioccia. Cioè,
vali poco.

2-Chi gapparìa chi fici Gianni Leu,


ch’era ‘i cinquantanni e caminàu.
Oh, che prodezza che ha compiuto mai Gianni Leo, che
a cinquantanni è riuscito a muovere i primi passi!

3-Sciarrijàri po’ fìcatu du’ guardiànu.


Litigare per il fegato del guardiano, cioè per nulla.

4-Si tagghia i cugghiùni pe’ dispettu da’ mugghieri.


Si dice che si recide i testicoli per far dispetto alla mo-
glie di colui, che, pur di recare danno a qualcuno, non te-
me di danneggiarsi implicitamente a sua volta.

5-‘U cazzùni pecchì è cazzùni?


Pecchì nci pari ca sapi.
Lo stupido è tale perché presume di non esserlo.

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6-Chiavi ‘n cinta e Martinu dintra.
Come dire: chiudere a chiave la porta di casa e lasciarci
serrato dentro il ladro.

7-Fari ‘u scemu pe’ non jri a’ guerra.


8-Fari ‘u stùpitu nd’o lenzolu.
Fare la parte del finto tonto, ma avere in serbo fini re-
conditi.

9-I matti fannu i fatti.


Gli spavaldi gridano ai quattro venti le loro presunte
imprese, ma sono solo i timidi che spesso compiono, si-
lenziosamente e senza che nessuno ne sia partecipe, le più
incredibili azioni.

10-Cu’ nd’avi ‘a comodità e non s’a pìgghia


non c’è cumpessuri mu l’assorbi.
Chi ne ha le comodità e non se ne serve non potrà mai
essere scusato. Nessun confessore si sentirebbe in dovere
di assolverlo.

11-Cu’ dassa ‘a vecchia p’a nova cchiù brutta ‘a trova.


12-Cu’ dassa ‘a strata vecchia p’a nova
sapi chiju chi dassa, ma no’ chiju chi trova.
L’uomo semplice e avveduto si contenta di quel poco
che possiede. Chi gli assicura che, con un cambiamento,
rimarrebbe nelle medesime condizioni, in cui si trova o
non piuttosto verrebbe a trovarsi in più cattive acque?

13-Se Cola nd’avìa cacàtu non morìa buttàtu.


Il senno di poi non conta un bel niente. Verità lapalis-
siana: se Cola avesse defecato, non sarebbe morto per non
averlo fatto.

14-Cu’ dijùna pe’ non avìri pani


e cu’ dijùna pe’ divozzioni.

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In questo mondo c’è chi digiuna per non aver di che
mangiare, ma vi è pure chi, stoltamente, lo fa soltanto per
voto.

15-‘a testa chi non penza è di cucùzza.


Lo scervellato ha la testa vuota come la zucca.

16-L’occhiu stessu vali ‘a pisci.


17-L’occhiu stessu voli ‘a parti.
Basta un colpo d’occhio a farsi un’idea precisa di una
certa cosa. Non sono sufficienti le belle maniere, come af-
ferma l’altro detto, ma occorre anche la bellezza, perché
l’occhio pretende la sua parte.

18-Mina ‘o porcu e ‘cchiappa o’ porcàru.


Lo sventato, il disattento, il maldestro prende di mira
una persona, ma sbaglia e ne acchiappa, invece, un’altra.

19-A‘ squagghiata d’a nivi.


Quando la neve si scioglierà.
20-Comu sciuculìja.
Quando il terreno bagnato si prosciugherà.
21-Jornu ‘i mai du’ misi ‘i poi.
Giorno di mai del mese di poi.
22-Quandu chiovi e non faci falàcchi.
Quando piove e non produce fango.
Cioè mai.

23-Chi ‘mbischi? Trippi e lattàri?


Lo stolto unisce indifferentemente cose tra di loro op-
poste.

24-Pìgghia i mundìzzi da’ to’ casa e tràsili intra.


Si dice ciò a chi si autodenigra.

25-O zzumpu o lupu o pedi ‘i castagnàru.


O un lupo o un ciocco.

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26-Zzittu zzittu a menz’a chiazza.
Si dice di colui che, mentre confida ad altri dei fatti che
vuole tenere nascosti, si fa stupidamente sentire.

27-È unu chi non canusci patrùni.


È un irriconoscente.

28-Conzàtu pe’ festi e pe’ lavuranti.


È conciato proprio male. Rimane tale sia nei giorni fe-
stivi che in quelli feriali.

29-Vidisti ‘a vigilia
e ora vai spettandu ‘a festa!
Non ti è bastato quanto ti è capitato. Vorresti ancora il
resto?

30-‘u voi nci ‘ci cornutu o’ sceccu.


Chi è veramente cornuto, rivolge questo epiteto a chi
realmente le corna non ce l’ha.

31-‘u porcu è a’ muntagna


e l’acqua gugghi.
Ancora il porco deve partire per la sua destinazione e il
frettoloso ha già messo l’acqua per cuocerlo.

32-Cu’ parra sulu è pacciu.


Chi per strada colloquia con se stesso si qualifica un
pazzo.

33-I pacci non sunnu tutti o’ manicòmiu.


I pazzi non si trovano tutti ricoverati in manicomio.
Spesso è dato avvistarne anche nel mondo dei cosiddetti
savi.

34-Pignatéju ‘i primu gùgghiu.


È proprio di chi assume iniziative assai frettolosamen-
te. Col suo comportamento ottiene scarsi risultati.

99
35-Si cangiàu l’occhi p’a cuda.
Si dice di chi, pur di ottenere una cosa appariscente,
ma insignificante, dà via una cosa di valore, anche se me-
no vistosa.

36-Vegnu d’u mortu e m’ici ch’è vivu.


Torno dalla casa del defunto e un tizio, senza essere al
corrente del fatto, sostiene imperterrito il contrario. Così
afferma colui al quale si oppongono eventi mai occorsi o
particolari situazioni del tutto inesistenti.

37-È cchiù vecchiu d’u Bambinu ‘i Mulòhj.


Frase con cui si risponde a chi racconta un evento che
ha fatto ormai il suo tempo proponendolo per attuale. Si
dice anche a chi pretende di essere ancora giovane. Il tutto
deriva da un Bambino Gesù che si trova o si trovava nella
chiesa di Molochio o perché antico o a motivo di fattezze
che lo invecchiavano.

38-Tenìri i telaj.
Tenere i telai a qualcuno sta a significare occuparsi de-
gli affari degli altri.

RASSEGNAZIONE

1-Ognunu si ciangi a Pauléju soi.


Ognuno pensa ai casi suoi e si affligge solo per essi.

2-Cchiù scuru da’ menzanotti


non poti venìri.
Più buio della mezzanotte non esiste. Non potrà mai
capitarci il peggio del peggio.

3-Ognunu si gratta ‘a testa ch’i so’ mani.


Ognuno provvede a sé con i mezzi propri.

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4-nd’avìmu cchiù jorna ca satìzzi.
Per completare certi lavori oppure per prendere certi
provvedimenti non è il caso di affrettarsi perché davanti a
noi vi sono più giorni che salsicce.

5-Videndu e facendu!
Agiamo in conformità a come si presentano le cose.

6-Cu’ bellu voli parìri


peni e guai nd’avi e suffrìri.
Chi vuole apparire bello, deve necessariamente sop-
portare pene e guai. Come dire, in paradiso non si va in
carrozza.

7-Fidi ti sarba e no’ lignu di barca.


In certi perigliosi frangenti si è salvi più per fede che
per altri mezzi.

8-‘A megghiu morti è ‘a subitània.


La morte più desiderabile è quella che ci coglie
all’improvviso.

9-‘A vecchiaja è ‘na carogna.


La vecchiaia è brutta a trascorrere.

10-Zzitejuzza sedi sedi


ca la sorta megghiu veni.
Non bisogna mai avere fretta nelle scelte.

11-Ciàngiri ‘n’omu mortu su’ lacrimi persi.


È vano rimpiangere il passato.

12-Cornùtu cu’ ‘nu cornu,


cornùtu cu’ centu.
Si è cornuti sia per una volta che per cento. Una volta
che si è tacciati per una cattiva azione, ma redditizia, tan-
to vale non preoccuparsene in altre occasioni.

101
13-A mmenzu all’atri, pòviru patri.
Tra tante disgrazie, una più una meno fa lo stesso.

14-Cchiù niru (anche scuru) da’ menzanotti


non poti venìri.
Quando un uomo è inguaiato fino all’osso del collo,
non teme di cacciarsi in altri guai. Tanto - dice - più in-
guaiato di così!

15-Cu’ di speranza campa disperatu mori.


Chi vive nutrendosi solo di chimeriche speranze, è de-
stinato a finire nella più nera disperazione.

16-Fari comu l’antichi


chi si pigghiàru ‘u culu a manàti.
Non si può spingere un muro più in là di quanto è
umanamente possibile. Quando si è alle corde, occorre
darsi una buona dose di rassegnazione.

17-‘mbàsciati hjuncu
c’a hjumàra passa.
Il rassegnato accetta supinamente ogni cosa. Quando
l’acqua del fiume gli è ormai sopra, il giunco, adattatosi
alla situazione, si lascia travolgere con facilità, ma è sicuro
che, una volta passata la tempesta, tutto tornerà come
prima.

18-O ti mangi ‘sta minestra


o ti jetti da’ finestra.
A cose finite o si accetta il fatto compiuto o si può fare
soltanto un gesto disperato.

19-A’ vecchiaia cazètti russi.


Chi non si è saputo divertire in gioventù, è inutile che
cerchi di rifarsi quando sarà vecchio. A parte il fatto che le
forze fisiche non glielo consentirebbero, cadrebbe sicura-
mente nel ridicolo.

102
20-Pacenzia nci voli a li burraschi.
Nei momenti difficili occorre avere molta pazienza
perché col tempo tutto si aggiusterà per il meglio.

21-Cu’ nd’avi i guai s’i ciangi.


Chi ha dei guai, e chi non ne ha in questo mondo, si
rassegni a piangerseli da solo. Gli altri se ne impipano di
chi soffre.

22-Quandu jeu ‘mbecchiài


tuttu ‘u mundu ‘mputtanìu.
Al vecchio il mondo offre un nuovo volto e appare
sempre più diverso da come l’aveva visto da giovane.
L’esperienza acquisita in tanti anni gli fa comprendere
come abbia fatto male a non approfittare delle tante situa-
zioni favorevoli occorsegli.
Oppure, l’uomo s’accorge solo quando invecchia che il
mondo ha camminato parecchio e che nuove situazioni
favorevoli sono maturate solo ora che non ha più i denti a
posto.

23-P’o mari non c’è taverna.


Non v’è alcun riparo per difendersi dal mare. Chi vi
cade dentro non ha la minima speranza di salvarsi.

24-Quandu ‘u piru è matùru cadi sulu.


Quando sarà venuta l’ora, ogni evento maturerà e non
prima.

25-Cu’ chistu cappèju chi nd’aiu vi salutu.


A questo mondo si agisce secondo capacità e secondo
possanza.

26-Cu’ bella voli parìri


peni e guai nd’avi e patìri.
Chi vuol sembrare bella a ogni costo, deve pur soppor-
tare pene e guai.

103
27-Si dìssiru li missi a Palermìti,
non si ndi dinnu cchiù missi cantati;
o anche:
Pe’ ttia cantàu lu cuccu.
È ormai perduta ogni speranza.

28-Pacenzia, corpu meu, mangiasti: paga!


Chi avrà commesso un certo fallo dovrà sottostare a
tutte le conseguenze.

29-Cu’ prima non penza dopu suspira.


Chi non è previggente, dopo se ne pentirà amaramente
e inutilmente.

30-Cu’ voli anda,


cu’ no cumanda.
Chi vuole una cosa, deve procurarsela da sé.

31-Cchiù intra jamu


e cchiù pisci pigghiamu.
Man mano che ci si addentra in una faccenda ci si ac-
corge che le cose non sono proprio come noi le abbiamo
immaginato.

32-Amaru a cu’ stavi a’ speranza ‘ill’àutri.


È da compiangere colui che confida nel soccorso degli
altri.

33-A secundu lu ventu menti la vila.


Conviene comportarsi secondo l’andazzo delle cose e
drizzare la vela verso la parte dove spira il vento.

34-Pili e guai non mancanu mai.


A questo mondo peli e guai sono sempre presenti.

35-Ogni principiu è forti.


Ogni inizio è difficile.

104
36-Ogni ficatèju ‘i musca è sustanza.
Sono utili anche le piccole cose come il fegatello della
mosca.

37-Si futti ‘a banda e cu’ ‘a sona.


Quanto tutto è perduto, vada a fottersi sia la banda che
il maestro.

38-‘a raggiùni è di’ fissa.


Fare contento e gabbato. Non basta dar ragione a paro-
le, bisogna farlo sostanzialmente.

39-Atru è parràri ‘i morti,


atru è morìri.
C’è una bella differenza tra il parlare della morte e la
morte. Quanto tutto sembra perduto, c’è sempre qualcosa
a cui appigliarsi.

40-A undi tocchi tocchi ‘u mari è salatu.


A un certo momento non sai più a quale santo votarti o
quale rimedio prendere.

41-Si menti ‘a cuda nd’e cosci.


Rassegnarsi o venire a buoni consigli.

42-Cu’ si cuntenta godi.


Chi si accontenta del poco, rimane comunque soddi-
sfatto.

43-È bonu quandu ‘na cosa si cunta.


È sempre bene quando un fatto si racconta. Vuol dire
che chi è stato in pericolo di vita è riuscito alla fine a so-
pravvivere.

44-‘u ferru s’avi e battìri fin’a ch’è caddu.


Non bisogna arrendersi subito, ma insistere senza so-
sta in una intrapresa.

105
45-Quandu veni ‘u tempu ‘u godi o crepi o mori.
A questo mondo non c’è felicità. Quando credi di es-
serci pervenuto dopo tante traversìe, è proprio allora ch’è
arrivata la tua fine.

46-Perdìu a Ciccu cu’ tuttu ‘u panàru.


Ha perso Cecco con tutto il paniere, cioè ha ormai per-
so tutto.

47-Finìru li frischi e li frischiàti


e puru li bongiorni e li saluti.
Ormai non c’è più niente da fare! Sono bell’e terminati
sia i fischi che le fischiate. Quindi, tutto è passato e non ne
hai saputo approfittare, adesso arrànciati. Non più feste e
cerimoniosi approcci dato che non si è più in grado di
contraccambiare.

48-No ‘nc’è cchiù nenti pe’ gatti.


Sulla stessa falsariga della precedente. Ma anche nel
senso che ci si è approfittato di tutto e non si è lasciata agli
altri neanche una briciola.

49-Strata longa no’ rrumpi carru.


Spesso la strada più agevole si offre quella più lunga.
A volta la più corta riesce impraticabile e, tirando le
somme, val meglio perdere più tempo che uscire con
danno. Lo stesso si verifica nella vita, dove le scorciatoie
non portano ad alcunchè di buono.

50-Quandu unu nd’avi e morìri,


‘u ‘mpìttanu puru i lenzola.
Non c’è niente da fare! Alla morte, purtroppo, non si
può sfuggire. Quando arriverà l’ora, perfino le lenzuola
riusciranno a schiacciare sotto il loro peso una persona.

106
TIMORI E APPRENSIONI

1-O’ peju non c’è fini.


Il peggio deve sempre arrivare.

2-Èssiri cchiù pe’ jà ca pe’ cca.


Trovarsi in punto di morte.

3-‘A mala nominata


‘a porta ‘u ventu (o a malanova).
La brutta nomèa si divulga presto, così anche le cattive
notizie.

4-Quandu si mangia non si parra


ca si cuntratta c’a morti.
A tavola non fa d’uopo parlare, altrimenti si corre il ri-
schio di soffocare per qualche boccone andato di traverso.

5-Cca occhi sì e lacrimi dundi!


Espressione di meraviglia quando ci viene imputato
qualcosa che non ci concerne.

6-Sunnu i setti e Ninu non veni,


cosa giusta pe’ Ninu non è!
Quando in una famiglia un componente tarda a rinca-
sare, si corre subito a pensare che gli possa essere accadu-
ta qualche disgrazia.

7-Anni non passàri,


jorna e misi non cuntàri.
Quando si sta in attesa, i giorni e i mesi volano, sono
gli anni che non si decidono a passare.

8-Fin’a chi nd’avìmu mani e pedi,


non sapìmu chiju chi ndi veni.

107
Finchè esistiamo tutto potrà capitarci, anche le cose più
impensate.

9-Avìri ‘a cuda ‘i pagghia.


Il colpevole sente che prima o poi sarà scoperto. È na-
turale. Si sente in difetto.

10-‘a cuda è dura a scorciàri.


Il più difficile a superarsi è proprio verso la fine di ogni
azione.

11-Èssiri ch’i pedi a’ fossa.


Essere con i piedi nella fossa equivale a stare proprio
male e sul punto di morire.

12-Nci vonnu trenta Bagnaroti pemm‘u ciànginu.


Ci vogliono trenta prefiche di Bagnara per piangere un
tale che forse in vita ha ben meritato, ma nel caso potreb-
be trattarsi anche di una indicazione di tipo ironico.

13-Pe’ lignu non mi minàu.


Era così adirato che, se avesse avuto tra le mani un
pezzo di legno, me le avrebbe suonate. Si dice di uno esa-
geratamente, ma non giustamente, incollerito.

14-I morti superàru ‘e vivi.


È accaduto proprio quello che non ci si aspettava.

15-Quandu si dici ‘na cosa, se non è tutta, è menza.


Quando si racconta di un evento impensabile e a prima
vista impossibile a verificarsi, soprattutto per la posizione
sociale dei protagonisti, se non è tutto realtà, almeno per
metà lo sarà.

108
FORTUNA E SFORTUNA

1-Èssiri ‘n terra cu’ tutti i roti.


Stare proprio male. Avere tutte le ruote a terra.

2-‘mbuschi cchiù tu ca n’orbu.


Si dice così di gente che ci sa fare e arraffa da tutte le
parti.

3-No’ jeu affrìttu no’ tu cunzulàtu.


L’infelice non vuole che gli altri godano.

4-Stari comu l’ovu o’ focu.


Stare comodo.

5-Aria e tuppè:
sordi non ci nn’è.
Boria e tuppè (crocchia=capelli annodati sul capo), ma
soldi proprio non ce ne stanno. È tutto fumo e niente ar-
rosto.

6-Morti e patrùni
non spiàri quandu veni.
Non ti chiedere mai quando arrivano la morte o il pa-
drone. Essi giungono quando meno te l’aspetti.

7-Di’ dòmiti cacciàu i serbaggi.


Dalle cose tenere si possono ricavare anche cose selva-
tiche. Cioè, anche persone mansuete possono avere in
serbo grossi difetti, come la cattiveria.

8-Guarda chi mi portàu la me’ sorta ‘nfama:


la serba ‘mu cumanda la patrùna.
Alti e bassi della vita. A un certo momento le situazio-
ni si possono benissimo capovolgere. La serva diventa
padrona e viceversa.

109
9-Non nescìu di latu da’ hjocca
Non è nato fortunato.

10-I mappìni diventaru hhjèri


e i hhjèri diventaru mappìni.
Anche qui alti e bassi della vita.
Mappìni e hhjèri sono entrambi sinonimo di strofinaccio
da cucina, ma il secondo termine è forse pronunziato in
ambienti più alti.

11-‘U mundu votàu suttasupa.


Idem. Il mondo è andato sottosopra.

12-Quandu ‘a furtuna ti voli, a casa ‘a sapi.


La fortuna sa dove trovarti.

13-Non cadi petra ‘ill’artu


chi no’ ‘cchiappa a mia.
Così dice chi si considera totalmente sfortunato. Le
prende tutte.

14-Quandu jia ‘mu fazzu barrìtti


l’omani nescìru senza testa.
Idem. Non c’è che dire! Quando ho iniziato a confezio-
nare berretti, gli uomini sono nati senza testa

15-Crisci sambùcu e ‘ccuppa ‘a sipàla.


Quando i guai sono tanti, qualcuno alla fine vi prov-
vede. Spunta il sambùco e copre tutta la siepe.

16-Quandu nescìa jeu nescìa o’ scuru,


micciu no’ nd’avìa nd’a lumèra.
Lo sfortunato è tale dalla nascita. È nato al buio perché
al lume mancava lo stoppino.

17-Amaru a cu’ nd’avi bisognu!


Chi ha bisogno è da compiangere.

110
18-A quandu a quandu mi misi ‘mu ‘ttraju
mi catti duru lu cilìju.
19-A quandu a quandu mi misi ‘mu straju,
mi catti la cunocchia e lu cilìju.
A quando a quando mi son messo in un’impresa, il
subbio (uno dei cilindri del telaio) mi è venuto proprio
duro. Oppure: mi son caduti sia la conocchia che il sub-
bio. La fortuna ci abbandona spesso nel momento culmi-
nante e proprio quando maggiore dovrebbe essere il suo
apporto.

20-O Signuri, fu grandi lu to’ mantu,


ma, quandu fu pe’ mia, no’ ‘rrivàu.
O Signore, la Tua misericordia è stata grande per tutti,
ma non per me. Non mi è mai pervenuta.

21-L’erba chi non voi, ti crisci all’ortu


e l’omu chi vo’ mortu, è sempri vivu.
Ti va tutto storto. L’erba, che rifiuti, cresce nel tuo orto
e colui che vorresti morto rimane sempre vivo.

22-Quandu unu nd’avi ad avìri beni, o mori o peri.


Nella vita terrena non potrà esservi alcuna felicità.
Quando, dopo tante pene, saremo riusciti a farci una di-
screta posizione, arriverà inesorabilmente la morte a
scompigliare il castello di fumo che avremo eretto.

23-Cu’ nesci tundu


non poti morìri quatratu.
Ognuno ha segnato sin dalla nascita il proprio destino.
Chi è nato fortunato rimarrà sempre tale. Lo sfortunato
non potrà mai riuscire a cambiare la sua triste sorte. Il ro-
tondo non potrà mai essere squadrato.

24-Dopo du’ duci veni ‘u maru.


In tutte le cose di questo mondo alla base del dolce vi
sta l’amaro. Per quanto fortunato, l’uomo ha sempre dei

111
momenti in cui soffre per qualche pena. Assieme alle rose
ci sono anche le spine.

25-Nci voli furtuna puru o’ cacàri.


Chi è fortunato, lo è in tutto, anche nel semplice atto
della defecazione. È favorito dalla sorte tanto nelle cose
grandi quanto in quelle infinitesimali.

26-Cu’ nd’avi furtuna


‘u gaju nci faci l’ovu.
Al fortunato accadono le cose più impensate e strabi-
lianti. Perfino il gallo ha il magico potere di fargli le uova.

27-Jettu la pagghia a mari


e mi va’ ‘n fundu,
all’atri nci viju lu chiumbu ‘nzumàri.
Una pagliuzza buttata in mare da chi è scalognato va
presto a fondo, mentre un pezzo di piombo lanciato da
chi non lo è torna sempre a galla. Allo sventurato ogni co-
sa va sempre di traverso, mentre al fortunato riesce tutto
liscio.

