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IL GIGANTE EGOISTA

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ai sensi dell'art. 71bis del Decreto Legislativo 9 aprile 2003 n 86, riproduzione vietata - PAGINA 51
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Ogni pomeriggio, appena uscivano da scuola,


i bambini avevano l’abitudine di andare a
giocare nel giardino del Gigante.
Era un bel giardino grande, con erba verde e
soffice. Qua e là si drizzavano fiori belli come
stelle, e c’erano dodici peschi che a primavera
si aprivano in delicati fiori color di rosa e perla,
e in autunno davano frutti succosi. Gli uccelli si
posavano sugli alberi e cantavano con tanta
dolcezza che i bambini interrompevano i loro
giochi per ascoltarli. «Come siamo felici qui!»
si gridavano l’un l’altro.
Un giorno il Gigante tornò. Era stato a far
visita al suo amico, l’Orco della Cornovaglia, e
si era trattenuto da lui per sette anni. Alla fine
dei sette anni aveva detto tutto quanto aveva da
dire, perché aveva una conversazione limitata, e
decise di tornare al suo castello. Quando arrivò
vide i bambini che giocavano nel giardino.

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«Che ci fate qui?» esclamò con voce molto


burbera, e i bambini scapparono via.
«Il mio giardino è mio» disse il Gigante.
«Questo lo può capire chiunque, e non
consentirò a nessuno di giocarci all’infuori di
me.» Così vi costruì un alto muro tutt’intorno, e
mise un cartello.
VIETATO L’INGRESSO
I TRASGRESSORI SARANNO PERSEGUITI
A TERMINI DI LEGGE

Era un Gigante molto egoista.


I poveri bambini non sapevano dove giocare.
Cercarono di giocare lungo la strada, ma la
strada era polverosa e piena di sassi aguzzi, e a
loro non piaceva.
Alla fine delle lezioni si aggiravano sotto le
alte mura, e parlavano del bel giardino
all’interno. «Come eravamo felici lì!» si
dicevano.

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Poi venne la primavera, e in tutto il paese


spuntarono piccoli fiori e cinguettavano piccoli
uccelli. Solo nel giardino del Gigante Egoista
era ancora inverno. Gli uccelli non ci andavano
a cantare perché non c’erano bambini, e gli
alberi si dimenticarono di fiorire. Una volta un
bel fiore fece capolino dall’erba, ma quando
vide il cartello si dispiacque talmente per i
bambini che scivolò di nuovo nella terra e si
rimise a dormire. I soli a essere contenti furono
la Neve e il Gelo. «La primavera ha dimenticato
questo giardino» esclamarono. «Vuol dire che
ci abiteremo tutto l’anno.» La Neve coprì l’erba
col suo gran mantello bianco, e il Gelo dipinse
d’argento tutti gli alberi. Poi invitarono il Vento
del Nord a fermarsi da loro, e lui arrivò. Era
tutto impellicciato, e ruggì nel giardino da
mattina a sera, e abbatté i comignoli. «Questo è
un posto magnifico» disse.

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«Dobbiamo invitare la Grandine, che ci


venga a trovare.» Così venne la Grandine. Ogni
giorno per tre ore crepitò sul tetto del castello
finché non ebbe rotto la maggior parte delle
tegole, e allora si mise a correre
incessantemente, più forte che poteva, intorno
al giardino.Era vestita di grigio, e aveva l’alito
come ghiaccio.
«Non capisco proprio perché la primavera
tarda tanto» diceva il Gigante Egoista
guardando dalla finestra il suo giardino freddo,
bianco.
«Spero che il tempo cambi.»
Ma la primavera non arrivò mai, e nemmeno
l’estate.
L’autunno diede frutti d’oro a ogni giardino,
ma neppure uno crebbe nel giardino del
Gigante.

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«È troppo egoista» disse. Così lì era sempre


inverno, e il Vento del Nord e la Grandine e il
Gelo e la Neve danzavano qua e là fra gli
alberi.
Una mattina il Gigante se ne stava a letto
quando udì un canto melodioso. Gli suonò così
dolce alle orecchie che pensò dovessero essere i
musici del Re che passavano. In realtà era solo
un piccolo fanello che cantava davanti alla
finestra, ma da così tanto tempo non sentiva
cantare un uccello nel suo giardino che quella
gli parve la più bella musica del mondo. Allora
la Grandine smise di danzargli sulla testa, e il
Vento del Nord cessò di ruggire, e un profumo
delizioso lo raggiunse dai battenti aperti.
«Secondo me è finalmente arrivata la
primavera» disse il Gigante; e saltò giù dal letto
e guardò fuori.
Che cosa vide?

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Vide uno spettacolo meraviglioso.


