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L’AMICO DEVOTO

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Una mattina il vecchio Topo d’Acqua affacciò


la testa dalla sua tana. Aveva occhi lustri a
capocchia di spillo e rigidi baffi grigi, e la coda
come un lungo pezzo di caucciù nero. Gli
anatroccoli nuotavano qua e là nel laghetto, e
sembravano tanti canarini gialli, e la madre, che
era di un bianco purissimo con le zampe rosse
per davvero, stava cercando di insegnar loro a
stare in acqua a testa in giù.
«Non sarete mai ammessi nella migliore
società se non saprete stare a testa in giù»
continuava a ripetere ai piccoli; e ogni tanto
mostrava loro come si faceva. Ma gli
anatroccoli non le badavano. Erano talmente
giovani che non avevano la minima idea di quale
convenienza vi fosse a essere ammessi in
società.
«Che bambini disobbedienti!» esclamò il
vecchio Topo d’Acqua.

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«Meriterebbero davvero di annegare.»


«Neanche per sogno» rispose l’Anatra.
«Tutti devono pur cominciare, e la pazienza dei
genitori non è mai troppa.»
«Ah! Io non mi intendo di sentimenti di
genitori» disse il Topo d’Acqua. «Non sono
portato alla vita di famiglia. Anzi, non mi sono
mai nemmeno sposato, né ho intenzione di farlo.
L’amore va benissimo, ma l’amicizia vale molto
di più. Veramente, non conosco nulla al mondo
di più nobile né di più raro di un’amicizia
devota.»
«E quale sarebbe, di grazia, il tuo concetto
dei doveri di un amico devoto?» chiese un
Fanello verde che stava appollaiato su di un
salice poco lontano e aveva ascoltato la
conversazione.
«Già, anche a me piacerebbe saperlo!» disse
l’Anatra;

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e si allontanò nuotando fino all’estremità


del laghetto, dove si mise a testa in giù per
dare il buon esempio ai figli.
«Che domanda sciocca!» esclamò il Topo
d’Acqua.
«Da un amico devoto mi aspetterei la
devozione, naturalmente.»
«E tu che cosa faresti in cambio?» disse
l’uccellino, dondolandosi sopra uno spruzzo
d’argento, e sbattendo le piccole ali.
«Non ti capisco» rispose il Topo d’Acqua.
«Lascia che ti racconti una storia in
proposito» disse il Fanello.
«Parla di me la storia?» chiese il Topo
d’Acqua. «Se sì, l’ascolterò, perché adoro le
novelle.»
«Ti può riguardare» rispose il Fanello; e volò
giù, e atterrando sulla sponda raccontò la storia
dell’Amico Devoto.

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«C’era una volta» disse il Fanello «un


onesto tipetto a nome Hans.»
«Era molto distinto?» chiese il Topo
d’Acqua.
«No» rispose il Fanello. «Non credo che
fosse affatto distinto, se non per il suo cuore
gentile, e per il suo viso buffo, rotondo,
allegro.
Abitava in una casettina tutto solo, e ogni
giorno lavorava nel suo giardino. In tutta la
campagna non c’era un giardino bello come il
suo.
Ci crescevano le palmechristi, e i garofani, e
le borse di pastore, e i ranuncoli.
C’erano rose di Damasco, e rose gialle,
crochi lilla e viole d’oro e porpora e bianche.
Aquilegie e cardamine, maggiorana e basilico
selvatico, la primula gialla e il fiordaliso,

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l’asfodelo e il dianto sbocciavano o fiorivano


secondo l’ordine appropriato col passare dei
mesi, un fiore prendendo il posto dell’altro, così
che c’erano sempre belle cose da guardare, e
piacevoli profumi da annusare.»
Il piccolo Hans aveva moltissimi amici, ma
l’amico più devoto di tutti era il grosso Hugh, il
Mugnaio. E veramente il ricco Mugnaio era così
devoto al piccolo Hans, che non passava mai
vicino al suo giardino senza chinarsi sul muro di
cinta e cogliersi un bel mazzolino profumato, o
una manciata di erbe dolci, o senza riempirsi le
tasche di susine e ciliegie se era la stagione
della frutta.
«I veri amici dovrebbero avere tutto in
comune» era solito dire il Mugnaio, e il piccolo
Hans annuiva e sorrideva, e si sentiva fierissimo
di avere un amico dalle idee così nobili.

