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CAPITOLO 5

L’ULTIMO PERIODO MEIJI


UNA FINE E UN INIZIO

La sconfitta della Cina e poi della Russia creò nei giapponesi un nuovo senso di identità e al tempo
stesso fiducia e rispetto di sé stessi.
A livello internazionale il Giappone non solo si conquistò autonomia e uguaglianza rivedendo i
trattati ineguali ma ottenne anche il riconoscimento degli altri paesi e la parità con le potenze
occidentali acquisendo colonie grazie alla vittoria nelle due guerre.
Simbolo del nuovo status del Giappone fu l’alleanza stretta nel 1902 con la Gran Bretagna, la più
potente nazione dell’epoca.

Nel frattempo il processo di modernizzazione e industrializzazione intrapreso con le prime politiche


Meiji stava iniziando ad avere conseguenze sociali e politiche che i funzionari di governo
guardavano con preoccupazione e ostilità.
La modernizzazione e l’industrializzazione non avevano avuto ripercussioni uniformi sul benessere
economico dei giapponesi, creando invece nuovi gruppi sociali i cui bisogni e desideri avevano
innescato precise richieste politiche, sociali ed economiche.

L’EDIFICAZIONE DELLA NAZIONE CON LA GUERRA

Durante il periodo Meiji la politica estera giapponese fu dominata da due importanti questioni di
carattere diplomatico: rivedere i trattati ineguali che dalla fine degli anni Cinquanta interferivano
nei rapporti con l’Occidente, in particolare con il conseguimento della piena autonomia tariffaria e
l’abolizione della clausola sull’extraterritorialità, e definire lo status della Corea, al centro della
strategia militare nipponica.
I due problemi erano strettamente correlati e la loro soluzione, adottata negli ultimi vent’anni del
periodo Meiji, contribuirà a creare la posizione ambigua assunta nel mondo dal Giappone nel XX
secolo.

La guerra con la Cina aveva dimostrato che gli sforzi del Giappone per creare “un esercito forte”
avevano avuto successo.
Da un punto di vista pragmatico, tuttavia, il vero obiettivo della guerra era controllo della penisola
coreana, o almeno la sua neutralizzazione.
Storicamente la Corea aveva rivestito un’enorme importanza per il Giappone fin dall’era
preistorica, ma nella lotta per il potere del XIX secolo la Corea era divenuta un elemento
fondamentale anche dal punto di vista strategico, dato che era considerata dai militari giapponesi
come uno “stiletto” puntato direttamente al cuore del Giappone.
Poiché la Corea rimaneva comunque uno stato vassallo della Cina, a cui versava tributi ormai da
tempi antichi, negli anni Ottanta si assistette a una crescente competizione tra Cina e Giappone per
influenzare il governo coreano, diviso tra una fazione filogiapponese e favorevole alle riforme nello
stile Meiji e alla modernizzazione, e una fazione più conservatrice legata alla Cina.
Nel 1885 i due paesi cercarono di fermare un’ulteriore escalation della loro rivalità e concordarono
il ritiro delle rispettive truppe dalla penisola coreana, con la promessa formale di comunicare
tempestivamente l’uno all’altro qualsiasi dispiegamento di forze reso necessario da particolari
circostanze.
Se l’egemonia dei cinesi in Corea continuava a destare preoccupazioni, le ambizioni dell’impero
russo sulla penisola rappresentavano per i giapponesi una diretta minaccia alla loro sicurezza
nazionale.
Gli uomini del governo Meiji temevano che la costruzione della Transiberiana, iniziata nel 1891,
avrebbe favorito un’espansione russa prima nella Cina settentrionale, poi in Corea e forse nel
Giappone stesso.

Una ribellione scoppiata tra gli aderenti al movimento religioso antioccidentale Tonghak costrinse il
sovrano coreano a chiedere aiuto ai cinesi, con una chiara violazione degli accordi del 1885.
Era l’occasione per un intervento da parte giapponese.
Allo scoppio della guerra, la Cina era ancora considerata una nazione forte, nonostante le sconfitte
inferte dalle potenze occidentale, e la sua enorme flotta induceva molti osservatori stranieri a
preconizzare una vittoria cinese, sebbene essi stessi sperassero in quella giapponese.