Da un piccolo buco nel muro si erano
intrufolati i bambini, e ora sedevano appollaiati
sui rami degli alberi.
Su ogni ramo a lui visibile c’era un bambino.
E gli alberi sembravano talmente contenti di
riavere i bambini, che si erano coperti di fiori, e
agitavano delicatamente le loro braccia sul capo
dei bambini. Gli uccelli volavano qua e là
cinguettando di piacere, e altri fiori facevano
capolino dall’erba verde e ridevano. Era una
scena bellissima. Solo in un angolo era ancora
inverno.
Era l’angolo più remoto del giardino, e lì
c’era un bambino, ritto in piedi. Quel bambino
era così piccolo che non arrivava ai rami
dell’albero, e vi girava tutto intorno, piangendo
amaramente.

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Il povero albero era coperto di ghiaccio e di


neve, ed era in balia del Vento del Nord che
soffiava e ruggiva.
«Sali, piccolino!» diceva l’Albero, e piegava
i rami più che poteva; ma il bambino era troppo
piccolo.
A quella vista il cuore del Gigante si sciolse.
«Come sono stato egoista!» disse.
«Ora so perché la primavera non voleva
arrivare. Metterò quel piccolino in cima
all’Albero, e poi abbatterò il muro, e il mio
giardino sarà riservato ai giochi dei bambini, per
sempre.»
Gli dispiaceva davvero per quanto aveva
fatto.
Così scese lentamente al piano di sotto, e
spalancò il portone senza far rumore, e uscì in
giardino.

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Ma alla sua vista i bambini si spaventarono


tanto da scappar via, e nel giardino tornò
l’inverno.
Solo il bambino più piccolo non fuggì perché
aveva gli occhi talmente pieni di lacrime che
non vide il Gigante avvicinarsi. E il Gigante gli
si avvicinò silenziosamente alle spalle, e lo
prese con delicatezza nel palmo della mano, e
lo posò sull’Albero.
E l’Albero fece immediatamente sbocciare i
fiori, e gli uccelli vennero a cantarvi sopra, e il
bambinetto tese le braccia e le gettò al collo del
Gigante, e lo baciò.
E gli altri bambini vedendo che il Gigante
non era più cattivo tornarono di corsa, e con
loro tornò la primavera.

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«Ora il giardino è vostro, bambini» disse il


Gigante, e prese una grande scure e abbatté il
muro. E a mezzogiorno, la gente che andava al
mercato vide il Gigante giocare con i bambini
nel giardino più bello che si fosse mai visto.
I piccoli giocarono per tutto il giorno, e la
sera tornarono dal Gigante per salutarlo.
«Ma dov’è il vostro piccolo compagno?»
chiese.
«Dov’è il bambino che ho messo
sull’Albero?»
Il Gigante lo amava più di tutti perché gli
aveva dato un bacio.

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«Non lo sappiamo» risposero i bambini. «È


andato via.»
«Dovete dirgli di non mancare domani» disse
il Gigante. Ma i bambini dissero che non
sapevano dove abitava e che non lo avevano mai
visto prima.
Il Gigante fu molto gentile con tutti i
bambini, eppure quel suo primo piccolo amico gli
mancava sempre, e spesso parlava di lui. «Come
mi piacerebbe rivederlo!» diceva.
Passarono gli anni, e il Gigante si fece molto
vecchio e debole. Non poteva più giocare, perciò
si metteva su una grande poltrona e guardava
giocare i bambini, e ammirava il suo giardino.
«Ho tanti bei fiori» diceva. «Ma i bambini sono
i fiori più belli di tutti.»
Una mattina d’inverno, mentre si vestiva,
guardò dalla finestra.

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Ormai non odiava più l’inverno, perché


sapeva che era soltanto la primavera
addormentata e che, in quel periodo, i fiori
stavano riposando.
D’un tratto si strofinò gli occhi dalla
meraviglia e guardò e di nuovo guardò. Era
certo una vista meravigliosa. Nell’angolo più
remoto del giardino c’era un albero coperto di
bellissimi fiori bianchi. Aveva rami d’oro da cui
pendevano frutti d’argento, e sotto c’era il
bambinetto che aveva tanto amato.
Il Gigante si precipitò dabbasso pieno di
gioia, e uscì in giardino. Attraversò in fretta il
prato, e andò verso il bambino. E quando giunse
vicino al suo viso diventò rosso dall’ira e disse:
«Chi ha osato ferirti?». Perché sui palmi delle
mani del bambino c’erano i segni di due chiodi,
e i segni di due chiodi erano anche sui suoi
piedini.

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«Chi ha osato ferirti?» domandò il Gigante.


«Dimmelo, ch’io possa prendere il mio spadone
e ucciderlo.»
«No» rispose il piccolo. «Queste sono le
ferite dell’amore.»
«Chi sei tu?»
disse il Gigante, e uno strano timore si
impadronì di lui, e si inginocchiò davanti al
bambino.
E il bambino sorrise al Gigante, e gli disse:
«Una volta mi hai permesso di giocare nel tuo
giardino, oggi verrai con me nel mio giardino,
che è il Paradiso».
E quando i bambini corsero nel giardino quel
pomeriggio, trovarono il Gigante che giaceva
morto sotto l’Albero, tutto coperto di fiori
bianchi.

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