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Questa differenza risiede nel fatto che l’uomo è meno consapevole di ciò
che le nostre menti sanno fare meglio e siamo più consapevoli dei
processi semplici che non funzionano bene piuttosto che di quelli
complessi che funzionano. In altri termini, le nostre capacità motorie di
base sono spesso e volentieri automatismi inconsci che non necessitano
ponderazione, calcolo ed esecuzione conscia, bensì è un agire diretto che
il nostro pensiero non raggiunge. Non pensiamo “ora do azione al mio
braccio per spostarsi e avvicinarsi alla tazza, poi aprirò e chiuderò la
mano per afferrarla e infine riportarla alla bocca per bere.”
Che cos’è la realtà senza qualcuno che la descrive? Non è realtà? Forse
niente è qualcosa intrinsecamente, nessun elemento è in assoluto un
elemento se non in relazione a qualche altra cosa, oppure la più
elementare delle componenti dell’universo esisterebbe anche se fosse
posta da sola nel niente?
Un essere umano diventa creativo quando entra a far parte del mondo ed
inizia a poterlo decifrare e comprendere. La creatività da cosa nasce?
Possiamo fare un’analisi retrospettica per giungere alla creatività
primordiale? La prima forma di creatività potrebbe essere il disegno
nelle caverne, ma prima ancora l’estrazione del colore dalla natura, o
ancora prima la creazione degli strumenti per interagire con l’ambiente,
eccola lì, l’impulso che diede all’uomo l’idea di alterare il proprio
ambiente e sottometterlo alla propria volontà e comodità, è questa
creatività? Se prima era una creatività necessaria, si è poi evoluta a
diventare di intrattenimento, ma è anche l’intrattenimento necessario, se
per necessario intendiamo essenziale alla sopravvivenza e riproduzione.
Ma dovremmo svincolare dal descrivere l’azione dell’uomo come
complice della riproduzione e difesa del materiale genetico, perché
oramai siamo oltre. Ma la creatività è quindi nata da un percorso lento e
complesso. Se invece vogliamo osservare la creatività dell’intelligenza
artificiale, come possiamo misurarla se non in termini di ciò che crea a
partire da input unidirezionali. Mi spiego meglio: se un robot viene
programmato per essere artista, questo riceverà input di natura artistica e
produrrà output di natura artistica. Quindi un robot è vincolato a creare
nei limiti degli strumenti che gli vengono forniti ai fini della creazione.
Per mettere alla prova l’immaginazione, intesa come scomposizione e
ricomposizione di elementi e quindi la creatività, bisognerebbe porre
davanti all’intellette artificiale un mondo essenziale, di elementi primi,
elementari e semplici. Se sarà creativo, riuscirà a far nascere la
complessità e la novità. Come un uomo primitivo che inizia a valutare le
alternative di utilizzo di vari elementi. Perché attualmente i robot
vengono posizionati in una posizione di vantaggio che li fa apparire
ovviamente creativi. È normale che un robot crei se viene nutrito di sola
arte dalla sua nascita e il suo algoritmo è programmato al fine di
analizzare milioni di opere o poesie per crearne delle nuove. Ma il
segreto sta nell’insegnargli l’alfabeto, e da lì osservare la nascita delle
parole e infine della poesia. Ma se invece imponiamo il vincolo della
sopravvivenza come motore della nascita di tutto ciò, allora mi pare
scontato dire che l’intelligenza artificiale non abbia motivo di svilupparli
da sé. O almeno per ora (?).
Il libero arbitrio però “esiste” nel suo stato illusorio, perché la mente non
è abbastanza veloce a capire dove il cervello vuole arrivare. Una
decisione è frutto di calcoli eseguiti dal cervello, ed il fatto che non
possiamo prevedere dove questi calcoli porteranno spiega perché
vengono fatti in primo luogo, così il libero arbitrio sta nell’idea che
pensiamo a cosa fare unita all’inabilità di predire i risultati di quel
pensiero. Quindi il pensiero è l’espressione dei calcoli eseguiti dal
cervello, e il fatto che non possiamo sapere quale azione faremo prima di
aver iniziato a pensare a cosa faremo, questo lag, genera il libero
arbitrio. Se c’è quindi un pensiero che è conseguenza di processi
mentali, non può esistere libero arbitrio. Ma quindi la conseguenza di
quei processi mentali non è libero arbitrio? No, perché il libero arbitrio
dovrebbe essere perché qualcosa abbiamo deciso noi, ma se non
sappiamo dire il perché di un certo ragionamento dato che non sappiamo
dove porterà, allora certamente non è partito per nostra scelta.
Il libero arbitrio esiste come illusione nel senso che non è possibile, o
non siamo in grado, di prevedere con esattezza le conseguenze future, lo
stato successivo delle cose a partire dallo stato attuale, è il problema
della complessità e della casualità nella dimensione quantistica
dell’universo. Se invece la meccanica quantistica e il vincolo
probabilistico delle cose fosse effettivamente valido e non frutto di
nostra momentanea incomprensione allora si potrebbe dire che il libero
arbitrio esiste ma solo come negazione del fatto che il determinismo non
è possibile, determinismo inteso come determinare cosa accadrà a partire
da ora. Quindi il libero arbitrio verrebbe a crearsi per inesistenza di
determinismo, ergo, è necessario che uno sia l’opposto dell’altro in
questa logica.