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A volte, per la verità, i vicini trovavano


strano che il ricco Mugnaio non desse mai niente
in cambio al piccolo Hans, benché avesse cento
sacchi di farina nel suo mulino, e sei mucche da
latte, e un grande gregge di pecore lanose; ma
Hans non si confondeva mai appresso a queste
cose, e nulla gli dava maggior piacere
dell’ascoltare tutte le cose meravigliose che il
Mugnaio soleva dire sull’altruismo della vera
amicizia.
Così il piccolo Hans lavorava nel suo
giardino. Durante la primavera, l’estate e
l’autunno era molto felice, ma quando veniva
l’inverno, e non aveva frutta né fiori da portare
al mercato, pativa assai il freddo e la fame, e
spesso doveva andare a letto senz’altra cena
che qualche pera secca o qualche nocciolina.
D’inverno, inoltre, era estremamente solo, dato
che il Mugnaio non lo veniva mai a trovare.

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«Inutile che vada a trovare il piccolo Hans


finché c’è la neve» soleva dire il Mugnaio alla
moglie. «Perché le persone quando sono nei
guai vanno lasciate in pace, e non seccate con
le visite. Almeno questa è la mia idea
dell’amicizia, e sono certo di avere ragione.
Così aspetterò fino a primavera, e allora andrò
a fargli visita, e lui potrà darmi un bel cesto
pieno di primule, cosa che gli farà tanto
piacere.»
«Certo ti dai una gran pena per gli altri»
rispondeva la moglie dalla sua comoda poltrona
accanto al gran fuoco di legna di pino. «Una
gran pena davvero. Fa proprio piacere sentirti
parlare dell’amicizia. Sono certa che neppure il
parroco in persona saprebbe dire cose così
belle, con tutto che lui abita in una casa a tre
piani e porta al mignolo un anello d’oro.»

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«Ma non potremmo invitare qui il piccolo


Hans?» chiese il figlio più piccolo del Mugnaio.
«Se il povero Hans se la passa male gli darò la
metà della mia zuppa d’avena, e gli mostrerò i
miei conigli bianchi.»
«Che ragazzo sciocco sei!» esclamò il
Mugnaio. «Veramente non so proprio a che
serva mandarti a scuola. A quanto pare non
impari nulla.
Ma come! Se il piccolo Hans venisse qui, e
vedesse il nostro fuoco caldo, e la nostra buona
cena, e il nostro barile di vino rosso, potrebbe
provare invidia, e l’invidia è una cosa terribile,
capace di rovinare la natura di chiunque. Non
ho certo intenzione di permettere che la natura
di Hans si rovini.
Sono il suo migliore amico, e avrò sempre
cura di lui, e baderò a che non sia indotto in
nessuna tentazione.

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E poi, se venisse qui, Hans potrebbe


chiedermi di prestargli della farina a credito, e
questo non potrei mai farlo. La farina è una
cosa, e l’amicizia un’altra, e non bisogna
confonderle. Le due parole si scrivono in modo
diverso e hanno significati diversissimi. Fin qui
ci arriva chiunque.»
«Come parli bene!» disse la moglie del
Mugnaio, riempiendosi un bicchierone di birra
calda. «Veramente mi sento molto assonnata. È
proprio come essere in chiesa.»
«Tanti agiscono bene» rispose il Mugnaio
«ma pochissimi parlano bene, il che dimostra
come parlare sia di gran lunga la cosa più
difficile delle due, e anche la migliore»;
e guardò severamente all’altro capo della
tavola il figlioletto, il quale provò una tale
vergogna che abbassò il capo, si fece tutto rosso
e si mise a piangere nella sua tazza di tè.

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D’altro canto era così giovane che dovreste


scusarlo.
«Finisce così la storia?» chiese il Topo
d’Acqua.
«Certo che no» rispose il Fanello. «Era solo
il principio.»
«Allora sei alquanto fuori moda» disse il
Topo d’Acqua. «Tutti i buoni narratori
oggigiorno cominciano con la fine, per passare
quindi all’inizio, e concludere con la parte
centrale. È il nuovo metodo. L’ho sentito
spiegare ieri sera da un critico che passeggiava
intorno allo stagno con un giovanotto. Si è
dilungato assai sulla faccenda e sono certo che
aveva ragione, perché aveva occhiali azzurri e il
cranio pelato, e ogni volta che il giovanotto
diceva una cosa qualsiasi rispondeva sempre
“Puah!”. Ma ti prego, continua la tua storia.
Il Mugnaio mi piace immensamente.

