Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
org)
Rocco Liberti
Folklore di Calabria
Proverbi e modi di dire-Filastrocche-Indovinelli-
Blasoni popolari-Scioglilingua-Strambotti
amorosi e stornelli a dispetto
2a edizione
in copertina: i giganti delle sagre paesane negli anni ’30
del passato secolo a Tresilico (foto Luigi Morizzi)
© Copyright, 2011
Rocco Liberti
Via Domenico Carbone Grio 26
89014 Oppido Mamertina (RC)
FAVOLISTICA
5
Esopo, i vizi e le virtù degli animali adombrano, appunto,
quelli più appariscenti degli uomini.
6
Chi non avrà visto rientrare le pecore all’ovile fino a
ora tarda, non rivedrà più non solo le pecore, ma nem-
manco la lana.
Quando una cosa indugia ad accadere ci assalgono il
pessimismo più nero e la sfiducia più completa.
7
È una variante poco comune dell’altro detto: Quandu ‘a
gatta no’ nc’è, ‘u surici balla. In assenza del gatto, il topo fa
festa o anche si dà all’intrigo.
Quando manca il maggiore, il minore si crede in diritto
di darsi alla pazza gioia ovvero di commettere degli im-
brogli.
8
17-O’ cavàju hjestimatu nci luci ‘u pilu.
Al cavallo oltraggiato splende il pelo. La persona che
più risulta criticata o invidiata, riluce di più, anzi trae
vantaggio proprio dalle critiche malevoli.
9
24-Quandu lu sceccu non voli ‘mu ‘mbivi,
‘mbàtula frischia lu patrùni.
Quando l’asino non ha sete, è inutile che il padrone
cerchi di costringerlo a bere. Colui che non vuol sentire è
come sordo.
10
30-‘u cani mùzzica o’ sciancàtu.
Le sfortune capitano più spesso a chi è già scalognato.
Il cane addenta con più piacere lo straccione perché av-
verte che vi si può afferrare più facilmente.
11
36-Occhi nigri ‘i sumèri, occhi janchi ‘i cavalèri.
Le persone nobili si riconoscono dagli occhi. Potranno
essere neri quelli asinini, ma risulteranno sicuramente
bianchi quelli dei cavalieri.
12
Il lupo con l’età perde il pelo, ma non il vizio.
Le cattive abitudini nelle persone sono le cose più dif-
ficili da abbandonare.
13
botte equivale del pari a non concludere operazioni di
buona qualità.
14
Colomba che non parla non potrà mai essere soddisfat-
ta. Il timido, che non fa partecipi gli altri di quello che de-
sidera, non sarà mai esaudito.
15
60-Quattru pili ‘nd’avi ‘u porcu.
Si allude a colui che, pur parlando di altre cose, ritorna
sempre a ogni piè sospinto sull’argomento che più gli sta
a cuore.
16
67-I muli, se no’ mmùzzicanu, mìnanu puntàti.
È nella natura del mulo dare calci, così come in quella
di certe persone di comportarsi in modo non proprio cor-
retto.
17
L’auto di una volta: il mite asinello
18
L’UMANITÀ
19
darsi da lui perché è da tempo immemorabile che la inse-
gue per farne sua preda.
20
15-‘mbàrcati cu’ ‘nu bonu navigaturi
puru ‘a navi m’è vecchia.
L’esperto infonde fiducia pure nel momento del peri-
colo.
17-Hjuri di castagna,
cu’ da’ so’ sudùra ‘a terra vagna
pani, paci e onuri guadagna.
Fior di castagna, il lavoratore che bagna col suo sudore
la terra guadagna pane, pace e onore.
19-Solitùdini santitàti.
La santità si acquista solo nella solitudine. L’eremita
insegna.
21
24-‘a megghiu parola è chija chi non si dici.
È assai apprezzabile chi parla poco.
3-L’omu valenti
mori a manu du’ pezzenti.
L’uomo valente finisce sempre per mano del pezzente.
Lo spavaldo, il prepotente perde la vita spesso per mano
di un debole.
22
4-Òmini ‘i vinu: ogni centu ‘n carrìnu.
Gli uomini dediti al vino non servono a nulla. Cento di
essi potranno valere, al massimo, un carlino.
23
12- ‘i na ricchi nci trasi e ‘i ‘n’atra nci nesci.
Chi non vuole intendere è come sordo. Le parole gli
entrano da un orecchio ed escono dall’altro.
17-Minàri all’orbìsca
Dare botte da orbi e, quindi, a caso.
18-Rispundìri ‘n tozzu
Rispondere a tono.
24
22-L’omu da’ mala cuscènza com’è si penza.
L’uomo di cattiva coscienza non può mai pensare bene.
25
31-Cu’ cui non hai chi fari ‘n’àngilu ti pari.
Le apparenze ingannano. Sovente, colui con chi non
abbiamo un rapporto, appare quale un angelo, ma nel
fondo è certamente tutt’altra cosa.
26
39‘A superbia non regna e, se regna, non dura.
Il superbo non può restare tale in eterno.
27
48-‘u menzognàru nd’avi ad avìri bona memoria.
Il bugiardo deve possedere una buona memoria, altri-
menti rischia di venire scoperto e smascherato.
28
57-Cu’ spini simìna spini ricògghi.
Chi semina vento raccoglie tempesta. Si otterrà in rela-
zione a quanto si sarà seminato.
29
64-Arìganu e pilèju:
unu tintu e l’atru peju.
Non c’è proprio di che scegliere tra due persone che
appartengono alla stessa risma. Se l’uno è un poco di
buono, l’altro non gli è da meno.
30
72-‘a lingua non avi ossu,
ma rrumpi l’ossu.
La lingua può offendere più di qualsiasi arma. È essa
stessa l’arma più tagliente che esista.
31
80-Quandu ‘u diavulu t’accarìzza voli l’anima.
Se qualcuno ti blandisce è chiaro segno che prima o poi
ti chiederà qualcosa in cambio.
32
89-Cu’ di cutèju feri, di cutèju peri.
Chi di coltel ferisce, di coltel perisce.
33
98-Cu’ non ‘rrobba o’ guvernu vaci o’ ‘mpernu.
Antica e stupida mentalità, residuo di epoche molto
lontane.
Un tempo, quando il governo non era il rappresentante
ideale della nazione, ma s’identificava in un tutt’uno con
la persona del re, era lecito per il popolino rubacchiare al-
lo Stato.
34
107-I chiàcchiari avanzi o’ furnu
sunnu ‘a rrovìna du’ pani caddu.
Il fornaio, che si perde in chiacchiere mentre il pane sta
a cuocere nel forno, rischia di perdere il lavoro già fatto.
35
114-Chista è di’ ‘n’atra gutti.
Si dice a chi dà un’altra versione di un fatto notoria-
mente accertato.
Nel caso, si tratta indiscutibilmente di vino spillato da
altra botte
36
122-Fa’ beni e spèrditi,
fa’ mali e ricòrdati.
Ricordati del male che hai fatto e dimentica il bene ar-
recato al prossimo. Il bene ti sarà ricambiato quando me-
no te lo aspetterai.
37
131-Avìri i mani perciàti.
Lo scialacquatore ha le mani bucate.
38
LA DONNA
39
6-Cùrcati cu’ ‘na gnura,
puru m’è vecchia.
Vai a letto con una vera signora e non ti preoccupare
s’è vecchia perché perlomeno sarà pulita.
È bene entrare in contatto con persone di sostanza e
qualità piuttosto che con quelle d’infimo ceto. Ci sarà
sempre da guadagnare.
40
13-Cu’ ‘i gatta nasci sùrici pìgghia.
Tale madre, tale figlia. Chi nasce da gatta è destinata a
pigliare sempre sorci. Se la madre ha fatto in gioventù la
malafemmina, si può stare certi che presto anche la figlia
ne seguirà il poco edificante esempio.
