Sei sulla pagina 1di 136

COPERTINA

RESPIRA COME
SE FOSSI FELICE
Collana editoriale
I misteri di Minerva

RESPIRA COME
SE FOSSI FELICE
LA VIA DELL’ALF
Direttore Editoriale: Roberto Mugavero
Grafica: Ufficio grafico edizioni Minerva
Direttore di Collana: Piera Vitali
Realizzazione digitale: Alessandro Baravelli, STAB
© 2017 Minerva Soluzioni Editoriali srl, Bologna
Proprietà artistica e letteraria riservata per tutti i Paesi.
Ogni riproduzione, anche parziale, è vietata.
Prima edizione Luglio 2016
Seconda edizione Novembre 2017
ISBN EBOOK: 9788833240312
ISBN VERS. CARTACEA: 978-88-7381-869-4

Via Due Ponti, 2 - 40050 Argelato (BO)


Tel. 051.6630557 - Fax 051.897420
http://www.minervaedizioni.com
e–mail:info@minervaedizioni.com
Seguici su Facebook: http://www.facebook.com/minerva.edizioni/
Seguici su Instagram: http://www.instagram.com/minervaedizioni/
Seguici su Twitter: http://www.twitter.com/MinervaEdizioni/
LUCIANA LANDOLFI
PAOLO BORZACCHIELLO

RESPIRA COME
SE FOSSI FELICE
La via dell’Alf

MINERVA
a

Ai cercatori di Supervita sulla Terra


PREFAZIONE
(Scritta dopo)
di Paolo Borzacchiello

La prefazione, lo dice la parola stessa, di solito si scrive prima. È una sorta di


dichiarazione di intenti che l’autore o gli autori fanno ai propri lettori. Questa,
quindi, è una prefazione strana, scritta dopo. Del resto, era impossibile, per me,
scriverla prima, perché quando ho iniziato a lavorare con Luciana a questo libro
sull’Alf, non avevo la minima idea di quel che avrei scritto e di dove sarei andato a
finire. La Verità è che per scrivere questo libro ho dovuto abbandonarmi a un
flusso che non credevo nemmeno esistesse. E l’abbandono ha lasciato che tutto
fluisse meravigliosamente, senza posa. Ho scritto questo libro a tempo di record, fra
Roma, Londra, Parigi e le Highlands scozzesi, in un paio di mesi. Come me lo
spiego? Ispirazione, grazia, lavoro sinergico con una mente eccelsa qual è Luciana,
la vera anima che incontrerete in queste righe, leggendo e ispirandovi pagina dopo
pagina. Quando ero in procinto di terminare la prima stesura di questo libro
intervista a Luciana Landolfi, creatrice dell’Alf (che sta per Alto, Luminoso,
Fluido), lei mi ha spedito una lettera di ringraziamento, partorita – è il caso di dirlo
– dopo la gestazione del libro. In questa lettera parla di supervivenza, una parola
nuova che ancora nessuno aveva pensato e pronunciato e che, secondo me, esprime
alla perfezione e in estrema sintesi tutto quello che è l’Alf e tutto quello che puoi
fare con l’Alf. Quindi, dopo averla letta, ho deciso di usarla come introduzione.
Alcune parole, probabilmente, non le capirai subito, perché presuppongono la
lettura del testo che segue. Fa niente. Leggila lo stesso. E quel che non capisci,
capirai. Parlo di testa, ovviamente, perché con il cuore saprai immediatamente tutto
quel che c’è da sapere.
LA MIA LETTERA PER PAOLO
(Il mio saluto a un nuovo Supervivente)
di Luciana Landolfi

Caro Paolo,
scriveva Ludwig Wittgenstein che «i limiti del mio mondo sono i limiti del mio
linguaggio» e viceversa. Sviluppare un nuovo linguaggio, da questo punto di vista,
significa allargare i confini di ciò che definisco mondo. E, per l’Alf, che tu conosci e
che i nostri lettori conosceranno presto, significa anche espandere in nuove
direzioni la coscienza del corpo.
La parola è carne, una nuova parola è un nuovo corpo, e la parola nuova che offre
l’Alf a chi ne percorre la Via è: supervivenza.
Così nuova che nessun vocabolario la contiene e al contempo così antica che già
risuona in chi la legge come conosciuta, familiare, cara, salvifica. È la parola che da
sola è: Alta, Luminosa e Fluida. Ha in sé¸ direzione e potenza, leggerezza e sapienza
e un indicibile, anche se detto, amore per la Vita. O forse dovremmo già dire:
supervita.
Non posso che ricorrere a evocazioni e suggestioni e alla poesia per cercare di
trasferire in questa lettera, che è anche un invito a scrivere ancora insieme, più un
sentire universale che un sapere personale. L’Uomo supervivente è quell’uomo con
le ali sognato da Nikola Tesla? È colui che sa scegliere la gioia come maestra. Colui
che è consapevole di essere fonte infinita di energia. È colui che sa che non c’è
inizio e non c’è fine, che ricorda di essere tornato a se stesso e che infinite volte
tornerà. La fine è il mio inizio, scriveva Tiziano Terzani.
Verso i tre anni, tuo figlio ti chiederà come è venuto al mondo. Se tu gli dici che è
nato sotto un cavolo, non sarà contento. La stessa cosa vale per la cicogna. Anche
dire dalla pancia della mamma non lo renderà soddisfatto. Ma se tu gli dici che ha
scelto di scendere sulla terra e che ha scelto i suoi genitori e la sua casa, lo vedrai
sorridere felice, perché gli è davvero molto chiaro questo. E si sentirà capito. In
realtà, quello che ti sta chiedendo è: lo sai anche tu come sono venuto al mondo?
Lo sai anche tu che io sono un Supervivente? Ti dice che non è qui per
sopravvivere, né per vivere, ti dice che è qui per supervivere. Hanno già questa
pretesa altissima i suoi tre anni.
Sopravvivere, Vivere, Supervivenza.
Sopravvivere significa soddisfare i bisogni primari. Vivere significa relazionarsi,
affettivamente, sessualmente, godere del tempo libero, realizzarsi. Supervivenza
significa ricordarsi che in tutto questo siamo un altissimo e lucente flusso eterno
d’energia che ha in potenza tutte le infinite possibilità. Il supervivente trasforma il
verbo essere in essenza, non si affeziona a definizioni ed etichette dell’Ego, ma aspira
a sentire, come non citare Shakespeare, la materia di cui sono fatti i sogni, che è la
sua stessa essenza. Trasforma il verbo avere in sostanza: non possiede nulla, se non
tutto. Tutto ciò che è energeticamente nell’universo, di cui si sente parte
contenitore e contenuto. Trasforma il verbo fare in coscienza piena della differenza
che scorre tra movimento e gesto. E la sua esistenza diventa Gesto, respiratorio,
posturale e verbale consapevole e volontario.
Riconosce nel suo corpo e in quello di tutti gli uomini la sacralità del tempio della
conoscenza e lo accompagna, conoscendone le leggi, nell’estasi fisica, luogo in cui
può percepire nitidamente di essere parte di un tutto che senza alternative chiamerà
Uno.
Non ha bisogno della promessa di una vita ultraterrena per realizzare pienamente la
sua natura spirituale sul pianeta Terra, perché ogni gesto, dal bere un sorso d’acqua
al sorriso, è espressione della sua coscienza di essere nato per scelta irrinunciabile:
ogni atto è occasione per accorgersi della sua nascita volontaria. Per questo non
accusa, non condanna, non giudica la casa in cui è venuto alla luce, la famiglia che
lo ha accolto. Guarda al passato con gratitudine, come occasione di risveglio dal
sonno del vivere, prima del super vivere.
Il Supervivente dedica parole d’amore e preghiere al Corpo Sacro: sa che abita un
Dono. Sa che l’Intenzione della mente in questo corpo genera un’alleanza tra
cellule, che una a una, chiamate ad agire in un’unica direzione, produrranno un
flusso d’energia in grado di mutare gli eventi. Per questo crede nella forza
generatrice e trasformatrice della preghiera, della parola volontaria, e la pratica con
il gesto verbale e posturale.
Non distingue momenti di preghiera dal discorrere con se stesso o con gli altri:
ogni momento in cui accede al dono divino della parola è preghiera. È cosciente
che il linguaggio Alf può, in qualsiasi occasione della narrazione, essere fonte di
gioia per il corpo di chi ascolta: questa è già preghiera.
Quando diciamo a qualcuno: non chiedermi perché, ma sento che il tuo corpo già
sta guarendo, sento che la tua pace già sta accadendo. Ecco, questa è già preghiera.
Riconosce una Verità oltre le apparenze delle forme. E riconosce di non possederla,
ma della Verità si fa cercatore curioso, divertito, entusiasta e con sicurezza afferma:
c’è sempre almeno un altro modo di vedere le cose. Indipendentemente dalle sue
opinioni sul mondo, ricorda di mettere in sicurezza il corpo respirando come se i
suoi pensieri fossero felici, anche quando questi non lo sono. Celebra l’innocenza
del corpo.
Accetta la sofferenza, come preludio di una gioia più alta: la osserva e non la
giudica, dialoga con essa, non si chiude, non ne riconosce un senso individuale, ma
universale. Vive la sofferenza, sua e degli altri esseri viventi, come fatto a cui
relazionarsi con lo stesso linguaggio della Gioia. Infatti, non ne fa un lamento.
Scioglie la sofferenza dalla triade vittima, carnefice e salvatore: non accusa per il
dolore, non si accusa e non pretende che altri si sostituiscano a lui nell’affrontarlo.
Sa chiedere aiuto con fiducia: non è “cosa puoi fare tu al posto mio” ma “aiutami a
ricordare cosa so fare per risalire”.
Sa perdonarsi per ricominciare; sa che può scivolare dalla supervivenza alla
sopravvivenza emozionale, ma instancabilmente, nella luce del suo centro di gravità
permanente, cento-volte-cento ricomincia il cammino Alf. Quotidianamente.
Il Supervivente diffonde l’Alf per invito. Non impone, non fa proselitismi:
testimonia con la sua Supervivenza una possibilità per chiunque di elevarsi verso
un’esistenza pienamente volontaria.
Rinuncia allo sguardo da turista nell’universo: guarda con meraviglia ogni cosa
come se l’avesse creata e si compiace personalmente della bellezza del mondo:
guarda che meraviglia questo fiume, e questi fiori e questa pietra: sono stato
proprio bravo.
Riconosce nella gratitudine la fonte e il frutto dell’abbondanza tra gli esseri viventi
e l’Universo.
La Supervivenza invita a compensare con la Luce l’oscurità: non la contrasta, la
illumina. Il supervivente non è un illuminato è un illuminante.
Dove c’è guerra, parla di pace, dove c’è ingiustizia parla di giustizia, dove c’è rabbia,
parla di perdono, dove c’è disamore parla di amore.
Non cerca il permesso per essere in Gioia: la afferma.
Non discute sulla Gioia: la afferma.
Riconosce un unico codice linguistico, respiratorio e posturale, parla all’anima
universale, alla mente sociale e al corpo individuale e si rivolge a questa triade come
a un’unica entità. La parola che fa bene alla carne è benefica per l’universo, perché
non riconosce alcuna separazione.
La supervivenza è restituire Unità cosciente a ciò che l’uomo ha separato nel
linguaggio.
È l’irrinunciabile vocazione all’Ascesi. È l’instancabile sguardo verso le stelle.
La Supervivenza è ricordare al corpo la sua appartenenza energetica all’Infinito.
La Supervivenza non è pensiero filosofico, non è cultura o sapere, è un istinto
innato, cellulare. Se fosse un bisogno, sarebbe l’origine di tutti i bisogni evolutivi.
È l’istinto dell’uomo di portarsi fuori dalla foresta per innalzare il proprio cuore, il
muscolo cardiaco in carne viva, oltre la linea dell’orizzonte. E di salire sulle più alte
cime per portare il volto oltre la linea dell’orizzonte. È salire, salire ancora.
Nessuno sa perché l’uomo voglia ridurre le distanze tra i piedi e le stelle.
Fisicamente. E neppure perché la gioia in corpo sia un senso di luce di verticalità
assoluto. Forse perché da bambini, alzare le braccia verso il padre e la madre era
alzare le braccia verso divinità terrene. E quel gesto non ce lo scorderemo mai. Non
potevamo andare avanti se qualcuno non ci portava in Alto.
E questo qualcuno siamo, ora, adesso, noi.
CAPITOLO I -
LA VIA DELLA GIOIA

La frase da meditare
Il vero Io è quello che tu sei, non quello che hanno fatto di te.
(Paulo Coelho)
Il film da scoprire
Il colore viola
(Steven Spielberg)
La canzone da ispirare
Oh Happy Day
(Philip Doddridge)
L’Alf (che sta per Alto, Luminoso, Fluido) ha pochissimo a che vedere con quel che
puoi fare con la tua intelligenza. Ha moltissimo a che fare, invece, con il tipo di
persona che sei o che scegli di essere. Ci sono tre tipi di persone, da questo punto di
vista.
Il primo tipo è costituito dalle persone che riconoscono il nesso causa-effetto nel
mondo che li circonda. Queste persone sono consapevoli di contribuire alla
determinazione del loro destino. Essere consapevoli del nesso causa-effetto è cosa
ben diversa dal sapere che esiste questo fenomeno e dal dichiarare di “crederci”. Chi
è realmente consapevole del nesso causa-effetto agisce in modo congruo con questa
consapevolezza. Ad esempio, esercita consapevolezza nel pensiero e nel linguaggio,
perché sa (magari non sa bene come, ma sa) che dalle sue parole e dai suoi pensieri
dipende il modo in cui si muove. Chi è realmente consapevole del nesso causa-
effetto, ad esempio, evita di mangiare carne di animali, perché sa che la bistecca che
si trova nel piatto è l’effetto di una causa precisa, ovvero di un animale che, prima
di essere bistecca, ha respirato pensato e vissuto. Chi è realmente responsabile del
nesso causa-effetto, ad esempio e infine, pratica quella che i buddisti chiamano la
retta azione, ovvero l’attenzione ai gesti e alle azioni che compie, sapendo
perfettamente (anche in tal caso, senza magari sapere bene come) che ogni gesto si
traduce in un’onda o in una particella (come teorizzato dal Nobel per la fisica
Werner Karl Heisenberg, tra i fondatori della meccanica quantistica) e che, come
tale, influenza l’intera realtà. Se non sei una persona di questo genere, puoi decidere
di esserlo. Anche ora, se vuoi. Anche adesso, prima di scorrere lo sguardo sulla
prossima parola.
Il secondo tipo è costituito dalle persone che sono disposte ad accettare che questo
nesso esista e ad assumersene la responsabilità attraverso la pratica essenziale tanto
quanto ineludibile del fare. Si tratta di cosa ben diversa dal pubblicare stati di
Facebook in cui si inneggia alla legge dell’attrazione e poi si inveisce contro il
governo ladro. Chi realmente “sa” questo nesso si astiene dalla parola spiacevole,
perché – a chiunque sia diretta – è comunque un lascito energetico di cui egli, con
altri, dovrà fare i conti. Si tratta di cosa ben diversa, anche, dal proclamare credenza
piena nei principi dell’attrazione salvo poi lamentarsi ogni due per tre di tutte le
cose che non vanno, di questo e di quello. Le persone che realmente “sanno”,
saltano a piè pari questo passaggio e volano direttamente verso quel che di più alto
sanno di potere raggiungere. Invece di lamentarsi per il fango in cui sono
impantanati, inneggiano alla cima.
Il terzo tipo di persone, infine, è costituito da tutti coloro che credono alle
coincidenze e che ignorano o dileggiano le persone del primo e del secondo tipo.
Per loro, tutto è coincidenza. Nessuna autodeterminazione, nessun potere di azione
o creazione. Queste persone possono scegliere di diventare persone del primo o del
secondo tipo, oppure leggere altrove.
Quando ho conosciuto Luciana, il corpo che ha dato voce all’Alf, la voce che ha
dato corpo all’Alf, ho cercato dapprincipio di capirla e di capire il suo
insegnamento. Ma, come scrive Igor Sibaldi, «capire è un verbo molto
sopravvalutato. In realtà, deriva dal latino capere, contenere, e indica lo sforzo di
inserire qualcosa di nuovo in un recipiente che già si possiede. “Questo lo capisco!”
vuol dunque dire “Questo non mi dice nulla di veramente nuovo, questo può
trovar posto nel recipiente che ho già!”. Mentre “non capisco!” dovrà di
conseguenza significare. Ecco qualcosa di veramente nuovo! Ora dovrò allargare
questo mio recipiente nuovo!».
E così, invece che chiamare l’intelletto a un’impresa che pareva davvero
impegnativa, ho scelto (ecco un verbo con cui ti conviene fare amicizia) di farne
esperienza pratica e di viverlo con tutto me stesso. Così, ho cominciato ad
accorgermi dell’Alf. Ho continuato a seguire Luciana nel suo lavoro, ad accorgermi
sempre di più di quanto potente e audace fosse la sua visione.
Ma che cos’è, dunque, l’Alf?
Contravvenendo a uno degli assiomi che più tardi leggerai (ma ho alzato le mani
mentre scrivevo. Alza le mani anche tu, adesso. Capirai con la testa, dopo, il perché.
Intanto, fallo), voglio cominciare con il dirti cosa non è l’Alf.
Non è – in senso stretto, anche se il marchio è registrato come tale – un metodo.
Perché il metodo puoi applicarlo o meno.
Non è una tecnica. Perché la tecnica puoi usarla o lasciarla nel cassetto.
Non è una fede. Perché la fede presuppone, di nuovo, mancanza di consapevolezza
del preciso potere che tu possiedi, in quanto essere umano. Né, tanto meno, è una
fede religiosa, perché rifugge da qualsiasi gabbia per innalzarsi in alto, sempre più
alto.
L’Alf è una via. E, come tale, va percorsa. È una via, quindi (proprio come il Tao)
non può essere scritta, solo camminata. In un senso o nell’altro. Puoi percorrere la
via verso il basso (ho le mani alzate) o verso l’alto; stare fermo non è concesso, non
finché sei vivo in questo mondo. Ecco, l’Alf è la via che ti conduce in alto. È la via
della Gioia. E, come tale, è la via che conosci meglio, anche se ti sei dimenticato
quasi tutto.
Paolo (da ora in avanti, “P”): La cosa che più ho amato, fin dal principio, è
questa idea incredibile secondo la quale tutte le vie finora esplorate dall’uomo, dal
Taoismo al Buddismo al Cristianesimo, sono accomunate da un’unica, grande idea:
la promessa della gioia. Mi piacerebbe tanto che tu me ne parlassi un po’.
Luciana (da ora in avanti, “L”): L’origine dell’Alf fu la mia osservazione degli
effetti sulla postura e sulla percezione del tono e dell’umore generale dei miei
allievi, in seguito al cambiamento del vocabolario e della postura nella narrazione
dell’evento traumatico o della problematica esistenziale che mi esponevano. L’uso
di particolari parole si era dimostrato efficace per ridurre il disagio.
Accade che quando chiediamo a un soggetto di riportare un ricordo del trauma o
del disagio, facendogli cambiare lessico, l’informazione non possa più essere
mantenuta nel cervello e nel corpo con lo stesso livello di energia.
P: Questa è la promessa, in fondo: se fai quel che ti dico, allora avrai quel che
desideri. Se cambi le parole, insomma, cambi il modo in cui stai.
L: Non solo: anche il mio corpo reagiva in modo diverso, mutando repentinamente
tono e umore a seconda delle parole ascoltate o lette e delle immagini che esse
costruivano nella mia mente. Così, ancor prima di strutturare l’Alf, cominciai a
chiedere ai miei interlocutori di cambiare lessico, anche invitandoli a prendere
coscienza del respiro. Sentivo che termini che avevano a che fare con un campo
dialettico Basso, Oscuro e Coagulante e relativa postura e respirazione del soggetto
narrante, influenzavano direttamente il mio campo energetico-umorale.
Osservando gli effetti fisici dell’ascolto su di me, vivendola come esperienza diretta,
cominciai anche a sviluppare un concetto ancora oggi molto importante nella mia
ricerca, che di fatto continua e si arricchisce di giorno in giorno: la responsabilità
energetica comunicazionale. Ovvero: ciò che dico crea campo energetico e questo
campo energetico coinvolge, anche a insaputa del soggetto in ascolto, un mutamento
delle funzioni fisiche, somatiche in senso ampio, nell’interlocutore, modificando ritmo
respiratorio e postura.
Quando usiamo l’espressione “tu mi togli il fiato”, questo accade davvero. Quando
dici: «Tu mi abbatti», la tua colonna vertebrale si piega.
Il livello di emotività stimola contenuti emotivi di valenza equivalente.
Un’emotività legata al dolore suggerisce immagini e rappresentazioni simboliche di
oscurità, blocco, mostri delle tenebre, dolore, frattura, interruzione.
E mentre alla nostra mente cosciente questo appare del tutto “logico”, non ci
accorgiamo che stiamo usando metafore che spingono il Corpo a una imitazione di
questo contenuto logico. Chi ripete spesso “mi sento tutto sulle spalle”, avrà
un’altissima probabilità di soffrire fisicamente di dolori alla cervicale, di
contratture. Una delle raccomandazioni dell’Alf è proprio quello di evitare tutte le
metafore, come ripeterò anche in seguito, che se fossero vere creerebbero un danno
al corpo.
L’espressione per esempio “mi ha pugnalato alle spalle” non solo non ci porterà a
sentire la colonna vertebrale forte e fluida, ma potrebbe, nella sua continua
ripetizione, invitare il corpo a rappresentarla con dolori di tipo acuto e pungente!
Per questo ripeto: portate fuori il corpo dalla metafora, se questa metafora
rappresenta in qualche modo un rischio per la salute.
P: Mi piace moltissimo la parte in cui dici di avere strutturato la teoria Alf dopo
aver vissuto la pratica Alf. Questo è, a mio parere, essenziale. In tutti i campi. Ci
sono corsi di vendita tenuti da persone che non hanno mai venduto nulla in vita
loro, ti lascio immaginare. E quindi tu, sulla base di questo, sei riuscita a
decodificare questo incredibile sistema, e hai coniato i termini Alf e Boc. Iniziamo
il nostro viaggio da qui.
L: Inizio proprio rimarcando l’importante considerazione che la teoria è giunta
dopo la pratica, anche per me è fondamentale. Di fatto, ho raccolto evidenze, ho
tradotto su carta quel che è successo davvero. E questo è bellissimo. Cito un
passaggio molto illuminante, al proposito, di Carl Jung:
«Nessuno può comprendere realmente queste cose se non le abbia egli stesso
sperimentate. Ecco perché mi interessa molto di più indicare le vie e le possibilità di
una simile esperienza che porre formule intellettuali, le quali per difetto di
esperienza rimarrebbero necessariamente vuoti fantasmi verbali. Moltissimi,
purtroppo, imparano le parole a memoria e si immaginano le esperienze relative, e
poi, secondo il temperamento, si esprimono in tono di credenti o di critici. Qui si
tratta di una nuova impostazione di problemi, di un nuovo (eppur così vecchio!)
campo di esperienza psicologica, nel quale non giungeremo a un risultato teorico di
un qualche valore se non quando i relativi fenomeni psichici saranno noti a molti.
Si comincia sempre con lo scoprire fatti, e non teorie. Le teorie nascono poi dalla
discussione fra molti». (C. G. Jung, L’io e l’inconscio)
Tornando alla tua richiesta di maggiori delucidazioni, Alf è l’acronimo di Alto
Luminoso Fluido, metodo (ma abbiamo detto che è meglio dire “via”) che unisce
linguaggi, gesto e respiro, prendendo spunto dalle tre condizioni fisiche dell’uomo
felice e percettive dell’uomo in estasi: l’altezza, la luce, il flusso. Le tre condizioni
che uniscono corpo, mente e anima in un unico linguaggio respiratorio posturale e
verbale. L’Alf è un linguaggio universale, atemporale e aculturale. L’Alf è anche una
via che permette di scegliere consapevolmente le parole che fanno bene, il respiro
che fa bene, il gesto che fa bene. Al corpo, alla mente, all’anima.
L’Alf è un metodo di comunicazione universale, verbale e non verbale; è un
modello relazionale; è un insieme di tecniche che possono essere utilizzate per la
comunicazione, la persuasione, il miglioramento del proprio benessere e del
benessere della società.
L’Alf è un codice linguistico, respiratorio e posturale che parla all’anima universale,
alla mente sociale, al corpo individuale, rivolgendosi alla triade come a un’unica
entità. Alta, luminosa e fluida.
Farsi capire dall’anima, dal corpo e dalla mente, imparando il linguaggio umano
dell’Uno. Questo è l’Alf.
Dall’altra parte, potremmo dire all’altro capo del filo, c’è invece tutto quello che è
Boc, ovvero basso, oscuro, contratto (o coagulato). Un esempio di linguaggio Boc è
molto spesso rappresentato dal lessico giornalistico: parole negative, iperboli,
rappresentazioni persino escatologiche (mi raccomando: teniamo le mani alzate…)
come disastro, apocalisse, devastante, bufera, tempesta, ciclone. Parole che si
reiterano inflazionandosi e perdendo così il loro valore intrinseco. Parole scelte a
bella posta o anche solo per abitudine con l’obiettivo di colpire (appunto) i bassi
(appunto) istinti del lettore. Un linguaggio, dalla politica allo sport, dalla cronaca
alla cultura, erede per molti versi dell’epica omerica e cavalleresca, figlio delle sfide
tra l’Italia di Comuni e Signorie. Figlio del divide et impera.
Possiamo così riassumere che gli stati d’animo Boc e gli stati d’animo Alf
descrivono due paesaggi fisici contrapposti.
Nello stato d’animo Boc, l’organismo suggerisce parole che contengono il corpo in
un ambiente privo di luce, acqua, fino ad arrivare alla percezione di mancanza
d’ossigeno e all’impossibilità di movimento, attratto in un campo gravitazionale
iperpotente.
Nello stato d’animo Alf, l’essere umano descrive invece la flora e la fauna dell’Eden
percorso e bagnato dall’acqua in un orizzonte diurno a livello terrestre e a livello
celeste, un universo a-gravitazionale abitato da stelle e pianeti luminosi tra i quali si
può muovere liberamente.
P: Ti seguo da tanto tempo e leggo sempre i tuoi post con attenzione. Più volte mi
hai spiegato che l’Alf pratica l’astensione dal giudizio e che la polemica è Boc.
Ricordo benissimo che una partecipante a uno dei nostri gruppi di lavoro aveva
postato su Facebook il link di un sito che promuoveva il veganesimo. Tu, pur
essendo stata vegana ed essendo tuttora vegetariana, hai risposto che, cito a
memoria, «pur essendo il modo di mangiare vegano molto Alf, l’Alf non si schiera».
Ci sono aspetti dell’Alf che mi sono molto chiari. Ad esempio, una delle cose che
maggiormente ho apprezzato fin dall’inizio è l’atteggiamento Alf che prevede di
evitare di schierarsi contro qualcosa e di, piuttosto, parlare di ciò di cui sei a favore.
Così, ad esempio, per essere Alf, eviterò di dire che sono contro la guerra e parlerò
dei motivi per cui sono a favore della pace. Questo lo posso fare, questo lo posso
insegnare. Facendo l’avvocato del diavolo, tuttavia, mi vien da chiederti: per
praticare e percorrere questa via della Gioia devo proprio astrarmi del tutto? Qual è
la differenza fra evitare il giudizio e fregarsene? Non corri il rischio di diventare
indifferente, di non prendere mai una posizione precisa? Cioè, se Martin Luther
King non si fosse schierato contro la segregazione? Se nessuno prende posizione
come si possono fare i cambiamenti? Voglio dire, il Nazareno si è esposto, non ha
detto ai farisei “fate voi”. Può sembrare molto “me ne lavo le mani”. Che ne dici?
L: L’argomento è basilare ed è doveroso arricchire questo passaggio, per evitare di
esser fraintesi e per portare, invece, ancora più persone su questa meravigliosa via
della Gioia. Ricorda sempre che l’Alf è la disciplina del fare. L’Alf lo devi fare per
forza. E quindi, ecco la differenza fra il giudizio e l’azione coinvolta. Giudicare è
Boc. Se Martin Luther King avesse giudicato chi lo ostacolava, sarebbe stato Boc.
Lui, invece, ha proposto. Per comprendere appieno questa differenza fondamentale
devi ragionare su questo. L’azione coinvolta, che dunque non è giudizio e non è
critica fine a se stessa ed è, per questo, molto Alf, è tale se basata su tre presupposti
diversi. Primo, descrizione del tuo progetto personale per cambiare le cose.
Secondo, descrizione di quale vantaggio porti alla collettività (famiglia, colleghi,
amici) questa tua scelta. Terzo, descrizione di quale impegno prevedi per te
all’interno di questa tua scelta e di quale impegno prevedi per le persone che ne
sono coinvolte. Dire di essere a favore dell’alimentazione vegana è un giudizio.
Applicare questi tre punti, invece, è Alf. Ti faccio un esempio pratico, molto
semplice. Dire che questo ufficio è in disordine e lamentarsi perché nessuno se ne
occupa è un’azione giudicante. Innesca polemica e non risolve la questione. Sono le
lamentele che ascolti tutti i giorni, da Facebook al telegiornale. Dire, invece:
«Credo che questo ufficio abbia bisogno di una sistemata, ho chiamato il pittore e
mi ha detto che ci potrebbero volere tre giorni, e possiamo farlo se voi mi date una
mano in questa cosa», ha un significato diverso. Devi offrire la tua soluzione
personale, il tuo impegno e il tuo coinvolgimento in compiti precisi di altri. In
estrema sintesi:
Lamento + inazione = malattia.
Lamento + azione = rivoluzione!
Hai presente tutti i vari “Je suis Charlie” e le bandiere tricolori che hanno riempito
le bacheche del mondo? Dove sono, adesso?
La frase «ama e fa ciò che vuoi» di Agostino di Ippona è la summa di questo
approccio: deciso il tuo intento, agisci di conseguenza, nei modi che credi: non è
“ama e sii gentile”, ma ama e decidi i mezzi più opportuni di difendere il tuo
Amore. Ma, soprattutto: fa’!
C’è chi sugli spalti dello stadio inveisce contro l’arbitro con gli epiteti che
conosciamo, chi invece tace: ma chi sta giocando la partita?
Possiamo essere spettatori urlanti o spettatori silenti: ma questo non cambia la
nostra natura di spettatori, fino a quando non decidiamo che quella partita la
vogliamo giocare in prima persona.
Faccio un altro esempio molto pragmatico: in ufficio c’è una macchia sul muro.
Luigi: vede la macchia e tace.
Giorgio passa e dice: «Ma guarda qua! Come si può?». E se ne va.
Luca dice: «Ah! Una macchia sul muro! Qualcuno dovrebbe assolutamente
intervenire!».
Filippo: «Guarda la macchia, prende uno straccio e la pulisce».
Alessandro: Guarda la macchia, prende uno straccio, la pulisce, torna alla sua
postazione e propone un protocollo per la verifica della pulizia dell’ufficio.
Se non posso o non voglio fare nulla per la macchia, devo tacere.
Chi giudica non è sostanzialmente diverso da chi tace, ma chi giudica offre
frustrazione senza soluzione, soprattutto senza indicare quale sia e sarà il suo preciso
impegno per risolvere la situazione di cui si lamenta. Appare socialmente più
“coinvolto e attivo” ma ciò che di fatto avviene è un risucchio energetico.
Se qualcuno ha già raccontato tre volte, dico solo tre volte, un suo disagio
personale, relazionale, o professionale, senza aver compiuto alcun gesto concreto
per modificare la situazione di cui si lamenta, matura una convinzione razionale che
il suo problema non abbia di fatto soluzione.
P: Nessun lamento, dunque, ma solo, al massimo, un lamento da professionista o,
come vedremo poi, un lamento finalizzato a ottenere una precisa risposta
dall’Universo. La Via della Gioia, intuitivamente, porta in alto. Porta verso Dio,
quale che sia la definizione che ne dai o l’immagine che ne possiedi. In molte
culture e in talune religioni, la cattolica in primis, questa via è tuttavia davvero
poco praticata, a favore di dinamiche che fanno leva sulla paura e sul controllo,
aspetti decisamente Boc. Fra i Testimoni di Geova si parla di Torre di Guardia e
Sorveglianti, come se ci fosse qualcosa da controllare. E in Chiesa è tutto un
pentitevi o vi lambiranno le fiamme dell’inferno, urlato da uomini vestiti di nero
(l’uomo nero delle favole?). È tutto un parlare di penitenze e di peccati capitali. A
proposito, approfondendo alcuni tuoi post, ho verificato che, in effetti, i peccati
capitali in origine erano otto, non sette come contrariamente si crede. Secondo
l’eremita greco Evagrio Pontico (sec. IV), i vizi capitali sono otto. A quelli che noi
conosciamo, lui aggiunge la tristezza, in ciò sostenuto poi da Giovanni Cassiano
(sec. IV-V), suo discepolo. L’ottavo vizio capitale è la tristezza ed è (era, per alcuni)
considerato un vizio perché sottolinea il non essere grati a Dio per averci donato la
vita e per le sue opere. I peccati capitali, secondo questa corrente di pensiero, ci
tengono lontani da Dio e uccidono il nostro spirito. Questo tipo di pensiero
afferma che per eliminare da noi i peccati capitali dobbiamo praticare le virtù
opposte, perché le virtù avvicinano lo spirito alla meta del lungo viaggio per tornare
al proprio Creatore. Se sono avido, dovrò perciò donare. Se sono ingordo, dovrò
per forza controllare questo mio impulso. E se sono triste? Qual è la virtù opposta?
L: Se sei triste, devi gioire. Ma loro non ti possono dire di fare questo tipo di
penitenza, perché la Gioia è l’emozione che, più di ogni altra, ti avvicina a Dio. E
in certi ambienti preferiscono tenertene lontano, per esercitare su di te maggior
controllo. Molto semplicemente è così. Le persone che vivono nella Gioia sanno
che Dio è con loro, dentro di loro. Tra l’altro, la tristezza è l’unico vizio capitale
che riconosco. Come dici tu, era l’ottavo vizio capitale, ma fu tolto. Perché è
l’unico vizio che ha come pentimento la Gioia. L’unico vizio che ha come
penitenza la Gioia. Ogni giorno faccio penitenza, ogni giorno pratico la Gioia. Nel
mio studio dico: facciamo penitenza insieme. Sono una così grande peccatrice che
dovrò essere felice per il resto della mia vita. Per farmi perdonare dal mio Dio,
dovrò godere! Godere e provocare godimento a esseri umani, animali e cose. Per
farmi perdonare dal mio Dio quando ho dimenticato la grazia infinita di essere nata
viva. Rinuncerò a dirmi povera, sconsolata, incompresa e abbandonata. Rinuncerò
la narrazione del trauma del mio mondo, perché questa è la terra della Gioia e della
luce. Il Dio della Gioia chiede tutto, non ammette ragioni né tentennamenti.
Siccome sono ancora imperfetta, ogni giorno faccio penitenza ogni giorno sono in
Gioia. Sacrificati: sii felice. Quando dico ai miei allievi che devono fare penitenza e
che devono ogni giorno praticare la Gioia, sorridono. Non sanno ancora che stanno
facendo qualcosa di sacro... stanno scegliendo quale Dio alimentare.
Quando piango disperata e nello stesso momento alzo le braccia al cielo e dico:
«Offro la gioia della pace nel mio cuore», sto realizzando qualcosa di sacro. Entro
con corpo volontario nella Verità. E subito arriva la grazia. E subito torna la pace
del cuore momentaneamente dimenticata. Questo fenomeno si chiama “perfetta
letizia” ed è stato descritto la prima volta da San Francesco. Ed è quanto puoi
sperimentare attraverso la pratica della Via.
P: Quello che mi stai dicendo, Luciana, e quello che i nostri lettori scopriranno
nelle prossime pagine, è dunque che noi abbiamo il potere di convertire
energeticamente la realtà che ci circonda inventandocene di sana pianta un’altra?
Significa che possiamo diventare Creatori, a prescindere da quel che in questo
momento abbiamo intorno?
L: Quel che ti sto dicendo, Paolo, è: menti e fa’ la cosa giusta.
Il corollario di questo principio, che permea tutti gli assiomi Alf di cui parleremo
dopo, è: entra nella gioia anche senza l’allegria. Certo, capisco che gli assiomi Alf, a
una prima occhiata, possano sembrare contro intuitivi o, addirittura, in contrasto
con la realtà attuale e percepita. Ma, per come la vedo io, un conto è avere ragione,
un altro è la Verità.
La ragione è mutevole, instabile, personale, discutibile. La Verità è impersonale,
immutevole, immutabile: è il centro di Gravità permanente, il Faro, la Via. La
ragione, anche se non si direbbe mai, è emozionale, si sposta lungo un asse
energetico orizzontale, temporale. La Verità è neutra dal punto di vista emozionale,
la sua energia cresce lungo un asse verticale atemporale.
Si dice che in Oriente si ascolta per cogliere la Verità e in Occidente si discute per
aver ragione e io sono d’accordo con questa idea.
Per chi segue la via dell’Alf, la Gioia è lo stato naturale di ogni cosa, di ogni essere
vivente e per la scala della conoscenza Alf la Luce, o meglio l’essere Luce, supera
intelligenza e sapere. Per la Via dell’Alf, la Gioia è la Verità da custodire nel Corpo
Sacro.
Tutta la disciplina e la pratica Alf aspirano a riportare questo stato di Gioia nel
Corpo: la respirazione, gli esercizi posturali, le preghiere universali Alf, gli assiomi.
Ogni cosa aspira a questo. E se la mente se ne dimentica, si dimentica di essere
grata, si dimentica di essere nell’abbondanza, si dimentica di essere Luce creatrice,
si dimentica la Verità, allora sia concesso, anzi sia dovuto, mentire alla mente per
fare la cosa giusta per la gioia. Per il Corpo sacro.
L’Alf dice: entra nella gioia anche senza l’allegria. Entra nella gioia senza
l’autorizzazione della mente. Entra nella gioia con corpo volontario.
Se la mente dice: ecco, per questo evento tu devi essere triste e arrabbiato, tu
chiediti: «Perché devo? Cosa potrebbe accadermi di così terribile se non lo fossi?
Chi mi giudicherebbe? Chi me lo impedirebbe?». E poi, ancora: «Il dolore e la
sofferenza sono tabù? Chi è il guardiano della soglia che mi sbarra la strada? Chi mi
premierà per la mia sofferenza?».
Se soffri, da un punto di vista mentale hai “ragione”. Ma se onori la Gioia di essere
nato vivo, allora sei nella Verità.
Sai, Paolo, le persone, nella vita, dovrebbero porsi domande più utili. Ad esempio,
di fronte a un problema, le persone dovrebbero chiedersi: «Ciò che ora mi fa
soffrire, potrebbe farmi sorridere tra dieci anni?». Domande di questo tipo attivano
le risorse che sono dentro di te e ti fanno letteralmente sperimentare punti di vista
diversi.
Ti ricordi i cento motivi per cui ti sei arrabbiato o sei rimasto di cattivo umore per
un giorno intero negli ultimi tre anni? Forse te ne ricordi tre. Sai perché non te li
ricordi? Perché erano fesserie dell’Ego. Allora, ecco il momento più alto in cui
esercito il libero arbitrio: decido di agire, quotidianamente, persino a dispetto dei
miei pensieri negativi automatici, verbalmente, posturalmente, verso la Gioia.
Questo non ha nulla a che fare con il cosiddetto pensiero positivo. Spesso,
provocatoriamente dico: che i miei pensieri facciano quel vogliono, io faccio altro!
Non ho alcuna intenzione di cambiare i miei pensieri, che arrivino pure nel flusso
incessante che li caratterizza.
Sbalzi ormonali, la dieta, un contrattempo nel traffico, il gesto scortese di uno
sconosciuto: i pensieri mutano velocemente secondo gli eventi interni ed esterni al
mio corpo. Non ho alcuna intenzione di controllarli! Sai che fatica sarebbe? E
sarebbe inutile, perché viviamo in un mondo così ricco di stimoli esterni che è
davvero impossibile controllarli tutti. Ci sarà sempre qualcuno che ti pesta i piedi,
in metropolitana, o che parcheggia davanti al tuo cancello. Ecco, io lascio che i
pensieri fluiscano, perché conosco i bisogni della mia mente e so che il bisogno
primario è proprio produrre incessantemente pensieri. Alcuni sono abbinati a
sensazioni positive, altri no.
Io intervengo sulle sensazioni, non sui pensieri.
Come dico ai miei allievi da anni, io metto in sicurezza il corpo.
I pensieri cambiano: mantieni la respirazione cosciente.
I pensieri tolgono il sorriso: sorridi.
I pensieri ti abbattono: alzati.
I pensieri ti tolgono la pace: offri la gioia della tua pace nel cuore.
I pensieri ti dicono lamentati: taci
I pensieri ti dicono sei povero: ringrazia per l’abbondanza.
I pensieri ti dicono non guarirai mai: recita cento-volte-cento il mantra “Offro la
Gioia del mio corpo in salute”.
I pensieri ti dicono: nessuno ti ama. Allarga le braccia più che puoi e cento-volte-
cento ripeti: io amo il mondo e il mondo ama me.
I pensieri hanno sempre ragione. Tu puoi avere più ragione dei tuoi pensieri.
Un’antica storiella Zen narra di un vecchio saggio che non aveva mai mentito in
vita sua, mai. Tutti, nel villaggio, lo conoscevano per la sua spettacolare virtù, tanto
da aver dimenticato il suo nome di battesimo. Lo chiamavano semplicemente
“l’Uomo Verità”.
Se ne stava tutto il giorno a meditare lungo un sentiero al centro della foresta,
godeva respirando dell’aria fresca e dei profumi della natura seduto sul suo masso di
pietra bianca. In lui regnava una gran pace.
Capitò un giorno che un giovane ansimante e visibilmente spaventato si avvicinò a
lui nella notte implorandolo così: «Ti prego, ti prego buon uomo copri la mia fuga,
i briganti mi stanno inseguendo e vogliono uccidermi per derubarmi di questa
collana che porto al collo! Se dovessero arrivare a te, non dirgli ti prego di avermi
veduto!», detto questo, riprese di gran carriera la sua corsa tra la folta boscaglia. Il
vecchio saggio, con una certa fatica data l’età, si alzò dalla sua pietra bianca e si
sedette dall’altra parte del sentiero. Dopo pochi minuti, ecco i briganti: «Buon
vecchio, hai visto passare di corsa nella foresta un ragazzo, con una lucente collana
d’oro al collo?»
E il vecchio: «Da quando sono seduto qui, no».
Ciò che in realtà accade, se fai la cosa giusta, è che non hai mentito alla Verità. Hai
fatto solo la cosa giusta.
Tu sei Altezza, tu sei Luce, Tu sei flusso eterno d’energia.
TECNICA ALF: LAMENTATI DA PROFESSIONISTA
Chi giudica, cerca colpevoli, responsabilità e, anche, motivazioni convincenti
perché le cose non possano, più che non debbano, cambiare ed evolvere da una
condizione di disagio. Chi prende posizione attiva riguardo a un qualsiasi
argomento, invece, si propone come soluzione.
Detto questo il nostro consiglio Alf è di lamentarsi da professionisti, seguendo
questo schema:
Descrivi la situazione (oggettivamente!) che vorresti vedere evolvere;
Descrivi i vantaggi che chi ti ascolta potrà ottenere da una evoluzione della
situazione che non ti piace;
Indica come tu parteciperai alla soluzione, specificando modi, tempi, risorse, abilità
e capacità che metterai in campo, concretamente;
Indica quale potrebbe essere il ruolo del tuo interlocutore nel cambiamento da te
proposto.
CAPITOLO II -
LE PAROLE DELLA GIOIA