28-La malasorti mia parzi di tandu


quandu me’ mamma
mi misi a ‘stu mundu.
Lo scalognato stima se stesso essere tale dal momento
in cui la madre l’ha messo al mondo.

29-Quandu nescìa jeu la sbenturata,


me’ mamma mi guardava e mi ciangìa,
mi levàru a’ Cresia pe’ vattijàri
e la cummari mi morìu pe’ via,
a la mammina nci pigghiàu ‘na cosa,
lu prèviti morìu di guttusia,
cadi ‘na petra di lu campanàru
a menz’a tutti ‘cchiappàu sulu a mia.

112
Quando sono nata, o me sventurata, ho avuto molti se-
gni per capire ch’ero nata tale. Tutto allora è apparso elo-
quente. Appena venuta al mondo, mia madre mi contem-
plava e piangeva. Mentre mi portavano al fonte battesi-
male la madrina è deceduta per via, la levatrice si ha avu-
to un colpo e il prete è morto per un collasso. Ma tante di-
sgrazie non sono bastate. Tutt’a un tratto si è staccata una
pietra dal campanile e, venendo giù, tra gli astanti ha col-
pito solo me.

30- ‘mbiàta chija porta


chi nesci na figghia morta.
Le figlie femmine sono terribili pesi da sopportarsi dai
genitori ed è benedetta quella porta per la quale passano i
loro resti mortali.

31-Unu nesci jù jornu chi si marita.


Il destino di una persona viene a decidersi il giorno del
matrimonio. Da quella scelta dipenderà il futuro di una
persona.

32-Quandu nascìru st’ossa sbenturati,


lu suli cu’ la luna fìciru liti
e l’aria si coprìu di nivolati.
Quando sono nate queste ossa sventurate, il sole e la
luna son venuti a lite e l’aere si è coperto di nuvoloni.
Non c’è che dire, proprio un brutto giorno!

33-‘u peju è sempri arrètu.


Dobbiamo sempre attenderci il peggio.

34-Cu’ vindi mori.


Chi si priva dei propri beni finirà alla malora.

35-Cu’ sbenturata nasci


sbenturata mori.
La sventura ci accompagna sin dalla nascita.

113
36-Cu’ perdi ‘u ccappottu e rìcupera ‘u mantu
perdi poco e non perdi tantu.
Chi, dopo aver perso un bene, ne rinviene anche una
parte, gli fa d’uopo accontentarsi.

37-Ogni tantìju è puntìju.


Ogni aiuto è sollievo.

38-Jiri cu’ culu a’ cciappa.


Impoverire. Anticamente chi falliva era condannato a
una specie di gogna, che consisteva nel rimanere seduto
su di un sasso col deretano nudo.

39-Cu’ tanta tila


e cu’ mancu ‘a cammìsa,
cu’ tanta cumpagnìa
e cu’ dormi sulu.
A questo mondo bisogna aver tanta fortuna. Chi ha
tanta tela da farne molte e chi non ne ha nemmeno per
confezionare una camicia. Chi ha tanta compagnia e chi è
costretto a dormire solo.

40-Avìri ‘a mangiatùra vascia.


Stare troppo bene e, quindi, gozzovigliare.

RICCHEZZA E POVERTÀ

1-A undi nc’è ‘u bonu stari


nc’è ‘u bonu campàri.
Dove c’è abbondanza si vive bene.

2-Unu e nenti su’ parenti.


Uno è pressochè niente.

114
3-Unu è pocu e dui su’ assai.
Se uno è poco, due sono molti.

4-‘mmuccia cumpàri ca tuttu pari.


Chi cerca di nascondere, spesso non fa che mettere in
mostra.

5-Spogghia ‘na cruci ‘u vesti ‘n’artaru.


Chi ha poca disponibilità, con poco vorrebbe fare mol-
te cose.

6-Ogni acqua caccia ‘a siti.


Ogni acqua è refrigerio. Ogni aiuto è sollievo.

7-Cu’ no nd’avi ‘nu tallu no’ mbali ‘nu callu.


Chi non possiede un pollone, evidentemente almeno
una pianta, non vale un callo, una piccola moneta di altri
tempi.

8-Quandu vidi ‘u bonu pigghiatìllu


ca ‘u malu non poti mancàri.
Quando ti perviene un dono, afferralo subito perché il
male non starà molto a farsi sentire.

9-Se ‘u villanu fussi fattu tuttu d’oru,


e’ rricchi nci restava sempri ‘u chiumbu.
Se il contadino fosse fatto tutto d’oro, ai ricchi reste-
rebbe solo il piombo.

10-Panza china fa cantari.


Quando sei ben satollo, ti vien voglia di cantare e non
nella situazione opposta.

11-Quandu ‘u rriccu non paccìja,


‘u poveru non granìja.
Se il ricco non escogita qualcosa, il povero non raggra-
nella un bel niente.

115
12-I sordi chiàmanu i sordi.
Chi è ricco è destinato sempre a impinguare i suoi ave-
ri.

13-Avìri ‘na bona minna.


Avere una buona mammella da succhiare equivale a
godere di una buona fonte di guadagno.

14-Cu’ nd’avi, faci navi,


cu’ non avi, perdi chiju chi ‘nd’avi.
Chi possiede, è in grado di costruire anche navi. Chi
non possiede, invece, è in predicato di perdere pure quel
poco che ha.
Variante: Cu’ nd’avi faci, cu’ no’ nd’avi si vindi chiju chi
nd’avi. Chi possiede è in grado di fare, chi no vende tutto
quello che ha.

15-‘u beni non cala du’ cernàru


La ricchezza non ci perviene dall’abbaino, ma è frutto
della nostra intraprendenza.

16-Amaru è ‘u nudu, ma cchiù amaru è ‘u sulu.


È sicuramente infelice colui che non ha almeno uno
straccio per coprirsi, ma lo è di più chi resta solo. La soli-
tudine si configura proprio un bel guaio.

17-Acqua di rocca e nnìcchiu di zzoppa.


Sono entrambe molto pregiati l’acqua che esce dalla
roccia e il sesso di una donna zoppa.

18-‘A fìmmina di fora


né tila né lenzola.
La donna che perviene da fuori non porta in matrimo-
nio né tela né lenzuola.

19-Quandu l’àrburi su’ vestùti


simu tutti arricogghiùti,

116
quandu l’àrburi su’ spogghiati
non simu cchiù soru e frati.
In tempo di abbondanza tutti ci ritroviamo, ma nel ca-
so contrario ognuno prende le distanze e scompare anche
la parentela tra sorelle e fratelli.

20-Se non è tutta è murca.


Se non è tutta la verità, lo è sicuramente in parte.

21-Chiovi, chiovi, chiovi, ‘a Madonna cogghi hjuri,


li cogghi pe’ Gesù e domani non chiovi cchiù.
Piove a dirotto e la Madonna si mette a cogliere fiori
per Gesù. È quindi sicuro che domani spioverà.

22-Se ‘u poveru nci ‘una o’ rriccu


‘u diavulu si sciala.
Il diavolo gode nell’osservare il povero che aiuta il ric-
co. In effetti, la cosa si qualifica un vero assurdo.

23-Famigghia minùta:
no’ sazia e no’ vestùta.
In meno si è e minore si offrirà l’aiuto della Divina
Provvidenza.

24-Lettu e focu: non ti mòviri di jocu.


Non è per nulla conveniente abbandonare posti dove
possiamo avere a buon mercato letto e fuoco.

25-Saccu vacanti no’ staci a’ dritta.


Come un sacco vuoto non può reggersi, così l’uomo ha
bisogno di aiuto per progredire nella vita.

26-Cu’ passa ‘n cavaju


non vidi tanti cosi.
27-L’orbu chi passa ‘n cavaju non vidi.
Il ricco non avrà mai la possibilità di conoscere i biso-
gni del povero.

117
28-Cu’ ‘nu scornu si campa ‘nu jornu.
È con una buona dose di faccia tosta che, a volte, ci si
può procurare quanto occorre.

29-Cchiù poco simu e cchiù megghiu stamu.


A questo mondo per stare bene bisogna essere sicura-
mente in pochi.

30-Cu’ cchiù spendi menu spendi.


Le cose buone costano di più.

31-Scala ca vindi.
Per vendere presto e bene, occorre offrire le cose a un
prezzo equo. È anche un invito a un fanfarone di raccon-
tarle meno grosse.

32-Tri sunnu i potenti: ‘u Rre, ‘u Papa e ‘u pezzenti.


Tre sono le persone potenti: il re, il papa e il pezzente.
Quest’ultimo si trova nella rosa in quanto non ha nulla da
perdere.

33-Non avi a undi càdiri e morìri.


Il poveraccio possiede solo quanto ha addosso.

34-A undi pari ca ‘u lardu spandi, mancu lu càvulu cundi.


Certe famiglie, che apparentemente appaiono vivere
nel benessere, a volte non hanno di che condire un solo
cavolo.

35-Quandu ‘u suli nesci, nesci pe’ tutti.


La Divina Provvidenza c’è per tutti. Al sole si possono
riscaldare tutti.

36-Suli, suli, nesci, nesci pe’ li pòviri piccirìj


chi non hannu chi campàri,
nesci suli pe’ caddiàri.

118
O sole, spunta per quei poveri bambini che non hanno
di che vivere e riscaldali. Il povero, che non ha fidanza in
alcun aiuto, si accontenta almeno di un raggio di sole.

37-Cu’ sparti nd’avi ‘a megghiu parti.


Chi suddivide agli altri un bene comune, riserva per sé
la parte migliore. Al contrario, chi s’intromette tra due li-
tiganti riceve la sua parte di danni.

38-Cchiù randi è ‘a navi


e cchiù pisu porta.
Più carichi si hanno e maggiori risultano le responsabi-
lità.

39-I rricchi su’ fatti e i pòvari puru.


Il ricco rimane tale e … pure il povero!

40-I sordi fannu venìri ‘a vista all’orbi.


Oh, potemza del denaro! Al suo contatto anche i ciechi
vedono!

41-I dinari su’ a’ vucca ‘i tutti


e nt’e mani ‘i nuju.
Tutti spariamo mari e monti parlando di ricchezze, ma
pochi, invero, sono quelli che le possiedono.

42-‘u primu dinaru è benidittu ‘i Ddiu.


Iddio benedice il primo denaro guadagnato onesta-
mente perché è di certo il più sudato.

43-Senza dinari non si ndi cantanu missi


e mancu morti si portanu a’ fossa.
Il denaro può tutto e senza di esso nulla è fattibile. Per-
sino i preti si rifutano di celebrare Messa o di accompa-
gnare i morti al cimitero se non vengono soddisfatti col
vile metallo.

119
44-I dinari du’ suràru
s’i mangia ‘u sciampagnùni.
I denari dell’avaro sono destinati a finire nelle mani di
uno scialacquatore. Le sostanze, che quello avrà accumu-
lato soldo dietro soldo, dall’erede saranno spese alla ma-
lora e in breve tempo.

45-Dinari ‘i stola, hjùhhja ca vola.


Il denaro rubato alla Chiesa o ai preti se ne va presto in
malora. Su di esso incombe sempre un triste fato.

46-Anima e dinàri
non si ponnu giudicari.
Sia l’anima che la ricchezza sono imperscrutabili.

47-Diu ‘mu ndi lìbbara


du’ poveru arriccutu
e du’ rriccu ‘mpoverutu.
Il povero, che si è arricchito e il ricco ch’è finito in po-
vertà, si qualificano entrambi pericolosi. Il primo, che non
aveva mai visto bene alcuno, trovandosi di colpo innalza-
to a grandi altezze, diverrà avaro, mentre il secondo, che
ricorda con nostalgìa i tempi della passata prosperità, non
sarà tanto indulgente con chi ancora è alle sue dipenden-
ze, oppure con chi gli deve qualcosa.

48-Se ‘u rriccu si spaci


o’ poveru n’o faci.
Il ricco giammai potrà arricchire il povero. Pure se si
dovesse disfare di tutte le sue sostanze, non potrebbe lo
stesso fargli mutare stato.

49-Cu’ nd’avi dinari campa filìci,


cu’ no’ campa c’amici.
Chi è ricco vive felice e chi non lo è vive alle spalle de-
gli amici.

120
50-Dundi lampa e dundi trona.
Al fortunato le provvidenze piovono sempre da tutte
le direzioni.

51-A cu’ tanta tila e a cu’ mancu ‘nu lenzolu.


Chi tanto e chi niente! Questa è l’ingiustizia del mondo
che ci siamo creati.

52-‘a cira squagghia


e ‘a prucessioni non camìna.
Se la processione resta ferma, la cera perviene a lique-
farsi. Il tempo passa, i denari volano via, ma le varie ini-
ziative non vengono mai portate a termine.

53-Occhiu non vidi e cori non doli.


Il cuore si commuove soltanto di fronte alle miserie che
può agevomente constatare.

54-I guai d’a pignàta


‘i sapi ‘a cucchiàra ch’i mìscita.
È il maggiore responsabile quello che conosce a fondo
l’andamento buono o cattivo di un’azienda, di una fami-
glia ecc.

55-‘ammi furtuna e jèttami a mari.


Il fortunato è sempre tale. Riuscirà a salvarsi anche se
dovesse cadere in mare.

56-Com’è ‘a barca si menti ‘a vila.


Nella vita quotidiana occorre agire secondo come si
presentano le situazioni.

57-O trovatura o ‘ncornatura.


Se di un ricco non si conosce la provenienza delle sue
dovizie, si dice ch’egli è tale o perché ha trovato un tesoro
o perché la moglie, che l’ha cornificato, ha ricevuto tutti
quei doni dall’amante.

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58-Cu’ nd’avi ‘mmuccia
e cu’ non avi mmostra.
Il ricco nasconde i suoi beni per timore che glieli rubi-
no. Il povero, invece, per celare la sua inopia, abbaglia gli
altri mostrando quel che in realtà non possiede.

59-Non è tutt’oru chiju chi luci.


Spesso, sotto una splendida apparenza, si cela tutto il
contrario.

60-‘u bonu pagaturi è patruni d’a burza ‘ill’àutri.


Il buon pagatore ottiene la fiducia di tutti. Può sempre
chiedere chè nessuno gli rifiuterà il suo appoggio.

61-Cu’ nd’avi mugghièri bella, sempri canta;


cu’ nd’avi dinari poco, sempri cunta.
Chi ha una bella moglie, canta sempre perché contento
di rimirarla a ogni momento. Chi ha poco denaro, lo conta
a ogni piè sospinto nel timore che glielo possano involare.

62-Se vo’ ‘mpovarìri


manda l’òmani all’anta e tu non jri.
Se vuoi finire in povertà, lascia che i tuoi sottoposti se
la sbrighino da soli nelle tue proprietà e tu stattene pure
in città a goderti la vita. Coloro si troveranno certamente a
fare i propri interessi, giammai i tuoi.

63-Stari comu o’ vermu nd’o casu


Vivere il meglio possibile e ricevere regali da tutte le
direzioni. Il verme dentro il cacio ne ha di che saziarsi!

64-Si sapi com’è ‘u mundu:


cu’ vaci pe’ supa e cu’ vaci pe’ fundu.
A questo mondo le fortune e le sfortune si rincorrono
frequentemente in un carosello continuo: il povero si ar-
ricchisce e il ricco diventa povero.
65-Quandu lu poveru sì ‘rripezza

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pari ca di novu si vestissi.
Per il povero un vestito rattoppato si qualifica un abito
di lusso.

66-Occhi chini e mani vacanti.


Il nullatenente possiede solo gli occhi per vedere quel-
lo che hanno gli altri.

67-Cu’ disprezza voli ‘u ccatta.


Chi disprezza vuol comprare.

68-‘mbuschi cchiù tu ca n’orbu.


Si dice così di gente che ci sa fare e ricava cose buone
da ogni parte.

69-No’ jeu affrittu e no’ tu cunzulatu.


L’infelice non vuole che gli altri godano.

70-Cu’ nd’avi faci,


cu’ no’ nd’avi ‘u si vindi chiju chi nd’avi.
Chi possiede è in grado di fare, chi no vende tutto
quello che fa.

71-Vaci nd’o pezzàru ‘u si ‘rripezza.


Si dice così di colui che cerca aiuto e riparo da chi ma-
gari ne ha più bisogno di lui. Cerca una pezza proprio a
chi di pezze fa collezione.

72-‘a rrobba mal’acquistata non si godi.


Le fortune acquistate con gli imbrogli o con la prepo-
tenza non saranno mai un godimento per il responsabile.

73-Dammi prima e dammi ossu.


Dammelo prima anche se si tratta di un osso. Non si sa
se dopo arriverà altra cosa sostanziosa. Quindi, lo stesso
che chi si contenta gode.
74-Tuttu ‘u mundu è frìttuli.

123
Così affermava il prete che si era ben satollato con la
carne di maiale infischiandosene di chi non l’aveva pro-
prio vista.

AVARIZIA E RISPARMIO

L’avaro è una figura che non poteva di certo sfuggire


all’arguzia popolare. Egli, con le sue caratteristiche e in-
confondibili manìe, è un personaggio veramente interes-
sante.

1-L’avaru no’ mangia pe’ nommu caca


oppure
2-L’avaru non piscia nd’a pezza
nommu perdi ‘a schiuma.
L’avaro non perde mai niente, neanche le cose comple-
tamente inutili. Lo spilorcio spesso non soddisfa i suoi bi-
sogni per evitare di essere costretto a mollare qualcosa.

3-L’avaru faci ‘u speragnu da’ cìnnari e ‘a cassàra da’ farina.


L’avaro risparmia la cenere e non si cura della farina.
Come dire: il tirchio è tale nelle piccole cose, ma è dissipa-
tore in quelle più grandi e non poco redditizie.

4-Du’ liccàrdu scippi carcòsa, ma dill’avaru nenti.


Dal goloso si può sempre ottenere qualcosa, dal tacca-
gno mai.

5-‘u culu nci rrobba ‘a cammìsa.


L’avaraccio ha sempre timore di essere derubato. Ha
persino paura che il proprio deretano gli possa fregare la
camicia.

6-Cu’ no’ ccatta e no’ vindi

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no’ schiana e no’ scindi.
Chi non conosce il rischio di commerciare le proprie
sostanze, rimane sempre nel medesimo stato. Non au-
menta il suo avere né lo diminuisce.

7- ‘u cacciàu cu’ ‘na manu davanti e n’atra darrètu.


Si dice che è stato liquidato con una mano davanti e
l’altra dietro di chi, invece di essere ricompensato e dotato
per come meriterebbe, viene licenziato senza guiderdone
alcuno.

8-‘na cosa ch’è mangiata è cacàta.


Non si devono avere preoccupazioni a regalare cose
che si mangiano, tanto domani non ci saranno più, in
quanto bell’e defecate. Tali ci riusciranno più utili se ne
faremo dei doni. Serviranno perlomeno ad accattivarci le
simpatie degli amici.

9-A rrovina no’ nci voli speragnu.


Quando si perviene a rovina, è vano cercare di rispar-
miare, tanto più danneggiati di così!

10-Cu’ speragna nd’avi, cu’ ‘mmuccia trova.


Chi risparmia prima, si troverà dopo un bel gruzzolo.
Chi nasconde prima rinvenirà dopo.

11-‘a tina si speragna quandu è china,


ca quandu ‘u fundu pari
non c’è cchiù chi riparari.
Si risparmia quando si sta bene perché quando si è ro-
vinati non c’è più di che risparmiare.

12-Du’ caru accatta e du’ mercatu penza.


Compra da chi vende a caro prezzo e rifletti bene pri-
ma di acquistare a prezzi modesti. Le cose di valore han-
no necessariamente sempre un costo più alto.
13-Cu’ non paga ‘u mastru

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paga ‘u mastru e u’ mastricchiu.
Chi, allo scopo di risparmiare, non chiama una persona
competente per fargli dirigere i lavori, ma si affida a un
mastrucolo, sarà costretto a spendere molto di più. Difatti,
dovrà pagare prima il mastrucolo e poi anche il mastro.
Quest’ultimo dovrà riparare gli errori che ha commesso
l’altro.

14-Cu’ paga oj è francu domani.


Chi paga oggi non sarà debitore domani.

15-Cu’ manìja non penìja


e no’ mori disijàndu.
Chi copre posti importanti, non soffre e non muore col
desiderio, perché riesce sempre a sgraffignare qualcosa.

16-Cu’ presta ‘rresta:


tu ti ndi vai e a mia mi dassi nd’e guai.
17-Se a ttia ti preggiu jeu m’alleggiu,
tu ti ndi vai e a mia m’assi nd’e guai.
Chi presta rimane. È quello a cui si è prestato qualcosa
che tende a filarsela.

18-Prima hai è cumbogghiari i ceramidi toi


e poi chij ‘ill’autri.
Prima devi badare a costruirti un tuo tetto e poi quelli
degli altri.

19-Prima caritas e dopu caritatis.


È necessario prima che diamo aiuto a noi stessi e poi al
prossimo.

20-Cu’ perdi e rridi è pacciu.


Perdere non piace a nessuno. Se qualcuno trova da ri-
derne è da stimarsi pazzo.

21-‘u sazziu non cridi o’ dijùnu.

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Chi ha la pancia piena difficilmente si metterà nei pan-
ni di uno che ha fame.

22-Cucina grassa, testamentu magru.


Chi spende molto per la pancia lascerà insoddisfatti gli
eredi.

23-‘a pùrbiri caccia ‘a paja.


Chi ha soldi non ha di che preoccuparsi perché andrà
sempre avanti e riuscirà bene in ogni cosa.

24-Tali pagàziu tali pittàziu.


Gli acquisti riusciranno in relazione a quanto si sarà
speso.

25-Sirìnu non jnchi cisterna.


La brina è poca cosa perché se ne possa riempire un
pozzo. Il risparmio si fa con le cose grandi non con le pic-
cole.

26-Cu’ speragna pe’ domani speragna pe’ cani.


Il popolino non ha molta fiducia nel domani e bandisce
dal patrimonio delle sue virtù il risparmio.

27-‘ccatta all’ingrossu e mangianu i figghi toi,


‘ccatta a minutu e mangianu i figghi ‘ill’àutri.
C’è da risparmiare parecchio denaro se si compra
all’ingrosso.

28-Cu’ paga avanti mangia pisci fetenti.


Chi paga avanti mangia pesci di cattiva qualità. Chi
paga prima ottiene sempre servizi mediocri.

29-Stipàmu ‘a pezza pe’ quandu cumpàri ‘u pertùsu.


Occorre che ognuno tenga in serbo delle risorse per i
tempi penuriosi. La formica, perenne simbolo vivente del

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risparmio, accumula in estate il suo cibo in vista del so-
praggiungere dell’inverno.

30-Megghiu oj l’ovu ca ‘a gajna domani.


Bisogna senz’altro accettare e prendere quanto ci viene
offerto oggi. Il miraggio di un dono migliore domani deve
farci riflettere su quanto scioccamente vorremmo lasciare.

31-Cu’ cusi e scusi (oppure cu’ fràbbica e sfràbbrica)


non perdi mai tempu.
Se un lavoro non va, converrà assai meglio rifarlo dac-
capo. Si risparmierà alquanto più tempo che ricercando
vani rimedi.

32-Rrobba cercata è menza pagata.