41
20-I figghi fìmmini
su tovàgghi ‘i facci:
cu’ ‘rriva si stuja.
Le figlie femmine sono come gli asciugamani. Il primo
arrivato vi si vorrebbe asciugare.
Le figlie femmine devono essere ben guardate e stare
al loro posto perché il primo che capita potrebbe sentirsi
autorizzato ad allungare le mani o a dirne male.
42
26-I fìmmini sunnu boni sulu ‘u fannu cazètti.
Quando imperava il maschilismo alla gran parte delle
donne era riservato il ruolo di stare in casa, cucinare e fare
la calza.
IL MARITO
43
siderare cosa da poco una moglie. Dipende tutto dalle sue
virtù o dai suoi difetti.
LA MOGLIE
44
3-‘a mugghieri ‘ill’autri è sempri megghiu.
La moglie degli altri attira di più. È storia di sempre!
L’uomo, stanco della propria consorte, gradirebbe volen-
tieri possedere le mogli altrui.
45
IL PADRE
LA MADRE
46
I FIGLI E I RAGAZZI IN GENERE
47
9-Cu’ pe’ figghi s’ammazza mori sutt’a ‘na mazza.
I figli sono spesso irriconoscenti.
48
17-Cu’ ‘a sira si curca ch’i cotràri a’ matina si leva cacàtu.
I ragazzi sanno fare azioni solo da ragazzi. Chi si mette
con essi al fine di condurre una data impresa, dovrà riti-
rarsi prima del tempo perché quelli non gli potranno esse-
re mai di alcun aiuto, anzi gli riusciranno fatalmente
d’impaccio.
49
24- I figghi su’ i vastùni da’ vecchiaia.
Sicuramente, i figli si adopereranno a sostenere i geni-
tori nella vecchiaia.
I PARENTI
50
5-Zzii e cuggìni pìgghiali i primi.
Non bisogna paventare di avere approcci sessuali con
parenti, anzi bisogna contattarli per primi.
51
12-Chi nnicchi e nnacchi e chi parenti simu!
E chi mai ti conosce!
52
COMPARI E COMARI
I VICINI
53
4-Ortu e mulinu: non ci ’u diri o’ vicinu.
Non dire al vicino che possiedi orto o mulino perché
non riuscirai mai a stare in pace a causa delle sue reiterate
richieste.
54
GLI AMICI
55
8-È bonu avìri amici puru nt’o ‘mpernu.
È bene procacciarsi amici in ogni luogo. Occorrendo, si
potrà sempre invocare il loro aiuto.
56
15-Amicu meu curtèsi, comu su’ l’entrati si fannu li spesi.
Si deve spendere in relazione a quanto si guadagna e
non di più.
LA CASA
57
Attraverso un ingresso spazioso è bene penetrare giràti
di fianco. Occorre stare in guardia e diffidare di chi ci ac-
coglie a braccia aperte e fa le più grandi cerimonie perché
spesso è proprio in un tale comportamento che si cela
l’insidia.
58
e casa quantu ‘mu stai.
L’Antico raccomanda: terra quanta ne puoi arraffare,
vigna soltanto per il comodo di bere un buon bicchiere di
vino e casa abbastanza per abitarci.
59
Una bottega di sarto negli anni ’50 del ‘900 :
mastro Beniamino Rossi
60
MESTIERI E PROFESSIONI
61
6-‘anci l’arti a cu’ la sapi fari
e viscotti duri a cu’ nd’avi moli.
L’arte è propria dell’artigiano e mai nessun profano
potrà scimmiottarne il lavoro.
62
14-L’arti ‘i tata è menza ‘mparata.
Chi ha un padre artigiano è come se già conoscesse
l’arte. Difatti, tenendo con sé in bottega sin dai primi anni
il figlio, il padre sarà facilitato nel suo insegnamento.
63
19-Fari l’arti di’ pacci.
Fare l’arte dei pazzi significa combinare delle azioni
sconclusionate.
64
L’EDUCAZIONE
65
d’altri, di tirarsi dietro la porta. Nelle campagne, ove è
adusato vivere all’aria aperta, non vi sono porte.
GIURISPRUDENZA SPICCIOLA
66
Di fronte alla legge siamo tutti uguali, ricchi e poveri,
nobili e plebei o, almeno, così dovrebbe essere nella gene-
ralità dei casi. L’esperienza, purtroppo, c’insegna che non
è proprio così.
67
Quando è lo stato di necessità a imporlo, la legge può
venire giustamente messa da parte.
9-Parmi attacca
e Catanzaru sciogghi.
Le città di Palmi, sede di tribunale e di Catanzaro, con
la corte d’appello, sono i punti focali attraverso i quali si
svolge ogni iter giudiziario per la gente della Piana di
Gioia Tauro. Il reo, che viene condannato dall’ufficio di
Palmi, spera, agendo in appello presso quello di Catanza-
ro, di venirne prosciolto.
68
13-Vinci ‘a causa e perdi ‘a liti.
Si dice che vince la causa, ma perde la lite, di colui che,
pur di conseguire il suo puntiglio, esaurisce in spese giu-
diziarie più di quello che si attende di ottenere. La sua,
perciò, non potrà risultare che una … vittoria di Pirro.
69
21-‘a leggi è comu ‘a pej di’ cugghiùni:
cchiù ‘a tiri e cchiù veni.
La legge non è mai rigida. È pensiero degli avvocati
trovare gli escamotages per eluderla. È proprio come la pel-
le dei coglioni, che più la stiri e più si allarga.
70
CREDENZE SUPERSTIZIOSE
71
gno, il contrario se a muoversi sono quelle di sinistra. Al-
tra curiosità del genere è il sentirsi prudere un orecchio.
Quando ciò avviene significa che in tale frangente il no-
stro nome viene profferito da qualcuno.
12-Avìri ‘a zzafratèja.
Chi è fortunato è segno manifesto che possiede una lu-
certolina.
72
DIO E I SANTI
73
7-‘u Signuri nc’i manda i viscotti duri
a cu’ non avi moli.
Anche qui ci troviamo di fronte a un’altra grave affer-
mazione. Il Signore non distribuirebbe equamente e con-
cederebbe, errando, le ricchezze a chi non sa cosa farsene.
Però è anche vero che, come si dice appresso,
74
14-No’ grazzii e no’ meriti ‘i Diu.
Si profferisce questa frase allorquando si fa un piacere
e non si viene apprezzati e ringraziati per come si merita.
16-Cristu dissi:
fa’ comu t’è fattu
ca non è peccatu.
È lo stesso Cristo ad ammonirci a rispondere alle offese
con le offese.
75
e mancu cujurèj e’cotràri.
Santi e ragazzi, cui si è promesso qualcosa o per voto o
per regalo, non ci lasceranno in pace finchè non avremo
soddisfatto quanto incautamente fatto sperare. Con le
promesse occorre andare molto cauti perché, una volta
contratte, si rivelaranno peggio dei debiti.
76
29-Passàta ‘a festa gabbàtu lu santu.
Trascorsa la festa, il santo è bell’e dimenticato. Passata
la ricorrenza, non è il caso di pensarci più.
77
37-Nci voli ‘a pacenza di li santi.
In certe situazioni occorre armarsi di santa pazienza.
78
IL DIAVOLO
PRETI E MONACI
79
non avendo alcuna responsabilità di famiglia propria, po-
tevano dare alle proprie sorelle una cospicua dote.
80
dicìva ca sapi i cazzi soi.
Il monaco in fuga, a chi gli chiedeva perché corresse
tanto in fretta, rispondeva che sapeva i casi suoi. Non bi-
sogna mai meravigliarsi di chi agisce stranamente perché
spesso vi è una giustificazione a tutto, anche nei casi più
impensati.
11-Patri, mi cumpessu,
vaju a’ casa e fazzu ‘u stessu.
Si dice così del peccatore impenitente, che, subito dopo
essersi confessato, ricade nei falli di sempre.