Questa guerra ebbe forti ripercussioni interne, ma a essere più duramente colpite furono le famiglie,
per lo più contadine, che avevano mandato i loro figli in guerra come soldati o marinai.
Il governo Meiji non esitò a utilizzare a proprio vantaggio i funerali dei caduti nel conflitto,
incoraggiando un vero e proprio culto della guerra per consolidare le fondamenta della nazione
giapponese.
Grazie alla guerra, i santuari shintoisti, soprattutto quelli che godevano dello status di “Templi
speciali”, rafforzarono la loro immagine di istituzioni nazionali.
Tra i Templi speciali, che custodivano i resti di chi aveva servito l’imperatore, quello di Yasukuni a
Tokyo divenne uno dei santuari più rispettati de paese, e l’imperatore in persona vi si recò a rendere
omaggio agli spiriti dei caduti che vi erano sepolti.

Con il Trattato di Shimonoseki nel 1895 fu riconosciuto al Giappone un notevole bottino di guerra,
come nuovi territori fra cui la penisola del Liaodong, il riconoscimento da parte della Cina
dell’indipendenza coreana, cospicue riparazioni di guerra, l’apertura di nuovi porti e la promessa di
un nuovo accordo commerciale.
I governi di Russia, Germania e Francia non vedevano di buon occhio le ambizioni del Giappone
sul continente asiatico, e lo costrinsero a rinunciare alla penisola del Liaodong nella Manciuria
meridionale.
Il Triplice Intervento (Sangoku Kansho) si presentò dunque come una diretta conseguenza
dell’importanza avuta dalla guerra con la Cina nel plasmare in Occidente la nuova immagine del
Giappone come potenza imperialista asiatica.
LA GUERRA RUSSO-GIAPPONESE: UN PUNTO DI SVOLTA NELLA
STORIA DEL GIAPPONE?

La Russia costituiva la principale minaccia alle posizioni giapponesi in Corea, poiché, dopo
l’intervento delle potenze occidentali in Cina per sedare la rivolta dei Boxer nel 1900, si era
impadronita della maggior parte della Manciuria.
La Gran Bretagna, contraria a qualsiasi ulteriore avanzata dei russi nella regione, accettò di allearsi
col Giappone nel 1902.
In risposta alle pressioni internazionali, la Russia acconsentì a un graduale ritiro delle proprie forze
dalla Manciuria, ma un ritardo nella seconda fase di tale ritiro, di cui i russi non fornirono alcuna
giustificazione, portò all’apertura delle ostilità.

I giapponesi riportarono ottimi successi, impadronendosi di Port Arthur nel gennaio 1905 e
infliggendo a maggio una decisiva sconfitta alla flotta russa nello stretto di Tsushima.
Un mese più tardi, tuttavia, entrambi i contendenti accettarono l’intervento del presidente Theodore
Roosevelt, offertosi come mediatore per porre fine alla guerra.
L’impero russo doveva fronteggiare in patria una rivoluzione e il Giappone non era in grado di
sostenere gli elevati costi in vite umane e armamenti imposti da una situazione di stallo.
In seguito ai negoziati, il Giappone ottenne dai russi il pieno riconoscimento della propria egemonia
in Corea, la cessione della metà meridionale dell’isola di Sachalin e i diritti ferroviari e minerari
nella Manciuria meridionale.

Verso la fine dell’epoca Meiji, dalle istituzioni create dai primi leader era nata una nuova
generazione di dirigenti, meno vincolati da legami personali che ormai non affondavano più le loro
radici in un senso condiviso di fedeltà ideologica o in una comune estrazione sociale.
La nascita di un governo costituzionale aveva sì creato un sistema politico stabile ma aveva anche
spianato la strada alla formazione di partiti politici che, benché invisi agli oligarchi, continuavano
ad accrescere le loro file ed erano divenuti una nuova forza politica.
Gli scontri fra la Dieta e gli oligarchi caratterizzarono buona parte degli anni Novanta e posero
ostacoli alla normale gestione amministrativa.
In conclusione, si formarono due grandi formazioni politiche: il Seiyukai (Associazione amici del
governo costituzionale), e il Kenseikai (Associazione per un governo costituzionale), che divennero
i due maggiori partiti dei successivi trent’anni.
Nuove forze emersero anche a livelli più bassi della società: operai, socialisti, giovani e donne.

Buona parte di queste forze sociali trovò espressione nel 1905 nei disordini del parco di Hibiya, in
cui si intrecciarono problemi interni e questioni di politica estera.
L’ondata di critiche levatasi dopo il Trattato di Portsmouth e sfociata in gravi disordini e nella
promulgazione della legge marziale a Tokyo, lascia intendere che gli sforzi legati all’edificazione
nazionale avevano avuto come risultato la nascita nel popolo giapponese di sentimenti nazionalisti.
Molti giapponesi videro il trattato come una vera umiliazione, in quanto non includeva alcuna
indennità di guerra e prevedeva un’espansione territoriale limitata.
La protesta scese nelle strade con grandi dimostrazioni che si opponevano alla ratifica del trattato
appellandosi direttamente all’imperatore.
LA “QUESTIONE SOCIALE”

Il disagio economico e sociale denunciato nei disordini del 1905 e degli anni seguenti rifletteva una
serie di problematiche sociali legate all’avvio dell’industrializzazione e alle conseguenze della
politica di modernizzazione del governo Meiji .
Il settore industriale dell’economia restava relativamente esiguo, tanto che nel 1904 il numero degli
occupati nell’agricoltura rappresentava ancora il 65,3% della forza lavoro.
La maggior parte era impiegata nel settore tessile, in cui le operaie costituivano una percentuale
ancora maggiore.

