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Filosofia Teoretica 01.02.

2023
RECAP

Ieri abbiamo visto questa questione che è fondamentale per la psicanalisi, cioè il tema
dell’inconscio. L’inconscio rappresenta un territorio, un topos che sì, se ne era parlato anche al di
fuori della letteratura psicologica o psichiatrica, ma non era stato sufficientemente esplorato. Quindi
Freud dice opportunamente che quello che era venuto prima era simile a quello che era stato fatto
dai geografi antichi, delle vecchie cartografie, dove le terre di cui non si conosceva quasi nulla che
erano ai margini di quelle più note e recavano titoli un po’ stravaganti; ho citato hic sunt leones
perché questo è il più celebre, ma ce ne sono molto altri.
Lui rivendica costantemente di essere uno scienziato: era un medico istologo, la sua cultura è la
formazione di un medico positivista, si è formato negli ultimi decenni dell’Ottocento*. Tuttavia,
non vuol esser considerato uno scienziato in senso stretto. Vedete che qui il tema del carattere
umanistico della psicanalisi è molto forte, e lo vedrete duplicemente anche nel confronto che lui
instaura con Binswanger. A Binswanger lui rimprovera di essere “spiritualista”, lui dice che da
duemila anni a questa parte l’uomo è sempre stato anima, soffio vitale alludendo naturalmente ad
una certa tradizione anche di carattere se volete religiose, ma in generale anche la filosofia si è
sempre richiamata a principi come quelli. Finalmente sono arrivato io che ho messo in luce questa
dimensione pulsionale, per certi versi anche biologica. Ricordate come dicevamo che dopo
Copernico e dopo Darwin, lui pensa di aver inflitto per ultimo forse il colpo definitivo alla
presunzione e al narcisismo dell’uomo; gli ha mostrato attraverso la messa in evidenza ed
esplorazione di quel comparto che non era stato adeguatamente esplorato in precedenza; quindi,
l’uomo non deve sentirsi troppo padrone in casa propria, c’è sempre qualcosa che sfugge alla
coscienza umana.
Ma quello che gli importa anche da un punto di vista scientifico è quello da un lato di garantire il
carattere psicologico del sogno: il sogno non è un aspetto trascurabile e non lo è nemmeno dal
punto di vista della disciplina della psicologia, che potrebbe arricchirsi di un certo tipo di analisi e
quindi rivedere molto di quello che era l’impianto strutturale della psicologia alla fine
dell’Ottocento.
Dall’altra parte il tema del sogno ha a che fare anche o soprattutto con la questione delle
psicopatologie. Tenete presente quello che abbiamo sempre detto, cioè che i sogni sono una
formazione di compromesso: all’interno di noi ci sono forze che si scontrano, che cercano di
sopravanzarsi l’una con l’altra e quello che ne risulta da questa lotta è quella cosa così stramba che
è il sogno e in particolare quello che lui chiama sogno manifesto, cioè quello che noi cogliamo alla
mattina di tutto quello che è avvenuto nel “backstage” prima.
Questo aspetto, di tenere insieme psicologia e cura, il tema dei sintomi e della loro remissione, è in
funzione della sua tesi di fondo che i sogni si formano secondo meccanismi che sono più o meno gli
stessi che in parallelo determinano anche la formazione dei sintomi. Quindi l’interpretazione dei
sogni che è la “via regia”, dice lui, per accedere in maniera autentica al tema dell’inconscio e anche
l’unica via che possa essere battuta per poter poi dare risoluzione per le questioni pratiche. Lui in
fondo si manteneva facendo il medico, terapeuta e analista (pratica che lui stesso ha inventato)
all’epoca. Il tema psicologico, anche epistemologico se volete, è come non scivolare nello
scientismo. Perché come vedrete lui ci tiene a negare tutta una serie di naturalismi o di eccessi dal
punto di vista della scientificità con cui erano colti un certo di tipo fenomeni psichici.