La frase da meditare
Se Dio in Te
È diventato l’appoggio della tua colonna vertebrale
Riconoscerai che l’essere eretti
È la Sua realizzazione.
(Anne Hubner)
Il film da scoprire
Tomorrowland
(Brad Bird)
La canzone da ispirare
Dolce sentire
(Claudio Baglioni)
Amo le parole più di qualsiasi altra cosa. Le parole mi hanno sempre dato gioia e
saperle usare in modo efficace mi ha permesso di cambiare molti aspetti della mia
vita che mi piacevano poco, dalla balbuzie alle convinzioni limitanti, ai disagi di
salute. Le parole sono magia: in esse è celato (o in bella vista, per chi sa chiudere gli
occhi per guardare meglio) lo straordinario potere creativo che genera la realtà così
come la intendiamo. Secondo la tradizione ebraica, ad esempio, ogni singola lettera
che compone l’alfabeto, in origine si recò da Dio per ricevere uno speciale potere e
Dio attribuì a ogni lettera un dono particolare, sul quale costruire il mondo. E poi,
basta sfogliare i testi sacri: «In principio era il verbo, per mezzo di lui furono fatte le
cose tutte, in lui era la vita» (Giovanni; 1, 1-4). Ancora: «Dio disse: sia Luce, e Luce
fu». Il che ci fa capire come la prima cosa esistente al mondo non fu la Luce, come
molti credono, ma la parola. Disse, infatti, viene prima di Luce. Come ricorda
spesso Luciana, non può esistere il tuffo se prima non c’è stata la parola “mi tuffo”.
Quel che è davvero speciale e affascinante è che l’essere umano, ovunque si trovi e
in qualsiasi contesto, sviluppa le stesse abilità per quanto concerne l’apprendimento
e l’uso del linguaggio e la medesima propensione (e questo per me resta uno dei
misteri più affascinanti di sempre) a uno specifico uso del linguaggio per descrivere
specifiche situazioni. Ovvero, al di là dello slang che può caratterizzare singole aree
geografiche, da un ascolto attento delle parole che volano per il mondo è possibile
riconoscere alcuni tratti comuni, che ci uniscono gli uni agli altri in una sorta di
fratellanza linguistica universale. La questione del linguaggio universale appassiona
da sempre gli esperti di linguistica, dallo statunitense Noam Chomsky al nostrano
ed eccellente Andrea Moro: le teorie sul motivo per cui tutti quanti, a prescindere
dal contesto, facciamo cose simili e usiamo un linguaggio comune per descrivere
esperienze comuni, sono davvero moltissime. E nessuna spiega davvero questo
incredibile miracolo.
La cosa che più amo sottolineare, quando scrivo o insegno, è che le parole sono
molto importanti e sono molto potenti. E, per questo, vanno usate con cura, scelte
con amore e dedizione e pronunciate poi quando è il momento opportuno. Nella
tradizione buddhista, in particolare nell’Ottuplice sentiero, si parla di “retta parola”
e si invita il praticante (o la persona che vuole conquistare pace e serenità in questo
mondo) a scegliere con cura non solo le parole ma anche il momento in cui usarle.
E, oggi, basta leggere gli status deliranti di Facebook per capire come questo
principio sia trascurato oltre ogni dire. Pare che le persone ignorino completamente
la portata delle loro affermazioni. Riempire le bacheche, o le conversazioni, di
parole Boc (anche se loro non sanno di che si tratta) influenza certamente il loro
stato d’animo. Come fanno a non accorgersene? In Pnl, disciplina tutto sommato
divulgativa, se ne parla da tempo: ogni parola è collegata a una immagine, ogni
immagine a una particolare reazione chimica, ogni reazione chimica a una specifica
emozione. Cioè, se io scrivo “ansia”, nel tuo cervello succede qualcosa di molto
veloce e di molto significativo: tu pensi a immagini o situazioni collegate e le tue
ghiandole iniziano a secernere i neurotrasmettitori corrispondenti. Anche se lo hai
detto per scherzare, anche se la parola era “tanto per dire”. Il cervello è molto
letterale, in questo senso. Allo stesso modo, se io scrivo “libertà”, nel cervello
succede lo stesso, con la differenza che le immagini e le sensazioni evocate generano
la secrezione di sostanze chimiche diverse. Luciana, durante una conversazione, mi
ha fatto un esempio che mi ha illuminato. L’ho ribattezzato “Google Effect”.
Verifica tu stesso come funziona. Apri il tuo smartphone e digita, nel motore di
ricerca, la parola “ansia”. Seleziona la ricerca per immagini. Ecco, questo è quello
che ti passa per la testa ogni volta che la pronunci, anche per scherzo. Ora digita
“libertà” e guarda i risultati. Che cosa scegli di avere in testa, ora che lo sai?
Un passo fondamentale dell’opera di Don Miguel Ruiz, autore di testi sul
neosciamanesimo tolteco, recita: «Sii impeccabile con la parola: la parola è il potere
con cui creiamo, la parola è una forza, è il potere di esprimere e comunicare, di
pensare e quindi di creare gli eventi della nostra vita. Come una spada a doppio
taglio può creare un sogno magnifico, oppure distruggere tutto. La parola
impeccabile crea bellezza, armonia, comunione. A seconda di come la usiamo, la
parola ci renderà liberi o schiavi. Se ci abbandoniamo all’ira e con le nostre parole
inviamo veleno emozionale verso altre persone, stiamo usando la nostra parola
contro di noi. Se invece le nostre parole esprimono rispetto e amore, creeremo
attorno a noi armonia e serenità.
Principalmente ci serviamo della parola per diffondere i nostri veleni personali: ira,
gelosia, invidia e odio. La parola è magia pura; è il dono più potente che abbiamo.
L’impeccabilità della parola può guidarci verso la libertà personale, verso il successo
e l’abbondanza, può toglierci la paura e trasformarla in gioia ed amore».
Mi piace tantissimo l’idea che in ogni parte del mondo, quando si affrontano alcuni
argomenti, si scelgono le stesse parole. È come se tutti sapessimo esattamente che
cosa dire, non trovi? È come se tutti quanti avessimo lo stesso, grande cervello che
palpita di informazioni, codificate poi dai singoli nel loro contesto. Tu parli spesso
di “linguaggio universale della gioia” e io credo che si tratti di una illuminazione
davvero potente.
L: Siamo tutti connessi, ormai è chiaro a tutti, persino ai più scettici. Siamo andati
a scomodare discipline altissime per trovare conferma di quel che è chiaro a un ascolto
attento, ovvero che tutti noi che popoliamo questo mondo usiamo lo stesso linguaggio per
descrivere esperienze simili. Il linguaggio universale della gioia è molto facile da
capire: quando due persone si amano, in ogni parte del mondo, useranno un
linguaggio Alf. Diranno di avere il cuore leggero o la testa fra le nuvole. Di sentirsi
al settimo cielo o di voler volare dal loro innamorato. Quando una persona si sente
bene, dice di essere “su”, di voler saltare. E la metafora scelta in ogni dove per
parlare di miglioramento e crescita ha molto a che fare con il saltare verso l’alto,
con lo spiccare il volo, con il salire. Il linguaggio universale della gioia è chiaro:
parla di luce, in tutte le sue forme (chi è felice si sente radioso e raggiante), di
altezza, di leggerezza intesa come capacità di salire verso l’alto, sfidando e vincendo
la forza di gravità. La stessa cosa vale al contrario. Quando una persona sta male
(braccia in alto!) o vuole esprimere un disagio (braccia in alto!), usa un linguaggio
Boc. Che, guarda caso, è opposto al primo. E quindi “ci si sente giù”, oppure la
carriera è stata “affossata”, oppure si è “sepolti” da una “pesante” “montagna” di
“preoccupazioni”. E ci sente sprofondare, oppure ci sente a terra. E si parla di
contratture, di blocchi, di chiusure. Insomma, tutta una serie di immagini che
richiamano alla pesantezza, al basso. La cosa affascinante è che il corpo sa come sta
e, per questo, sceglie sempre le parole adatte.
P: Igor Sibaldi, che entrambi amiamo moltissimo, spiega che la metafora dell’Arca
di Noè è stata sempre male intesa. Arca, infatti, in ebraico significa “parola”,
“linguaggio” e dunque Noè costruì un dizionario personale, non una barca,
salvando le parole buone e lasciando sprofondare le parole meno buone. Il richiamo
al concetto di Alf e Boc, per me, qui è fortissimo. In alto le parole Alf e sotto il
livello dell’acqua, sprofondate, le parole Boc. Quanto all’idea che il corpo trovi la
strada, attraverso il linguaggio, per parlarti di lui e di come sta e di come vorrebbe
stare, l’ho verificato anch’io, quando studiavo e praticavo discipline psicosomatiche:
in base al tipo di linguaggio usato dalla persona, è possibile comprendere il suo
livello di energia e di salute. Se una persona, ad esempio, usa spesso, all’interno di
frasi o metafore, parole come bloccato, rigido, schema, è probabile che soffra di
tensioni alla schiena. E le persone che usano frequentemente parole come peso e
pesante sono spesso afflitte da dolori alle spalle o al collo. È la stessa cosa che
succede con il linguaggio del corpo: il modo in cui stai influenza il tuo linguaggio
del corpo. Il modo in cui stai influenza il modo in cui parli.
L: Già. Per il linguaggio del corpo, come vedremo poi, vale anche la regola inversa.
Cioè: se è vero che il modo in cui stai influenza il tuo linguaggio del corpo, è
altrettanto vero che il tuo linguaggio del corpo influenza il tuo stato d’animo. Ecco
perché ogni volta che pronunciamo parole Boc, seppur per esigenza di spiegazione,
io alzo le braccia al cielo. La stessa cosa funziona con le parole. Se stai male, usi un
linguaggio coerente con il tuo malessere (e ci mancherebbe altro, visto che è
impossibile descrivere sintomi o problemi con linguaggio Alf. Mettiti alla prova,
resterai stupito!). Perciò, cambiando linguaggio, puoi influenzare il tuo stato
d’animo e fisico. Cambia le parole per star bene, insomma. Scegli parole Alf e starai
bene.
P: Alcuni clienti, quando parlo di questo, mi chiedono se non si tratti di
manipolazione, oppure di menzogna. Io rispondo sempre: «Certo!», pure con
entusiasmo. Parto dal presupposto che, in ogni caso, il cervello ce lo laviamo.
Quando ci alziamo la mattina e iniziamo a frastornare il cervello con parole Boc
come «sono stanco», «sono distrutto», «sarà una giornata durissima» e via dicendo,
ci stiamo manipolando i pensieri. E stiamo mentendo. A meno di essere dei
veggenti, in realtà non lo possiamo sapere come sarà la nostra giornata. Eppure ce
la raccontiamo così. Allora, dico io, tanto vale lavarsi il cervello con acqua pulita.
Mentire, mentiamo. Almeno, facciamolo bene. Che ne pensi?
L: Nelle parole è racchiuso un potere taumaturgico e curativo potente. Lo sanno
bene gli alchimisti, che usano le formule magiche per trasformare il piombo (molto
Boc!) in oro (molto Alf!). E lo sanno bene i maghi. Abracadabra, del resto, vuol dire
proprio «io creerò cose con le parole!». E lo sa bene il nostro amico Gatto con gli
stivali, che con le parole e qualche astuzia trasforma un povero cristo in un ricco e
potente re. Una delle più potenti tecniche Alf, per questo, è la trasformazione del
proprio livello energetico e fisico attraverso il linguaggio.
P: Lavoro sul linguaggio da moltissimi anni. E quando insegno il linguaggio
positivo e proattivo, ovvero il linguaggio che determina positive influenze nella
mente di chi lo pronuncia e di chi lo ascolta, inevitabilmente i miei allievi mi
sottolineano quanto le parole “scappino” e quanto sia complesso rendersi conto
pienamente di quel che si dice. Ancora una volta, e incontreremo questo argomento
lungo tutto il corso del libro, si tratta di rendersi conto di quanto è conscio e di
quanto è inconscio. Anticipo la metafora che userai e useremo spesso: si tratta di
svegliarsi e di restare svegli. Concordi?
L: I praticanti Alf rinunciano volontariamente a “metà del vocabolario”. Le
virgolette sono d’obbligo perché non si tratta di contare le parole che conosciamo e
dividerle in due gruppi distinti, significa soprattutto vivere in coscienza verbale,
quella che io chiamo coscienza bio-verbale. Si tratta cioè di avere piena visione
dell’effetto sul corpo delle parole che pronunciamo e scriviamo, non solo sul e nel
nostro corpo, ma anche in quello di chi ci ascolta e legge. Più avanti entrerò nel
dettaglio circa due concetti molto importanti, quello di Movimento e quello di
Gesto. Per ora, diciamo che Movimento è tutto ciò che fai o dici senza esserne
consapevole, è il tuo pilota automatico, il tuo cervello inconscio in azione. Gesto è
invece l’espressione consapevole della tua volontà, fisica o verbale.
Detto questo, quando viviamo in movimento verbale non ci accorgiamo quanto le
nostre parole Boc tolgano energia al corpo e quanto le nostre parole Alf la
innalzino. Ma questo avviene, sempre, anche senza la nostra partecipazione
cosciente.
Alza le braccia! Se io affermo: «Mi sembra di “avere un sasso sullo stomaco”», lo
dico necessariamente in movimento verbale (cioè in modo inconsapevole), perché
se conoscessi il Gesto, e gli effetti del Gesto, non lo direi.
Per capire cosa ci “facciamo” quando pronunciamo parole in movimento Boc,
invito gli allievi ad andare a vedere su “Google immagini” a cosa corrisponde la
parola che hanno scelto per descrivere, per esempio, una giornata lavorativa non
leggera. Quello che tu hai ribattezzato “Google Effect” e che è uno straordinario
modo di verificare, immediatamente, che cosa ti passa per la testa quando parli.
Alza ancora le braccia (e lasciale alzate per cinque minuti). Si presentò da me un
allievo dicendomi che l’incontro che lui aveva avuto con i suoi clienti era stato
proprio un “massacro”. Lo invitai subito a svegliarsi, dicendogli: quando ti
sveglierai, quando diventerai consapevole, non pronuncerai mai più quella parola, e
le tue parole diventeranno gesti coscienti. Ricordo bene che lui rispose: «Ma mi
scappa!». Ecco, “mi scappa” sta proprio a indicare che non c’è Gesto. Non sto
scegliendo di fare due passi di danza, mi trovo a saltellare e non so perché: sono in
un sogno, quindi.
Per aiutarlo nel suo processo di risveglio, per tirarlo fuori dal sogno della macchina,
lo invitai ad aprire la pagina di “Google immagini” sul suo tablet cercando proprio
quella parola, “massacro”. Le immagini trovate da Google sono il modo in cui il
tuo corpo rappresenta ciò che dici.
Di fatto considero questo servizio che arriva dal Web come un vero e proprio
collaboratore, è molto più persuasivo di me e mi risparmia un sacco di giri di parole
sulla potenza dell’iconografia verbale. Ti immagini poi se fossimo nell’antico Egitto
e dovessimo usare dei geroglifici?
Convengo che ci voglia molta pratica per accorgerci che anche la parola è Gesto,
che tutto per il Corpo Sacro è Gesto, ma l’alternativa qual è? Il Sonno.
Ricordati che non deve decidere il cervello inconscio cosa io voglia pronunciare,
decido Io. E siccome anche il cervello inconscio insiste e ha una sua volontà, se per
caso prende il sopravvento per qualche attimo e inizia a farmi parlare in modo Boc,
deve trovarmi comunque sveglia: alzo le braccia, a volte anche solo semplicemente
il mento e gli occhi e scarico a terra l’energia Boc che può aver generato una parola
senza Luce, senza Amore. Mi rigenero dall’Alto.
Se siamo Svegli, presenti a noi stessi, vivi in un mondo di vivi, riusciamo sempre a
rispondere a una parola Boc con una parola e con un gesto Alf. E la penitenza,
ammettiamolo, è dolcissima: la Gioia.
P: Ti confesso che, da esperto di linguaggio quale mi piace pensare di essere, la
prima volta che, senza conoscerti in modo approfondito, ho sentito parlare di
linguaggio energetico della gioia, mi sono detto “cosa c’è di nuovo?”. Nel senso che,
seppur sia materia trattata ancora da pochi, qualche lettura in giro l’avevo fatta. Poi,
naturalmente, mi sono ricreduto e, senza piaggeria, voglio dirti che nessuno, per
mia conoscenza, ha realizzato un prodigio simile a quello che hai realizzato tu.
Inoltre, e questo deve essere molto chiaro al lettore, hai fatto qualcosa che si
distanzia (verso l’alto, s’intende) da qualsiasi altra cosa: hai creato un codice, sulla
base della tua illuminazione, in base al quale chiunque, con un po’ di testa e cuore,
può non solo comprendere da sé quale tipo di linguaggio sta usando, ma può
arricchire gli elenchi di parole Alf a suo piacimento. Chiunque potrebbe persino
inventarsi parole. Ecco, io ho sempre avuto un approccio di tipo didattico alla
questione: nei miei libri, ho proposto molti elenchi di parole da usare e da evitare.
E ho delineato alcuni principi in base ai quali il praticante può, da solo, intuire e
capire se le parole che sta usando, commercialmente e umanamente parlando,
producono il risultato desiderato. Mi sono riferito spesso alla semantica, alla
neurosemantica e al buon senso, per questo. Tu hai non solo elencato le parole
della Gioia, ma hai capito le loro caratteristiche intrinseche. Le hai decriptate, mi
vien da dire, e ne hai estratto un codice che chiunque può usare. Io credo che
questo sia un gran regalo al mondo. E, umilmente, mi rendo conto che tutto il mio
lavoro era a uno stadio embrionale, rispetto a questo. E che il mio lavoro ne sarà
impreziosito in un modo così ampio che le parole non bastano a dire quanto. Lungi
da me l’esser ossequioso ma: grazie. A nome di tutti quelli che capiranno alla prima
lettura, a nome di tutti quelli che ci arriveranno dopo, a nome di tutti quelli che
nemmeno mai sapranno che esiste questo libro ma che beneficeranno dei frutti,
perché qualcuno dei loro conoscenti lo avrà letto e avrà parlato con loro con il
linguaggio della Gioia, invece che con le parole di tutti.
L: Il Linguaggio Alf, Paolo, è quello di un Corpo Sano pronto a volare nella Luce.
E, come hai detto, le parole della Gioia, le parole da usare per vivere e per far vivere
meglio, sono quelle che hanno in sé elementi del codice Alf: Alto, Luminoso,
Fluido. Gli elenchi di parole sono fatti per essere arricchiti. Per questo, consiglio al
praticante Alf di usare gli elenchi che seguono e di arricchirli grazie al codice.
PRATICA ALF: LINGUAGGIO DELLA GIOIA
Linguaggio della gioia:
alto, volo, leggero, libero, sollevato, sospeso, tirarsi su, svegliarsi, librarsi, leggiadro,
leggerezza, salto, ali, alato, grazia, estasi, luce, ascesi, evoluzione, sorgere, risorgere,
resurrezione, rigenerazione, fluire, flusso, scorrimento, sciogliere, fluttuare, aspirare,
germogliare, sbocciare, emergere, riemergere, distendere, afferrare, maestoso,
gigante, supremo, superiore, superlativo, spinta, angelo, cima, vetta, eretto,
innalzato, crescente, etereo, aquila, araba fenice, divinamente, freccia, aquilone,
piuma, sorriso, vittoria, salire, evoluzione, luna, stelle, astri, sole, cielo, azzurro,
testa, sogno, universo, infinito.
Dare luce, venire alla luce, essere luce, essere nella luce, illuminare, splendere, tu sei
il mio sole, tu sei la mia meraviglia, brillare di luce propria, la luce buona delle
stelle, la luce del cammino, il faro sulla via, il lume della conoscenza, luce dei miei
occhi, vederci chiaro, uscire dall’ombra, lampo di genio. E ancora, pelle luminosa,
parole illuminanti, idee brillanti, spirito di luce.
Linguaggio del dolore:
blocco, fermo, frattura, choc, conflitto, guerra, battuto, abbattuto, scontro,
fragilità, rigidità, trattenuto, serrato, chiuso, “fregatura” nel senso di attrito, rifiuto,
bruciante, arido, prosciugato, secco, rinsecchito, rottura, stridore, stridenti,
separazione, interruzione, coagulo, oppressione, nel senso di concentrazione,
contratto, contrattura, distorsione, stortura, stagnante, resistenza nel senso di
inflessibilità, stanchezza, spossatezza, sfinimento, povertà.
Peso, pesante, macigno, afflitto, carico, sovraccarico, piegato schiacciato dalle
responsabilità, tutto sulle mie spalle, costretto, obbligato, rigido, rigidità, con
l’acqua alla gola, implacabile, implacabilità, stress, stressante, duro, durezza,
bloccato, colpo, colpito.
PRATICA ALF: TRASFORMA TE STESSO ATTRAVERSO IL LINGUAGGIO
Circondiamoci di parole che nutrono il corpo di Altezza, Luce e Flusso. Un angolo
della casa e dell’ufficio può essere proprio dedicato a questa “cura verbale visiva”.
Spesso ricevo fotografie dagli allievi che hanno giocato con la loro creatività
realizzando dei veri e propri murales Alf: dà gioia crearli, dà gioia guardarli. Mi
piace pensare che la parola benedica il luogo in cui è collocata.
La parola è suono, ma anche simbolo visivo: lo sai già, ti basta pensare al potere
evocativo di alcuni brand. Per trasformare te stesso attraverso il linguaggio,
circondati di spot che il tuo corpo ama!
Su la testa!
Tutto scorre!
Tutto andrà bene!
Masaru Emoto, scienziato giapponese, ha fotografato cristalli di acqua esposti a
parole che noi possiamo definire Alf: fallo anche tu, decora la bottiglia dell’acqua
con parole Alf come Grazia, Gioia, Amore. Noi lo abbiamo fatto alla serata di
presentazione dell’Alf, scrivendo sui bicchieri dati poi al pubblico: “Respira come se
fossi felice”.
Se ben ci pensi, alcune importanti marche di bevande o cibo fanno lo stesso, per
potenziare le loro vendite!
Puoi anche scriverti parole Alf sulla pelle: la parola scritta sul corpo ha ancora un
più alto valore simbolico per il nostro inconscio. Uno dei marchi che ho registrato
è proprio Tatootherapy©, ispirata alla dermoriflessologia di Giuseppe Calligaris e
agli studi di Didier Anzieu sull’Io pelle. Si tratta di una tecnica poetica e artistica
per comunicare con i nostri linguaggi più profondi proprio scrivendo sulla pelle,
che è la superficie delle nostre emozioni. Divertiti a immaginare le parole che ti
piacciono e che ti fanno bene e poi scrivile, o chiedi a qualcuno di farlo per te.
CAPITOLO III -
IL CODICE ALF: ALTO, LUMINOSO, FLUIDO