Chi chiede una data cosa a un altro, che la possiede,
l’ha quasi pagata per metà per il solo fatto che gliel’ha ri-
chiesta onestamente.

33-Nc’i màncanu vintunu sordi pe ‘na lira.


All’avaro mancano sempre ventuno soldi per formare
una lira ossia non ha mai soldi da dare o prestare.

34-Vucca vindi e culu rendi.


Con la bocca spesso parliamo a sproposito.

35-Diu mu ndi lìbbara di’ poveri ‘rriccùti


e di rricchi ‘mpoveruti.
Sia i poveri arricchiti che i ricchi impoveriti sono pari-
menti da temersi.

36-Gesù, Gesù,
‘a provasti ‘sta vota e n’a provi cchiù.
S’indirizza a colui al quale si è offerta una prelibatezza
che mai più gli sarà dato di assaggiare, ma anche in senso
lato a chi si mostra una rarità. Tale frase è rivolta anche a

128
chi si è data una primizia da assaggiare e non si è dimo-
strato altrettanto generoso.
Probabilmente, dalla stessa deriva la frase “Diri Jesu”,
che viene pronunziata quando si assaggia una certa cosa
per la prima volta nella stagione. Se l’operazione invece
non è stata esperita si dice “Ancora non dissi Jesu”.

FURBIZIA

1-Trasìri nt’o culu ‘i mastru Rroccu.


Sapere entrare in ogni affare e anche nelle cose più re-
condite.

2-Fari cuntentu e gabbàtu.


Fare i propri comodi, ma trovare il modo di acconten-
tare gli altri almeno nell’apparenza.

3-Parìri a chiju chi no’ nci curpa.


Sembrare a torto innocente.

4-Fari ‘a barba ‘i stuppa.


Essere capace di farla in barba.

5-Chiju chi si dassa è perdutu.


Non bisogna mai lasciarsi sfuggire le occasioni. Non si
ripeteranno una seconda volta.

129
Ancora negli anni ’50 c’era il carro con i buoi e qualcuno
ne approfittava per farsi scattare una foto

I giganti nella Piazza di Oppido anteriormente al 1908

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IMPRECAZIONI ED EPITETI VARI

1-‘Mu ti gridava morbu!


Che potessi avere un male che ti facesse gridare!

2-‘Mu ti pigghiàva ‘nu mali ‘i lampu!


Che ti potessi allampare!

3-Cu’ mangia e no’ ’mbita


nommu campa ‘u si marìta.
Chi, mentre sta mangiando qualcosa, non ne offre, non
è degno di convolare a nozze.

4-Cu’ non avi cuntegnu


nommu nd’avi jorna.
Chi non ha contegno non è degno di vivere.

5-Chimmu ti stuppàvanu tutti i novi buca (Piminoro).


Che ti tappassero tutte le nove buca: occhi, orecchi, na-
so, bocca ecc.

6-Mal’acqua ‘mu ti coci.


Che tu possa cuocerti in cattiva acqua.

7-Capustòticu ‘mu ti pigghia


(o anche dogghia còlica)
Che ti possa assalire una colica dolorosa.

8-Po’ jettàri ‘u sangu.


Questa frase è profferita da colui che, vedendo qualcu-
no in stato di bisogno, ma che gli è nemico, non va a soc-
correrlo, anzi gli augura che possa peggiorare.

9-Fari ‘nu lisciabussu.


Fare una lavata di capo. Liscio e busso sono due voci
molto note al popolare gioco del tressette.

131
10-Va’ cùrcati o’ friscu
ca ‘u suli ti caddìja.
Frase scherzosa rivolta a colui che intende celiare. Co-
ricati all’ombra chè il sole ti riscalda e ti fa dire quel che
non dovresti.

11-No’ manca nenti po’ gioviddì.


Quando si portano paragoni impossibili o si vuole ap-
parire simili a persone altolocate.

12-Varca di nivi e suli ‘mu t’accumpagna.


Che ti possa trovare su una barca di neve e avere sol-
tanto per compagno il sole. Fare, quindi, una brutta fine.

13-‘u ti fannu la casa pedatèj pedatèj.


Che la tua casa diventi disabitata e frequentata soltanto
dai topi.

14-Muccu ‘mu ti fai


e lu garu ‘mu t’ambùcca.
Che tu possa diventare moccio e che il gallo l’inghiotta.

15-Se sì bonu, comu lu suli,


se sì malu, comu la luna.
Se sei buono, che tu possa risplendere come il sole. Se
invece sei cattivo, che possa venir fatto a quarti a quarti
come la luna.

16-‘mu ti cantanu l’officiu.


Che ti possano cantare l’ufficio dei morti. Cioè, che tu
possa morire.

17-‘mu nd’hai la sorta


la meduja colla di francubulli
‘mu gira tutti li paisi.
Che la tua materia grigia possa diventare colla di fran-
cobolli e girare così per il mondo.

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18-‘mu ti squagghia lu sangu.
Che il tuo sangue si possa liquefare.

19-‘u sangu chiama sangu.


La vendetta è legittima e un delitto si può pagare solo
con un altro delitto.

20-Jesu, Jesu, Jesu,


cu’ provàu prima ‘i mia ‘mu nci cula ‘u nasu.
Gesù, Gesù, Gesù, chi l’ha assaggiato prima di me che
gli possa cadere il naso.
Imprecazione scherzosa rivolta a chi ha assaporato una
primizia prima di noi. È sicuramente in relazione alla fra-
se “Diri Jesu”.

IGIENE E MEDICINA

Non sempre il popolino ha creduto alle magiche virtù


dei medici. Anzi! Molto spesso, per curarsi, ha preferito
seguire i consigli dei vecchi, i quali, senza farsi pregare,
sciorinavano ricette secolari e prescrivevano medicine
confezionate a base di erbe e di misteriosi intrugli di vario
genere. In molti casi, però, tali prescrizioni risultano pa-
recchio efficaci ancora oggi.

1-‘U lettu ‘lléttica.


Stando a letto, l’ammalato tende ad aggravarsi. Perciò,
non appena si è in grado, occorre alzarsi più lestamente
possibile.

2-‘A cura fa ventura.


Le cure fanno guarire.

3-Cu’ nd’avi ‘a saluti


è rriccu e n’o sapi.

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La più grande ricchezza che l’uomo possa sognare in
questo mondo è, indiscutibilmente, la salute. Solo essa è
tutto e né ori né gemme potranno mai eguagliarne il valo-
re. L’uomo ammalato non sa e non ha che farsene di altre
ricchezze più o meno fatue.

4-‘u medicu è Diu.


Il vero medico è soltanto Dio. Tutti gli altri non sono
che dei volgari ciarlatani, che tirano avanti svolgendo il
loro bravo mestiere.

5-Va’ nd’o patùtu


e non jiri nd’o medicu.
Si hanno maggiori probabilità di guarire se ci si rivol-
gerà a chi avrà sofferto della stessa malattia che non al
medico. Se non altro, quegli avrà dalla sua una grande
esperienza.

6-Dopu ‘a quarantina ‘nu morbu a’ matina.


Il popolo crede che l’uomo rimanga sano solo fino agli
anni quaranta e che il suo fisico incominci a declinare solo
dopo tale data.

7-Tri su’ i nimici di li vecchi:


catarru, cadùta e cacarèja.
I più anziani devono stare molto attenti a tre grossi
malanni: il catarro, le cadute e la diarrea. Alla loro età
questi mali potranno riuscire letali.

8-‘u vinu pe’ vecchi


è comu ‘u latti pe’ cotràri.
Non si abbia alcuna paura a mescere vino a chi si trova
in età avanzata. Per costoro tale liquido equivale al latte
che si dà ai bambini. Un goccio di quel liquore avrà, senza
alcun dubbio, il potere di rianimarli.

9-‘u bonu mangiari ti sana,

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‘u troppu fatigari ti cunsuma.
È il cibo buono che fa guarire ed è il troppo lavoro
quello che ci fa ammalare.

10-A undi non trasi ‘u suli


trasi ‘u medicu e ‘u cumpessuri.
Il sole è fonte di vita. Dove non penetra hanno invece
libero accesso le malattie. La casa, che non si trova esposta
a mezzogiorno, è spesso visitata dal medico e dal confes-
sore, estremi rimedi di ogni ammalato.

11-‘a ruta ogni mali astuta.


La ruta, pianta appartenente alla famiglia delle rutacee,
dal caratteristico odore molto penetrante e sgradevole, è
stimata dal popolino capace di guarire da tutte le malat-
tie. Si narra di alcune persone che avevano l’abitudine di
masticarla quotidianamente, nella falsa illusione di restare
immuni da ogni malanno.

12-L’acqua currenti non fa’ mali a’ genti.


Non si abbia timore alcuno a usare l’acqua corrente.
Tutt’al più si potrà rimanere puliti!

13-L’acqua di matina è ‘na vera medicina.


Il bere un bicchiere d’acqua di primo mattino, a digiu-
no, è la miglior cosa del mondo.

14-‘a frevi cuntinua ammazza l’omu.


La febbre leggera, ma continua, si rivela particolarmen-
te dannosa alla salute. Tale sua peculiarità porterà, col
tempo, l’uomo alla tomba.

15-L’aria da’ fessùra ti porta a’ sepurtùra.


Attenzione a chiudere bene porte e finestre - avverte
l’Antico - perché le correnti d’aria riescono veramente mi-
cidiali.

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16-Anca o’ lettu e vrazzu o’ pettu.
In seguito alla rottura di un arto ecco quanto prescrive
il popolino: se l’arto rotto è una gamba, perché guarisca al
più presto, occorre tenerlo fermo a letto; se invece si tratta
di un braccio, la miglior cosa da fare è tenerlo legato al
petto.

17-Diu ‘mu ndi lìbbara di’ vasci caduti.


Le cadute da piccole altezze riescono spesso assai rovi-
nose, in special modo quando si tratta di persone anziane.

18-Ogni pena e ogni dogghia


pani e vinu la cumbogghia.
Basta avere pane e vino perché ogni dolore passi in se-
cond’ordine.

19-Megghiu pettu e’ paj e no’ ventu e’ spaj.


È assai meglio avere il vento davanti che non di dietro.
Nell’ultimo caso si andrà incontro a seri malanni.

20-Medicu poveru e speziali rriccu.


Un tempo, quando il medico sentiva veramente la sua
missione e in molti centri abitati l’indigenza era sovrana,
tale professionista era spesso pagato con una manciata di
fave. Al contrario, lo speziale si arricchiva perché vendeva
solo a contanti i suoi specifici.

21-‘u medicu pietusu faci ‘a piaga verminusa.


Il medico pietoso, per intenderci quello che non pos-
siede una certa dose di prontezza e all’occorrenza non
agisce radicalmente, permette che il male progredisca fino
a incancrenirsi.

22-Trumba di culu è sanità di corpu.


L’emettere suoni sconci è l’indice più chiaro che il cor-
po si trova in perfetta efficienza e salute.

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23-‘u magulà cu’ non l’eppi l’averà
(ma anche tigna, rugna e magulà …).
Siamo tutti predisposti ad ammalarci di orecchioni, ma
anche di tigna e di rogna.

24-Catarru: vinu cu’ carru.


Per guarirsi di tal fastidioso disturbo è necessario bere
vino in grande quantità

25-‘u catarru è ‘na malatìa ‘mmucciàta.


Il catarro non curato convenientemente può preludere
spesso a grossi malanni.

26-Cummari Rosa, nd’avìti ‘nu saccu?


- No, non d’haju.-
- Vi dassu i rùsuli e mi ndi vaju.-
I geloni scompariranno d’incanto dopo che avremo ri-
filato a una donna di nome Rosa tale filastrocca. Non si
contano davvero tutte quelle volte che, bambini, abbiamo
ripetuto il curioso ritornello nella vana speranza di to-
glierci presto quel fastidioso prurito.

27-Fin’a chi nc’è hjatu nc’è speranza.


Fino a che il respiro non ci abbandonerà del tutto, sa-
remo sempre indotti a sperare nel futuro. L’ultima a la-
sciarci è proprio la speranza.

28-‘u tempu passa e ‘a morti si ‘mbicìna.


L’orologio del tempo batte inesorabile le ore e la morte,
anch’essa implacabile, s’avvicina a passi da gigante.

29-A tutti i cosi nc’è rimediu menu c’a’ morti.


30-Morti nommu nc’è e guai c’a pala.
A tutto sarà possibile porre rimedio fuorchè alla morte.
Tutto è sopportabile, qualsiasi disgrazia, ma non la morte.

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31-‘a morti non guarda ‘n facci a nuju.
Suprema livellatrice è la morte, paziente signora delle
tenebre. Dinanzi a essa siamo tutti uguali, poveri e ricchi,
belli e brutti, umili e superbi. La morte tira pel suo cam-
mino senza degnarsi di guardare in faccia a nessuno.

32-‘a morti ch’è disiàta non veni mai.


Quando ci si augura la morte perché i mali sono tanti e
così dolorosi o perché si vorrebbe presto raggiungere la
vita eterna, sembra ch’essa non debba mai arrivare.

33-Sulu ‘a morti è certa.


Tutti potranno mancare all’appuntamento, ma non la
morte.

34-‘a morti a cu’ conza e a cu’ sconza.


La suprema livellatrice reca necessariamente uno
scompiglio nelle famiglie. Portandosi via un padre, lascia
nella miseria più nera chi resta, ma in qualche altro caso,
togliendo di mezzo un vecchio riccone, verrà a fare la feli-
cità degli eredi.

35-Da’ morza veni ‘a forza.


L’uomo è forte se mangia. Non si sa altrimenti donde
possa attingere la sua forza.

36-Cu’ no’ pati no’ sapi.


37-Cu’ no’ prova no’ cridi.
Chi non ha sofferto, non può conoscere i bisogni degli
altri.

38-Supa a’ guàjra ‘u carbunchiu.


L’uomo sfortunato resta sempre tale. Se si ammalasse
di ernia, la malattia si complicherebbe poiché su di essa
verrebbe a spuntare in seguito una piaga. A un persegui-
tato dalla sventura le disgrazie non vengono mai sole.

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39-Pensa a’ saluti.
La preoccupazione maggiore deve riguardare la salute.
Le restanti potranno essere superate facilmente.

40-Cu’ si guardàu si sarvàu.


Il previggente arriverà sempre in porto.

41-Simu vecchi e tutti i morbi ndi ponnu:


‘u suli ndi bruscia e ‘u friddu ndi jetta.
Da vecchi ogni malattia, anche la più banale, può riu-
scire a batterci. Riescono a farci male persino il caldo e il
freddo.

42-Panicottu: sanitàti ‘i corpu.


Il panecotto rappresenta per il corpo la guarigione da
ogni male. Una volta nelle famiglie una tale pietanza era
all’ordine del giorno.

43-Se vo’ campàri sanizzu,


dopu chi mangi ripòsati ‘nu mmorzu.
Se ci si vuol mantenere in buona salute, dopo il pranzo
conviene fare un riposino.

44-‘a lingua2 bbatti a undi ‘u denti doli.


La lingua si adagia sul dente malato. Ogni persona si
fissa su una cosa, cui tende naturalmente.

45-Quandu ‘a petra suda,


‘mmuccia ‘a criatura.
Quando il sasso emana sudore è segno manifesto che
fa caldo eccessivo ed è, quindi, il caso che la mamma ri-
nunci a far andare fuori il suo piccolo.

46-Sunza di gaìna
‘mu ti crisci la petturìna.

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Il grasso di gallina è un ottimo elemento di crescita. La
pettorina è quel tratto di stoffa, col quale la donna un
tempo fasciava il petto sotto l’allacciatura del busto.

47-Ogni ura ‘nu cucchiarinu.


Meticolosi come le dosi medicinali. Quindi, ogni ora
un cucchiaio.

48-O’ friddu rispundi prestu,


o’ caddu rispundi tardu.
Sii svelto quando fa freddo e lento quando fa caldo. Il
significato è molto chiaro.

49-Mirò, mirò, mirò:


stasira sì e domani no.
Formula per far guarire dall’adenite.

50-Doluri ‘i moli, doluri ‘i cori.


Il dolore dei denti è davvero insopportabile.

51-Mentri ‘u medicu studìja


‘u malatu mori.
Nel mentre il medico pensa a come salvare il malato,
questi nel frattempo sta tirando le cuoia.

52-Megghiu n’asinu vivu


ca ‘nu dotturi mortu.
Se un tale non ce la fa a studiare e corre seri rischi è
meglio che abbandoni, se non altro resterà vivo.

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CULINARIA

Ancora oggi le nostre massaie ritengono utile affidarsi,


per il loro mènage quotidiano, ai precetti degli antichi,
che in fatto di cucina dovevano saperla abbastanza lunga.

1-‘u bonu vinu fin’a fezza,‘a rrobba bona fin’a pezza.


Quando il vino è buono, lo è tale anche nei rimasugli e
lo stesso dicasi per la buona stoffa.

2-Ogghiu di ‘n annu, vinu di cent’anni.


Perché riescano buoni, occorre che l’olio non sia più
vecchio di un ann, mentre il vino il più annoso possibile.
Il vino più invecchia e più uno squisito liquore diventa.

3-Casu cu’ l’occhi, pani senz’occhi.


Se ottimo riesce il formaggio con i buchi, sarà tutto
l’opposto per il pane.

4-Pani e Sagramentu si ndi trova a ogni cumbentu.


Pane e ostie sacre se ne trovano immancabilmente in
ogni convento. I bravi monaci non fanno mancare nel loro
domicilio quanto occorre per il bene dell’anima e per la
salute del corpo.

5-Pani vietatu genera appetitu.


Se il cibo è abbondante, la fame viene contenuta facil-
mente, ma, se scarseggia, l’appetito insorge in modo for-
midabile.

6-Pisci cotta e carni cruda.


Perché siano gustati a dovere, ma anche perché non
facciano male, i pesci debbono risultare ben cotti, mentre
la carne, al contrario, quasi cruda.

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7-Cozzi e basàti non jnchinu panza.
Le cozze e i baci non riempiono la pancia. Possono riu-
scire, al massimo, dei piccoli acconti.

8-‘a gaìna vecchia faci bonu brodu.


La gallina vecchia dà sempre un buon brodo. Chi ha
vissuto assai agisce, per l’esperienza acquisita, meglio di
chi ha vissuto poco.

9-Pani ‘i vilanza non jnchi panza.


Il pane di commercio non sfama, contrariamente a
quello confezionato in casa. Il motivo è da ricercarsi nel
fatto che il primo è molto più soffice dell’altro e, quindi,
più facile a essere consumato.

10-Sarda ‘i maju e ‘ngija d’agustu.


Perché riescano saporite, le sarde debbono essere pe-
scate e mangiate in maggio, le anguille nel mese di agosto.

11-Falla comu la voi, sempri cucuzza!


In qualsivoglia modo la si voglia cucinare, la zucca ha
sempre il medesimo sapore e l’identico valore nutritivo,
che equivale a zero. Quando un uomo è stato formato in
un certo modo, non c’è alcun verso di poterne modificare
i caratteri.

12-Mangia carni di prima e sia cornacchia.


La carne di prima qualità riesce sempre la migliore, an-
che se a volte risulta più dura d’ogni altra. Le cose miglio-
ri sono quelle che costano di più.

13-Mangia a gustu toi e vèstiti a gustu ‘ill’àutri.


“De gustibus non est disputandum” diceva un vecchio
adagio latino. Se ognuno può e deve mangiare come gli
aggrada, ha l’obbligo invece di uniformarsi al gusto degli
altri per quanto riguarda la foggia del vestire.

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14-‘mbitàri a pasta e carni.
Si dice allorchè un tale, cui è stata fatta una proposta,
accoglie questa con la massima gioia, quasi l’attendesse
da tempo. Per il villano, nei tempi andati, la pasta con la
carne rappresentava il non plus ultra dei piatti preferiti ed
egli la riservava per le grandi solennità, ma soprattutto
perché non poteva permetterselo molto spesso.

15-Cu’ nd’avi vucca voli ‘u mangia.


La bocca è stata creata da Dio con la specifica funzione
del cibarsi. Chi ne ha le possibilità, vuole sempre arraffare
qualcosa.

16-Cadìri comu o’ casu nd’e maccarruni.


Capitare al momento opportuno oppure finire nel mi-
gliore dei modi.

17-Quandu ‘a tavula è misa


cu’ no’ mangia perdi ‘a spisa.
Quando la tavola è stata apparecchiata, l’invitato che
non mangia o fa esagerate cerimonie perviene alla fine a
perdere il pranzo, che, in definitiva, era stato preparato
esclusivamente per lui.

18-‘mbàrriti cazzùju cu’ menz’ovu.


Con mezzo uovo o con poco cibo si rimane egualmente
affamati.

19-Comu l’ovu o’ focu.


L’uovo ha bisogno di pochissima cottura e, quindi, di
molta attenzione.

20-Cu’ prova torna.


Quando si è gustata una cosa buona, la si desidererà
ancora.

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21-Panza china fa cantari.
Quando si ha la pancia piena, siamo stimolati al canto.
Il villano, che non ha avuto mai alti ideali, crede di rag-
giungere l’acme della felicità solo dopo essersi rimpinzato
per bene.

22-‘u mangiari è di raggiuni:


cu’ no’ mangia ‘mpalìsi, mangia a mucciùni.
Il mangiare è un’esigenza insopprimibile. Nella vita
tutti agiamo un po’ disonestamente e chi non lo fa in mo-
do evidente, si può starne certi che lo fa di nascosto.

23-Carni grassa a focu lentu


si matura cu’ so’ tempu.
Tutte le cose giungono a maturazione per tempo, come
la carne grassa, che ha bisogno di un fuoco lento perché
pervenga a cottura.

24-Po’ spilu da’ carni nci basa ‘u culu a’ troja.


Per il desiderio di mangiare carne, una persona arriva
a baciare il deretano a una scrofa. Per l’avidità di ottenere
una certa cosa, una persona si piega a tutte le bassezze.

25-Sentu odori di carni umana,


a cu’ vidu m’u ‘mbuccu sanu.
Così si esprime l’orco delle vecchie fiabe popolari
quando sente l’odore di persone nascoste in casa.

26-Cu’ mangia e no’ ‘mbita nommu campa ‘u si marìta.


Chi sta mangiando qualcosa e non ne offre agli astanti,
merita di non pervenire mai al matrimonio.

27-nt’a Chesa mangi?-


-‘ammi ‘nu mmorzu.
Così dice colui che rimprovera agli altri ciò che ame-
rebbe fare lui stesso.

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28-Latti e meli: tira ca veni.
Perché il latte e il miele fuoriescano fa è necessario suc-
chiare.

29-Mangia ‘a ‘ngija!
Si rivolge a colui che vediamo intromettersi in affari,
dai quali potrebbe ricavare parecchio utile.

30-Diri pani pani, vinu vinu.


Il motto della persona retta è quello di dire pane al pa-
ne e vino al vino, cioè la verità.

31-L’acqua ‘a sarta ‘a crapa.


Quando si mangia è utile bere un buon bicchiere di vi-
no. L’acqua la rifiutano persino le capre.