81
Il carro funebre con i cavalli nei funerali di una volta
82
RAPPORTI SOCIALI
7-Mentìri ‘n cacaticchiu.
8-Mentìri ‘n pròmprici.
Coprire un posto che non si merita, ma anche mettersi
in evidenza con baldanza.
83
9-Va’ e caddìja ‘a seggia ‘i to’ mamma.
Vai a riscaldare la sedia di tua madre. Consiglio che si
dà agli impiccioni.
84
18-Non senti all’Àngili cantàri
e senti ‘e scecchi ‘rragghiàri!
Non credi a ciò che ti prospettano le persone importan-
ti o capaci e poi credi a quello che ti dicono le persone in-
significanti! Come è mai possibile ciò?
85
26-Parola ditta è corpu minàtu.
27-Ogni promessa è debitu.
Chi avrà fatto una promessa è tenuto più che mai a
mantenerla, in quanto con essa ha contratto un debito.
28-Omu avvisàtu
è menzu sarvàtu.
L’uomo messo in guardia è salvo già per metà. Dopo
l’avviso starà sempre sul chi vive e non potrà mai, quindi,
venire colto alla sprovvista.
86
34-Cu’ arma sconza.
Chi impianta una qualsiasi azienda rompe le uova nel
paniere a coloro che già da tempo operano in quel deter-
minato settore.
87
bano schiattare dall’afflizione, trascorso appena il rituale
periodo di lutto stretto, faranno presto a consolarsi.
43-Cornutu e vastuniàtu.
Oltre il danno anche le beffe.
46-Sup’o mortu
si canta ‘u misereri.
Si discute su di un fatto solamente dopo che lo si sarà
conosciuto nella sua interezza e non prima.
88
Le cose passate non contano più.
58-Nuju dici:
- Làvati ‘ a facci ca si’ megghiu ‘i mia.
La semplicità e un’esatta misura di se stessi a questo
mondo non esistono. Nessuno vuol riconoscere la propria
pochezza di fronte agli altri.
89
A chi non si gratta la testa con le proprie mani il pruri-
to non passerà mai. Ognuno deve badare ai propri casi
personalmente se vuole che riescano bene.
90
69-Quandu a mai Riggiu vindìu ranu!
A Reggio non si è mai prodotto grano. Si dice ciò
quando ci accadono cose impensate o quando vediamo
che altri fanno azioni, di cui non li abbiamo mai creduto
capaci.
91
77-Tuttu ‘u porcu faci pe’ ttia.
L’egoista pretende di trattenere tutto per sé.
78-Nesci ardìca
e trasi sambùcu.
Si buttano le ortiche per prendere il sambùco. Si ab-
bandona cioè un amico, che è un poco di buono, per allac-
ciare amicizia con un altro che si rivelerà ancora peggiore
di lui.
92
85-O tu chi non hai chi fari, rifùndiri mi voi.
Si dice a un tizio che dovrebbe operare in un certo sen-
so, ma approfitta di chi già è impegnato a farlo.
93
94-Fari du’ parti ‘n cummèddia.
Agire doppiamente.
97-Jettàri ‘u cincu.
Rubare. Il numero cinque si riferisce ad allungare la
mano per prendere.
100-Jocàri ‘i cuda.
Giocare di coda. Uguale che defilarsi o agire con sotter-
fugio.
94
105-Ancora ti puzza ‘a vucca ‘i latti.
Si dice all’indirizzo di chi si erge sugli altri specie se si
tratta di persona minore di età.
95
115-Si dici ‘u peccatu, ma no’ ‘u peccaturi.
Quando si raccontano degli avvenimenti, è bene fer-
marsi ai fatti e non rivelare i protagonisti degli stessi.
STUPIDITÀ UMANA
96
6-Chiavi ‘n cinta e Martinu dintra.
Come dire: chiudere a chiave la porta di casa e lasciarci
serrato dentro il ladro.
97
In questo mondo c’è chi digiuna per non aver di che
mangiare, ma vi è pure chi, stoltamente, lo fa soltanto per
voto.
98
26-Zzittu zzittu a menz’a chiazza.
Si dice di colui che, mentre confida ad altri dei fatti che
vuole tenere nascosti, si fa stupidamente sentire.
29-Vidisti ‘a vigilia
e ora vai spettandu ‘a festa!
Non ti è bastato quanto ti è capitato. Vorresti ancora il
resto?
99
35-Si cangiàu l’occhi p’a cuda.
Si dice di chi, pur di ottenere una cosa appariscente,
ma insignificante, dà via una cosa di valore, anche se me-
no vistosa.
38-Tenìri i telaj.
Tenere i telai a qualcuno sta a significare occuparsi de-
gli affari degli altri.
RASSEGNAZIONE
100
4-nd’avìmu cchiù jorna ca satìzzi.
Per completare certi lavori oppure per prendere certi
provvedimenti non è il caso di affrettarsi perché davanti a
noi vi sono più giorni che salsicce.
5-Videndu e facendu!
Agiamo in conformità a come si presentano le cose.
101
13-A mmenzu all’atri, pòviru patri.
Tra tante disgrazie, una più una meno fa lo stesso.
17-‘mbàsciati hjuncu
c’a hjumàra passa.
Il rassegnato accetta supinamente ogni cosa. Quando
l’acqua del fiume gli è ormai sopra, il giunco, adattatosi
alla situazione, si lascia travolgere con facilità, ma è sicuro
che, una volta passata la tempesta, tutto tornerà come
prima.
102
20-Pacenzia nci voli a li burraschi.
Nei momenti difficili occorre avere molta pazienza
perché col tempo tutto si aggiusterà per il meglio.
103
27-Si dìssiru li missi a Palermìti,
non si ndi dinnu cchiù missi cantati;
o anche:
Pe’ ttia cantàu lu cuccu.
È ormai perduta ogni speranza.
104
36-Ogni ficatèju ‘i musca è sustanza.
Sono utili anche le piccole cose come il fegatello della
mosca.
105
45-Quandu veni ‘u tempu ‘u godi o crepi o mori.
A questo mondo non c’è felicità. Quando credi di es-
serci pervenuto dopo tante traversìe, è proprio allora ch’è
arrivata la tua fine.
106
TIMORI E APPRENSIONI
107
Finchè esistiamo tutto potrà capitarci, anche le cose più
impensate.
108
FORTUNA E SFORTUNA
5-Aria e tuppè:
sordi non ci nn’è.
Boria e tuppè (crocchia=capelli annodati sul capo), ma
soldi proprio non ce ne stanno. È tutto fumo e niente ar-
rosto.
6-Morti e patrùni
non spiàri quandu veni.
Non ti chiedere mai quando arrivano la morte o il pa-
drone. Essi giungono quando meno te l’aspetti.
109
9-Non nescìu di latu da’ hjocca
Non è nato fortunato.
110
18-A quandu a quandu mi misi ‘mu ‘ttraju
mi catti duru lu cilìju.
19-A quandu a quandu mi misi ‘mu straju,
mi catti la cunocchia e lu cilìju.
A quando a quando mi son messo in un’impresa, il
subbio (uno dei cilindri del telaio) mi è venuto proprio
duro. Oppure: mi son caduti sia la conocchia che il sub-
bio. La fortuna ci abbandona spesso nel momento culmi-
nante e proprio quando maggiore dovrebbe essere il suo
apporto.
111
momenti in cui soffre per qualche pena. Assieme alle rose
ci sono anche le spine.
112
Quando sono nata, o me sventurata, ho avuto molti se-
gni per capire ch’ero nata tale. Tutto allora è apparso elo-
quente. Appena venuta al mondo, mia madre mi contem-
plava e piangeva. Mentre mi portavano al fonte battesi-
male la madrina è deceduta per via, la levatrice si ha avu-
to un colpo e il prete è morto per un collasso. Ma tante di-
sgrazie non sono bastate. Tutt’a un tratto si è staccata una
pietra dal campanile e, venendo giù, tra gli astanti ha col-
pito solo me.