La frase da meditare
L’istinto dell’uomo di portarsi fuori dalla foresta per innalzare il proprio cuore, il
muscolo cardiaco in carne viva, oltre la linea dell’orizzonte.
E di salire sulle più alte cime per portare il cuore oltre la linea dell’orizzonte. Salire.
Salire. Nessuno sa perché l’uomo voglia ridurre le distanze tra i piedi e le stelle.
Fisicamente. E neppure perché la gioia in corpo sia un senso di verticalità assoluto. Forse
perché da bambini, alzare le braccia verso il padre e la madre era alzare le braccia verso
divinità terrene. E quel gesto non ce lo scorderemo mai. Non potevamo andare avanti se
qualcuno non ci portava in Alto.
(Luciana Landolfi)
Il film da scoprire
Il cielo sopra Berlino
(Wim Wenders)
La canzone da ispirare
I believe I can fly
(R. Kelly)
L’Alf, oltre a essere una via da percorrere, è un codice. Il codice della vita che, se
applicato, ti permette di vivere da subito, miracolosamente direi, una vita più felice,
ricca, sana. L’intuizione racchiusa nel codice Alf è di elevatissimo spessore e
soddisfa tutte quelle persone che sono alla perenne ricerca di qualcosa che funzioni
davvero. Ecco, l’Alf funziona davvero. Scegli l’Alf e sceglierai, di fatto, la via della
Gioia.
Dico “scegliere”, perché la felicità è una scelta consapevole che si traduce in tante
piccolissime e importantissime scelte, compiute giorno dopo giorno. Nonostante le
ritrosie sull’argomento espresse da alcuni (che, evidentemente, preferiscono
continuare a cuocere nel loro comodo e confortevole brodo di lamenti), ribadisco il
concetto. La felicità è una scelta. Non si tratta di un proclama accattivante o di una
frase a effetto da usare su un libro per vender più copie. Si tratta di una riflessione
che trova la sua conferma nella meraviglia del corpo umano, anzitutto. La felicità,
dice la biologia attraverso gli studi, fra gli altri, di Candance Pert e di Francesco
Bottaccioli, è la sensazione che sperimentiamo quando alcuni particolari
neurotrasmettitori (sostanze chimiche secrete dalle ghiandole del nostro corpo) si
incollano alla parete delle cellule che compongono il nostro corpo. Se, cioè, una
molecola di serotonina (sto esemplificando il processo) si “attacca” alla tua cellula,
allora tu “senti” felicità. Questa molecola di serotonina, dicono la Pnl, le
neuroscienze e persino la psicologia, la produci ogni volta che pensi a qualcosa che
ti piace o che fai qualcosa che ti piace, quando attivi un particolare centro del
cervello deputato, appunto, al piacere. Ed ecco dove sta la scelta. Se pensi a
qualcosa che ti fa star male, che ti piaccia o meno, puoi pensare a qualcos’altro. E se
hai scuse per non farlo, sappi che si tratta di scuse, niente altro. Se qualche aspetto
della tua vita non ti piace, lo puoi cambiare. Magari non subito. Magari con mille
difficoltà. Ma puoi, a meno che tu decida di restare dove stai, per i tuoi motivi che
possono anche essere comprensibili. Ma che ti sia chiaro: la felicità la puoi scegliere
perché puoi scegliere i pensieri e le azioni che la provocano.
Qual è, dunque, questo potente e magico codice? In che modo lo puoi usare per
trasformare la tua vita e la vita delle persone che ti circondano? L’intuizione di
Luciana è tanto semplice quanto eclatante. E, come spesso accade per le cose
semplici, invisibile agli occhi dei più. Eppure, questo codice è davanti ai nostri
occhi, tutti i giorni. In parole molto semplici, il codice è questo.
A sta per alto.
L sta per luminoso.
F sta per fluido.
E così è la vita: dall’albero che si sviluppa verso il cielo (Alto) al bambino che
quando gioisce alza le braccia al cielo (Alto). Dalla luce (Luminoso) che permette
alla vita di crescere (Alto) al fiume che scorre, così come la corrente, così come il
vento che carezza le fronde degli alberi (Fluido). Per questo, di ogni cosa che dici,
che pensi o che fai, chiediti: questa cosa che sto dicendo, pensando o facendo, è
Alf? Ovvero, può in qualche modo essere compresa all’interno dei concetti Alto,
Luminoso, Fluido?
B sta per basso.
O sta per oscuro.
C sta per coagulato, contratto.
E tutto quello che rema contro la vita è Boc, dalla tua schiena bloccata (Contratto)
al sentirti giù di morale (Basso), dal litigare (Contratto) all’essere disperati senza
vedere la Luce in fondo al tunnel (Oscuro). Perché, mi chiedono, litigare è
Contratto? Perché quando litighi o produci polemica, la comunicazione non è
fluida ma scandita da rigide posizioni, da un “no” dietro l’altro. E le persone,
invece di tendere le mani le une verso le altre, si ritirano nel loro guscio. Quando
scrivi su Facebook un post in cui sfoghi la tua frustrazione, è Boc. Quando parli
male di qualcuno, è Boc. Quando ti fai del male pensando a cose brutte, è Boc.
Quando usi metafore Boc, è Boc.
Come puoi usare queste informazioni? Molto semplice. Come ti dicevo, prima di
dire, pensare o fare qualcosa, chiediti se quello che stai per dire, pensare o fare è Alf
o Boc. Se è Alf, andrà tutto bene. Se è Boc, trasformalo in qualcosa di Alf, o
astieniti del tutto. Il segreto, è tutto qui. Si tratta di capire come fa la vita quando
vive e poi fare lo stesso.
P: Bene, Luciana. Ho semplificato moltissimo le categorie su cui si basa la via
dell’Alf. Mi piacerebbe che tu raccontassi qualcosa sulla A di altezza e sul perché è
così importante partire proprio da qui.
L: La Forza di gravità è l’unico fattore energetico costante da quando la vita è
apparsa sulla Terra. L’Uomo ha fatto uno sforzo in più rispetto agli atri esseri
viventi, sfidandola verso l’alto con la sua posizione eretta. Già questo potrebbe
bastare a spiegare quanto è importante la A di altezza. Siamo nati per andare verso
l’alto!
Dal punto di vista scientifico, la dimensione delle singole cellule è inversamente
proporzionale alla forza di campo gravitazionale esercitata sulle stesse. La gravità è
dunque il principale fattore limitante nella crescita delle singole cellule.
Per espanderci, anche simbolicamente, anche spiritualmente, anche
emozionalmente ed energeticamente, dobbiamo perciò narrarci oltre la forza di
gravità.
La specie umana si è formata ed è cresciuta in opposizione alla forza di gravità. La
gravità è l’agente che dà peso agli oggetti. Il nostro peso in senso assoluto è dunque
determinato da essa: la percezione del nostro peso, cosa assai diversa, è data dalla
capacità del nostro scheletro e dei nostri muscoli di contrastarla attraverso la sua
Energia. In questo senso il tono dell’Umore è fondamentale. Un tono dell’umore
basso corrisponde alla percezione di un peso relativo maggiore, un tono dell’umore
alto corrisponde a una percezione di un peso relativo minore. L’Estasi corrisponde
alla sensazione massima di assenza di gravità: il volo.
L’immagine ideale dell’Alto coincide quindi con l’assenza di forza di gravità. Il
corpo umano è in grado di volare in assenza di gravità, con o senza ali. Non è il
corpo in sé inadatto al volo, lo è su questo pianeta.
P: Mi vengono in mente gli astronauti nelle loro navicelle spaziali. In effetti, senza
forza di gravità, volano tranquillamente a destra e a sinistra. Non ci avevo mai
pensato. Mi pare semplicemente un’idea meravigliosa, sapere che non siamo noi a
essere inadatti al volo, ma lo siamo qui. Significa che possiamo volare, dopotutto.
Basta andare (o tornare) nel posto giusto. È una consapevolezza che rischiara i
pensieri sul nostro potenziale.
L: La Rivoluzione Alf è la consapevolezza, fisica, ancor più che intellettuale, di
questa unità linguistica: le parole, e quindi le immagini, pensate e pronunciate per
descrivere un corpo sano, uno spirito in estasi e una mente in Gioia sono le stesse!
Noi esseri umani abbiamo immaginato e sentito Dio quando abbiamo sentito in
corpo una particolare sensazione fisica: la tensione verso l’alto, la Luce che
dall’interno si emanava verso l’esterno, un flusso incessante d’energia, uno scambio
metabolico infinito tra il corpo e il cosmo. È tale da essere notato che da quando
utilizzo un linguaggio che rispetta l’aspirazione alla Salute del Corpo, chi mi
ascolta, se non è cosciente dell’unità linguistica Alf, esclama: «Ma quanto sei
Spirituale! Questa è la Magia! E non mi abituo mai».
Quando siamo in salute e gioia, parliamo un linguaggio universale ed eterno, al di
là dell’idioma di appartenenza. Usiamo parole che aiutano la Postura a mantenersi
eretta, che contribuiscono alla salute della colonna vertebrale e a diminuire i livelli
di cortisolo nel sangue, ormone dello stress. Sono anche, guarda caso, le parole che
fanno bene allo Spirito, parole che appartengono al linguaggio poetico e alla
preghiera. E tutte hanno a che fare con l’ascesa.
Ora prendiamo insieme coscienza di questa raggiante evidenza: come descriviamo
le nostre guarigioni fisiche? Come descriviamo il nostro cuore in amore? Come
descriviamo il nostro mondo spirituale? Accedendo a questo vocabolario unificante.
Se io ti parlo in Alf il tuo e il mio corpo avvertono benessere, la mente si apre, lo
spirito si eleva.
Un dolore che passa, mi fa sentire leggera, mi eleva. Un abbraccio d’amore mi fa
sentire leggera e mi eleva, una preghiera mi fa sentire leggera e mi eleva.
Il giudizio inappellabile è comunque quello del corpo sacro.
Sento in corpo che il mio linguaggio è Alf. Perché il mio corpo dalla nascita
conosce il linguaggio sensoriale della gioia e del benessere. E certamente il
linguaggio opposto, Boc.
Per dire che il mio spirito è stanco utilizzo il vocabolario di una colonna vertebrale
piegata e sovraccarica.
Non potrei neppure parlare di ascesi dell’Anima se non avessi una colonna
vertebrale che aspira alla sana verticalità.
Anche secondo Ludwig Wittgenstein, il mio corpo fisico, le sue funzioni e la sua
struttura, la sua forma, decidono di tutto il linguaggio che utilizzo per descrivere il
mondo e l’universo. Tutte le emozioni, tutti i sentimenti, tutte le idee. Tutto è…
antropomorfo, non possiamo fare altro. Persino la mente la immaginiamo così:
“A turbarci è la tendenza a credere che la mente sia qualcosa di simile a un omino che
sta dentro di noi”.
Se dico «oggi la giornata è stata pesante» – in Alf diremmo: non leggera – ti
assicuro che la giornata resta esattamente quella che è nell’universo, ma la mia
colonna vertebrale si “schiaccia” un po’. Nel pronunciare queste parole mi piego,
mi curvo, abbasso la testa. L’unico luogo dell’universo in cui si manifesta questo
peso è nel mio corpo. O accade nel mio corpo o non accade da nessuna parte.
Se dico «questa giornata ha avuto diverse battute d’arresto», oppure «Tizio e Caio
mi frenano nel lavoro», alla mia cervicale non resta che imitare, rappresentare un
leggero tamponamento. Potrei persino pronunciare queste parole massaggiandomi
il collo perché già avverto un leggero dolore.
Facciamo molta, molta, molta attenzione ai colpi della strega che arrivano dal
linguaggio! Nel traffico verbale, niente autoscontri: tutto deve fluire e scorrere.
«La giornata non è stata così scorrevole…».
Se qualcuno si presenta da me dicendomi: «Ho fatto di tutto, ma questo dolore al
collo e alla schiena non passano», conosco già il linguaggio che l’aspirante allievo
utilizza nella quotidianità. Lo scrivo su un foglio e glielo mostro e la sorpresa che
mi trovo sempre di fronte la chiamo: “effetto mentalista”.
Esiste un elenco finito di parole Boc? Non è necessario: a questo serve la
semplificazione Basso (pesante), Oscuro, Chiuso (nel senso di bloccato, coagulato).
Ognuno può crearsi con molta facilità un elenco di proprie parole, anche
espressioni dialettali, di slang e lessico familiare, veramente in tutte le lingue del
mondo, raggruppando i termini che rispondono a queste tre condizioni.
E queste sono le parole Boc da lasciare andare. Per quanto tempo? Per sempre.
Questa è una scelta Alf. Ricordarsi che per il corpo nulla è metafora, perché tutto è
corpo.
Un giorno un cliente mi disse: «Beh, per fortuna ho mio padre alle spalle».
«Quanto pesa tua padre?», chiesi.
Nel rispondere a questa domanda si chinò vistosamente e disse: novanta chili.
«Non è meglio, gli dissi, averlo… accanto?».
Ecco. Che ci vuole? Naturalmente, ha un significato rilevante l’aspetto quantitativo
del linguaggio, ovvero quanto ripeto un termine Boc, e l’aspetto quantitativo
compensatorio, ovvero quante parole Alf utilizzo. Pensieri elevati, parole elevate ed
elevanti: tengono la schiena eretta e in salute.
Pensieri e parole direzionate verso l’alto innalzano la nostra energia. E quindi il
nostro spirito.
Se ti senti giù, tirati su: è ancora il messaggio tautologico più lucente della pratica
Alf. Ed è un messaggio letterale e fisico: verticalizzati! Usa la A di altezza!
In piedi: gambe aperte alla larghezza delle spalle, braccia in alto, sguardo al cielo
come a cercare una stella. Fallo subito. Cambiare i tuoi pensieri non cambiando
posizione del corpo è davvero “non facile”. Se invece incarni direttamente la
posizione fisica della massima libertà e gioia, i pensieri di gioia e libertà arriveranno.
Nessun ragionamento: Tutto Corpo.
Come diceva James Hillman, le parole della bellezza sono le parole della guarigione.
Per guarire è necessario cambiare narrazione del sé.
Passare dal deserto al giardino. Immergerci nel giardino. Tenere la testa alta, pronti
a guardare le stelle.
P: Senza Luce, non ci sarebbe vita. Del resto, è proprio la prima cosa che si
preoccupa di regalarci Dio quando si cimenta con la creazione. Ed è straordinario
come in qualsiasi campo, anche nel business, le metafore che hanno che vedere con
la Luce siano sempre indicative di situazioni positive, di cambiamenti utili, di
contesti che prevedono nuova vita. “Mi si è accesa una lampadina”, dicono. “Ho
avuto un’illuminazione”. E quando le cose sono confuse o il momento è Boc, ecco
che “c’è bisogno di schiarirsi le idee”. Del resto, noi veniamo alla Luce, dopo tutto.
L: Scriveva Plutarco che: «L’opera del maestro non deve consistere nel riempire un
sacco ma nell’accendere una fiamma».
Come la A di Altezza, la parola Luce appartiene al Linguaggio unificante che
scioglie le separazioni tra Corpo, Mente e Spirito.
È indice di salute fisica, di vivace apertura mentale, di Gioia spirituale. Tutte
insieme. L’Alf sostiene che ciò che descrive un Corpo Sano descrive anche una
Mente sana e tutto ciò che intellettualmente ascriviamo al mondo Spirituale.
Un organo non sano, che sia la pelle che sia il fegato, cambia colore, cambia
vibrazione cromatica, cambia reazione alla Luce. Il sangue ben ossigenato è più
luminoso del sangue carico di anidride carbonica.
Una mente, un cervello che genera nuove idee, ha una maggiore, e misurabile,
attività elettrica; ha più Luce. Letteralmente. E, come dicevi tu, lo dichiara
apertamente con le sue metafore.
Quando, istintivamente, un essere umano sofferente invoca la Luce, certo si
riferisce ad un’esperienza fisica visiva, ma traduce anche una condizione fisica
interna di mutazione di un ambiente. Come dentro così fuori.
Fisicamente, letteralmente, organoletticamente.
In un soggetto depresso, o comunque sofferente in Boc, tutto appare “più scuro”,
opaco, spento, torbido, offuscato, tenebroso, nero. Non ha imparato da nessuno a
descriversi così: lo fa e basta. Questa speciale narrazione, dalle mie ricerche che
hanno spaziato dai testi sacri Egizi fino ai testi di neuroscienze, dalle poesie Navaho
agli Haiku giapponesi, non è una qualità descrittiva culturale, non è un archetipo
etnico, non si apprende in famiglia, a scuola, dal culto religioso.
Appartiene al corpo umano, alle sue caratteristiche funzionali, come tutto il
linguaggio Boc-Alf.
In questo senso è illuminante, appunto, un testo di neuroscienze Il Cervello e il
Mondo interno di Mark Solms e Oliver Turnbull che svela come il linguaggio
umano narri, metaforicamente, e più di quanto sospettiamo intuitivamente, un
ambiente biologico che muta in maniera misurabile al mutare delle emozioni e
delle sue condizioni di salute.
Anche nelle opere di Antonio Damasio e Francisco Valera si parla di un mondo
biologico interno così complesso da non poter fare a meno di semplificarsi, nella
comunicazione verbale, simbolica, iconografica, artistica col mondo, in termini
bipolari: sto bene-sto male, caldo freddo, luce-oscurità, alto-basso, bloccato-fluido.
Quando mi viene detto che l’Alf non esprime tutta la complessità intellettuale umana,
rispondo che è proprio così, che si occupa solo di ciò che conta per la Vita.
In termini di programmazione neurolinguistica, direi che ricalca il modello
comunicazionale, verbale, non verbale e respiratorio del Corpo nel suo massimo
stato di salute percepito. Che, guarda caso, corrisponde al massimo grado di Gioia
percepibile. E alla massima percezione di connessione con le energie Universali.
Siamo Uno, è vero. Ma prima di essere Uno col Tutto Cosmico, siamo Uno con
noi stessi: Corpo, Mente, Anima.
Quando sentiamo che tutte le nostre parti, organi e funzioni, sono connesse in
armonia tra loro, ecco che esclamiamo: sono connesso con l’Universo. Ecco che
ancora una volta una percezione del mondo interno cellulare si trasforma in una
rappresentazione cosmica. Al di là delle nostre idee e convinzioni sul mondo, su noi
stessi, al di sopra della nostra cultura, della nostra religione, quando ci sentiamo
bene, quando siamo energici e in Gioia, c’è più Luce (anche fisica!) dentro di noi e
la vediamo ovunque. Potremmo persino vedere il Sole a mezzanotte. La Luce è
un’esperienza fisica interna. La cellula sana, soprattutto viva, produce Luce. E
quando muore la lascia andare.
Prima è nata la sensazione fisica del buio interno, e poi è nato il linguaggio per
descriverlo. E questo linguaggio ha preso immagini dal mondo esterno: notte,
ombra, tenebre, occulto, sepolto, nascosto, celato, selva oscura.
Per descrivere un mondo interno fisico che produce meno luce in termini di fotoni
per una ridotta attività sinaptica, ad esempio, non dirò certo: «Sto modificando
l’attività termodinamica al mio interno, dovrei espandere le mia attività neuro-
elettrica»! Dirò qualcosa del tipo: «Aiutami, non ci capisco più niente, brancolo nel
buio!».
E lo dirò in tutte le epoche e in tutte le lingue del mondo. Dalla notte dei tempi, da
quando Luce fu.
Il paziente chiede al medico: salvami dalla mia oscurità.
L’allievo chiede al maestro: salvami dall’oscurità.
Colui che ama chiede all’Amore: salvami dall’oscurità.
Il credente chiede al suo Dio: salvami dall’oscurità.
È tempo di accettare, accogliere, amare che la Luce è Una, il Sole è Uno: sei Tu.
È tempo di accogliere a braccia spalancate questa responsabilità.
È tempo di affermare con Gioia Altissima e libertà: là fuori non c’è niente, ora ci
porterò la mia Luce. La Luce che, fisicamente e oltre, sono da quando sono al
Mondo.
È tempo di rinunciare esplicitamente, deliberatamente, volontariamente al sonno
delle percezioni ottenebrate dall’inconsapevolezza.
La parola Luce e tutti i suoi sinonimi e tutti i suoi riverberi fanno bene al corpo.
Non c’è preghiera che non parli di Luce, perché non c’è preghiera che non sia
scritta da un Corpo.
La Luce: Salvezza per il Corpo, per la Mente, per l’Anima.
Se non fossi composta da cellule che producono Luce, non parlerei neppure di
questa Energia. Se non fossi composta di Luce, non la vedrei, non la conoscerei.
Come per l’Alto: se non avessi una colonna vertebrale fatta proprio come una
colonna vertebrale non parlerei neppure di Ascesi, di Elevazione.
Io e te, Paolo, abbiamo le stesse parole per raccontarci nel dolore più profondo e
buio e nella Gioia più Alta e Luminosa. E queste parole possono essere tradotte in
mille lingue e in mille lingue verrà rispettata questa bipolarità. Non possiamo
scegliere. Sceglie per noi il Corpo.
Il linguaggio della guarigione è universale, eterno, impersonale. E mentre il nostro
Ego è così intento a cercare il suo trauma individuale, biografico, storico, e mentre
il nostro Ego è alimentato, fomentato dalla cultura psicoanalitica occidentale del
Novecento che scava nell’individuo, come se ogni individuo vivesse un dolore
personalissimo e quindi meritasse una terapia, psicologica, psicoanalitica,
personalissima, ecco che il Corpo urla “Sono Qui! Io parlo una Lingua Universale!
Restituiscimi subito Altezza, Luce e Flusso d’Energia!”.
La parcellizzazione terapeutica è Boc, inopportuna nei suoi metodi e, come
sostenuto da James Hillman in Cent’anni di psicoanalisi e il mondo va sempre peggio,
alimenta la separazione energetico-emotiva tra gli esseri Umani. Quando parlo in
Alf, a prescindere da chi io mi trovi di fronte o dall’altra parte del pc, ciò che mi
sento dire è: tu mi comprendi, tu mi conosci.
Con la parola Luce mi prendo cura di chi mi chiede aiuto, sì proprio con la Parola.
E comincio dicendo: «Io di te vedo solo il Sole».
Un guaritore, uno sciamano, un maestro, un medico, uno psicologo, un operatore
d’aiuto, un soccorritore devono – non possono, non vogliono, ma devono – credere
profondamente, intimamente, oltre ogni conosciuta razionalità, nelle infinite
possibilità dell’Uomo di guarire, di svegliarsi, di conoscere, immediatamente,
nell’istante temporale, e con questa convinzione radicata guardare all’Uomo e alla
ricerca sull’Uomo. Con questa visione vocazionale impiegare anche l’eternità di una
vita intera per vederlo accadere. E, se servisse, tramandare alle generazioni future
questa fede assoluta, insindacabile nel potere di Adesso.
E parlo esplicitamente di biologia della Luce, parlo di cellula, parlo di neuroni,
parlo di ossigeno che rischiara il sangue e dico: niente di filosofico, niente di
immaginifico, tutta Vita.
P: Mi pare quasi inutile, a questo punto, aggiungere altro: la tua intuizione sul
codice della vita è davvero illuminante (appunto). Mi stai facendo ricordare tante
cose che in cuor mio già sapevo. Credo che la cosa più meravigliosa sia questa:
mentre procedo con l’intervista e la lettura, mi accorgo che dentro di me si stanno
risvegliando forze meravigliose e un sapere antico, che ho sempre avuto anche
prima di arrivare all’Alf. Io lo so che quando le cose vanno bene, vanno “lisce come
l’olio” e che quando mi sento in forma dico di essere “nel flusso”. E mi ricordo che
il mantra che mi sono ripetuto per aiutarmi nei momenti bui (appunto) è che tutto
scorre. La vita scorre. E ora, tutto quel che avevo dentro sta diventando chiaro
come il sole. Così chiaro che le parole non bastano, è una cosa che sento dentro. E
per questo molto buona. Mi accorgo che la sento prima di pensarla con
l’intelligenza, che per parlarne devo scendere un po’ sulla scala di cui parleremo
dopo. Che devo, come dire, tornare con i piedi per terra. Tutto, per l’appunto,
scorre meravigliosamente fluido.
L: Un corpo sano incarna un linguaggio in sintonia con un’attività respiratoria,
circolatoria, linfatica e metabolica fluenti, scorrevoli, libere, pulsanti, in energia Alf!
F come Flusso è l’abbondanza infinita.
Il corpo riconosce solo il pronome “io”. Così parla il corpo: ciò che fai, lo fai a me;
ciò che pensi, lo pensi di me; ciò che dici lo dici di me; ciò che vedi lo vedi in me.
Il corpo è incapace di distinguere tra il Sé e il Mondo Esterno.
Cosa significa? Significa che se definisco una situazione “stagnante”, per esempio, la
situazione resta quella che è, universalmente di fatto neutra (magari per qualcun
altro è definibile nel suo opposto, scorrevole), ma ciò che accade al Corpo Sacro è
di incarnare, letteralmente, quella Parola che invece credo di attribuire a qualcosa al
di fuori di me!
Se affermo: quella persona è una vera rottura! Quella situazione è bloccata! La
persona e la situazione non mutano sostanza, ma il mio Corpo vive e interpreta un
messaggio di pericolo per la sua sopravvivenza.
Sia la Metamedicina di Claudia Rainville sia Emile Coué ci invitano a cambiare il
modo di narrare i nostri sintomi, ma l’Alf dice qualcosa, a mio avviso di più vasto:
cambia il modo di narrare anche il Mondo e le persone e le relazioni, perché tutto
per il Corpo è Corpo.
“Quello che dici, lo dici solo a Me”, dice il Corpo.
P: Vale la stessa cosa anche quando parliamo di quel che circonda, dunque. O degli
altri. È così?
L: Pochi giorni fa, un allievo si stupiva del mio alzare le braccia al cielo mentre lui
mi descriveva la sua esperienza non proprio positiva vissuta nel suo ultimo viaggio:
«Ma perché? Mica sto parlando di me! Lo sto dicendo degli organizzatori!».
«Le tue parole arrivano solo a due corpi: al mio e al tuo. Le parole sono sempre
immediata carne, qui e ora».
Se a livello di intelligenza e sapere, come indicato nella Piramide della Conoscenza
Alf, quella cui accennavi e di cui parliamo dopo, è chiaro che si stia discorrendo di
qualcosa o qualcuno al di fuori del nostro Corpo, per il Corpo tutto può essere
rappresentabile solo al suo interno.
Per comprendere il significato della narrazione che sosteniamo o ascoltiamo, il
Corpo mima, imita, sotto il livello cosciente, ovvero non per scelta gestuale, ma in
movimento subliminale.
Un linguaggio verbale e non verbale Boc disperde una quantità non dicibile di
energia!
La F di Alf è proprio dedicata al recupero energetico, riattivando la Coscienza di un
flusso energetico interno che di fatto, se fosse davvero bloccato, come narrato nelle
metafore a cui attinge il linguaggio Boc, sarebbe equivalente ad affermare: non vivo!
Ma sino a quando siamo in vita, non solo tutto in noi, sangue e respiro e linfa,
scorre, ma appartiene anche al flusso energetico all’esterno del nostro corpo:
ossigeno, acqua, campi magnetici, forze nucleari forti e deboli. Ancora: nessuna
separazione, solo appartenenza.
Chi ha l’energia minima per lamentarsi ha anche l’energia sufficiente per risorgere;
con questa consapevolezza guardo a chi chiede aiuto e lo vedo già più in Alto di
come si descrive e di come si sente lui.
Chi ha l’energia minima per affermare “mi manca…”, possiede anche l’energia
propulsiva per affermare “offro”.
Quindi: non è l’energia che di fatto ci manca quando ci sentiamo Boc, ma è come
impariamo a liberare questa energia! Sentirci Boc non vuol dire essere privi di
energia, vuol dire solo che la stiamo concentrando in maniera non armonica in una
parte del Corpo.
Questo spiega perché una persona può sentirsi con un’energia a livello 2 (in una
scala da 0 a 10) e, dopo pochi minuti di esercizi Alf, autovalutarsi 7. Il mondo non
è cambiato, il passato neppure, nessun sostanziale mutamento nella struttura delle
proprie convinzioni, dei propri valori, eppure il Corpo è sempre disposto a
sciogliere nell’immediatezza accumuli energetici.
Oserei dire che chi soffre sta utilizzando troppa energia per un problema che può
essere risolto proprio grazie alla redistribuzione energetica delle proprie risorse. Se
un allievo mi dice di sentirsi a un livello di Energia 2, so già che una quantità 8 di
energia è impiegata, concentrata in un solo “pensiero dominante”.
Il soggetto, inoltre, “chiama” energia anche dall’esterno: cerca accudimento,
comprensione, compassione, consolazione, ascolto passivo, individua colpevoli e
cerca salvatori.
Prendendo in prestito, con i dovuti adattamenti, un termine dalla termodinamica,
un soggetto in una fase Boc inconsapevole si comporta in maniera endoergonica:
ovvero richiama energia senza restituirla, un po’ come se fosse una lavatrice che da
una parte prende l’acqua e dall’altra la disperde.
C’è chi definisce questo atteggiamento vampirismo emotivo o vampirismo
energetico, ma io non sono d’accordo. Un vampiro si nutre e prospera succhiando
sangue, in questo modo sopravvive. Qui non si nutre proprio nessuno. Né il
soggetto che si è dimenticato di essere Flusso Eterno e infinito d’Energia, né chi
aspira ad aiutarlo: entrambi ne escono con meno energia, come se fossero un unico
corpo.
Anche in questo consiste la rivoluzione Alf.
In molti manuali di auto aiuto, di psicologia, di crescita spirituale, l’autore invita il
lettore a indagare le origini profonde dei suoi malesseri. Siamo perciò portati a
credere in una perenne dietrologia, in una dominante e serissima archeologia
emotiva: se non mi sento bene, emotivamente, ecco, l’origine sarà sicuramente in
qualche trauma di cui non sono neppure così cosciente, nel passato più remoto,
magari anche in quello dei miei avi! Questo processo di indagine potrebbe – perché
no? – arrivare sino alle difficoltà di adattamento un ambiente acido dell’ameba che
milioni di anni fa mi fu progenitrice: dove si ferma il concetto di passato?
Il Big Bang non deve essere stata una passeggiata per la Terra, che ancora certo non
c’era, ma prima o poi uno psicoanalista glielo avrebbe ricordato! Eppure cosa fa la
Terra? Affronta nel qui e ora tutte le sue trasformazioni. Conosci te stesso: qui e
ora! Dove, sennò?
Se inciampi e picchi il mignolo del piede nello stipite della porta, lo senti bene che
il dolore è adesso!
Ed è adesso che puoi fare qualcosa per rimediare a quella sofferenza, subito.
Attenzione, anche se l’origine della nostra sofferenza fosse un grosso spavento, una
umiliazione subita nell’infanzia, il Tempo della guarigione Alf è Questo momento. È
di fatto: qualsiasi momento da ora.
Vuol dire che questo momento, proprio mentre parlo e tu ci leggi, è quello giusto
per stare bene.
E non ha neppure importanza, o non ha tutta quella importanza che gli ha
attribuito la psicologia del Novecento, sapere con esattezza l’origine dei nostri
turbamenti: e se non lo sapessimo mai? Cosa potrebbe accadere? Ma, soprattutto:
l’indagine sta rimandando a quando il mio stato di Gioia?
Perché non posso stare bene subito? Perché non posso liberarmi del sintomo
immediatamente? Cosa mi impedisce di respirare come se fossi felice, di parlare il
Linguaggio del corpo sano? Muovermi con la gestualità dell’Estasi? Sentire di
appartenere a un Flusso d’Energia cosmico che mi accoglie indipendentemente
dalla mia biografia?
P: D’altro canto, conoscere che l’origine di un nostro stato di malessere ha
cagionato una determinata situazione fisica (penso alla psicosomatica) o emotiva,
può essere molto utile per evitare di ripetere quel determinato comportamento, può
essere l’occasione per fare scelte diverse. La medicina cinese, la metamedicina che
anche tu hai citato e la psicosomatica in genere parlano di questo. Sono d’accordo,
come coach e come praticante buddista, quando affermi che quel che conta è
adesso e contano molto di più le scelte che compi da questo istante in poi di quelle
che hai compiuto prima. Eppure, mi chiedo: un approccio così radicale?
L: Mettiamola così: non esistono fatti che di per sé producono uno stato di
malessere sempre e comunque, “perché così è”. Non c’è una relazione univoca e
sempre operante, per la quale se hai vissuto un tal trauma avrai certamente un tal
sintomo. Anzi, anche se fosse, se davvero esistesse una realtà oggettiva in grado da
sola di provocarne uno, è proprio quel legaccio che dovremmo andare a sciogliere.
L’evento è in sé neutro, se non sostenuto dal giudizio. Fanno eccezione memorie
fisiche dolorose, cioè traumatiche in senso stretto. Ma ancora insisto: io sono
arrivata a una teoria attraverso la pratica. Io ascolto la narrazione, riconosco che
alcune persone si identificano con il loro racconto. Ma l’intervento che propongo è
impersonale e universale, finalizzato a un recupero respiratorio, posturale e verbale
Alf, rispetto a una condizione Boc di partenza che non riesce a evolvere, perché “se
mi è successo questo, allora devo stare male…”. Io non sono una terapeuta e
neppure una scienziata: non sta a me spiegare le motivazioni per cui chi apprende
tecniche Alf “si riprende” incidentalmente anche dagli attacchi di panico, o da
manifestazioni dolorose diagnosticate come croniche, senza manipolazione, ipnosi,
farmaci, psicoterapia. Ma questo avviene. Non sta a me, mi disse un allievo
neurochirurgo che ancora ringrazio, stabilire perché avviene. A me interessa che
questo possa avvenire. Ovvero, che anche questa sia una strada percorribile. Non
l’unica, certo. E a me interessa che questo sia accaduto a me. Al mio dolore definito
cronico. A me interessa non assumere più farmaci. A me interessa che la mia
schiena non si “blocchi” più, proprio a me a cui, in seguito al mio incidente,
vennero sconsigliate persino le gravidanze e invece ne ho avute due.
«Hai avuto questo… Quindi ti accadrà quest’altro…», mi dissero.
Mi interessa la possibilità lucente del Reiki, per esempio, e di tutti gli strumenti
energetici che si rivolgono al corpo universale e alla sua capacità di autoguarigione.
A me interessa dire alle persone che possono da subito comportarsi come persone
sane.
E assistere a una meraviglia: il Corpo è sempre disposto a soffrire un po’ meno di
quanto stia soffrendo e a godere un po’ di più di quanto stia già godendo.
Uscire dalla triade vittima-carnefice-salvatore può essere l’impegno di tutta una
vita. Uscire cioè da una narrazione che sostenga questa triade con l’illusione di una
realtà oggettiva. Cento-volte-cento si cadrà nel tentativo di colpevolizzare se stessi,
il mondo, gli altri perché “non stiamo bene”. Cento-volte-cento possiamo accettare
la sfida del risveglio: Tutto ciò è bene, tutto ciò è luce, fluisco, mi affido.
Ricadere, ricominciare, rialzarsi. Non importa davvero quanti tentativi siano
necessari: percorrere una Via non è per esseri “perfetti”, è per esseri che cercano.
Come arrivare in Gioia a quegli ultimi cinque minuti.
L’Alf pensa agli ultimi cinque minuti dell’esistenza di un essere umano come ai più
importanti di tutti e dice: quegli ultimi cinque minuti sono per guardare al
Passaggio dei passaggi con le mani aperte. Libere. Per farlo bisogna allenarsi molto,
prepararsi, liberare il cuore: che non pesi più di una piuma.
Tra i rimpianti degli esseri umani che affrontano l’ultimo dei passaggi non c’è: avrei
dovuto parlare di più di quanto stessi male, ma c’è: avrei dovuto godere di più di
tutte le cose. Pensiamo a questo.
C’è una fase della nostra vita in cui crediamo che narrarci agli altri come vittime, o
anche come carnefici, porti a qualcosa di buono, che si ottenga dagli altri
comprensione, accudimento o assoluzione. E poi c’è una fase, augurabile a tutti,
preceduta generalmente da un indicibile sconforto, una fase in cui ci si rende conto
profondamente, o almeno questo è accaduto a me, che quel tempo lo abbiamo
tolto alla Gioia di esser nati, in cui si accetta e si accoglie che possiamo dire di noi e
del mondo, delle nostre e delle sue imperfezioni, meravigliose cose.
P: Come ci sei arrivata? È un cambio di paradigma davvero molto forte, per noi
occidentali cresciuti con il mito di Freud.
L: Devo la nascita dell’Alf alla mia incompetenza circa le tradizionali discipline di
aiuto.
Quando, nel 2002, ricevetti le prime richieste di consulenza individuale,
soprattutto da parte di allievi che frequentavano i miei corsi di Comunicazione
efficace, mi resi conto immediatamente che ciò che non volevo fare era l’imitazione
di una psicoterapeuta o di una psicoanalista o di una consulente filosofica,
soprattutto perché non ero né l’una, né l’altra, né l’altra ancora: non ne avevo il
titolo, la competenza, la preparazione e neppure la vocazione.
Quando qualcuno cominciava a raccontarmi del suo passato, soprattutto della sua
infanzia, interrompevo la narrazione con questa affermazione: «Posso mostrarmi
dispiaciuta per ciò che ti è successo, ma non so che farmene per aiutarti adesso. E io
voglio aiutarti adesso».
Ero sincera, intimamente convinta che non avrei dovuto ricreare un setting
terapeutico, perché non ero e non sono una terapeuta, non in questo senso.
Quello che raccoglievo era spesso disappunto e frustrazione, anche smarrimento;
forse per un modello (l’unico?) di relazione d’aiuto che abbiamo assorbito in
Occidente durante tutto il Novecento: i tuoi traumi nascono dal passato,
soprattutto dalla primissima infanzia, raccontami di te, svisceriamo evento dopo
evento: se non mi parli del tuo passato, non posso aiutarti adesso: la chiave della
guarigione è lì.
Ora, non ha davvero alcuna importanza se io ritenessi, oggi come allora, questa una
Via efficace e sensata per aiutare qualcuno; anzi, non ho alcun titolo per negare
l’efficacia che sicuramente hanno mostrato e mostrano gli interventi terapeutici
basati sulla narrazione del paziente: semplicemente io sentivo di doverne trovarne
un’altra, perché non potevo e non sapevo seguire quella.
Spiegavo che non avevo alcuna competenza, nonostante le mie letture di testi di
psicologia e psicoanalisi, per utilizzare il materiale del racconto che mi fornivano,
per elaborare diagnosi e interventi specifici.
Qualcuno reagiva, e di tanto in tanto capita ancora, anche in maniera molto
aggressiva. Ma come, tu non ascolti! Tu non vuoi sapere nulla di me! Vuoi dire che
tu dici alle persone quello che devono fare? Che parli soprattutto tu?
Sì, perché credo che la conoscenza possa aiutare a stare meglio. O almeno mi è
successo di aiutare chi si è rivolto a me, con il massimo dell’insegnamento nel
minimo tempo di ascolto.
E le mie domande sono, ad esempio: «Cosa dovrebbe accadere oggi, subito, adesso,
perché tu possa sentirti più leggero, più luminoso, più fluido nei movimenti? Cosa
ti farebbe dire, alla fine di questo incontro, che qualcosa è cambiato? Come
respireresti? Come sentiresti il collo, le spalle? Il petto? Conosci il potere delle
parole? Sai in che modo il tuo linguaggio è in grado di modificare la tua postura?
Conosci la differenza tra emozioni orizzontali ed emozioni verticali?».
P: Parlamene.
L: Emozioni orizzontali ed emozioni Verticali: i due codici motori del Sì.
Mi piace riferirmi al simbolo Universale della Croce come simbolo antropologico
di equilibrio, tra piano materiale (il “cosa”) e piano spirituale (il “perché”).
Con molta umiltà mi impegno a illustrare qualcosa che conosco più nella pratica
che nella teoria, perché ho compreso più con il corpo che con lo studio, anche
perché non esistono studi, che io sappia, che distinguono tra emozioni orizzontali e
verticali.
Nessuno sa, allo stato attuale della scienza, perché il Corpo sia attratto fisicamente
anche verso l’Alto (io lo so, a dire il vero. E lo sapeva pure il grande scienziato
Nikola Tesla. Ma questa è un’altra storia che narreremo altrove). È tuttavia tale da
essere notato che la colonna vertebrale subisce la forza gravitazionale dei nostri
pensieri, più di quanto non subisca quella terrestre, che di fatto rimane stabile
nell’arco della nostra vita. Non sta a noi, Paolo, trovare il “perché” scientifico, ma
osservare noi stessi, solo noi stessi, e sentire che sì, che è vero, che “questa cosa, mi
spinge verso l’Alto, faccio quasi fatica a tenere i piedi a terra”. Questo possiamo
fare. Vedere come agisce la meraviglia in noi.
Sono più importanti le emozioni che ci spingono in avanti o le emozioni che ci
spingono verso l’alto? Il simbolo antropologico universale che sceglie l’Alf è la
croce. Non cattolica, non cristiana, non tibetana, semplicemente la croce che è la
firma di un essere umano che non sa scrivere, ma dice “questo sono io”.
L’intersezione tra i piani.
La particolare forma di croce che sceglie laicamente l’Alf è il Tao, in cui il piano
verticale sostiene completamente il piano orizzontale, creando questa magia: la linea
verticale spinge verso l’Alto il piano orizzontale, lo ama e gli cambia la percezione
gravitazionale. Come dire: sopporto meglio il traffico (piano orizzontale) se do al
mio tempo, tutto il mio tempo, la grazia di essere percepito in ogni istante come
sacro (piano verticale). Eccola l’intersezione dei piani. Se uso parole Alf per il
traffico (faccio spesso questo esempio perché per noi ricercatori urbani è una
classica esperienza in cui testiamo a che livello di grazia siamo) elevo l’esperienza
orizzontale del traffico.
Opposto al simbolo del Tao c’è un simbolo che, ogniqualvolta mi capita di vedere,
mi stupisce per la meraviglia, ovvero mi stupisco di quanto l’uomo già tutto
conosca e comprenda e anche quando non ne ha intenzione alcuna, comunica cose
altissime: il simbolo della messa a terra dell’impianto elettrico! Ecco, quello è il
simbolo Boc per eccellenza: potremmo dire che il piano orizzontale attragga a sé
tutto il piano verticale. “Mi è caduto addosso il Cielo!” o che il cielo, divenuto
pesante, schiacci il piano orizzontale. “Perché il traffico capita sempre a me? Cosa
ho fatto di male?” Ecco.
Chiunque si approcci allo studio del linguaggio del corpo, apprende che un
movimento in avanti del corpo rappresenta un chiaro segnale di approvazione e
gradimento subliminale. Andiamo verso ciò che garantisce il soddisfacimento di un
qualche bisogno. Questo è molto importante: l’Alf lo definisce il “sì delle emozioni
orizzontali”, perché le energie che coinvolge sono energie che possiedono questa
qualità direzionale: avanti e indietro. Tutti i nostri Sì in questo senso tracciano
un’immaginaria linea orizzontale, lungo un asse temporale parallelo al piano
terrestre. È un Sì di natura biografica e temporale.
Mi spiego meglio. Se io dico “torta di mele”, o “sesso” o “soldi”, ci possono essere
persone che muovono il corpo in avanti, altre che rimangono in posizione neutra,
che non reagiscono, altre che vanno indietro come a dire: No! Perché di fatto sono
stimoli, queste parole, che si attivano solo in presenza di un bisogno inappagato:
tutte e tre le parole sono riferite a un bisogno di carattere orizzontale, indispensabili
alla nostra sopravvivenza fisica sulla terra. E caratterizzano la nostra capacità di
relazione con gli altri. Peraltro la stessa persona che oggi sposta in avanti il corpo
verso una determinata fonte di stimolazione, domani potrebbe addirittura
indietreggiare, perché ha cambiato relazione verso la fonte o ha appagato il bisogno.
Nel caso della torta di mele: o ne ha già mangiato o ha fatto indigestione. Ma
seguendo solo questa linea potremmo non alzare mai la nostra testa verso le stelle,
verso l’alto. I bisogni orizzontali non tengono conto dei bisogni verticali della
colonna verticale, per esempio di andare verso un centro di Gravità Spirituale
Universale. Insisto, spirituale non vuol dire senza corpo, anzi, lo spirito è una
particolare percezione del corpo, il corpo in Alf. E l’appagamento dello spirito è un
bisogno di tutti gli esseri umani, tanto quanto mangiare. Neppure un essere umano
affamato perde il suo bisogno spirituale di senso, ovvero il chiedersi “Perché sono
affamato? Che senso ha tutto questo? Perché succede a me?”. Neppure quando i
bisogni orizzontali prendono il dominio assoluto, schiacciando l’uomo verso il
basso, l’uomo si dimentica di essere un essere umano e anche se si dovesse
comportare come un “animale”, in senso lato “sente” di non esserlo. Ecco, “sentire
di essere un essere umano nell’universo”, addirittura quindi di non appartenere
esclusivamente a questo pianeta, fino a poter immaginare un viaggio verso mete
astrali, dopo aver voluto conoscere ogni angolo della terra (desiderio che è sempre
andato oltre il mero recupero di cibo ed energia), è la definizione che più mi piace
di “Emozioni e bisogni verticali”, perché esse appartengono esclusivamente agli
esseri umani. Potremmo dire che le emozioni verticali sono tutte quelle emozioni
non condivise con gli altri esseri per la salute e l’evoluzione dell’individuo e della
società.
Secondo l’approccio neurologico di Andrew Newberg e di Eugene d’Aquili,
fondatore dello strutturalismo biogenetico, Dio non è il prodotto di un processo
cognitivo-deduttivo, non è un fatto di idea e basta, ma è stato “scoperto” durante
un’esperienza mistica o spirituale, che la coscienza umana ha potuto vivere grazie ai
meccanismi della trascendenza inscritti nel cervello. Emozioni e bisogni: li nomino
insieme perché l’emozione si manifesta se c’è un bisogno da appagare; senza
bisogno non potremmo neppure parlare di emozioni. Senza bisogno di sicurezza,
non potremmo neppure parlare di paura.
Paura, rabbia, tristezza, fame e sete e desiderio di appagamento sessuale e di
relazione, per esempio, li condividiamo con il mondo animale: condividiamo
questo piano materiale.
Il bisogno di trascendenza è un bisogno da realizzare nel quotidiano come tutti gli
altri bisogni, indipendentemente dal credo religioso e indipendentemente dal fatto
di averne uno: ed è il senso di appartenenza alla specie umana, alla famiglia umana.
Il bisogno di ricordarci che siamo Altezza, Luce e Flusso eterno di Energia.
E questo bisogno è espresso dal linguaggio universale che associa a queste tre super
lettere A, L e F, in tutte le lingue del mondo, l’idea di bello, buono, sano, divino e
immortale.
Io chiamo chi si rivolge a me “allievo” non perché io mi identifichi in un maestro o
guru, né mi propongo come esempio di vita, ma perché mi sento soprattutto
un’insegnante.
Non c’è mistero tra me e i miei allievi: io racconto loro tutto quello che so per il
tempo in cui vorranno seguirmi. Ogni incontro è una lezione individuale. Se
durante gli incontri prendo appunti glieli mostro, perché quegli appunti sono un
messaggio per loro, non per me. Dopo ogni incontro l’allievo può immediatamente
insegnare ciò che ha appreso a qualcuno. L’Alf non ha discepoli, adepti, seguaci,
gerarchie.
Io non “curo” nessuno, mi prendo cura degli altri attraverso la conoscenza, la
conoscenza come via di consapevolezza e libertà. L’Alf non è La Via, ma una tra le
tante strade. Semplicemente, non può essere confrontata con percorsi che
prevedono la necessità della narrazione della propria biografia per ricevere
prescrizioni terapeutiche.
Per questo, più si è consapevoli di cosa sia una parola, il gesto e la qualità della
respirazione in presenza di un’altra persona, più la responsabilità comunicazionale
sale.
Quando ho iniziato il mio lavoro come operatrice di aiuto, subivo completamente
il linguaggio Boc dei miei consultanti: il Terzo Corpo energetico, dato dalla somma
energetica mia e del mio interlocutore, era Boc.
Non mi sentivo bene e non capivo perché, non capivo perché e indagavo nel mio
passato, ma questo non modificava in alcun modo l’abbassamento d’energia cui ero
esposta. Era un po’ come se stessi cercando il produttore della porta contro la quale
avevo sbattuto il mignolo.
Fino a quando, approfondendo i miei studi neuroscientifici, soprattutto grazie alle
opere di Damasio e Valera, ho preso coscienza di una Verità ineludibile. C’è solo
un Tempo in cui il corpo soffre: adesso.
Un’emozione non positiva è una variazione biometrica valutabile nel momento
presente. E nel momento presente modificabile attraverso un uso cosciente del
Gesto Verbale e non verbale.
Il Flusso più alto di Energia che puoi percepire è già qui, in potenza, come sostiene
anche Bruce Lipton, nell’attività intracellulare. Parafrasando la sua opera: grazie al
cielo le nostre cellule sono già più felici della nostra mente.
La A di Altezza e la L di Luce sono immediatamente, nella mia esperienza di
divulgazione, comprensibili anche a livello logico e intuitivo, ma è la F, l’ultima delle
tre, la lettera che ci chiede l’impegno volontario più importante: la coscienza piena della
quantità di energia che offriamo e quella che invece assorbiamo dall’Ambiente
circostante, in termini di atteggiamenti Boc.
È la F che ci dice come convertire immediatamente uno stato di sofferenza
inconsapevole in uno stato di coscienza, primo irrinunciabile passo verso il pieno
risveglio Alf.
La F di Flusso eterno di energia ci dice di entrare nella gioia anche senza l’allegria.
Come dici spesso anche tu, Paolo, la comunicazione efficace, la comunicazione
trasformativa non si dice: si fa!
La F di Alf è la più fisica e materica delle tre lettere. Se l’Alf fosse una Danza,
spiegare la F sarebbe come scrivere dei passi del tango, per esempio.
Il dolore, la separazione, di qualunque natura siano, si possono narrare e li
narriamo con termini opposti a tutto ciò che si riferisce a un armonico fluire. Ma
basta osservarci, anche al di là delle nostre parole. Come sono i nostri movimenti? I
muscoli sono rilassati? Abbiamo la percezione fisica di sentirci un Uno organico e
integro o ci sentiamo a pezzi?
Ecco, la F è ricomporre i pezzi, unirli, dalla punta dei piedi al cuoio capelluto,
dentro e fuori, e far muovere l’Uno in armonia.
PRATICA ALF: IL PUNTO LUCE
L’obiettivo dell’esercizio è prendere contatto esperienziale con l’affermazione “Io
sono Luce”.
Qual è la pratica da mettere in atto?
Io sono Luce: letteralmente la luce, visibile, materica è in me, produco luce. Ma
allora la luminosità interna esiste, indipendentemente da fonti luminose esterne?
Negli anni Cinquanta il neuroscienziato americano John Lilly, nei laboratori
dell’Istituto nazionale di salute mentale degli Usa, ideò la sua vasca a deprivazione
sensoriale che porta il suo nome; ciò che si aspettava era che l’essere umano, una
volta isolato da qualsiasi stimolo esterno, uditivo o visivo, potesse incontrare il
Nero assoluto delle percezioni: nessuna fonte luminosa? Allora, il buio totale.
Nessun suono: allora il silenzio totale. Ma a sua grande sorpresa questo non
accadde. Anzi, l’essere umano, in assenza di stimoli esterni, è in grado di incontrare
il suo suono, la sua luce, le sue immagini, il suo universo, senza la distrazione degli
input dell’ambiente.
Come se il nostro timpano fosse sempre in grado di ascoltare il flusso interno di
suoni e quello esterno, ma privilegiasse quelli esterni in maniera così ideologica,
potremmo dire, da dimenticarsi del suono interno. “Impara ad ascoltarti”, non dice
forse questo la saggezza universale? La saggezza universale da sempre è letterale.
Abbiamo di tanto in tanto la grazia di ascoltare il suono del nostro cuore
appoggiando l’orecchio sul cuscino, o possiamo incontrare il suono delle nostre
onde avvicinando una conchiglia all’orecchio. Perché noi siamo anche musica!
Il cervello, una volta indotto a eliminare gli stimoli esterni, riesce a produrne di
propri. O meglio si accorge di cosa sta producendo, proprio come se cadesse un
velo e si potesse guardare dentro.
Privato non della vista, ma della luce esterna, l’essere umano incontra la propria. La
può guardare.
La privazione degli stimoli sensoriali induce il cervello a modificare la sua attività
bioelettrica. Le onde cerebrali iniziano a spostarsi verso la fase theta e delta, fasi
associate a uno stato semionirico, una fase di grande attenzione interna, simile a
quella che si ottiene in una sessione di meditazione buddista.
Ora, costruire una vasca a deprivazione sensoriale non è opera da bricolage, ma ciò
che tutti possiamo fare è, per incontrare la nostra luce, munirci di una sveglia, di
una benda per gli occhi e di uno spazio buio.
Tu sei luce: sdraiati comodo in uno spazio che puoi oscurare completamente,
copriti comunque gli occhi con una benda, in modo che al nervo ottico arrivi il
messaggio: riposa; assicuro che l’esperienza senza la benda non è altrettanto efficace
perché mantiene l’attenzione all’Esterno.
Anche se la palpebra è chiusa e coperta, mantieni lo sguardo attento, come se
volessi guardare le tue palpebre.
Mantieni la respirazione diaframmatica.
Dopo i primi cinque minuti il Corpo si concede di offrirti le sue immagini,
immagini di Luce che sono in te in ogni istante, ma che le distrazioni visive esterne
non ti permettono di incontrare.
Goditi lo spettacolo della Luce che sei.
Permettiti questo viaggio interno: gli studi del professor Lilly hanno ispirato,
accanto ad altri studi neuroscientifici, la sceneggiatura del celeberrimo film Matrix.
Non è che “Là fuori non c’è niente”. È che “dentro c’è Tutto”.
CAPITOLO IV -
NOMINA SOLO CIÒ CHE ESISTE

La frase da meditare
Inutile farsi distrarre dal momento passato e
dal momento futuro. Ma, soprattutto, inutile farsi
distrarre dal momento presente.
(Nika Goffi)
Il film da scoprire
Forrest Gump
(Robert Zemeckis)
La canzone da ispirare
Il mondo è mio
(Aladdin, Walt Disney)
La via dell’Alf, come tutte le vie che vale la gioia di percorrere, è ricca di possibilità.
Percorrendo l’Alf e facendone esperienza, puoi imparare alcune cose e accorgerti di
altre. Per esempio, puoi scoprire che stare bene è molto semplice, quando ti ricordi
come si fa. Oppure, puoi scoprire che ti sono concesse alcune licenze poetiche, per
così dire, che sono molto diverse da quelle che i Grandi (e che non sono gli adulti,
perché adulti sono solo quei bambini che hanno realizzato i loro sogni e, proprio
per questo, gli adulti si guardano bene dal dire a un bambino quel che deve o non
deve fare) ti hanno insegnato. Infine, puoi scoprire che ogni tuo comportamento
produce un risultato specifico e che, quindi, devi stare molto attento a quel che dici
e a quel che fai. Da quando mi occupo di formazione e crescita personale, e sono
ormai quasi vent’anni, ho verificato che, nella maggior parte dei casi, le persone
preferiscono soluzioni complicate a soluzioni semplici. E poi, capita, le persone
preferiscono soluzioni personali, quando invece le soluzioni dovrebbero essere
universali, altrimenti non funzionano (ma di questo parleremo dopo, con Luciana).
Forse perché, da un lato, quando si usa troppo il cervello è facile lasciarsi sedurre
dalle sue trappole. Una di queste, per l’appunto, è la trappola euristica della
difficoltà, grazie o a causa della quale il cervello associa concetti che non per forza
devono essere associati. Ad esempio, appunto, “grande difficoltà” uguale a
“soluzione difficile”. Da ciò emerge che, di fronte alle difficoltà della vita, la cosa
meno utile che puoi fare è usare il cervello, sforzandoti di applicare la tua
intelligenza scollegata da intuizioni e cuore. E questo è ciò che, probabilmente, ti
hanno insegnato i Grandi, gli stessi stigmatizzati con arguzia dal Piccolo Principe,
quando dice che ai Grandi devi spiegare le cose in modo che le capiscano, citando
numeri e dettagli assolutamente noiosi.
Oppure, e questa è l’ipotesi che mi pare più probabile, forse perché cercando
soluzioni difficili quel che di fatto stai facendo è allontanarti dalla soluzione stessa,
perché risolvere la tua questione significherebbe affrontare cose che è più comodo
lasciare dove stanno. Ma questo ci riporta al principio del discorso, ovvero al tipo di
persona che scegli di essere. Le soluzioni sono sempre facili, sennò non sarebbero
soluzioni. Meno facile è gestire quel che la soluzione comporta, le conseguenze
delle nostre scelte (perché la soluzione, alla fine, è sempre una scelta).
La via dell’Alf è sviluppata sulle fondamenta di sette assiomi. Che, ancora una
volta, non sono né leggi né princìpi di fede né, infine, dogmi assoluti da mandare a
memoria in attesa di poterli recitare al momento opportuno. Sono, semplicemente,
sette cose da fare.
Ed eccoli qua, luminosi e alti nella loro straordinaria semplicità.
1. Nomina solo ciò che esiste.
2. Ringrazia per ciò che non hai.
3. Lamentati per ciò che desideri.
4. Chiedi “perché?” e ti sarà dato.
5. Offri ciò che cerchi.
6. Se non ti ami, ama.
7. Se sei stanco, riposa.
Sono tuoi, a tua disposizione, da usare quando ti senti e nel modo che preferisci.
Sono fungibili: a volte puoi usarne uno, a volte un altro, a volte tutti insieme.
Soprattutto, come dico sempre, qualsiasi cosa tu decida di fare, divertiti mentre lo
fai e assaggia la più dolce delle penitenze: la gioia e la grazia di sapere che sei vivo.
P: Voglio partire dal primo assioma, “Nomina solo ciò che esiste”. Anche per me,
per mestiere e indole, l’uso del linguaggio di precisione è importantissimo. Questo
assioma, perciò, è forse quello che mi ha incuriosito di più fin dal principio. Le
parole influenzano profondamente il cervello di chi le pronuncia e quello di chi
ascolta. E questo comporta una grande responsabilità, perché nella misura in cui ti
rendi conto che ogni cosa che dici produce un particolare effetto, allora la tua
attenzione a quel che dici dev’essere sempre presente, completa, integra. Mi pare
che nella tua affermazione, nel primo assioma, ci sia ben più di un comando, ma
anche un invito alla scelta. È così?
L: È così. “Nomina solo ciò che esiste”, in realtà significa: stai attento perché quello
che nomini, poi esiste. Quindi, il primo assioma, nel suo significato più alto,
implica una scelta: nomina solo ciò che vuoi che esista. In principio fu il Verbo, del
resto. E mica solo dell’universo, anche di ogni nostra azione. Prima di un tuffo – si
diceva in precedenza – c’è la parola “mi tuffo”. Scegli cosa dire, scegli cosa esiste per
te. Non da un punto di vista quantitativo: non puoi cambiare l’altezza del K2. Ma
da un punto di vista qualitativo emozionale, la narrazione è libera. Il tuo punto di
vista è sacro, le tue parole sono sacre. Se io dico «ho avuto un padre alto 2 metri»,
non funziona. Ma se dico che ho avuto il miglior padre del mondo, la scelta
qualitativa è mia. E diventa vero perché così lo nomini. Hai avuto l’infanzia
migliore che tu potessi avere, anche perché è stata l’unica. È molto più congruo alla
realtà dire questo piuttosto che «avrei voluto un’altra infanzia». Avrei voluto
un’altra infanzia è il sonno della ragione. Il senso è che le persone dovrebbero
descrivere la propria vita come un miracolo, partendo dalla perfetta nascita. Lo
stesso Einstein chiedeva: come racconti la tua vita? Come un miracolo? E poi:
quando tu smetterai di dire che sei stato balbuziente e inizierai a parlare solo dei
tuoi miracoli, assomiglierai al Nazareno, che della sua varicella non ha detto mai
niente a nessuno. Questo è un modo di vedere le cose. L’altro modo è attraverso le
storie. Pensa alla meravigliosa storia del Gatto con gli stivali. Il suo povero padrone
rappresenta le nostre pessime idee su noi stessi. Il Gatto dice al suo padrone di
buttarsi in acqua e che, quando passerà il Re, gli dirà che è un principe derubato di
tutto e che in realtà è molto ricco, visto che possiede un gatto parlante con gli
stivali. Il gatto rappresenta il potere della nostra parola. Per questo suggerisco di
evitare di dire al mondo che sei una gazzella, quando il mondo è una gabbia di
leoni. Mai dire al mondo che sei stato una vittima, mai.
Il primo assioma è seguito da un corollario forse ancora più incisivo ed è questo:
Non lo dici perché è vero
Ma
È vero perché lo dici.
P: Di fatto, e questo è un tema per me davvero importante; la scelta linguistica si
traduce in una scelta di vita. Un esempio provocatorio di applicazione di questo
corollario (che è una delle intuizioni più geniali cui io abbia assistito, da praticante
e discente) è il seguente: vuoi avere una vita più serena e felice? Ripeti a oltranza:
«Ho avuto un’infanzia perfetta». A furia di dirlo, diventa vero. È vero perché lo
dici, appunto. Consideriamo il fatto che, a dispetto dell’evidenza che non possiamo
cambiare il passato, tutte le terapie e tutti i percorsi di crescita personale prevedono,
prima o poi, l’accettazione di quel che è stato e il perdono per chi ci ha fatto male.
Con questo assioma, di fatto, semplifichiamo e snelliamo il processo. Giulio Cesare
Giacobbe, illuminato psicologo e autore di libri magnifici, in un recente lavoro
parla di questo e dice: vuoi una vita felice? Procurati un’infanzia felice.
L: Sì, è proprio così. Scegli il tuo mantra «Ho avuto un’infanzia perfetta» e ripetilo.
Nel nostro Multi-verso (Uni-verso è davvero troppo poco!), come ha dimostrato la
fisica quantistica, tutto è contemporaneamente vero. Se accettiamo che c’è del Bello
in ogni Evento, così sarà.
P: Da programmatore neurolinguistico quale sono, ho sempre promosso con
energia questi concetti. Il rilievo che più spesso mi viene mosso con ostilità,
solitamente da chi è abbarbicato alle proprie posizioni per timore di scoprire cosa
c’è al di là del buio, è questo: “Tu ci stai dicendo di raccontarci frottole!”. No. Io ti
sto dicendo di scegliere che cosa raccontarti, perché puoi raccontarti una cosa e
l’altra. E quindi devi essere consapevole che quel che scegli di raccontarti è quel che
poi avrai. La Verità è che passiamo la nostra vita raccontandoci storie: o storie
passate, che non possono ormai essere modificate se non per il modo in cui le
ricordiamo, o storie future, delle quali nulla sappiamo se non che noi ne siamo,
consapevoli o meno, gli artefici. Queste storie che ci raccontiamo influenzano il
modo in cui stiamo, perché se le storie sono piacevoli e divertenti il nostro umore
cambia e diventa utile per prendere decisioni che rendono migliore la nostra vita.
Se le storie sono tristi, invece, influenzano a tal punto il nostro stato emotivo da
pregiudicare scelte virtuose. L’idea molto semplice, dunque, è quella di selezionare
con cura i racconti che ci raccontiamo. E le parole con le quali ce li raccontiamo.
L: Osho, a tal proposito, dice anche: «Se vuoi nominare qualcosa di non buono
fallo privatamente, ma in pubblico – anche in presenza di una sola persona –
nomina solo ciò che è buono». Mi pare una grande idea. Soprattutto, mi pare utile
a ricordare che c’è sempre qualcosa di buono da condividere con qualcuno.
Se entri in una stanza, per quanto a prima impressione nulla sia di tuo gusto, con
un po’ di forza intenzionale puoi cogliere nell’ambiente un particolare, un colore
che ti ricorda che vivi sulla terra della Gioia.
Quante volte abbiamo letto o sentito la frase: “La mente mente”? Eppure non è
curioso, Paolo, che siamo invece più disposti a credere che la mente abbia ragione,
addirittura sappia, quando raccontiamo o interpretiamo qualcosa di non buono
rispetto a quando narriamo qualcosa di delizioso? Come se ci fosse più intelligenza
nella criticità a ogni costo rispetto alla Gioia!
Anche a me capita, quando faccio questi discorsi, che qualcuno obietti: ma allora tu
neghi la sofferenza emozionale sulla terra, tra gli uomini e persino la tua! Io non la
nego affatto, semplicemente penso che non sia la “notizia” di cui parlare.
Semplicemente, scelgo.
Nomina solo ciò che esiste, come tutti gli assiomi Alf, non è solo un invito a
portare nuove abitudini linguistiche (e posturali e respiratorie, come vedremo
dopo) ma è l’osservazione di ciò che ognuno di noi quotidianamente compie nella
sua interazione comunicazionale col mondo e con se stesso. Nominiamo ciò che
“crediamo” esista o che vogliamo credere che esista. E lasciamo fuori tutto un
mondo innominato. Le persone che percepiamo come non-positive, o i cosiddetti
vampiri emotivi, escludono un intero vocabolario della bellezza, della grazia,
dell’estasi e della luce. Per questo invito gli allievi a tenere un diario e fare molta
attenzione alle parole innominate, soprattutto all’inizio di un percorso di
formazione Alf. Perché fuori da un campo d’esistenza rimane tutto ciò a cui non
diamo energia immaginativa e narrativa; che è buona cosa se rimane fuori un
vocabolario Boc, ma non lo è per il nostro benessere se a essere escluso è un
vocabolario Alf!
Mi ricordo che a conclusione di una serata dal tema “Tutto andrà bene”, mi si
avvicinò una signora in evidente stato di sofferenza emotiva, e quindi fisica. In-
curante (non avendone per noi stessi, difficilmente offriamo cura agli altri…) di
quanto detto durante il mio intervento sull’amore da riversare nelle parole
rivolgendoci a un estraneo, cercò di raccontarmi delle sue vicende, assolutamente
non-Alf, per avere consolazione e consiglio. La interruppi con un abbraccio e le
dissi: «Qualcosa mi dice che tu non pronunci mai tre parole: amore, bellezza e
godimento!». E lei rispose: «Beh, per forza: non le ho!». E su questo, Paolo, sul fatto
di quante parole e quindi energie crediamo di possedere e quante no, di quante
crediamo di meritarne e quante no, magari scriveremo un altro libro. Dotata della
mia impaziente pazienza ho continuato: «Queste parole le hai, fammi sentire,
ripetile con me! Allora le hai! Bene: mettile ovunque, ovunque… Dici che fai
l’impiegata; bene, approfittane in ogni situazione: “Uh che godimento questo
caffè!”. “È una bellezza quando le fatture arrivano in tempo”, “ma questa maglietta
è proprio una bellezza…”. Riempi la tua saliva e le tue orecchie di questi suoni, di
queste parole e quindi di queste immagini che ricordano eventi meravigliosi al tuo
corpo». Non aspettare di essere in gioia per diffondere le parole della gioia, nessuno
ha mai detto: se sei nel buio, non puoi raccontare storie di luce.
Ricordo poi una commovente testimonianza di Pjotr Elkunovtz, mio maestro di
Reiki e Riallineamento spirituale che un giorno in aula ci consigliò: quando
incontrate una persona molto sofferente, che sentite sia sprofondata nell’oscurità
per un dolore che non riesce a sciogliere, non ragionate con lei, tenetele la mano,
statele accanto, semplicemente e se crede fatele ripetere la parola “Dio”, uno, cento,
mille volte, piano, e se non crede, fatele ripetere la parola “Luce”, fate ricordare a
ogni cellula del corpo dove trova origine ed energia.
Che ci sia Bellezza in ogni cosa è evidenza indimostrabile: vuol dire non posso
dimostrartelo fino a quando non sei tu a nominarla e la rendi relativa a ogni cosa.
La tua infanzia perfetta è un’evidenza indimostrabile: non posso dimostrartelo fino
a quando tu non cominci a narrarla semplicemente così.
La Luce, quando ti senti al buio, è un’evidenza indimostrabile, fino a quando tu
non cominci deliberatamente, volontariamente a nominarla, a chiamarla. E quindi
a emanarla.
L’Alf è un’evidenza indimostrabile fino a quando chi legge non comincia a
praticarlo.
Lo realizzi con la pratica. Io lo dimostro a te se tu, non io, lo pratichi.
P: Ho una domanda per te. Una domanda che ti faccio perché io, fidandomi di te,
ho cambiato completamente il mio paradigma e, proprio per la fiducia che ripongo
nell’Alf, ho smesso di fare una cosa che non solo credevo fosse l’unica soluzione
possibile, ma che ho insegnato per anni alle altre persone. Il che implica, fra l’altro,
che dovrò vedermela poi con un bel po’ di clienti che hanno letto i miei precedenti
libri o hanno frequentato i miei primi corsi!
La considerazione è questa. Secondo molte tradizioni, ad esempio la medicina
cinese o la psicosomatica, quando sperimenti un’emozione devi esprimerla,
altrimenti resta per così dire all’interno e rischia di indebolire l’organismo. Cioè: se
sono preoccupato, secondo queste filosofie, dovrei parlarne. Oppure, se sono
arrabbiato con qualcuno, dovrei descrivere i motivi della mia rabbia. Ho capito che
devo nominare solo ciò che esiste, o meglio ciò che voglio che esista. Ma nel caso di
questo genere di emozioni che vanno espresse, che cosa faccio? Parlo di altro
ignorandole? O sto zitto addirittura? E se taccio, non corro il rischio di tenermi
dentro tutte queste cose e poi di sviluppare sintomi?
L: La questione grande per l’Alf è: il Corpo. Noi sappiamo davvero parlare di
emozioni o giudichiamo le emozioni di cui parliamo? È profondamente diverso. Mi
spiego: se io, per esempio, parlando di frustrazione o, meglio, credendo di parlare
di ciò che sto fisicamente vivendo, dico: «Non sopporto questa persona quando fa
così!», non sto parlando di ciò che esiste in senso Alf. Non so come stanno i miei
muscoli, il mio collo, i miei piedi, il mio stomaco, eppure, e questo incredibilmente
ci sfugge, sono proprio loro che ci suggeriscono che qualcosa non va bene.
Come “so” che sto, per esempio, provando un senso di colpa? Cosa me lo fa dire?
Nel corpo, intendo. Come respiro, come sento il petto? So parlare di emozioni?
Perché parlare di emozioni è sapere parlare di Corpo.
Noi spesso discutiamo a livello logico – il livello della testa, secondo l’Alf – ciò che
sta avvenendo al livello di piedi, ovvero del corpo in senso stretto.
Se abbiamo intimità, parlo di relazioni di tipo affettivo, con l’interlocutore, parlare
di ciò che esiste, riferendoci a un turbamento emozionale, significa rimanere
saldamente radicati a una descrizione sensoriale, quindi ultra-reale.
«In questo momento sento di non respirare bene… Sento lo stomaco non
rilassato…». Non sto dicendo: rabbia, paura, frustrazione, preoccupazioni. Non sto
classificando, giudicando.
Questa procedura è consigliata anche nella prassi della Psicologia strategica di
Giorgio Nardone. E dalla pratica di Wayne Dyer: l’Emozione rimane segreta fino a
quando non viene descritta strettamente per ciò che è.
Questa pratica è promossa e raccomandata in tanta letteratura per gestire gli
attacchi di panico, per esempio. Quanto stupore negli occhi degli allievi quando
apprendono che un attacco di panico è – anche – una sorta di ignoranza
respiratoria!
Riferendomi alla tua domanda sulla rabbia, l’Alf dice: non nominarla, racconta ciò
che fa. La conosci? Tanto più saprai ascoltare ogni parte di te, tanto più naturale,
nel senso più intimo del termine, ti sembrerà ascoltare gli altri.
Narrare i motivi logici che sostengono le nostre emozioni? Meglio quando si è
sereni, perché è proprio quando siamo emotivamente sereni che possiamo
comprenderle a livello logico.
Quello che succede descrivendo fisicamente cosa ci sta accadendo è che,
nell’immediato, l’emozione, nei suoi effetti biometrici, diminuisce di intensità.
Immediatamente. Più rimango nel descrittivo, più il respiro torna al suo ritmo
naturale, la pressione sanguigna si stabilizza, i muscoli si rilassano. È come se il
corpo stesse dicendo: «Ah ok, sai che sono io che ti parlo. E tu mi ascolti». E il
corpo gratifica sempre lo chi lo ascolta.
Quando qualcuno si rivolge a me riferendomi di questa o quell’emozione, la prima
domanda che propongo è: come lo sai? E anche: fammi vedere, come se la provassi
ora. Da che cosa mi accorgerei, guardandoti, che sei arrabbiata? Adesso raccontami
il tuo corpo, dai piedi alla testa, alla pelle, al respiro. È molto importante saper dire:
«Basta, per favore… Non sto respirando bene… O: non è facile per me dire queste
cose, perché sento un peso sul petto».
Perché questo è ciò che esiste. Ed il Corpo è Verità irraggirabile.
Inizio con questi esercizi i laboratori di gestione del conflitto: chi parla di torto e
ragione è attaccabile, e comunque la sua è una visione parziale della realtà. Ma chi
parla del proprio corpo in una conversazione, diciamo, non facile, narra di una
Verità incontrovertibile.
Se io dico: Non sto respirando bene, l’altro non mi intimerà di farlo meglio! Non
può dirmi: non è vero! Perché ho nominato solo ciò che esiste, ovvero sono uscito
dall’opinabile.
«Non riesco a fargli capire come mi sento!», mi dicono a volte. Ma tu l’hai capito
come ti senti?
E se con l’interlocutore non ho alcuna confidenza, intimità? Anche questo spesso
mi viene chiesto.
Per esempio, durante un intervento di public speaking? Se sono agitata? È con
grande emozione che sono qui con voi, quell’emozione che proprio toglie il respiro
e fa tremare un po’ le gambe… Vi è mai successo? Magari anche un po’ di sudore
sulla fronte... (Per me già tre persone erano folla!). Si impara: si impara a raccontare
solo ciò che esiste.
Evita di nominare paura, imbarazzo, preoccupazione. Parla di corpo. E tutti si
identificano nel corpo. «Ti è mai successo, le è mai successo?». È una domanda che
aiuta a parlare di corpo anche con le persone con le quali non abbiamo un rapporto
di intimità.
È anche un ottimo strumento di pronto soccorso emotivo: aiutare il consultante a
spostare l’attenzione sulla sua realtà fisica, perché è proprio il suo giudizio su ciò
che gli sta accadendo che non gli permette di gestire il suo corpo in allarme. Il
sintomo, secondo l’Alf , è proprio legato a un “ragionamento senza corpo”. Si può
passare una vita intera a parlare del giudizio sulle nostre emozioni, ovvero a
lamentarci, credendo di esprimerle! Abbiamo complicato l’acqua e il pane.
Abbiamo subìto il fascino della recondità. Non abbiamo guardato in
quell’essenziale che possiamo toccare, sentire.
PRATICA ALF: RIEDUCAZIONE VERBALE ALF
Questo esercizio è molto semplice e, al tempo stesso, davvero molto importante. Si
svolge in due modi.
La prima cosa che devi fare riguarda te.
Scrivi cinque parole Alf, ad esempio Grazia (devi usare questo termine al posto
della parola Fortuna che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, non è Alf),
Amore, Bellezza, Meraviglia, Gioia.
Scrivile su un biglietto e tieni il biglietto a portata di mano. Per una settimana,
inserisci queste parole in ogni tipo di discorso: quando parli, quando usi i social,
quando mandi messaggi con il telefono o per mail, abbinandole a esperienze e
oggetti di uso quotidiano.
Per esempio: “Questo caffè è una meraviglia!”, oppure: “Ti rispondo con gioia”.
Puoi usare anche le negazione, perché comunque il corpo, ascoltandole, può
accedere alla loro energia.
Per esempio: “Non è meraviglioso?”. Oppure: “Non mi sento proprio una bellezza,
oggi”.
La seconda cosa che devi fare è la trasformazione in Alf delle parole Boc altrui. Per
farlo, ti basta prendere le parole Boc dei tuoi interlocutori e trasformarle in parole
Alf.
Ricorda che le facce della medaglia sono due, ma il metallo è uno. Dove c’è dolore,
c’è desiderio di gioia. Dove c’è oscurità, c’è desiderio di Luce. Dove c’è contrazione,
c’è desiderio di espansione. E ricorda che c’è sempre un altro modo di vedere le
cose: il tuo compito non è quello di correggere gli altri, ma di aiutarli – attraverso il
tuo modo diverso di vedere le cose – a vederle loro stessi in modo diversi. Se non
c’è un altro modo di vedere le cose, significa che stai dormendo.
Per esempio:
Interlocutore: «È stata una giornata difficile».
Tu: «Mi spiace che tu non abbia avuto una giornata facile».
Interlocutore: «Quelli mi hanno fregato».
Tu: «Immagino che non sia una cosa proprio esaltante…».
Interlocutore: «Quel professore è una carogna e non mi ha nemmeno ascoltato».
Tu: «Non è stato affatto comprensivo e paziente, in effetti».
Interlocutore: «Mi sembra di soffocare!».
Tu: «Ciò che vorresti quindi è sentire un respiro più fluido? Una schiena più
rilassata?».
Interlocutore: «Ho buttato via il mio tempo!».
Tu: «Comprendo profondamente che non riesci ancora a descrivere la tua
esperienza come preziosa per te… Non riesci ancora a vedere in che modo puoi
apprendere qualcosa di nuovo da questa esperienza…».
CAPITOLO V -
RINGRAZIA PER CIÒ CHE NON HAI