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Io stesso nutro ogni genere di bei


sentimenti, dunque c’è una grande simpatia fra
noi due.»
«Ebbene» disse il Fanello, saltellando ora su
una zampa, ora sull’altra «non appena l’inverno
fu finito, e le primule cominciarono ad aprire le
loro pallide stelle gialle, il Mugnaio disse a sua
moglie che sarebbe andato a trovare il piccolo
Hans.»
«Ma che buon cuore hai!» esclamò sua
moglie. «Pensi sempre agli altri, tu. Mi
raccomando, non dimenticare di portarti il
cestino grande per i fiori.»
Così il Mugnaio legò le vele del mulino con
una robusta catena di ferro, e scese il colle col
cestino al braccio.
«Buongiorno, piccolo Hans» disse il
Mugnaio.

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«Buongiorno» disse Hans, appoggiandosi alla


vanga e sorridendo da un orecchio all’altro.
«E come te la sei passata tutto l’inverno?»
disse il Mugnaio.
«Be’, veramente» esclamò Hans «sei molto
buono a chiederlo, molto buono davvero. Temo
di essermela passata abbastanza male, ma
adesso è arrivata la primavera, e sono tutto
contento, e i miei fiori stanno bene.»
«Abbiamo spesso parlato di te durante
l’inverno, Hans» disse il Mugnaio. «E ci siamo
chiesti come te la cavavi.»
«Ma come siete stati gentili» disse Hans.
«Avevo quasi paura che mi avessi dimenticato.»
«Hans, tu mi sorprendi» disse il Mugnaio.
«L’amicizia non dimentica mai. È questa la cosa
meravigliosa dell’amicizia, ma ho paura che tu
non riuscirai a capire la poesia della vita. A
proposito, come sono belle le tue primule!»

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«Sì, sono proprio bellissime» disse Hans. «E


sono proprio fortunato ad averne tante. Le
porto al mercato e le venderò alla figlia del
Borgomastro, e con quei soldi mi ricomprerò la
carriola.»
«Ricomprarti la carriola? Non vorrai dirmi
che l’hai venduta? Che sciocchezza!»
«Be’, sta di fatto che ho dovuto» disse
Hans.
«Vedi, l’inverno è stato molto duro per me,
e in verità sono rimasto senza il denaro per
comprarmi il pane. Così prima mi sono venduto i
bottoni d’argento della giacca buona, poi mi
sono venduto la mia catena d’argento, poi mi
sono venduto la mia grossa pipa, e da ultimo mi
sono venduto la carriola. Però adesso mi
ricomprerò ogni cosa.»
«Hans» disse il Mugnaio «ti voglio dare la
mia carriola.

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Non è in ottime condizioni, per la verità, le


manca un lato, e c’è qualcosa che non va con i
raggi, malgrado ciò te la voglio dare. So che è
molto generoso da parte mia, e moltissimi mi
troverebbero estremamente sciocco a
separarmene, ma io non sono come gli altri.
Secondo me la generosità è l’essenza
dell’amicizia, e inoltre io mi sono fatto una
carriola nuova. Sì, non preoccuparti più, ti darò
la mia carriola.»
«Ma è molto generoso da parte tua» disse il
piccolo Hans, e il suo buffo viso rotondo luccicò
tutto dal piacere.
«Posso ripararla facilmente, perché ho in
casa una bella asse di legno.»
«Un’asse di legno!» disse il Mugnaio. «Ma è
proprio quello che mi serve per il tetto del
fienile. C’è un gran buco e se non lo chiudo mi
si bagna tutto il grano.

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Meno male che me l’hai detto! Incredibile


come una buona azione se ne tira sempre dietro
un’altra. Io ti ho dato la mia carriola, e adesso
tu mi dai la tua asse. Naturalmente la carriola
vale molto di più dell’asse, ma la vera amicizia
non nota mai cose del genere. Vammela subito a
prendere, per favore, voglio mettermi a riparare
il fienile oggi stesso.»
«Certo» esclamò il piccolo Hans, e corse al
ripostiglio e tirò fuori l’asse.
«Come asse non è molto grande» disse il
Mugnaio, esaminandola.
«E ho paura che una volta riparato il tetto
del mio fienile non ti rimarrà niente per
ripararci la carriola; ma naturalmente non è
colpa mia. E ora, così come ti ho dato la mia
carriola, sono certo che ti farebbe piacere darmi
in cambio qualche fiore. Ecco il cesto, riempilo
bene, mi raccomando.»