113
36-Cu’ perdi ‘u ccappottu e rìcupera ‘u mantu
perdi poco e non perdi tantu.
Chi, dopo aver perso un bene, ne rinviene anche una
parte, gli fa d’uopo accontentarsi.
RICCHEZZA E POVERTÀ
114
3-Unu è pocu e dui su’ assai.
Se uno è poco, due sono molti.
115
12-I sordi chiàmanu i sordi.
Chi è ricco è destinato sempre a impinguare i suoi ave-
ri.
116
quandu l’àrburi su’ spogghiati
non simu cchiù soru e frati.
In tempo di abbondanza tutti ci ritroviamo, ma nel ca-
so contrario ognuno prende le distanze e scompare anche
la parentela tra sorelle e fratelli.
23-Famigghia minùta:
no’ sazia e no’ vestùta.
In meno si è e minore si offrirà l’aiuto della Divina
Provvidenza.
117
28-Cu’ ‘nu scornu si campa ‘nu jornu.
È con una buona dose di faccia tosta che, a volte, ci si
può procurare quanto occorre.
31-Scala ca vindi.
Per vendere presto e bene, occorre offrire le cose a un
prezzo equo. È anche un invito a un fanfarone di raccon-
tarle meno grosse.
118
O sole, spunta per quei poveri bambini che non hanno
di che vivere e riscaldali. Il povero, che non ha fidanza in
alcun aiuto, si accontenta almeno di un raggio di sole.
119
44-I dinari du’ suràru
s’i mangia ‘u sciampagnùni.
I denari dell’avaro sono destinati a finire nelle mani di
uno scialacquatore. Le sostanze, che quello avrà accumu-
lato soldo dietro soldo, dall’erede saranno spese alla ma-
lora e in breve tempo.
46-Anima e dinàri
non si ponnu giudicari.
Sia l’anima che la ricchezza sono imperscrutabili.
120
50-Dundi lampa e dundi trona.
Al fortunato le provvidenze piovono sempre da tutte
le direzioni.
121
58-Cu’ nd’avi ‘mmuccia
e cu’ non avi mmostra.
Il ricco nasconde i suoi beni per timore che glieli rubi-
no. Il povero, invece, per celare la sua inopia, abbaglia gli
altri mostrando quel che in realtà non possiede.
122
pari ca di novu si vestissi.
Per il povero un vestito rattoppato si qualifica un abito
di lusso.
123
Così affermava il prete che si era ben satollato con la
carne di maiale infischiandosene di chi non l’aveva pro-
prio vista.
AVARIZIA E RISPARMIO
124
no’ schiana e no’ scindi.
Chi non conosce il rischio di commerciare le proprie
sostanze, rimane sempre nel medesimo stato. Non au-
menta il suo avere né lo diminuisce.
125
paga ‘u mastru e u’ mastricchiu.
Chi, allo scopo di risparmiare, non chiama una persona
competente per fargli dirigere i lavori, ma si affida a un
mastrucolo, sarà costretto a spendere molto di più. Difatti,
dovrà pagare prima il mastrucolo e poi anche il mastro.
Quest’ultimo dovrà riparare gli errori che ha commesso
l’altro.
126
Chi ha la pancia piena difficilmente si metterà nei pan-
ni di uno che ha fame.
127
risparmio, accumula in estate il suo cibo in vista del so-
praggiungere dell’inverno.
36-Gesù, Gesù,
‘a provasti ‘sta vota e n’a provi cchiù.
S’indirizza a colui al quale si è offerta una prelibatezza
che mai più gli sarà dato di assaggiare, ma anche in senso
lato a chi si mostra una rarità. Tale frase è rivolta anche a
128
chi si è data una primizia da assaggiare e non si è dimo-
strato altrettanto generoso.
Probabilmente, dalla stessa deriva la frase “Diri Jesu”,
che viene pronunziata quando si assaggia una certa cosa
per la prima volta nella stagione. Se l’operazione invece
non è stata esperita si dice “Ancora non dissi Jesu”.
FURBIZIA
129
Ancora negli anni ’50 c’era il carro con i buoi e qualcuno
ne approfittava per farsi scattare una foto
130
IMPRECAZIONI ED EPITETI VARI
131
10-Va’ cùrcati o’ friscu
ca ‘u suli ti caddìja.
Frase scherzosa rivolta a colui che intende celiare. Co-
ricati all’ombra chè il sole ti riscalda e ti fa dire quel che
non dovresti.
132
18-‘mu ti squagghia lu sangu.
Che il tuo sangue si possa liquefare.
IGIENE E MEDICINA
133
La più grande ricchezza che l’uomo possa sognare in
questo mondo è, indiscutibilmente, la salute. Solo essa è
tutto e né ori né gemme potranno mai eguagliarne il valo-
re. L’uomo ammalato non sa e non ha che farsene di altre
ricchezze più o meno fatue.
134
‘u troppu fatigari ti cunsuma.
È il cibo buono che fa guarire ed è il troppo lavoro
quello che ci fa ammalare.
135
16-Anca o’ lettu e vrazzu o’ pettu.
In seguito alla rottura di un arto ecco quanto prescrive
il popolino: se l’arto rotto è una gamba, perché guarisca al
più presto, occorre tenerlo fermo a letto; se invece si tratta
di un braccio, la miglior cosa da fare è tenerlo legato al
petto.
136
23-‘u magulà cu’ non l’eppi l’averà
(ma anche tigna, rugna e magulà …).
Siamo tutti predisposti ad ammalarci di orecchioni, ma
anche di tigna e di rogna.
137
31-‘a morti non guarda ‘n facci a nuju.
Suprema livellatrice è la morte, paziente signora delle
tenebre. Dinanzi a essa siamo tutti uguali, poveri e ricchi,
belli e brutti, umili e superbi. La morte tira pel suo cam-
mino senza degnarsi di guardare in faccia a nessuno.
138
39-Pensa a’ saluti.
La preoccupazione maggiore deve riguardare la salute.
Le restanti potranno essere superate facilmente.
46-Sunza di gaìna
‘mu ti crisci la petturìna.
139
Il grasso di gallina è un ottimo elemento di crescita. La
pettorina è quel tratto di stoffa, col quale la donna un
tempo fasciava il petto sotto l’allacciatura del busto.
140
CULINARIA
141
7-Cozzi e basàti non jnchinu panza.
Le cozze e i baci non riempiono la pancia. Possono riu-
scire, al massimo, dei piccoli acconti.
142
14-‘mbitàri a pasta e carni.
Si dice allorchè un tale, cui è stata fatta una proposta,
accoglie questa con la massima gioia, quasi l’attendesse
da tempo. Per il villano, nei tempi andati, la pasta con la
carne rappresentava il non plus ultra dei piatti preferiti ed
egli la riservava per le grandi solennità, ma soprattutto
perché non poteva permetterselo molto spesso.
143
21-Panza china fa cantari.
Quando si ha la pancia piena, siamo stimolati al canto.
Il villano, che non ha avuto mai alti ideali, crede di rag-
giungere l’acme della felicità solo dopo essersi rimpinzato
per bene.
144
28-Latti e meli: tira ca veni.
Perché il latte e il miele fuoriescano fa è necessario suc-
chiare.
29-Mangia ‘a ‘ngija!
Si rivolge a colui che vediamo intromettersi in affari,
dai quali potrebbe ricavare parecchio utile.
145
IL CONTADINO E LA CAMPAGNA
146
Per curare efficacemente un orto, occorre che ci sia di-
guardia un uomo morto. Per un orto il contadino dovrà
sacrificarsi giorno e notte ininterrottamente.
147
Il contadino indossa scarpe grosse, oerò in compenso è
fine di cervello.