Ieri abbiamo parlato delle Due Topiche, quella non dinamica (Inconscio, preconscio, conscio) e
l’altra (Es, Io, Super Io). Quest’ultima si chiama dinamica così come si chiama psicologia dinamica
la psicanalisi anche dal punto di vista accademico, se scorrete l’indice delle materie anche del
nostro ateneo vedrete che in varie facoltà (medicina e non solo) ci sono insegnamenti di psicologia
dinamica. Dinamica nel senso che la coscienza può essere vista non tanto e non solo come una
zona, territorio o luogo, ma può essere vista come qualcosa che si carica qualitativamente di certe
forze che poi possono aggiungersi, ma possono anche in qualche modo sottrarsi. L’aspetto dinamico
è quello che per certi versi privilegerà Freud lungo il suo percorso. A parte questo, quello che
interessa a Freud è farci capire e far capire in generale, perché non l’avevano capito, lui lo dice, sia
gli scienziati sia come vedremo i filosofi. Questi ultimi molto spesso si sono imbattuti in queste
questioni. Anche in Kant e in molti altri ci sono accenni al tema dell’inconscio. Hegel chiama
l’inconscio in maniera straordinaria, “il pozzo profondo dell’io”, quindi non è una novità da questo
punto di vista, il problema è come se ne tratta. Quello che sta a cuore fin dall’inizio a Freud è
proprio vedere come ci fosse un rapporto, anche di carattere interattivo, fra quelle che abbiamo
chiamato le Topiche, che non sono lì come delle figurine che non hanno nessuna interazione o
rapporto fra di loro, al contrario per i motivi che dicevamo prima.
“Dove c’era l’Es occorre che subentri l’Io”, il tentativo della psicanalisi, ma potrei anche dire della
psicoterapia in generale, è proprio quello di asciugare il più possibile quel territorio un po’ paludoso
che è l’inconscio per arrivare a far si che la dimensione dell’io si allarghi sempre di più; senza
potere però arrivare a tematizzare quella condizione di clarité o trasparenza della coscienza che era
stata avanzata nella filosofia cartesiana e in altri pensatori razionalisti. Vi dicevo prima che questo è
un aspetto che ci porteremo dietro e che rilanceremo anche con Binswanger, che per molto tempo è
stato un compagno di strada ed un interlocutore importantissimo per Freud stesso. Poi però a
malincuore, anche per i rapporti personali, dovette comunicare a Freud che non la pensava più come
lui; come vedrete (vi citerò alcune lettere che ad esempio sono riportate nella postfazione di
Elisabetta Basso nel libretto di Binswanger) Freud fu molto duro. Il rapporto non si interruppe mai
umanamente, ma Freud gli disse che non aveva mai visto un ubriaco più ubriaco di lui, purché
Binswanger non fosse un alcolista, giocando sulle parole gli diede dello spiritualista in maniera
estrema. Binswanger replicò con molto garbo, per rispetto e amicizia, ma rimase sulle sue posizioni.
Negli anni 20 B. avrebbe dovuto scrivere, dando completamente un’altra opera di introduzione alla
psicologia che aveva pubblicato agli inizi degli anni Venti, un volume sulla psicoanalisi per
introdurre la psicanalisi che si era formata 20 anni prima all’interno del quadro delle psicologie
anche europee. Questo libro non vide mai la luce nel senso che ci fu un cambiamento di visione o
concezione da parte di B. che si avvicinò alla grande filosofia, aveva maggiore attrazione per i
grandi filosofi, in primo luogo Heidegger e poi Husserl (o meglio prima Husserl, poi Heidegger, e
poi di nuovo Husserl). Del resto, B. faceva parte di un quartetto di grandi psichiatri-filosofi, ci fu
questa conferenza in Svizzera agli inizi degli anni 20. La Svizzera fu un luogo importante per lo
sviluppo della psichiatria delle psicopatologie. All’inizio degli anni 20 ci fu un convegno
straordinario per la presenza di congiunte di Binswanger, Minkowski, Von Gebsattel (che tenne in
cura Heidegger che dopo la Seconda guerra mondiale fu estromesso dall’insegnamento e attraversò
un periodo di depressione) ed Erwin Straus, psichiatra-filosofo che poi andò negli Stati Uniti.