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«Lo vuoi pieno?» disse il piccolo Hans, con


un certo dispiacere, perché il cesto era
grandissimo, e sapeva che se lo avesse riempito
non gli sarebbero rimasti fiori per il mercato, e
ci teneva parecchio a recuperare i suoi bottoni.
«Ma insomma» rispose il Mugnaio «dal
momento che ti ho dato la mia carriola, non mi
sembra sia poi tanto chiederti qualche fiore.
Sbaglierò, ma credevo che l’amicizia, la vera
amicizia, non conoscesse nessun tipo di
egoismo.»
«Mio caro amico, mio migliore amico»
esclamò il piccolo Hans «serviti pure di tutti i
fiori del mio giardino!
Preferisco avere la tua stima che i miei
bottoni d’argento, in qualunque momento.» E
corse a cogliere tutte le sue leggiadre primule,
e riempì il cesto del Mugnaio.
«Arrivederci, piccolo Hans» disse il Mugnaio,

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e risalì il colle con l’asse in spalla, e il


grosso cesto in mano.
«Arrivederci» disse il piccolo Hans, e si mise
a scavare tutto allegro, felice com’era per la
carriola.
Il giorno dopo stava appuntando del
caprifoglio al portico, quando si sentì chiamare
dalla strada: era la voce del Mugnaio. Subito
saltò giù dalla scala, e corse in giardino, e si
affacciò al muro.
Ed ecco lì il Mugnaio con un gran sacco di
farina sulla schiena.
«Caro piccolo Hans» disse il Mugnaio «ti
dispiacerebbe portarmi questo sacco di farina al
mercato?»
«Oh, mi dispiace tanto» disse Hans. «Ma
oggi ho veramente molto da fare. Devo
appuntare tutti i miei rampicanti, e innaffiare
tutti i miei fiori, e spianare tutto il mio prato.»

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«Be’, veramente» disse il Mugnaio «dico,


considerando il fatto che sto per darti la mia
carriola, è abbastanza poco da amico rifiutarti.»
«Oh, non dirlo» gridò il piccolo Hans.
«Non vorrei essere poco amico con te per
tutto l’oro del mondo.» E corse a prendere il
berretto, e si avviò a fatica con il grande sacco
sulle spalle.
Era una giornata molto calda, la strada era
piena di polvere, e prima di essere arrivato alla
pietra del sesto miglio Hans era così stanco che
dovette mettersi a sedere e riposarsi. Tuttavia
proseguì con coraggio, e alla fine arrivò al
mercato.
Dopo aver atteso un po’, vendette il sacco
di farina per un buon prezzo, e tornò subito
verso casa, perché aveva paura, se si fosse
fermato sino a tarda ora, di poter incontrare per
strada dei ladroni.

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«È stata proprio una giornata pesante» si


disse il piccolo Hans al momento di andare a
letto. «Ma sono contento di non aver detto di
no al Mugnaio, perché lui è il mio migliore
amico, senza contare che mi darà la sua
carriola.»
La mattina dopo di buon’ora il Mugnaio scese
a ritirare il denaro del suo sacco di farina, ma il
piccolo Hans per la stanchezza era ancora a
letto.
«Parola mia» disse il Mugnaio «sei proprio
pigro. Davvero, considerando il fatto che ti darò
la mia carriola, direi che potresti lavorare di
più. L’ozio è un peccato grave, e certamente
non mi fa piacere l’idea che uno dei miei amici
sia pigro o infingardo.
Non te ne avere a male se ti parlo chiaro e
tondo. Naturalmente non mi sognerei di farlo se
non ti fossi amico.

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Ma a che serve l’amicizia se non si può dire


esattamente quello che si vuole? Chiunque è
capace di dire cose piacevoli per cercare di
compiacere e di adulare, ma un vero amico dice
sempre cose spiacevoli, e non sta a guardare se
fa male o no. Anzi, se è un vero amico
preferisce far male, perché allora sa di far
bene.»
«Mi dispiace molto» disse il piccolo Hans,
stropicciandosi gli occhi e togliendosi la
berretta da notte. «Ma ero così stanco che ho
pensato di restare a letto ancora un po’, a
sentire gli uccelli che cantano. Lo sai che lavoro
sempre meglio se ho sentito cantare gli
uccelli?»
«Be’, mi fa piacere» disse il Mugnaio,
assestando una pacca sulla schiena del piccolo
Hans

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«perché voglio che tu venga su al mulino


appena sarai vestito, ad aggiustarmi il tetto del
fienile.»
Il povero piccolo Hans aveva molta fretta di
andare a lavorare nel suo giardino, perché
erano due giorni che non innaffiava i fiori, ma
non voleva dire di no al Mugnaio, che era tanto
un buon amico.
«Lo considereresti poco da amico se ti
dicessi che ho da fare?» indagò con una vocina
timida.
«Ma insomma» rispose il Mugnaio «non mi
sembra di chiedere poi tanto, in considerazione
del fatto che ti sto per dare la mia carriola; ma
naturalmente, se ti rifiuti andrò a farlo io.»
«Oh! Ci mancherebbe altro» esclamò il
piccolo Hans; e saltò giù dal letto, e si vestì, e
andò al fienile.

