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― Lei è stato il promotore del Dantedì, come nasce l’idea di questa celebrazione?
«L’idea è nata come una specie di provocazione ispirata da una iniziativa digitale globale
partita da Buenos Aires nel 2017: la lettura di un canto della commedia al giorno, una
specie di catena umana internazionale e poi la condivisione su Twitter di commenti e
opinioni. Dall’America all’Australia le librerie vennero inondate di richieste del poeta, che
andarono esaurite. Io avevo commentato l’iniziativa sul Corriere della Sera e mi ero
entusiasmato all’idea che potesse avere un seguito. A questa suggestione si è aggiunta
l’idea di imitare il Bloomsday dedicato a Joyce in ogni parte del mondo e mi domandavo
come mai noi italiani ed europei non festeggiassimo Dante come merita. Anche
Shakespeare, Cervantes e Goethe hanno le loro giornate di festa e di celebrazione nei
rispettivi paesi. Tutto questo mi ha spinto a suggerire l’idea che ci fosse una giornata
dantesca dove Dante uscisse un po’ dal mondo accademico per entrare nei luoghi pubblici
ed essere raccontato anche in modi non convenzionali. Una sorta di festa laica annuale
capace di stimolare una familiarità più stretta e allegra con Dante e la sua opera».
― L’opera di Dante è stata vivisezionata per secoli, c’è ancora qualcosa di inesplorato o
un versante che meriterebbe ulteriori approfondimenti?
«Per la Divina Commedia vale all’ennesima potenza quello che diceva Italo Calvino dei
classici, ovvero che si tratta di opere che non hanno mai finito di dire quel che hanno da
dire. Oggi non possiamo sapere quello che avrà da dire l’opera di Dante per i lettori del
2100, per esempio. Possiamo solo essere sicuri che la Commedia, anche nei prossimi secoli,
avrà qualcosa di nuovo da trasmettere e da insegnare. Con i classici bisognerebbe sfuggire
a due tentazioni opposte: da una parte l’attualizzazione forzata e dall’altra l’idea di
liquidarlo come qualcosa di polveroso da biblioteca o da museo. Per fortuna, Dante, con la
sua grandezza, riesce sempre a sottrarsi a tutto questo».
― Dante è uno degli autori più complessi della letteratura italiana e mondiale, ma è
anche un’icona pop. Cosa lo rende così trasversale?
«Lo rende trasversale soprattutto l’ampiezza e la grandezza della sua opera. Basti pensare
che nella Divina Commedia ci sono 500 personaggi ognuno con sentimenti, sguardi,
emozioni, parole, vite e avventure diverse. Questa ricchezza è appunto trasversale perché
va dall’alto al basso e tocca ogni tipo di emozione e di interesse culturale. È così che riesce
a coinvolgere tutti. Inoltre, Dante è apprezzabile anche al di là della comprensione storico-
filologica del testo, grazie alla memorabilità e alla cantabilità del poema. Tutto questo ha
fatto sì che questa sua opera monumentale riuscisse a coinvolgere diversi livelli della
società. C’è poi anche il fascino narrativo, la Commedia può esser letta come un intreccio
di racconti avvincenti, vere e proprie cronache nere del tempo, gialli politici, narrazioni
storiche, piccoli romanzi familiari, drammi psicologici, avventure fantasy eccetera».
― L’opera di Dante può essere ancora una chiave per leggere il presente?
«Può esserlo ma come dicevo non mi preoccuperei troppo dell’attualità a tutti i costi. Si
può anche apprezzare la distanza da noi. Potremmo anche solo accontentarci di ascoltare
la Divina Commedia come si fa con una sonata di Beethoven o di ammirarla come si fa con
un quadro di Van Gogh, senza chiederci nulla sulla sua attualità o utilità. Perché la sua
maggiore intramontabile attualità è nella bellezza incomparabile dei suoi versi e dei suoi
racconti».