32-Setti sunnu i megghiu vuccùni:


recìna, pèrzica e melùni,
carni ‘i cerbeja e minni ‘i virgineja,
quagghia perniciara e culu ‘i lavandara.
I bocconi più appetitosi si qualificano sette: l’uva, le
pesche e i meloni, carne di capretta e mammelle di giovi-
netta vergine, quindi quaglia del tipo pernice e deretano
di lavandaia.

33-Mangiàri du’ bonu e du’ megghiu.


Mangiare a sazietà e le cose migliori.

34-‘a pròvula nc’è a cu’ piaci e a cu’ no’ dispiaci.


Quando si presenta l’occasione, siamo tutti disponibili
a commettere azioni poco pulite e che ci portano un illeci-
to guadagno.

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IL CONTADINO E LA CAMPAGNA

1-‘u villanu (spesso anche vellànu da vejànu)


nd’avi l’occhi nt’e dinòcchi.
Il villano ha scarpe grosse, ma è di cervello fine.

2-Non è villanu cu’ villanu nasci,


ma villanu è cu’ fa la villanìa.
Il vero villano non è il contadino, come comunemente
si dice, ma colui che compie azioni villanesche.

3-Quandu l’àrburu è hjurùtu ‘u villanu è surdu e mutu,


quandu è siccu e non c’è nenti ti faci milli cumprimenti.
Il villano, oltre riuscire furbo, è anche un avaraccio di
prim’ordine. Quando l’albero promette frutti a iosa, non
vede e non sente, ma quando è ormai spoglio rivolge a
tutti un sacco di complimenti.

4-‘u villanu no’ canusci ‘a chiàppara.


Il villano non conosce i capperi ovverossìa le cose di un
certo valore.

5-Àrburu chi non fa frutti, tàgghialu di’ pedi.


L’albero che non produce è bene tagliarlo dalle radici.
Fa d’uopo ignorare gli irriconoscenti.

6-Cu’ chianta scippa e cu’ simìna ricògghi.


Chi pianta o semina oggi, raccoglierà i frutti domani.

7-Com’è ‘a viti nci voli ‘u palu.


C’è bisogno di mettere il sostegno secondo la posizione
o la grandezza della vite. È bene procedere secondo i casi.

8-‘nt’all’ortu nci voli ‘n omu mortu.

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Per curare efficacemente un orto, occorre che ci sia di-
guardia un uomo morto. Per un orto il contadino dovrà
sacrificarsi giorno e notte ininterrottamente.

9-‘a cura è ventura.


La cura compie i miracoli.

10-Cu’ nd’avi rrobba o’ suli sempri perdi.


Chi possiede terreni coltivati è sempre in perdita per-
ché sono soggetti a tutte le intemperie.

11-Se vo’ ‘mpovarìri,


‘ccatta costèri e hjumarini.
Se l’uomo vuole andare presto in povertà non ha che
da comprare appezzamenti di terreno siti in coste molto
ripide o ai margini di fiumare. I primi sono soggetti a ce-
dimenti franosi e i secondi incorrono nelle ire capricciose
delle acque.

12-Cu’ tempu e c’a pagghia


si matùranu i surba.
Le sorbe si maturano col tempo e con la paglia. Ogni
cosa va fatta a tempo debito.

13-Acqua: amaru a cu’ ‘ncappa.


Per i contadini l’acqua rappresenta sempre un vero in-
cubo, sia che cada a torrenti dal cielo sia che venga porta-
ta dalle fiumare.

14-C’a vigna nesci ‘a tigna.


15-Vigna tigna.
16-Cu’ bona s’a zzappa, bona s‘a vindigna.
Il vigneto esige cure particolari e continue spese e il
proprietario ha, per causa sua, continue preoccupazioni.
Però, se esso viene ben curato, riuscirà di grande resa.

17-‘u contadinu scarpi grossi e ceravèju finu.

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Il contadino indossa scarpe grosse, oerò in compenso è
fine di cervello.

18–‘a rrobba cu’ ‘a faci n’a sfaci.


Il contadino, che ha faticato una vita a rendere rigo-
glioso e produttivo un suo fondo, giammai perverrà a far-
lo andare in malora. Sa solo lui quanto gli è venuto a co-
stare in spese e lavoro. La stessa massima vale per chi ha
costruito una casa o altro.

CALENDARISTICI

L’incessante alternarsi delle stagioni, dei mesi, dei


giorni lungo il ciclico arco del tempo e il rapido variare
delle condizioni climatiche hanno sempre, sin dalla più
remota antichità, interessato lo spirito geniale dei nostri
maggiori, tanto che la loro esperienza ha recato sino a noi
un ricco patrimonio di regole e di avvertimenti, da cui il
popolino di animo semplice non ha mai derogato e che
col passare lento dei secoli si sono coloriti di piacevoli ve-
nature allegoriche e poetiche.

Le stagioni e i mesi

L’autunno, stagione tradizionalmente piovosa, fa pro-


nunziare al popolino, all’arrivo delle prime piogge, il det-
to seguente:

1-Chiovi, chiovi, chiovi,


ca la gatta si ndi mori
e lu sùrici si marìta
cu’ la còppula di sita.
Quando, dopo tanti mesi di calura estiva, arriva la
prima pioggia, i bambini si affacciano festanti sulla soglia

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delle loro case e battono giulivi le mani plaudendo a quel
tanto atteso ritorno, contenti vieppiù che una vittima tra-
dizionale possa sfuggire ancora una volta al suo eterno e
implacabile persecutore. Il topo, infatti, specie quello det-
to “delle chiaviche”, gode dell’arrivo della pioggia perché
è questa il suo elemento naturale ed è a causa di essa che
il suo nemico non potrà raggiungerlo, in quanto ha una
formidabile paura di annegare. Perciò, potrà andare tran-
quillamente a nozze, acconciarsi per bene e mettersi in
capo un bel berretto di seta.
L’inverno, caratterizzato da tutte le antiche saghe po-
polari come un vecchio freddoloso imbacuccato in ampi
mantelli, è chiamato amichevolmente dal nostro popolino
nonnu ‘mbernu.

2-Finu a Natali né friddu né fami,


dopu Natali lu friddu e la fami.
Questa necessità è giustificata esclusivamente dal fatto
che, se si vuole un’estate calda, occorre che l’inverno sia
rigido, proprio come è nel costume di quella stagione.

3-Prima Natali ‘nu passu di cani,


dopu Natali ‘nu passu di voi.
Con l’arrivo del Natale ci avviamo decisamente alla fi-
ne dell’inverno.

4-Se ‘u ‘mbernu no’ ‘mbernizza


‘a stati no’ statizza.
Così afferma il popolino, che vede in un inverno tiepi-
do e dolce la causa prima di un’estate piovosa e senza
giornate limpide e calde.

5-Chiju cu’ focu campàu, chiju cu’ pani morìu.


Di due ipotetici poveracci, quello che ebbe fuoco è so-
pravvissuto, mentre l’altro, che aveva solo pane, è morto.
In vista di un rigido inverno occorre provvedersi più di
legna che di cibo.

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6-Vinni ‘u tempu di’ mali vestùti.
È arrivato il freddo inverno, che un tempo terrorizzava
chi non poteva coprirsi convenientemente.

La primavera è la stagione più bella, la stagione della


giovinezza, la stagione dei fiori, la stagione in cui tutto si
sveglia e ritorna a nuova vita. Di essa, però, non abbiamo
trovato nulla che ci potesse interessare dal lato folklorico.
L’estate è la stagione per eccellenza e il popolino la
chiama abitualmente col termine di stagioni. Per essa val-
gono le stesse considerazioni che abbiamo proposto per
l’inverno e a inverno rigido si contrapporrà estate calda.

7-Se vo’ vidìri la bella stagiuni:


‘i Natali o’ suli e ‘i Pasca o’ focùni.
Si avrà lo stesso una bella estate anche se il clima ci co-
stringerà a trascorrere il Natale col sole e Pasqua accanto
al fuoco.

8-Di ‘stati e di ‘mbernu no’ dassàri ‘u to’ mantellu.


In estate occorre andare parimenti cauti che in inverno
perché anche durante tale periodo non sono improbabili
le cattive giornate.

9-Quandu vidìti nespula ciangìti


ca chiju è l’urtimu fruttu di la ‘stati.
Ci si accorgerà che l’estate sarà proprio agli sgoccioli
allorquando saranno mature le nespole. Il riferimento è
alle “mespilae latinae” o “germaniche”, un frutto che matura
nel mese di settembre.

10-Quandu canta ‘a cicala addunàtivi a la ficàra.


Quando la cicala frinisce è segno che i fichi sono per-
venuti a maturazione.

150
Gennaio

11-Jenàru siccu, massàru rriccu.


Gennaio risulterà il mese d’oro del massaro se si pro-
durrà soltanto in giornate rigide e secche ed eviterà,
quindi, di piovere.

12-Jenàru puta paru.


A gennaio la pota deve essere assai estesa.

13-‘a Befanìa tutti i festi si porta via.


L’Epifania chiude il ciclo delle feste annuali.

Febbraio

È il mese più corto dell’anno, ma anche il peggiore dal


punto di vista climatico.

14-Frevaru è curtu e amaru


e scorcia ‘a vecchia o’ focularu.
È talmente penetrante e insistente il freddo di questo
mese che lo si accusa di ridurre i vecchi a mal partito co-
stringendoli a stare sempre accanto al fuoco.

15-Frevaru caccia ‘a vecchia a lu mignànu.


A volte febbraio dimentica i suoi trascorsi e regala
qualche raggio di sole ai poveri vecchi, che così possono
uscire sul pianerottolo esterno a riscaldarsi.

16-Frevi ‘mu nd’avi cu’ frevi mi misi,


sugnu ‘u capu ‘i tutti li misi,
fazzu l’erba criscìri, li donni ‘mbelliscìri,
i gatti vannu a paru a la barba di frevaru.
Febbraio, accusato sempre dal popolino di essere una
peste, talvolta non ne può più e si proclama addirittura da
per sé come il migliore dei dodici mesi. I suoi meriti sono

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quelli di far crescere l’erba, rendere più belle le donne e
innamorare i gatti.
Variante:
Frevaru frevalora,
sugnu lu hjuri di tutti li misi.
L’àrbiru hjurìsciu,
i fimmini ‘mbellìsciu,
i vecchi ’i mentu o’ mignànu
a la facci di jenaru.
Febbraio, febbralora, sono il fiore di tutti i mesi. Faccio
fiorire l’albero e agghindo le donne, metto i vecchi sul
mignano a godere il tepore del sole e tutto alla faccia di
gennaio.

17-Frevaru frevalora, caccia l’urzu ‘a testa fora:


o voliti o no’ voliti,
’n’atri coranta jorna ‘i ‘mbernu nd’aviti.
Verso il termine della seconda decade del mese l’orso,
che trascorre l’inverno in semiletargo, a un certo momen-
to si affaccia dalla tana e avvisa che mancano ancora 40
giorni esatti perché finisca quella brutta stagione.

18-Frevaru puta paru.


A febbraio è tempo di pota. Praticamente è un doppio-
ne di gennaio.

19-Da’ Candilora ‘u ‘mbernu è fora.


Con l’arrivo della festività della Candelora (2 febbraio)
siamo già fuori dall’inverno.

20-Carnilavari morìu di notti,


si mangiàu quattru ricotti:
du’ frischi e du’ salàti,
Carnilavari cu’ l’anchi cacàti.
Re Carnevale, dopo aver impazzato, alla fine morirà
dileggiato e beffeggiato dal popolino. In merito c’è anche
la variante che segue:

152
Carnilavàri morìu di notti
e dassàu tri ricotti:
una salata, una cundùta
e una pell’anima ‘i so’ canàta;
nci dassàu puru ‘nu spingulùni
‘mu si ‘ppunta lu vancàli
a la facci di Carnilavari.
Carnevale è morto di notte e ha lasciato tre ricotte, una
salata, altra condìta e altra ancora per l’anima di sua co-
gnata. Ha lasciato pure uno spillone perché si appunti il
grembiule alla faccia di Carnevale.

21-Veni ‘na vota l’annu ‘sta jornata,


no’ cridu ca di mia parràti mali.
A tutti nci gugghìu la pignàta:
me’ mamma si ‘mpignàu la cammisèja
‘u nci gugghi puru a ija ‘a pignatèja.
Così Carnevale giustifica la pazza gioia che investe tut-
ti in occasione della sua festa, che cade una volta l’anno.
Non è il caso di parlarne male perché tutti hanno potuto
mettere sul fuoco a bollire una pignatta. Perfino sua ma-
dre, che a tal motivo ha dato in pegno la sua camicina.

22-‘i gioviddì ‘ill’ardaloru cu’ non avi carni


si ‘mpigna ‘u figghiolu.
In occasione del giovedì grasso le mamme impaurisco-
no i propri bambini dicendo loro, per farli stare un po’
quieti, che, in mancanza di soldi per procurarsi la carne,
indispensabile a Carnevale, saranno costretti a darli in
pegno ai macellai.

23-Coraìsima, coju stortu,


ti mangiasti i cavuli all’ortu
e dicisti ca non è beru.
Ora vaju e ti corèru:
ti corèru a Varapòdi,
Coraìsima ch’i tripòdi;

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ti corèru a Messignadi,
Coraìsima ch’i caddàri.
Quaresima dal collo storto, hai mangiato i cavoli
all’orto e hai negato d’averlo fatto. Ora mi recherò a que-
relarti: ti querelerò a Varapodio, o Quaresima coi tripodi;
ti querelerò a Messignadi, o Quaresima con le caldaie.
Il popolino considera la Quaresima ladra e menzogne-
ra e si scaglia contro disprezzandola a più non posso.
D’altronde, è sempre rappresentata come una vecchiaccia
brutta e ossuta.

Marzo

Mese al centro di due stagioni, Marzo conferisce ai suoi


giorni un clima instabile e contrapposto, per cui i suoi
mutamenti così repentini e il continuo variare del tempo
ne fanno un mese pazzerello.

24-Megghiu to’ mamma ‘mu ti ciangi


ca lu suli di marzu ‘mu ti tingi.
Il popolino consiglia a ognuno di guardarsi dal sole di
tale mese, in quanto potrebbe riuscire assai dannoso.

25-Se veni marzu e ti trova malatu


è megghiu ‘mu ti fai lu tambùtu.
È alquanto azzardoso farsi trovare a letto ammalati in
questo periodo.

26-‘u friddu ‘i marzu trasi nt’o cornu du’ voi.


Il freddo di marzo ha la forza di penetrare dappertutto.

27-Se marzu no’ marzìja ‘u massàru no’ palìja.


È necessario che in questo mese il clima sia alquanto
instabile, altrimenti il massaro non potrà portare i suoi
armenti a pascolare.

28-A marzu ogni stroffa è jazzu.

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29-A marzu ogni stroffa è jazzu,
ma se marzu si pungi ndi scoppa l’ugni!
A marzo ci si può fare un giaciglio in qualsiasi posto,
ma è anche vero che tale mese, se si dovesse mettere
d’impegno, ci potrebbe recare molto male. Sarebbe capace
persino di levarci le unghie.

30-È penzeru ‘i marzu ‘u faci ‘a nivi.


È impegno di marzo far cadere la neve.

31-‘u ventu ‘i marzu è maritu ‘ill’àrburi.


Il vento di marzo è lo sposo degli alberi. Certamente a
causa del vento, che fa volare i semi da un posto all’altro.

32-Marzu centu voti chiovi e ‘na vota sciuca.


Anche se in marzo ha piovuto molto, basta una bella
giornata a far dimenticare tutto.

33-Tantu ‘mu dura la mala vicina


quantu dura la nivi marzìna.
A marzo la neve, anche se caduta in gran copia, è de-
stinata a durare poco. Difatti, basta che il sole faccia capo-
lino perché essa si sciolga immantinente.

34-Chi ti catti? ‘a nivi ‘i marzu?


Si dice a colui che sente freddo fuori stagione.

35-Arriva marzu pe’ li ‘ncatamàti,


a cu’ nci la leva e porta la saluti,
se veni marzu e ti ‘rriva malatu,
di novu ti fa fari lu tambùtu.
Quandu arriva marzo, a chi porta e a chi toglie la salu-
te. Se per sfortuna tu ti trovi in stato di malattia, allora ti
fa preparare di bel nuovo la cassa da morto.

155
Aprile

In questo mese sbocciano i fiori e anche gli animi, dopo


il lungo e tedioso letargo invernale si riaprono al contatto
della luce e del tepore della nuova delicata stagione.

36-Aprili no’ cacciàri e no’ mentìri.


Punto d’incontro tra due stagioni, Aprile è pericoloso
per il mutamento di vestiario.

37-Marzu chiovi chiovi, aprili mai ‘mu fini,


a maju una bona ‘u si fannu i postèrini.
Perché vengano a maturazione i “posterini”, cioè i
prodotti fuori stagione, è necessario che piova di continuo
sia a marzo che ad aprile e che anche maggio conceda una
bella pioggia.

38-Quantu vali n’acqua di marzu e d’aprili


no’ vali ‘nu vascellu cu’ tutti li vili.
Il valore di un’acqua di marzo e di aprile è di molto
superiore a un vascello ricco di vele.

39-D’aprili setti voti mangi e mbivi e mai sazziu ti vidi.


Il sopraggiungere della primavera reca con sé un irre-
sistibile appetito.

40-Aprili favi chini,


ma, se no’ veni maju, no’ ndi cucìni.
In aprile le fave sono già piene, ma è a maggio ch’esse
possono essere raccolte e consumate.

41-O’ primu d’aprili a undi ti màndanu no’ jri.


Questo detto è collegato al pesce d’aprile, famoso
scherzo combinato, nel primo del mese, ai danni degli in-
genui creduloni, che con una scusa si fanno andare da un
posto all’altro.

156
42-Pasca marzàtica o guerra o famatica.
La Pasqua, eccetto le rare volte, in cui può cadere di
marzo, è una festività del mese di aprile e, quando ciò non
si verifica, è segno che gravi calamità si apprestano a
coinvolgere noi poveri mortali.

43-Vròccula, zzòccula e predicatùri


dopo Pasca non bàlinu cchiùni.
Appena trascorso il periodo pasquale, tre cose sono
ormai fuori di moda: i broccoli, gli zoccoli e i padri predi-
catori, che, passato il periodo quaresimale, hanno ormai
esaurito la loro produzione o la loro missione.

44-‘i Pasca e ‘i Natali spampìnanu li vellani.


A Pasca di li hjuri spampìnanu li ‘gnuri.
Questo breve e chiaro detto ricorda che Natale e Pa-
squa sono le feste del popolo e che durante questo perio-
do solo i popolani sfoggiano. Per i signori, invece, è riser-
vata con più comodo la Domenica in Albis altresì chiama-
ta “dei Fiori”.

45-Aprili no’ cacciàri e no’ mentìri,


a maju comu sugnu staju,
a giugnu comu staju sugnu,
a giugnettu ogni spogghia jettu.
Gioco di parole col quale ancora una volta si mette in
guardia l’uomo a non mutare di vestiario durante i mesi
che sono notoriamente variabili per il clima.

46-Aprili jetta ‘u mandìli:


caddu lu jornu e friddu a li matini.
Con aprile potrai abbandonare la tovaglia da capo per-
ché farà caldo di giorno e freddo al mattino.

Maggio

47-A maju jetta ‘u saju, però prima vidi comu vaju.

157
Essendo ormai lontano il rigore dell’inverno, è giusto
che ci si liberi un pochino dei panni pesanti, ma bisognerà
stare comunque sul chi vive, non si sa mai…

48-Aprili faci i hjuri e maju si cogghi l’onuri.


A dispetto di quanto afferma il presente ritornello,
maggio è effettivamente il mese delle rose e d’ogni fiore
in boccio. In realtà, è in questo mese che i tepori e le erbe
odorose fanno sentire prepotentemente la presenza della
primavera.

49-Maju ch’i majuri e giugnu ch’i calùri.


A maggio il clima dovrà necessariamente risultare mi-
te. Il calore si addice invece al mese di giugno.

50-‘u tempu si votàu, non è com’era,


ca di sciroccu si votàu a mujùra.
“mujùra” è anche sinonimo di tempo caldo-umido, per
cui si può tranquillamente dire: di male in peggio.

Giugno

È il tradizionale mese della mietitura e l’acqua che ca-


de dal cielo durante i suoi trenta giorni è particolarmente
infesta.

51-L’acqua ‘i giugnu
caccia ‘u pani du’ furnu.
L’acqua di giugno fa marcire il grano.

52-A giugnu mùtati tundu.


Soltanto a giugno converrà dismettere gli abiti usati
nell’inverno.

53-No’ vitti mai nd’a giugnu nivi cusì,


a menzu a lu mari ‘u quagghia la nivi.

158
Si pronunzia tale detto nell’assistere al verificarsi di
cose strane.

Luglio

Il popolino vede questo mese come una continuazione


del precedente e lo chiama “giugnettu”, vale a dire piccolo
giugno. Tale vocabolo deriva evidentemente dal francese
“juillet=luglio”.

54-Veni giugnettu e veni la pujàra


quandu lu cuccu perdi la parola.
Viene luglio e splende la costellazione delle pleiadi ed
è proprio allora che il cucù smette di cantare.

Agosto

È il mese più caldo dell’anno, ma contiene in sé in


germe il terribile inverno.

55-Agustu è rigustu e capu ‘i ‘mbernu.


Con agosto inizia l’inverno.

56-Quandu chiovi d’agustu


rrovina meli e mustu.
La pioggia d’agosto manda alla malora il miele e l’uva.

57-Senza sustu: comu o’ mètiri nd’a d’agustu.


Si dice quando si fanno cose fuori tempo e fuori luogo,
come potrebbe accadere se si pensasse di mietere durante
il mese di agosto.

Settembre

È il mese caratterizzato dalla vendemmia.

58-Quandu ‘ncigna la mura di spina

159
addunàtivi a’ la recìna.
Quando è matura la mora del rovo, sverrà a matura-
zione anche l’uva.

Ottobre-novembre

Con questi due mesi ci avviciniamo di nuovo


all’inverno e, per conseguenza, al freddo, per cui il ciclo si
riapre.

59-‘i tutti i Santi castagni erranti.


Per la festività di tutti i Santi le castagne cadono matu-
re dappertutto.

60-Pe’ Morti ‘a nivi è arrètu e’ porti.


Col giorno dei morti ci avviciniamo al periodo della
caduta della neve.

61-A San Martinu ogni mustu è vinu.


Di San Martino il mosto è già diventato vino.

62-‘i San Martinu


trasi l’acqua e nesci ‘u vinu.
L’astuto villano, per aumentare la sua riserva di vino,
immette nelle botti anche delle dosi di acqua. Si può an-
che voler dire che l’acqua caduta nel mese fa aumentare la
portata di mosto.

63-‘i Santa Catarini o acqua o ventu o nivi.


Per il trenta novembre il popolino prevede sempre una
brutta giornata.

Dicembre

È il mese del Natale e delle dolci zampogne.

64- ‘i Santa Bibiana

160
chiovi ‘nu misi e ‘na settimana.
Dal 2 dicembre in poi ci attenderanno un mese e una
settimana di piogge.

65-‘i Santu Nicola ogni mandra faci ‘a prova.


Per S. Nicola (6 dicembre) ogni mandria fa le prove.

