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Le fiamme che annunciarono il grande incendio

[TRIESTE]
Un passato che non passa e che continua a pesare su Trieste. Una realtà che dopo essere stata
emporio multietnico dell’Austria ha dovuto fare i conti con la sua dimensione di “italianissima” e
marginale località di provincia. In sintesi, come rilevano Borut Klabjan e Gorazd Bajc, una città
senza storia che alla fine s’è ritrovata “con troppa storia – e, forse, anche troppi storici”. È una
delle constatazioni di Battesimo di fuoco- L’incendio del Narodni dom di Trieste e l’Europa
adriatica del XX secolo, appena uscito per i tipi de il Mulino. Il libro sarà presentato giovedì alle
18 presso la libreria Ubik del capoluogo giuliano.
L’orribile vicenda narrata è quella del Narodni dom, la vetrina della locale comunità slovena
(jugoslava), data alle fiamme, tra balli e canti di giubilo, il 13 luglio 1920, in quello che fu il
preludio della violenza fascista, che investì tutta Italia. I due storici triestini raccontano attraverso
questa chiave l’età dei nazionalismi, un periodo iniziato nel Ottocento e forse non ancora finito.

Il Narodni dom dato alle fiamme dai fasccisti il 13 luglio 1920. Fu, nelle parole di Renzo De Felice, “il vero
battesimo dello squadrismo organizzato”.

La prospettiva è quella della locale comunità slovena. Le sue élite borghesi, all’epoca avevano
fatto fortuna, si erano arricchite ed erano diventate una componente importante della vita
cittadina. In nessuna altro centro dell’impero vivevano così tanti sloveni, si diceva, nemmeno a
Lubiana. Proprio per questo le sue élite sognavano di erigere un “agognato rifugio” da cui nessuno

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avrebbe potuto cacciarle: non uno spazio qualsiasi, ma un edificio in pieno centro per affermare e
rivendicare la propria presenza nel tessuto urbano attraverso “la trasposizione in pietra e mattoni
delle istanze nazionali”. Alla fine, ne uscì un vero e proprio gioiello, progettato dal famoso
architetto Max Fabiani. Un edificio polifunzionale, inaugurato nel 1904, con tanto di albergo,
teatro, caffè e spazi per le associazioni “slave” della città. Un vero e proprio smacco per i
nazionalisti italiani, che nella retorica del tempo dipingevano gli sloveni come villici, che nulla
avevano a che fare con la città.
Qui le vicende si intrecciano e i nazionalismi si scontrano. Sullo sfondo una città in origine
composita, cosmopolita, borghese e operaia, con il suo entroterra contadino. Non tutti (e forse
nemmeno la maggioranza) si appassionano – inizialmente – alle cause nazionali. Accanto a forti
scelte di campo, convivono identità miste, meno interessate a lasciarsi coinvolgere nella temperie.
Saranno proprio quest’ultime che per quieto vivere si adattarono alla situazione. Antieroi che
vivono in una sorta di limbo, di cui si vedono solo le ombre, che sfuggono dalla luce dei riflettori e
che probabilmente racchiudono la vera essenza di Trieste. Un aspetto questo su cui varrebbe la
pena di indagare in futuro.

Il Narodni dom oggi

Lo scontro inizia in Austria e dopo la Prima guerra mondiale prosegue in Italia. A quel punto è una

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delle parti in causa a prendere in mano il potere ed il sopravvento. Il progetto è chiaro. La città
deve diventare “italianissima” e il rogo del Narodni dom sembra essere il passaggio “necessario”
per ottenere lo scopo. Non un assalto squadrista messo in atto da facinorosi sfuggiti al controllo,
ma una azione prevedibile, attuata con il supporto o almeno con la connivenza delle autorità.
Inizia, così, un progetto che viene definito di “pulizia etnica”, dove la minoranza slovena, sotto i
colpi del fascismo, perde progressivamente la sua potenza economica, politica e culturale. Per lei
un percorso in salita, irto di ostacoli anche dopo la caduta del regime. Una comunità che però, tra
mille traversie, non è destinata a soccombere e che oggi fa sentire ancora la sua battagliera
presenza sia a Trieste sia in regione, rivendicando i suoi diritti. Proprio il Narodni dom, constatano
gli autori “agì sull’esperienza emotiva del singolo”, “incise sullo sviluppo di sentimenti collettivi di
appartenenza” e contribuì “a plasmare il paesaggio della memoria elevandosi a mito”. Oggi, a più
di cent’anni di distanza dal rogo, formalmente il Narodni dom sembra tornato nelle mani della
locale comunità slovena. Acciocché ciò possa effettivamente accadere bisognerà ancora attendere,
ma intanto le basi poste sembrano alquanto solide.
Il libro di Klabjan e Bajc, almeno nella prima parte, ha il pregio di offrire una prospettiva a volo
d’uccello e di inserire la vicenda triestina in un contesto geopolitico più ampio. Quello che ne esce
è l’anatomia di uno scontro etnico che segue canoni noti e logiche del tutto simili anche ad altre
latitudini. Sempre le stesse logiche e le stesse pratiche. Dopo la Seconda guerra mondiale, una
volta preso il potere su una buona fetta della Venezia Giulia, le autorità jugoslave le applicarono
con molta efficacia sulla locale comunità italiana, di cui oggi in Istria e Dalmazia non resta quasi
traccia.

Immagine di copertina: In una cartolina dell’epoca il Narodni Dom, edificio polifunzionale eretto
tra il 1901 e il 1904 nel centro città di Trieste (all’epoca piazza della Caserma), su progetto
dell’architetto Max Fabiani.

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