C’è un tratto “comune” anche nel divaricarsi delle teorie tra Freud e Binswanger in questo: F. dice
che i sogni si formano in parallelo a come si formano i sintomi, e B. attraverso un percorso
differente parla del sogno mettendolo in congiunzione al tema della follia, individuando qualcosa
che accomuna la nostra vita nel sonno e la follia. Lui lo fa e lo dice riprendendo un frammento di
Eraclito in cui si dice che c’è una vita comune e c’è una vita dei singoli: quando noi sogniamo è
come se noi fossimo totalmente rinchiusi nella dimensione onirica e del sonno, ma anche nella follia
è presente questa sorta di reclusione o restrizione, perché in fondo anche le forme di patologie più
gravi, secondo B., sono forme in cui si regredisce, dalla parte del malato di mente (anche se lui non
usa questo termine), a una sorta di mondo privato (Eraclito parla di mondo privato e mondo
comune). Dice B. che questo modo di rinchiudersi in una dimensione di un progetto che non è
condiviso dagli altri rappresenta un aspetto proprio della follia, nel senso che è una forma di
chiusura che si usa pensare sia frutto di una scelta libera, ma che in realtà i malati di mente
subiscono e che non è quindi una scelta; sono necessitati nel fatto di rinchiudersi in quella
dimensione. Appunto che per B. quella guarigione dal punto di vista analitico vuol dire proprio
riportare alla vita comune le persone che invece si sono rinchiuse in quella dimensione patologica,
così come ci si rinchiude nella dimensione del sogno. Quindi c’è da questo punto di vista un
parallelo.
Riprendiamo il filo del discorso dal punto di vista freudiano. Nella prefazione a quella che è la
prima edizione di quest’opera dice apertamente, citando il passo, che col suo tentativo di esporre
l’interpretazione del sogno egli non crede di avere oltrepassato l’ambito degli interessi
neuropatologici, giacché dice all’osservazione psicologica il sogno si rivela come il primo membro
di quella serie di formazioni psichiche abnormi, anche il sogno quindi manifesta una sua abnormità.
Quali sono le altre formazioni abnormi che lui cita dal punto di vista patologico? La fobia isterica,
l’ossessione e il delirio che raccoglie a fattor comune tutta una serie di patologie molto estese e che
devono interessare il medico per le questioni pratiche; ancora una volta non disgiunge il carattere
ermeneutico, esegetico e quasi anche “filosofico” alla questione che in fondo gli stava non meno a
cuore di guarire le persone o quantomeno aiutare a far sopportare i problemi per i quali si erano
rivolti a lui. Il sogno, dice lui, ovviamente non può pretendere analoga rilevanza pratica, ma tanto
più grande è invece il suo valore teorico di paradigma. Quindi dal punto di vista pratico sono più
importanti le ossessioni, i deliri schizofrenici e no, ma dal punto di vista teorico il sogno rappresenta
un aspetto paradigmatico della psicanalisi freudiana. E chi non riesce a spiegare la formazione delle
immagini oniriche si sforzerà invano di comprendere le fobie, le idee ossessive e deliranti e quindi
di operare su di esse una terapia. È un po’ ricattatoria in questa espressione: o state al gioco, o la
pensate come me sul piano dell’interpretazione del sogno e dei meccanismi attraverso cui si forma
oppure voi “mediconzoli” non sarete nemmeno in grado di curare i vostri pazienti nelle questioni
che sono più evidentemente di carattere patologico.
Aldilà del fatto che Freud non abbia goduto di buona stampa nel corso del Novecento, anche sul
piano medico (pensate alla proliferazione di tanti altri metodi e cure alternativi alla psicanalisi), nel
DSM che è questo librone universalmente considerato (una sorta di elenco telefonico) in alcuni casi
si ritrovano, dal punto di vista dell’eziologia e di certe indicazioni teoriche, aspetti che sono stati
messi in luce per primo anche da Freud. Fermo restando che poi la psicanalisi, soprattutto quella
selvaggia (?), negli Stati Uniti ha proliferato, C’era una psichiatra bolognese (non specifica chi),
figlia di un importante psicanalista che insegnò a Bologna, che si era specializzata in California
nell’analisi degli animali; negli Stati Uniti era già abbastanza a la page qualche decennio fa.