La frase da meditare
Tu ringrazi prima dei pasti. Bene. Ma io dico grazie prima del concerto dell’opera,
prima del gioco della commedia; quando apro un libro, disegno, dipingo, nuoto, faccio
scherma e pugilato, cammino, gioco, ballo e dico grazie quando tuffo la penna
nell’inchiostro.
(J.K. Chesterton)
La favola da scoprire
Il gatto con gli stivali
(Giovanni Francesco Straparola,
ripresa da Charles Perrault
e dai fratelli Grimm)
La canzone da ispirare
Vivere
(Cesare Andrea Bixio-Tito Schipa)
Il secondo assioma, parlando di cose che destano l’attenzione e suscitano differenti
reazioni, dice “Ringrazia per ciò che non hai”. Finalmente, dopo anni di legge
dell’attrazione un po’ confusa, ecco qualcosa che mi piace. Molti, infatti, sanno che
grazie alla legge dell’attrazione possono “attirare” a loro la condizione desiderata.
Allo stesso tempo, molte persone usano a modo loro questa legge, cimentandosi
nella ripetizione ossessiva e priva di reale concentrazione di frasi come “voglio
questo” e “voglio quello”. “Voglio il successo!”, oppure “voglio dimagrire!”. Da un
punto di vista strettamente linguistico, frasi come queste rappresentano un errore.
Perché la legge dell’attrazione funziona in modo letterale. Ovvero: se tu continui a
ripetere “voglio il successo”, l’Universo ti fornirà esattamente quel che chiedi, cioè
non il “successo” ma un “voglio il successo”, ovvero la condizione di desiderio che è
alla base della tua affermazione. L’Universo è attento. E letterale, come il cervello
umano, microcosmo fatto a immagine e somiglianza (cerca le foto di una tempesta
di neuroni in un cervello e poi le foto di un sistema stellare, poi dimmi che ne
pensi). L’Universo ti fornisce proprio quello che chiedi.
Il secondo assioma dell’Alf, invece, ti permette di fare un salto di qualità.
Ringraziare per quel che non hai, come potrebbe essere, tornando all’esempio,
“grazie per il successo”, è una magia: dai per scontato di averlo già avuto e metti
l’Universo in condizione di correre ai ripari: se tu ringrazi per il successo, vuol dire
che ce l’hai! (tutto sommato, come puoi notare, è abbastanza semplice giocherellare
con la legge dell’attrazione e scoprire che operare trasformazioni e fare magie è
qualcosa di molto divertente e di molto semplice).
P: Neal Donald Walsh, nel suo bellissimo Conversazioni con Dio, dice: «Non puoi
avere quello che vuoi». Il che sembra demotivante. In realtà è una frase di
illuminazione profonda, che significa: “Puoi avere nel qui e ora solo quel che già
possiedi. E se sei infelice è perché non l’hai voluto profondamente. Che, ripeto,
pare un controsenso a una lettura veloce, ma dice davvero molto più di quel che la
maggior parte delle persone è disposta a comprendere. La comprensione vacilla,
dunque, così come davanti al secondo assioma dell’Alf, ma il cuore sente che è la
strada giusta. Tu cosa mi dici di questo secondo assioma?
L: Ringraziare per ciò che non si ha è l’unico vero “grazie” che possiamo
pronunciare per la gioia di mente, corpo e anima, che nomino distinte per scopi
divulgativi, visto che l’Alf è il linguaggio Unificante Mente, Corpo, Anima e non
distingue fra queste tre dimensioni dell’essere umano. La distinzione tra mente,
corpo e anima è opera esclusiva della mente occidentale, che separa, piuttosto che
unire, che analizza, piuttosto che sintetizzare: Psico-analisi, Analisi transazionale…
analisi, analisi, separazione e ancora analisi.
P: Uffa, insomma. Sempre analisi, eh? Ho sempre creduto che analizzare troppo
distraesse da quel che è la presa di coscienza del meraviglioso momento presente,
per usare le parole del monaco-poeta vietnamita Tich Nath Han.
L: Già. Tornando al nostro secondo assioma, “Ringrazia per quel che non hai”,
voglio sottolineare che la mente è in pace quando non desidera. Desiderare, infatti,
implica che ti manca qualcosa.
Quanto è meravigliosa, invece, la sensazione del “nulla mi manca?”. È la pace dei
pensieri, è guardarsi attorno ed esclamare: «Ho tutto ciò che voglio per essere in
Gioia».
Qui evito di parlare della cultura della mancanza e dell’assenza perché credo che
chiunque legga ora abbia già compreso quanto costino al corpo sacro le parole:
insoddisfazione, senso di vuoto, mancanza. Tutte assolutamente Boc. Voglio però
dire che queste parole indicano sempre e solo ingratitudine.
Alejandro Jodorowsky, che ho avuto l’onore di seguire in alcuni seminari di
psicomagia e psicogenealogia, è molto severo in questo senso e dice: chiunque si
presenti da voi in uno stato di sofferenza è anche in uno stato di ingratitudine. Chi
è grato del proprio respiro, del fatto stesso d’esser vivo, è già sulla via della
guarigione e della gioia.
E ci consigliò un esercizio molto simile al suggerimento datomi da Pjotr
Elkunovitz: «Cominciate a dire Grazie per ogni cosa che vedete attorno a voi, ma
prima ancora che sentite dentro di voi. Non pensate di essere grati, lasciate che la
mente pensi ciò che vuole: voi ditelo e basta».
Ripeti con me (mentre Luciana mi dice queste cose, io prendo appunti e ripeto con lei,
naturalmente, ndr): «Grazie perché respiro, grazie perché ho due occhi, grazie
perché so leggere, grazie vita che son nato. Un tempo di trenta minuti è un tempo
sufficiente per passare da uno stato Boc a uno stato Alf! Trenta minuti!».
P: Quando ti ho sentita parlare la prima volta di queste cose, confesso che il mio
spirito di coach si è sentito, per così dire, provocato. Ho trascorso anni in aula e sui
libri per diventare un coach esperto nell’aiutare persone e aziende a realizzare i loro
obiettivi. Per questo credo che un chiarimento sia indispensabile, per tutti coloro
che ci leggono e ci seguono. Perché altrimenti rischiamo di dividere quando invece
qui vogliamo unire. Avere obiettivi e visioni da raggiungere è naturale e tipico
dell’essere umano. Tutto sommato, se Edison non avesse avuto l’obiettivo di
accendere una lampadina, ora nemmeno potrei scrivere sul mio meraviglioso Mac.
La questione fondante è che le persone hanno molti obiettivi di mezzo e pochi obiettivi
di risultato. E, forse, fanno fatica a comprendere che il modo migliore per ottenere
qualcosa è spostarsi su un piano più alto e ringraziare comunque, come se quella cosa
fosse già nostra. Per questo trovo che l’approccio tradizionale del coaching sia
assolutamente integrabile (che bella parola, integrare!) con l’approccio Alf.
Dobbiamo far capire questo, Luciana. Perché un cliente potrebbe venire da me o
un allievo da te e chiederti: «E se io volessi tanto una cosa, indispensabile per il
raggiungimento dei miei obiettivi?».
L: È giusto. “Ringrazia per ciò che non hai” significa, letteralmente, dire la parola
“Grazie” unita a quel che non ho. Se volessi una casa che ancora non ho, quindi,
dovrei dire: Grazie per la casa con giardino che vedo mia!
La gratitudine si esprime ringraziando la vita come se già possedessi la cosa che
voglio. E questo, molto prima di me e di chiunque pratichi l’arte della gratitudine,
l’ha detto il Nazareno. Prega come se già avessi l’oggetto della tua preghiera. Non
hai la casa dei tuoi sogni? Non hai ancora il lavoro che cerchi? Ringrazia come se
l’avessi e ripetilo tutte le volte che il tuo sogno sembra allontanarsi. Perché la vita, a
chi è grato, una possibilità la offre sempre.
C’è poi un’altra considerazione, ancora più alta, se possibile, delle precedenti: ciò
che ora non hai, non ti serve! Un detto indiano dice: affezionati solo a ciò che puoi
salvare da un naufragio, da una tempesta perfetta. Se è più importante ciò che non
hai di ciò che possiedi otterrai solo sofferenza.
L’Alf definisce ricchezza la soddisfazione per ciò che si possiede e povertà il
desiderio per ciò che non si possiede. Dalla soddisfazione dei bisogni primari (cibo,
acqua, riparo, assistenza medica, istruzione) in su, la ricchezza è una scelta di
gratitudine e la povertà è una scelta di ingratitudine.
L’Occidente non conosce forse il cosiddetto successo economico infelice, ovvero
l’insoddisfazione emozionale in presenza di abbondanza materiale?
Chi si accontenta della sua gratitudine infinita, gode infinitamente.
La gratitudine libera la parola ricchezza dal suo valore strettamente nominale,
numerico, e lo sposta sul piano percettivo, relazionale, con ciò che si possiede.
La gratitudine per ciò che già si possiede rafforza la nostra presenza razionale negli
acquisti: non entreremo “affamati” di cose se siamo pienamente consapevoli di ciò
che possediamo.
La differenza tra accumulatori e collezionisti, per esempio, è proprio nella
gratitudine e nell’amore che si può anche nutrire per un oggetto dotato di storia e
intriso di conoscenza: l’accumulatore si sente povero e non ha cura di ciò che
possiede, il collezionista si sente ricco e ha cura di ciò che possiede.
Ci sono collezioni private e collezioni universali, pubbliche, collettive.
Il comico Steven Wright scrive: «Ho una vasta collezione di conchiglie, che tengo
sparse per le spiagge di tutto il mondo». Quanto è ricco un uomo che può gioire di
questo?
Ringrazia per ciò che non hai è anche: ringrazia per ciò che non sai ancora di aver
avuto, proprio dalle esperienze che ora definisci “non positive”.
Se tutto, ma proprio tutto, è Luce, è probabile che tu non abbia ancora visto la luce
in eventi passati o in situazioni correnti. Una delle mie provocazioni più discusse
dai miei allievi, ma che poi danno gioiosa soddisfazione, è questa: descrivi l’evento
meno bello della tua vita, sì, sì, proprio quello che hai spesso narrato come trauma,
fallimento o perdita. Descrivilo con le parole che vuoi, liberamente, ma aggiungi:
comunque ti ringrazio vita, perché nonostante questo io ho…
Ed elenca almeno dieci insegnamenti e opportunità che l’evento ti ha offerto.
Concediti del tempo sia per descrivere l’evento, sia per elencare i doni.
Non c’è percorso di guarigione, rinascita, salvezza, strada della gioia che non
comporti lo sviluppo di questa intelligenza della gratitudine. Sì: è una vera e
propria intelligenza che caratterizza l’uomo che ha conquistato la luce della
saggezza: trovare un dono in ogni cosa.
Questo farà di te un instancabile cercatore d’oro.
C’è una storiella che mi piace raccontare, quella del papà del Grato e dell’Ingrato
che decide di fare un dono ai figlioli (è la rielaborazione in chiave urbana di
un’antica storiella indiana). Una notte, zitto zitto, questo papà entra nella stanza
del Grato e piazza sotto il suo letto una bella badilata di letame; entra poi nella
stanza dell’Ingrato e sotto il letto mette l’ultimo modello della più bella consolle per
videogame.
Il mattino dopo, il padre entra nella stanza dell’Ingrato. «Che accade, figliolo?»,
chiede. «Non me lo dire papà, guarda questa consolle! Com’è complicata, quante
istruzioni. E poi, non so dove metterla! E tutti questi giochi? Mi ci vorrà
moltissimo tempo solo per usarli tutti!».
Sentendo poi del trambusto nella stanza del Grato, il babbo va a vedere cosa accade
nella camera a fianco: «Che accade, figliolo?». Il Grato risponde: «Sai papà, mi
hanno regalato un bellissimo cavallo, ne son certo: lo sto cercando».
Ecco: il cavallo c’è, magari non proprio a portata di mano, ma c’è, per tutti, anche
se quello che vediamo è solo letame.
P: Io condivido ogni parola che dici. Allo stesso tempo, ti avviso che – come anche
tu sicuramente ben sai – quando parliamo di queste cose e promuoviamo questo
atteggiamento, alcune persone ti tacciano di buonismo a oltranza e criticano questo
approccio alla vita, convinte che abbia a che fare con il far finta di niente, con il
raccontarsi frottole, con il sopportare angherie e sgarbi da chi ci tratta male. Invece,
non è nulla di tutto questo.
L: Attenzione: non si ringrazia per l’evento specifico, né la persona che magari ci ha
offesi profondamente: non è assolutamente per loro il messaggio, non si tratta né di
trasmutare gli eventi né di salvare i carnefici. Non giochiamo a fare i buoni. Si
ringrazia la Vita che offre i suoi doni evolutivi, offre l’opportunità di resurrezione
in vita per mezzo della Gratitudine.
Perché la prima e l’ultima parola del viaggio che si chiama Vita sia, comunque,
Grazie. Questo è l’augurio più alto, l’impegno eroico per eccellenza. È importante
allenarsi con questa domanda di Gary Douglas: «Cosa c’è di meraviglioso che
ancora non riesco a vedere?». Ovvero darsi sempre l’opportunità di una
momentanea “Stupidezza” visiva, limitatezza intellettiva, ignoranza percettiva. La
mente non sempre mente. A volte semplicemente la mente non sa, ancora. Che tutto
andrà bene, e che la storia del “Tutto andrà bene” comincia anche dagli eventi meno
luminosi.
Mi sono ritrovata a dire, con le lacrime agli occhi, e non importa davvero che
racconti perché, a dovermi ripetere, per continuare a respirare: «Non so ancora
perché, ma grazie Vita». Ecco, non so ancora perché ci permette di rimanere
accanto alla mente che proprio non ci sta a vedere Luce, Amore, Grazia, in
momenti altamente impegnativi per il nostro equilibrio emozionale e fisico.
A volte si è grati per le vittorie e le conquiste. Altre volte, si impara a esserlo per tutto il
resto.
TECNICA ALF: ALLENAMENTO ALLA GRATITUDINE
Voglio proporti l’esercizio di cui ti ho parlato prima. Puoi eseguirlo tutte le volte
che vuoi, in relazione a diversi eventi. Considera che, e vale la stessa cosa per tutte
le altre tecniche Alf, tanto più tempo dedichi all’esercizio, tanto prima svilupperai
un nuovo atteggiamento verso la vita.

1. Descrivi, possibilmente con parole Alf, un evento che, al momento, reputi


poco positivo.
2. Dopo la descrizione, scrivi: «Ti ringrazio, vita, perché nonostante questo…» e
aggiungi 10 cose fra insegnamenti appresi dopo l’esperienza che hai descritto
oppure opportunità che hai potuto cogliere. Ti ci vorrà, probabilmente, un
po’ di tempo, le prime volte. Tuttavia, con un po’ di pratica, ti sarà via via più
semplice cogliere nessi e collegamenti, fino a che avrai sviluppato una naturale
attitudine a essere grato per qualsiasi cosa ti accade.
3. Ripeti a voce alta l’elenco che hai scritto. Dopo ogni punto letto, respira
profondamente, e lascia che il tuo cervello si renda conto dell’importanza di
quel che hai detto.
CAPITOLO VI -
LAMENTATI PER CIÒ CHE DESIDERI

La frase da meditare
Hai sempre ottenuto ciò che non hai voluto.
(Luciana Landolfi)
Il film da scoprire
Serendipity
(Peter Chelsom)
La canzone da ispirare
Vattene amore
(Amedeo Minghi)
Vivere felici in un mondo propenso al lamento è, a volte, complesso. C’è un
orientamento diffuso e radicato a notare più le cose negative delle cose positive. Si
tratta di un meccanismo biologico di sopravvivenza, grazie al quale l’uomo delle
caverne poteva evitare tutte le cose potenzialmente pericolose per la sopravvivenza
della specie. Noi uomini del dopo caverna, tuttavia, abbiamo esteso questa
attitudine anche in ambienti e situazioni in cui è inutile. Ti faccio un esempio
molto pratico di questo atteggiamento: se tuo figlio arriva a casa, dopo la scuola,
con un 9 in matematica, un 8 in italiano e un 4 in inglese, se sei come la maggior
parte dei genitori, la tua attenzione sarà immediatamente catturata dal 4. E
chiederai, sempre se fai parte della maggioranza dei genitori: «Come mai hai preso
4?», invece di chiedere qualcosa di più utile e costruttivo: «Come hai fatto a
prendere 9?». È l’abitudine, ma non è detto che tutte le abitudini siano utili o da
conservare. Pensa alla tua vita, del resto: ci sono così tante cose di cui esser grati che
questo libro potrebbe essere interamente dedicato a questo argomento. Potresti e
dovresti esser grato per tutto, sia per piccole cose sia per le cose più grandi. Voglio
dire: respiri, vivi, hai relazioni, cibo e di che vestirti. Tutto sommato ce ne sono di
cose di cui esser profondamente grati e felici. Invece, in questo oceano di bellezza,
tendiamo a focalizzarci su quel che non va, sulla lagna a oltranza, sulla critica di
persone e situazioni. Me ne rendo conto in aula: il lamento è all’ordine del giorno.
E la cosa davvero buffa (e che a molte persone sfugge) è che tanto più ti lamenti per
una determinata situazione, tanto più ne ottieni in abbondanza. La preclara legge
dell’attrazione, di cui abbiamo già parlato e della quale parleremo, non funziona
solo per le cose buone: se continui a nominare e pensare cose spiacevoli, la legge
funziona allo stesso modo. O no?
L: Tutti gli assiomi Alf offrono ai praticanti una presa di coscienza dei super poteri
che ogni giorno utilizziamo e possiamo utilizzare nella comunicazione con noi stessi
e con il prossimo: nella mia esperienza, questo è il super potere che, a differenza
degli altri, ha in sé l’evidenza dimostrabile anche senza quindi essere messo in
pratica.
P: Hai parlato di super potere? Ho capito bene?
L: Sì, è così. Tutti noi abbiamo super poteri insospettabili, solo che raramente ne
siamo consapevoli. E questo di cui ti sto parlando è davvero stupefacente, ed è una
cosa di cui mai hai trovato traccia altrove. Ti è mai capitato di lamentarti per
qualcosa e di ottenerlo?
Per esempio ti è mai capitato di lamentarti perché è lunedì e, guarda caso, il lunedì
ti svegli già demotivato? Ti è mai capitato di lamentarti perché incontri solo
persone di un certo tipo e, guarda caso, incontri prevalentemente proprio quel tipo
di persone? Ti è mai capitato di lamentarti di un tuo atteggiamento, di qualcosa
che definisci “più forte di me” o di un sintomo e, guarda caso, ti ritrovi a doverci
fare costantemente i conti?
Prendi un foglio e verifica subito se possiedi questo straordinario super potere
umano: scrivi tre cose per cui ti lagni nella vita e verifica se, di solito, ottieni ciò di
cui ti lamenti. Può trattarsi di colleghi indisponenti, del traffico, di difficoltà
finanziarie. Poi, fai la stessa cosa pensando a chi ti è vicino, alle loro conversazioni
Boc che animano le giornate. Ad esempio: ci sono persone che si lamentano perché
incontrano sempre persone che poi chiedono loro qualcosa e, inevitabilmente,
trovano poi conferma in questa lamentela, incontrando l’ennesima persona che
chiede. Oppure, persone che si lamentano perché qualsiasi cosa mangiano,
ingrassano, salvo poi ingrassare davvero anche solo respirando aria. Oppure,
persone che si lamentano di essere sfortunate perché, ogni volta che s’innamorano,
vengono lasciate. E che poi, appunto, vengono lasciate dall’amore di turno.
Accetta, accogli e ama questa meravigliosa notizia: otteniamo sempre ciò di cui ci
lamentiamo. Ciò di cui ci lamentiamo è ciò che otteniamo.
Sembra essere proprio una tra le più potenti delle magie, sembra proprio di avere la
lampada di Aladino tra le mani! Quel di cui ti lamenti, l’ottieni!
Quindi, che fare? Rinunciare a questo super potere? Naturalmente, no. Certo, è
pur vero che tutti noi, prima o poi, ci siamo imbattuti in un libro (o in un articolo,
o in un link su Facebook!) relativo alla legge dell’attrazione e tutti noi, dopo, ci
siamo ripromessi di smetterla con lamentele e giudizi negativi sulle altre persone.
Salvo poi rimangiarci la promessa dopo cinque minuti, parlando male di qualcuno,
criticando il post di un amico, commentando negativamente il troppo traffico. Io
non ho mai incontrato nessuno, salvo che in qualche libro mistico, in grado di
astenersi da ogni lagnanza e da ogni giudizio.
P: Mi fai riflettere anche su questo punto. Io, che pure mi occupo di crescita
personale da anni, ammetto di non essere esente dalla tua analisi. So perfettamente
come funziona la legge dell’attrazione e sono consapevole dell’impatto che il
linguaggio, detto o pensato, ha sul cervello di chi ascolta e sul proprio. E
quotidianamente ne parlo in aula. E quotidianamente mi rendo conto di esser
tentato di cadere nel tranello della lamentela. Oggi è il traffico, domani un
partecipante particolarmente turbolento, ieri il politico di turno che ha detto cose
che non condivido. Ho affrontato in vita mia moltissime sfide personali e
professionali e ho raggiunto traguardi davvero formidabili. Ma questo impegno,
quello dell’astensione del lamento, è certamente uno fra i più delicati e richiede
ogni giorno la mia massima attenzione. Sto lavorando sull’astensione dal giudizio
grazie anche agli insegnamenti che ho tratto dalla filosofia buddista. Qui, tu mi
chiedi, invece che praticare l’astensione dal lamento, di usare questa caratteristica
del comportamento umano in modo deliberato. È una provocazione molto audace,
sai?
L: Il terzo assioma nasce proprio da questa considerazione, Paolo. È una
provocazione assolutamente controintuitiva, se vuoi, ma è il mezzo per convertire
energeticamente l’istinto critico innato nell’uomo in qualcosa di più alto e utile: se
proprio non ce la fai (ancora) a evitare qualsiasi espressione di insoddisfazione,
ingratitudine o disappunto, allora fallo con consapevolezza e per una buona causa,
dai sfogo ai tuoi “Basta” interiori e lamentati deliberatamente di ciò che desideri
Profondamente.
Quel che accade agli allievi che cominciano, anche con molta autoironia e
leggerezza, a lamentarsi proprio di ciò di cui sentono la mancanza, ha
dell’indicibile, gli effetti sono talmente straordinari che sono stati proprio i miei
allievi a dirmi: mi sembra di avere un superpotere! Vuoi più amore perché ritieni di
non averne abbastanza? Ripeti, tutte le volte che vuoi: «Basta Amore! Non se ne
può più: È ovunque, ovunque! Ne ho ovunque, ne ho troppo, basta!». Vuoi più
soldi? «Basta ricchezza, basta con tutti questi soldi che continuano ad arrivare! Non
so più dove metterli! Basta, basta, basta! Soldi ovunque, entrate ovunque! Basta!». E
se proprio vuoi lamentarti, lamentati per la Bellezza, per la Gioia, per la Luce. Più ti
lamenti per la loro presenza, più le avrai. È questo il tuo potere.
Lamentati dell’Abbondanza: se ti lamenti per la mancanza di soldi, non ti
sembreranno mai abbastanza, neppure se tu potessi tuffarti in una piscina di
dobloni! Sfida la diffidenza della tua mente che non si accorge che hai l’oro del mondo:
il respiro. Sfidala: menti, e fa’ la cosa giusta.
Gioca con l’inganno della mancanza: superalo, superati. Esce dal Labirinto chi lo
guarda dall’alto. Non è forse dall’alto e solo dall’alto che possiamo riconoscerne la
struttura? La tua percezione è orizzontale, ma la tua creatività è verticale: sali.
Guarda tutto dal punto di vista del Sole: dal suo punto di vista semplicemente
l’oscurità non c’è. Le tue istanze logiche, sostiene Albert Einstein, ti portano da A
fino a B, ma la tua immaginazione può portarti ovunque.
La via del Tao ci insegna che non c’è un verso senza un inverso. Se senti la
mancanza di qualcosa, di amore, stima, considerazione, ricchezza materiale, ma
anche di poesia o di pace, è perché già sai che da qualche parte invece c’è già
l’abbondanza di tutto questo. Lo sai e per questo chiami e chiami e chiami.
E ancora: l’abbondanza di tutto ciò che pensi ti manchi è tale che la mente non
riesce neppure a immaginarla!

TECNICA ALF: LAMENTATI DA PROFESSIONISTA


Questo esercizio è molto semplice. Scrivi, tanto per cominciare, almeno tre cose per
le quali ti lamenti spesso. Può trattarsi del tuo peso corporeo, del traffico, dei soldi.
............................
............................
............................
Ora pensa a quello che vuoi davvero quando ti lamenti. Ad esempio, se il tuo
lamento riguarda il fatto che “non dimagrisci”o che “qualsiasi cosa mangi, ingrassi”,
quello che vuoi potrebbe essere “essere magro” o “mangiare di tutto senza
ingrassare”.
Scrivi adesso, quindi, i lamenti da professionista.
Ad esempio: “Basta dimagrire!”. “Uffa, sono stufo di dimagrire mangiando di tutto,
basta!” e così via. Fa’ lo stesso per ogni tipo di lamento che usi durante la giornata
e… Buon divertimento!
Lamento da professionista 1: ................................................
Lamento da professionista 2: ................................................
Lamento da professionista 3: ................................................
CAPITOLO VII -
CHIEDI “PERCHÉ?” E TI SARÀ DATO

La frase da meditare
La profezia non è la predizione di eventi futuri, ma la comprensione delle strutture
eterne che informano la storia, ripetutamente e su diversi livelli; dai grandi eventi fino
alla quotidianità.
(Francesco Boèr)
Il film da scoprire
Cloud Atlas
(Lana e Andy Wachowski)
La canzone da ispirare
Imagine
(John Lennon)
Il cervello umano, ormai ne studio le caratteristiche comportamentali e di pensiero,
è davvero straordinario. Ti fa ottenere qualsiasi cosa. Ciò di cui parlo spesso in aula,
l’invito che rivolgo a chi mi segue, è relativo, da questo punto di vista, alla libertà di
scelta. Ci sono sicuramente molte cose, nella tua vita, che non puoi scegliere,
perché la vita stessa è un guazzabuglio di energie e situazioni su cui raramente o mai
abbiamo controllo. È una realtà di cui tenere conto, piaccia o meno. Ma c’è una
cosa che puoi scegliere, sempre e comunque. Che tipo di domande porre a te stesso,
partendo dal presupposto che per qualsiasi cosa ti chiederai otterrai una o più
risposte. Invito sempre i miei allievi a riflettere sul fatto che è impossibile evitare di
rispondere alle domande. Anche se uno si impegna, la risposta arriva o, meglio, il
cervello inizia a lavorarci, fino a quando non ottiene la risposta. È un potere
immenso, se ci pensi. Ed è un potere evidente, di cui più volte hai sperimentato
l’efficacia. Eppure, come molte delle cose più utili ed evidenti, è un potere molto
sottovalutato. Inevitabile, per me, anche in questo caso citare Saint-Exupéry e il suo
Piccolo Principe, quando dice che ai grandi le cose bisogna spiegargliele bene, con
molti dati e numeri, perché spesso ai grandi sfugge quel che è essenziale ed
evidente, messo in bella mostra davanti agli occhi. Così è anche per questo
incredibile potere: lo possiedi, lo usi quasi tutti i giorni senza rendertene conto e te
ne sfugge il reale potenziale. Ti è mai capitato di incontrare qualcuno per la strada e
non ricordare il suo nome? Che cosa succede, in questi casi? Che continui a
chiederti “come si chiama?” e che dopo un po’ il cervello conscio smette di
pensarci, salvo fornirti la risposta magari proprio mentre non ci pensi, al risveglio o
sotto la doccia o mentre pratichi sport. Nel coaching, ad esempio, esiste un
modello che sfrutta questa dinamica e garantisce risultati concreti a chi lo applica: è
il metodo delle quattro domande, che la persona dovrebbe porsi ogni giorno per
stimolare il cervello a trovare risposta, anche quando la domanda non è palese. Le
quattro domande sono:

1. Che cosa posso fare di più?


2. Che cosa posso fare di meno?
3. Che cosa posso smettere di fare?
4. Che cosa posso fare di nuovo?

Il quarto assioma dell’Alf parla proprio di questo, del potere che detieni e che
riguarda il linguaggio e la tua capacità di creare la realtà che desideri davvero
attraverso l’uso sapiente delle domande.
P: Luciana, il tuo quarto assioma riguarda le domande che si pongono le persone.
Ho parlato di uso sapiente delle domande, perché in realtà le persone trascorrono la
maggior parte del loro tempo ponendosi domande. Solo che si tratta delle domande
sbagliate! Le persone, per mia esperienza, hanno scarsa o nulla consapevolezza del
potere intrinseco alle domande. E trovo che il tuo assioma, da questo punto di
vista, sia geniale, perché di fatto sfrutta una dinamica già consolidata nel
comportamento umano e la volge, finalmente, a vantaggio di chi la usa.
L: Qualche settimana fa si è rivolta a me un’allieva con questa domanda: «Perché
incontro solo uomini sbagliati per me?».
Ecco, analizziamo questa domanda che pare non contenere alcun comando
paradossale, una domanda che può apparire addirittura ingenua e che è comune a
molte persone che non riescono ad avere una relazione sentimentale soddisfacente.
Ti dirò qualcosa di sconvolgente: l’Universo e l’inconscio concordano a darti solo le
risposte agli enigmi che poni loro, ovvero leggono la domanda come una vera e
propria equazione matematica con un preciso campo d’esistenza. Il campo di
esistenza di questa domanda è: “Incontrare solo uomini sbagliati” (che poi
“sbagliati” è così generico che l’Universo e l’inconscio si sbizzarriranno a fornire
creative risposte!).
Y = (INFINITE RISPOSTE) X
dove
Y = Perché?
X = Domanda (“incontrare uomini sbagliati”)
(INFINITE RISPOSTE) = numero di risposte che la Vita, l’Esistenza, il Karma, il
Destino ti presenteranno per risolvere il tuo Enigma.
La mia risposta all’allieva è stata questa: perché la domanda è sempre corretta,
perché la tua domanda è corretta. Perché la tua domanda è giusta.
Quello che puoi fare, se la vita non ti soddisfa o se ritieni che le cose non vadano
proprio come vuoi, è proseguire per un’esistenza intera con le infinite risposte
psicoanalitiche, psicologiche, introspettive, karmiche, neurologiche, astrologiche
che professionisti e librerie ti offrono, oppure cambiare domanda.
Tanto semplice quanto efficace. Vuoi cambiare vita? Cambia le domande che ti fai.
Tu parlavi, Paolo, di un incredibile potere, ed è proprio così. Ecco che siamo di
fronte a un altro super potere umano: il potere straordinario dei perché!
Perché tutti ce l’hanno con me? Perché capitano tutte a me? Perché gli altri
sembrano non accorgersi di me? Tu vuoi sapere perché? L’energia universale e
l’energia inconscia non mettono minimamente in discussione la qualità della tua
domanda e provano a fornirti le infinite combinazioni di eventi che appartengono
al campo d’esistenza che hai scelto.
Se ti chiedi «perché nessuno mi regala niente?», scorderai immediatamente ogni
singolo compleanno e i gadget allegati a riviste e detersivi e, con una precisione
chirurgica, non solo ricorderai soltanto gesti di ingratitudine, ma quel che più
sorprende è che ne otterrai altri in abbondanza!
La Mente, infatti, non trovando una risposta univoca, continua la sua ricerca fino a
quando la domanda non viene sospesa, messa in ridicolo, oppure sostituita. Solo
che, nel frattempo, tu hai ottenuto talmente tante conferme che la tua vita è stata
inevitabilmente segnata.
Ti metto in guardia: abbandonare una domanda che ha occupato grande spazio
dialettico non è facile, perché l’Ego ci si aggrappa come un naufrago al legno che
galleggia e sente immediatamente che sta perdendo terreno. L’ego si identifica con
le sue domande egoiche!
Le domande egoiche sono tutte riconducibili a questa struttura: Perché a me sì e
agli altri no? Perché agli altri no, e a me sì?
L’Ego separa, identifica, differenzia. Si muove in un quadrilatero di questo tipo: chi
è la vittima? Chi è il carnefice? Chi è il salvatore della vittima? Chi è il salvatore del
carnefice?
La mia allieva, alle risposte che le ho dato, si è scandalizzata e ha abbozzato una
protesta. Certo, avrei potuto agire con maggior tatto, magari applicando principi di
comunicazione persuasiva, ma a dire il vero mi interessava farle prendere atto di
tutte le conferme alle sue domande: comprendere di possedere un super potere è
sempre un buon momento di risveglio delle proprie capacità creative.
Il principio di questo assioma è proprio: riceverai solo le infinite risposte alle
domande che riuscirai a porti su di te, sull’universo. Ludwig Wittgenstein, nostro
grande maestro ispiratore, sostiene: «Non ci saranno enigmi fino a quando ci
saranno enigmi!». Paradosso illuminante! Quando Einstein cominciò a chiedersi:
«Perché tutto è miracoloso? Perché tutto è Energia?», sappiamo benissimo che cosa
successe e a quali mirabolanti illuminazioni giunse la sua mente.
La conoscenza infinita non ha alcuna volontà di celarsi, ma apre questa o quella
porta proprio in base alle domande che le vengono poste.
P: Conoscenza infinita? Di che si tratta?
L: Si dice che la scienza non abbia bisogno di nuove risposte, ma di nuove
domande ed è proprio così.
Dopo tutto l’Alf nasce anche da una semplicissima e, nel mio cuore, sacra
domanda: come parla, come si muove, come respira un essere umano universale in
gioia?
Alla mia allieva ho dunque suggerito di formulare cento volte la domanda: «Perché
incontro solo persone meravigliose?». Ma proprio non ce la faceva; così mi ha detto:
non ce la faccio, come se ci fosse un censore superpotente (la vittima immaginata è
un grande censore) a impedirle di formulare cento-volte-cento la domanda.
Abbiamo mediato con: «Perché in qualsiasi momento posso incontrare persone
meravigliose?».
Dopo un paio di settimane mi riferisce che di uomini interessanti ne aveva
incontrati, ma che non aveva “concluso” con nessuno un incontro, diciamo,
interessante; allora ha pensato di correggere da sola la domanda: «Perché incontro
solo uomini meravigliosi che vogliono uscire con me?».
Nota bene, Paolo, che si possono verbalizzare due assiomi insieme: puoi prima
chiederti «Perché tutto è meraviglia?» e poi lamentarti pure: «Basta meraviglia!».
P: Del resto, questo è quanto accade a molte persone, che prima si ostinano a
chiedere e poi si lamentano per quel che ottengono. Dico spesso ai miei clienti di
stare attenti quando si pongono obiettivi, perché poi li raggiungono.
Utilizzando un linguaggio caro alla Pnl, direi che non ci sono solo le affermazioni o
convinzioni limitanti, ma ci sono anche e soprattutto le domande limitanti, perché
a mio avviso ed esperienza le affermazioni che ci generano sofferenza sono risposte a
domande di sofferenza. Nella Bibbia è scritto: «Voi non avete perché non chiedete.
E se chiedete e non ottenete, è perché chiedete male» (Lettera di Giacomo, 4,1). E,
come sottolinea uno dei miei autori preferiti, Igor Sibaldi: «Tutto il tuo agire
cambia, d’ora in avanti, se tu capovolgi i tuoi perché in modo che guardino verso il
futuro invece che verso il passato».
L: Quando una notizia di cronaca, un evento particolarmente disturbante mi sposta
dal mio centro di gravità Alf, cento, mille volte pronuncio domande che aprono il
cuore e mi guidano in nuove azioni: «Perché sempre più persone scoprono la
solidarietà tra gli uomini?». «Perché non c’è notte che non veda il giorno?». È come
lanciare una grande rete nel mare della realtà e cogliere le manifestazioni della realtà
che in ogni condizione testimoniano di un Uomo Alto e Luminoso.
Oppure, quando ricevo manifestazioni di ingratitudine per quel che faccio e che
potrebbero, nuovamente, spostarmi dal mio centro di gravità Alf, applico la legge
del “Perché?”.
Confucio dice: «Non fare del bene se non sei in grado di reggere l’ingratitudine
altrui». A chi non è successo di assaggiare, come direbbe Maria Rita Parsi, il rancore
paradossale dei beneficati dalle nostre azioni? Quello è il momento, proprio dentro
quella sensazione, è il momento di dire cento-volte-cento: «Perché tutto è
gratitudine e riconoscenza?».
È come una preghiera: sospendo l’indagine, non sta a me recuperare le
informazioni, darmi alcuna risposta; le risposte arrivano esattamente attraverso lo
stesso meccanismo che le fa arrivare con la domanda opposta: Perché tutto è
ingratitudine e irriconoscenza?
È un permanere fluido e aperto e incondizionato nella Domanda.
Anche questa è un’evidenza indimostrabile. È un’evidenza perché
immancabilmente accade in chi pratica di cominciare a ricordare un numero
maggiore di eventi piacevoli piuttosto che spiacevoli; il respiro si stabilizza, la
sensazione di pace nel cuore aumenta. È indimostrabile perché non basta leggere
queste righe per sperimentare la portata di vivere una vita consapevoli che le
domande sono chiavi di conoscenza altissima.
Ma potremmo dire: «Perché tutti, ma proprio tutti i lettori, accoglieranno una
nuova domanda nella loro vita?». Ecco!
P: Io, come sai, in questo percorso che abbiamo intrapreso, continuo a mettermi
nei panni di chi ci legge, dato che ho l’opportunità (Perché è tutto così
meraviglioso?) di confrontarmi ogni giorno con persone cui trasmetto questi e altri
principi. La prima cosa che mi viene in mente di chiederti, al riguardo, è questa:
basta la pratica dei “Perché?”, secondo quanto abbiamo visto ora insieme e secondo
quanto vedremo alla fine del capitolo, per riuscire a vivere una vita ricca, piena e
felice? Come anche tu ovviamente sai, le persone vogliono la strada facile e la
soluzione che miracolosamente cambi la loro vita per sempre e in modo definitivo.
Io propongo il modello di cambiamento in quattro fasi. La prima è la
incompetenza inconscia, ovvero “non so di non sapere”. Sono piccolo e non so che
esiste una cosa chiamata “guidare”. Sono addormentato e non so che esiste una cosa
chiamata Alf.
Poi c’è la fase della incompetenza conscia, ovvero “so di non sapere”. Mio padre mi
spiega che esiste una cosa che si chiama guidare e io mi rendo conto di non saperlo
fare. Tu mi spieghi l’Alf e io capisco che non lo so praticare.
La terza fase è quella della competenza conscia: faccio con consapevolezza. Mi
esercito nella guida, mi esercito con l’Alf, cambio volutamente le domande Boc in
domande Alf. E alla fine, inevitabilmente se mi sono allenato a sufficienza e con
sufficiente amore, arriva la quarta fase, quella della competenza inconscia: faccio e
basta. Guido, e basta. Le domande Boc scompaiono, e basta. Che ne dici, si può
applicare all’Alf?
L: Pur praticando questo assioma e gli altri, stai pur certo, Paolo, che le domande
Boc arriveranno comunque. Di solito sono reattive rispetto a un evento: cade un
bicchiere ed esclamo: «Perché tutte a me?» e, guarda caso, per chi ancora ci crede,
in quella giornata un susseguirsi di eventi non positivi rafforzerà e rinnoverà la
domanda. Lo sai anche tu come funziona, lo sanno tutti. La saggezza popolare è
farcita di modi di dire che riguardano questo susseguirsi di eventi consecutivi e
nefasti. Molte persone rincarano la dose con il famoso “non c’è due senza tre” e
quasi ci restano male se, durante una giornata, capitano solo due eventi negativi
invece di tre!
I “Perché?” Alf sono domande colte; non sono spontanee, sono gesti disciplinati. Le
domande Boc, invece, sono spontanee e indisciplinate. Arrivano.
Tutta la Via dell’Alf ti invita al risveglio, al gesto cosciente e disciplinato: alla scelta.
Per questo la chiamiamo Via.
Rinunci a una spontaneità del movimento verbale Boc, pratichi una disciplina Alf
fino a quando l’Alf diventa gesto verbale innato, spontaneo. Il pianista pare non
fare più alcuna fatica nel coordinare movimenti delle mani e note, eppure prima di
sembrare tutt’uno con la musica quanto esercizio deve fare!
Quindi scelgo deliberatamente, volontariamente, da che parte stare; imparo una
danza, con impegno e ripeto ogni passo per costruire l’armonia. Guarda un
ballerino Sufi, guarda i suoi gesti. Ricordo che durante un viaggio in Turchia ho
potuto assistere a questa manifestazione di bellezza educata. Ero incantata perché
respiravo tutto l’impegno, la fatica, la costanza, la dedizione del ballerino per
arrivare a quel gesto perfetto: quanto amore! Un signore seduto accanto a me sulla
gradinata del piccolo teatro esclamò: «Mah! fa sempre la stessa cosa, gira e gira!».
Ecco, questo te la dice lunga.
In un giardino puoi decidere se dedicare la maggior parte del tuo tempo a strappare
le erbacce o a coltivare il tuoi fiori. L’Alf dice: dedica il tuo tempo da giardiniere
alla semina dei fiori, pianta nuovi germogli, innaffia con cura le piante ornamentali.
E questo mi pare un buon consiglio: dedichiamo un’enorme quantità di tempo alle
correzioni di ciò che crediamo non vada in noi, prestiamo molta attenzione a ciò
che non amiamo negli altri, nelle cose, nel passato; quante volte siamo i cacciatori
di erbacce? Abilissimi cacciatori di erbacce, così intenti a non commettere errori che
diventiamo esperti conoscitori di gramigna e zizzania.
Aumentare la superficie fiorita nella nostra mente, nel dialogo interiore e nelle
relazioni, con domande e affermazioni Alf, molto semplicemente riduce il tempo,
l’attività neurale dedicata ai tentativi di sopprimere le domande e le affermazioni
Boc. Dalla pratica Reiki ho imparato a non preoccuparmi dei pensieri non
desiderabili, delle domande Boc che possono sorgere senza il mio volontario intento
nel mio immaginario: quando arrivano, se arrivano, so che conta di più rispondere
seminando nuove rose.
È straordinariamente importante praticare l’Alf per la Gioia fisica (lo ripeterò
all’infinito: pratica con godimento) che dà, più che per la promessa di non veder
tornare pensieri Boc o di raggiungere una qualche forma di immunità dalle
tentazioni dell’Ombra.
Coltiva le tue Rose e rose e ancora rose.
Quello che comunque posso raccontare del mio vissuto e, pur senza un’evidenza di
carattere scientifico, anche del vissuto dei praticanti Alf, è la sensazione fisica di non
provare più alcun interesse, intellettuale, di speculazione filosofica, psicologico nei
confronti delle domande Boc.
Il grande salto energetico è non ritenerle più… domande intelligenti. Quindi, non
proporle come tali all’interesse dei nostri interlocutori, non sostenerle come
argomento di conversazione.
A chi non capita, di tanto in tanto, di farsi domande sciocche?
E cosa si fa se si comprende quanto sia sciocca la domanda? Si sorride.
Fabrizio de André cantava: «In un vortice di polvere gli altri vedevano siccità, a me
ricordava la gonna di Jenny in un ballo di tanti anni fa».
Vedere la gonna di Jenny, evocarla nella polvere, è una scelta.
Cosa vuol dire? Che sono vere entrambe le cose! È vera la polvere della terra arida
ed è vera la danza. Questa scelta potrà anche non essere compresa da chi ci ascolta,
ma pazienza. Perché tutto è comprensione, del resto? Spesso dico: «Perché tutto è
Amore?», con un sorriso, ma quanti riconoscono la fatica di avere cambiato la
domanda Boc originaria e quindi quanti riconoscono la mia storia personale? Sono
solo quattro parole, che potrebbero essere pronunciate anche da un bambino di due
anni. Quanti possono comprendere la disciplina che incorpora una domanda come
questa, magari esclamata proprio in fila al supermercato, mentre davanti a te due
esseri umani, che dimenticano tutto il loro potenziale luminoso, si insultano
ferocemente per un pacco di surgelati mal disposto sul nastro della cassa? Eppure
quello è il momento, quello è il momento di far danzare la polvere.
TECNICA ALF: LA PRATICA DEI “PERCHÉ?”
La pratica Alf prevede una pratica quotidiana dei “Perché?” Alf che, insisto, non
sono i perché di chi indaga per arrivare a una sola e precisa risposta, ma di chi si
apre incondizionatamente alle infinite possibilità che l’Esistenza ha di rispondere
all’Enigma. Chi pratica il mantra dei “Perché?”Alf gode del fatto stesso di
permanere nel flusso energetico della Domanda. Ne gode fisicamente,
sensorialmente, si affida, naviga in acque immense ma serene; si lascia incantare
dalla fiducia di un perché apertissimo, vastissimo, che supera la storia personale, il
sistema solare, le conoscenze scientifiche, supera il presente, l’intelligenza, il sapere,
la cultura. Entra nel mistero delle cose con la grazia di chi rinuncia al limite della
mente e dell’esperienza, al limite del tempo e dello spazio. I “Perché”Alf sono
personali e il mantra va compilato individualmente. Per ricordarlo consiglio questo
schema alfabetico
ABCDEFGILMNPRSTUV
Ho escluso le lettere che non usiamo frequentemente e che non inseriremmo in un
vocabolario Alf di uso corrente e quotidiano
Il mio mantra (o preghiera) dei perché è questo:
Perché tutto è Amore? Perché tutto è Altezza?
Perché tutto è Bellezza? Perché tutto è Beatitudine?
Perché tutto è Comunione? Perché tutto è Comprensione?
Perché tutto è Divino? Perchéé tutto è Dono?
Perché tutto è Energia? Perché tutto è Entusiasmo?
Perché tutto è Felicità? Perché tutto è Forza?
Perché tutto è Gioia? Perché tutto è Gratitudine?
Perché tutto è Incanto? Perché tutto è Inizio?
Perché tutto è Luce? Perché tutto è Libertà?
Perché tutto è Miracoloso? Perché tutto è Meraviglia?
Perché tutto è Nuovo? Perché tutto è Nascente?
Perché tutto è Prezioso? Perché tutto è Protetto?
Perché tutto è Rinascita? Perché tutto è Risveglio?
Perché tutto è Stupore? Perché tutto è Sapere?
Perché tutto è Tenerezza?
Perché tutto è Unità?
Perché tutto è Vivo?
Il solo pronunciamento di queste parole genera uno stato psicofisico di benessere ed
energia: praticalo e scoprirai anche tu quali e quanti sono i benefici di questa
pratica Alf.
È un esercizio molto bello da fare anche come gioco in gruppo, in famiglia a tavola,
fare a gara a chi trova più parole Alf seguendo un ordine alfabetico. È incredibile
quante parole meravigliose abbiamo dimenticato! Questo schema è lo stesso che
invito a utilizzare per creare (consiglio quaderno e scrittura a mano) un proprio
vocabolario Alf: raccogliere come fiori le parole alte, luminose e fluide,
collezionarle, leggerle, pronunciarle. Regalarle.
CAPITOLO VIII -
OFFRI CIÒ CHE CERCHI

La frase da meditare
Io sono Altezza, io sono Luce, io sono Flusso eterno di energia.
(Luciana Landolfi)
Il film da scoprire
Noi siamo infinito
(Stephen Chbosky)
La canzone da ispirare
Sailing
(Rod Stewart)

Il rabbino Yehuda Berg, autore di bestseller internazionali e grande divulgatore dei


principi della Kabbalah, ha detto: «Non sei ricco perché hai tanti soldi. Hai tanti
soldi perché sei ricco». E io amo profondamente ribaltare le comuni convinzioni, i
pensieri radicati che, di fatto, ci impediscono di crescere veramente e di sviluppare
il potenziale per il quale siamo pronti e per il quale siamo già destinati. Anzi, dico a
gran voce: dobbiamo ribaltare il comune sentire, se davvero vogliamo vivere in
pienezza. È folle e impensabile continuare a insistere con dinamiche e strategie che,
in tutta evidenza, non hanno prodotto alcun risultato apprezzabile. Ho attraversato,
nella mia vita professionale ma anche in quella personale, diverse fasi, per quanto
riguarda l’approccio a questo aspetto. E ho conosciuto davvero tante persone
impantanate (il termine Boc è voluto) nelle solite lamentele che non portano a
nulla. “Nessuno mi ama. Sono povero. La vita è brutta...”. Ecco. Quel che è
importante tu accetti (non dico comprendere, quello può arrivare dopo, se arriva) è
che non riceverai amore fino a che non sarai già amore. Non avrai ricchezza finché
non sarai già ricco. E non avrai bellezza finché non sarai già bello. Cerchiamo
all’esterno quel che è già dentro di noi e che non vediamo, ostinandoci senza
criterio. Qui, capisco, ti si richiede un salto verso l’alto davvero poderoso. Un
balzo, letteralmente, in un’altra dimensione. Perché per l’elevazione spirituale e il
raggiungimento del successo (qualsiasi cosa tu intenda per successo) il viaggio si
percorre tappa dopo tappa. E tutti lo sanno che i viaggi hanno una durata, ma poi
quando si tratta di certe cose come, appunto, ricchezza e amore, pretendono di
poterne beneficiare d’un colpo, come se potessero arrivare premendo il bottone del
telecomando. Come se potessero, invece di viaggiare e godersi il viaggio,
teletrasportarsi d’incanto. E questo, seppur è possibile per quanto riguarda le
qualità dell’anima (puoi sentirti felice in un secondo, se lo vuoi, puoi sentire amore
in un battito d’ali, se lo vuoi), è meno possibile per quanto riguarda le cose
materiali. Di certo, non basta sentirti ricco oggi per vedere moltiplicate le tue
risorse finanziarie sul conto corrente dalla sera alla mattina e non basta renderti
conto che sei amore per trovare davanti all’uscio di casa l’amore della tua vita. La
maggior parte delle obiezioni che ricevo, quando espongo questi concetti, sono
sulla falsariga di queste. In passato mi cimentavo in infinite discussioni, oggi
espongo il mio pensiero con serenità e lascio che la persona, se vuole, intraprenda il
suo viaggio, consapevole del fatto che se la sua idea di legge dell’attrazione è avere
più soldi in banca o un’auto più costosa, il viaggio sarà davvero breve e deludente.
Certo, anche a me piace un conto in banca abbondante e ricco, che mi dia più
serenità e tranquillità. E anche a me piace girare con un’auto comoda e
confortevole. Ma al conto in banca pieno arrivi solo quando capisci di essere già
ricco a prescindere. E all’amore di un compagno o di una compagna premurosa
arrivi solo quando sei pronto a bastare a te stesso, ad amarti talmente tanto che
l’amore degli altri è una perla preziosa che aggiunge ricchezza a un forziere
comunque strabiliante. Ho letto un bellissimo libro illustrato in cui si narra, in
poche pagine attraverso disegni molto intuitivi, la storia di un “pezzo perduto” che
va alla ricerca di una grande “O” che lo possa contenere e che fa di tutto pur di farsi
amare e accettare. E solo quando raggiunge lui stesso la condizione di pienezza, e
smette dunque di essere un “pezzo perduto”, la sua vita cambia. E invece di cercare
qualcuno che possa contenerlo, comincia a vivere la sua vita in modo diverso. La
diretta conseguenza di questo processo è che, essendo tu Amore ed essendo tu
Ricchezza, per tornare agli esempi precedenti, potrai donarne in quantità. E
l’Universo premia l’abbondanza, come sempre. Il che ci riporta alla frase di Berg:
«Non sei ricco perché hai tanti soldi. Hai tanti soldi perché sei ricco».
P: Questo assioma, Luciana, è probabilmente uno dei meno immediati da intuire,
anche se di certo è uno dei più potenti. Concordi?
L: Io sento che questo assioma da solo meriterebbe qualche volume tutto suo, oltre
che per la sua importanza, anche per onorarlo per ciò che mi ha donato e ha donato
ai miei allievi. Posso affermare che ancora non ho la visione di tutto il suo potere
trasformativo.
È a mio avviso l’assioma dell’abbondanza e della conversione energetica Alf, la
svolta esistenziale: provo amore per queste parole e ogni volta che mi soffermo a
pensarci mi commuovo. È davvero potentissimo, Paolo.
Come tutti gli assiomi Alf, anche questo definisce un super potere che noi
possediamo e di cui non siamo pienamente consapevoli. Il super potere è: noi
offriamo sempre quel che cerchiamo, e quel che cerchiamo otteniamo.
È fondamentale, sulla via della Gioia, cambiare le nostre offerte verbali,
energetiche, relazionali e intenzionali. O, quanto meno, avere piena coscienza di ciò
che stiamo offrendo realmente al mondo.
Se un allievo mi dice, per esempio: «Sono molto affranto, non ho la stima e la
considerazione del mio capo ufficio!», io che cosa già so? So che lui per primo non
nutre stima e considerazione per il suo capo ufficio.
C’è un solo modo per ottenere stima e considerazione: offrirle. Questa è la Legge.
Non mi sento ascoltato? Non ascolto. Magari offro tante altre magnifiche
competenze relazionali, ma non questa.
Un essere umano che ama ascoltare gli altri non ti dirà: non mi sento ascoltato.
Mi manca solo ciò che non sto donando. Possiedo tutto ciò che ricevo. Ho solo ciò che
sto offrendo. O, per citare D’Annunzio, «Io ho quel che ho donato». È un auto
smascheramento molto profondo, un auto smascheramento per soli adulti che
intendono mettersi al centro di tutte le loro percezioni; per soli adulti che sanno
che la realtà emozionale ed energetica non esiste se non in termini di riverbero della
nostra intimità emozionale ed energetica.
In questo senso, tale assioma non è per tutti. Fino a quando voglio attribuire agli
altri, al mondo esterno, al flusso del tempo, agli eventi tutti, al caso, alla fortuna
(parola Boc, Grazia e Benedizione sono Alf) la responsabilità e la fonte delle mie
mancanze, spesso espresse come “senso di vuoto”, non sono pronto per mettere in
pratica questo precetto, perché non sono pronto ad accogliere la sua veridicità, la
sua incontrovertibilità energetica.
Mi è capitato anche di ricevere questa riflessione: «Ecco, ora che mi hai presentato
questo assioma, chiederò a Tizio e Caio di offrirmi questo e quello». Non funziona
così. Nessuno degli assiomi può essere preteso da qualcuno verso qualcuno. Così
come accade, del resto, per tutte le Virtù, possono essere solo donate. È un po’
come se io volessi dare una sberla a qualcuno e poi gli chiedessi, magari anche
preventivamente, di porgere l’altra guancia in nome di una obbedienza religiosa!
Oppure, come se gli dicessi: «Tu che sei buono, cerca di capirmi!».
Quindi la prima funzione dell’assioma è una chiave di lettura asciuttissima,
specchiata, in tutti i sensi, delle malinconie, delle assenze, delle insoddisfazioni che
nutro in questo momento. Cosa sento di non ricevere in questo istante, in questo
periodo della mia vita? Rispetto? Fiducia? Ammirazione? Pazienza? Scrivo un elenco
e poi mi chiedo, con la massima onestà intellettuale: a chi sto offrendo tutto
questo? Cosa mi impedisce di offrire subito, ora, nel dialogo con me stesso e con il
mondo tutto ciò che mi aspetto dal mondo? Mi ritengo in grado di offrire ciò che
cerco? Sono pronto a essere… Luce?
Ecco la conversione energetica: rinasco nuovo e offro al mondo ciò che, per
inganno della mente, per inganno dell’ombra, credevo di non possedere. Mi
ricordo di essere Altezza, Luce e Flusso Eterno d’Energia. Mi ricordo di essere Alf.
Mi ricordo che nulla mi manca perché appartengo all’Uno energetico che tutto è.
Offro ciò che cerco: perché è già mio e ne possiedo in abbondanza.
Mi ha contattato qualche giorno fa un’amica dalla Francia che non pratica l’Alf. Mi
scrive: «Ho perduto mia madre da sei mesi, non ho pace, sento il cuore come un
sasso, aiutami!». Le ho chiesto se avesse voglia di mettersi in gioco con il corpo e
con le parole, se avesse voglia di recitare una “strana” preghiera laica. Mi ha scritto:
«Mi fido di te». Le ho brevemente illustrato la posizione di accesso all’Alf, della
quale parleremo dopo, e le ho scritto: «Questa è la tua offerta: “Offro la Gioia della
leggerezza del mio cuore in pace e in amore”. Recita ad alta voce per cinque minuti,
tieni ben in alto le mani e la voce. Scrivimi tra dieci minuti. Offri i doni che
offrirebbero un Re, una Regina».
Quando ho ricevuto la sua risposta ciò che ho letto è la descrizione di ciò che
accade a chi pratica questa esperienza, perché di vera e propria esperienza si tratta,
di riemersione nella naturale abbondanza: uno stato di Grazia, che in alcuni casi
può venire descritto anche come estasi ed euforia.
Una trasformazione energetica. Che più si pratica, più apre ed eleva a livelli di
conoscenza che la mente non può neppure immaginare. Alejandro Jodorowsky
dice: «Chi prega seguendo una credenza è sempre scontento, chi prega offrendo è
sempre contento». E io aggiungerei che è tale da essere sperimentato fisicamente.
The Island è un film che ho visto di recente. In una sequenza, il momento è
concitato, i cloni umani sono in fuga dal laboratorio in cui sono imprigionati, ma
uno dei cloni vuole proprio sapere dallo scienziato che lo sta aiutando nella
conquista della libertà “chi è o cos’è questo Dio che tanto spesso viene nominato
dagli Originali”.
«Hai presente quando desideri qualcosa con tutte le tue forze? E preghi, e chiedi e
implori? Ecco Dio è quello che in questo caso ti ignora!».
Non ti senti bene? Menti alla mente, menti alle percezioni e fa la cosa giusta: alza le
braccia e recita. Offro la Gioia del mio Corpo in Salute. Cento-volte-cento.
P: Ecco la mia provocazione. Ed è una provocazione che, immagino, tante volte ti
avranno posto durante i seminari. Tu dici: offri ciò che cerchi. Io cerco soldi. Come
faccio a offrirne, se non ne ho?
L: Offri ciò che cerchi riguarda anche i beni materiali, come il denaro? Direi
proprio di no: offri ciò che cerchi riguarda la sensazione di non ricevere
emotivamente o energeticamente “qualcosa”, riguarda la sensazione illusoria di
mancanza: pace nel cuore, amore, salute.
L’Alf dice: su questa terra tu sei la Regina, tu sei il Re, comportati da Regina e da
Re. Quindi comportati, ragiona, parla, muoviti nell’abbondanza di ogni cosa.
L’abbondanza è frutto della gratitudine, la sensazione di povertà è figlia
dell’ingratitudine.
Voglio essere molto molto chiara: se sentiamo di aver preso qualcosa che non ci
appartiene, se sentiamo di non aver corrisposto, energeticamente o materialmente
poco importa, a qualcuno ciò che gli era dovuto, se ci sentiamo in debito, è tempo
di restituire. Oppure, ci sentiremo poveri. Chi non può corrispondere a un dono?
Solo chi è povero, povero davvero.
Chi prende, senza chiedere? Un “povero”. Bada bene, intendo un povero dentro.
E l’inconscio sacro non accetterà di essere stato considerato così povero da dover
prendere senza permesso, da non poter contraccambiare almeno con un Grazie.
Se qualcuno che non è in uno stato conclamato di indigenza mi dice di non sentirsi
abbastanza ricco, gli chiedo senza tanti giri di parole: hai mostrato o praticato la
gratitudine a chi ti ha offerto un dono? Hai ringraziato? Hai restituito? Hai
energeticamente “appianato i conti”?
Non è il tuo creditore energetico a chiedere di farlo, si intende, magari non sa
neppure di averti portato giovamento, è il tuo Io Sacro che ti dice: sei così ricco da
poterlo fare. Se non lo fai, perché non lo stai facendo?
Fra chi mi segue, sono celebre anche perché somministro spesso un esercizio che
amo molto: quello del “Grazie” scritto a mano.
Come per tutti gli esercizi che consiglio, l’ho fatto io per prima, proprio in un
momento della mia vita in cui mi sentivo fuori dal campo energetico
dell’abbondanza. Mi sono chiesta: cosa diresti a una persona che bussa alla tua
porta e ti dice di avvertire questa sensazione? Le direi: Svegliati! Ringrazia!
Restituisci! Metti in circolo tu nuova energia!
Non me la son voluta “cavare” con un grazie via sms o simili. Ho chiesto gli
indirizzi di casa a persone di cui avevo solo il contatto sui social che utilizzo, ho
chiesto ad alcuni miei allievi particolarmente stimolanti per la mia ricerca il loro
indirizzo di casa e ho cominciato a scrivere bigliettini con scritto: ecco il mio grazie
scritto a mano. L’ho decorato con glitter e pennarelli colorati.
Ho dedicato del tempo, perché è il tempo il grazie più grande.
L’ho mandato anche ai miei genitori. Alla mia vicina di casa che ha sempre un
sorriso. Il risultato? Lacrime di commozione per tutti. Una nuova ricchezza per
tutti. Offri ciò che cerchi, più che al denaro è dedicato alla ricchezza.
Se vuoi sentirti più ricco, comportati da ricco.
Un “Grazie” scritto a mano con tanto di francobollo costa un euro, più una risorsa
non quantificabile: cinque minuti della nostra vita. Roba da miliardari.
CAPITOLO IX -
SE NON TI AMI, AMA

La frase da meditare
Camminare, parlare, lavorare, giocare:
tutto ciò che facciamo è già un rituale d’amore.
(Don Miguel Ruiz)
Il film da scoprire
La marcia dei pinguini
(Luc Jacquet)
La canzone da ispirare
Metti in circolo il tuo amore
(Luciano Ligabue)
Se non ti ami, ama.
Se non ti amano, ama.
Se non vedi amore, ama.
Se non sai cosa sia l’amore, ama.
Se parli, ama.
Se scrivi, ama.
Se cammini se cucini se guidi, ama.
Se leggi, ama.
Se respiri, ama.
Nessun ritardo, nessuna assenza, ha mai conosciuto l’amore.
(Luciana Landolfi)
Uno dei principi secondo me più fraintesi dei Testi Sacri è “Ama il prossimo tuo
come te stesso”, un vero e proprio invito all’egoismo scambiato per esortazione
altruistica, cosa che – linguisticamente parlando – non è. La frase, infatti, contiene
la presupposizione “come”: ama il prossimo tuo come te stesso. Il che implica che tu
debba pur avere un termine di paragone: come te stesso. Significa, letteralmente, che
prima di amare gli altri devi amare te stesso, altrimenti non sapresti come si fa. In
più è un comando ambiguo, perché nella parola Amore possiamo mettere un
milione di significati. E l’idea di Amore varia da persona a persona. La questione
dell’Amore è una delle più importanti e, sebbene parlare di Amore paia ai più cosa
semplice, in realtà non lo è. Ci sono persone che, parlando dell’Amore, pensano in
termini di “o”. O amo me, o gli altri. E quindi, se amo me devo per forza amare
meno gli altri, o non amarli affatto. È una scelta forzata e soprattutto è una scelta
che porta al nulla, perché in un modo o (appunto) nell’altro si tradisce l’essenza
stessa dell’Amore che è senza principio e senza fine e che può essere tutto tranne
che una torta da dividere, che uno ne mangia una fetta ne resta meno per gli altri.
Questa concezione così materialistica e bassa (se amo me stesso devo togliere amore
agli altri) è probabilmente frutto di cattiva educazione, oppure è l’escamotage di
qualche persuasore sadico che, per manipolare la propria vittima, nella notte dei
tempi s’è inventato la storiella per cui va bene se stai male, visto che in fin dei conti
stai facendo tanto per gli altri. La tua sofferenza, avrà detto questo manipolatore di
menti, è cosa gradita al mondo e a Dio, perché dimostra che ti stai dedicando ai
tuoi fratelli. Sono frottole. Progettate e pensate, per l’appunto, per lenire le piaghe
dell’anima di persone sofferenti. Per come la vedo io, l’Amore non è una parola, ma
un processo. È qualcosa che succede fra due parti e, attenzione, è qualcosa che deve
portare vantaggio a entrambe queste parti, altrimenti può essere un sacco di cose
ma, di certo, non amore. L’Amore, contrariamente a quanto alcuni ci fan pensare,
non è una torta al cioccolato per cui se ne mangi un po’ ne resta di meno: è una
condizione premiante sia per chi lo offre sia per chi lo riceve. Se la parte che lo offre
(o dice di offrirlo) ne risulta danneggiata in qualche modo, allora semplicemente
non è amore. Perché chi offre Amore vero ne risulta inevitabilmente arricchito, così
come chi lo riceve, gli piaccia o meno. Se davvero l’Amore fosse una torta, allora
sarebbe una torta ben magica, che più ne mangi e più ce n’è da mangiare.
P: “Se non ti ami, ama”, dice questo assioma dell’Alf. Come tutti gli assiomi, sento
che contiene una grandissima Verità, pur non comprendendola subito e con
chiarezza. Come è giusto che sia, del resto. Le grandi Verità non si possono
comprendere con la testa, altrimenti non sarebbero nemmeno grandi Verità.
Devono arrivare direttamente al cuore e fargli saltare almeno un battito, devono
fare sbattere gli occhi un po’ più rapidamente e, soprattutto, lasciarti la bocca
aperta come per dire qualcosa, senza che poi tu riesca a dire niente. La prima cosa
che mi viene in mente, comunque, è questa: molte persone pretendono o cercano
amore, senza sapere esattamente di cosa si tratti, perché trascurano se stessi,
tradiscono il loro io profondo, qualsiasi cosa sia. E quindi, non amandosi, non
riescono nemmeno a ottenere amore dagli altri. D’altro canto, se non sei capace ad
amarti, non è così semplice. E allora come si fa? Si amano gli altri. Si ama tutto
quello che è fuori. Ma si ama davvero, senza limiti e senza monete di scambio. È
così? È di questo che parla l’assioma?
L: “Se non ti ami, ama”.
Se non ti ami ama, se non ti amano ama. Insomma, ama. Ama fuori per amare poi
dentro.
La via dell’Alf ha come profondo obiettivo quello di creare gioia e Luce quando
non sentiamo Gioia e Luce.
La Via dell’Alf invita a uscire da una condizione Boc attraverso l’esercizio
volontario della trasformazione creativa; paradossalmente posso affermare che l’Alf
non è utile nei momenti Alf!
Nei momenti Alf non abbiamo bisogno di alcun consiglio: chi direbbe «ridi» a chi
sta già ridendo, oppure «gioisci» a chi sta cantando e ballando? Chi direbbe «ama» a
chi sta già amando? Chi consiglierebbe tecniche per rilassarsi a una persona
rilassata?
Quali sono i comandi bloccanti (Boc) in cui si spesso ci chiudiamo?
Il primo: l’amore è un particolare tipo di emozione nei confronti degli “altri”.
Il secondo: se non mi amo, non posso amare nessuno.
Molte persone smettono di amare gli altri o rinunciano a farlo perché non si
amano, o dicono di non amarsi. Ecco una scusa davvero limitante. Io dico, l’Alf
dice: ama a prescindere. Non ti ami? Ama lo stesso.
Come posso affermare che chi non si ama, di fatto non ama? Ora, senza arrivare a
citare martiri ed eroi che antepongono il bene collettivo all’interesse personale,
potremmo dire che la mamma che non dedica neppure un minuto a se stessa, alla
sua gioia, ma che, e non mi importa per un eccesso di modestia o altro, si offre alla
sua famiglia, potremmo veramente dire che non ama?
Chi lo direbbe poi? Uno psicologo, un filosofo, un osservatore esterno? Chi? Non
certo i membri della sua famiglia.
Che ne è di tutte le persone che si sono “messe da parte” per dedicare tutte le
proprie risorse all’accudimento di qualcuno che non poteva, fisicamente o
psicologicamente, cavarsela da solo?
L’Amore non è (solo) qualcosa che si sente, e ben vengano i momenti in cui
veniamo travolti da sentimenti amorosi. L’amore, essendo indefinibile, si salva
nell’azione: l’amore è qualcosa che si fa.
È l’insieme di azioni che decidi di mettere in Atto, indipendentemente dalla
emozione del momento.
Non abbiamo scuse, non abbiamo nascondigli, non abbiamo scorciatoie: siamo qui
per rendere agli altri la vita più facile. Questo mi pare un buon modo di porsi la
domanda: sto amando, sto rendendo a qualcuno la vita più facile, leggera, gioiosa?
Cosa sono disposto a fare per rendere la vita più luminosa a me stesso e agli altri?
Da che cosa mi accorgerei che ci sto riuscendo?
Tu pensi che io mi adori oltre ogni ragionevole dubbio, che esista veramente un
essere umano che si sente Il Perfetto? No, non esiste. Ma che questo non amarci
completamente e incondizionatamente, non diventi un rifugio per non compiere
atti di “alleggerimento esistenziale” per gli altri.
Questo è il senso profondo di un essere sociale, anche nel mondo animale: rendere
la vita degli altri membri del gruppo più leggera, facile e sicura.
Ognuno con le proprie competenze, inclinazioni, conoscenze, ma se semplifichi la
vita agli altri, perché fai un buon pane, perché rispetti i tempi di consegna di un
pacco, perché mantieni la parola data, perché costruisci una navicella spaziale,
perché diffondi l’Alf, perché non porti un muso lungo in ufficio, perché non usi gli
altri come cestini per le tue frustrazioni, perché hai un rispetto sacro del tempo
degli altri… Quanti miliardi di modi ci sono per portare verso l’Alto, sollevare, la
vita degli altri? Se sollevi, se aiuti nell’ascesa energetica chi ti sta accanto, ecco stai
amando, libero da tutti i sentito dire dell’amore.
Parafrasando Blaise Pascal («Prega e la fede arriverà da sola»), potremmo dire: «Tu
ama, fa’ tutte le cose che secondo te sono l’espressione di un sentimento di
partecipazione anche se ancora non l’hai e vedrai che l’amore arriverà».
P: Ho capito. Questo assioma, di fatto, è la chiave di volta per tutte quelle persone
che hanno poco amore per se stesse. È un cambio di paradigma. Se non ti ami, e te
ne rendi conto perché senti di non fare abbastanza per te stesso, hai due possibilità.
La prima, è quella di ragionare sulla situazione e di lamentarti (non certo da
professionista!), di continuare a starci male e di sperare che, prima o poi, tu possa
trovare la forza da qualche parte per dedicarti, finalmente, a te stesso. Farai corsi,
leggerai libri, riceverai pacche sulle spalle. Ma non otterrai granché, perché si tratta
di ammonimenti che dai a te stesso, di speculazioni fini a se stesse, di
automotivazione basata sull’essere. “Io sono bravo, io sono bello, io sono meritevole
di amore”. L’essere, così inteso, serve davvero a pochissimo. La seconda soluzione è
quella di fare. Fare qualcosa, oso dire qualsiasi cosa, che rechi amore intorno. Come
dici tu: un sorriso per migliorare l’umore del collega, un gesto anche piccolo che
renda più bella la giornata di qualcuno che ami, la condivisione di un post che
porti energia e speranza a chi ti legge. Fare l’amore, ecco la risposta. Fare l’amore,
in tutti i modi che puoi sognare e immaginare, e anche di più.
L: Sì, Paolo, ecco l’essenza di questo assioma. È ora di smetterla con le speculazioni
ed è ora di passare all’azione, di muovere questa realtà, di scuotere quel che ci
circonda. La Natura stessa ci dice che è così. Pensa alla sequenza di Fibonacci che
descrive numericamente la Bellezza e l’Armonia.
Il numero da cui partire è lo Zero. Lo Zero è immobile, in attesa di una spinta
direzionale. Per fare diventare Uno quello Zero, ci vuole la tua intenzione priva di
emozione. Un atto d’amore assoluto è un atto incredibilmente neutro
emotivamente: e più è neutro emotivamente, più è adulto, cosciente: Altissimo.
Scriverlo non è facile per me, perché è qualcosa che solitamente dimostro ai miei
allievi dopo pochissime parole di introduzione: è il celeberrimo esercizio per noi
formatori che consiste nel mettere due persone che non si conoscono una di fronte
all’altra e chiedere loro di sorridere Forzatamente (lo Zero di Fibonacci) e vedere,
ma soprattutto sentire, quante risate dopo cinque minuti.
Attivare il meccanismo che produce amore è un atto volontario e cosciente. Come
tutti gli atti Alf. È un Gesto d’amore. Ecco perché si chiama così. Ed è un gesto che
devi fare a prescindere. Così come puoi entrare in Gioia senza l’allegria, puoi
entrare in Amore senza amarti, indipendentemente dallo stato emotivo Boc.
Un grande meraviglioso diritto all’incongruenza, non con gli altri s’intenda, ma
con lo stato emotivo di sofferenza!
Ci sono emozioni Alf (che capitano, magari complici una lettura, una gita al mare)
e atti coscienti Alf: è un Eroe chi sorride per primo, senza alcuna spinta emotiva al
sorriso, quando diremmo in gergo, non è in Alf, ma con la convinzione sapiente che
questo porterà beneficio a tutti.
È un eroe chi non si ama e ama per primo. Chi non è amato e ama per primo.
Ma non è uno sprovveduto: sa che questo è il segreto per accedere all’Amore più
grande.
Se ti ami, meglio, ma se non ti ami ama lo stesso.
Se ti amano, meglio! Ma se non ti amano, ama lo stesso.
Sei qui, sulla Terra, proprio per questo.
P: E se io amo e gli altri comunque non mi amano, Luciana? Quanto devo
aspettare?
L: Ma se non mi sento amato posso amare? Cosa significa “non mi sento amata”,
“non mi sento amato”?
Cambiare credenze culturali sull’amore non è facile, convengo, soprattutto se siamo
stati cresciuti con una educazione che prevedeva un corrispettivo affettivo alla
nostra obbedienza, alla nostra congruenza con le aspettative genitoriali e sociali:
«Fa’ questo che la mamma poi ti vuole bene!». Oppure: «Ecco, sei stato bravo, ti
meriti un abbraccio da papà!». Anche se queste espressioni non sono state
pronunciate, il bambino è in grado di decodificare atteggiamenti e sguardi, che
prevedono un Amore condizionato.
Potremmo lavorare energeticamente una vita intera per liberarci dal doppio legame
per cui l’Amore è collegato a qualcosa che faccio o dico o non faccio o non dico in
congruenza alle aspettative degli Altri. Ma ne varrà la gioia, credimi.
L’Amore è per sua stessa natura incondizionato.
C’è un impegno, una coscienza Alf più Alta? No.
Il bambino che cresce con la convinzione che i “buoni” ricevono amore e i “cattivi”
no, viene nutrito con energie che lo allontanano dal suo sé più profondo: Io sono
Altezza, io sono Luce, io sono Flusso eterno d’Energia; come il Sole io nasco che
sono Già amore.
L’Alf ti dice: impara per dimenticanza. Ricordi? Sei nato Perfetto Amore.
Cadi? Sei amore. Vinci? Sei amore. Urli? Sei amore. Ti arrabbi? Perdoni? Sei
amore.
Confucio dice, e ne abbiamo già parlato: non metterti sulla strada dell’amore se
non ti aspetti ingratitudine. Cosa vuole dirci profondamente? Che se ti aspetti un
corrispettivo al tuo amore, allora riceverai ingratitudine.
Chi non si sente amato parla con il suo Bambino arrabbiato che ancora grida:
perché non mi ami semplicemente perché io sono io?
Il carisma più alto e più lucente è quello dell’Uomo che sa, si ricorda, che è tutto
fatto d’amore e agisce di conseguenza: ha il coraggio di esprimere la libertà delle sue
idee, sorride per primo, è cosciente delle debolezze degli esseri umani, ma non le
usa come leve di forza per il proprio vantaggio.
Sogna e vede tutti già più in Alto di così.
Ama per primo. E si sente amato perché ama per primo.
Ho molto pudore nel dire che potremmo vivere una Vita intera senza conoscere
l’amore incondizionato, senza ricordare che la Vita ci ha messi al mondo già con
questa benedizione. Potremmo vivere una Vita intera aspettando un premio che
avevamo già tra le mani, con l’illusione più oscura: l’amore lo devo guadagnare.
Per conoscere l’amore incondizionato, comincia ad agire in amore
incondizionatamente.
Niente performance, niente obiettivi, niente misurazioni: proprio quando ti senti
meno amato, con forza titanica compi un gesto d’amore. Gratuito!
È per tutti? Non ho risposta. Certo è necessario dire addio al bambino
arrabbiatissimo. Rinascere Bambino Sacro.
Quindi quando qualcuno mi dice che non si sente amato, come consiglia Paulo
Coelho, ascolta cento-volte-cento la prima lettera di San Paolo ai Corinzi. L’Amore
è ciò che Fai quando ti ricordi ciò che Sei.
Se anche tu compissi mille atti di beneficenza aspettandoti qualcosa in cambio, non
hai ricordato che l’Amore è la possibilità di donarli.
Non è l’Onda che torna, non è aspettare la rondine che torna.
È l’onda che Va, la rondine che Parte. Questa è la sequenza.
Offro tutto l’Amore che cerco. Tutto l’amore che offro, sono.
La conversione energetica Alf accade quando si decide di amare senza alcun
riverbero esterno: quando si diviene fonte, quando si risveglia completamente la
memoria solare.
TECNICA ALF: CENTO GESTI CONCRETI CHE IO CHIAMO AMORE
Cosa ti farebbe dire che tu stai compiendo un gesto d’amore per gli altri? Qual è il
più piccolo gesto che tu puoi fare ora, immediatamente, che ti farebbe dire che stai
amando?
Trova 100 cose che tu identifichi come gesti d’amore. Anche piccoli, che hai già
fatto o che hai immaginato, o che hai visto fare: la cosa importante è che non siano
gesti astratti. Ricorda che ogni astrazione sulla parola amore ci ha portato lontani
dall’amore.
Ad esempio: lasciare un caffè pagato, aprire la porta a una signora anziana, passare
la penna rossa a un compagno di classe.
Fai questo elenco e scrivilo, qui o su un quaderno.
Ogni giorno, fanne una o più.
E se accetti la sfida: falle tutte e cento in un giorno! Se ti sembra tanto, renditi
conto che i gesti di non amore, in un giorno, sono molti di più.
Elenco:
............................................................................................
............................................................................................
............................................................................................
............................................................................................
............................................................................................
............................................................................................
............................................................................................
............................................................................................
CAPITOLO X -
SE SEI STANCO, RIPOSA