Forse il libero arbitrio è come l’esistenza di Dio: crediamo che ci sia fino
a che la scienza non riesca a dimostrare che la nascita di quella cosa non
derivi da altro. Quindi sostituendo gli addendi, come Dio ha creato
l’universo non è più un'ipotesi acclamata, così il libero arbitrio potrebbe
in futuro concettualmente sparire a causa della scoperta di metodi di
precisione nell’osservazione delle particelle per determinare le fasi
successive. Quindi in sintesi il libero arbitrio è conseguenza della nostra
temporanea ignoranza
Il libero arbitrio cede anche di fronte alla potenza e influenza dello stato
inconscio, pulsionale dell’Es freudiano, e del super-io. Non c’è propria
scelta cosciente quando si è soggiogati alle esigenze di sopravvivenza
della specie, non si ha potere decisionale razionale e cosciente quando la
parte cosciente dell’uomo è incrinata dalla parte incosciente. Si perde
controllo facilmente. Perché anche il super io agisce come deterrente alla
coscienza, agisce sul piano inconscio, poiché questo è basato sulle
esigenze della società, che vengono successivamente interiorizzato ed
assimilati, e poi agiscono autonomamente senza che l’individuo se ne
renda conto. Un esempio sono i divieti morali imposti dai genitori, questi
vengono appresi durante l’infanzia come compromesso alla mediazione
dei genitori tra il bambino e l’esterno del nucleo familiare per
provvedere alla sopravvivenza del bambino. Questi divieti vengono poi
appresi e diventano autonomi, agendo anche non più in presenza dei
genitori, e si manifestano inconsciamente codice he il bambino cresciuto
sappia cosa è da fare e cosa no anche senza l’immediato feedback del
genitore. In questo modo l’inconscio, nutrito da una crescita interiore
ricca di divieti impliciti determina il modo di agire senza neanche
bisogno di rendersene conto. Avviene quindi una determinazione
decisionale subliminale e aprioristica, il pensiero ore azione è nel
pensiero dell’azione stessa.
Freud dice che la felicità consiste nella piena esplicazione delle pulsioni,
e che la libertà è tanto maggiore quanto minore è la repressione delle
pulsioni. Ma non sono pienamente d’accordo, perché se le pulsioni sono
la manifestazione inconscia che determina le azioni, allora le pulsioni
privano e limitano la scelta, come separazione e alienazione dallo stato
animale dell’uomo. Se quindi si reprimono le pulsioni si raggiunge uno
stato in cui la libertà è maggiore. Freud aggiunge che è la società a
privare della espressione delle pulsioni e che quindi la libertà individuale
era massima prima che si instaurasse qualsiasi civiltà. Questo è però
vero, poiché la civiltà si rivela anch’essa determinante nella decisione,
però l’uomo vede la sua libertà limitata sia nello stato di natura, in cui
l’esplicazione delle pulsioni e degli istinti è massima e quindi la scelta è
da questi internamente determinata, sia in società in cui il vincolo è
imposto dall’esterno, dalle leggi, dagli usi, dalle relazioni, dalle
aspettative e dalla prestazione attesa, (esempio FOMO). Come infatti
Galimberti dice, l’uomo è condizionato anche da un inconscio
tecnologico oltre che da quello pulsionale e sociale. E in questo si
districa la sottomissione ai costrutti di appartenenza alla moda,
all’ambiente di lavoro, alla cultura al ruolo di funzionario, e si “ tra
parentesi la soggettività”, in cui l’individualità indossa la cravatta per
adeguarsi, inevitabilmente, all’ambiente che garantisce la sopravvivenza.
Se dico: prendi il primo oggetto alla tua sinistra e lascialo cadere in terra.
Se hai compiuto il gesto o meno, verrà da dire che è tua la scelta.
Tuttavia nel caso in cui la scelta fosse per l’inazione, sarai stato spinto a
far ciò da una serie di motivazioni come il non voler rompere l’oggetto
per il costo che la sua rottura rappresenterebbe, o perché ci tieni
emotivamente, ho perché macchierebbe la moquette o per altro. Queste
motivazioni sono esterne a te e determinano il tuo agire, che piaccia o
meno. Perché pongono limiti e freni alla libera scelta. Se invece
l’oggetto lo fai cadere, allora sarà stato il mio esperimento a determinare
l’avvenimento. Allora un direbbe che la scelta è dipesa in ultima istanza
da una volontà propria di aderire all’esperimento proposto, tuttavia, tale
volontà non è di certo contenuta nel proprio volere bensì ha un origine
esterna, determinata e sostanzialmente non libera di autogenerarsi.
Quindi né la scelta, né la volontà sono realmente dall’io dipendenti, ma
da tutto ciò che è esterno ad esso, che plasma ciò che è vivo all’interno.