CALENDARISTICI
Le stagioni e i mesi
148
delle loro case e battono giulivi le mani plaudendo a quel
tanto atteso ritorno, contenti vieppiù che una vittima tra-
dizionale possa sfuggire ancora una volta al suo eterno e
implacabile persecutore. Il topo, infatti, specie quello det-
to “delle chiaviche”, gode dell’arrivo della pioggia perché
è questa il suo elemento naturale ed è a causa di essa che
il suo nemico non potrà raggiungerlo, in quanto ha una
formidabile paura di annegare. Perciò, potrà andare tran-
quillamente a nozze, acconciarsi per bene e mettersi in
capo un bel berretto di seta.
L’inverno, caratterizzato da tutte le antiche saghe po-
polari come un vecchio freddoloso imbacuccato in ampi
mantelli, è chiamato amichevolmente dal nostro popolino
nonnu ‘mbernu.
149
6-Vinni ‘u tempu di’ mali vestùti.
È arrivato il freddo inverno, che un tempo terrorizzava
chi non poteva coprirsi convenientemente.
150
Gennaio
Febbraio
151
quelli di far crescere l’erba, rendere più belle le donne e
innamorare i gatti.
Variante:
Frevaru frevalora,
sugnu lu hjuri di tutti li misi.
L’àrbiru hjurìsciu,
i fimmini ‘mbellìsciu,
i vecchi ’i mentu o’ mignànu
a la facci di jenaru.
Febbraio, febbralora, sono il fiore di tutti i mesi. Faccio
fiorire l’albero e agghindo le donne, metto i vecchi sul
mignano a godere il tepore del sole e tutto alla faccia di
gennaio.
152
Carnilavàri morìu di notti
e dassàu tri ricotti:
una salata, una cundùta
e una pell’anima ‘i so’ canàta;
nci dassàu puru ‘nu spingulùni
‘mu si ‘ppunta lu vancàli
a la facci di Carnilavari.
Carnevale è morto di notte e ha lasciato tre ricotte, una
salata, altra condìta e altra ancora per l’anima di sua co-
gnata. Ha lasciato pure uno spillone perché si appunti il
grembiule alla faccia di Carnevale.
153
ti corèru a Messignadi,
Coraìsima ch’i caddàri.
Quaresima dal collo storto, hai mangiato i cavoli
all’orto e hai negato d’averlo fatto. Ora mi recherò a que-
relarti: ti querelerò a Varapodio, o Quaresima coi tripodi;
ti querelerò a Messignadi, o Quaresima con le caldaie.
Il popolino considera la Quaresima ladra e menzogne-
ra e si scaglia contro disprezzandola a più non posso.
D’altronde, è sempre rappresentata come una vecchiaccia
brutta e ossuta.
Marzo
154
29-A marzu ogni stroffa è jazzu,
ma se marzu si pungi ndi scoppa l’ugni!
A marzo ci si può fare un giaciglio in qualsiasi posto,
ma è anche vero che tale mese, se si dovesse mettere
d’impegno, ci potrebbe recare molto male. Sarebbe capace
persino di levarci le unghie.
155
Aprile
156
42-Pasca marzàtica o guerra o famatica.
La Pasqua, eccetto le rare volte, in cui può cadere di
marzo, è una festività del mese di aprile e, quando ciò non
si verifica, è segno che gravi calamità si apprestano a
coinvolgere noi poveri mortali.
Maggio
157
Essendo ormai lontano il rigore dell’inverno, è giusto
che ci si liberi un pochino dei panni pesanti, ma bisognerà
stare comunque sul chi vive, non si sa mai…
Giugno
51-L’acqua ‘i giugnu
caccia ‘u pani du’ furnu.
L’acqua di giugno fa marcire il grano.
158
Si pronunzia tale detto nell’assistere al verificarsi di
cose strane.
Luglio
Agosto
Settembre
159
addunàtivi a’ la recìna.
Quando è matura la mora del rovo, sverrà a matura-
zione anche l’uva.
Ottobre-novembre
Dicembre
160
chiovi ‘nu misi e ‘na settimana.
Dal 2 dicembre in poi ci attenderanno un mese e una
settimana di piogge.
161
70-‘a matinata faci ‘a jornata.
In genere, il lavoro fatto di buon mattino vale per tutta
una giornata.
Previsioni astronomiche
162
7-Quandu ‘u celu è a lana,
chiovi pe’ ‘na settimana.
Quando il cielo assume la forma di masse di lana è un
chiaro segno che pioverà per un’intera settimana.
9-Bontempu e martempu
non dura gran tempu.
Le cose buone o cattive sono limitate nel tempo.
L’AMORE
163
3-Cu’ pati p’amuri, non senti doluri.
Chi soffre per amore non può sentire alcun dolore.
164
11-Faci cchiù n’amuri ca centumila sdegni.
Può più un amore che centomila sdegni. Vale più una
buona parola che centomila minacce.
165
FILASTROCCHE
166
Appresso segue Felice, maestro di non so che:
5-Gianni di li vigni,
jiu ‘u si caca e no’ nci vinni,
167
nci scappàu la cacarèja
e si cacàu la cammisèja.
Gianni delle vigne
è andato per defecare, ma non è riuscito a farlo,
gli è venuta d’improvviso la diarrea
e così ha sporcato la camiciola.
6-Angilu, bell’Angilu,
pigghia lu sceccu e pùngilu,
pùngilu du’ culu
ca ti camìna sulu.
Angelo, bell’Angelo,
afferra l’asino e dai di pungolo,
spronalo dalla parte di dietro
e vedrai che camminerà da solo.
168
si è rotta la mia chitarra.
Il gioco relativo a tale filastrocca si svolge nel modo se-
guente. Per prima cosa si prende un pezzo di spago e si
legano le due estremità. Indi, si mettono le mani in modo
da tenerlo ben tirato e si opera con le dita in guisa tale da
ottenere un incrocio di fili, di cui tre capi vengono tenuti
dai denti e dalle mani di colui che esegue l’operazione,
mentre il restante quarto è fatto prendere a un’altra per-
sona. Facendo andare avanti e indietro i vari fili, sia in
senso orizzontale che verticale, si ottiene una specie di se-
ga in azione. È compiendo questo movimento che i bam-
bini ripetevano felici la filastrocca di mastro Nicola.
10-Rosa pitòsa,
fimmina di casa,
se veni to’ maritu
ti pizzica e ti basa
e ti jetta du’ barcùni,
Rosineja cucurùni.
Rosa pitòsa,
donna di casa,
se rientrerà tuo marito
ti darà pizzichi e baci
e ti butterà dal balcone,
Rosinella dalla testa rapata.
169
11-Cicciu pasticciu,
candiloru e micciu,
‘u micciu nci catti
e s‘u mangiaru i gatti.
Ciccio Pasticcio,
candeloro e ciondolo,
il ciondolo (sta forse per membro) gli è caduto
e l’hanno mangiato i gatti.
170
14-Margherita facìa lu pani,
tutti li muschi nci jvanu jani
e nci jvanu a pocu a pocu,
Margherita jettava focu.
Margherita faceva il pane,
tutte le mosche vi si posavano
e lo facevavano a poco a poco,
Margherita accendeva il forno (ma anche: non ne po-
teva più).
171
17-‘onna Mara Vicenza,
cu’ tri pulici nd’a la panza;
unu nci cala, unu nci nchiana
e unu nci faci la riverenza.
Donna Maria Vincenza,
con tre pulci sulla pancia:
uno vi scende, un altro vi sale
e il terzo le fa un inchino.
19-Federicu Barbarossa,
si mangiàu ‘na gatta grossa,
si cundìu tutti li mussa,
Federicu Barbarussa.
Federico Barbarossa
172
ha mangiato una gatta grossa,
si è sporcato tutto il muso,
Federico Barbarossa.
173
21-Vovalàci caccia corna,
ca to’ mamma jiu pe’ straci
e ti porta lu cocò oj si e domani no.