La frase da meditare
E il settimo giorno, Dio compì l’opera che aveva fatto e si riposò.
(Genesi)
Il film da scoprire
Sette anni in Tibet
(Jean-Jacques Annaud)
La canzone da ispirare
L’emozione non ha voce
(Mogol, Bella, Celentano)
Viviamo in un mondo nel quale andare a lavorare con la febbre alta è considerato
gesto di eroismo. Dove è premiato il non arrendersi mai, che è pur cosa buona se
sai distinguere fra ostinazione e determinazione. E se sai renderti conto che la
maggior parte delle volte sei ostinato, nient’altro. Viviamo nel mondo degli
integratori energetici a tutti i costi, dove le sostanze per vincere la stanchezza sono
più ricercate dell’oro e dove l’idea di non riposarsi mai, per molti, è considerata una
virtù. Mi piace usare la metafora dello smartphone. Quando sei stanco è come
quando il tuo smartphone è in riserva di batteria. La cosa più intelligente da fare,
parlando del telefono, sarebbe quella di metterlo in carica, magari spegnendolo del
tutto così si ricarica prima. Idem dovremmo fare noi: se siamo stanchi, dovremmo
metterci in carica. Invece, proliferano aggeggi che servono a prolungare la carica,
batterie di riserva e dispositivi d’emergenza per quei cinque minuti benedetti di
cellulare in più. Lo so che in alcuni casi potrebbe essere utile avere una batteria di
riserva: magari sperduto nel deserto, senza viveri o acqua, l’ultima chiamata
potrebbe salvarti la vita. Ma la Verità è che non è così: la maggior parte delle volte,
semplicemente, usiamo il telefono senza criterio, perché “tanto c’è la batteria di
riserva”. Ora: se so di dover fare una telefonata importante o se immagino che il
telefono in serata potrebbe servirmi, posso anche decidere di usarlo con maggior
attenzione e cura. È una possibilità, una scelta. Con il corpo umano facciamo lo
stesso: tiriamo fino al limite, tanto poi abbiamo bevande e integratori per tenerci
su. In questi ultimi anni, il business delle bevande energetiche che danno la carica è
salito in modo vertiginoso e io non lo considero un buon segno. Anni fa ho scritto
un saggio sulla medicina cinese e ricordo bene che quando ne esponevo i contenuti
durante i corsi e le conferenze, l’argomento più controverso, e forse più
controintuitivo, visto il tipo di educazione che riceviamo qui in Occidente al
riguardo, era ben appunto quello riguardante l’energia dei reni. Tale energia
determina il nostro livello di energia percepito, è una sorta di termometro che ci
dice quando dovremmo fermarci, riposarci e, se serve, fare marcia indietro. Cosa
non semplice, visto che sin da piccoli siamo educati a finire quel che abbiamo
iniziato, a rispettare la parola data, a portare a termine il corso di nuoto anche se
non ci piace “perché ormai abbiamo pagato”. Essere stanchi, poter cambiare idea,
rinunciare in corso d’opera, sono condizioni che la maggior parte delle persone, in
Occidente, valuta disonorevoli o comunque indegne di ammirazione.
Promuoviamo l’idea di andare avanti a ogni costo.
Nel Coaching, ad esempio, solo raramente è promossa l’idea della contemplazione
dei propri risultati. Quando lavoro con persone o aziende per la realizzazione dei
loro obiettivi, stabilisco sempre con i clienti momenti di pausa, dedicati alla presa
di coscienza del lavoro svolto e dei risultati raggiunti. Divido l’obiettivo in tanti
obiettivi piccoli e, al raggiungimento di ognuno di questi, faccio in modo che chi
ha partecipato al processo possa rendersi conto di quanto fatto e goderne i frutti. E
se l’obiettivo non prevede, per sua natura, un vantaggio direttamente collegato al
suo raggiungimento, faccio in modo che le persone stabiliscano il loro premio, la
coccola meritata dopo tanta fatica. Ecco: sono convinto, e parlo da Executive
Coach (il nome la dice tutta!) che le coccole e il meritato riposo siano uno degli
ingredienti più importanti per il proprio successo personale e professionale. È falsa
e potenzialmente molto dannosa l’idea dell’andare avanti a oltranza, del resistere,
dello stringere i denti. Può funzionare una volta tanto, in casi specifici e rari. Per il
resto è falsa propaganda. È la legge del Tao, la legge di Madre Natura.
Recuperiamo questo e abbandoniamo il falso mito dell’eroe che non si stanca mai,
non dorme mai, non sente mai dolore. L’Eroe, quello vero, si stanca, dorme e
riposa. Anzi, forse lo fa più degli altri. Per questo è un Eroe vero.
L: Il buon senso collettivo, per quanto riguarda il benessere, ci dice che si dovrebbe
bere quando non si è così assetati da doverlo fare obbligatoriamente, si dovrebbe
mangiare quando non si è così affamati e riposare quando non si è così stanchi. Si
dovrebbe cioè evitare di acutizzare cronicamente, concedimi l’ossimoro, questi
bisogni primari dell’Uomo.
Si dovrebbero conoscere e anticipare le esigenze del nostro corpo in assoluta
autonomia. Si dovrebbe conoscere il corpo prima che ce lo faccia conoscere un
sintomo. O un medico.
Come puoi intendere questo è il primo e anche unico assioma che non gioca sullo
spiazzamento logico, perché non si può raggirare il Corpo Sacro che chiede di
fermarsi mentre sta percorrendo una direzione non in linea con le sue esigenze
profonde.
Questa è la Legge. La Legge che ti dice: non sei sulla strada della Gioia.
P: In effetti, quest’assioma non contiene uno spiazzamento logico pari agli altri.
Eppure, come riflettevo prima, uno spiazzamento lo contiene. Non logico, ma
educativo. Questo assioma, per quel che riguarda noi occidentali, contiene
un’informazione oserei dire eretica rispetto al dogma che riceviamo sin da piccoli,
salvo rari e fortunati casi.
L: È così. Persino la nostra idea di stanchezza è spesso fuorviata dalla
comunicazione ufficiale. Ci parlano di carenza di vitamine per motivare la nostra
stanchezza, quando il vero motivo è ben altro. Se sei stanco o stai facendo qualcosa
che non ti piace o non stai facendo qualcosa che ti piace. È molto semplice.
Restituire dignità sapienziale al corpo è compito primario della pratica Alf,
accogliere i suoi segnali sacri e la sua incontrovertibile Verità. Del Corpo ti parlerò
più a lungo dopo. Per ora è essenziale che tu comprenda questo: se sei stanco,
fermati. Ascoltati, chiediti: perché non incarno la legge spirituale del minimo sforzo
percepito che mi promette l’amore? Sto facendo ciò che amo? Quella che sto
percorrendo è la mia direzione?
Sta attento, perché o decidi di fermarti tu, o sarà il corpo che troverà il modo per
fermarti: depressione, nevralgie, sciatalgie e chi più ne ha più ne metta. Evito di
nominare altri sintomi perché userei troppe parole Boc ma so che tu, Paolo, anche
grazie ai tuoi studi sulla psicosomatica e sulla legge dei cinque elementi della
medicina cinese, sei ben ferrato sull’argomento.
P: Infatti, Luciana, ho sempre trovato assai riduttivo attribuire la responsabilità dei
nostri acciacchi o malanni alla sfortuna, al cibo o ai germi. Basti pensare, in modo
intuitivo, che se una certa causa provocasse un determinato sintomo, tutti coloro
che entrano in contatto con tale causa svilupperebbero le stesse reazioni, ed è realtà
evidente che non sia così. Se il tuo mal di schiena, e anch’io mi fermo per evitare
un linguaggio troppo Boc, dipendesse dal materasso, non credi che tutti coloro che
usano quel materasso avrebbero mal di schiena, almeno un po’? Quando alla
scienza ufficiale chiedi il perché di certe cose, la risposta che alla fine ti danno è
“perché sei portato” o “perché a volte succede”. E ogni giorno mi sorprendo del
fatto che molte persone si contentino di queste miserrime spiegazioni.
L: Concordo e aggiungo: basterebbe ascoltarsi davvero un po’ di più per prevenire
in modo efficace i disturbi che troppo spesso abbassano la qualità della nostra vita.
Voglio dire: molte persone credono che la prevenzione sia fare gli esami del sangue
una volta l’anno. Non servono a nulla, a meno che tu sia particolarmente
fortunato. La vera prevenzione è fare quel che ti piace e riposarti prima di esaurire
l’energia di riserva. La stanchezza, infatti, è il pre-sintomo di tutti i sintomi. Certo
non parlo di quella stanchezza che avvertiamo dopo una passeggiata in montagna o
dopo una notte d’amore, parlo di quella sensazione di affanno profondo, di
mancanza di energia e di sensazione di non avere più forze vitali.
Parlo della stanchezza della voglia. Parlo della stanchezza del mattino, della
stanchezza della cura del sé. Parlo della stanchezza nelle relazioni di coppia. Certo,
quando vivo questo tipo di stanchezza posso prendere integratori di qualsiasi tipo o
addirittura sostenermi con i farmaci: la questione sarà comunque solo rimandata e,
quel che è peggio, si ripresenterà con un sintomo più acuto e preciso, perché il
Corpo vuol vedere se alla fine la capisci o no la sua lezione!
Quando parlo di questo tipo di stanchezza – e mi riferisco anche all’ossessione del
“Fare, comunque fare” – parlo dell’espressione più Boc che ci sia, dire: Non ho
tempo!
Sai cosa vuol dire, letteralmente per il Corpo, “non ho (più) tempo?”. Sì. proprio
quello che immagini e che temi.
Spesso, uomini e donne che si autodefiniscono “molto impegnati” e “molto stanchi
e stressati”, mi elencano una serie di invalicabili impedimenti – e già questo li
dovrebbe far pensare: sono in trappola? Sono schiavo? Sono in ostaggio di cosa, di
chi? – che di fatto non permetterebbero loro di rallentare per dedicarsi a una
costante pratica Alf. Sorrido e dico: non ti giustificare con me o con il mondo,
raccontalo al Corpo.
Quando il Corpo dice stop, è… stop. E non sente ragioni. E non ne vuole sentire.
So che tu, Paolo, hai attraversato numerosi momenti di sofferenza fisica, a causa di
quella che tu mi hai detto essere stata un’adolescenza un po’ turbolenta. E io pure
potrei raccontarti di una mia dolorosa esperienza personale prima della mia
resurrezione in vita. Ma questa è un’altra storia. E mi dico, e ti dico: se sei stanco,
riposa.
Non obbligare il corpo sacro a farlo al posto tuo, con i suoi autoritari e struggenti
metodi. Amalo prima che ti chieda di essere amato di più.
TECNICA ALF: RIPOSATI
Questa pratica Alf è davvero molto semplice e si basa su un’evidenza chiarissima:
persino Dio, il settimo giorno, si è fermato a contemplare la sua opera. Perché non
dovresti farlo tu? Per quante cose tu faccia o per quante cose tu abbia da fare, devi
ogni tanto fermarti e compiacerti dell’opera.
È una pratica molto semplice da comprendere: la difficoltà è mantenere fede agli
impegni presi con te stesso. Considera, amico lettore, che la persona che più spesso
tradisci sei tu, ogni volta che abbandoni i tuoi progetti per qualcun altro, ogni volta
che manchi a un appuntamento con te stesso per fare spazio ad appuntamenti con
gli altri. Il tuo tempo, così come il tuo Corpo, è sacro. È un tempo che ti devi e che
ti meriti. E se non puoi, allora devi.
Prenditi almeno un’ora per pianificare con calma lo svolgimento di questa pratica.
Già questa ora dedicata a te è un meritato riposo, è tempo sacro dedicato al tuo
benessere e alla tua persona.
In questa ora, analizza la tua vita e, se ce l’hai, la tua agenda. Stabilisci, in funzione
dei tuoi impegni o dei tuoi obiettivi o della tua routine professionale, i momenti di
riposo e di premio.
Attenzione: le ore di sonno non valgono, quelle le dormiresti comunque! Stabilisci i
momenti in cui decidi di riposarti consapevolmente e stabilisci anche il contenuto
di questi momenti.
Poco importa quanto durano questi momenti: basta che siano segnati sul tuo
calendario e che tu sia consapevole della loro importanza. A volte, è vero, ci si
riposa perché si creano piccoli vuoti nella giornata. Ma si tratta di abitudini cui si
dà poco peso. Qui parliamo – anche in questo caso – di Gesto consapevole. Il
tempo come gesto: qui e ora, in questa mezz’ora, io riposo consapevolmente perché
me lo merito. I momenti in cui è la vita a farti rallentare contano poco: contano i
momenti in cui tu decidi di rallentare, lasciando che la vita, nel frattempo, faccia
quel che deve. Prenditi il tempo, perché hai tempo.
Segnati, dunque, questi momenti in agenda e fai in modo che siano almeno un
paio la settimana. Anche brevi parentesi, ma che siano pensati per te e dedicati a te.
Decidi che cosa fare in questi momenti: può trattarsi di una passeggiata, di una
pausa dal parrucchiere o di una sessione di respirazione in posizione zazen. La cosa
che conta è che tu stabilisca in anticipo quel che farai. Puoi cambiare man mano
idea, certamente. Ma è meglio partire con le idee chiare: quel giorno, dalla tal ora
alla talaltra, farò questo. Per me, perché merito il riposo e perché voglio prendermi
il tempo di contemplare il capolavoro nascosto nelle mie azioni.
CAPITOLO XI -
INFRANGI I TABÙ

La frase da meditare
In molte società sciamaniche, se ti rivolgi a un guaritore per problemi di depressione,
scoraggiamento, o demotivazione, ti sentirai porre quattro domande:
Quando hai smesso di ballare?
Quando hai smesso di cantare?
Quando hai smesso di sentirti affascinato dalle storie del mondo?
Quando hai smesso di trovare conforto nella dimensione del dolce silenzio?
(Hernàn Huarache Mamani)
Il film da scoprire
Pomodori verdi fritti alla fermata del treno
(Jon Avned)
La canzone da ispirare
Voglio vederti danzare
(Franco Battiato)
Voglio chiederti: sei a letto, con un gran mal di schiena (o mal di testa, a tua scelta)
e devi uscire per recarti al lavoro, proprio il giorno di una presentazione
importante. Hai sul comodino un anti infiammatorio (farmaco o rimedio naturale,
a tua scelta anche in questo caso). Lo prendi? La tua risposta, se è come quella della
maggior parte delle persone e salvo che non siano in ballo valori o convinzioni
specifiche secondo le quali fa bene godersi il proprio male, è: sì. La maggior parte
delle persone, se ha mal di testa, lo cura. E mi son sempre chiesto perché non si può
fare la stessa cosa con il male dell’anima. Ricordo come fosse ieri un episodio
vissuto in prima persona, da ragazzino. Avrò avuto sei-sette anni. Era appena morto
un mio caro zio ed eravamo tutti in casa, i parenti e i familiari. L’aria era molto
pesante (braccia alzate! E porta pazienza, tra poco scoprirai perché) e io me ne sono
uscito con qualcosa di allegro. Non ricordo bene cosa, rammento invece benissimo
lo sguardo fulminante di mio padre e il suo tono di rimprovero: «Ti sembra il
caso?», mi ha sibilato. Ed io ho avvertito una morsa allo stomaco (poi ho scoperto
che si chiama senso di colpa), perché a me, in effetti, sembrava il caso.
Intuitivamente, se qualcuno è triste per me la strada più saggia da percorrere è farlo
divertire. O no?
L: Il più grande tabù del dolore? Se sono triste non posso gioire.
L’Alf, invece, ti dice: puoi essere incongruente, puoi creare una distanza tra le
aspettative espressive del tuo personaggio che soffre e il diritto del tuo corpo sacro
di respirare come se fossi felice. Puoi.
Hai mai notato come le persone ti parlano dei loro “problemi”? È come se si
ritenessero obbligate ad assumere un tono di voce e una postura da personaggio
sofferente. Io prendo teneramente in giro i miei allievi più cari quando vengono
travolti dalla maschera della contrizione, che quasi urlo: «Esci dal personaggio, che
mi fai ridere! Puoi dirmi le stesse cose con la tua faccia migliore!».
È necessario che il corpo sia in dolore quando narriamo il dolore? No!
Il potere del qui e adesso è anche questo. Resta qui, stai qui, respira qui. Magari
sono passati dieci anni dall’episodio che raccontiamo, ma basta anche sia passato un
giorno: perché imitiamo noi stessi, perché mettiamo in scena lo stesso dramma,
assumendo persino le stesse espressioni e lo stesso linguaggio del corpo? Perché
dormiamo, perché non siamo qui.
In questo senso, quando ci comportiamo in quel modo, non abitiamo un corpo
volontario ma un corpo che dorme, che indossa un abito per sentirsi più monaco.
Un allievo particolarmente sveglio, attento, incuriosito e attivo, un giorno mi disse:
«Mi sono reso conto che imitavo mio padre nel mio modo di arrabbiarmi,
dovevano capirlo tutti che ero arrabbiato, dovevo spostare bruscamente oggetti,
dovevo stare con le spalle contratte e il capo basso come un lupo: dovevo».
Questo è interessante. La recita della sofferenza, i modelli imitativi, non solo
familiari, ma anche cinematografici: tutto va a discapito della salute del corpo sacro
che in tutti i modi, direi con tutti i sintomi, ci implora: dì quello che vuoi, ma dillo
in nome del mio Amore.
Un giorno venne da me una signora piuttosto alterata. Batteva i pugni sulla
scrivania manifestando tutto il suo disappunto per il comportamento poco
rispettoso del suo capo ufficio. Gridava, aveva gli occhi sbarrati.
«Tu non sai di essere qui», le dissi. «Stai dormendo!».
«Come, non lo so! (gridando) tu mi devi aiutare!».
«Non così, se continui te ne vai: vedi il tuo capo ufficio nei paraggi? No. Ci sono io
qui. Sono la fonte del tuo disagio? No. Ti credo di più se continui così? No. Stai
approfittando di me energeticamente per continuare a dormire? Sì. E io non lo
permetto a nessuno. Parlami come se io fossi io».
Mi sta ancora ringraziando. La sua abitudine era quella di tacere con il suo capo,
salvo poi incontrare colleghi, amici o il pazientissimo marito e mettere in atto la sua
rabbia, la sua frustrazione traslata, per manifestare un forza espressiva che col
diretto interessato non avrebbe mai recitato. Con il suo capo non sarebbe stata una
recita, sarebbe stato: adesso basta! Sarebbe stata realtà trasformativa. Con tutti noi
dava vita al personaggio dei suoi sogni: la donna che si difende, obbligando il
proprio corpo a uno stress che non avrebbe portato a nulla a sé – se non a un altro
mal di stomaco – proprio nulla di piacevole e ai suoi interlocutori.
Quante volte tutti noi lo facciamo? Lo facciamo tanto più se abbiamo ancora
dentro la voce del bambino inascoltato: se faccio vedere quanto sto male, forse
qualcuno mi aiuterà. Di fatto, ci prepariamo a essere circondati da accudenti
patologici, da qualcuno che si sente realizzato psicologicamente solo se si prende
cura di qualcuno che “sta sempre male”. È tale da essere notato che accanto a un
depresso c’è sempre un accudente patologico, un consolatore incallito.
Provocatoriamente, a chi soffre di depressione, non in maniera così grave da
implicare un intervento clinico s’intende (parlo con cognizione di causa, non solo
come operatore d’aiuto, ma perché ne ho sofferto per diciassette anni), chiedo: non
è ora di liberare i tuoi consolatori? Qual è il primo accudente cronico che vorresti
emancipare?
Quando non abbiamo più bisogno di consolatori e accudenti possiamo finalmente uscire
dal tabù dell’obbligo della narrazione del trauma con i crismi della sofferenza.
Posso entrare nella mia vita con Corpo volontario in gioia.
Quando ho deciso di non obbedire più al personaggio “Soffro, quindi esisto” mi
sono permessa l’incongruenza sacra e lucente. Ed è stata una rivelazione.
P: E gli altri tabù?
L: I quattro tabù sociali del dolore sono questi:
Quando sono triste non posso ballare.
Quando sono triste non posso ridere.
Quando sono triste non posso cantare.
Quando sono triste non posso ringraziare.
Ho avuto la grazia e l’onore di incontrare in Italia Patch Adams, il creatore del
modello più incongruente che esista. Persino il nome della sua tecnica di aiuto ha
in sé il seme salvifico della Guarigione per disobbedienza: Clown therapy. Quanto
ha ispirato tutti noi che abbiamo sciolto nel sorriso il personaggio Boc? È stato
l’apripista, il pioniere, il faro. Ora, se ci sembra quasi naturale dire «se sei giù, ridi
volontariamente», lo dobbiamo a lui. O almeno io lo devo a lui. Devo anche a lui la
scoperta del libero arbitrio Alf.
Ricorda che l’Alf non ha alcuna intenzione di cambiare la natura dei tuoi pensieri.
Lasciali giocare a “quelli che sanno tutto loro”. Lasciali credere che la loro
razionalità e la loro intelligenza siano assolute. Lasciali nell’illusione del sapere.
Forse non convincerai mai la mente cosciente, come ci insegna la piramide Alf,
della quale ti parlerò tra poco, che è la gioia dell’estasi a fornirti il più alto grado di
conoscenza e libertà. Non sedurre i tuoi pensieri, prenditi cura del tuo corpo
innocente.
Prendi ad esempio uno dei tabù e convertilo in una affermazione positiva. Posso
ballare indica, letteralmente, la danza come recupero immediato della presenza
fisica nel qui e ora e una particolare e affascinantissima tecnica di narrazione del
trauma in posizione Alf.
Visto che siamo in una meravigliosa favola, voglio raccontarti che un bel giorno,
ispirata proprio dalla postura Boc di una mia allieva mentre narrava un fatto
particolarmente doloroso, le chiesi di fare una cosa per noi due, sì, proprio per tutte
e due: «Possiamo parlarci in piedi con le braccia alzate in posizione Alf? È molto
impegnativo per me ascoltarti oggi, sciogliamo un po’ insieme, entriamo nel flusso
di un corpo innocente?».
Accadde qualcosa che oso definire magico e rivelatore. Cominciò a ridere! In
posizione Alf proprio non riusciva a recuperare lo stesso linguaggio che stava
utilizzando solo qualche istante prima. Rideva lei, ridevo io. Percepivo
profondamente che stavamo svelando un modo naturale del corpo di depotenziare
un messaggio non positivo.
Il cervello emozionale, responsabile del rilascio di endorfine e serotonine, dà
priorità di Verità al corpo. Immensa è la letteratura neuroscientifica a riguardo, ne
abbiamo già parlato e ne parleremo ancora. Se comincio a sorridere
volontariamente senza alcun motivo apparente per la mia mente cosciente, dopo
solo trenta secondi il cervello emozionale è come se dicesse: credo di più a quel che
vedo! Credo di più al corpo! Io mi occupo della sua sopravvivenza fisica, mica delle
tue idee! Se sorride, un motivo ci sarà. Obbedisco e mi allineo: ecco endorfine e
serotonine, in quantità abbondante, tutte per te.
Alla mia allieva è successo proprio questo: il suo cervello emozionale deve aver
pensato, permettimi la semplificazione: «Ehi! se racconta questi fatti nella posizione
della gioia, questi fatti non devono poi essere così drammatici».
Per la potenza della vita e della sua naturale vocazione alla rigenerazione, un corpo
in gioia è sempre credibile.
I fatti che la mia cliente narrava non sono cambiati, ma la valenza emozionale sì. A
questo riguardo ha approfondito egregiamente questo tema la dottoressa Francine
Shapiro nei suoi elegantissimi studi sugli accessi oculari e la modificazione del
carico emozionale nella narrazione del trauma. Il suo metodo è noto con la sigla
EMDR. Senza dilungarmi e lasciando al lettore la possibilità di approfondimento,
in estrema sintesi, la dottoressa Shapiro ha scoperto che cambiando gli accessi
oculari che spontaneamente utilizziamo nella narrazione di una vicenda dolorosa, i
fatti non mutano, ma la sensazione di dolore sì. Questo cambio di rappresentazione
fisica, e ripeto fisica, ha permesso di ottenere magnifici risultati anche con i
bambini e con ex soldati. Il metodo EMDR, tuttavia, ha alcune controindicazioni e
alcune precauzioni nell’essere utilizzato. Il metodo Alf, invece, no, è questo il bello.
Chiunque adesso può provare a raccontare qualcosa che non gli piace in questa
posizione e sentire cosa accade.
Questo è un buon modo per danzare, rimanere in questa posizione inizialmente per
due minuti. Poi, una volta allenati, anche per cinque o per dieci minuti, ripetendo
ciò che ci dà sofferenza. Valutare come stiamo prima dell’esercizio e dopo
l’esercizio. Che dici: rimaniamo curvi sul nostro dolore o danziamo, ridiamo,
cantiamo, ringraziamo, raccontando proprio quei fatti che abbiamo sempre narrato
in Boc, ma con la fisicità innocente della nostra gioia?
Per la potenza della vita e della sua naturale vocazione alla rigenerazione, un corpo
in gioia è sempre credibile.
P: Ho sempre amato questo aspetto dell’essere umano, considerandolo magico. Ne
parliamo anche altrove, soprattutto a proposito del corpo sacro, ma come non dire,
qui, degli studi di Paul Ekman, che ha scoperto come sia sufficiente modificare la
posizione di determinati muscoli facciali per influenzare il nostro sistema endocrino
a produrre specifiche sostanze, solitamente accoppiate all’espressione facciale del
sorriso? Me ne stupisco ogni giorno, da anni. È una magia che mi lascia, ancora,
meravigliato.
E poi c’è tutto il lavoro di Jacques Mehler, che riguarda il fatto che noi impariamo
per dimenticanza. So che tu lo hai conosciuto. Il concetto di Mehler, dico per i
lettori che ancora non conoscono questo straordinario studioso, è questo: tutto è
già e sempre nel nostro cervello. Le parole, le sensazioni, le emozioni. Quando sei
dubbioso, dimentichi che conosci. Quando sei triste, dimentichi che sei felice e così
via, perché si può provare solo un’emozione alla volta. Il cervello, come ho già
detto, non è multitasking. Perciò puoi provare una sensazione alla volta. E questo
può creare l’illusione che quel che senti sia tutto quel che puoi sentire,
dimenticandoti che in realtà puoi provare tutto, se solo ti ricordi di farlo. Che cosa
ne pensi di questo uomo eccezionale e delle sue incredibili e straordinarie idee?
L: Ricordo molto bene quell’incontro: era l’ottobre 2004, a Bergamo Scienza e ha
cambiato il modo di osservarmi profondamente. Soprattutto ho cominciato a
maturare una splendida fiducia in me stessa e negli altri: l’illuminazione è ricordare.
Ogni fatto universale è in me, registrato nel mio Dna: ciò che posso fare è
permettermi di ricordare. Possiamo dire che la Piramide della conoscenza, della
quale parleremo dopo, comincia a prendere forma proprio in occasione di quella
conferenza. Proprio ascoltando le altissime parole del professor Mehler ho respirato
la consapevolezza che ciò che noi definiamo “il sapere”, sia in senso culturale, sia di
esperienza biografica, è solo uno spillo in una distesa di pagliai. Anzi, la
provocazione del linguista è ancora più ardita: per apprendere qualcosa, devo
dimenticare molto altro. Se il bambino apprende una lingua (Mehler ne parla
quattordici), ne deve dimenticare cento.
Come dire, per far posto a un bicchiere in una grande cristalleria, tolgo tutti i calici,
perché li ritengo inutili. Per nostra grazia, la cristalleria resta infinita.
L’occasione di incontrare Mehler l’ho vissuta, come detto, a Bergamo Scienza, il 10
ottobre 2004. Un attempato professore prende la parola. Mostra “slide” di numeri,
ormoni e grafici che non comprendo. Aspetto che esponga l’idea che gli ha
permesso di raccogliere questi dati. E la sua idea, come accennavi tu, è questa: si
impara e si comunica per dimenticanza. Il neonato, in potenza, è predisposto ad
accogliere dati linguistici dall’esterno, “spegnendo” alcune informazioni neurali che
gli permetterebbero di parlare tutte le lingue del mondo.
Ci identifichiamo in un Ego linguistico, narrativo, dimenticando le infinite parti
che ci compongono. Hai mai notato che, per esempio, in chi si definisce pigro
tutto diventa ciò che dice? L’Alf invita a ricorrere raramente al verbo Essere,
proprio perché questo verbo per il corpo vuol dire: dalla punta dei piedi alla punta
della testa, organo per organo. Attenti quindi all’intestino, in questo caso! Chi
vuole un intestino pigro? Se io affermo sono Bella! Cosa arriva a me stessa e agli
altri? Tutta bella! Se io affermo sono stanca, arriva la stessa cosa. Ma è davvero così?
Il mio mignolo lo è? Il cuoio capelluto, il muscolo cardiaco? I polmoni? È come se
il pensiero si spostasse, simile a una biglia in un campo pieno di solchi, dove i
solchi sono tutte le cose che si possono conoscere di noi stessi e del mondo. E sono
già tutti in noi. E sono miliardi. Tante quante sono le sinapsi. Questo già mi dà un
senso di grande pace e sicurezza. La questione, come tu dicevi, è che si può provare
solo una sensazione alla volta e la sensazione che provi, e che quindi descrivi in
questo momento, è tutto ciò che puoi provare. Fino a quando ti concedi di dare
spazio anche ad altre descrizioni di te, che sono ora, in questo preciso momento,
vive. Fa’ scorrere la biglia, quindi. Lungo i milioni di anni di evoluzione: puoi
sapere cosa pensa l’aquila e cosa pensa il pesce. Cosa pensi quando sei amato da
tutto il mondo. Cosa pensi quando ti sei salvato dal serpente e dal fuoco. Perché
ogni volta che impari qualcosa, dimmi, non hai forse la sensazione: ecco, sì, l’ho
sempre saputo? Perché l’Alf arriva, nella mia esperienza diretta nei laboratori, così
immediatamente lucente? È un codice che alla nascita abbiamo e che si riattiva nel
momento in cui lo ricordiamo. Anche Osho, Gibran e Yogananda sostenevano che
un bravo maestro non ti insegna nulla, ma ti aiuta, con nuove parole, nuove
metafore, nuove immagini, a ricordare.
Sto studiando e sperimentando il paradosso di Mehler da dodici anni. La questione
grande è che l’esperienza che crediamo squisitamente personale e biografica, se può
essere considerata un “più” nel processo di erudizione e crescita culturale personale,
non è altresì da considerarsi un “più” nell’ambito della conoscenza universale ed
eterna. Cosa vuol dire? Che esiste in noi una conoscenza totale, ovvero del tutto.
Sentiamo profondamente che c’è. Infatti, non è forse vero che ci diciamo spesso:
sento che c’è qualcosa di più? Oltre? Il paradosso di Mehler: l’uomo che non ha
alcuna esperienza, tutto conosce. L’uomo che non sa, tutto sa. L’uomo che non
ricorda chi è, conosce l’Universo. Sperimentare vuol dire aiutare le persone che si
rivolgono a me, chiedendo loro soltanto informazioni sulla loro storia futura. Come
vuoi sentirti tra un minuto?
Ecco, in questa domanda, proprio questa, c’è il mio amorevolissimo “menti e fa’ la
cosa giusta”.
Se io ti chiedo come vuoi sentirti tra un minuto, o alla fine di questo incontro, già si
attiva lo splendido processo di immaginazione che va a recuperare la sensazione
desiderabile che è già in noi. Quando mi rispondi: in pace! Dov’è quella pace di cui
mi parli? In te. Attiva, viva, prontissima. Così facendo, rinunci deliberatamente alla
ricerca dell’origine biografica del sintomo, perché la cura è già qui ed è
impersonale: tutti i corpi gioiscono allo stesso modo. Tutti i corpi già sanno come
farlo. Non solo è già qui la cura: c’è sempre stata. Mai ci ha lasciati. Mai è stata
rimossa.
Non siamo tristi, diamo poca attenzione alla gioia.
Non siamo tristi: siamo distratti.
Uno dei grandi messaggi dell’Alf è: ricorda che il corpo è innocente.
Pensi a qualcosa di non bello? Perché tutto il corpo ti deve seguire in una
congruenza cui puoi benissimo rinunciare per il suo bene-essere? Tu hai scordato la
gioia? Lui assolutamente no! E la pretende, in ogni istante!
Georges Ivanovic Gurdjieff sosteneva qualcosa di molto simile a ciò che sostiene
Bruce Lipton nella sua Biologia delle credenze: se un corpo dimenticasse in ogni
cellula la gioia, sarebbe morto!
Ricorda che sei completo, sinonimo di “perfetto, dotato di tutte le sensazioni e i
sentimenti a cui aspiri”.
L’assioma che amo: “offri ciò che cerchi”, non avrebbe alcun fondamento se non
fosse sorretto dall’idea che stai soffrendo per dimenticanza della gioia.
Quando invito una persona ad alzare le braccia al cielo dicendo «Offro la pace del
mio cuore, offro la gioia del mio corpo in salute», proprio quando sente rabbia e
malessere, il fondamento di questo mio invito è proprio questa completezza che è
già in noi. Posso dirlo perché ciò che cerco è già in me. O non è da nessuna parte.
TECNICA ALF: INFRANGI I TABÙ DEL DOLORE!
Ricordati che non abbiamo rimosso il trauma, abbiamo rimosso la cura. Perché la
cura è stata giudicata. La cura è naturale e l’essere umano la possiede sin da
bambino per lenire la sofferenza. Il bambino ride, canta, balla e ringrazia. Il
bambino non lo sa che è “vietato” ridere, cantare o ballare quando si sta male. Gli
viene naturale. Fino a che arriva l’adulto a dirgli che non si ride ai funerali.
La risata a scopo terapeutico è qualcosa di cui si parla spesso e molte discipline
legate al benessere parlano dei benefici che derivano dall’applicare questo metodo.
Nell’Alf invitiamo i praticanti non semplicemente a ridere, ma a ridere mentre
parlano di quel che per loro rappresenta sofferenza. Invitiamo i praticanti a
risvegliare l’Isacco che è in loro. Isacco è “Colui che ride”.
La cosa fondamentale, per questa pratica Alf, è eseguirla, nei modi illustrati più
avanti, nella tua intimità, senza farlo in pubblico. Vale per il ridere, per il cantare,
per il ringraziare e per il ballare. Si tratta di una cosa che riguarda te e che, salvo
contesti adeguati, ti sconsigliamo di applicare alle sofferenze altrui. Ricorda, se
decidessi di praticare questo momento Alf, di spiegare bene un concetto
importante: non ridi di, ridi con.
Se pensi che sia troppo facile, ricorda Ippocrate che dice: «Sei pronto a guarire solo
quando sei disposto a lasciar andare il tuo dolore». Per cui, se sei disposto a
raccontare ridendo qualcosa che ti angustia, a dichiarare ballando il tuo trauma,
significa che hai già compiuto il passo più importante.
La pratica Alf è la seguente: ridi, canta, balla e ringrazia mentre vivi il momento di
dolore o mentre parli e racconti di qualcosa che ti fa star male. Devi applicare gesto
cosciente: narra la tua vicenda forzando il riso o ballando le note della tua canzone
preferita. Puoi infrangere contemporaneamente più di un tabù, oppure puoi
infrangerne uno alla volta, a tua scelta.
Le prime volte che lo farai, ti sembrerà di tradire qualcuno, probabilmente ti
sentirai a disagio o addirittura in colpa. È così, in effetti. Stai tradendo un censore
interno, qualcuno che ti ha detto «Non si fa». Potrebbe essere la mamma, il papà, la
religione. Tu vai avanti. Stai lottando contro un drago, contro il tuo drago. Sentirai
una voce interna che ti dirà «non puoi». E allora, come sostiene il grande
motivatore statunitense Anthony Robbins, «se non puoi, allora devi».
CAPITOLO XII -
IL CORPO SACRO

La frase da meditare
La disposizione materiale della chiesa rappresenta il corpo umano
perché il cancello o luogo in cui si trova l’altare rappresenta la testa,
e la croce, da una parte all’altra, le braccia e le mani;
infine, l’altra parte che si sviluppa a Occidente
rappresenta il resto del corpo.
(Durando da Mende, XIV secolo)
Il film da scoprire
Vision: dalla vita di Hildegard von Bingen
(Margarethe von Trotta)
La canzone da ispirare
La cura
(Franco Battiato)

Molte persone sanno, per via intuitiva o per quel che si può recuperare su internet,
che a uno stato emotivo poco rilassato o felice corrisponde un adeguato linguaggio
del corpo. E in parte è vero, pur con le dovute precisazioni (ne ho scritto in
abbondanza altrove, il lettore attento e curioso saprà cercare). Quello che pochi
sanno, invece, è che vale anche il contrario: ovvero, il tuo linguaggio del corpo
influenza il tuo umore, innescando vere e proprie reazioni chimiche. Quando,
studiando Alexander Lowen e Desmond Morris, oltre a Charles Schultz (sì, proprio
l’autore di Charlie Brown!) ho sentito per la prima volta parlare di queste cose, ho
immediatamente voluto verificare di persona, perché le cose un conto è leggerle e
un conto farle. Ho scoperto che funziona davvero: cambiando posizione e postura,
cambia il tuo stato emotivo. Durante uno dei primi incontri con Luciana, poi, lei
mi ha fatto notare una cosa che, a ben vedere, è evidente e palese ma che, proprio
per questo, sfugge ai più. E cioè che in ogni parte del mondo, in ogni cultura e in
ogni epoca, quando le persone sono felici o stanno bene o sono in stato di grazia
fanno una sola cosa: guardano in alto e alzano le braccia al cielo. Dai giocatori che,
dopo aver vinto, alzano la coppa al cielo e tengono le braccia in alto a una statua
egizia che, appunto, rappresenta un nobile con le braccia alzate al cielo. Dal saluto
al sole tanto caro a chi pratica Yoga al segno spontaneo di un bambino che, senza
che nessuno glielo abbia insegnato, alza le braccia quando è felice o segna un gol
nella partitella in giardino. Dalla statuetta africana alla raffigurazione indiana della
divinità Ka. Da Buddha a Gesù, entrambi spesso raffigurati con le braccia verso
l’alto (quest’ultima associazione, per inciso, è meno strana di quanto sembri, visto
che Gesù il Nazareno secondo alcuni testi storici si recò effettivamente in Asia a
imparare i principi buddisti per poi divulgarli in Palestina): ovunque ci sono gioia,
luce, benessere ci sono braccia alzate e sguardi al cielo. Da sempre e per sempre.
P: Sono incredibilmente affascinato dal fatto che, oltre al linguaggio universale
della gioia, gli esseri umani abbiano anche un preciso linguaggio del corpo, quando
si tratta di star male e bene, uguale per tutti e dappertutto, da sempre e per sempre.
Tu, costruendo l’Alf, hai da sempre dedicato grandissima attenzione a questo
aspetto e parli in ogni momento di corpo sacro. Durante i tuoi corsi parli di
risveglio e soprattutto puntualizzi la differenza fra movimento e gesto che, ai più,
possono apparire sinonimi. Che differenza c’è, invece? E come posso usare il corpo
per praticare l’Alf?
L: Dici bene, sembrano la stessa cosa ma non lo sono. Potremmo semplificare
dicendo che il risveglio si concretizza anche nel passaggio dal movimento Boc al
gesto Alf. Anzi, dal Corpo involontario Boc al Corpo volontario Alf.
La differenza tra movimento e gesto è fondamentale in ogni percorso di risveglio
personale e spirituale e la parola risveglio è proprio da intendere letteralmente.
Quante azioni, durante la giornata, compiamo in coscienza e quante
involontariamente? Quante ore al giorno dormiamo dopo che ci siamo alzati dal
letto? Per quanto tempo siamo ai comandi del nostro corpo? Se il nostro corpo
fosse proprio una nave, per quanto tempo questa è trasportata dalle onde e dal
vento delle emozioni, dei ricordi, degli automatismi, delle sequenze predefinite?
Quando affermo “lo faccio in automatico”, potrei anche serenamente affermare “lo
faccio a occhi chiusi, lo faccio dormendo”. Lo faccio come se “non vivessi”. Non in
presenza energetica, almeno. Detto questo, Paolo, ecco la differenza fondamentale
di cui mi hai chiesto prima.
Tutto ciò che compio senza prestare attenzione è Movimento.
Tutto ciò di cui decido in coscienza la sequenza è Gesto.
Se saltello sul posto perché mi sono fatta male a un piede, è movimento. Se la mia
danza prevede tre salti sul posto e io li eseguo con coscienza di quel che sto facendo,
è gesto.
Tutto il linguaggio non verbale del corpo, dalla prossemica alla cinestetica alle
espressioni facciali, studiato dalla psicologia analogica e dalle neuroscienze è
movimento, ovvero un linguaggio che nasce e si sviluppa al di sotto della soglia
cosciente.
Lo studio del linguaggio non verbale anche in questo senso è molto interessante:
quante informazioni esprimiamo senza deciderle, ovvero dormendo?
Ho un elenco di domande da porre, per chi vuole compiere il risveglio in Corpo
volontario Alf.
Il tuo respiro è un movimento o un gesto? Vai in apnea e in “fame d’aria” senza
accorgerti di come ci sei arrivato?
Le tue spalle sono chiuse volontariamente? O forse non ti ricordi più perché la tua
postura è bassa e curva?
Perché ti sei fatto venire il mal di stomaco? Ti serve?
Perché (alza le braccia, Paolo!) pronunci la parola “devastante” tante volte? Perché
dici che ti viene in automatico? Chi decide le tue parole?
Ma insomma, dimmi: di chi è questo corpo? È tuo?
Sei una Macchina pre-programmata (da chi, da che cosa?) o sei un Essere Umano
Senziente?
Io incontro tante persone che vivono senza saperlo: in movimento. E credono che
anche la gioia sia un movimento, casuale, improvviso, capitato. Hanno dimenticato
che si può respirare, muoversi, e parlare in Libero Arbitrio Alf, in Gesto. Come
quando erano bambini, come quando dovevano imparare tutto, e ogni passo era un
evento, ogni parola uno sforzo cosciente. Una scelta. Una scelta è l’espressione di
un gesto: verbale, non verbale, respiratorio, posturale.
Incredibilmente, quando propongo ad alcuni aspiranti allievi di passare da
Movimento a Gesto, dal sonno al risveglio, mi capita di sentirmi dire: «Ma mi
sentirei una macchina!». Non è stupefacente tutto questo? La mia spiegazione è
dovuta all’esperienza più che alla logica: una macchina che si accorge che è
macchina, che ha sempre vissuto da macchina, prova angoscia. Ma allora chi ha
scelto fin qui? Continuare a dormire è risparmiarsi un dolore che prima o poi,
comunque, la vita ci farà affrontare: chi sei tu?
Secondo il grande Gurdjieff, la macchina che finalmente prende coscienza di
esserlo, di aver vissuto come tale, in balia di emozioni e pensieri automatici, non è
più macchina.
Quanto è impegnativo da uno a mille questo risveglio? Mille.
Quanto dura questo processo? Tutta la vita.
Cos’è un sintomo? Il segno evidente che stiamo dormendo. Il corpo vuole tanto il
nostro risveglio: guardami e guidami tu, stai con me, non dormire, ti dice.
C’è un passaggio bellissimo dello scrittore Eckhart Tolle, autore del best seller Il
potere di adesso, che parla proprio di questo, dell’importanza dello stare svegli e del
restare svegli:
«Il fare risvegliato è l’aspetto esteriore del prossimo stadio nell’evoluzione della
coscienza sul nostro pianeta. Più ci avviciniamo alla fine del nostro presente stadio
evolutivo, meno l’ego diventa funzionale, allo stesso modo di un bruco che –
appena prima di trasformarsi in farfalla – diventa meno funzionale. Ma la nuova
coscienza sta sorgendo anche mentre il vecchio si dissolve.
Siamo nel mezzo di un importante evento nell’evoluzione della coscienza umana,
ma non se ne parlerà al telegiornale stasera. Sul nostro pianeta, e forse
simultaneamente in molte parti della nostra galassia e ancora più in là, la coscienza
si sta risvegliando dal sogno della forma.
Questo non significa che tutte le forme (il mondo) si dissolveranno, anche se
parecchie di queste di certo lo faranno. Significa che la coscienza può ora
cominciare a creare forme senza perdersi in esse. Può rimanere cosciente di se stessa
anche mentre crea e sperimenta forme. Perché dovrebbe continuare a creare e a
sperimentare forme? Per la gioia di farlo. E come fa? Grazie agli umani risvegliati
che hanno imparato il significato del fare risvegliato.
Il fare risvegliato è l’allineamento del vostro proposito esteriore, di quello che fate,
con il vostro proposito interiore: risvegliarsi e stare svegli».
P: In qualsiasi religione di mia conoscenza e in qualsiasi disciplina spirituale
conosciuta o praticata, il respiro è al centro di ogni tipo di pratica. Persino nella
religione cattolica, che nei secoli ha visto spesso travisare i testi sacri in modo
decisamente poco Alf e che a me sembra tutto tranne che una religione, all’inizio
c’è un soffio vitale. Nel buddismo, la respirazione consapevole è alla base della
meditazione e anche la occidentale Mindfulness, che di fatto è la versione delle
pratiche zen per occidentali moderni, si basa sulla respirazione. La Kundalini, il
Tantra, le Arti Marziali: in ogni dove, il respiro consapevole è la chiave. Quando
insegno tecniche per la gestione dello stato durante i corsi, incentro quasi tutta la
pratica su tecniche respiratorie. Persino nei corsi business, le richieste che ricevo
sempre più spesso sono legate al benessere e alla gestione dello stress in azienda. E la
mia risposta è sempre la stessa: respiro. Forse perché ho sofferto di una grave forma
di asma bronchiale per quasi quindici anni, poi scomparsa del tutto grazie al lavoro
personale che ho fatto su me stesso, il respiro per me riveste un’importanza grande.
Sta di fatto che, quando insegno queste tecniche, la maggior parte delle persone
incontra difficoltà enormi, perché è abituata a respirare male: fiato corto, sempre di
fretta, nessuna consapevolezza di diaframma e addome. Più che respirare, dico
sempre, in realtà tirano il fiato e basta. Anche nella pratica Alf il respiro è
fondamentale, in questo passaggio verso il Risveglio. È così?
L: Senza respirare, si sa, non si può sopravvivere più di due minuti. Purtroppo, si
possono vivere tantissimi anni respirando Boc. Respirazione alta, diaframma
bloccato, Boc appunto, fame d’aria, apnee frequenti, fino agli attacchi di panico
che sono un vero e proprio modo che ha il corpo per urlarci: ricordati di respirare
bene.
Questo perché, nonostante tutti i muscoli che regolano la respirazione siano
muscoli a movimento volontario, noi lasciamo che sia solo la macchina a muoverli.
Solo che magari la macchina è “incantata” in modalità “ho paura, sono spaventato,
sono alle strette, mi sento oppresso”. Quando ci siamo dimenticati che possiamo
decidere come respirare? Che il corpo è nostro?
Conquistare una relazione cosciente con il proprio respiro è ritenuto da tutte le vie
di crescita ed evoluzione spirituale il primo passo per entrare consapevolmente nella
Gioia e nella presenza energetica. Senza questo primo passo, anche gli esercizi
verbali e posturali Alf non sarebbero sufficienti.
“Respira come se fossi felice” è forse una delle mie massime più celebri. Anche in
questo caso, quando pratico momenti di super coscienza respiratoria, lascio fluire i
pensieri, non intervengo sulla qualità dei miei pensieri. Semplicemente, offro al
corpo sacro il grande dono di una respirazione gioiosa e profonda.
Quando l’Alf ha cominciato a chiamarsi Alf, la dicitura completa era Respirazione
Immaginaria Alf. Il termine “immaginaria” significa che l’Alf utilizza la
visualizzazione di polmoni sferici di Luce proprio sui punti dolorosi per ridurre, e
spesso sciogliere completamente, la percezione della sofferenza fisica. La via più
rapida per spostare la respirazione da pettorale, che è la respirazione in condizioni
di stress, a diaframmatica, la respirazione del bambino pacifico, è iniziare da questo
semplice test. Sdraiati e metti una mano sul petto e l’altra mano sull’ombelico. Fa’
un respiro profondo. Quale delle due mani si alza più dell’altra? Se si alza la mano
sul petto, significa che sei in modalità Boc. Se si alza la mano sulla pancia, sei in
modalità Alf. Quando sei in modalità Alf, la pancia sale come se l’ombelico volesse
baciare il cielo e poi scende come se l’ombelico volesse baciare la colonna vertebrale.
Basterebbe svegliarci più volte al giorno e ricordare di effettuare questa respirazione
durante la giornata, anche stando in piedi. Basta poco per imparare di nuovo a
respirare come eravamo già capaci di fare.
Tutto qui? Sì.
È semplice, non facile. È facile, non semplice. Non c’è niente di complicato
nell’impegno di voler migliorare le cose: c’è l’impegno.
P: Ora ti chiedo, con la mia parte pragmatica: come sta un corpo in Alf? Da cosa
mi accorgo che il mio corpo è in Alf? E da cosa mi accorgo se il mio corpo è in
Boc? Voglio saperlo, per potermene rendere conto e svegliare la macchina che
dorme. Quali sono i gesti che posso compiere, praticamente, se mi accorgo di essere
in Boc, per tornare in Alf?
L: Boc e Alf sono le due iconografiche rappresentazioni fisiche estreme del Corpo
Sacro. Il corpo in Boc è rappresentato al buio, immobile, bloccato, incapace di
alzarsi, oppresso dalla forza di gravità, attratto, risucchiato verso il basso. I pugni
sono chiusi, gli occhi sono chiusi, il corpo raggomitolato su se stesso. Angustiato.
Soffocante. Il corpo in Boc avverte un senso di separazione, distacco, frattura da
tutti gli esseri viventi e dall’Universo. Questa è l’espressione più alta del dolore.
Il corpo in Boc di se stesso dice: «Io sono negli Inferi, non appartengo a questa
Terra, io sono nell’oscurità, io sono bloccato».
Il corpo in Alf, nella Luce, è in piedi, i piedi ben radicati a terra, le braccia sono
alzate, lo sguardo aperto verso il cielo, il respiro è profondo, diaframmatico e
calmo. Il corpo in Alf è nel flusso di tutte le energie terrestri e cosmiche. Percepisce
e vive una sensazione di unione, fusione appartenenza nel tutto, col tutto. Questa è
la massima espressione dell’Estasi fisica nella Luce.
Il corpo in Alf di se stesso afferma: «Io sono Altezza, io sono Luce io sono Flusso
eterno d’energia».
Grazie al Cielo è raro trovarsi improvvisamente in una condizione Boc, con tutti i
crismi dell’immagine fisica che ho appena descritto, ma dobbiamo accettarne la
possibilità e agire preventivamente, proprio ai primi segnali di presa di coscienza
che la direzione energetica del nostro corpo si sta muovendo verso il basso.
Il primo consiglio pragmatico è di verificare come stai respirando. E, naturalmente,
portare consapevolmente la respirazione a livello diaframmatico.
Quella che io chiamo centratura respiratoria: mano sulla pancia, torno a sentire il
corpo.
Il secondo consiglio pragmatico è verticalizzare in sequenza, riallineare le parti
ideali che formano il mio corpo energetico. Si tratta di un esercizio che tutti i
praticanti Alf eseguono quotidianamente e che ti descrivo compiutamente, nella
parte dedicata alle tecniche, alla fine di questo capitolo.
Questo è uno stupefacente rito di pronto soccorso emozionale. Praticato
costantemente, trasforma il corpo in un portale per infinite e nuove conoscenze del
Sé. Io non ho “prove” per dirti questo: è necessario praticare. Se si cerca di capire e
non si fa, non funziona, ecco.
È necessario passare dall’intelligenza al sapere (come si fa) alla grazia di farlo, per
arrivare alla conoscenza. Quanti “giri” di riallineamento verticale sono necessari?
Fino a quando posso affermare: «Mi sento meglio!»? Questa è la misura sacra.
Quando qualcuno, che non ha mai praticato nulla, che non si è mai concesso del
tempo per sentirsi e amarsi, mi chiede, in quello che io definisco consumismo
energetico e spirituale: «Uno, due, tre minuti?», io rispondo: «Hai una pretesa Boc
per arrivare all’Alf».
Consiglio di ripetere cento-volte-cento: per stare bene ho tutto il tempo
dell’Universo.
Meglio affermare questo, prima che il Corpo sacro si prenda un po’ del nostro
tempo, senza più chiederci il permesso.
Per questo affermo: se sei stanco riposa e appena hai riposato, pratica l’Alf.
Più si pratica, con parole e gesti e respiro consapevoli, più si è nel Gesto cosciente
Alf, più veloce sarà il recupero da una condizione Boc.
Che tutto, ma proprio tutto, anche una conversazione sul budget o preparare un
panino, sia un pretesto per essere Alf. Tutto può essere detto e fatto con Amore.
Il riallineamento in verticale passa attraverso i quattro livelli energetici che sono:
piedi, sesso, cuore, testa. I piedi sono il fare, il sesso la capacità creatrice, il cuore i
sentimenti e la testa il pensiero. E poi c’è la quintessenza, che ci proietta verso il
cielo.
Quando sono Boc, i quattro livelli energetici, più il quinto, spirituale, che
rappresenta il risultato energetico dell’allineamento degli altri, sono disallineati,
mischiati, confusi.
C’è chi ha messo la testa nei piedi: ragiona, ragiona, ma non sa più cosa “fare”.
Sono fermo, ti dice! E inciampa frequentemente, e non solo per modo di dire.
C’è chi ha messo la testa nel cuore: ho bisogno di spiegarlo? Cerca di razionalizzare
i propri e gli altrui sentimenti.
C’è chi è molto spirituale, fa discorsi spirituali, elevatissimi, ma non ha “piedi” e
quindi gode di pessima salute, ha una scarsa igiene, per esempio. È sradicato. O
addirittura ha messo il Quinto livello al posto del cuore: odia coloro che non sono
spirituali, giudica e condanna!
Ora, poco ci importi cosa fanno gli altri, la coscienza Alf ci dice: rimetti a posto i
livelli e nell’immediatezza fallo fisicamente!
Per uscire da una condizione Boc, è necessario ascendere. E il corpo è letterale:
bisogna proprio salire dal basso verso l’Alto in sequenza necessaria. E fisica.
Praticare con costanza questo esercizio è indicibilmente utile, perché quando mi
accorgo, anche dal vocabolario che sto usando, o da un senso di oppressione al
petto, o dalla fatica di tenere aperte le spalle, che sto scendendo verso il Boc, in
pubblico per esempio, posso ripercorrere con gli occhi interni della mia memoria
esperienziale i vari livelli ed eseguire l’esercizio di verticalizzazione (che trovi
descritto dopo). Quando arrivo al quinto, se proprio le condizioni formali non mi
permettono di alzare le braccia, alzo il mento e gli occhi e faccio un respiro
profondissimo. Sursum corda, in alto i cuori!
Per aver conoscenza che l’amore “move il sole e l’altre stelle” devo guardare nel
posto giusto: in Alto.
P: In uno dei miei film preferiti di sempre, il Joker, acerrimo nemico di Batman, lo
dileggia un po’ e lo esorta a lasciar perdere la sua missione. Perché, dice: alcune
persone, semplicemente, non vogliono essere salvate. E trovo che a volte sia proprio
così. Io mi considero un coach molto efficace, eppure ci sono persone che, pur
avendo a portata di mano la soluzione facile e che funziona, accampano scuse e non
eseguono quel che dovrebbero fare. E ho sempre avuto il sospetto che forse, seppur
a livello inconscio, alcune persone stiano proprio bene nel loro ruolo e in qualche
modo vada loro bene continuare a star male. Oppure, che rifiutino un rimedio
tanto universale e semplice solo perché è, per l’appunto, universale e semplice.
Alcuni, quando propongo loro semplici strategie che funzionano con chiunque,
perché si basano su precise dinamiche di funzionamento del cervello, restano delusi,
come se si aspettassero qualcosa di esclusivo. Invece, e la scienza lo dimostra grazie
anche al lavoro di antropologi come Desmond Morris e Paul Ekman, siamo tutti
fatti alla stessa maniera. E quindi possiamo star bene tutti quanti alla stessa
maniera. Capita anche a te?
L: L’etimologia di protagonista è interessante: composto da prôtos “primo” e agōnistḗs
“combattente”, letteralmente il primo tra i combattenti: davvero poco Alf. Passi per
l’attore professionista, passi per lo sportivo proprio nel momento clou della
competizione, ma in un percorso di crescita personale, nella via della Gioia, questo
ruolo, tanto caro all’Ego, quanto ci costa in termini di salute e di conoscenza?
Quanto il proto-agonismo ci impedisce di rientrare nel flusso Alf delle nostre
energie e di accedere a uno stato più alto di consapevolezza ?
Faccio un esempio: quando andiamo dal medico siamo disposti ad accettare una
cura, definiamola universale e impersonale? Generalmente sì: non chiediamo il
nostro farmaco personale solo perché noi siamo proprio noi. Accettiamo un
farmaco che contiene un principio attivo per il nostro sintomo. Anzi, sapere che ha
migliorato lo stato di salute di molte persone, magari in un lasso anche molto lungo
di tempo, ci rincuora, ci rassicura: perché? Perché funziona.
Accettiamo anche l’idea che il medico, anche di medicina alternativa, abbia in
mente forme e funzioni di un corpo sano, non del mio corpo sano ma di un corpo
sano universale e impersonale; anzi più ha conoscenza di questo corpo immaginario
sano, impersonale e universale, più è in grado di valutare le differenze, tra il mio
corpo e quel modello immaginario, più lo definisco preparato.
Ma sono passivo, non devo fare nulla, devo solo ingerire qualcosa. O farmi fare
qualcosa.
Cosa succede invece quando ci viene proposto un atto volontario, un gesto Alf una
parola Alf, come, permettimi il termine usato in senso lato, medicina?
Il paradosso è che mi sembra di non seguire la mia volontà, ma quella di un corpo
universale, impersonale, sano! Non sono io! Io sono il malato!
Potrei ottenere subito, nell’immediatezza, magari con cinque minuti di sorriso
volontario, un aumento endogeno delle serotonine, potrei convincermi della bontà
di un’azione ripetendo un mantra ad alta voce. Ma proprio il fatto che funziona per
tutti e con tutti perché è, come tutti gli strumenti Alf, universale e impersonale,
toglie al mio dolore e alla mia sofferenza il loro protagonismo.
E questo per molti è inaccettabile.
Essere il rimedio impersonale di se stessi, avere un corpo universale?
Per usare le parole del grande poeta Giovanni Raboni: «Non rubatemi l’osso del
mio dolore».
Per la scala della conoscenza Alf, questo è il passaggio più impegnativo e sacro, il
passaggio dal sapere, individuale, familiare, culturale, religioso, quindi temporale e
orizzontale, alla grazia verticale di avere un corpo che conosce attraverso il se stesso
impersonale, l’Universo.
Leggere questo libro è sapere; metterlo in pratica proprio quando mi sento ai massimi
livelli Boc, è grazia.
Più di un milione di italiani ha letto Siddharta di Hermann Hesse: non
incontreremo un milione di Buddha per le nostre strade. Ma non importa: piccoli
passi, piccoli passi. Piccoli grandi gesti quotidiani: un sorriso quando la mia mente
dice “non sorridere!”, una parola Alf, quando la “macchina” mi suggerisce uno
sproloquio Boc.
Piccoli passi per accettare che la Gioia ha un linguaggio non mio, ma nato per me.
È una piccola morte dell’Ego biografico, per risorgere nuovi e infiniti.
L’Ego si sentirà il signor nessuno e l’Io sacro si sentirà il Signor Tutto. È il
passaggio in cui sostengo maggiormente, emotivamente, spiritualmente, le persone
che mi chiedono aiuto. È il passaggio che tutti i giorni decido di affrontare. È il
primo grande passaggio dal sonno allo stato di veglia.