Riprendiamo il discorso. Lo studio dei sogni per Freud aiuta a correggere il tiro rispetto a molte
false impressioni, che soprattutto potrebbero insorgere da un modo di affrontare la funzione
psichica ad un livello esclusivamente teorico, cioè dal punto di vista che ogni meccanismo
inconscio funzioni indipendentemente dagli altri; lui vuole esattamente vedere invece il legame,
l’interazione, appunto il meccanismo. C’è un meccanismo nella misura in cui c’è interazione tra i
vari topoi della vita psichica, che non sono semplicemente giustapposti, staccati fra di loro. Non
sono funzioni indipendenti dalle altre. Le diverse parti dell’IO non sono in uno stato di permanente
isolamento fra l’una rispetto alle altre. Anche questa è una concezione importante che si va a
sostituire molte nozioni dell’Io che di solito la filosofia ci ha consegnato. L’io si compone ed è
composto di parti. Un altro tratto che è una chiave di volta da un punto di vista concettuale della
dimensione psichica dell’Io, cioè il tema della sintesi: non da assumere strettamente in una certa
accezione kantiana, ma c’è un problema di sintesi anche attraverso l’Io. Infatti, Freud dice che una
delle principali funzioni dell’io è appunto la funzione sintetica; se queste diverse parti dell’io
fossero slegate l’una dall’altra non ci sarebbe bisogno di evocare il tema della sintesi.
REGRESSIONE
Lui dice che il modo forse più facile di affrontare lo studio dei sogni è quello di prendere in
considerazione, per esempio, quelle che sono le funzioni regressive del sogno; abbiamo detto anche
ieri che la rimozione (Verdrängung) che è un meccanismo inconscio duraturo e permanente a meno
che non subentrino quei fenomeni che poi porteranno attraverso la censura a far si che qualcosa
venga ad essere rievocato, ma viceversa la regressione designa in un processo psichico, che come
sempre presenta un percorso, per cui si tende, a partire da un momento di svolgimento che si è
raggiunto, a tornare indietro. Questo fenomeno ha a sua volta una funzione difensiva. Quando entra
nel merito di approfondire la questione dei sogni, i primi di cui si occupa sono quelli infantili perché
sono quelli che danno meno problemi dal punto di vista dell’interpretazione essendo più
semplificati. La funzione della regressione, presente anche nei bambini, è quello di ridurre gli
stimoli che eccitano l’apparato mentale (vedete che il tema energetico, pulsionale e dinamico c’è
sempre all’interno della grammatica di pensiero freudiana). Anche questo è un aspetto
fondamentale nella teoria freudiana che corregge il tiro rispetto a molte questioni che erano state
affrontate in precedenza e che non ha un rilievo solo per la cura delle nevrosi, ma interviene invece
a chiarire la funzione biologica e psicologica del sogno. Dato che noi regredendo riduciamo la
carica energetica, noi siamo come una macchina da caffè (Moka suppongo), dobbiamo impedire che
la pressione si alzi troppo.
Il fatto che la regressione, il regredire ad uno stadio precedente nel nostro sviluppo, serva a
moderare gli stimoli che farebbero saltar per aria questa macchinetta del caffè che siamo è
indicatore di un altro aspetto fondamentale del sogno che non era mai stato messo in luce prima: il
sogno serve a farci dormire. Il sogno non serve a farci vincere al lotto, e nemmeno a farci andare in
analisi a raccontare le nostre faccende a un interlocutore che peraltro abbiamo scelto; la prima
funzione del sogno è tenerci bassi e farci dormire, riposare. È una funzione biologica quella del
sogno. E anche i bambini operano nel segno della regressione, però come sapete tutti credo, questo
tipo di manovra regressiva non sempre ha successo. Nei bambini, soprattutto molto piccoli, spesso
si alzano di notte in preda di sogni terrificanti; ciò vuol dire che l’operazione di regressione non ha
funzionato, così come i sogni che lui chiama sogni mancati che noi abbiamo. Quando ci risvegliamo
di colpo, lui dice che sono sogni mancanti perché appunto è venuta meno la funzione biologica del
sogno, che è quella di farci dormire. A me capita molto spesso, soprattutto mi risveglio
ciclicamente, due o tre volte, sempre sulla base dei sogni che sto facendo (ok). Quindi funzione
biologica e funzione legata alla formazione dei sintomi e quindi anche il canale, la via regia, per
esercitare la cura psicanalitica. Lo stesso sogno è una prova che durante il sonno si producono delle
perturbazioni psichiche, e che esse giungono, dice lui, fin quasi la soglia della coscienza. Fa un caso
molto particolare che però non è campato in aria. Tuttavia, quando si studiano i sogni dei bambini