I giorni della settimana

I soli giorni della settimana a essere presi in considera-


zione dal folklore risultano il martedì, il venerdì e il saba-
to, qualche volta anche la domenica.

66-Di vènnari e di marti non si spusa e non si parti.


È sconsigliabile sposarsi o effettuare un viaggio nei
giorni di martedì e venerdì, in quanto considerati infausti.

67-Cu’ rridi ‘i vènnari, ciangi ‘i sabbatu.


Poiché il venerdì ci ricorda la morte del Signore, è
d’uopo che in tale giorno non si svolgano feste, altrimenti
ci si dovrà pentire a breve scadenza.

68-Maliditta chija trizza chi di vènnari si ‘ntrizza,


beniditta chija pasta chi di vènnari si ‘mpasta.
È da condannarsi chi al venerdì lavora al solo scopo di
farsi bello, ma non chi svolge il suo solito mestiere.

69-‘i sabbatu ndi tàgghianu l’àbbitu,


‘i dominica ndi tàgghianu ‘a chìrica.
Soltanto alla sera del sabato il villano, dopo una setti-
mana di lavoro, riesce a trovare un po’ di tempo per re-
carsi dal sarto a farsi prendere le misure per un vestito.
Per lo stesso motivo egli ha tempo di recarsi dal barbiere
solo nella mattinata di domenica, ma questo si verificava
un tempo. Oggi anche i barbieri fanno festa la domenica.

161
70-‘a matinata faci ‘a jornata.
In genere, il lavoro fatto di buon mattino vale per tutta
una giornata.

Previsioni astronomiche

Dal colore e dalle varie forme che assumevano le nubi i


nostri antichi progenitori credevano, in buona fede, di po-
ter prevedere che tempo avrebbe fatto l’indomani.

1-‘u bontempu si vidi da’ matina


Già dal mattino è possibile prevedere che tempo farà
per tutto il periodo della restante giornata.

2-Celu pecurinu: acqua e ventu lu matinu.


3-Celu pecurinu: portanu pisci domani matinu.
Quando la sera prima le nubi tendono ad assumere la
forma di tante pecorelle, l’indomani ci porterà sicuramen-
te acqua e vento oppure grande abbondanza di pesci sul
mercato.

4-Quandu ‘u tempu è da’ muntagna


pìgghiati ‘u pani e vatìndi ‘n campagna.
Il cattivo tempo, quando si segnala dalla parte della
montagna, è destinato a durare poco. Perciò, si potrà an-
dare tranquillamente nel posto prefissoci chè non ne rice-
veremo danno alcuno.

5-Quandu ‘u tempu è da’ marina


pìgghiati ‘u pani e vatìndi ‘n cantina.
6-Quandu ‘u tempu è di Gioj fuj cchiù chi poi.
Al contrario di quanto affermato prima, il tempo catti-
vo durerà parecchio se ci dovesse pervenire dalla parte
del mare. Per gli abitanti della Piana il paese di Gioia rap-
presenta il più vicino sbocco al mare.

162
7-Quandu ‘u celu è a lana,
chiovi pe’ ‘na settimana.
Quando il cielo assume la forma di masse di lana è un
chiaro segno che pioverà per un’intera settimana.

8-Caddu ‘i muntagna e friddu ‘i marina.


Raggiungono il loro più alto grado il caldo in monta-
gna e il freddo in marina, contrariamente a quanto po-
trebbe apparire a un’analisi affrettata.

9-Bontempu e martempu
non dura gran tempu.
Le cose buone o cattive sono limitate nel tempo.

10-Bontempu e martempu non hannu ‘nu tempu.


Il tempo, buono o cattivo che sia, non è prevedibile.

11-Quandu chiovi e faci frisàli


chiovi fin’a domani.
Quando piove e produce fanghiglia continuerà a pio-
vere fino all’indomani.

L’AMORE

Supremo bene donato da Dio agli uomini, l’amore ha


ispirato all’animo popolare svariati stornelli e canzonette
e dolci aggraziate frasi.

1-Amari a cu’ non t’ama, è tempu perzu.


È vano amare chi non intende corrispondere.

2-Quandu amuri voli, trova locu.


Quando impera Amore, il luogo per amarsi è presto
trovato.

163
3-Cu’ pati p’amuri, non senti doluri.
Chi soffre per amore non può sentire alcun dolore.

4-Ama cori gentili e perdi l’anni


e cu’ villani non fari disinni.
Ama un cuor gentile e sacrifica i tuoi anni, ma non fare
mai alcun disegno con i villani. Il villano, oltre che trattare
rozzamente, non mantiene mai la parola data.

5-Ama a cu’ ti ama e rispundi a cu’ ti chiama.


Ama chi ti vuol bene e rispondi rapido a chi ti chiama.
Non sfuggire ai richiami d’amore.

6-L’amuri cu’ l’amuri si paga.


Amor con amor si paga.

7-L’amuri ‘i luntanu è comu l’acqua nt’o panàru.


L’amore che intercorre da lontano è come l’acqua nel
paniere. È una situazione insostenibile e, a lungo andare,
insopportabile.

8-Luntanu ‘ill’occhi, luntanu da’ menti.


Lontano dagli occhi, lontan dal cuore.

9-Figghiola, non amari foresteri


ca su’ comu li ceja di passaggiu,
aoj li vidi e domani li peri,
ognunu tira pe’ lu so’ viaggiu.
Figliuola, non amare forestieri chè sono come gli uccel-
li di passa, oggi li vedi e domani li perderai, ognuno tira
pel suo fatale andare.

10-‘u primu amuri non si sperdi mai.


Il primo amore non si scorda mai. È davvero indimen-
ticabile quel primo attimo che ha schiuso all’amore il no-
stro cuore.

164
11-Faci cchiù n’amuri ca centumila sdegni.
Può più un amore che centomila sdegni. Vale più una
buona parola che centomila minacce.

12-A cu’ non ti voli non lu volìri,


spùtalu ‘n facci e dàssalu jri.
Non amare chi non ricambia il tuo amore, ma sputagli
in faccia e lascialo perdere.

13-Quantu vali ‘na brunetta sapurita


non vali ‘na jancuzza cu’ rrobbi e dinari.
Pe’ ‘na brunetta nci zzippu la vita,
pe’ ‘na jancuzza no’ passu lu mari.
Quanto vale una brunetta appetitosa non vale una
biondina che possiede proprietà e denaro. Per una brunet-
ta mi gioco la vita, per una biondina non rischio nemme-
no di attraversare il mare.

14-‘a pagghia vicinu o’ focu


se non bruscia si pirija.
La donna a contatto con l’uomo, se non arriva a brucia-
re d’amore, ne rimane tuttavia scottata.

15-Se parràti ‘i pilu tenìtimi presenti.


Così ha detto il vecchio ridotto al lumicino, ma ancora
tenacemente aggrappato ai piaceri della carne, a un grup-
po di amici che parlottavano sottovoce alla sua presenza.

16-‘u rre non fa corna.


Non rappresenta un disonore se il re ci fa le corna, ma
tutto il contrario dato che si tratta sempre di corna reali.

17-L’amuri non è brodu ‘i fasòlu.


L’amore è una cosa altamente impegnativa, altro che
un brodo di fagioli!

165
FILASTROCCHE

Di tiritere, poesiole comiche e ritornelli vari, che il più


delle volte non hanno un senso logico e che gli anglosas-
soni amano definire “nursery rhymes”, cioè “filastrocche
da bambini”, abbonda il folklore di ogni paese. Traman-
date di generazione in generazione, un tempo tali curiose
composizioni facevano la gioia proprio dei bambini, che si
deliziavano un mondo ad ascoltarle e a ripeterle ogni
qualvolta se ne fosse presentata l’occasione.
Le filastrocche, per la massima parte, risultano elabo-
razioni di schietto sapore canzonatorio e la loro formula-
zione è quasi sempre frutto di un gioco di parole o di frasi
ritmate. Simili componimenti, spesso punto comprensibi-
li, che vengono sovente trascurati dalla ricerca folklorica
quasi certamente a motivo dello scarso apporto che forni-
scono nello scandaglio dell’anima popolare, hanno
anch’essi una certa validità e, se non altro, testimoniano
dell’estro ridanciano dei figli del volgo, che, pur fram-
mezzo alle traversìe della vita, amano sempre ridere e
scherzare.
Iniziamo a trattare di questo ennesimo filone della co-
siddetta letteratura gnomica col presentare le “composi-
zioni onomastiche”, vale a dire quelle che mettono in ber-
lina il nome di qualcuno. Dedichiamo la prima a un don
Mariano e ad una donna Concetta, amanti felici.

1-Marianu cu’ menza cazetta


faci l’amuri cu’ donna Cuncetta,
donna Cuncetta a menzu a lu chianu
faci l’amuri cu’ Marianu.
Mariano con mezza calzetta
fa all’amore con donna Concetta.
Donna Concetta in mezzo al piano (= piazza)
fa all’amore con Mariano.

166
Appresso segue Felice, maestro di non so che:

2-Mastru Filìci pici pici,


‘ssu mustazzu cu’ vu’ fici?
E vu’ fici don Filìci,
mastru Filìci pici pici.
Mastro Felice lemme lemme,
codesto mostacchio chi ve l’ha fatto?
E ve l’ha fatto don Felice,
mastro Felice lemme lemme.

A tutti coloro che avevano nome Giuseppe venivano


indirizzate queste scherzose tiritere.

3-Peppi caca serpi,


ti mangiasti cincu serpi,
t’i mentisti nd’o pertùsu,
Pepparèju ‘u garijùsu.
Peppe, defeca serpi,
hai mangiato cinque serpi,
le hai messe nel pertugio,
Pepparello il cisposo.

4-Peppineju è ‘nu bruttu cotràru,


nd’avi a li pedi ‘na brutta natura,
sabbatu mori, dominica schiatta,
Peppineju mustazzu di gatta.
Peppinello è un brutto ragazzo,
ha ai suoi piedi una brutta natura,
sabato muore, domenica schiatta,
Peppinello mostacchio di gatta.

Chi si chiamava Giovanni si doveva sorbire dagli amici


il regalo di quest’altro curioso motto.

5-Gianni di li vigni,
jiu ‘u si caca e no’ nci vinni,

167
nci scappàu la cacarèja
e si cacàu la cammisèja.
Gianni delle vigne
è andato per defecare, ma non è riuscito a farlo,
gli è venuta d’improvviso la diarrea
e così ha sporcato la camiciola.

A tutti gli Angelo era dedicata la simpatica strofetta


che segue.

6-Angilu, bell’Angilu,
pigghia lu sceccu e pùngilu,
pùngilu du’ culu
ca ti camìna sulu.
Angelo, bell’Angelo,
afferra l’asino e dai di pungolo,
spronalo dalla parte di dietro
e vedrai che camminerà da solo.

Quest’altro motteggio spettava a Lorenzo.

7-Lorenzu, poco ti penzu, pocu ti stimu,


se parri ti minu.
Lorenzo, poco ti penso, poco ti stimo,
se parlerai, te le suonerò.

Nicola è il protagonista della filastrocca seguente, una


composizione che risultava collegata a un piccolo gioco
che si faceva dai bambini.

8-Serra, serra, mastru Nicola,


cu’ ‘nu denti e cu’ ‘na mola,
cu’ ‘nu cocciu ‘i liva ‘i giarra
si rruppìu la me’ chitarra.
Sega, sega, mastro Nicola
con un dente e un molare,
con un’oliva conservata in orcio

168
si è rotta la mia chitarra.
Il gioco relativo a tale filastrocca si svolge nel modo se-
guente. Per prima cosa si prende un pezzo di spago e si
legano le due estremità. Indi, si mettono le mani in modo
da tenerlo ben tirato e si opera con le dita in guisa tale da
ottenere un incrocio di fili, di cui tre capi vengono tenuti
dai denti e dalle mani di colui che esegue l’operazione,
mentre il restante quarto è fatto prendere a un’altra per-
sona. Facendo andare avanti e indietro i vari fili, sia in
senso orizzontale che verticale, si ottiene una specie di se-
ga in azione. È compiendo questo movimento che i bam-
bini ripetevano felici la filastrocca di mastro Nicola.

A mastro Nicola fa seguito Concetta.


9-Cunci Cuncetta, ‘nu pani e ‘na ffetta,
‘na botta ‘ì cugnàta e ‘na sarda salata.
Concia, Concetta, un pane e una fetta,
un colpo di scure e una sarda salata.

È ora la volta di Rosa, donna di casa.

10-Rosa pitòsa,
fimmina di casa,
se veni to’ maritu
ti pizzica e ti basa
e ti jetta du’ barcùni,
Rosineja cucurùni.
Rosa pitòsa,
donna di casa,
se rientrerà tuo marito
ti darà pizzichi e baci
e ti butterà dal balcone,
Rosinella dalla testa rapata.

Vediamo ora cosa riservava a Francesco la tradizione


popolare.

169
11-Cicciu pasticciu,
candiloru e micciu,
‘u micciu nci catti
e s‘u mangiaru i gatti.
Ciccio Pasticcio,
candeloro e ciondolo,
il ciondolo (sta forse per membro) gli è caduto
e l’hanno mangiato i gatti.

A Francesco veniva appioppata anche quest’altra baia.

12-Cu’ morìu?- Cicciu ‘u puju.-


Cu’ campàu?- Cicciu ‘u babàu.
-Chi è morto?-Ciccio il pulcino.
-Chi è vissuto?-Ciccio la maschera.

E questa era per Bartolo.


13-Dormi, dormi, Bartulu meu,
c’ora veni barbajanni,
porta trìguli e malanni.
Jamunìndi arrètu all’ortu
ca nc’è ‘nu pedi ‘i càvulu stortu,
jamunìndi pe’ cchiù jusu
ca nc’è ‘na petra cu’ ‘nu pertùsu,
jamunìndi pe’ cchiù jà
ca facimu lu zzuccuzzà.
Dormi, dormi, Bartolo mio,
che ora verrà barbagianni,
portatore di sventure e di malanni.
Andiamocene dietro l’orto,
dove si trova un cavolo storto,
andiamone più giù,
dove vi si trova una pietra con un pertugio,
andiamocene più in là
che faremo lo zzuccuzzà.

Margherita è la protagonista della tiritera seguente.

170
14-Margherita facìa lu pani,
tutti li muschi nci jvanu jani
e nci jvanu a pocu a pocu,
Margherita jettava focu.
Margherita faceva il pane,
tutte le mosche vi si posavano
e lo facevavano a poco a poco,
Margherita accendeva il forno (ma anche: non ne po-
teva più).

Assai offensiva, che non le precedenti, la filastrocca


consacrata a Paolo.

15-Menzijornu staci sonandu,


mastru Pauli staci morendu,
preparàtinci lu tambùtu,
mastru Pauli è ‘nu cornùtu.
Sta rintoccando mezzogiorno:
mastro Paolo sta morendo.
Allestitegli la bara:
mastro Paolo è un cornuto.

Ancora per Paolo.


16-Paulu Pìulu, occhi di bumba,
jiu a la ‘Merica ‘u ‘ccatta ‘na trumba
e la trumba non ci sonava,
Paulu Pìulu si ‘rraggiàva.
Paolo Pìolo, occhi di bomba,
è andato in America
a comprare una tromba
e la tromba non suonava,
Paolo Pìolo si adirava.

La scanzonata anima popolaresca non dimenticava


che v’era anche una Maria Vincenza e a questa offriva un
curioso frizzo.

171
17-‘onna Mara Vicenza,
cu’ tri pulici nd’a la panza;
unu nci cala, unu nci nchiana
e unu nci faci la riverenza.
Donna Maria Vincenza,
con tre pulci sulla pancia:
uno vi scende, un altro vi sale
e il terzo le fa un inchino.

A Filomena è dedicata l’ultima facezia onomastica


della serie.

18-Filomena, culu lisciu,


si ndi jiu o’ Crucifissu
e passàu di la hjumàra
e si vagnàu ‘nu pizzu di la saja.
Filomena, dal culo liscio,
se n’è andata al Crocefisso
e ha attraversato la fiumara,
dove si è bagnato l’orlo della veste.
Andare al Crocefisso significa recarsi a Terranova Sap-
pominulio, paese dove ogni anno, dal 2 al 3 maggio, si ce-
lebra una rinomata festività consacrata a un miracoloso
Crocefisso di legno e un tempo, quando i mezzi di comu-
nicazione moderni erano di là da venire, ci si recava a
piedi, guadando di conseguenza qualche fiumara.

Nelle composizioni onomastiche un posto a parte me-


riterebbe quella dedicata a un grosso personaggio storico,
a quel Federico Barbarossa, ch’è, noto al popolino unica-
mente per la sua ferocia.

19-Federicu Barbarossa,
si mangiàu ‘na gatta grossa,
si cundìu tutti li mussa,
Federicu Barbarussa.
Federico Barbarossa

172
ha mangiato una gatta grossa,
si è sporcato tutto il muso,
Federico Barbarossa.

Esaurita la sequela delle composizioni onomastiche,


continuiamo la trattazione sulle filastrocche popolari pre-
sentando un’ulteriore sfilza, che abbiamo raggruppato
sotto la voce “Favolistica”. Sotto questa seconda etichetta
abbiamo inteso riunire tutti quei componimenti che han-
no a protagonisti gli animali. Il popolino calabrese, umile
e poetico a un tempo, non dimentica i minuscoli esseri che
gli vivono accanto e, nelle sue anonime creazioni, li fa
partecipi del suo mondo, delle sue gioie e dei suoi affanni.
I bambini di un tempo tenevano sul palmo della mano
una coccinella e, nel mentre l’invitavano ad aprire le ali e
a volarsene via, le dedicavano questa scherzosa cantilena.

20-Papuzzej chi jti a lu mari,


salutàtimi a me’ cummari,
salutàtimi la cchiù bella,
chija chi nd’avi la zaharella,
salutàtimi la cchiù brutta,
chija chi nd’avi l’anca rrutta
(oppure: lu culu di stuppa).
Coccinelle che andate per mare,
salutatemi mia comare,
salutatemi la più bella,
quella che tiene il nastrino,
salutatemi la più brutta,
quella che ha la gamba rotta,
(oppure il culo di stoppa).

La filastrocca seguente i bambini la rivolgevano a


qualche sfortunata chiocciola capitata loro tra le mani, con
la segreta speranza ch’essa si decidesse una buona volta a
mettere fuori dal guscio quei suoi graziosi cornetti.

173
21-Vovalàci caccia corna,
ca to’ mamma jiu pe’ straci
e ti porta lu cocò oj si e domani no.
Chiocciola, metti fuori le corna
chè tua madre è andata per cocci
e ti porta l’ovetto oggi sì e domani no.

Nella calura delle sere estive i bambini inseguivano le


lucciole rivolgendo loro questa breve strofetta.

22-Papanìa cala cala


ca ti spetta la bagnàra,
la bagnàra è china d’ogghiu,
cala cala ca ti ‘mbogghiu.
Lucciola scendi scendi
che ti attende la tinozza,
la tinozza è piena di olio,
scendi scendi che t’inzuppo.

E questa è la famosa storia del gallo di Cicirinella.

23-Cicirundella nd’avìa ‘nu gallu,


tutti li notti andava a cavallu.
Jeu nci misi la varda e la sella:
chistu è lu gallu di Cicirundella.
Cicirinella aveva un gallo
sul quale tutte le notti andava a cavallo.
Io gli ho messo il basto e la sella
e questo è il gallo di Cicirinella.

Quando un monello staccava con un sasso o altro la co-


da a una lucertola, se non voleva incappare nelle ire della
malasorte, doveva recitare questa cantafèra.

24-No’ hjestimàri a mia


ca su’ figghiu di Maria,
no’ hjestimàri a me’ mamma

174
ch’esti figghia di Sant’Anna.
Non imprecare a me
perché son figlio di Maria,
non imprecare a mia madre
perché a sua volta è figlia di Sant’Anna.

Solleticandolo sotto le ascelle e profferendo in pari tem-


po l’appropriata filastrocca, Nicola, il maiale, porge gof-
famente una zampa all’interlocutore, quasi che compren-
da e intenda davvero lasciargli in eredità quella sua ap-
pendice.

25-Cola, quandu mori e quandu ‘ngrassi,


qual’anca mi dassi?
Nicola, quando morrai e ingrasserai,
quale zampa mi lascerai.

La tiritera che segue prescrive quanto debbano dormire


l’uomo e alcuni animali.

26-‘na ura dormi ‘u gaju,


dui ‘u cavaju,
tri ‘u pezzenti,
quattru l’amanti,
cincu ‘u studenti,
sei ‘a bona genti,
setti ‘u biforcu,
ott’uri dormi ‘u porcu.
Un’ora dorme il gallo,
due il cavallo,
tre il nullatenente,
quattro l’amante,
cinque lo studente,
sei la buona gente,
sette il bifolco,
otto ore dorme il porco.

175
Ecco ancora una mutrita serie di cantafère dedicate
agli animali.

27-Pecura janca balla cu’ ‘n’anca,


pecura nira balla stasìra.
Pecora bianca balla con un’anca,
pecora nera balla stasera.

28-Pùlici e cìmici, ‘gnura maistra:


cosi chi non si ponnu supportàri.
A la casa ‘i me’ papà nuju pùlici nci sta.
Pulci e cimici, signora maestra,
cose che non si possono tollerare.
A casa di mio papà non vi si trova alcuna pulce.

29-Pùlici, lèvati ch’è jornu.


-Se mi levu vogghiu pani.-
-Tòrnati a curcàri.-
-Pulce, alzati ch’è giorno.-
-Se mi alzo, voglio del pane.-
-Allora, coricati di bel nuovo.

30-Arri arri cavallucciu,


ndi ndi jamu a currijàri
e ‘ccattàmu ‘nu bellu ciucciu,
arri arri cavallucciu.
Arri, arri, cavalluccio,
ce ne andiamo a vagabondare
e compriamo un bell’asino,
arri, arri, cavalluccio.

31-Jèttalu jèttalu a mari


‘mu s’u pigghia ‘u piscicani,
jèttalu, jèttalu ‘n fundu
‘mu s’u pigghia ‘u pisci palumbu.
Gettalo, gettalo a mare
perché se lo pigli il pescecane,

176
buttalo, buttalo nel fondo
perché lo afferri il pesce palombo.

32-Palumbeja zzoppa zzoppa,


quantu pinni teni ‘n coppa?
- Jeu ndi tegni vintiquattru,
una, dui, tri e quattru.
O palombella zoppa, zoppa,
quante penne porti addosso?
- Io ne tengo ventiquattro,
una, due, tre e quattro.

Le ultime quattro filastrocche venivano pronunciate


nel mentre si cercava di far trastullare i bambini.

Esaurita la seconda suddivisione, completiamo la no-


stra fatica presentando un ulteriore gruppo di composi-
zioni dedicate alle cose più varie e pronunziate nei fran-
genti più disparati.

Quando in una cerchia di ragazzi qualcuno emanava


un fetore sconcio, qualcun altro, al fine di scovarne
l’autore, ripeteva la filastrocca che segue toccando a uno a
uno tutti gli astanti, che nel frattempo si erano sistemati in
circolo. L’autore del “fattaccio” risultava proprio colui su
cui veniva a cadere l’ultima sillaba della strofetta, che ad
arte si faceva cadere su chi si aveva interesse a incrimina-
re.