TECNICA ALF: RIALLINEAMENTO VERTICALE DEL CORPO IN ALF


Questa tecnica va eseguita quotidianamente. È una verticalizzazione di tutto il
corpo. I benefici che derivano dall’esercizio quotidiano sono, semplicemente,
innumerevoli e indescrivibili. Si svolge in più passaggi consecutivi.
Quante volte di fila? Quanto basta.
Quante volte al giorno? Finché funziona.
Per quanto tempo? Tutta questa vita e tutte le altre.
Piedi nei piedi. I piedi ben radicati a terra, mi accovaccio e li tocco con entrambe
le mani e pronuncio: «Piedi nei piedi la terra è il mio pianeta, io amo dove sono, io
amo questa terra». Questo è il livello energetico del fare, dell’azione cosciente, del
senso di appartenenza concreto alla vita terrestre. Sono radicato? Sto bene? Ho un
rapporto sano con il denaro? Mi tratto bene? Ho smesso di lagnarmi perché nel
mondo ci sono le ingiustizie? Ricorda che il vero adulto smette di parlare del suo
dolore, perché sa che anche l’altro ce l’ha. Va oltre. Dopo i 40 anni, parlare ancora
della propria infanzia a qualcuno è patologia. «Se dopo i 40 parli ancora della tua
infanzia a qualcuno, non sei depresso, sei uno stronzo» (Gabriella Mereu).
Sesso nel sesso. Ascendo lentamente e porto le mani sulla zona pubica e
pronuncio: «Sesso nel sesso, io creo e sono creato». Questo è il livello energetico
della libera creatività, del superamento del sapere tecnico, dei limiti della mente
conscia, per accedere alle infinite possibilità della Vita di creare cose nuove e di
mostrarcele. Produrre nuove idee, concepire nuove idee. “Non mi entra in testa”
significa che il sesso è andato in testa. Non ti deve entrare in testa. Sesso nel sesso
significa aprirsi al mondo, creare, generare, penetrare, entrare dentro.
Cuore nel cuore. Ascendo ancora, le mani aperte sul cuore e pronuncio: «Cuore
nel cuore, io amo il mondo e il mondo ama me». Questo è il livello energetico
dell’Amore incondizionato, del perdono e dell’unione con tutti gli esseri viventi.
Appena pronunciato «io amo il mondo e il mondo ama me», divarico le gambe in
modo che i piedi siano posti alla stessa larghezza delle spalle, spalanco le braccia più
che posso, come a spostare due muri, ad allargare lo spazio intorno a me. L’uomo
che non fa i conti con il suo passaggio esistenziale, non vive. I popoli occidentali sono
quelli più medicalizzati del mondo, perché non sanno vivere e non vogliono morire.
Testa nella testa. Ascendo ancora, le mani sono appoggiate sulla fronte e
pronuncio: «Testa nella testa: io comprendo il mondo e il mondo comprende me».
Questo è il livello dell’intelletto fiducioso, della curiosità benigna, dell’indagine
serena, dell’offrirsi libro aperto agli altri, di uscita dallo scontro dialettico, di amore
coraggioso per la conoscenza. Ricorda che nessuno può uscire da un conflitto con
una faccia intelligente, perché una persona intelligente non entra in un conflitto.
Cinque persone bene scelte sono l’universo. Se ti capiscono bene cinque persone, ti
capiscono tutti.
Altezza, Luce, Flusso. Ora ho le mani alzate, verso il cielo. Sguardo in alto.
Respiro profondamente e con gioia. E raggiungo la Quintessenza. È il momento di
pronunciare: «Io sono Altezza, io sono Luce, io sono Flusso eterno d’Energia».
Ripetilo, ripetilo e ripetilo.
CAPITOLO XIII -
LA PIRAMIDE DELLA CONOSCENZA ALF

La frase da meditare
La cosa veramente bella della vita è l’avere perso ogni illusione,
e ciononostante fare un atto di vita, essere complici.
Essere in totale contraddizione con quello che si sa.
E se la vita ha qualcosa di misterioso è appunto questo,
che pur sapendo ciò che si sa, si è capaci
di compiere un atto che va contro il proprio sapere.
(Emil Cioran)
Il film da scoprire
La montagna sacra
(Alejandro Jodorowski)
La canzone da ispirare
Più su
(Renato Zero)
Una delle esperienze che ho sperimentato scrivendo questo libro sin qui e,
soprattutto, praticando quotidianamente esercizi e assiomi, è il progressivo distacco
dalle forme di espressione e conoscenza cui ero abituato. Capisco sempre meno e
sento sempre più: può sembrare un paradosso, ma non lo è. Quando qualcosa è
profondamente dentro di te, quando padroneggi una materia o un’abilità in modo
eccellente, di fatto pensi pochissimo alle cose che fai. Le fai. E se ti chiedono come,
impieghi tempo per renderti conto del processo. Si parla, a questo proposito, lo
abbiamo già detto, di competenza inconscia. Faccio cose senza sapere come. Per
l’Alf è la stessa cosa. Una delle cose che anche tu, praticando, sperimenterai, è il
progressivo distacco dalle cose che l’intelligenza può descrivere a favore di un
avvicinamento a sensazioni e flussi (mi vien proprio da descriverli così)
difficilmente o non compiutamente descrivibili con il linguaggio quotidiano. Non
solo: praticando l’Alf e progredendo sulla scala verso la Luce, starai sempre meglio,
proprio come è successo a me. Il tuo corpo sarà diverso e tu ti sentirai diverso.
Starai, semplicemente, bene. Proprio come dovrebbe essere, proprio come è sempre
stato, proprio come è naturale che sia.
P: Luciana: stiamo salendo, parola dopo parola, verso la Luce. E io sto sempre
meglio. Faccio fatica ad arrabbiarmi, anzi devo proprio ricordarmi che esiste
quell’emozione. Vedo le cose in modo diverso. Respiro bene. Le persone mi dicono
che sono diverso, che sono migliore anche in quello che faccio. Che succede?
L: È scientificamente provato che accedere deliberatamente a determinati tipi di
emozioni positive (che chiamiamo anche emozioni verticali, che ti portano verso
l’alto), per esempio l’emozione indotta da una risata volontaria, comporta:
- aumento dell’efficienza delle capacità respiratorie grazie al miglioramento della
ventilazione polmonare;
- aumento dell’efficienza del sistema cardiocircolatorio;
- miglioramento delle funzionalità dell’endotelio;
- regolazione della pressione arteriosa;
- riduzione dei livelli di glucosio nel sangue;
- riduzione della produzione di cortisolo e regolazione dei livelli di adrenalina
(generatori dello stress);
- attivazione dell’apparato linfatico;
- incremento della produzione endogena di betaendorfine (antidolorifici naturali),
serotonina (antidepressivo naturale), ossitocina (ormone dell’empatia), encefaline
(rinforzano il sistema immunitario aumentando la produzione di
immunoglobuline IgA e IgG), aumento dell’attività interferonica e delle cellule
NK antitumorali.
Ciò significa che essere a conoscenza di queste cose e avere la grazia di praticarle,
può aiutare almeno tanto quanto essere a conoscenza delle dinamiche più profonde
del nostro io.
Mi capita di far sorridere gli allievi dicendo loro che mi sento una diversamente
abile “psicologica e neurologica”, ma non è una battuta: so che il mio cervello ha
bisogno di interventi quotidiani (volontari) per stabilizzare una sua attività
ormonale, che ha qualche particolarità. Non mi importa (più) da dove vengano
queste sue bizzarre attività, mi importa cosa posso fare oggi.
P: Io, per anni, essendomi occupato anche di psicosomatica (tenevo addirittura
corsi in cui spiegavo l’origine praticamente di qualsiasi sintomo!) ho scoperto
quanto è importante quello di cui stiamo parlando qui. La mia domanda preferita
è: che cosa puoi fare, ora? D’altro canto, ad alcune persone che ancora non hanno
raggiunto questo grado di fondamentale consapevolezza – perché credo che per
lasciare andare il passato sia necessaria un’illuminazione altissima e un coraggio
senza confini – rispondo ancora in base a quel che chiedono. Quel che spero
sempre è che chi mi chiede cosa significa questo e quello, prima o poi mi faccia la
domanda delle domande: cosa posso fare, adesso? Perché “adesso” è l’unica cosa che
conta. Sei d’accordo?
L: Puoi lasciare andare il passato alla fine di un percorso di ricerca. Ma è tua
Libertà farlo subito. È tuo diritto sperimentare (anche) questa Via.
Pensa a questo. Hai sete, sei nel deserto, finalmente scorgi un’oasi con un bar. Al
banco, due baristi. Il primo ti chiede: «Perché sei qui? Come mai hai smarrito la
strada, da dove vieni? Chi hai incontrato lungo la strada? Hai intenzione di fermarti
molto?».
P: «Che rapporto hai con i tuoi genitori?». Di solito, chiedono pure questo.
L: Già (ride). Sono domande importanti? Sì, sono domande importanti.
Il secondo ti chiede: «Cosa vuoi da bere?».
Ecco: anche questa è una domanda importante.
Chiedo di imparare davvero poche cose a memoria, perché credo molto nella
memoria della pratica consapevole e ripetuta. Il contenuto della Piramide Alf è una
tra queste.
P: Piramide Alf?
L: Dalla bocca dell’Uomo intelligente escono parole corrette; quando avrà
rinunciato al potere dell’Intelligenza, arriverà il Sapere. Dalla bocca dell’Uomo di
Sapere, escono parole antiche; rinunciando al potere del Sapere, giungerà la Grazia.
Dalla bocca dell’Uomo in grazia escono parole di Pace; quando avrà rinunciato al
potere della Grazia, riceverà il dono dell’Amore. Dalla bocca dell’Uomo
dell’Amore, escono parole Universali: offrire il potere dell’amore apre al dono
dell’Estasi. Dalla Bocca dell’Uomo in Estasi, escono parole Eterne. Colui che
rinuncia al potere dell’Estasi, sarà l’Uomo di Luce. Le sue parole saranno le Parole
della Guarigione: corrette, antiche, di pace, universali, eterne. E sarà per l’Uomo
una nuova Intelligenza.
Disegno sempre con i miei allievi la piramide, la costruiamo insieme. C’è in essa
qualcosa che posso spiegare e qualcosa di illuminante che sfugge alla mia
comprensione. La Piramide stessa dice che per conoscere è necessario salire rispetto
a ciò che “crediamo di sapere”. Con immensa umiltà mi impegno ora a dare
qualche chiave di lettura, ma con altrettanta umiltà affermo che per apprendere da
essa è necessario disegnarla e guardarla.
Al primo livello della Piramide della conoscenza, l’Alf disegna la parola
Intelligenza. Questo è il livello più basso, necessario, il livello più elementare della
conoscenza. L’Intelligenza in questa Piramide non ha alcun riferimento al Q.I.
L’Intelligenza in chiave Alf è la capacità di creare nessi logici e coscienti tra stimoli
ed eventi, al fine di definire un comportamento o un’idea o una parola come
corretti. Essa implica un’idea di giusto-sbagliato, in base alle proprie esperienze
individuali. Il bambino si scotta con un oggetto blu: tutti gli oggetti blu scottano. A
questo livello di conoscenza l’esperienza è personale, biografica. Ci possono essere
eventi che narriamo solo a livello di intelligenza, ovvero con assoluta linearità.
L’intelligenza non prevede contraddizione. Non è soggetta al confronto con gli
altri. È un livello di conoscenza di tipo logico-matematico. È la natura del dialogo
interno che di fatto non ha attrito col mondo esterno. È una ragione assoluta che
non ha bisogno di essere vera. È una convinzione “naturale”, sviluppabile anche in
assenza di una relazione. A questo livello di conoscenza, alla domanda: «C’è almeno
un altro modo di vedere le cose?», la risposta è: no.
Il Potere che offre è: Io solo conosco il mondo! Io so tutto!
Per il bambino, rinunciare a questo livello ed elevarsi è frustrazione; quando per la
prima volta i suoi calcoli non bastano per comprendere la complessità del mondo e
per valutare le conseguenze delle sue azioni e gli effetti diretti e indiretti
nell’immediato e nel futuro. Non basta dire la parola “voglio” per ottenere
qualcosa. Eppure, la parola voglio è corretta, dal punto di vista dell’intelligenza.
Serve altro.
Al secondo livello la parola disegnata è Sapere. Sapere familiare, culturale,
religioso. Ha a che fare con il tempo e con lo spazio, è sociale, collettivo, ma non
universale. Conosce un prima e un dopo, anche in questo caso un giusto-sbagliato,
ma preordinato rispetto all’esperienza individuale, è sostenuto dalla norma e dalla
punizione della trasgressione. “Sa” colui che conosce il significato di parole antiche,
le parole degli avi. Il sapere può permettersi l’assenza di una giustificazione logica. Il
bambino alla domanda «Perché è così?», può ricevere la risposta: «Perché si è
sempre fatto così», «Perché questa è la Legge». E riceve risposte definitive su
questioni di carattere individuale: cos’è l’amore, la mente, l’anima. Il potere che
conferisce il sapere è: “Io sono dalla parte della Verità perché mi è stato insegnato”.
Alejandro Jodorowsky, in un laboratorio di alchimia del 2008 al quale partecipai
sostenne: «Il 90% degli esseri umani trascorre la sua esistenza a questo livello di
conoscenza. E muore senza conoscere». Penso che volesse in realtà dire: fate molta
attenzione a non rimanere chiusi nel cerchio del sapere, la tentazione delle
tentazioni della conoscenza.
Mi hanno spiegato cosa sia il sistema solare e la medicina. Mi hanno detto quali
sono i valori in cui devo investire il mio tempo, mi hanno detto cosa sia il tempo,
mi hanno detto cosa sia una famiglia, una coppia, un buon genitore e un bravo
lavoratore. Mi hanno spiegato cosa è vero e cosa è falso. Cosa devo comprare, cosa
devo leggere. Quale è il sesso buono e quale è il sesso non-buono. Non mi hanno
detto che devo conoscere, ma che devo sapere. E mi hanno detto che il sapere di un
uomo è un potere enorme. Oltre al sapere ci sono solo la follia e l’impossibile.
Perché il sapere decide cosa è saggio e cosa è possibile. Il sapere mette chi sa contro
chi non sa, ragione contro ragione, cultura contro cultura, religione contro
religione. Affermando di detenere la Verità, non la cerca.
La frustrazione del sapere è: anche se apprendo, non divento.
Perché la conoscenza è qualcosa che si sa fare.
Leggere un libro di geografia, anche cento e cento volte, non farà diventare nessuno
una guida alpina.
«La sola lettura di un libro non conferisce alcuna forza, ciò che si legge deve essere
messo in pratica tutti i giorni. Senza questo, leggere è un puro spreco di tempo»,
diceva Sathia Sai Baba.
Lo stesso vale per l’Alf.
Per essere in quel dieci per cento di esseri umani che vogliono accedere alla
conoscenza, il terzo livello che si apre davanti a noi è la Grazia e nessun libro può
contenere la Grazia.
La Grazia è: attraverso il Corpo Sacro Universale, ora e qui, io conosco. È il mio
corpo che contiene tutta la conoscenza, è per il mio corpo la conoscenza, dal mio
corpo nasce tutta la conoscenza, o la conoscenza non è da nessuna parte. Il salto dal
sapere alla Grazia comporta una rivoluzione nella percezione della propria
biografia, l’inizio di una conversione energetica narrata dai Santi, dagli Sciamani,
dai Risvegliati, dai Guaritori spirituali. C’è chi, entrato nella Grazia, decide di
cambiare il proprio nome, per segnare con clamore il prima e il dopo della sua
permanenza sulla terra. È la scoperta di un corpo impersonale, che sebbene segnato
anche fisicamente dalle vicende intime e uniche della sua esistenza in terra, si
risveglia con pratiche antiche e universali, non culturali, non familiari, ma
specifiche, nel senso di appartenenti a una specie, antropologiche. Io sono Altezza,
io sono Luce io sono Flusso eterno di Energia: non è la voce dell’Ego, del Sapere è
la voce delle membra, degli organi di tutti gli esseri umani.
E più rispondo con gesti impersonali, con la pratica di una disciplina fisica
strutturata, a questioni che ritengo squisitamente personali, e meno mi identifico
con le mie afflizioni cercando risposte personalizzate, più la Grazia si fa vasta e
radicata.
La Grazia dice: c’è una cura per tutti gli Uomini e l’Uomo è la sua cura.
L’Uomo che cura tutti gli altri, l’Alf lo chiama: l’Uomo 99.9.
Solo l’un per mille del mio Dna è diverso dal tuo o dal mio vicino di casa o da
quello di un giapponese; tutti noi conteniamo l’Uomo 99.9.
Io voglio incontrare questa immagine e somiglianza tra di noi, più di qualunque un
per mille io sia. Io voglio incontrare il volto unificato; questa aspirazione comporta
continua disciplina quotidiana, cadute e rinascite, fughe e ritorni, la pratica di un
idioma unificante tanto sognato da Giordano Bruno.
Per chi la segue, è la pratica respiratoria, verbale e gestuale dell’Alf, ripetuta e
ripetuta e ripetuta sino a quando il Volto si mostra.
Nel cielo posso finalmente vedere i miei polmoni, nei fiumi le mie vene, negli
alberi la mia colonna vertebrale, nel sole il mio cervello, nel mare il mio muscolo
cardiaco: là fuori c›è tutto corpo perché altro non posso conoscere.
Se parlo è perché ho un corpo, se ho un corpo posso parlare.
È il livello di conoscenza in cui comprendo attraverso l’esperienza che la parola è
un’espressione corporea, ha una qualità fisica, materica.
La Grazia ha come effetto, condiviso da tutti i praticanti, di “sentire e vedere e
leggere Alf ovunque”, di conoscere senza sapere, come se tutto non potesse parlare
d’altro. Come se tutti i testi sapienziali, ma anche tutte le canzoni popolari e tutte
le poesie d’amore rispondessero e corrispondessero a un preciso codice. Spesso mi
trovo a dire: «Mi consigli un libro che non ho mai letto, ma che ho già scritto».
Oppure qualcuno mi chiede se mi sono ispirata a questo o a quel saggio indiano o
cinese perché dice proprio le cose che dice l’Alf. La questione grande è che l’Uomo
99.9 si insinua come Luce in tutto ciò che l’uomo scrive o canta, se l’uomo sa
leggere il codice Alf.
Non è facile confessare che la mia ignoranza conosce, e che quel nome indiano o
giapponese non l’ho mai sentito, ma ho la convinzione in cuore che la Verità del
mio 99.9 e del tuo 99.9 ci guiderà in un Punto solo.
Dalla bocca dell’essere umano, quando è in Grazia, non possono che uscire parole
di Pace, per tutti gli uomini che sente simili.
Il potere della Grazia è: il mio corpo è la conoscenza! Adesso ho compreso e non ho
bisogno di nessun maestro! Io sono il mio miglior amico e il mio maestro!
E la conoscenza può diventare solitudine e isolamento.
Chi rinuncia al potere della Grazia, non alla grazia, ma al suo potere, accede al
quarto livello.
Il quarto livello di Conoscenza scrive la parola Amore. Questo è il livello di
conoscenza universale che permette all’uomo di parlare la lingua universale, è
l’unificazione di intelligenza, sapere e grazia: è pronunciare all’unisono le stesse
parole e ricordarsi di non averle mai imparate: solo l’altro è il mio Maestro d’amore
e solo io sono il suo. Senza l’altro non avrei mai potuto salire tanto e mi offro
all’altro perché possa comprendere se stesso in amore.
A questo livello conosco attraverso il perdono, l’accettazione incondizionata e la
pazienza, che né l’intelligenza, né il sapere né la grazia offrono come svelamento.
Anzi: l’amore è l’accettazione incondizionata di ciò che intelligenza e sapere conoscono
come inaccettabile e di ciò che la Grazia non desidera.
Se non fosse così alta la prova che chiede l’amore, non così in alto sarebbe l’amore.
La parola accettazione è sacra ed eroica. Accetteresti centomila diamanti? Chi
direbbe no? Dov’è la difficoltà?
L’Uomo 99.9 contiene in sé tutte le bellezze e le meraviglie dell’umanità e i suoi
contrari, tutti i suoi contrari. L’Uomo 99.9 non è perfetto, è completo.
Solo per amore si può essere disposti a perdonare ciò che non avremmo mai
creduto di perdonare, e accogliere ciò che non avremmo desiderato mai: perché
l’amore non è intelligente e sapiente: è l’Amore.
Un figlio, un compagno, una compagna, un amico: loro sono i centomila diamanti.
La sfida che chiede questo livello di conoscenza è più alta di così. È: “Io mi amo,
amo tutto il mondo e tutto il mondo ama me”.
È un’aspirazione altissima, una vocazione paziente.
In senso pragmatico, come per gli altri tre livelli, posso sempre chiedermi: a quale
livello di conoscenza sto comunicando? Al livello dell’intelligenza? Ovvero seguo
solo la mia logica esperienziale-biografica? A livello del sapere? Mi rivolgo solo a
questo o a quel gruppo sociale? Sto parlando in grazia, tenendo conto del corpo di
chi mi ascolta come se fosse il mio? Sto parlando in Amore, pertanto è davvero
l’altro il soggetto della mia comunicazione? Siamo noi o sono solo io? Riconosco in
lui i miei stessi limiti? Mi offro a lui con i miei?
Se voglio conoscere l’Uomo 99.9, lo devo conoscere intero.
Se lo idealizzo, scivolo al livello del Sapere, se lo voglio conoscere solo attraverso la
pratica individuale, la contemplazione e la preghiera, più della Grazia non salgo.
Conoscere l’Uomo attraverso l’amore e non idealizzarlo, significa anche essere furbi
come serpi e candidi come colombi, come disse il Nazareno; ovvero accettare che
non tutti ci accoglieranno a braccia aperte se parleremo in amore. Non gridare,
quindi, «sono la gazzella» in una gabbia di leoni, non perché l’umanità sia buona o
cattiva, ma perché l’umanità è anche questa o, come direbbe Alejandro Jodorowsky,
l’umanità inconsapevole è santa quando è soddisfatta e diavolo quando è
insoddisfatta. Ovvero, se non è al tuo livello di conoscenza e non comprende, può
mordere: per paura, per rabbia, per ignoranza.
Questo non toglie che non si possa parlare in Amore, ma è più prudente farlo in un
altro luogo, piuttosto che permanere dove non siamo compresi.
Questo è il livello in cui si comunica, non per accontentare tutti, ma per chi ha
orecchie per intendere l’Amore.
Il Nazareno consigliava una procedura molto pragmatica e semplice: voi parlate
d’amore e osservate cosa accade; se non siete accolti e compresi, non cambiate il
vostro messaggio, andatevene verso luoghi in cui certamente vi aspettano, ma prima
pulitevi i calzari dalla polvere. Ovvero non portiamo con noi i ricordi e le energie
del disamore.
Il quinto livello di Conoscenza: disegnare la parola Estasi. Chi offre la conoscenza
dell’Amore alla conoscenza di sé, conosce l’Estasi.
«Beati i puri di cuore (coloro che amano) perché vedranno Dio (Mt, 5,8)».
E l’Estasi è un’esperienza di conoscenza accessibile a tutti gli esseri umani,
indipendentemente della natura della loro fede religiosa, e indipendentemente dal
credere o meno in un Essere superiore: è una caratteristica del cervello umano
riuscire a percepirsi connessi all’Universo.
La beatitudine può essere verificata da un punto di vista biologico.
Negli ultimi decenni, soprattutto a partire dagli anni Novanta, la scienza sta
facendo entusiasmanti progressi in questa direzione, ma soprattutto sta affermando
che a un organismo perfettamente funzionante, a un essere umano che ha
soddisfatto i suoi bisogni su un piano orizzontale e “terreno” non è garantita la
felicità, ovvero ogni essere umano possiede un particolare senso, il senso che esista
qualcosa più in alto, al di là del tempo. E l’essere umano cerca questo senso per il
soddisfacimento di un vero e proprio bisogno di estasi, di trascendenza.
La scienza afferma che il cervello umano è capace di sperimentare beatitudine,
estasi, gioia “indicibile” e senso di unione con l’Universo e tutti gli esseri viventi,
anche senza il sapere teologico e filosofico. Anzi. Accedere a questo livello di
conoscenza è un bisogno biologico e non (solo) frutto di un tessuto culturale,
specifico, ovvero l’Estasi non è “cultura e sapienza”, ma appartiene all’Uomo 99.9
in quanto tale; si può addirittura parlare di istinto della trascendenza come bisogno,
antropologico, da soddisfare per accedere a una Gioia esistenziale piena e compiuta.
Evelyn Underhill definì il misticismo come «l’arte attraverso la quale l’uomo
instaura una relazione conscia con l’Assoluto». Questo processo di contattare un
sapere profondo oltre la propria storia biografica o di stabilire una relazione conscia
(l’estasi non è trance ipnotica, anzi chi la sperimenta descrive uno stato di assoluta
lucidità) con l’Assoluto, non è un processo intellettivo o cognitivo, non vi si accede
studiando, immaginando o applicando rigorosi ragionamenti di analisi della realtà,
ma mettendo in atto, fisicamente e verbalmente, una qualche pratica di ascesi. C’è
parola più Alf di ascesi?
Ovvero, un “qualcosa” che faccia sentire il corpo più in Alto, (esperienza a-
gravitazionale), nella Luce (esperienza di massima comprensione della realtà
esistenziale) e in un Flusso ininterrotto di energia (esperienza di infinita
abbondanza). Come sostiene la professoressa Marialuce (interessante il nome)
Semiuzzi, medico internista esperta in medicine complementari, rigorosa studiosa
delle neuroscienze cognitive: «Tutti i trattati di mistica sono concordi sulla
necessità dell’ascesi per arrivare ai massimi gradi della trascendenza. Molto si è
detto e scritto sull’ascesi dal punto di vista morale, pedagogico, teologico… Ora si
deve comprendere la necessità di questa esperienza da un punto di vista biologico.
Ma soprattutto perché non vi si accede “normalmente”».
A questo riguardo la dottoressa ci dice che i soggetti concentrati esclusivamente
sulle proprie vicissitudini biografiche e quotidiane non riescono ad accedere con
facilità a questo stadio di conoscenza impersonale e a-biografica, come dire che chi,
anche di fronte a un tramonto pensa alle cose che deve mettere a posto in ufficio,
ovvero “non stacca”, non si eleva dalla propria dimensione gravitazionale,
difficilmente trarrà beneficio da uno spettacolo della natura che può da solo offrire
esperienza di gioia assoluta e quindi di nuova conoscenza del sé.
Un meraviglioso studio, che ha avuto grande eco internazionale sulla stampa e sul
web, della professoressa Jennifer Stellar di Toronto ci dice ancora di più sulle
emozioni “verticali e verticalizzanti”, sull’Estasi, lo stupore: ci dice che sono in
assoluto le emozioni, ovvero le esperienze fisiche, che indipendentemente dalla
cultura, dal sesso, dall’età, aiutano a proteggere e riparare il sistema immunitario.
Avevo già letto di studi neuroscientifici che confermavano il potere dell’estasi di
alleviare il dolore fisico, ma che sia proprio il sistema immunitario a chiamare la
meraviglia in suo aiuto, be’, questo mi sembra davvero straordinariamente
meraviglioso.
L’Alf propone una via pragmatica, respirazione, verbalizzazione e postura in Alf,
all’estasi, anche in assenza di tramonti e altri spettacoli della natura, anche fuori dal
tempio, anche se non credi in un Essere unificante, puoi credere nel tuo bisogno
fisiologico di accedere alla conoscenza di te stesso in relazione a tutte le istanze
viventi, visibili e non visibili, puoi soddisfare il tuo corpo impersonale, perché è il
corpo che chiede, anche per il suo stato di salute, la Meraviglia. Per i
neuroscienziati la contrattura tetanica della muscolatura (rigidità estatica) ha
meccanismi produttivi ancora oscuri; per l’Alf è la posizione verticale della Gioia,
che ha innumerevoli rappresentazioni iconografiche, rintracciabili in ogni angolo
della Terra, in ogni epoca, in ogni cultura.
Da un punto di vista verbale, si accede attraverso la ripetizione dei mantra Alf,
mantenendo la respirazione profonda e consapevole. A questo livello è possibile
ricevere “dettatura diretta di antichi saperi”, ma di questo, come dicevo all’inizio,
non ho parole per narrare. Norman Geschwind, il celebre neurologo e studioso di
neuroanatomia funzionale che riuscì a indurre stati estatici attraverso la
sollecitazioni di particolari zone lobo frontali, conferma che coloro i quali hanno
aderito alla sperimentazione «parlano di una presenza benevolente o del miracolo
dell’universo. In questo stato mentale qualcuno riferisce di sentire come una
beatitudine cosmica che rivela una Verità universale». Per quanto mi riguarda, ho la
Grazia di testimoniare che i praticanti Alf, anche coloro che non ho mai incontrato
personalmente, ma che hanno fatto proprie le indicazioni dell’Alf seguendo le mie
pubblicazioni in rete, riferiscono una o più di queste esperienze mistiche.
Al sesto livello di Conoscenza, la Luce.
Qui entriamo davvero nell’Indicibile esperienziale: la sensazione di smaterializzarsi
completamente, di Essere Ogni Cosa, in Ogni Tempo, non di appartenere
all’Universo, ma di esserlo. È l’esperienza della Quarta, Quinta dimensione. Di
questo livello si può solo scrivere poeticamente, perché allo stato attuale, mentre
l’Estasi può essere osservata, o addirittura ricreata in laboratorio attraverso
induzioni neuro-elettriche, per questo livello di conoscenza uno dei più grandi
maestri della Linguistica, Ludwig Wittgenstein, disse: «Di ciò di cui non si può
parlare, è necessario tacere». Ma quel che voglio dire, oltre a disegnare la piramide
della Conoscenza Alf e utilizzare un vocabolario volontario che sia un tripudio
scintillante di splendore, è di non scordarti mai che sei Luce, sei fatto di Luce, sei
l’essenza stessa della conoscenza. Puoi essere tu un Sole volontario. Non cercare la
Luce, offrila.
Perché io di Te, vedo solo il Sole
L’Illuminazione è Ricordare.
Qualsiasi cosa accada.
È importante vivere serenamente,
con questa convinzione:
“Io sono il sole”.
Vi possono essere giornate nuvolose,
ma il sole continua a splendere,
sopra le nuvole scure.
Anche nei momenti difficili continuate
a far brillare il vostro cuore.
(da “La mappa della felicità” Daisaku Ikeda)
CAPITOLO XIV -
SCRIVERE E PARLARE IN GRAZIA E AMORE