Chiocciola, metti fuori le corna
chè tua madre è andata per cocci
e ti porta l’ovetto oggi sì e domani no.
174
ch’esti figghia di Sant’Anna.
Non imprecare a me
perché son figlio di Maria,
non imprecare a mia madre
perché a sua volta è figlia di Sant’Anna.
175
Ecco ancora una mutrita serie di cantafère dedicate
agli animali.
176
buttalo, buttalo nel fondo
perché lo afferri il pesce palombo.
33-Fetu fetillu,
ndi ndi jamu ndi mastru Chillu
e facimu la musicò,
cciù chi fetu chi veni di ccò.
Puzza, puzzerella,
ce ne andremo da mastro Chillo
e faremo la musicò, oh, che puzza che viene da qui.
177
I bambini rivolgevano scherzosamente quest’altra tiri-
tera a chi tra loro si era fatto radere i capelli a zero e offri-
va alla vista una lucida pelata.
Canto:
35-Spara ca t’abbampa, ‘nniricàtu tia,
‘mbivitìlla tutta e vidi chi ti fa.
Spara che ti brucia, sventurato te,
bevitela tutta e vedi che ti fa;
accompagnamento:
Mbràmbita mbràmbita all’anima ‘ i màmmita.
Voce che imita il suono del tamburo indirizzata
all’anima di tua madre.
178
e lo metto come tappo.
Luni lunijài,
marti e mèrcuri no’ filai,
giovi perdìa lu fusu,
vènniri ‘u trovai,
sabbatu ca era festa,
dominica mi fici ‘a testa.
Passanu i jorna e i dì
e sempri faci accussì.
Il lunedì ho lunediato,
martedì e mercoledì non ho filato,
giovedì ho perso il fuso,
venerdì l’ho ritrovato,
sabato ch’è stato festa,
domenica ho fatto il taglio dei capelli.
Passano i giorni e i dì
e sempre si comporta così.
39-Paletta, paletta,
‘gnura cummàri,
nd’aju ‘na figghia di maritàri.
179
Voli jocàri a lu vintiquattru:
una, dui, tri e quattru.
Paletta, paletta,
signora comare,
ho una figlia da maritare.
Vuol giocare al ventiquattro:
una, due, tre e quattro.
40-‘mmuccia ‘mmucciatèja,
nesci tu Catarineja
pe’ la strata du’ mulinu,
pe’ chiantàri petrusinu,
petrusinu marianu,
nesci tu, capitànu,
capitànu ‘i Cincufrundi,
nesci tu, capij biondi.
‘mmuccia, ‘mmucciatèja,
dogghia colica nd’a padèja,
cu’ ‘mmucciàu e cu’ no’ ‘mmucciàu
nt’a la ricchi la pigghiàu.
Nascondino, nasconderella,
esci tu Caterinella
per la strada del mulino
a piantare prezzemolo,
prezzemolo mariano,
esci tu capitano,
capitano di Cinquefrondi,
esci tu, capelli biondi.
Nascondino nasconderella,
dolor colico nella padella,
chi si è nascosto e chi non l’ha fatto
del pari nell’orecchio l’ha preso,
cioè è stato fregato.
Queste due ultime filastrocche si pronunziavano
quando si giocava a nasconderella da parte di chi doveva
andare in giro a scovare coloro che si erano nascosti, dan-
do così il tempo per farlo.
180
Anche per la conta ci si serviva, a volte di personaggi e
di eventi sacri.
181
V’era un’apposita tiritera per quando la conta avveniva
tra due sole persone.
182
Una volta c’era chi c’era, c’erano una gatta e un cami-
no. Il camino è precipitato e ha rotto tutti i piatti.
183
Allorquando un piede perveniva a intorpidirsi, per far-
lo ritornare alla normalità era d’uopo assolutamente reci-
tare la seguente cantafèra.
48-Rispìgghiati pedi
ca l’angilu veni
e veni cantandu
cu Patri, cu Figghiu
e cu Spiritu Santu.
Svegliati piede
che l’angelo verrà
e verrà cantando
con Padre, Figlio
e Spirito Santo.
184
50-Donna Paparonna,
chi lampi e chi trona
e nui simu cincu frati,
ndi volimu maritari
nulla e nulletta
calu vasciu ‘n giardinu
pe’ pigghiàri a brisculinu,
brisculinu non nc’è,
veni tu arrètu a me.
Cuncia e Cuncetta
arrètu di Betta.
Donna Paparona (prolifica?),
che lampi e che tuoni
e noi siamo cinque fratelli:
ci vogliamo sposare,
nulla e nulletta,
scendo in giardino
a pigliare briscolino,
briscolino non c’è,
vieni tu dietro a me.
Concia e Concetta
dietro a Betta.
Probabilmente, si pronunziava unitamente a qualche
gioco.
185
mina lu ventu e l’abbanduna,
zagharà zagharà
cicciu candìla e cancioffulà.
E sparamu la candilora,
caciu cavallu frittu cu’ l’ova.
Manda la pioggia, o mio Signore, dato che tu non la
compri,
la pigli dal mare e ce la butti.
Manda la pioggia, o mio Signore, mandala per un
anno,
perché possa mangiare tre pani al giorno:
uno alla sera e un altro al mattino
e un altro ancora quando suona il mezzogiorno.
Sotto al piede dal quale esce la luna
tira vento e l’abbandona,
zagharà zagharà
Ciccio candela e cancioffolà.
E spariamo la candelora,
cacio cavallo cotto con le uova.
Il contadino, da che mondo è mondo, ha implorato
sempre da Dio l’arrivo della pioggia.
53-Bambinuzzu piccirillu,
lu me’ cori lu voli iju,
iju ciangi ca lu voli,
Bambinuzzu ‘rrobbacori,
‘rròbbati lu cori meu,
Bambinuzzu figghiolu di Ddeu.
186
Bambinello piccolino,
è il mio cuore che lo vuole,
piange che lo desidera.
Bambinello rubacuori,
ruba il mio cuore,
Bambinello figliuolo di Dio.
Altra simile:
Bambinuzzu, Bambineju,
Bambinuzzu, Bambineju,
chi ssì dduci e chi ssì beju;
chija notti chi nescisti,
chiju friddu chi patisti.
La Madonna ti ‘mpasciàva,
San Giuseppi ti ‘nnacàva
e Sant’Anna ti dicìa:
dormi, figghiu, gioia mia.
Ninna nanna, ninna la vò,
dormi figghiu, me caru Gesò.
Bambinuzzo, Bambinello,
quanto sei dolce e quanto sei bello.
Quella notte, in cui sei nato,
quanto freddo hai patito!
La Madonna ti fasciava,
San Giuseppe ti cullava
e Sant’Anna ti diceva:
dormi figlio, gioia mia,
ninna nanna, ninna la vò,
dormi figlio, mio caro Gesù.
(Gesò sta per la rima).
54-Mariuzzèja, Mariuzzèja,
ti la fazzu la suppicèja,
187
ti la fazzu di pani e vinu,
nci la damu a Gesù Bambinu.
Gesù Bambinu no’ voli suppa
ca nci bruscia la vuccuzza,
la vuccuzza è china ‘i meli,
nci la damu a San Micheli.
Ti la fazzu cu’ pani e latti
pe’ salutari tutti li Santi,
li Santi piccirilli
chi jocàvanu a li nucìj,
li nucìj non calàvanu,
la Madonna li cogghìa,
San Giuseppe li tenìa,
li tenìa cari cari
pe’ la notti di Natali
pemmu ‘ddubba li cotràri.
Mariettina, Mariettina,
ti faccio la zuppettina,
te la faccio con pane e vino,
gliela offriamo a Gesù Bambino.
Gesù Bambino non vuole zuppa
chè gli scotta la boccuccia,
la boccuccia è piena di miele,
gliela offriamo a San Michele.