33-Fetu fetillu,
ndi ndi jamu ndi mastru Chillu
e facimu la musicò,
cciù chi fetu chi veni di ccò.
Puzza, puzzerella,
ce ne andremo da mastro Chillo
e faremo la musicò, oh, che puzza che viene da qui.

177
I bambini rivolgevano scherzosamente quest’altra tiri-
tera a chi tra loro si era fatto radere i capelli a zero e offri-
va alla vista una lucida pelata.

34-Tignuseju, non jri pe’ ligna


ca ti ‘mbatti Cicciu Castagna.
Se ti vidi ti rrumpi la tigna,
tignuseju, non jri pe’ ligna.
Pelatino, non andare per legna
perché t’imbatterai in Ciccio Castagna.
Se questi ti vedrà ti romperà la zucca,
Pelatino perciò non andare per legna.

Nelle sagre paesane i tamburi sono stati sempre


d’obbligo e se uno “cantava” “Spara ca t’abbampa”, l’altro
sembrava fargli eco portando una specie di accompagna-
mento con “Mbràmbita, mbràmbita”.

Canto:
35-Spara ca t’abbampa, ‘nniricàtu tia,
‘mbivitìlla tutta e vidi chi ti fa.
Spara che ti brucia, sventurato te,
bevitela tutta e vedi che ti fa;
accompagnamento:
Mbràmbita mbràmbita all’anima ‘ i màmmita.
Voce che imita il suono del tamburo indirizzata
all’anima di tua madre.

Ecco ancora un intreccio di parole a doppiosenso.

36-Arzìra me’ mamma mi mandàu pe’ ogghiu


e pe’ la via mi catti lu stuppagghiu:
ora m‘u scippu e ora m’u tagghiu
e nci lu mentu pe’ stuppagghiu.
Iersera mia madre mi ha spedito in cerca di olio
e per la via mi è caduto il tappo.
Ora me lo strappo e ora me lo recido

178
e lo metto come tappo.

37-‘a putrunerìa ovverossìa la settimana del poltrone.

Luni lunijài,
marti e mèrcuri no’ filai,
giovi perdìa lu fusu,
vènniri ‘u trovai,
sabbatu ca era festa,
dominica mi fici ‘a testa.
Passanu i jorna e i dì
e sempri faci accussì.
Il lunedì ho lunediato,
martedì e mercoledì non ho filato,
giovedì ho perso il fuso,
venerdì l’ho ritrovato,
sabato ch’è stato festa,
domenica ho fatto il taglio dei capelli.
Passano i giorni e i dì
e sempre si comporta così.

Anche frammezzo alle fatiche guerresche i soldati si


danno pochi pensieri.

38-I sordati chi vannu a la guerra


mangianu, mbìvinu e fannu accussì:
sci, mpu, mpa a la facci di to’ papà.
I soldati che vanno in guerra
mangiano, bevono e sparano così:
sci, mpu, mpa, alla faccia di tuo papà.

Sulla medesima scia si possono collocare altri curiosi


ritornelli.

39-Paletta, paletta,
‘gnura cummàri,
nd’aju ‘na figghia di maritàri.

179
Voli jocàri a lu vintiquattru:
una, dui, tri e quattru.
Paletta, paletta,
signora comare,
ho una figlia da maritare.
Vuol giocare al ventiquattro:
una, due, tre e quattro.

40-‘mmuccia ‘mmucciatèja,
nesci tu Catarineja
pe’ la strata du’ mulinu,
pe’ chiantàri petrusinu,
petrusinu marianu,
nesci tu, capitànu,
capitànu ‘i Cincufrundi,
nesci tu, capij biondi.
‘mmuccia, ‘mmucciatèja,
dogghia colica nd’a padèja,
cu’ ‘mmucciàu e cu’ no’ ‘mmucciàu
nt’a la ricchi la pigghiàu.
Nascondino, nasconderella,
esci tu Caterinella
per la strada del mulino
a piantare prezzemolo,
prezzemolo mariano,
esci tu capitano,
capitano di Cinquefrondi,
esci tu, capelli biondi.
Nascondino nasconderella,
dolor colico nella padella,
chi si è nascosto e chi non l’ha fatto
del pari nell’orecchio l’ha preso,
cioè è stato fregato.
Queste due ultime filastrocche si pronunziavano
quando si giocava a nasconderella da parte di chi doveva
andare in giro a scovare coloro che si erano nascosti, dan-
do così il tempo per farlo.

180
Anche per la conta ci si serviva, a volte di personaggi e
di eventi sacri.

41-Palumbeja janca janca,


tu, chi porti nd’a ‘ssa lampa?
- Portu ogghiu benidittu
- pe’ vattijàri a Gesù Cristu.
Gesù Cristu è vattijàtu,
‘n tuttu lu mundu è nominatu,
è nominatu pe’ cosa vera,
o Maria, grazia prena.
‘nchianu supra e vidu chiusu,
calu sutta e vidu apertu,
vidu all’Angilu nt’a lu lettu
chi sonava lu violinu
e li santi piccirìj
chi jocavanu a li nucìj,
stocca, stocca ‘ssa catìna
ca lu ‘mpernu ndi rrovina,
ndi rrovina pe’ nostri peccati,
quandu morìmu morìmu dannati.
- Colombella, colombella bianca,
tu, che porti in codesta lucerna?
- Reco olio benedetto
per battezzare Gesù Cristo.
Gesù Cristo è battezzato,
in tutto il mondo è ricordato
ed è ricordato per un fatto reale.
O Maria, piena di grazia.
Salgo di sopra e vedo chiuso,
scendo sotto e vedo aperto,
scorgo l’Angelo sul letto
che suonava il violino,
rompi, rompi codesta catena
chè l’inferno ci rovina,
ci rovina per i nostri peccati,
quando morremo morremo dannati.

181
V’era un’apposita tiritera per quando la conta avveniva
tra due sole persone.

42-Tavula vecchia e tavula nova,


ccà si ‘mmuccia e ccà si trova.
Tavola vecchia e tavola nuova
qui si nasconde e qui si ritrova.

Si pronunziava nascondendo in una mano un pezzo di


carta o qualcosa equipollente. Indovinava e, quindi, aveva
diritto a iniziare il gioco, colui il quale indicava la mano
che conteneva l’oggetto nascosto.

Allorquando i bambini si rendevano insopportabili con


esigere insistentemente che si narrasse loro una favola, co-
lui che ne veniva richiesto faceva finta di cominciare la
narrazione, ma subito dopo rifilava loro questo ritornello.

43-‘na vota nc’era ‘nu vecchiu


chi cusìva ‘nu saccu vecchiu;
ogni tantu minàva ‘nu puntu:
aspettàti ca ora vu’ cuntu.
Cuntu, cuntozzu finu a chi pozzu,
quandu non pozzu cchiù, tu cunti tu.
C’era una volta un vecchio
che cuciva un sacco vecchio.
Ogni tanto tirava un punto:
attendete che ora ve lo racconterò.
Conto, contarello fin che potrò,
quando non potrò più te lo racconterai tu.

Sulla medesima falsariga della precedente si ritrova


quest’altra filastrocca.

44-‘na vota nc’era cu’ nc’era,


nc’era ‘na gatta e ‘na ciminèra.
‘a ciminèra catti e rrumpìu tutti i piatti.

182
Una volta c’era chi c’era, c’erano una gatta e un cami-
no. Il camino è precipitato e ha rotto tutti i piatti.

Il volgo calabrese usava rivolgere al pastorello questo


ritornello.

45-Massarèju chi vindi ricotti,


va’ a la chesa e ti ‘nginocchi
e ti cacci lu coppulinu,
massarèju lu malandrinu.
O pastorello che vendi ricotte,
vai in chiesa e t’inginocchi
e ti levi il berrettino,
o pastorello malandrino.

Ecco due brutti motteggi riservati alla vecchiaia.

46-‘a vecchia ‘mpàmpara,


‘u lignu fràcitu,
nci veni l’àcitu,
non torna cchiù.
La vecchia decrepita,
il legno fradicio,
le viene l’acidità,
non ritornerà più o non ringiovanirà.
Tale veniva cantalenata sull’aria “La donna è mobile”
del Rigoletto.

47-‘a vecchia quandu è vecchia


va perdendu la virtù:
‘a panza nci arripicchia
(o anche l’anchi nci fannu cìchiti)
e lu culu nci faci ppù ppù.
La vecchia quando è vecchia
va perdendo la virtù, la pancia le si aggrinzisce
(oppure, le gambe le scricchiolano)
e il culo emette suoni sconci.

183
Allorquando un piede perveniva a intorpidirsi, per far-
lo ritornare alla normalità era d’uopo assolutamente reci-
tare la seguente cantafèra.

48-Rispìgghiati pedi
ca l’angilu veni
e veni cantandu
cu Patri, cu Figghiu
e cu Spiritu Santu.
Svegliati piede
che l’angelo verrà
e verrà cantando
con Padre, Figlio
e Spirito Santo.

Una filastrocca per le zitelle.

49-Struzzu, struzzu, barbaruzzu,


una lava e una strica,
una prega a Santu Vitu
‘mu nci manda ‘nu bonu maritu,
‘nu bonu maritu a Munti castellu
e chi guarda chillu acellu,
chillu acellu fa cucù,
mina ventu e vola tu.
Tocco, tocco, mento,
una lava e un’altra strofìna,
una prega a San Vito
perché le mandi un buon marito,
un buon marito a Montecastello
e che guardi quell’uccello,
quell’uccello fa cucù,
tira vento e vola tu.

Ecco una filastrocca consacrata a una sconosciuta don-


na Paparona.

184
50-Donna Paparonna,
chi lampi e chi trona
e nui simu cincu frati,
ndi volimu maritari
nulla e nulletta
calu vasciu ‘n giardinu
pe’ pigghiàri a brisculinu,
brisculinu non nc’è,
veni tu arrètu a me.
Cuncia e Cuncetta
arrètu di Betta.
Donna Paparona (prolifica?),
che lampi e che tuoni
e noi siamo cinque fratelli:
ci vogliamo sposare,
nulla e nulletta,
scendo in giardino
a pigliare briscolino,
briscolino non c’è,
vieni tu dietro a me.
Concia e Concetta
dietro a Betta.
Probabilmente, si pronunziava unitamente a qualche
gioco.

Ecco ora una serie di filastrocche di carattere pretta-


mente religioso-ecclesiastico, nelle quali il sacro si unisce
al profano in una mescolanza di toni non necessariamente
satirici.

51-Chiovi, Signuri meu, ca non l’accatti,


la pigghi di lu mari e ndi la jetti.
Chiovi, Signuri meu, chiovi pe’ n’annu,
pemmu mi mangiu tri pani a lu jornu:
unu a la sira e n’atru a la matina
e n’atru quandu sona menzijornu.
Sutta a lu pedi chi nesci la luna

185
mina lu ventu e l’abbanduna,
zagharà zagharà
cicciu candìla e cancioffulà.
E sparamu la candilora,
caciu cavallu frittu cu’ l’ova.
Manda la pioggia, o mio Signore, dato che tu non la
compri,
la pigli dal mare e ce la butti.
Manda la pioggia, o mio Signore, mandala per un
anno,
perché possa mangiare tre pani al giorno:
uno alla sera e un altro al mattino
e un altro ancora quando suona il mezzogiorno.
Sotto al piede dal quale esce la luna
tira vento e l’abbandona,
zagharà zagharà
Ciccio candela e cancioffolà.
E spariamo la candelora,
cacio cavallo cotto con le uova.
Il contadino, da che mondo è mondo, ha implorato
sempre da Dio l’arrivo della pioggia.

La preghiera del povero.

52-Avi Maria, pani volìa,


pani non haju, mi curcu e mi staju.
Ave Maria, pane vorrei,
pane non ho, andrò a letto e vi starò.

Ecco una filastrocca-ninnananna.

53-Bambinuzzu piccirillu,
lu me’ cori lu voli iju,
iju ciangi ca lu voli,
Bambinuzzu ‘rrobbacori,
‘rròbbati lu cori meu,
Bambinuzzu figghiolu di Ddeu.

186
Bambinello piccolino,
è il mio cuore che lo vuole,
piange che lo desidera.
Bambinello rubacuori,
ruba il mio cuore,
Bambinello figliuolo di Dio.

Altra simile:
Bambinuzzu, Bambineju,
Bambinuzzu, Bambineju,
chi ssì dduci e chi ssì beju;
chija notti chi nescisti,
chiju friddu chi patisti.
La Madonna ti ‘mpasciàva,
San Giuseppi ti ‘nnacàva
e Sant’Anna ti dicìa:
dormi, figghiu, gioia mia.
Ninna nanna, ninna la vò,
dormi figghiu, me caru Gesò.
Bambinuzzo, Bambinello,
quanto sei dolce e quanto sei bello.
Quella notte, in cui sei nato,
quanto freddo hai patito!
La Madonna ti fasciava,
San Giuseppe ti cullava
e Sant’Anna ti diceva:
dormi figlio, gioia mia,
ninna nanna, ninna la vò,
dormi figlio, mio caro Gesù.
(Gesò sta per la rima).

Sulla medesima falsariga della precedente è la seguen-


te canzoncina, che veniva recitata del pari in occasione del
Natale.

54-Mariuzzèja, Mariuzzèja,
ti la fazzu la suppicèja,

187
ti la fazzu di pani e vinu,
nci la damu a Gesù Bambinu.
Gesù Bambinu no’ voli suppa
ca nci bruscia la vuccuzza,
la vuccuzza è china ‘i meli,
nci la damu a San Micheli.
Ti la fazzu cu’ pani e latti
pe’ salutari tutti li Santi,
li Santi piccirilli
chi jocàvanu a li nucìj,
li nucìj non calàvanu,
la Madonna li cogghìa,
San Giuseppe li tenìa,
li tenìa cari cari
pe’ la notti di Natali
pemmu ‘ddubba li cotràri.

Mariettina, Mariettina,
ti faccio la zuppettina,
te la faccio con pane e vino,
gliela offriamo a Gesù Bambino.
Gesù Bambino non vuole zuppa
chè gli scotta la boccuccia,
la boccuccia è piena di miele,
gliela offriamo a San Michele.
Te la faccio con pane e latte
per salutare tutti i Santi,
i Santi piccolini
che giocavano alle nocciòle,
le nocciòle non rotolavano,
la Madonna le raccoglieva,
San Giuseppe le conservava,
le conservava strettamente
per la notte di Natale
al fine di fare contenti i suoi bambini.

188
Quando capitava di smarrire qualche oggetto, si ricor-
reva subito a Santa Lucia, la sola in grado di farcelo rin-
venire presto.

55-Santa Lucia,
‘mmostràtimi chi perdìa
e perdìa ‘na cosa d’oru,
‘ mmostratimmìlla pe’ quandu moru.
O Santa Lucia,
fatemi ritrovare quel che ho perso
e ho perso un oggetto d’oro,
fatemelo rivedere per quando morrò.

Quando qualcuno raccattava un oggetto che aveva rin-


venuto, subito lo si rimproverava, ma il motivo era dupli-
ce. A volte, la disapprovazione nasceva dalla nausea che
ci pervadeva nell’osservare coloro che compivano
l’azione, ma spesso la causa era da ricercarsi nell’invidia
che ci coglieva per non essere stati noi a ritrovare il tale
oggetto.

56-Cu’ si pigghia i cosi ‘n terra


so’ mamma è sutta terra
e so’ patri nd’o casciùni
chi si mangia i maccarrùni.
Chi piglia le cose cadute a terra
sua madre è sotterra
e suo padre è dentro il baule
che mangia i maccheroni.

Ecco ancora in gioco le parole a doppiosenso, il sale di


quasi tutte le composizioni dialettali del genere.

57-La mugghièri dill’èrrimu cocu


tutta la notti si ‘nsonna ca ‘mpila
e ‘mpila brasciòla a lu focu
la mugghièri dill’èrrimu cocu.

189
La moglie del cuoco errante
tutta la notte sogna che infila
e infila braciole al fuoco
la moglie del cuoco errante.

I componimenti che seguono sono recitati dai genitori


ai propri bambini al fine di farli stare quieti. La festosità è
tutta nelle filastrocche ideate allo scopo, ma anche nel
molleggio delle anche, su cui venivano sistemati i pargo-
letti, i quali, è inutile dirlo, si divertivano un mondo.

58-Balla, balla, pupu di pezza,


scialacòri di to’ mammà,
quandu ti vidi tuttu si spezza,
scialacòri di to’ papà.
Balla, balla, o pupo di stoffa,
scialone di tua madre,
quando ti vede tutto si rompe,
scialone di tuo papà.

59-Manni mannuzzi (mani manuzzi?)


e cuti cutuzzi
jamu a la fera e ‘ccattàmu cucuzzi.
È comprensibile soltanto l’ultima parte e cioè “andia-
mo alla fiera e compriamo zucche”.

60-Naru, naru, naru,


cu’ voli ‘u vidi ballàri lu nanu
pemmu veni stasira cu’ scuru
e mu’ veni chianu chianu
pemmu vidi ballàri lu nanu.
Naro, naro, naro,
chi vuol vedere danzare il nano
che venga stasera col buio
e che venga piano piano
per vedere danzare il nano.

190
61-Se ti pigghiu ti fazzu cunigghiu,
ti levu a la staja e ti fazzu cavaju.
Se riesco ad acchiapparti,
ti farò diventare coniglio,
ti porterò nella stalla e ti trasformerò in cavallo.

62-Manu, manu morta,


‘mbùccati ‘sta ricotta.
Mano, mano morta,
metti in bocca questa ricotta.
Quest’ultima cantafèra veniva detta accompagnando
alle parole il gesto della mano.

Ecco ora una tiritera per la quale i bambini andavano


matti e che si recitava mostrando loro le dita della mano a
uno a uno.

63-pollice
Chistu dici: vogghiu pani;
indice
chistu dici: non avìmu;
medio
chistu dici: jmu e ‘rrobbàmu;
anulare
chistu dici: non sacciu la via;
mignolo
chistu dici: pirìju, pirìju,
dàtimi pani ca su piccirìju.
Il pollice dice: voglio pane,
l’indice risponde: non ne abbiamo,
il medio consiglia: andiamo a rubare,
l’anulare oppone: non conosco la via
e allora il mignolo conclude:
datemi pane chè son piccolino.

E questo è l’amaro canto della zitella:

191
64-Mannaja aguannu, mannaja aguannu,
volìa ‘mu mi maritu e no’ mi vonnu,
dassàtimi stari, dassàtimi stari
ca nd’haiu ‘na figghia di maritàri.
La tila e la tiletta
la tessìa quand’era schetta,
ora chi su’ maritàta
vogghiu èssiri campàta.
Mannaggia quest’anno, mannaggia quest’anno,
vorrei sposarmi, ma nessuno mi vuole,
lasciatemi stare, lasciatemi stare
chè ho una figlia da sposare.
La tela e la teletta
la tessevo quand’ero nubile,
ora che mi ritrovo sposata
pretendo d’essere mantenuta.

65-Genti c’avìti ‘ssi finestri vasci,


tornativvìlli a frabbicàri
ca l’atru jornu vitti fari ‘ngestri
‘i ‘na finestra mònacu ‘nchianàri.
E mali di sangu a iddru!
a iddru mali di sangu!
e mali di sangu chi nchianàva destru,
nchianàva cu’ li zzocculi a li mani.
O gente che avete le finestre basse,
cercate di rifarle in tutt’altro modo
perché l’altro giorno ho visto certe smorfie
e un monaco salire per una finestra.
E botta di sangue a lui!
A lui botta di sangue!
E botta di sangue come saliva accorto,
vi saliva tenendo gli zoccoli nelle mani.

Com’è abbastanza chiaro, s’irride ai monaci, sempre in


fama di godersi le donne e, quindi, audaci nel frequentare
le case altrui.

192
E qui s’irride allo sciancato.

66-Quandu lu zzoppu si pigghia di lena,


comu la leva chij’anca baggiàna.
Quando lo zoppo si entusiasma,
oh, come la muove quella sua anca sciocca;

67-E chi ssì?


Lupu o lapa,
cannozza ‘i pippa
o cacajòcciulu ‘i crapa?
E cosa sei?
Lupo o ape,
cannuccia di pipa
o sterco di capra?

68-O zzappa, chi ti chiami zzappa cuba,


tu ti cridìvi ca tu futti a mia,
jeu ti smarrùggiu e ti ‘nziccu nd’o saccu
e ti portu ‘n coju pe’ tutta a vita mia.
O zappa, che hai nome zappa scema,
tu pensavi di fregare me,
io ti tolgo dal manico e ti metto nel sacco
e ti porto appesa al collo per tutta la vita mia.

69-Mamma, Ciccu mi tocca.-


-Toccami, Ciccu, c’a mamma vo’.
O mamma, Cecco mi tocca-.
-Toccami, Cecco, che alla mamma sta bene.

70-Chi bàllinu pulìti ‘sti figghioli,


sulu Sant’Antoninu li poti ajutari.
Oh, come sanno ballare bene questi ragazzi,
solo Sant’Antonino li può aiutare.

71-Cumpari, domani vi ‘mbitu,


portàti la carni ca mentu lu spitu.

193
Compare, domani v’inviterò,
portate la carne che io ci metto lo spiedo.

72-Santu, santu, santu,


‘mu ti lèvanu ‘o Campusantu,
cu’ la lingua e cu’ li pedi
‘u ti sònanu ‘u misereri,
‘u misereri è ‘na menzogna,
‘mu ti cula puru la togna (denti)
Santo, santo, santo,
che ti possano portare al cimitero
con la lingua e con i piedi.
Che ti suonino il miserere,
ma questo è una bugìa,
che ti possano cadere i denti.

73-‘U monacu sutt’all’umbra


e ‘a monaca puru jà,
facendu cozzicatùmbula
si potìvanu stroppià’.
Il monaco e la monaca sotto l’ombra
facevano salti
e si potevano far male.
Si sottindende a un rapporto sconcio fra due monaci di
sesso diverso.

74-Mamma, ch’è bellu lu maritari,


pe’ ‘na sira, pe’ dui e pe’ tri;
quandu manca l’ogghiu e lu sali,
mamma, ch’è bruttu lu maritari.

Variante a Piminoro:
Tantu è bellu lu maritari
fin’a chi dura lu pani e lu sali.
Il matrimonio sta bene per il primo, il secondo e il ter-
zo giorno, quando è tutto illusione, ma non appena la

194
realtà prende il sopravvento e manca perfino l’olio e il sa-
le o, allora, quant’è brutto il matrimonio.

75-Domani si marìta Cicca l’orba,


cu’ lu pinnèju nci fazzu la barba.
Domani andrà sposa Cicca la guercia,
con un pennello le farò la barba.
È un’irrisione a una donna brutta e barbuta, ma anche
con altri difetti fisici.

76-Arzìra mi maritai,
pasta e cìciri mangiài,
pe’ dispettu ‘i me mugghièri
sutta ‘o lettu mi curcai.
Ieri sera mi sono sposato
e ho mangiato pasta e ceci,
ma per fare un dispetto a mia moglie
mi sono coricato sotto il letto.

Altro gioco con le mani.