La frase da meditare
La mia voce ti accompagnerà.
(Milton Erickson)
Il film da scoprire
Prendimi l’anima
(Roberto Faenza)
La canzone da ispirare
È non è
(Niccolò Fabi)
Quando parlo di personaggi straordinari nel mondo della comunicazione o
dell’imprenditoria, la domanda che spesso mi viene posta è: hanno studiato Pnl?
Applicano le tecniche o sono così? La stessa domanda, ora che scrivo di Alf, mi
viene posta da chi legge, con riferimento a persone, artisti, cantautori che scrivono
in un modo specifico. Ma hanno studiato Alf, mi chiedono? La risposta è:
probabilmente, no. Ma lo fanno, Questi grandi personaggi fanno Pnl senza averla
studiata, fanno Alf senza sapere che esista. Tutto sommato, poi, poco importa.
Quello che importa davvero è ciò che tu, attraverso la presa di coscienza di quel che
puoi fare, intendi fare adesso. Che tu abbia un talento naturale o meno, l’unica cosa
che conta è mettere a frutto gli strumenti appresi e quelli che stai apprendendo,
perché ora che li conosci hai la responsabilità di divulgarli, aiutando così il più alto
numero di persone a star meglio, entrando in connessione con questa magnifica
parte del loro essere che ancora dorme. Come puoi fare? È semplice, lo hai letto in
questo libro. Da un lato, hai a disposizione l’Effetto Google. Quando parli con
qualcuno, quando scrivi una mail o quando aggiorni il tuo stato sul social di turno,
ricordati di quel che hai imparato. Chiediti: se inserissi questa parola o questa frase
nel motore di ricerca, che risultati otterrei? E poi decidi. Ci vuole disciplina, ti
avviso. Io stesso, ancora, a volte mi devo trattenere dall’istinto Boc che per anni ha
rappresentato la mia unica chiave di lettura. Ma respiro, come se fossi un Angelo, e
mi chiedo che tipo di immagine susciterò in chi legge o mi ascolta. E solo dopo
questo passaggio, parlo o scrivo. D’altro lato, ricorda che il cervello è letterale.
Prendi le metafore che utilizzi e chiediti: se un alieno senza senso, senza la minima
capacità di utilizzare metafore (che poi è come un bambino piccolo, che quando gli
dici le cose con ironia strabuzza gli occhi perché prende per buone tutte le parole
che dici, visto che l’ironia non ce l’ha) mi ascoltasse e dovesse dipingere un quadro
che descrive quel che ho detto, che quadro sarebbe?
Cioè: se io dico o scrivo che la mia giornata è stata un “disastro”, che un collega mi
ha “pugnalato alle spalle” o che la situazione è “drammatica e pesante”, che tipo di
dipinti otterrei? Quali scene tratteggerebbero questi dipinti?
E se io dico che “si respira aria di novità”, che “tutto scorre liscio come l’olio” e che
“mi sento leggero come una piuma”, che immagini disegnerebbero?
Ecco, il segreto è tutto qui. Hai, nelle tue parole, il potere di tratteggiare quadri
meravigliosi nella testa e nel cuore di chi ti ascolta. Usa questo potere.
P: Luciana, ad esempio, da anni scrivi post che arrivano al cuore delle persone.
Come fai?
L: Spesso mi viene chiesto, soprattutto dai miei contatti dalle pagine web, quale sia
la metodologia che seguo, ovvero se ciò che scrivo abbia una sua struttura
intrinseca, seguita coscientemente, se ci sia una Super guida alimentatrice: «Mi
arrivi al cuore… sento comprensione profonda… è come se mi conoscessi da
sempre… quando ti leggo mi sembra di respirare meglio, mi sento sollevare…
Anche se non comprendo logicamente quanto scrivi, comprendo a un livello più
alto che quanto scrivi mi fa bene». Questo il tenore dei messaggi che
quotidianamente ricevo in segno di gratitudine. E non c’è gratitudine che non sia
reciproca.
Il primo livello è: l’Intenzione intelligente. Io voglio generare benessere perché
generare benessere mi fa bene e mi eleva. Offro ciò che cerco.
E ciò che cerco è un corpo impersonale, universale, sano: sano significa che può
soddisfare i suoi bisogni orizzontali e i suoi bisogni verticali, sano significa che il
suo punto di equilibrio è l’incrocio tra questi due piani. Sano significa che le parole
del corpo, della mente e dello spirito formano un unico idioma Alf. Quando scrivo
è come se avessi davanti a me quell’immagine fisica, e sottolineo fisica, e la osservo.
Di cosa ha bisogno? Pjotr Elkunoviz consiglia agli allievi di studiare l’anatomia
umana, di consultare un atlante anatomico per imparare il linguaggio della
guarigione e della salute fisica che è lo stesso dell’anima.
La Piramide Alf dice: a quale livello stai scrivendo? Un buon modo per verificare se
stai scrivendo al corpo 99.9 è: se lo leggesse un antico romano, lo capirebbe? E se lo
leggesse un’amazzone? È un messaggio legato alla cronaca o al sapere, è legato
all’emergenza di un bisogno di un’emozione orizzontale o è un messaggio che può
superare tempo e spazio? Dopo oltre settecento anni leggiamo e comprendiamo per
esempio le poesie del mistico turco-persiano Rumi:
Là fuori
al di là delle idee di falso e giusto
c’è un vasto campo:
come vorrei incontrarvi là.
Quando colui che cerca raggiunge
quel campo
si stende e si rilassa:
là non esiste credere o non credere.
Qui c’è un corpo! Lo vedi? Lo senti? È importante mimare le cose che scriviamo, è
un segreto di sceneggiatori e drammaturghi: le parole scelte devono essere coerenti
con i movimenti che si vogliono inserire nella scena. Invece troppo spesso siamo
concentrati sui primi due livelli della piramide, logica e informazione, ovvero
sapere. Ma questo non basta a creare un’emozione eterna. E ciò che è eterno
soddisfa un bisogno verticale di trascendenza, che come abbiamo detto è reale,
fisico, di tutti gli esseri umani. L’espressione “senza tempo” è spesso abbinata a
qualcosa di molto prezioso! Ecco, facciamo in modo che le nostre parole meritino
questa espressione, soprattutto se sono parole che vogliono motivare, coinvolgere,
stimolare.
A questo Corpo 99.9 diamo ossigeno, perché è la prima esigenza di un corpo:
usiamola, la parola respiro! Ampio respiro, dare respiro, “respiriamo a pieni
polmoni questa bell’aria di novità!”. Tutti lo possono scrivere quando annunciano
dei cambiamenti. Questo è già scrivere a livello di Grazia. “Spalanchiamo le porte
all’innovazione!”. Facciamo una prova: come stiamo respirando mentre scriviamo?
Il primo corpo che riceve il messaggio è il nostro: proviamo a dare ossigeno al
sangue per farlo diventare più luminoso. Quindi gli spazi che citeremo saranno
vasti e aperti, le metafore avranno cieli spalancati, prati, primavere, orizzonti
sconfinati, nuovi orizzonti, vele spiegate al vento: “Vuoi entrare in un nuovo spazio
di consapevolezza, vuoi aprirti a nuova conoscenza e respirare nuova
consapevolezza?”.
È incredibile quanto il verbo respirare possa essere adottato praticamente in unione
a qualsiasi oggetto o immagine metafisica. Respirare novità, respirare amore,
respirare ospitalità. Adesso, nell’ascoltarmi, senti come la mente conscia non pone
alcun veto a questo. Sai perché? Perché la sopravvivenza è più importante di
qualsiasi logica! È come se il corpo 99.9 dicesse: dammi ossigeno e chiamalo come
ti pare! Ciò che conta è che la parola che segue il verbo sia “emotivamente
desiderabile”. Così come il verbo dissetarsi o nutrirsi! Da un punto di vista
puramente logico dovrebbe essere seguito solo da acqua e cibo! Ma non è così.
Disseta e nutri chi ti ascolta! Questo è scrivere al livello della Grazia: col corpo
conosco, col corpo capisco.
Lo scenario naturalistico metaforico può rappresentare quindi un giardino con
alberi da frutto, lussureggiante, con acqua che scorre; oppure essere la metafora
narrativa di un raccolto copioso; può contenere “il pane”; può prevedere di tuffarsi
in un mare pescoso; avere la parola abbondanza, che per il corpo è ancora cibo.
Offriamo soluzioni al corpo.
C’è chi mi dice: io non sono un poeta! Non importa! Anzi, i poeti scrivono già in
Alf, ma non è detto che siano consapevoli di utilizzare un idioma unificante.
Chiunque di noi può seguire un corso di disegno e applicandosi imparare le
tecniche base, o imparare a suonare uno strumento musicale: con molta disciplina
dipingerà una mela dal vivo e suonerà il violino!
Ai praticanti dico: meglio meno che più, si comincia esercitandosi a togliere parole
Boc, piuttosto che inserirne volontariamente di Alf.
Per esempio prendiamo la formula “Ci scusiamo per l’inconveniente”: troppo Boc!
Per esempio, parliamo di un ascensore: piuttosto che: “Guasto” è meglio scrivere
sul cartello: “Non funziona”. E magari: “Verrà riparato il…, grazie per la
collaborazione”. Passare direttamente alla soluzione: il problema è noto a tutti e che
non sia piacevole è implicito. La questione è fornire più soluzioni possibili! Questo
è un piccolo-grande esempio che chi vuole può espandere anche a grandi
comunicazioni!
P: La scorsa estate, a Parigi, sono rimasto affascinato dall’uso, a noi italiani
praticamente ignoto, di scrivere cartelli molto più Alf dei nostri, quando si parla di
ferie. Qui in Italia è tutto un florilegio di “Chiuso per ferie” (molto Boc). A Parigi
ho letto molti cartelli recanti la scritta “Di ritorno il…”. Quanto è meglio?
Tantissimo!
L: Proprio così. Non ci vuole poi molto, se ci pensi. Piuttosto che borbottare: è
finito il latte! Meglio chiedere: chi compra il latte? Passare quanto prima alla
soluzione, sia nel dialogo che nella comunicazione scritta. Non solo con gli altri,
ma anche con noi stessi, si intende. C’è sempre un corpo che ascolta e questo corpo
non vuole “coaguli”, vuole… “soluzioni”.
Quindi, se leggiamo un articolo che ci inquieta e vogliamo esprimere la nostra
opinione scrivendo a nostra volte dell’argomento trattato, non scriviamo della
nostra inquietudine, perché non faremmo altro che alimentarla e generarne in
chiunque ci legga. Scriviamo della soluzione che vorremmo vedere nella nostra
società: descriviamo il sogno fattibile.
Se c’è ingiustizia, parla di giustizia. Se c’è guerra, racconta la pace. Se c’è malattia,
parla di guarigione: questo recita una massima Zen senza tempo.
Tutto per tenere il Corpo 99.9 in massima sicurezza ed equilibrio.
Se la mia comunicazione vuole accompagnare, sostenere, guidare qualcuno ad
agire, a muoversi verso un obiettivo, devo usare metafore che parlino di un
cammino sicuro, di una strada spianata, di scenari entusiasmanti, di vette
premianti: “Non sarà facile, ma il panorama che potremo ammirare dall’alto dei
nostri risultati sarà splendido!”. La parte del corpo più coinvolta sono infatti le
gambe. Non a caso le gambe, energeticamente parlando, fanno male “quando non
riusciamo a raggiungere i nostri obiettivi”. Il corpo immaginario cammina,
cammina, ma non arriva mai. Quindi, scrivere nella Grazia a chi vogliamo
accompagnare in un per-corso rivela cura e amore degli arti inferiori del lettore: vi
seguiremo passo dopo passo, vi saremo accanto, vi sosterremo, vi porteremo a…
Se il testo coinvolge qualcuno in un processo creativo è importante tenere in
sicurezza le funzioni biologiche della zona genitale del corpo del 99.9.
Le parole saranno figlie e figli, perché creare è proprio riprodurre, concepire,
partorire. “Sarà come un figlio da crescere insieme”. Unione, nascita, rinascita, un
nuovo progetto che viene alla luce, accoppiata vincente, rapporto fruttuoso, innesto
di idee, piacere reciproco, seminare con gioia, un’esplosione di idee, una fonte
zampillante, un vulcano di idee. La creatività ha bisogno di calore, di seme, di
fusione, di movimento e di profondità. La metafora sessuale è vita nuova, è
generare, fiorire, “poter godere di una nuova opportunità”. E ancora, avvolgere,
coinvolgere, “aprirsi liberamente”, “spogliarsi di vecchi schemi”, “mettersi a nudo”,
“un crescendo di emozioni”, “comprendere profondamente”, “inserirsi con gioia in
un nuovo progetto”, “spingere verso nuovi orizzonti”, “penetrare nuove frontiere
con la forza delle nostre convinzioni”, “proposta seducente”, “accogliere con
calore”, “fremere per l’attesa”, “lasciarsi andare”, “invogliare con succosi contenuti”.
Chi crea fa l’amore con “qualcosa” che gli darà un figlio. La ferita della creatività è
una ferita sessuale. La Ri-nascita della creatività, non posso proprio dire
diversamente, è una rinascita sessuale.
A livello energetico è la zona genitale il centro delle nuove idee: io creo il mondo e
ne sono creata. Sostiene Alejandro Jodorowski: «Non cercate il nuovo nel
ragionamento, perché il nuovo nasce dall’Eros, da un rapporto erotico con la Vita».
Non dimentichiamo l’Eros, femminile e maschile, in ciò che scriviamo.
Questa è Grazia.
È grazia anche aver cura della pelle di chi ci legge in termini Alf: tutto ciò che
concerne una comunicazione che ha come oggetto la protezione, in senso lato o
stretto, concerne l’epidermide del Corpo universale, carezzevole, morbido come
velluto, come seta, come una piuma, sicuro, avvolgente, resistente, forte. E ancora:
elasticità, integrità, trasparenza, resistenza, arginare, rimarginare, profumo,
fragranza, cura, accurato tocco, contatto.
È grazia aver cura (ricordo che secondo alcuni, cura ha la stessa radice etimologica
di cuore) di tutto l’apparato digerente e delle funzioni metaboliche. Quando
offriamo, anche un’idea, che questa sia buon cibo: assimilare, trasformare, produrre
nuova energia, nutriente, ricco di nuovi elementi, leggero, squisito, squisitamente,
“il buon sapore di una novità”, dolce, dolcezza, sostanzioso, “il gusto di stare
insieme”, “assaporare nuovi concetti”, abbondanza, freschezza. E abbondiamo con
la parola sano, salute, salutare, salubre!
“Sani principi… è sano affermare che… per la buona salute del nostro accordo…”.
È talmente importante la parola salute che, anche in questo caso, il livello logico
non può vincere sull’istinto di sopravvivenza. Una sana lettura, una sana riflessione,
un sano momento di confronto.
Abbondiamo, fa bene a noi e fa bene a chi ci legge, a chi ci ascolta.
Il corpo universale 99.9 è letterale e ha bisogno di lettere d’amore e cura.
Ricordiamoci che il fegato ama parole che hanno a che fare con la purezza,
purificare, la pulizia, “scegliere il buono”.
L’intestino vuole che il “percorso sia facile, scorrevole, diretto all’obiettivo”.
Il cuore? Tutti sappiamo quanto sia importante pulsare per la vita. Il cuore è la
musica della vita. Il ritmo, la melodia, la sinfonia, il primo suono che ricordiamo.
Tutto ciò che è musica è cuore, oltre a tutte le metafore dell’amore sentimentale,
s’intende. Queste sono parole di Pace per il corpo, come ci dice la piramide della
conoscenza. Parole universali ed eterne di guarigione, chiedono che si parli e che si
scriva con Amore, Estasi e Luce.
P: Dici cose importantissime e meravigliose. E mi fai riflettere sulla responsabilità
che tutti noi, praticanti e no, abbiamo. La tecnologia, oggi, ci ha fornito una cassa
di risonanza senza precedenti. Le nostre parole volano da una parte all’altra del
globo. Siamo collegati gli uni agli altri, nella rappresentazione fisica del grande
inconscio collettivo di cui parlava Jung. Io scrivo, il mondo legge. E questo mi
mette nella posizione di pensare a quel che scrivo. Di pensare ai link che condivido,
di filtrare le mie idee fino a farle diventare parole buone. Di scrivere con amore e di
pensare che c’è sempre qualcuno in ascolto, qualcuno che legge, qualcuno che vivrà
l’emozione fisica suscitata dal mio dire. Per assumersi questa responsabilità, devo
essere amore. Devo pensare con amore e, con amore, metter mano alla penna.
L: L’amore è riuscire a scrivere senza alcun conflitto e a nome di tutti gli esseri
viventi. Scriverei ciò che ho scritto anche all’amato, all’amata?
Immaginiamo di inviare per conoscenza i nostri scritti alle persone a noi più care.
Io immagino che ciò che scrivo lo possano leggere i miei figli e i figli dei miei figli:
scriverei ancora le stesse cose?
A volte, rileggendo mi rispondo: no! Ma quante cose imparo da quel no.
Scrivere a livello dell’amore non è facile, ma quando succede anche persone
sconosciute ti scrivono: sento di volerti bene! E questo è un momento che
accompagna all’Estasi. Anche grandi personaggi dell’industria, dell’economia, della
politica sono riusciti a lasciarci messaggi d’amore. Un messaggio d’amore è
ultrapersonale e la verifica è la sua resistenza al tempo e allo spazio, al credo
religioso e alla cultura, al sesso e all’età. La sua motivazione più profonda è: io amo
l’umanità. Non so se si possa davvero insegnare, ma si può risvegliare quell’istinto
al bene e alla comunione tra gli esseri viventi, magari con domande.
Se io fossi su un altro pianeta, scriverei queste cose alla Terra?
Se questo fosse l’ultimo giorno della mia presenza terrestre, scriverei le stesse cose?
Se io avessi appena vinto cento milioni di dollari, o scoperto la panacea delle
panacee, se io avessi vinto il Nobel per la scienza o per la pace, o per la scienza della
pace, scriverei le stesse cose?
Se ciò che scrivo rimanesse per sempre nelle antologie degli studenti delle scuole
elementari di tutto il mondo, scriverei le stesse cose?
L’Estasi e la Luce è riuscire a scrivere a nome, non solo di tutti gli esseri viventi, ma a
nome di tutte le cose. È livello di separazione Zero.
È riuscire a scrivere dal punto di vista del Sole o di qualsiasi altra stella.
È riuscire a scrivere sapendo di essere Luce immortale.
Ma nell’attesa di arrivare a questo livello di conoscenza, che i padri dei padri ci
promettono come possibile, vivifichiamo i nostri messaggi con parole che
illuminino, con tutto ciò che ricorda la Luce, la Meraviglia, lo Stupore, la Gioia
infinita. I poeti e i cantanti già lo fanno.
Possiamo farlo anche noi. E la meraviglia suprema è che possiamo farlo subito.
TROVA LA GIOIA INTORNO A TE
Una eccellente pratica, che ti permette di concentrarti su quanto Alf è intorno a te,
è quella di trovare tematiche, metafore o parole Alf intorno a te. Ti assicuriamo che
quanto segue è un eccellente, oltre che piacevolissimo, esercizio.
Cerca canzoni che ritieni possano essere Alf. Ascoltale, o guarda i video, e divertiti a
cercare quanto Alf c’è in ognuna di queste canzoni. Poi scrivile qui sotto. È un
esercizio utilissimo per la mente, per il cuore, per il tuo Corpo Sacro.
Buon divertimento!
.............................................................................................
.............................................................................................
.............................................................................................
.............................................................................................
.............................................................................................
.............................................................................................
.............................................................................................
.............................................................................................
.............................................................................................
.............................................................................................
.............................................................................................
.............................................................................................
CAPITOLO XV -
IL CODICE DELLA VITA: LA MATRICE ALF

La frase da meditare
L’anima aiuta il corpo e in certi momenti lo solleva.
È l’unico uccello che sostenga la sua gabbia.
(Victor Hugo)
Il film da scoprire
La profezia di Celestino
(di Armand Mastroianni, dal libro di James Redfield)
La canzone da ispirare
Love is all around
(The Troggs)
Quello che manca a molte persone è la consapevolezza, la propriocezione, non
soltanto fisica come il termine lascia intendere, ma energetica e mentale. Viviamo
addormentati, l’abbiamo detto molte volte. E, nello stato di sonno, è davvero
complicato rendersi conto di quel che facciamo, di come pensiamo. Perciò, a
suggello di questo percorso, abbiamo pensato di offrirti un dono prezioso, amico
lettore che ci hai seguito fin qui. È la matrice Alf-Boc, ideata da Luciana e che io,
d’istinto, ho definito il Codice della vita. Perché di questo si tratta. La vita è un
flusso da Boc ad Alf o viceversa, ed è un continuo muoversi e spostarsi lungo questa
meravigliosa linea direttrice.
Immagina di avere da te una mappa del mondo, anzi dei mondi. Di questo
universo e dei mille altri di cui ancora non ti ricordi. Immagina, ora, che su questa
mappa incredibilmente vasta e bella si accenda una luce. Sei tu. Quella luce indica
la tua posizione, ora. Immagina, ora, di chiudere gli occhi, trarre un profondo e
gratificante respiro, di riaprire gli occhi, rinnovato, e di puntare il tuo dito indice su
un punto di questa mappa. Quello è il punto in cui puoi andare, se vuoi. Puoi
scegliere dove andare. Finora, probabilmente, hai vissuto di direzioni. Questo si fa e
questo no. Questo si dice e questo no. Di questo puoi ridere e di questo no. Questo
lo puoi mangiare e questo no. Questo è bello e questo è brutto. Ora puoi scegliere.
La mappa dei mille mondi è lo spazio dentro e lo spazio intorno. Se chiudi gli
occhi, vedrai con chiarezza il luogo. E se ti tapperai le orecchie, sentirai la direzione.
Ecco, la matrice è tutto questo, e anche di più. Ti permette di sapere dove sei,
quando, e come. E ti permette di osservarti dall’esterno, come un punto su una
meravigliosa mappa. E ti permette di decidere il dove, il come e il quando. La
prima volta che l’ho vista, abbozzata nel disegno di Luciana che trovi qui sotto, ho
pensato che si trattasse del segreto per essere liberi. Poi l’ho usata, e ho capito che è
molto, molto di più. È il segreto per ricordarsi di come si fa a essere, di nuovo e
finalmente, liberi. È tua, adesso.

P: La mia sensazione è che qui siamo di fronte a un codice, ovvero alla possibilità di
comprendere perfettamente di che tipo sono le nostre azioni e i nostri pensieri e,
quindi, di agire per il meglio. La tua matrice è molto importante, da questo punto
di vista. Di Alf e Boc abbiamo parlato tutto il libro. Hai spiegato con grande
chiarezza cosa sia Alf e cosa sia Boc. E come si viva in Alf e come si viva in Boc.
Ora ti chiedo di parlarmi di Non Boc e di Non Alf, per completare questo
meraviglioso, è il caso di dirlo, quadro quadrato. La tua matrice.
L: La Matrice Alf-Boc è uno strumento potentissimo di auto orientamento
respiratorio, verbale, posturale.
Nello stato d’animo Boc (depressione, disperazione, mancanza di senso
esistenziale), l’organismo suggerisce parole che contengono il corpo in un ambiente
a-terrestre privo di Luce, acqua, fino ad arrivare alla percezione di mancanza di
ossigeno e all’impossibilità di movimento, attratto in un campo gravitazionale
molto potente. In questo ambiente il corpo non ha le risorse per sopravvivere.
Nello stato d’animo Alf (estasi, gioia, senso di unità con l’Universo), l’essere umano
descrive la flora e la fauna dell’Eden, percorso e bagnato dall’acqua in un orizzonte
diurno, a livello terrestre e a livello Celeste, un Universo a-gravitazionale abitato da
stelle e pianeti luminosi, tra i quali si può muovere liberamente. In questo ambiente
il corpo non ha bisogni da soddisfare e vive nell’abbondanza.
Questi sono da intendere come due estremi ideali di un modello bipolare di
rappresentazione della realtà. Per semplificazione, chi pratica la disciplina dice: mi
sento Boc o Alf. Di fatto, scorriamo lungo questi due opposti semantici ed
energetici, in una vibrazione senza soluzione di continuità. Simbolicamente, mi
piace pensare al bastone di Esculapio.

La domanda fondamentale per l’auto orientamento è: quanto ti senti Alf da 1 a 10


oggi? È un test di autovalutazione opposto al ben noto test di autovalutazione del
dolore: quanto ti fa male, quanto ti senti male da uno a dieci?
Quanto ti senti Alf è la prima domanda che formulo e la pongo in questi termini:
quanto ti senti Leggero da 1 a 10? Luminoso? Fluido, morbido nei movimenti? È
tale da essere notato che, riferendomi a un linguaggio antropologico universale, a
queste domande si riceve sempre risposta e si aiuta l’allievo a innescare un processo
di ascolto che amplia il concetto di “come stai”? Pensaci anche tu, adesso: quanto ti
senti leggero, da 1 a 10, oggi? Quanto ti senti stabile? Quanto eretto? Quanto
luminoso? Quanto agile?
Sostiene il cineasta Jean-Luc Godard che «è inutile che le passioni ci sconvolgano:
la sintassi non si lascerà mai corrompere».
Io specifico: la sintassi del nostro corpo. Per quanto io mi senta all’oscuro, appunto,
per quanto io creda di essere un enigma per me stessa e l’universo, il mio corpo
esprime chiaramente una sua grammatica, segue una sua sintassi. E questa sintassi
ha regole universali transpersonali che ognuno di noi può apprendere dall’auto-
osservazione respiratoria, posturale, verbale. Nulla di così strettamente personale tra
noi e la vita. E questa è grazia.
È tempo di smettere di contrapporre le nostre parti. È tempo di non separare più
linguaggio logico ed emozioni, mondo cognitivo e mondo emozionale, è tempo di
porre fine alla dispotica separazione, tra mente, passioni e anima.
Anche Carl Jung sostenne che in tutta la sua carriera non aveva incontrato un solo
paziente che non presentasse un problema individuale che non si riferisse al sentirsi
unito a un’anima universale. Un problema di “senso”, ma a sopportare la mancanza
di senso non è una sorta di immaginazione insensibile e imperturbabile, è il Corpo
con le sue curvature vertebrali verso il basso, e a esprimerlo è anche il linguaggio
logico che dice “Questo traffico è insopportabile”. Il clamore dell’Alf è: quando avrai
trovato un senso verticale alle cose orizzontali delle quotidianità, tutto supporterai. Il
clamore dell’Alf è: tutto ciò che dici del traffico, lo dici alla tua schiena. E tutto ciò che
dici alla tua schiena lo dici alla tua anima. Questa è la rivoluzione Alf. Ci sono
molte discipline energetiche che si occupano della grammatica del sintomo, che
consigliano di non dire più “sento un peso sulle spalle”, quando si racconta della
propria schiena, ma l’Alf dice: la tua schiena è ovunque.
Così, se leggi sul quotidiano “crollo delle borse”, sappi che un po’ la tua schiena si
piega. Così, quando racconti della pesantezza del carattere di un collega, o del
fardello esistenziale che si porta addosso questa o quella persona. È ancora la tua
schiena che parla di sé. Non c’è separazione tra linguaggio verbale e linguaggio del
corpo. Ed è il momento di prenderne piena coscienza.
Non c’è proprio nulla che si ferma all’interno del nostro cervello, e nulla che si
ferma tra cervello e corpo e nulla che si ferma tra cervello, corpo e anima. Tutto è
dappertutto.
“Dovete ficcarvelo in testa” era una delle espressioni preferite del mio professore di
matematica, che delle sue emicranie (guarda caso) non faceva alcun mistero. Se
avesse detto: dovete accogliere questa legge o teorema o regola, avrebbe sofferto
meno e, aprendo l’energia del cuore, sono certa che ci avrebbe dato voti più umani.
Chi vive nell’inconsapevolezza verbale pensa ancora che le parole siano ectoplasmi
concettuali che arrivano da un universo simbolico astratto, giochi di luce sul muro,
che al tocco mostrano tutta la loro inconsistenza. Chi entra nella consapevolezza Alf
vive la parola come un gesto fisico, che è nel corpo per il corpo. Crede nel potere
curativo della parola, pratica la disciplina respiratoria e posturale, perché riconosce
che anche da una buona respirazione, anche da una cosciente partecipazione al
gesto fisico, nascono parole Alf. Infatti, quando si è in salute e gioia, le parole Alf
sono spontanee.
Tornando alla nostra matrice, l’idea che una persona sia Alf o non Alf, Boc o non
Boc, è puramente descrittiva e a scopo divulgativo. Il quadrante si riferisce a
ognuno di noi, in diversi momenti della sua esistenza, a volte persino nella stessa
giornata. Il quadrante può essere anche utilizzato per l’interpretazione di testi
scritti. O per la preparazione di testi scritti. È una vera e propria bussola energetica.
In quanto semplificativa della realtà, non sceglie l’analisi ma la sintesi. Ognuno di
noi, all’interno della sua matrice, può aggiungere, nel suo percorso di pratica e
consapevolezza, parole e riflessioni. Non si può chiedere alla matrice di essere più
semplice di così, ma si può complicarla a proprio piacimento.
P: Cominciamo dal quadrante in basso a destra, in questa matrice, quello definito
NON BOC. È il quadrante IN AVANTI, IN BASSO. Quando mi trovo in questo
quadrante, agisco senza gioia. Le emozioni orizzontali sono attive. Le emozioni
verticali non sono attive. Poi?
L: In questo quadrante non mancano le soddisfazioni da un punto di vista
orizzontale: relazioni, sesso, lavoro. L’Alf dice: vai in avanti, ma non sali.
Qui, il soggetto accede alla soddisfazione dei suoi bisogni primari ed emozionali.
Può essere anche un soggetto che riferisce che “si sa godere la vita” che fa “tutto
quello che vuole”. Anzi, racconta di un bisogno sempre maggiore di emozioni “che
appena vissute, non lasciano niente”. Questo niente è l’assenza di esperienze
emozionali verticali. Che può portare a emozionalismi, più che al vivere le
emozioni. Ed è espresso con un “Niente mi basta. Voglio di più. Valgo di più”.
Più cose, più soldi, più stima, più sesso, più tempo, più conoscenza. Più.
È un più che raramente ha un corrispettivo numerico finito e verificabile,
altrimenti non sarebbe un più. Ma un qualcosa. Quanti soldi? Di più. Quante
scarpe? Di più. Quale conoscenza? Di più. È un più squisitamente orizzontale che
non è, meglio specificarlo, supportato da un “perché” verticale. Se ti piacciono le
scarpe, è meglio dire: 164 piuttosto che “di più”. Il cervello è letterale e
matematico, funziona meglio se gli dici quanti oggetti contare, questo lo sa bene la
Pnl. L’Alf aggiunge che è meglio indicargli anche una computazione verticale: mille
stelle, 7 costellazioni, 3 lune. Perché raccogliere i frutti del proprio lavoro è buona
cosa, ma raccogliere è tenere la testa bassa. Per cui è meglio dire: veder brillare, come
una nuova stella, i propri traguardi raggiunti.
In questo quadrante l’obiettivo, orizzontale, è più importante della causa, verticale.
Manca la connessione al senso Alto dell’agire. L’agire ha come unica vocazione
l’utilità. A cosa mi serve? Mi serve? Tenere o buttare? Einstein affermò che la
domanda “a che cosa serve” avrebbe svilito la ricerca e la scienza. E l’uomo. Anche
perché di fronte a questa domanda le cose, che non sono cose, più belle della vita
non possono rispondere. A cosa serve un quadro? Una poesia? Il profumo di un
fiore?
Gurdjieff affermò qualcosa di molto più potente e forte, ovvero che l’uomo può
vivere solo alcuni minuti senza respirare, qualche giorno senza bere, un po’ di più
senza mangiare, ma un corpo che non riceve alcuna sensazione di bellezza, che non
può aggrapparsi neppure a un grammo di meraviglia, muore all’istante. Quindi,
rallegriamoci! Se siamo qui, un po’ di meraviglia ce l’abbiamo! Non
dimentichiamoci di inserire sempre qualcosa di inutile, leggero e profumato in ciò
che diciamo. Una rosa sta bene ovunque.
A questi livelli c’è apprezzamento per i piaceri della vita (emozioni orizzontali
attive), ma non la gioia di vivere nel qui e ora. Il tempo ha due sbarramenti: mai e
sempre. “Questo non lo farò mai”, “Si è fatto da sempre così”. Le aziende Non
Boc, perché anche le organizzazioni si possono rappresentare in questo schema,
aggiungono: “Alla fine ciò che conta è il fatturato”. Se fosse una famiglia sarebbe:
“alla fine ciò che conta è mangiare e dormire”.
Manca qualcosa di fondamentalmente verticale: come?
Qui manca la gioia. Perché ciò che conta di più è produrre valore (economico,
finanziario, relazionale) con gioia. E tu lo sai e lo fai, anche con la tua iniziativa
“Solo business felici”.
Gioia: capacità di percepire gli opposti, i contrari e i paradossi della vita in un
unico flusso che comunque guida verso l’Alto. Gioia: prontezza al sorriso e alla
leggerezza, senso dello humour e libertà dal giudizio. Gioia: capacità di cogliere,
abbracciare, assaporare la preziosità infinita dell’attimo presente. Gioia: capacità di
immaginare conseguenze benevole delle proprie azioni compiute oggi, anche per le
prossime venti generazioni e goderne subito. Gioia: capacità di unificare piano
materiale e spirituale in un unico gesto concreto. Gioia: capacità di mettere sempre
in discussione tutto senza fissarsi e irrigidirsi; su le braccia, perché senza gioia la
schiena “non ci può stare”. Gioia: liberarsi dal dolore del passato, rinunciando a
correzione e perfezione, accogliendo la completezza dell’esperienza umana. Gioia:
rinunciare ai dolori e agli sbagli del passato, perché, tranquilli, ce n’è anche per il
futuro, ma sapremo cosa fare. Gioia: strappare il curriculum emozionale, con le
performance da vittima, carnefice e salvatore, rinunciare a narrarsi, perché ciò che è
vero sia qui, nella rappresentazione fisica di tutto ciò che siamo. Gioia: la vita, nella
sua essenza spirituale ed energetica, che è qui da vedere e da toccare.
Ecco alcune espressioni Non Boc dalle quali puoi riconoscerti: “Non va malaccio,
potrebbe andare peggio, si tira avanti, non dico che non mi fidi degli altri, non dico
che non sto bene, non dico che va tutto male”... Per questo l’ho chiamato Non
Boc: Perché è, nella sostanza, “non mi posso lamentare”. Ma il corpo può (e lo fa)
e, a questo livello, abbiamo tutti i sintomi del quadrante Boc: abbiamo tutti i
sintomi che hanno a che fare con basso, schiacciato, compresso, oscuro, nel senso
anche di sangue poco ossigenato e luminoso, respirazione superficiale, circolazione
deficitaria, tensioni muscolari, calcoli renali e biliari. Anche se a un’intensità
minore rispetto al quadrante Boc.
A questo livello c’è anche abbondanza di espressioni del tipo: “So che non dovrei…
So che farei meglio a fare questo o quello… So bene che le cose vanno in questo
modo”. Siamo infatti al livello di intelligenza e sapere, seguendo lo schema della
piramide della conoscenza. Latitano o sono del tutto assenti le espressioni: Provo…
Sento… E va da sé, è tale da essere notato che il linguaggio è (quasi del tutto) privo
di quelle espressioni di Altezza, Luminosità e Fluidità dell’Alf.
“Tu sei Altezza, Luce e Flusso d’energia” è come si definisce un corpo vivo in gioia,
non uno spirito aleggiante nell’etere, ma quando siamo nel quadrante Non Boc,
non lo sentiamo perché non lo viviamo, e tentiamo di comprenderlo attraverso un
ragionamento, il che è proprio la tentazione delle tentazioni Boc!
“Io sono energeticamente unito all’Universo” non può essere compreso leggendo
questa frase, perché è una deduzione sensoriale a cui si arriva praticando fisicamente
l’Alf. Equivale a scrivere “Questo gelato sa di cioccolato e pistacchio”. O so che
cosa siano per la mia bocca il cioccolato e il pistacchio o questa frase è vuota. Ma se
sono così brava a dirti quanto siano buoni, chissà, forse ti invoglio ad assaggiarli.
Per non dire poi quando avrai la grazia di ricordarti che già conosci tutti i sapori del
mondo.
P: In alto a sinistra c’è il quadrante NON ALF, che è il quadrante INDIETRO,
IN ALTO: Sono in gioia, ma non agisco.
L: Nel quadrante Non Alf ci sono le emozioni orizzontali non attive e le emozioni
verticali attive. Definisco il soggetto Non Alf la statua immacolata che si isola dal
mondo, leggendo nella materialità qualcosa di minaccioso per la sua salvezza
spirituale e morale. Ha intellettualizzato e moralizzato la gioia e l’estasi. Il mondo è
un luogo di perdizione e solo pochi possono accedere alla conoscenza dello spirito,
ma soprattutto lontano – ecco perché indietro – dai bisogni, dalle emozioni e dalle
soddisfazioni orizzontali. Il mondo mi ha tradito, deluso: mollo tutto e vado via.
Via, può essere anche nella propria città, ma in questo quadrante energetico si
rischia l’isolamento per coltivare la gioia della meditazione e della preghiera. I soldi
sono sporchi, l’azione inutile, il cibo solo una necessità. Anche la cura e l’igiene
personali possono essere scarsi, proprio per questo distacco dal radicamento
terrestre. Potremmo dire a buon titolo: Troppo Alf! Spesso i soggetti che
permangono a lungo in questo quadrante hanno problemi ai piedi e all’equilibrio.
Sono sbilanciati in Alto. Il loro vocabolario potrebbe ingannare: parlano di luce, di
amore, di metafisica, di unione universale, di fratellanza cosmica, ma non è così.
Possiamo diventare quel Giuda che si lamenta con gli altri apostoli delle spese che il
Nazareno sostiene per i suoi profumi! Ma come, non dobbiamo dare tutto ai
poveri? Perché dobbiamo profumarci?
È un soggetto rancoroso: denuncia le ingiustizie e le superficialità del mondo, ma
nutre un desiderio più o meno cosciente di miserabilità diffusa. Può esprimere
rabbia infantile e disarticolata. Non dà valore energetico positivo ai piaceri della
vita. Utilizza la tecnologia, ma ne è diffidente.
Dice: «Non ho bisogno di niente perché niente ha importanza».
Non è nel flusso, nell’accettazione incondizionata dell’uomo adulto risvegliato, che
ben consapevole dell’alternanza tra giustizia e ingiustizia, dolore e gioia, sceglie
deliberatamente a cosa dare energia. È quel pericolo della grazia narrato nella
Piramide: la grazia deve evolvere in amore incondizionato, sospensione del giudizio,
o non saliremo sulla scala della conoscenza. Che non siamo saliti lungo la scala
della conoscenza ce lo dice il corpo, che è sempre Verità irraggirabile e risponde
inequivocabilmente alla domanda: “Come stai oggi?”.
Ha una vera e propria ossessione per l’Ego e la superficialità, degli altri ovviamente.
Per questo non è ancora in Alf, perché l’Alf chiede anche azione immediata e
affidarsi agli altri con gioia. L’Alf non ha nemici, semplicemente si sposta quando si
rende conto che il suo messaggio non è accolto.
Il Non Alf è l’uomo (o la donna, certo) delle prediche al mondo: giudica,
condanna, sentenzia, dall’Alto delle sue intuizioni spirituali, che sono senz’altro
genuine e autentiche, ma mancano di quella capacità seduttiva e trainante che
possiede l’Uomo che ama l’uomo nella sua interezza.
Non è risvegliato perché non ha percezione cosciente che nel “colpire” gli altri con
le sue parole, le sue parole fisicamente ricadono su se stesso. La sua non è la “rabbia
divina” descritta da Lowen: rapida come un temporale e circoscritta alla difesa della
Verità nel tempio, ma è, posso dire, anonima e generalizzante. Ce l’ha con tutti e
prevede, o meglio, desidera una nemesi di tipo energetico.
È possibile nell’arco della giornata passare da un quadrante all’altro? Sì.
P: Quindi, questa divisione in realtà non c’è. Come dicevo prima, si tratta di un
flusso. A questo punto, un flusso fra tutti e quattro i quadranti. Avanti e indietro.
Emozioni orizzontali ed emozioni verticali. È così?
L: Solo a scopo divulgativo possiamo tenerli separati. Solo a scopo divulgativo
possiamo parlare prima di uno e dopo dell’altro: io dico che un uomo affamato ha
bisogno di cibo. “E” di una carezza. Questo è il Tao. C’è più umanità in quella “E”,
che in tutte le parole che io possa pronunciare. Quella “E” mi fa ricordare che chi
ha fame non è un animale, che comunque avrebbe diritto di cura, è un uomo.
Leggi nella parola cibo il piano orizzontale nella parola carezza il piano verticale,
che è il perché del cibo.
Nessuno può dimenticare il piano verticale, che instancabilmente ci dice: ehi, ti
ricordi di alzare metaforicamente e non metaforicamente gli occhi al cielo? Ogni
mattina il piano verticale ci sveglia e ci chiede: «Buongiorno, cosa mi stai facendo?
Cosa mi hai fatto?». Più che chiedercelo, ce lo dice proprio fisicamente. Quanto ti
senti Alto, Luminoso e nel Flusso, lo decide lui. E non lo inganni né con una, né
con tre brioche, o lavorando tutto il giorno persino per il bene della gente! Neppure
pregando in ginocchio se, invece di ringraziare, chiedi.
E non è neppure salire, per paura di toccare terra e di relazionarci con le cose e gli
esseri viventi della Terra; è forza in tutte le direzioni: la forza buona delle radici
dell’onda e delle ali. In avanti “E” in alto.
La trascendenza è nella quotidianità e nella urbanità, ed è mia premura dire che
non c’è bisogno di abbracciare alcuna religione per avere fede nell’Uomo e
sperimentarne la meraviglia del senso di unità all’Uno. Per accorgersi d’essere nati
vivi e di avere la possibilità ora, qui, adesso, subito, di sentire che sapore ha,
fisicamente, nella nostra bocca, il sapore della saliva di un essere umano vivo: la
nostra. Senza piano orizzontale non sapremmo neppure cosa sia la verticalità.
La verticalità è agire con gesto cosciente nell’orizzontalità: passare da movimento
respiratorio, verbale, posturale a gesto cosciente, volontario, intenzionale, posturale.
Si può bere un bicchiere d’acqua, oppure sentire l’acqua.
La trascendenza? Se ancora ti stupisce il sapore dell’acqua quando non hai sete.
Quando ti accorgi, quando non sei in auto-ipnosi. Quando non sei nel flusso
intenzionale del tuo pilota automatico interno, ma in quello della tua coscienza.
Ecco: questo è trascendere. Non all’intelligenza, non al sapere, non alla grazia, non
all’amore. Neppure all’estasi. Trascendere è alla luce. Cioè nelle cose in cui sei. In
questo preciso momento. E ovunque è la luce. Oppure, non è. È facile, oppure non
è. «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio». E Giordano Bruno aggiunse: «In
ogni piccola cosa».
Trascendere? È la grazia e la bellezza di partecipare agli eventi della vita, al flusso
dei tuoi stessi pensieri, senza identificarti, lasciando più spazio possibile all’Uomo
99.9, con fiducia, non aver paura di essere nessuno, perché è proprio in quel
momento che senti di essere tutto, e quindi profondamente te stesso. Non aver
paura di essere tu l’Uno, anche per qualche minuto al giorno, ma quanta sconfinata
libertà in quei minuti. Quanta pace nel cuore.
Non aver paura di vivere su questo pianeta senza affezionarti troppo ai tuoi
pensieri: ascolta la radio, guardala. Nobilissima è l’arte di stare al mondo della
radio, che mentre suona e canta, tace, alla sua musica nulla aggiunge, non giudica,
non si commuove, non si infervora, non si scompone. Non è allegra, non è
“adagio”. Canta e tace e lascia a te la danza o il sonno o il sorriso o la rabbia o la
pace. Nobilissima è l’arte di vivere della radio. Che i pensieri, poi, sono come le
canzoni: imparare dalla radio a lasciarli andare. Guardarla bene e capire come si fa,
come si fa a parlare e pensare di tutto, tacendo, senza identificarsi, che dopo una
canzone ne arriva subito un’altra. Grande pace ha la radio nel cuore, che sa che nella
sua testa non c’è l’orchestra. Godersi più che si può l’imperturbabilità dei
transistor, la neutralità estetica e sacra del flusso.
Respira, come se fossi felice.
RINGRAZIAMENTI DI LUCIANA

Grazie.
Grazie a Antonio e Anita, i miei genitori perfetti che ho scelto per questa vita; grazie ai
miei fratelli perfetti Rosaria, Alessandro e Marco. Grazie ai miei figli, perfetti,
Valentina e Nicola, che mi hanno scelto in questa vita.
Grazie agli amici, a chi mi ha amata incondizionatamente, ombre draghi e angeli,
insegnandomi a guardarmi proprio per quella che sono. A Giovanni Raboni, che per
primo mi disse: a quante persone, Luce, cambierai la vita? Al suo amore per la parola
vicina alla carne. Alle sue lezioni di presenza viva in terra. Grazie ad Andrea Cirelli,
che per primo mi disse: devi aiutare gli altri, devi fare questo di mestiere! Grazie a
Alejandro Jodorowsky, a Pjotr Elkunovitz, miei maestri del dialogo con l’invisibile. E
grazie a tutti i miei maestri invisibili che mi hanno detto: sì, Alf è proprio un bel nome.
Grazie ai miei allievi, che mi hanno insegnato che le mie pratiche non erano solo il mio
sogno, ma anche il loro. Grazie a chi mi ha detto: sto molto meglio, grazie! Perché è per
loro che ogni giorno mi dedico alla ricerca e qualche volta non dormo. E quando dormo,
dormo così bene. Grazie alla Luce che incessante mi parla. Grazie a Roberto Bernardo
per mille cose, una più bella dell’altra.
E grazie a Paolo Borzacchiello, che ha raccolto le mie parole con la pazienza di un
giardiniere per le rose, che ha creduto, lottato, sognato insieme a me. Alla sua lucente
presenza in questo viaggio che si chiama libro. Che, senza di lui, non ci sarebbe stato, e
se mai ci fosse stato, non sarebbe stato il libro, e il viaggio, più bello del mondo.
RINGRAZIAMENTI DI PAOLO

Questo è il libro più strano della mia vita. È, secondo me, un libro perfetto. Perché dice
tutto quel che c’è da sapere, e anche di più. È il libro che ho sempre sognato di scrivere, è
il libro che ho sempre sperato di trovare in libreria, nelle mie infinite peregrinazioni
alla ricerca del segreto, del codice, della chiave di volta. Quel libro che, dopo, non te ne
servono altri. Questo libro è quel libro.
Quindi, il mio primo ringraziamento va a Luciana, che mi ha concesso la Grazia della
sua Luce e che ha voluto condividere con me il frutto dei suoi anni di studio, pratica,
ispirazione. Questo libro è frutto delle sue idee. Io ho avuto il privilegio di poterne
scrivere.
Un sentito e affettuoso ringraziamento a Roberto “Alf” Bernardo, lucido editor, gran
testa, grandissimo cuore, preziosissimo con i suoi feedback.
Grazie alle persone che, quotidianamente, mi permettono di esprimere tutto quel che mi
batte in cuore, seguendomi in aula e leggendo quel che scrivo.
Grazie alla mia famiglia, che accetta i miei ritmi, le mie presenze, le mie assenze.
Grazie alla ragazzina sull’altalena, sempre.
E grazie, in assoluto, ad Aurora: ti auguro la vita più felice che tu possa sognare. E
anche di più.
IL NOSTRO ABBRACCIO

«L’istinto dell’uomo è quello di portarsi fuori dalla foresta per innalzare il proprio
cuore, il muscolo cardiaco in carne viva, oltre la linea dell’orizzonte. E di salire sulle
più alte cime per portare il cuore oltre la linea dell’orizzonte. Salire. Salire. Nessuno
sa perché l’uomo voglia ridurre le distanze tra i piedi e le stelle. Fisicamente. E
neppure perché la gioia in corpo sia un senso di verticalità assoluto. Forse perché da
bambini, alzare le braccia verso il padre e la madre era alzare le braccia verso
divinità terrene. E quel gesto non ce lo scorderemo mai. Non potevamo andare
avanti se qualcuno non ci portava in Alto».
Luciana Landolfi, Paolo Borzacchiello

Potrebbero piacerti anche