Già verso la fine degli anni Ottanta gli operai tessili avevano organizzato scioperi per protestare
contro gli abusi dei dirigenti, migliorare il loro trattamento e le condizioni di lavoro e chiedere
aumenti salariali.
Il numero degli scioperi tra i lavoratori dell’industria aumentò negli anni Novanta.
Parallelamente, inoltre, stava sorgendo un vero e proprio movimento operaio.
Verso la fine degli anni Novanta, intellettuali cristiani e fautori di riforme sociali diedero vita a
gruppi di studio sul socialismo, ed ebbe inizio così un primo movimento per organizzare i lavoratori
in sindacati.
Tali gruppi, tuttavia, erano costretti a operare in condizioni di aperta ostilità, poiché alcuni articoli
del Codice civile e della Legge sull’ordine pubblico e la polizia proibivano le organizzazioni dei
lavoratori e gli scioperi in quanto minacce alla pace sociale.
Gli ostacoli legali costrinsero gli attivisti a creare vere formazioni politiche, come il primo Partito
socialdemocratico del Giappone (Shakai minshuto).
In realtà il partito puntava più alla democrazia che al socialismo, proponendo per esempio
l’abolizione della Camera Alta, ed esortava i giapponesi a prodigarsi per il bene della nazione nel
suo complesso e non solo per gli interessi dei più poveri.

Poiché le misure repressive del governo rendevano impossibili le iniziative riformiste più moderate,
i socialisti dovevano limitare le loro attività nel settore dell’educazione e della propaganda.
Attorno al 1902 e il 1903 il pensiero socialista divenne una moda tra gli intellettuali giapponesi, ma
di lì a poco gli esponenti del movimento persero il contatto con la classe operaia, concentrandosi in
astratte divagazioni teoriche e dividendosi su differenti impostazioni tattiche e ideologiche.
Nel frattempo, come reazione alle condizioni di vita e di lavoro sempre peggiori, esplosero scioperi
spontanei, tra cui quelli del 1907 videro una partecipazione di lavoratori senza precedenti,
soprattutto operai del complesso bellico-industriale che aveva preso slancio con la guerra.

Le continue sconfitte subite dai lavoratori nelle vertenze con gli industriali spinsero alcuni socialisti
verso il sindacalismo anarchico propagandato da Kotoku Shusui, convertitosi al radicalismo dopo
aver soggiornato negli Stati Uniti nel 1906.
Il sindacalismo anarchico rifiutava l’approccio politico e spingeva piuttosto verso l’azione diretta e
il diretto negoziato con i datori di lavoro.
Nelle miniere di rame di Ashio e Besshi scoppiarono violente vertenze che coinvolsero migliaia di
minatori.
Ad Ashio un’organizzazione guidata da socialisti cristiani era riuscita a creare nei lavoratori una
nuova consapevolezza delle loro condizioni di vita e di lavoro, ma lo scontro era esploso
spontaneamente e i minatori non avevano limitato la protesta a una trattativa pacifica, e usando
cariche esplosive rasero al suolo una parte consistente del complesso minerario.

Il Consiglio dei ministri, guidato da Katsura Taro dal 1908 al 1911, impose misure repressive
ancora più dure contro i sindacalisti e gli attivisti socialisti, sia quelli che erano a favore di negoziati
condotti nella piena legalità sia quelli che spingevano all’azione diretta.
La repressione toccò il suo culmine tra il 1910 e il 1911 con l’arresto e la condanna a morte di
Kotoku e altri 11 anarchici e la prigione a vita per altri 12, con la scusa di aver cospirato per
assassinare l’imperatore.
Le esecuzioni capitali che seguirono al “Caso di alto tradimento” e gli arresti nel 1912 degli
organizzatori del grande sciopero dei tranvieri a Tokyo posero definitivamente fine al movimento
socialista e sindacale dell’epoca Meiji, e al fine di impedirne un’eventuale ripresa furono istituite a
Tokyo e a Osaka delle sezioni dell’Alta forza di polizia speciale (Tokko).

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