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Ci lavorò tutto il giorno, fino al tramonto, e


al tramonto il Mugnaio venne a vedere come
procedeva il lavoro.
«Hai aggiustato il buco nel tetto, piccolo
Hans?» gridò il Mugnaio con voce allegra.
«Adesso è a posto» rispose il piccolo Hans,
scendendo giù per la scala.
«Ah!» disse il Mugnaio. «Non c’è lavoro
piacevole come il lavoro che si fa per gli altri.»
«È proprio un privilegio poterti sentir
parlare» rispose il piccolo Hans, sedendosi e
asciugandosi la fronte. «Un privilegio
grandissimo. Ma temo che non avrò mai delle
idee belle come le tue.»
«Oh! Vedrai che ti verranno» disse il
Mugnaio. «Ma devi darti più da fare. Al
momento attuale tu hai solo la pratica
dell’amicizia; un giorno avrai anche la teoria.»

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«Pensi davvero che ci arriverò?» chiese il


piccolo Hans.
«Non ne dubito» rispose il Mugnaio.
«Ma ora che hai aggiustato il tetto, sarà
meglio che torni a casa e ti riposi, perché
domani voglio che mi porti le pecore sulla
montagna.»
Il povero piccolo Hans ebbe paura di fare la
minima obbiezione, e la mattina dopo di
buon’ora il Mugnaio gli portò le sue pecore alla
casetta, e Hans si avviò con loro verso la
montagna.
Gli ci volle tutta la giornata per arrivarci e
per tornare; e quando tornò era così stanco che
si addormentò sulla sua sedia, e non si svegliò
fino a giorno fatto.
«Come starò bene oggi nel mio giardino!»
disse, e si mise subito al lavoro.

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Ma in qualche modo non gli riuscì mai di


occuparsi dei suoi fiori, perché il suo amico
Mugnaio non faceva che presentarsi e spedirlo a
eseguire lunghe commissioni, o a farsi venire ad
aiutare al mulino. Il piccolo Hans era disperato
certe volte, perché temeva che i suoi fiori
pensassero che li aveva traditi, ma si consolò
riflettendo che il Mugnaio era il suo migliore
amico.
«E poi» diceva «mi darà la sua carriola, il
che è un atto di pura generosità.»
Così il piccolo Hans continuò a lavorare per
il Mugnaio, e il Mugnaio disse tutta una serie di
belle cose sull’amicizia, cose che Hans si
appuntava in un taccuino e che si rileggeva la
notte, perché era un ottimo allievo.
Ora accadde che una sera il piccolo Hans era
seduto accanto al fuoco quando sentì bussare
forte alla porta.

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Era una notte molto inquieta, col vento che


soffiava e ruggiva intorno alla casa, così
terribile che sulle prime Hans pensò si trattasse
solo della tempesta. Ma venne un secondo
colpo, poi un terzo, più forte di tutti gli altri.
«Sarà un povero viandante» si disse il
piccolo Hans, e corse alla porta.
Sulla soglia trovò il Mugnaio, con una
lanterna in una mano e un grosso bastone
nell’altra.
«Caro piccolo Hans» esclamò il Mugnaio «mi
trovo in un gran guaio. Il mio figlioletto è
caduto dalla scala e si è fatto male, e sto
andando dal Dottore.
Però quello abita così lontano, ed è una
notte così brutta, che mi è appena venuto in
mente che sarebbe molto meglio se ci andassi tu
al posto mio.