piccoli è più facile venire a capo di questi perché si capisce che i sogni dei bambini corrispondono
esattamente in modo semplificato a quello che lui ci ha detto essere la definizione del sogno. I sogni
dei bambini sono il più delle volte il soddisfacimento quasi immediato di uno di quei desideri che
corrispondono al tipo di evoluzione psichica, che i bambini abbiano 3,4 o 5 anni ecc. I loro sogni
sono quasi tutti soddisfacimento di desideri più o meno congrui con il periodo del loro sviluppo
mentale; come sapete i sogni più tipici dei bambini sono quelli nei quali mangiano un sacco di
dolci, maneggiano denaro o altri oggetti, o altre cose di questo tipo. Quindi non è difficile intuire
che questi semplici appagamenti di un desiderio servono a tacitare il pericolo che la pressione
aumenti, servono temporaneamente allo scopo di sostenere delle tensioni, a non farle emergere in
modo tale da svegliarci. Vedete come sia per i bambini che per gli adulti queste tensioni, se
emergessero con un certo fragore, finirebbero per essere avvertite come delle frustrazioni piuttosto
dolorose: il riconoscimento del fatto che questi desideri siano andati in pezzi si traduce
immediatamente in una sorta di frustrazione molto dolorosa. È una caratteristica della vita mentale
che quando per esempio un individuo subisce una frustrazione tende a mettere in atto un
meccanismo regressivo, a rinchiudersi e rintanarsi in una posizione di maggiore protezione; vedete
il tratto anche “infantile” di quest’impostazione. Si regredisce ad un livello più precoce della vita
psichica, uno stadio precedente del suo sviluppo psichico in cui si pensa che la frustrazione possa
essere anche solo per breve tempo negata. Tornando a Binswanger, alla nozione di mondo comune
e mondo proprio (idios kosmos e koinos kosmos), il fatto che etichettiamo genericamente la follia
per certi versi come una chiusura in una dimensione protetta. Binswanger parla del sogno come un
progetto di mondo, non discriminando pensa che anche i malati di mente siano in grado di
progettare, quindi anche le loro follie sono frutto di una progettazione. Però non si esprime mai in
questi termini, non parla mai di matti, non usa termini discutibili. Parla della follia come una
maggiore o minore ricchezza: le persone “disagiate” dal punto della follia sono persone che possono
declinare la loro esistenza solo in un certo modo e lo fanno in maniera coattiva, possono fare solo
quello perché così come per le frustrazioni pensano che quello sia l’unico modo (chiudersi,
abbozzolarsi in un punto) per soffrire di meno, si sentono attutiti dal punto di vista dei dolori anche
esistenziali. È chiaro che è un qualcosa che poi di fatto non resiste, è temporaneo come nel
problema della frustrazione.
Quindi che l’appagamento del desiderio in un sogno agisca nell’interesse della regressione porta
naturalmente ad ammettere quella che è la funzione primaria del sogno che è quella di proteggere il
sonno, impedire il risveglio; noi dobbiamo secondo i nostri impegni del giorno dopo riposare il più
possibile, è un aspetto biologico e fisiologico. Il fatto che però questo meccanismo non riesca molto
spesso a espletare con successo questa funzione è altrettanto facile da spiegare come vedremo.
Una conferma della validità di queste ipotesi si può trovare nell’esempio che dicevo prima, che
sembra essere abbastanza curioso, ma è qualcosa che si dà effettivamente e che lui aveva
rintracciato anche in racconti di sogno dei suoi pazienti. Si può trovare, dice Freud, osservando per
esempio il modo in cui determinati stimoli sensoriali, anche importanti, vengano in qualche modo
intessuti in quella che è la trama del sogno: per esempio il rumore di una sveglia. Talvolta a lui era
capitato di rifarsi a un racconto del sogno come questo, il rumore di una sveglia diviene parte
naturale di un sogno. Il rumore cioè viene interpretato da quello che è il processo del sogno come
qualsiasi altra cosa che si dà o accade nel sogno, tranne che come quello per cui dovrebbe essere
riconosciuto, ossia come un rumore diretto a svegliare colui che sta dormento. Non viene colto
come il rumore di una sveglia vera e propria che tutti noi attiviamo perché sappiamo di doverci
svegliare. In altre parole quel fenomeno anche sensoriale viene, in parole che lui usa, eluso tramite
una sorta di spiegazione. In certi casi osservò che la persona che sogna può effettivamente
svegliarsi, cioè può uscire dal sonno, può scendere dal letto se la sveglia non è sul comodino, può
attraversare la stanza e magari può fermare la sveglie e poi tornare a letto. Può riaddormentarsi,
effettuare nuove interpretazioni oniriche del ricordo di quel rumore che però non l’aveva svegliato.