Te la faccio con pane e latte
per salutare tutti i Santi,
i Santi piccolini
che giocavano alle nocciòle,
le nocciòle non rotolavano,
la Madonna le raccoglieva,
San Giuseppe le conservava,
le conservava strettamente
per la notte di Natale
al fine di fare contenti i suoi bambini.
188
Quando capitava di smarrire qualche oggetto, si ricor-
reva subito a Santa Lucia, la sola in grado di farcelo rin-
venire presto.
55-Santa Lucia,
‘mmostràtimi chi perdìa
e perdìa ‘na cosa d’oru,
‘ mmostratimmìlla pe’ quandu moru.
O Santa Lucia,
fatemi ritrovare quel che ho perso
e ho perso un oggetto d’oro,
fatemelo rivedere per quando morrò.
189
La moglie del cuoco errante
tutta la notte sogna che infila
e infila braciole al fuoco
la moglie del cuoco errante.
190
61-Se ti pigghiu ti fazzu cunigghiu,
ti levu a la staja e ti fazzu cavaju.
Se riesco ad acchiapparti,
ti farò diventare coniglio,
ti porterò nella stalla e ti trasformerò in cavallo.
63-pollice
Chistu dici: vogghiu pani;
indice
chistu dici: non avìmu;
medio
chistu dici: jmu e ‘rrobbàmu;
anulare
chistu dici: non sacciu la via;
mignolo
chistu dici: pirìju, pirìju,
dàtimi pani ca su piccirìju.
Il pollice dice: voglio pane,
l’indice risponde: non ne abbiamo,
il medio consiglia: andiamo a rubare,
l’anulare oppone: non conosco la via
e allora il mignolo conclude:
datemi pane chè son piccolino.
191
64-Mannaja aguannu, mannaja aguannu,
volìa ‘mu mi maritu e no’ mi vonnu,
dassàtimi stari, dassàtimi stari
ca nd’haiu ‘na figghia di maritàri.
La tila e la tiletta
la tessìa quand’era schetta,
ora chi su’ maritàta
vogghiu èssiri campàta.
Mannaggia quest’anno, mannaggia quest’anno,
vorrei sposarmi, ma nessuno mi vuole,
lasciatemi stare, lasciatemi stare
chè ho una figlia da sposare.
La tela e la teletta
la tessevo quand’ero nubile,
ora che mi ritrovo sposata
pretendo d’essere mantenuta.
192
E qui s’irride allo sciancato.
193
Compare, domani v’inviterò,
portate la carne che io ci metto lo spiedo.
Variante a Piminoro:
Tantu è bellu lu maritari
fin’a chi dura lu pani e lu sali.
Il matrimonio sta bene per il primo, il secondo e il ter-
zo giorno, quando è tutto illusione, ma non appena la
194
realtà prende il sopravvento e manca perfino l’olio e il sa-
le o, allora, quant’è brutto il matrimonio.
76-Arzìra mi maritai,
pasta e cìciri mangiài,
pe’ dispettu ‘i me mugghièri
sutta ‘o lettu mi curcai.
Ieri sera mi sono sposato
e ho mangiato pasta e ceci,
ma per fare un dispetto a mia moglie
mi sono coricato sotto il letto.
78-Figghiu di pputtàna,
to’ mamma è nd’a tana
e to’ patri nt’o casciùni,
chi si mangia i maccarrùni,
grattàti cu’ sapuni.
Figlio di puttana,
tua mamma è nella tana
195
e tuo padre nel cassone
che mangia i maccheroni,
grattati col sapone.
80-Domani è dominica:
nci tagghiàmu ‘a testa a’ chirica,
196
‘a chirica non c’è,
nci tagghiàmu ‘a testa o‘ rre,
‘u rre è malatu,
nci tagghiàmu ’a testa o’ sordatu,
‘u sordatu è a’ la guerra
e cadìmu ch’i mani ‘n terra.
Domani sarà domenica:
troncheremo la testa alla chierica;
la chierica non c’è,
troncheremo la testa al re;
il re è ammalato,
faremo lo stesso col soldato;
il soldato è in guerra
e cadremo con le mani per terra.
197
Se state mangiando, non dovrò accettare l’invito, però,
se mi solleciterete, allora mi contenterò di accettare due
forchettate.
198
chi parla per primo la lecca.
Quest’ultima composizione è forse una filastrocca gio-
co: il primo della cerchia, che incautamente perviene a
parlare, è condannato a leccare metaforicamente la merda
secca.
199
- Sale. - Per cent’anni saremo comari.
Frase lapalissiana.
93-Comu?
-Comu Diu fici l’omu.
-Come?
-Come Dio ha fatto l’uomo.
94-Comu?
-Vicinu Milanu.
-Come (Como)?
-Vicino Milano.
96-Pecchì?
-Pecchì dui non fannu tri.
-Perché?
-Perché due non fanno tre.
97-Chi si dici?
-Ch’e sardi si mangiàru ‘e lici.
-Che si dice?
-Che le sarde hanno divorato le alici.
200
98-Cu’ morìu?
-Cu’ non potti campàri cchiù.
-Chi è morto?
-Chi non è potuto vivere più.
102-Comu siti?
201
Cu’ du’ pedi comu o’ gaiu.
- Come state?-
- Con due piedi come il gallo.
104-Chi mangiàmu?
- Cazzi, cucuzzi e ova.
E adesso cosa possiamo mangiare?
- Cazzi, zucche e uova!
106-Quandu?
- Quandi chiovi e no’ faci falacchi!
- Quando?
- Quando pioverà e non produrrà fango!
107-E poi?
- Figghia ‘a vacca e faci ‘u voi!
-E dopo?
-Partorirà la vacca e farà un bue.
108-Puntu e basta
e ciciri c’a pasta.
Punto e basta
e ceci con la pasta.
202
Giornata di festa con gli archi e sulla destra la “panzarella”
di Piminoro
203
INDOVINELLI
204
4-È tundu e non è mundu,
è acqua e non è funtana,
è russu e non è focu.
È tondo e non è il mondo,
è acqua e non è sorgente,
è rosso e non è fuoco. (cocomero)
205
8-Gira, giranna, vota, votanna,
fa’ chija cosa poi si riposa.
Gira girando, volta voltando,
svolge quel compito
e poi si riposa. (chiave)
206
iju mi ‘rrisi e jeu nci la misi,
tosta la misi e moja ‘a cacciài
e di la punti gralimandu nescìu.
Sopra il tripode
c’è l’acqua che bolle:
lui mi ha sorriso e io gliela ho messo,
tosta l’ho messa e molle l’ho tolta
e dalla punta è uscita lacrimando. (pasta)
18-‘ndovìna ‘ndovinagghia:
cu’ faci l’ovu nd’a pagghia?
207
Indovina, indovinello,
chi è che fa l’uovo nella paglia? (gallina)
208
Questo è un misto d’indovinello e filastrocca, dove le
contaminazioni dall’italiano risultano parecchie.
209
e uno soltanto rosso
che tira calci a tutti. (lingua e denti)
28-Pendìnguli e pendànguli:
sutt’all’anchi ‘i to’ mammà
nc’è ‘nu pendìngulu e ‘nu pendàngulu.
Pendìnguli e pendànguli:
in mezzo alle gambe di tua madre si trovano
un pendìngolo e un pendàngolo. (uva)
210
ha gli occhi come la gatta,
neanche il re riuscirà a sapere chi sia. (anguilla)
211
36-O chi gustu e chi piacìri
quandu si toccanu pili cu’ pili.
O che gusto e che diletto
quando si strusciano peli con peli. (ciglia)
212
42-‘a pèndula ‘i me’ patri Genoìsi
pendìva comu coccia di ceràsi:
a ‘na figghiola schetta nci la misi,
nci vòrziru tant’anni ‘mu nci trasi.
Tantu forti poi chi nci la misi,
catti ‘nu casteju e deci casi.
Il pendolo di mio padre Genovese
pendeva come tante ciliegie.