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Come sai, sto per darti la mia carriola,


ragion per cui è solo giusto che tu faccia
qualcosa per me in cambio.»
«Certo!» esclamò il piccolo Hans.
«Considero un complimento il fatto che tu sia
venuto da me, e mi avvierò subito. Però bisogna
che mi presti la tua lanterna, perché la notte è
così scura che ho paura di cadere nel fossato.»
«Mi dispiace molto» rispose il Mugnaio. «Ma
è la mia lanterna nuova, e sarebbe una gran
perdita per me se le succedesse qualcosa.»
«Be’, non importa, ne farò a meno» esclamò
il piccolo Hans, e prese il suo giaccone di
pelliccia, e il suo caldo berretto scarlatto, e si
avvolse al collo uno sciarpone, e si avviò.
Che terribile tempesta era quella!
La notte era così scura che il piccolo Hans
riusciva appena a vederci, e il vento era così
forte che si teneva in piedi a fatica.

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Tuttavia, era molto coraggioso, e dopo aver


camminato per circa tre ore arrivò alla casa del
Dottore, e bussò alla porta.
«Chi è?» gridò il Dottore, sporgendo il capo
dalla finestra della camera da letto.
«Il piccolo Hans, Dottore.»
«Che cosa vuoi, piccolo Hans?»
«Il figlio del Mugnaio è caduto da una scala
e si è fatto male, e il Mugnaio vuole che vada
subito da lui.»
«Va bene!» disse il Dottore; e ordinò il
cavallo, e si infilò gli stivaloni, e scese
dabbasso, e si avviò in direzione della casa del
Mugnaio, col piccolo Hans che gli arrancava
dietro.
Ma la tempesta continuò a peggiorare, e la
pioggia cadeva a torrenti, e il piccolo Hans non
vedeva più dove andava, né riusciva a tener
dietro al cavallo.

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Alla fine si smarrì, e vagò per la brughiera,


che era un luogo molto pericoloso, pieno di
profondi crepacci, e qui il povero piccolo Hans
cadde e annegò. Il suo corpo fu trovato il
giorno dopo da certi caprai, che galleggiava in
una gran pozza d’acqua, e fu da loro riportato
alla casetta.
Tutti andarono al funerale del piccolo Hans,
poiché era molto popolare; e il Mugnaio fu in
prima fila tra i dolenti.
«Dato che ero il suo migliore amico» disse
il Mugnaio
«è solo giusto che mi spetti il posto
migliore.»
E perciò avanzò alla testa del corteo con un
lungo mantello nero, e ogni tanto si asciugava
gli occhi con un grosso fazzoletto da tasca.

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«Il piccolo Hans è certo una gran perdita per


tutti» disse il Fabbro quando il funerale fu
terminato, e si trovarono tutti seduti
comodamente alla locanda, a bere vino speziato
e a mangiare dolcetti.
«Una gran perdita almeno per me» rispose il
Mugnaio. «Pensare che gli avevo praticamente
dato la mia carriola, e adesso non so veramente
che farmene. A casa ce l’ho sempre fra i piedi,
e poi è in così cattive condizioni che a venderla
non mi darebbero niente. Certo d’ora in avanti
ci penserò due volte prima di regalare qualcosa.
A essere generosi ci si rimette sempre.»
«Be’?» disse il Topo d’Acqua, dopo una
lunga pausa.
«Be’, è finita» disse il Fanello.
«Ma che ne fu del Mugnaio?» chiese il Topo
d’Acqua.

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«Oh! Che vuoi che ne sappia» rispose il


Fanello. «Francamente non me ne importa
niente.»
«Mi sembra evidente che sei poco portato
alla solidarietà» disse il Topo d’Acqua.
«Temo che tu non afferri la morale della
storia» osservò il Fanello.
«La che?» strillò il Topo d’Acqua.
«La morale.»
«Vuoi dire che la storia ha una morale?»
«Certo» disse il Fanello.
«Be’, questa poi» disse il Topo d’Acqua,
molto arrabbiato. «Me l’avresti potuto anche
dire prima di cominciare. Se mi avessi avvisato,
certo non ti sarei stato a sentire; anzi, avrei
detto “Puah” come quel critico. Comunque,
posso dirlo adesso.» E gridò: «Puah» con tutto
il fiato che aveva, fece uno schiocco con la
coda, e se ne tornò dentro alla tana.

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«E che te ne pare del Topo d’Acqua?» chiese


l’Anatra, che venne pagaiando in capo a qualche
minuto.
«Per molti lati ha ragione, ma da parte mia
ho sentimenti materni e non riesco mai a
guardare uno scapolo impenitente senza sentirmi
venire le lacrime agli occhi.»
«Temo proprio di averlo seccato» rispose il
Fanello.
«Il fatto è che gli ho raccontato una storia
con la morale.»
«Ah! Questa è sempre una cosa molto
pericolosa» disse l’Anatra.
E io sono d’accordo con lei.

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