Infine, può svegliarsi senza però rammentare nulla di quella intervenuta attività di veglia che invece
c’è stata. Quindi la situazione del sogno e la presenza nel sogno di queste componenti sensoriali
talvolta molto forti è qualcosa che ingarbuglia la nostra attività di far fronte all’interpretazione di
questi quadri così complessi. Tuttavia, dice Freud, il modo più naturale di affrontare il fenomeno
del sogno è quello che va dalla superficie all’interno; si potrebbe anche dire da fuori a dentro. La
superficie è quello che ricordiamo (sogno manifesto), l’interno è ciò che sta sotto, i pensieri latenti.
Quindi proprio individuando questo tipo di percorso , che lui giudica essere l’unico attendibile
anche sotto il profilo ermeneutico, occorre iniziare a esaminare il contenuto manifesto, quello che si
chiama il racconto del sogno. Una divisione concettuale nettissima fra Binswanger e Freud è
proprio questa: B. non riconoscerà la distinzione fra sogno manifesto e sogno latente. Anche questo
comporterà un distacco accentuato, il fatto che B. non fosse più in grado di scrivere quel libro che in
qualche misura F. gli aveva commissionato per celebrare la teoria psicanalitica e farne un punto di
riferimento fra tutti gli addetti ai lavori in Europa. A differenza di ciò che accade per molti dei sogni
dei bambini piccoli, i sogni degli adulti danno generalmente l’impressione di essere qualcosa di
molto contorto. Sono spesso una accozzaglia di elementi sconnessi e incongrui, nel senso che nei
sogni nostri ci sono immagini, persone, quelli che Freud chiama pensieri, aspetti emozionali,
sentimenti, espressioni e azioni; nel sogno compiamo e vediamo compiere azioni. C’è tutta una
serie di elementi che invece non si ritrovano nei sogni dei bambini, e che quindi proprio per questo
sono molto più semplici da affrontare. Questa immagine compare molto spesso in Freud e anche in
altri autori che si sono occupati di ciò: il sogno manifesto è una sorta di spettacolo teatrale, una
messinscena però priva di capo e di coda; non si capisce bene cosa significhi, benché Freud stesso
sottolinei con molta enfasi il fatto che l’importanza del sogno derivi proprio dall’essere una struttura
significativa. Il problema è che a tutta prima non sapremmo dire in che cosa consiste il significato di
un sogno. Uno spettacolo teatrale nel senso che c’è una compagnia teatrale, ma poi c’è anche chi ci
mette i soldi per fare la tournée. C’è un imprenditore del sogno, come dirà più avanti, c’è qualcuno
che ha finanziato senza metterci dei soldi, senza organizzare anche il lavoro dei teatranti, non si può
arrivare a questa messinscena. Però resta molto indecifrabile, un enigma, un rebus a immagini.
Tuttavia, una certa pratica per la quale occorre un training, imparare a muoversi attraverso
un’analisi dei vari sogni, una tecnica affinata nel tempo. Una certa pratica di setacciare, selezionare
questo contenuto manifesto del sogno mostra abbastanza rapidamente che questo contenuto
complessivamente inteso è suscettibile di una certa ordinata classificazione: per esempio in questo
contenuto complesso del sogno manifesto c’è spesso la presenza di una varietà di impressioni che
sono per lo più recenti, della nostra vista appena trascorsa. Molto spesso in tutti i sogni ci sono fra i
vari ingredienti di cui questo sfondo teatrale si compone aspetti che riguardano la nostra vita
quotidiana del giorno prima, qualcuno dice 3 o 5 giorni prima e così via, insomma perlopiù molte di
queste impressioni rimandano proprio alla vita appena vissuta. Nel sogno quasi sempre ci sono
degli aspetti o particolari che colpiscono. Il sogno ci sembra a tutta prima sgangherato, un puzzle in
cui le tessere sono tutt’altro che collegate, nello stesso tempo siamo colpiti da un certo senso di
realtà che proviene dal sogno.