77-Manu manu morta


‘u surici chi ti porta
e ti porta pani e casu
mina, mina nd’a ssu nasu.
Mano, mano morta,
il topo che ti porta?
E ti porta pane e formaggio,
tira, tira nel tuo naso.

78-Figghiu di pputtàna,
to’ mamma è nd’a tana
e to’ patri nt’o casciùni,
chi si mangia i maccarrùni,
grattàti cu’ sapuni.
Figlio di puttana,
tua mamma è nella tana

195
e tuo padre nel cassone
che mangia i maccheroni,
grattati col sapone.

Quando ci coglieva il mal di pancia, non c’era alcun bi-


sogno di correre dal medico perché il rimedio era bell’e
pronto. Bastava recitare il seguente duetto:

79-Mi doli ‘a panza.


-Va’ nd’onna Costanza.
-‘Onna Costanza no’ nc’è.
-Va’ nd’o rre.
-‘u rre è malatu.
-Va’ nd’o sordatu.
-‘u sordatu è a la guerra.
-Strìcati ‘a panza ‘n terra.
-‘n terra mi llordu.
-Vatìndi nd’all’ogghiu.
-Nd’all’ogghiu mi cundu.
-Vatìndi ‘i ‘stu mundu.
-Mi duole la pancia.-
-Vai da donna Costanza.-
-Donna Costanza non c’è.-
-Vai dal re.-
-Il re è malato.-
-Recati dal soldato.-
-Il soldato è in guerra.-
-Strofina la pancia per terra.-
-A terra mi sporco.-
-Bùttati nell’olio.-
-Nell’olio mi ungo.-
-Vattene da questo mondo.-

Sulla stessa falsariga si trova:

80-Domani è dominica:
nci tagghiàmu ‘a testa a’ chirica,

196
‘a chirica non c’è,
nci tagghiàmu ‘a testa o‘ rre,
‘u rre è malatu,
nci tagghiàmu ’a testa o’ sordatu,
‘u sordatu è a’ la guerra
e cadìmu ch’i mani ‘n terra.
Domani sarà domenica:
troncheremo la testa alla chierica;
la chierica non c’è,
troncheremo la testa al re;
il re è ammalato,
faremo lo stesso col soldato;
il soldato è in guerra
e cadremo con le mani per terra.

Quando il sole faceva capolino nelle brutte giornate


invernali, lo si implorava così a riapparire in tutto il suo
splendore.

81-Suli, suli, nesci, nesci,


ca to’ mamma jiu a la scola
e ti porta pani e ova.
Sole, sole, esci, esci,
chè tua madre è andata a scuola
a recarti pane e uova.

Per terminare questo non breve compendio sulle fila-


strocche calabresi, presentiamo un gruppo di composi-
zioni punto riferibili ad atti o persone.

82-Bonasira, dissi me’ patri,


quandu trasu e quandu nesciu;
se mangiàti, nommu ndi vogghiu,
ma, se tantu mi pregàti,
‘mu mi pìgghiu du’ brocciàti.
Buonasera, ha detto di pronunziare mio padre,
sia quando entro che quando esco.

197
Se state mangiando, non dovrò accettare l’invito, però,
se mi solleciterete, allora mi contenterò di accettare due
forchettate.

83-Mannaja lu fusu e la stuppa


e puru li vecchi chi vonnu filà,
‘assàti ‘u mi filu ‘sta picca di stuppa
e poi mi ndi vaju a curcà.
Mannaggia il fuso e la stoppa
e pure i vecchi che desiderano filare,
lasciatemi filare questo poco di stoppa
chè poi andrò a coricarmi.

84-Cerni, cerni la farina


cu’ lu crivu di Messina
e facìmu la votatura
cu’ lu crivu di la ‘gnura.
Vaglia, vaglia la farina
con lo staccio di Messina
e facciamo la votatura (voltatura?)
con lo staccio della signora.

85-O cummari c’a pettinissa,


vostru maritu chi arti fa?
- Me’ maritu faci lu fissa,
pozzu levàri la pettinissa.
O comare col pettinino,
vostro marito che mestiere fa?
Mio marito fa il fesso
e io posso fregiarmi del pettinino.
È una irrisione alle donne che si agghindano.

86-Sutt’’o lettu da’ zzi’ Cicca


nc’è ‘nu piattu ‘i mmerda sicca:
cu’ parra ‘u primu s’a ‘llicca.
Sotto il letto della zia Cecca
c’è un piatto di merda secca:

198
chi parla per primo la lecca.
Quest’ultima composizione è forse una filastrocca gio-
co: il primo della cerchia, che incautamente perviene a
parlare, è condannato a leccare metaforicamente la merda
secca.

Segue una serie di domande facete, come il Chiapparo


ha definito un tal genere di composizioni.

87-Voi ‘u veni cu’ mmia?


-A undi?
-A undi càcano i palumbi!
Vuoi venire con me?
Dove?
Dove defecano i colombi!

88-Voi ‘u t’icu ‘na cosa? dice uno all’altro;


-Chi? risponde l’altro accostando l’orecchio;
-Chicchirichì!
per tutta risposta si ha dal primo un sonorissimo “chic-
chirichì” all’orecchio, che lo rende intronato.

89-Nc’i ‘u dicu a to’ mamma pe’ ‘na palòra!


-Chi?
-Cìchiti, cìchiti e pumadora!
La riferirò a tua madre una certa parola che hai pro-
nunziato!
- Chi?
- Cìchiti, cìchiti e pomodori.

90-Chi voi? Pici o sali?


-Pici.
-Pe’ cent’anni simu amici.
-Sali.
-Pe’ cent’anni simu cummàri.
- Che vuoi, pece o sale?
- Pece. - Per cent’anni saremo amici.

199
- Sale. - Per cent’anni saremo comari.

91-Dici petra liscia:


‘u diavulu ti piscia.
Dici: pietra liscia.
Il diavolo ti orinerà addosso.

Frase lapalissiana.

92-‘gnura monaca, vu’ cadìstivu?


-‘gnura no ca stroppicài.
- Signora monaca, siete caduta?
- Signor no, ho soltanto inciampato.

93-Comu?
-Comu Diu fici l’omu.
-Come?
-Come Dio ha fatto l’uomo.

94-Comu?
-Vicinu Milanu.
-Come (Como)?
-Vicino Milano.

95-‘a Catuna è vicinu Riggiu.


Si pronunzia quando una persona si rivolge all’altra
dicendo “ca tuni”, cioè: io sono così, perché tu no?

96-Pecchì?
-Pecchì dui non fannu tri.
-Perché?
-Perché due non fanno tre.

97-Chi si dici?
-Ch’e sardi si mangiàru ‘e lici.
-Che si dice?
-Che le sarde hanno divorato le alici.

200
98-Cu’ morìu?
-Cu’ non potti campàri cchiù.
-Chi è morto?
-Chi non è potuto vivere più.

99-Arzira jia a Drosi,


na figghiola m'issi: - Trasi,
ca ti dugnu belli cosi: nucipèrzica e ceràsi.
Ieri sera mi sono recato a Drosi
e una giovinetta mi ha invitato a entrare.
– Ti regalerò – ha detto - nocipesche e ciliegie.

100-Pumu russu ferrandina,


urdi pili jiu a la fera.
- Chi ‘cattasti.-
- ‘na lumèra.
- Quantu ‘a pagasti?
- Tri carrini.
- Mina ‘nu pugnu e ‘na culàta
e no’ ccumparìri cchiù pe’ ccà,
lìbbara ‘a morti cu’ l’anchi storti.
Mela rossa ferrandina,
quel tale che trama è andato alla fiera.
- Cosa hai comprato?-
- Una lucerna.-
- Quanto l’hai pagata?-
- Tre carlini.-
- Tira un pugno e una botta di culo
e non venire più da queste parti,
lascia libera la morte con le gambe storte.

101-Ciànginu l’occhi mei comu du’ viti


quandu di malu tempu su’ putàti.
I miei occhi piangono come due viti
potate in un tempo inadatto.

102-Comu siti?

201
Cu’ du’ pedi comu o’ gaiu.
- Come state?-
- Con due piedi come il gallo.

103-E ora chi facimu?


- Facimu comu all’antichi,
chi si pigghiàru ‘u culu a manàti.
-Arrivati a questo punto che cosa possiamo fare?
-Faremo come gli antichi,
che hanno dato manate al culo.
Quindi, niente da fare!

104-Chi mangiàmu?
- Cazzi, cucuzzi e ova.
E adesso cosa possiamo mangiare?
- Cazzi, zucche e uova!

105-Cu’ ccu si’?


- Cuccu rresti e cuccu mori!
-Con chi sei?
-Sei cucco e resterai cucco.
Come si nota, si giuoca con le parole.

106-Quandu?
- Quandi chiovi e no’ faci falacchi!
- Quando?
- Quando pioverà e non produrrà fango!

107-E poi?
- Figghia ‘a vacca e faci ‘u voi!
-E dopo?
-Partorirà la vacca e farà un bue.

108-Puntu e basta
e ciciri c’a pasta.
Punto e basta
e ceci con la pasta.

202
Giornata di festa con gli archi e sulla destra la “panzarella”
di Piminoro

203
INDOVINELLI

Assai in voga nell’antichità come semplice divertimen-


to, ma rivestente a volte anche un carattere ordalico, per
cui, intuendo ciò che si proponeva enigmaticamente, si
otteneva un alto premio (es. Edipo, Calaf ecc.),
l’indovinello rappresentava un tempo uno degli sfoghi
più consueti dell’animo popolare. Ideato in versi, come le
filastrocche, risulta una ben strana composizione, la cui
soluzione, assai semplice e naturale, appare celata in un
giro di frasi oscure e apparentemente di significato diver-
so, che molto spesso risultano concepite in un linguaggio
alquanto osceno, ma, invero, assai aderente al modo di
vivere e di pensare della gente comune.

1-Nd’aju ‘na cosa chi si chiama ndola,


stavi sempri nd’e cazi ‘i tila,
quandu vidi fìmmini si ndola,
quandu vidi buca ja si ‘mpila.
Possiedo una cosa che ha nome ndola
(il membro maschile),
si trova sempre nei calzoni di tela,
appena avvista femmine si ndola,
appena avvista buchi vi s’infila. (navetta del telaio)

2-È tundu e non è mundu,


è d’acqua e non è erba,
è russu e non è focu.
È tondo e non è la Terra,
è fatto d’acqua, ma non è erba,
è di color rosso, ma non è il fuoco. (cocomero)

3-Mangiu, mbivu e mi lavu ‘a facci.


Mangio, bevo e mi lavo il viso. (cocomero)

204
4-È tundu e non è mundu,
è acqua e non è funtana,
è russu e non è focu.
È tondo e non è il mondo,
è acqua e non è sorgente,
è rosso e non è fuoco. (cocomero)

5-Nc’è ‘na cosa chi mùzzica


e non avi denti.
Esiste una cosa che morde
pur non avendo denti. (spezia)

6-Mamma, mamma, sugnu prena.-


- Figghia, figghia, cu’ ti ‘mprenàu!-
- Mi ‘mprenàu lu zzi’ ‘Ndria
sutta o’ ponti da’ ferrovia.
Mi ‘ncugnàu ‘na cosa liscia
e mi stuppàu lu piscia piscia.
- Mamma, mamma, mi trovo incinta.-
- Figlia, figlia, chi è stato a comprometterti?-
- È stato lo zio Andrea
e il fatto si è verificato
sotto il ponte della ferrovia.
Mi ha messo una cosa liscia
e mi ha turato l’organo da dove orino.
(margherita della botte)

7-Calu nd’a me’ ‘gnura,


staju ‘nu quartu d’ura:
nd’aju ‘na cosa liscia
e nc’i ‘a mentu a undi piscia.
Scendo dalla mia signora
e vi sto un quarto d’ora.
Ho una cosa liscia
e gliela metto laddove piscia. (margherita della botte)

205
8-Gira, giranna, vota, votanna,
fa’ chija cosa poi si riposa.
Gira girando, volta voltando,
svolge quel compito
e poi si riposa. (chiave)

9-A’ muntagna nasci,


a’ muntagna crisci,
veni a casa e scrusci.
In montagna nasce
e in montagna cresce,
viene a casa e fa rumore. (telaio)

10-Intra o’ stanzìnu nc’è don Peppinu


vestùtu ‘i iancu c’a manu o’ hjancu.
Dentro la stanzetta si trova don Peppino,
vestito di bianco e con la mano a fianco.
(vaso da notte)

11-Supra a ‘nu munti


nc’è ‘nu giuvani ardenti
c‘a manu ‘n fiancu
e ch’i labbra votàti
comu e mussa ‘i to’ frati .
Sopra a una montagna
si trova un giovane ardente,
che ha una mano a un fianco
e le labbra rivoltate
come quelle di tuo fratello. (vaso da notte)

12-Sacciu ‘na cosa chi ‘a mentu tisa


e ‘a cacciu morta.
Conosco una cosa che, quando la metto, è tesa,
quando la tolgo è morta. (pasta)

13-ammenz’a tri anchi


nc’è lu gguagguaragguà:

206
iju mi ‘rrisi e jeu nci la misi,
tosta la misi e moja ‘a cacciài
e di la punti gralimandu nescìu.
Sopra il tripode
c’è l’acqua che bolle:
lui mi ha sorriso e io gliela ho messo,
tosta l’ho messa e molle l’ho tolta
e dalla punta è uscita lacrimando. (pasta)

14-‘nchianu sup’a ‘na gnura,


staju ‘nu quartu d’ura;
quandu ija nci arridìa,
jeu subitu nci lu mentìa.
Salgo su di una signora,
vi sto un quarto d’ora;
quando lei rideva,
io subito gliela ho messo. (pasta)

15-Pilu cuntra pilu,


jza l’anca ca tu’ ‘mpilu.
Pelo contro pelo,
alza la gamba che te lo infilo. (calze di lana)

16-Pilùsu d’intra e pilùsu ‘i fora,


‘llonga l’anca ca t’a mentu ora.
Peloso all’interno e all’esterno,
allunga le gambe che ora te l’infilo. (calza di lana)

17-Nd’aju ‘nu monacu carceratu,


è nd’o puntu di morìri,
pe’ favuri, facitìlu nesciri.
Ho un monaco carcerato,
è sul punto di morire,
per favore, fatelo uscire. (scorreggia)

18-‘ndovìna ‘ndovinagghia:
cu’ faci l’ovu nd’a pagghia?

207
Indovina, indovinello,
chi è che fa l’uovo nella paglia? (gallina)

19-Sacciu ‘na cosa chi si chiama Rosa,


rosa non è, ‘ndovina chi è.
So di una cosa che si chiama Rosa,
ma Rosa non è, indovina cos’è? (papavero)

20-Se ‘ndovini comu si chiama me’ mugghieri Rosa


ti rigalu ‘na pezzotta ‘i casu.
Se indovinerai che nome ha mia moglie Rosa
ti darò in regalo una forma di formaggio.

Quest’ultimo, più che un indovinello, è un modo di


dire ed è rivolto a coloro che indovinano cose abbastan-
za ovvie.

21-Signor Do’ Maggistorio,


alzatevi dal vostro riposatorio
mettetevi i mandrànguli,
guardàtivi di’ mali ‘ncuntri,
avvisàti la vostra patrona e dòmina
ca sarta e gràncina
si sciarrìjau cu’ coci crudu,
scaccia petrùja ca jacca d’arrìsi,
se non currìti cu’ l’abbondanza
perdìti tutta ‘a sustanza.
Signor don Magistorio,
scendete dal vostro letto,
calzate le pantofole,
attento ai mobili,
avvisate vostra moglie
che il gatto
ha litigato col fuoco,
l’asino sta crepando dalle risa,
se non accorrete con l’acqua
perderete tutti i beni.

208
Questo è un misto d’indovinello e filastrocca, dove le
contaminazioni dall’italiano risultano parecchie.

22-Su’ donna di palazzu,


cascu e no’ m’ammazzu.
Sono donna di palazzo,
cado e non mi faccio niente. (oliva)

23-Sup’a ‘nu munti nc’è Iapicu ‘n frunti


c’a spata a manu e lu cappellu ‘n frunti.
Su un monte c’è Giacomo di fronte
con la spada in mano
e il cappello in testa. (ghianda)

24-‘u papa l’avi grossu,


e’ fimmini nci piaci:
è ‘na cosa chi trasi e nesci.
Il papa ce l’ha grosso,
alle donne piace:
è una cosa che entra ed esce. (anello)

25-Vaju a Messina e portu ‘na cosa fina:


all’òmini nc’ia ‘mmostru,
e’ fimmini nc’ia ‘nfilu.
Mi reco a Messina e porto una cosa fine:
agli uomini la mostro,
alle donne gliela infilo. (anello)

26-‘nd’aju ‘na cosa


chi nd’ mani vaci e nd’a coscia no.
Posseggo una cosa che va bene
per le mani, ma non per la coscia. (fucile)

27-Setti cavalli janchi


e unu sulu russu
chi mina càuci a tutti.
Sette (anche 32) cavalli bianchi

209
e uno soltanto rosso
che tira calci a tutti. (lingua e denti)

28-Pendìnguli e pendànguli:
sutt’all’anchi ‘i to’ mammà
nc’è ‘nu pendìngulu e ‘nu pendàngulu.
Pendìnguli e pendànguli:
in mezzo alle gambe di tua madre si trovano
un pendìngolo e un pendàngolo. (uva)

29-Peppi, Peppi, chi facisti tu?


Darrètu mu’ mentisti?
Pe’ l’amuri ‘i tutti i santi,
cacciammìllu d’arrètu
e mentimmìllu davanti.
O Peppe, Peppe, cosa mai hai fatto?
L’hai messo dietro?
Per l’amore di tutti i santi,
toglimelo da dietro
e mettimelo davanti. (braciere)

È opinione comune che il braciere messo dietro le


spalle di qualcuno produca dei malanni.

30-Sutt’o ponti di Bellacqua


nc’è ‘na donna chi si sciacqua brillantina,
figghiu di rre cu’ l’indovina.
Sotto il ponte di Bellacqua
si trova una donna che si agghinda,
sarà figlio di re chi l’indovinerà. (anguilla)

31-Sutt’o ponti ‘i Bellacqua


nc’è ‘na bella Crementina
teni l’occhi comu ‘a gatta
mancu ‘u rre ca l’indovina.
Sotto il ponte di Bellacqua
c’è una bella Clementina,

210
ha gli occhi come la gatta,
neanche il re riuscirà a sapere chi sia. (anguilla)

32-nc’è ‘na cosa ammenz’a casa,


cu’ ‘rriva pe’ prima ‘a basa.
C’è una cosa al centro della casa,
chi arriva per primo la bacia. (brocca)

Quando nelle case l’acqua corrente era più che un so-


gno, a soddisfare la sete provvedevano le brocche e, na-
turalmente, il villano o l’operaio vi accostavano la bocca
non appena rientravano dal lavoro usato.

33-Supa a ‘na panca triccentu cinquanta


e ‘nu monacu russu chi balla cu’ n’anca.
Sopra una panca trecento cinquanta
e un monaco rosso che balla con una gamba.
(ciliegia)

34-Nesciu du’ scuru


e battu nt’o to’ culu.
Esco dal buio
e m’imbatto nel tuo sedere. (vino)

35-Se vo’ sapìri lu chi e lu comu,


menti i mani nt’e brachi ‘ill’omu
e se vo’ vidìri ca ti lu dicu
menti i mani nd’o vijcu.
Se vuoi sapere il perché e il come,
metti le mani nei calzoni dell’uomo
e se vuoi vedere che te lo dico
metti le mani nell’ombelico. (orologio)

Il riferimento è all’orologio da tasca, portato solo


dall’uomo, il quale per vedere l’ora, doveva alzarlo
all’altezza dell’ombelico.

211
36-O chi gustu e chi piacìri
quandu si toccanu pili cu’ pili.
O che gusto e che diletto
quando si strusciano peli con peli. (ciglia)

37-nc’è ‘na mamma chi faci i figghi nd’a cascia.


C’è una madre che partorisce
dentro una cassa. (melagrana)

38-Centu nidi e centu ova,


centu para di lenzola.
Cu’ mi ‘nzerta chista prova
nc’i rigàlu ‘nu paru d’ova.
Cento nidi e cento uova,
cento paia di lenzuola.
A colui che indovinerà questa prova
regalerò un paio d’uova. (melograno)

39-‘nc’esti ‘na mandra ‘i pecuri curci,


chi quandu bràmanu, bràmanu tutti.
C’è un branco di pecore senza coda,
che quando belano, lo fanno all’unisono.
Variante:
sacciu ‘na mandra di pecuri russi,
chi quandu pìscianu pìscianu tutti. (tegole)

40-Sacciu ‘na cosa longa e tisa


chi si ‘nzippa nd’a cammìsa.
Conosco una cosa lunga e tesa
che si appende sulla camicia. (cravatta)

41-nc’esti ‘na tafareja china ‘i ceràsi


c’a sira nci sunnu e a’ matina scumpàrinu.
C’è un cesto colmo di ciliegie
che di sera si trovano e di mattina
si dileguano. (stelle)

212
42-‘a pèndula ‘i me’ patri Genoìsi
pendìva comu coccia di ceràsi:
a ‘na figghiola schetta nci la misi,
nci vòrziru tant’anni ‘mu nci trasi.
Tantu forti poi chi nci la misi,
catti ‘nu casteju e deci casi.
Il pendolo di mio padre Genovese
pendeva come tante ciliegie.
A una giovane nubile gliel’ha messo
e sono occorsi tanti anni perché vi entrasse.
Tanto forte poi che gliel’ha messo
che sono caduti un castello e dieci case. (orecchini)

43-Li palli di’ lu papa Germanesi


nci ‘mpèndinu comu du’ nnocchi di ceràsi.
A ‘na fimmina a quindici a nni nci la misi,
si misi ‘u grida prima ‘mu nci trasi.
Le palle del papa Germanese
pendono come due grappoli di ciliegie.
A una quindicenne gliel’ha messo
e lei si è messa a gridare prima ch’entrasse.
(orecchini)

44-Supa a’ ‘nu munti di piripipì


nc’è ‘n cavallucciu di so’ maistà.
Cu’ mi ‘ndivina nci dugnu ’n tarì.
Su di un monte di pipiripì
sta un cavalluccio di sua maestà.
A chi l’indovina regalerò un tarì. (torre dell’orologio)

45-Me’ patri e m’ mamma su’ morti


e jeu nescìa.
Vaju a la guerra e no’ fazzu ‘u sordatu.
Ahimìa, comu vinni l’omu si batti
e jeu su’ battùtu.
Mentre io nascevo
i miei genitori morivano.

213
Vado in guerra e non faccio il soldato.
Ahimè! L’uomo, appena arrivato, si batte
e anch’io son battuto. (tamburo)

46-Pirulì trasi ‘n bosco,


pirulì trasi tostu,
pirulì, tu lu sai,
pirulì, tiritìndi assai.
Pirulì entra nel bosco,
pirulì entra tosto,
pirulì, tu lo sai,
pirulì tirane assai. (pettine)

47-No’ ssù brutta e no’ ssù bella,


sugnu ‘nu pocu brunettella,
vaju ‘n camera di principi e di rre:
ndovinàtimi chi jè.
Non son brutta e non son bella,
sono un tantino brunettella,
vado in camera di principi e di re:
-Indovinatemi cos’è. (mosca)

48-Guarda chi monacu vestùtu ‘i niru!