A una giovane nubile gliel’ha messo
e sono occorsi tanti anni perché vi entrasse.
Tanto forte poi che gliel’ha messo
che sono caduti un castello e dieci case. (orecchini)
213
Vado in guerra e non faccio il soldato.
Ahimè! L’uomo, appena arrivato, si batte
e anch’io son battuto. (tamburo)
214
gira per la stanza
e poi finisce in un angolo. (scopa)
50-Artu palazzu:
se cadu m’ammazzu,
me’ mamma mi vidi
e si menti m’arrìdi.
Un alto palazzo,
se cado mi ammazzo,
mia madre (il riccio) mi vede
e si mette a ridere. (castagna)
52-ndovina ndovinaturi,
galantòmini e signuri,
prima era figghia,
ora su’ mamma,
nd’aju ‘nu figghiu
maritu ‘i me’ mamma.
Indovinate, o risolutori,
galantuomini e signori,
prima ero figlia,
ora son madre,
ho un figlio
marito di mia madre.
215
Alcuni dicono trattarsi del carcerato, ma in verità si
tratta di un indovinello dal significato piuttosto sibillino e
incerto.
56-Ndìndiri ndindirindòla,
no’ mi toccàri ca sugnu figghiola,
quandu su’ randi mi nèscinu i pili,
l’haju janchi e si fannu niri.
Ndindiri ndindirindòla,
non mi toccare chè son figliuola,
216
quando sarò grande mi compariranno i peli,
ora sono bianchi, ma poi diventeranno neri. (spiga)
60-Rùmbulu cutùmbulu
sutt’o ponti caminava
e cchiù denti non avìa
e cchiù forti muzzicava.
Ciottolo capriola
sotto il ponte camminava
e più denti non aveva
e più forte mordeva. (pepe)
217
61-Virdi nasci, virdi crisci e virdi mori.
Nasce verde, cresce verde e muore verde. (cetriolo)
66-Pendigghiu pendìa,
dormigghiu dormìa.
218
Cadi pendigghiu
e rispigghia a dormigghiu.
Si leva dormigghiu
e si mangia a pendigghiu.
Pendiglio pendeva,
dormiglio dormiva.
Cade pendiglio
e sveglia a dormiglio,
si alza dormiglio
e mangia pendiglio. (pera)
219
71-Maritu meu, jsti e venisti
e chiju a menz’all’anchi nc’iu dassasti.
Marito mio, sei andato e ritornato
e quello in mezzo alle gambe
gliel’hai lasciato. (asino venduto)
BLASONI POPOLARI
220
Ecco vari blasoni affibbiati a Oppido e frazioni. Alcuni
magnificano delle virtù, altri ne deridono i difetti.
221
Megghiu avìri ‘nu lupu pe’ amicu
e no’ ‘n amicu oppitisanu,
ca si mangia la carni,
si ‘mbivi lu vinu,
ti mina la petra
e si ‘mmuccia la manu.
È meglio avere un lupo per amico che non un oppide-
se. Questi si mangia la carne, beve il vino, tira il sasso e
nasconde la mano.
11-Abbuffàti ‘i Castejàci,
leva morti senza cruci
e mancu li straci,
222
abbuffàti ‘i Castejàci.
Gli abitanti di Castellace, popolosa frazione di Oppido,
hanno forma tozza e goffa. Tra le tante tradizioni, hanno
quella di portare i morti al cimitero senza alcun particola-
re segno di croce.
15-Pajèchi=Pretiòti.
Sono questi i nativi di Platì, piccolo centro costruito nel
mezzo di una fiumara e a poco distanza dal mare ionico,
che molti rapporti di commercio hanno spinto in passato
a venire nella Piana. Anch’essi sono creduti stolidi, in
special modo perché parlano un curioso dialetto, che, con
molta probabilità, è di derivazione greca. Sono qualificati
anche come quelli di jà ‘rretu o di retumarina.
16-Burdellàri ‘i Messina.
223
Messina è stato sempre per gli oppidesi luogo di per-
dizione e di lussuria.
SCIOGLILINGUA
224
4-Jendu e venèndu, cuttùni cogghièndu,
jia e venìa, cuttùni cogghìa.
Andando e venendo, cotone raccogliendo,
andava e veniva, cotone raccoglieva.
STRAMBOTTI AMOROSI
E STORNELLI A DISPETTO
1-Angilu di lu celu,
arricchia e senti.
Cu’ t’ama di bon cori
esti ccà ‘vanti.
Bella la vucca tua,
janchi ‘ssi denti,
puru lu to’ parràri
fai galanti.
Quandu camìni
cu’ ‘ssi passi lenti
li petri di la via ti fai pe’ amanti.
O angelo del cielo,
origlia e senti.
Chi ti ama di buon cuore
225
è qui davanti a te.
Bella la bocca tua,
bianchi codesti denti,
pure il parlar tuo
rendi vezzoso.
Quando cammini
coi tuoi passi lenti
i sassi della via ti fai amanti.
L’innamorato, nella foga del suo canto amoroso, ri-
volge alla sua bella frasi addirittura enfatiche. Per lui
l’amante è un angelo del cielo e tutto in lei è fuori del co-
mune. È così leggiadra nel camminare da farsi amanti
persino le pietre della strada.
226
ciangiu ca si schiancàu la megghiu rrama.
Iersera al lume della luna
ho visto un fico (quello che fa i frutti color melanzana) e
il mio cuore ne desiderava uno.
Si è allora affacciata Peppinella
e mi ha detto: -Sali.
A salire son salito spedito,
ma nella discesa si è rotto il miglior ramo.
Non piango né i fichi né la prugna.
Piango perché si è rotto il miglior ramo.
227
In quest’altro stornello a dispetto una madre impreca
contro un genero vagabondo che ha ridotto in condizioni
pietose la sua adorata figliuola.
228
8-Chista è la strada di lu malu diri
ca mancu ‘nu giuvaneju poti passàri,
ca tutta la genti si menti a diri:
chistu è lu zzitu di la tali e tali.
Questa è la strada della maldicenza
che neppure un giovanotto può passare.
Tutta la gente si mette a dire:
- Questi è il fidanzato della tale e tale.
Le strade dei paesi sono un vero guaio. D’ogni parte
spuntano occhi e orecchi. Basta un segno, uno sguardo o
solamente che un tizio vi passi più d’una volta perché le
comari lo definiscano fidanzato di Tizia o di Caia.
229
(Foto Luigi Morizzi)
Il lavatoio presso la Fontana grande di Tresilico
230
(cartolina viaggiata 1930 – ed. Brunetti)
231
INDICE
- Introduzione pag.5
- Favolistica 5
- L’Umanità 19
- L’uomo e i suoi pregi 19
- L’uomo e i suoi difetti 22
- La donna 39
- Il marito 43
- La moglie 44
- Il padre 46
- La madre 46
- I figli e i ragazzi in genere 47
- I parenti 50
- Compari e comari 53
- I vicini 53
- Gli amici 55
- La casa 57
- Mestieri e professioni 61
- L’educazione 65
- Giurisprudenza spicciola 66
- Credenze superstiziose 71
- Dio e i Santi 73
- Il diavolo 79
- Preti e monaci 79
- Rapporti sociali 83
- Stupidità umana 96
- Rassegnazione 100
- Timori e apprensioni 107
- Fortuna e sfortuna 109
- Ricchezza e povertà 114
- Avarizia e risparmio 124
- Furbizia 129
- Imprecazioni ed epiteti vari 131
- Igiene e medicina 133
- Culinaria 141
- Il contadino e la campagna 146
- Calendaristici 148
- Le stagioni e i mesi 148
- I giorni della settimana 161
- Previsioni astronomiche 162
- L’amore 163
- Filastrocche 166
- Indovinelli 204
- Blasoni popolari 220
- Scioglilingua 224
- Strambotti amorosi-stornelli a dispetto 225
Finito di stampare nel mese di giugno 2010.