ASSOCIAZIONI LIBERE
Ci sono aspetti che ci rimandano a un altro tema affrontato anche in chiave fenomenologica che è la
questione dell’immaginazione. La fantasia e l’immaginazione può sembrare essere qualcosa che è
uno strumento, un’attività che dà luogo a formazioni abbastanza simili, in realtà c’è una differenza
profonda fra l’immaginazione e la formazione dei sogni. Come si fa allora, secondo Freud, a
riannodare il filo di questi particolari anche insignificanti molto spesso e che in gran parte derivano
dalla nostra esperienza quotidiana dei giorni precedenti? Si parte attraverso quella cosa che abbiamo
già citato che sono le associazioni libere, il meccanismo associativo o catena associativa. Abbiamo
detto che Freud negli ultimi anni dell’Ottocento definitivamente abbandona il metodo ipnotico che
aveva intrapreso attraverso gli studi con Charcot e Breuer (?). Il problema è quello di usare questa
tecnica dell’associazione libera che dovrebbe riuscire a farci vedere come siano collegate fra di loro
determinate immagini, certi anelli di questa successione, e di farceli vedere come eventi carichi di
un significato emotivo e che anzi queste varie impressioni o aspetti minimali che si manifestano nel
sogno sono derivati da problemi emotivi non risolti, che sono quelli che erano all’origine dell’opera
di rimozione e quindi al fatto che siano stati ricacciati in quella dimensione un po’ nascosta e oscura
dell’inconscio. Questi residui o resti diurni nel sogno sono incastonati, aspetti che ci sembrano
banali, come un luogo in cui siamo stati il giorno prima, un bar o un cane e altre cose del genere.
Nel sogno, in questo palinsesto, è formato appunto da questi residui diurni che sono di regola
relativi ad eventi occorsi in quello che è il precedente intervallo di veglia, cose accadute nel periodo
di veglia e poco tempo prima, qualche ora, qualche giorno o una settimana e di solito non più di
questo. Possono talvolta essere studiati dei casi lievi d’insonnia che presentano aspetti questo tipo,
nel senso in cui dopo un intervallo di sonno l’individuo si sveglia con la mente che si aggira intorno
a una perturbazione, un incidente capitatogli qualche ora o giorno prima e naturalmente il cui tono è
spiacevole. Quindi nel caso del sogno vero e proprio questi accadimenti o residui della vita diurna
sono caricati di un ulteriore significato. Il significato che avevano nella vita di veglia, forse
insignificante, si caricano ulteriormente per via dell’intervento legato al periodo di sonno all’interno
del quale si ritrovano a svolgere una qualche funzione. Freud vuole dire che questi aspetti banali
che sono di scarso significato, sono stati in qualche misura manipolati da quelle forze inconsce, che
sono quelle che si scontrano fra di loro per produrre ciò che noi sappiamo, e ora rappresentano non
tanto e non solo quei conflitti o quegli aspetti spiacevoli che avevamo riscontrato qualche giorno
prima, ma hanno una qualche funzione di rappresentanza di conflitti assai più profondi, si caricano
di un significato più rilevante. Si tratta di capire per che cosa stia effettivamente quel residuo
diurno, non certo per un incidente non troppo grave avvenuto qualche giorno prima. Invece coprono
quasi, attraverso quei meccanismi che li hanno trasformati, e stanno per conflitti più profondi.
Proprio per questo e da questo nasce la maggiore intensità e persistenza di questi fenomeni.