Oh, chi pacenza nci ‘mpendi jà.
Guardàti chi meravigghia:
la mmerda pigghia, pruppetti fa.
Guarda che monaco vestito di nero!
Oh, che pazienza gli pende là.
Guardate che meraviglia:
la cacca piglia, polpette ne fa. (scarafaggio)

49-nd’aju ‘na cosa longa e liscia


cu’ ‘nu fioccu di sutta,
gira p’a stanza
e poi si ndi vaci nd’a ‘n angulu.
Possiedo una cosa lunga e liscia,
che con un fiocco di sotto

214
gira per la stanza
e poi finisce in un angolo. (scopa)

50-Artu palazzu:
se cadu m’ammazzu,
me’ mamma mi vidi
e si menti m’arrìdi.
Un alto palazzo,
se cado mi ammazzo,
mia madre (il riccio) mi vede
e si mette a ridere. (castagna)

51-Sugnu ‘nt’a ‘nu grandi palazzu:


cadu ‘n terra e no’ m’ammazzu
e me’ mamma chi mi vidi
lapri ‘a vucca e sempri arridi.
Sono dentro un grande palazzo,
cado a terra e non mi ammazzo
e mia madre che mi vede
apre la bocca e sempre ride.

E’ una variante della precedente.

52-ndovina ndovinaturi,
galantòmini e signuri,
prima era figghia,
ora su’ mamma,
nd’aju ‘nu figghiu
maritu ‘i me’ mamma.
Indovinate, o risolutori,
galantuomini e signori,
prima ero figlia,
ora son madre,
ho un figlio
marito di mia madre.

215
Alcuni dicono trattarsi del carcerato, ma in verità si
tratta di un indovinello dal significato piuttosto sibillino e
incerto.

53-Sutta a’ ‘nu pedi nguanguaranguà


nc’è ‘na donna curcàta jà,
è vestuta cu’ l’abbitinu,
cu’ mi la ‘nzerta ‘nci’ugnu ‘n carrinu.
Sotto un piede di nguangaranguà
si trova una donna lì coricata,
è vestita con l’abito nuovo,
a chi l’indovina darò un carlino. (melanzana)

54-Sacciu ‘na cosa chi parla ‘n favella,


ma tu no’ senti la parla chi fa.
Se vo’ vidìri quantu sì bella,
ija non veni se tu non vai jà.
Conosco una cosa che parla con favella,
ma tu non ascolti il discorso che fa.
Se vorrai vedere quanto sei bella,
lei non verrà se tu non andrai là. (specchio)

55-Calu vasciu all’ortu


e vidu ‘n omu mortu,
nci calu i cazùni
e nci vidu ‘u battagghiuni.
Scendo nell’orto
e incontro un uomo morto,
gli abbasso i pantaloni
e vedo il grosso battaglio. (granturco)

56-Ndìndiri ndindirindòla,
no’ mi toccàri ca sugnu figghiola,
quandu su’ randi mi nèscinu i pili,
l’haju janchi e si fannu niri.
Ndindiri ndindirindòla,
non mi toccare chè son figliuola,

216
quando sarò grande mi compariranno i peli,
ora sono bianchi, ma poi diventeranno neri. (spiga)

57-Don Peppinu e don Peppanu,


chi faciti nt’a ‘ssu chianu?
No’ mangiati e no ‘mbivìti
e cchiù longu vi faciti.
Don Peppino e don Peppano,
cosa fate in su la piazza?
Non mangiate e non bevete
e sempre più alto diventate. (asparago)

58-Sup’a ‘na finestreja


nc’è ‘na vecchiareja,
cu’ ‘nu sulu denti
chiama tutta ‘a genti.
Sopra a una finestrella
c’è una vecchierella,
che con un sol dente
chiama tutta la gente. (campana)

59-Sup’a ‘nu munticeju


nc’è ‘nu vecchiareju
e cu’ passa nci caccia ‘u cappeju.
Su un monticello
c’è un vecchierello
e chi passa gli cava il cappello. (fungo)

60-Rùmbulu cutùmbulu
sutt’o ponti caminava
e cchiù denti non avìa
e cchiù forti muzzicava.
Ciottolo capriola
sotto il ponte camminava
e più denti non aveva
e più forte mordeva. (pepe)

217
61-Virdi nasci, virdi crisci e virdi mori.
Nasce verde, cresce verde e muore verde. (cetriolo)

62-Sup’a ‘na chianta centucinquanta:


‘a cuda virdi e ‘a testa hjanca.
Sopra una pianta sono in centocinquanta:
hanno la coda verde e la testa bianca. (cipolla)

63-Nc’esti ‘n arburu piangenti


cu’ triccentu cavaleri,
ognunu la so’ spata
a’ Madonna Ddolorata.
C’è un albero piangente
con trecento cavalieri,
ognuno offre la sua spada
alla Madonna Addolorata. (ficodindia)

64-Pòvira mamma sbenturata,


faci i figghi ammenz’e spini,
‘na cuperta ricamata,
pòvira mamma sbenturata.
Povera madre sventurata,
partorisce in mezzo alle spine,
una coperta ricamata,
povera madre sventurata. (ficodindia)

65-‘i luntanu ti lu vitti,


ammenz’all’anchi t’u calài,
‘i quantu bellu ti lu vitti,
jeu di tia mi ‘nnamurai.
Da lontano te l’ho visto,
frammezzo alle gambe te l’ho calato,
di quanto bello l’ho visto,
io di te mi sono innamorato. (latte di capra)

66-Pendigghiu pendìa,
dormigghiu dormìa.

218
Cadi pendigghiu
e rispigghia a dormigghiu.
Si leva dormigghiu
e si mangia a pendigghiu.
Pendiglio pendeva,
dormiglio dormiva.
Cade pendiglio
e sveglia a dormiglio,
si alza dormiglio
e mangia pendiglio. (pera)

67-Ndòndulu ndòndulu, mamma,


chi ti ‘mpendi nd’a ‘ssa gamba?
E mi ‘mpendi ‘a massima ‘terna:
lu ‘nzippu a lu scuru
e no’ vogghiu ‘a lanterna.
Ndòndolo ndòndolo mamma,
(ndòndulu è la pietra che fa da contrappeso al telaio),
che cosa ti pende da codesta gamba?
E mi pende la massima eterna:
lo metto al buio
e faccio a meno della lanterna. (tasca)

68-Partinu cincu e ‘u pigghianu due.


Partono in cinque e l’afferrano due. (naso)

69-Du’ lucenti, du’ pungenti,


quattru zzòcculi e ‘na scupa.
Due occhi, due corna,
quattro zoccoli e una coda. (vacca)

70-Nc’è ‘na cosa piccolina


chi ‘a sira si jnchi ‘a casa
e nesci ‘i fora.
C’è una piccola cosa
che a sera riempie la casa
e ne avanza per fuori. (lampadina elettrica)

219
71-Maritu meu, jsti e venisti
e chiju a menz’all’anchi nc’iu dassasti.
Marito mio, sei andato e ritornato
e quello in mezzo alle gambe
gliel’hai lasciato. (asino venduto)

72-Vivu: teni i gudeja intr’o corpu;


mortu: teni ‘u corpu intra ‘e gudeja.
Da vivo ha le budella dentro il corpo,
da morto il corpo dentro le budella. (porco)

73-Non haju vucca e sacciu parràri,


non haju pedi e sacciu caminàri.
Non ho bocca e so parlare,
non ho piedi e so camminare. (lettera)

74-nc’è ‘nu ‘nimali


c’a matina camìna cu’ quattru pedi,
a menzijornu cu’ dui
e a’ sira cu tri.
È l’uomo, che da bambino si muove simultaneamente
con mani e piedi, poi una volta grandicello con due e alla
fine della vita con tre. Infatti, spesso deve fare uso del ba-
stone.

BLASONI POPOLARI

Nella letteratura gnomica il blasone popolare rappre-


senta uno dei cardini fondamentali. Come per le grandi
famiglie lo stemma nobiliare è il simbolo del casato e raf-
figura in genere una particolare virtù di schiatta, così il
blasone popolare conferisce a interi paesi, in chiave di sa-
tira scanzonata, qualità e difetti della maggior parte degli
abitanti.

220
Ecco vari blasoni affibbiati a Oppido e frazioni. Alcuni
magnificano delle virtù, altri ne deridono i difetti.

1-A Oppitu nci sunnu l’omani gagliardi,


a Trisilicu li fimmini cajordi,
a Varapodi, focu mu li ardi,
nci càccianu di supa tutti ‘i rrobbi.
A Oppido vivono gli uomini gagliardi,
a Tresilico le donne sporche,
a Varapodio, che il fuoco se li prenda,
ti tolgono tutta la roba che hai addosso.

2-A Oppitu tri campani: omani e fimmini tutti pputtani.


Oppido ha tre campane: sia uomini che donne sarebbe-
ro di cattiva condotta morale. Tale blasone è però attribui-
to a tutti i paesi.

3-Oppidise donna ‘n granne.


Le donne oppidesi sono alquanto altere, sia perché
consce di appartenere a nobili casati, sia perché fiere della
grande tradizione vantata dal paese.

4-Oppitisi scorciampìsi, di la pej faciti cammìsi.


Forse un tempo gli oppidesi del ceto contadino usava-
no portare vestiti di pelle.

5-Oppitisi: scòrciali e mpìsali.


Gli oppidesi: scorticali e appendili.

6-Megghiu non avìri p’amicu n’Oppitisanu:


ti mangia lu cori, ti mbivi lu vinu,
ti tira la petra e ti ‘mmuccia la manu.
Per gli abitanti di Santa Cristina d’Aspromonte è bene
non coltivare amicizie con un oppidese. Questi ti mangia
il cuore, ti beve il vino, tira il sasso e nasconde la mano
che l’ha lanciato.
Variante:

221
Megghiu avìri ‘nu lupu pe’ amicu
e no’ ‘n amicu oppitisanu,
ca si mangia la carni,
si ‘mbivi lu vinu,
ti mina la petra
e si ‘mmuccia la manu.
È meglio avere un lupo per amico che non un oppide-
se. Questi si mangia la carne, beve il vino, tira il sasso e
nasconde la mano.

7-Allu misi di maju


no’ si vìndinu sumèri
e a Oppitu e Trisilicu
no’ pigghiàri mugghièri.
Nel mese di maggio non si vendono asini. Come è no-
to, è il tempo del loro amore. Contemporaneamente, non
pigliare moglie né a Oppido né a Tresilico.

8-A Trìsilicu tri cannistri:


omani e fimmini tutti maistri.

9-Trisilicòti mancanti mancanti:


omani e fimmini tutti briganti.
In Tresilico, una volta comune a sé e oggi semplice
rione di Oppido, gli abitanti sono considerati di volta in
volta maestri di cucito ovvero briganti.

10-A Trisìlicu ‘mmazzàru ‘na gatta,


a Oppitu ‘a scorciàru
e a Varapodi s’a mangiaru.
Se i tresilicesi ammazzano i gatti, gli oppidesi si preoc-
cupano di ripulirli, mentre i varapodiesi sono lieti di
mangiarseli.

11-Abbuffàti ‘i Castejàci,
leva morti senza cruci
e mancu li straci,

222
abbuffàti ‘i Castejàci.
Gli abitanti di Castellace, popolosa frazione di Oppido,
hanno forma tozza e goffa. Tra le tante tradizioni, hanno
quella di portare i morti al cimitero senza alcun particola-
re segno di croce.

12-Su’ rugnùsi li Prunari.


Sono rognosi gli abitanti di Piminoro, altra piccolissi-
ma frazione di Oppido sita sulle prima balze
dell’Aspromonte a circa 500 m. s. m.

Dopo aver visto come gli Oppidesi vengono considera-


ti dai loro corregionali, ci sia permesso di passare in ras-
segna i vari epiteti coniati dagli stessi oppidesi per scher-
nire gli abitanti di altri paesi. E cominciamo con Agnana,
piccolo centro del versante ionico.

13-E chi veni d’a ‘Gnana?


14-Mancu ‘u veni (o venivi) d’a ‘Gnana!
Agnana è considerata da tutti gli abitanti della nostra
Piana come la Cretinopoli, paese irreale e misterioso al
pari di Bengodi o del Paese dei Balocchi e i suoi abitanti
sono stimati tonti. Gli epiteti riportati sono rivolti a chi
commette qualche errore o a chi sembra di cadere dalle
nuvole.

15-Pajèchi=Pretiòti.
Sono questi i nativi di Platì, piccolo centro costruito nel
mezzo di una fiumara e a poco distanza dal mare ionico,
che molti rapporti di commercio hanno spinto in passato
a venire nella Piana. Anch’essi sono creduti stolidi, in
special modo perché parlano un curioso dialetto, che, con
molta probabilità, è di derivazione greca. Sono qualificati
anche come quelli di jà ‘rretu o di retumarina.

16-Burdellàri ‘i Messina.

223
Messina è stato sempre per gli oppidesi luogo di per-
dizione e di lussuria.

17-Mancu li cani: pàrinu i carditani.


Gli abitanti di Cardeto, presso Reggio, godono di una
brutta nomèa. Se due fratelli litigano o se le danno di san-
ta ragione, si suole dire che assomigliano, in tale loro poco
onorevole azione, ai cardetani.

18-T’i cuntu a’ pizzitana.


Il conto alla pizzitana (ab. di Pizzo) è il conto di colui
che non ha tanta sete di pagare e rimanda sempre alle ca-
lende greche il creditore.

19-I bagnaròti si cangiàru a San Petru ch’i patati.


Davvero terribili le bagnarote (di Bagnara Cal.), infati-
cabili lavoratrici, ma anche astute di tre cotte. Un tempo
hanno dato via una statua di S. Pietro in cambio di patate.

20-Tra ‘na parma e ‘na rosa nci sta ‘na gioia.


Tra Palmi (antica Palma) e Rosarno c’è Gioia.

SCIOGLILINGUA

1-Tri trizzi ‘ntrizzàti


nd’a tri ‘ntrizzàti trizzi.
Tre trecce intrecciate in tre intrecciate trecce.

2-‘nd’a ‘na pignatèja nova pocu pipi càpinu.


Un pentolino nuovo contiene pochi peperoni.

3-Sutt’a ‘nu palazzu nc’è ‘nu cani pazzu,


te’ pazzu cani ‘stu pezzu di pani.
Sotto un palazzo c’è un cane pazzo,
tieni, pazzo cane, questo pezzo di pane.

224
4-Jendu e venèndu, cuttùni cogghièndu,
jia e venìa, cuttùni cogghìa.
Andando e venendo, cotone raccogliendo,
andava e veniva, cotone raccoglieva.

5-Setti mazzi ‘i canni cuzzi,


setti cuzzi ‘i mazzi canni.
Sette fasci di canne mozze,
sette mozzi di fasci di canne.

6-Tri sacchi stritti


nt’a tri stritti sacchi.
Tre sacchi stretti dentro tre stretti sacchi.

Impaperandosi nel pronunziare i vari scioglilingua, al


posto delle innocenti parole vien facile di dire delle parole
sconce assai intuibili.

STRAMBOTTI AMOROSI
E STORNELLI A DISPETTO

1-Angilu di lu celu,
arricchia e senti.
Cu’ t’ama di bon cori
esti ccà ‘vanti.
Bella la vucca tua,
janchi ‘ssi denti,
puru lu to’ parràri
fai galanti.
Quandu camìni
cu’ ‘ssi passi lenti
li petri di la via ti fai pe’ amanti.
O angelo del cielo,
origlia e senti.
Chi ti ama di buon cuore

225
è qui davanti a te.
Bella la bocca tua,
bianchi codesti denti,
pure il parlar tuo
rendi vezzoso.
Quando cammini
coi tuoi passi lenti
i sassi della via ti fai amanti.
L’innamorato, nella foga del suo canto amoroso, ri-
volge alla sua bella frasi addirittura enfatiche. Per lui
l’amante è un angelo del cielo e tutto in lei è fuori del co-
mune. È così leggiadra nel camminare da farsi amanti
persino le pietre della strada.

2-‘nd’aju ‘na chitarreja di li boni,


e di li boni la testa e li nnuci.
Quandu la mentu nd’a li setti torni
pizzica li cordi duci duci.
Lu sonaturi era di li boni,
appassionatu canta la so’ vuci.
Possiedo un’ottima chitarra,
tutto in essa è perfetto.
Quando l’accordo con le sette note
pizzica le corde dolce dolce.
Il suonatore era di quelli buoni
e appassionato canta la sua voce.

L’innamorato stavolta non è solo. Una buona chitarra gli


fa da fida compagna.

3-Arzìra cu’ lu luci di la luna


vitti ‘na ficareja melangiana
e lu me’ cori ndi volìva una.
Affaccia Peppineja e m’issi: -‘nchiana.
A lu ‘nchianari ca ‘nchianài sicuru,
a lu calàri si schiancàu la megghiu rrama.
No’ ciàngiu no’ li fica e no’ li pruna,

226
ciangiu ca si schiancàu la megghiu rrama.
Iersera al lume della luna
ho visto un fico (quello che fa i frutti color melanzana) e
il mio cuore ne desiderava uno.
Si è allora affacciata Peppinella
e mi ha detto: -Sali.
A salire son salito spedito,
ma nella discesa si è rotto il miglior ramo.
Non piango né i fichi né la prugna.
Piango perché si è rotto il miglior ramo.

Il seguente è uno stornello a dispetto. Si noti come


l’innamorato, deluso o ingelosito, cerchi di far apparire
“più brutta della malanova” la sua ragazza.

4-Bruttu lu surbu e puru la surbàra,


tu si’ cchiù brutta di la malanova,
mi rissimigghi ‘na serpi a la sipàla
quandu mi mmostri lu denti di fora.
Chiùditi nt’a ‘nu culu di caddàra
e pe’ cent’anni non nescìri fora.
Brutte le sorbe e brutto pure il sorbo,
tu sei più brutta della malanova,
somigli a una serpe nella siepe
quando metti il dente fuori.
Chiùditi in un fondo recesso
e per cent’anni non venirne fuori.

5-Vatìndi, vacabbundu, va’ e travagghia


ca mi rrovinasti ‘na gioia di figghia.
Ieu ti la dezzi chi parìa ‘na quagghia
e tu mi la ‘rrustisti a la gravigghia.
Vattene, vagabondo, va’ e lavora
chè mi hai rovinato una perla di figlia.
Io te l’ho data che sembrava una quaglia
e tu l’hai arrostita alla graticola.

227
In quest’altro stornello a dispetto una madre impreca
contro un genero vagabondo che ha ridotto in condizioni
pietose la sua adorata figliuola.

6-E nd’a ‘sta strata pèndinu du’ canni,


‘na nova bandera e quattro ‘ntinni;
nc’è ‘na figghiola di quattordici anni,
calàta di lu celu ‘n terra vinni.
So’ mamma la criscìu cu’ tanti affanni,
vinni a lu maritari e non la tinni.
Tenitivvìlla vui pe’ du’ mil’anni,
vi dicu: - Bonasira e … jamunindi.
In questa strada appese son due canne,
una bandiera nuova e quattro antenne.
C’è una ragazza di quattordici anni,
che sembra dal ciel quaggiù discesa.
Sua madre l’ha cresciuta con tante pene,
quando è stata a ora di maritare non l’ha frenata.
Tenetevela voi per duemila anni,
vi dico: - Buonasera e … vado via.
Una madre, che non può più trattenere la figlia di
quattordici anni, un bel tocco di ragazza che vuol marito a
forza, la lascia alfine agire come pretende la sua bizzarra
testolina, ma non sarà poi facile trovare marito perché
ognuno la rifuggirà.

7-E guarda chi ti fa’ lu ‘nnamuratu:


‘nu lignicèju stortu di sambùcu.
Nd’avi li cazi cusùti cu’ spacu
e la cammisèja cu’ filu tingiùtu.
E guarda che ti fa l’innamorato,
un piccolo legno storto di sambuco.
Ha i pantaloni legati con lo spago
e la camiciola col filo tinto.

Scherzosa presentazione di un povero e ridicolo inna-


morato.

228
8-Chista è la strada di lu malu diri
ca mancu ‘nu giuvaneju poti passàri,
ca tutta la genti si menti a diri:
chistu è lu zzitu di la tali e tali.
Questa è la strada della maldicenza
che neppure un giovanotto può passare.
Tutta la gente si mette a dire:
- Questi è il fidanzato della tale e tale.
Le strade dei paesi sono un vero guaio. D’ogni parte
spuntano occhi e orecchi. Basta un segno, uno sguardo o
solamente che un tizio vi passi più d’una volta perché le
comari lo definiscano fidanzato di Tizia o di Caia.

9-Chi m’amasti a fari? Chi m’ha’ focu,


sendu chi mi volivi abbandunari.
Tu ti cridivi ca l’amuri è giocu?
L’amuri è focu e non si po’ stutari.
Che mi hai amato a fare? Che tu sia preda del fuoco
dato che pensavi di abbandonarmi.
Tu credevi che l’amore fosse un gioco?
L’amore è un fuoco che giammai potrà spegnersi.

229
(Foto Luigi Morizzi)
Il lavatoio presso la Fontana grande di Tresilico

Antica edicola sulla via che portava


alla fiumara Rosso

230
(cartolina viaggiata 1930 – ed. Brunetti)

Leo Sagoleo (Africo 1850 - Oppido 17-1-1937) conosciuto


come ‘u zzi’ Leu. È rimasto sinonimo di trasandatezza. Que-
sta la frase che a Oppido s’indirizza ancora oggi a una per-
sona malvestita o ricoperta con poveri e laceri panni: “Mi pa-
ri ‘’u zzì Leu”, quindi jiri comu o’ zzi Leu.

231
INDICE

- Introduzione pag.5
- Favolistica 5
- L’Umanità 19
- L’uomo e i suoi pregi 19
- L’uomo e i suoi difetti 22
- La donna 39
- Il marito 43
- La moglie 44
- Il padre 46
- La madre 46
- I figli e i ragazzi in genere 47
- I parenti 50
- Compari e comari 53
- I vicini 53
- Gli amici 55
- La casa 57
- Mestieri e professioni 61
- L’educazione 65
- Giurisprudenza spicciola 66
- Credenze superstiziose 71
- Dio e i Santi 73
- Il diavolo 79
- Preti e monaci 79
- Rapporti sociali 83
- Stupidità umana 96
- Rassegnazione 100
- Timori e apprensioni 107
- Fortuna e sfortuna 109
- Ricchezza e povertà 114
- Avarizia e risparmio 124
- Furbizia 129
- Imprecazioni ed epiteti vari 131
- Igiene e medicina 133
- Culinaria 141
- Il contadino e la campagna 146
- Calendaristici 148
- Le stagioni e i mesi 148
- I giorni della settimana 161
- Previsioni astronomiche 162
- L’amore 163
- Filastrocche 166
- Indovinelli 204
- Blasoni popolari 220
- Scioglilingua 224
- Strambotti amorosi-stornelli a dispetto 225
Finito di stampare nel mese di giugno 2010.

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