Capite che la tecnica dell’associazione è qualcosa che c’è o non c’è, cioè la psicanalisi come teoria
e pratica curativa per mezzo della parola si regge su di essa. Proprio come dice Freud è il
procedimento costitutivo di questa tecnica psicanalitica. In che cosa consiste? Consiste
nell’esprimere, da parte dell’analizzato che si rivolge dallo psicanalista, senza alcuna forma di
discriminazione tutti i pensieri che vengono in menti a partire da un certo elemento dato. Le sedute
dell’analisi partono proprio da qui. Quello che viene in mente può essere un pensiero, un
accadimento un numero, una parola, l’immagine che noi abbiamo colto nel sogno, insomma una
rappresentazione qualsiasi. Questo aspetto da cui si parte, vedete il senso di catena associativa, è
qualcosa che si stabilisce in partenza senza discriminazione; non è fatta a tavolino, non ci deve
essere una convenienza intenzionale quasi per dirottare l’attività dell’analista di suggerire qualcosa
un po' astutamente. La prima cosa che viene in mente, per questo si parla di associazione libera. Si
tratta di esercitare la libertà che in questo caso ha a che fare con l’espressione della massima
spontaneità, senza inibizioni (anche se l’inibizione è un meccanismo che serve, non nel senso più
comune con cui utilizziamo il termine, a fare un ragionamento). Spontaneamente dobbiamo
evidenziare una certa idea da cui partiamo. Il procedimento dell’associazione libera è costitutivo
dell’indagine psicanalitica. Questa scoperta non è datata in maniera assoluta però si può
ragionevolmente pensare che lui metta a punto questa tecnica sostituendola in corso d’opera alla
tecnica ipnotica fra il 1892 e il 1898. Una volta abbandonata l’ipnosi era necessario trovare un altro
metodo sostitutivo. Lo scopo di questa sostituzione era di vincere quel tipo di rimozione che agisce
costantemente in maniera inconscia, impedire agli elementi traumatici o comunque quei fattori che
stanno alla base dei sintomi di essere resi incoscienti. L’ipnosi non risolveva tutte le questioni legate
alle rimozioni. Per tutta una serie di motivi che riguardavano la tecnica ipnotica e che riguardavano
anche il tema della libertà e spontaneità. Il metodo dell’associazione libera si costituisce
distaccandosi gradualmente dai metodi dell’ipnosi, metodi per così dire preanalitici
dell’investigazione dell’inconscio. In questo caso il discrimine è il 1900, perché è nel 1900 che
emerge la sua teoria psicanalitica basata sulle associazione libere e interpretazione e aspetti curativi
di questa che vanno di pari passo. Il problema ‘ che da un lato l’ipnosi ricorreva alla suggestione,
quindi al tentativo di far concentrare mentalmente il paziente su una determinata rappresentazione.
La ricerca, anche insistente, dell’elemento patogeno lascia il posto, via via che lui si avvicina
all’interpretazione dei sogni e al metodo delle associazioni, a quella che è un’espressione spontanea
del paziente, non c’è nessuno sforzo né di suggestione né di attenzione per concentrarsi su
quell’elemento che avrebbe provocato quel disturbo che sarebbe all’origine della “patologicità”
della persona. Gli studi sull’isteria del 1895 mettono in evidenza la funzione svolta dai pazienti in
questo tipo di evoluzione. C’è già all’interno di quel test, in cui per altro c’era ancora una presenza
massiccia dell’ipnosi, la presenza graduale del meccanismo e metodo delle associazioni libere. È lì
che Freud capisce che le cose devono andare in una certa direzione. Comincia ad utilizzare il
procedimento in quella che è la propria autoanalisi e poi l’interpretazione dei propri sogni che suo
malgrado dovette comunicare in qualche modo anche al mondo esterno. In questa autoanalisi un
determinato elemento del sogno serve sempre come punto di partenza della scoperta delle catene
associative che dovrebbero condurci all’indietro, a ripristinare un rapporto con i pensieri latenti del
sogno.
Quindi riguardo a questo meccanismo, non siamo più di fronte ad un’azione suggestiva che tende a
sviare il soggetto da una certa ricerca intenzionale del materiale dimenticato. Al contrario C’è
qualcosa di più (nelle associazioni libere), si tratta di distogliere il soggetto da una ricerca
intenzionale, il soggetto non deve pensare a quello che sta dicendo e a quello che gli viene in mente
in maniera spontanea. Lo si deve mettere in una condizione quasi di passività che lo porta a
sospendere l’attività critica, non deve bluffare (vedremo il tema della verità, che non è
esclusivamente della psicanalisi, ma anche di altre forme di psicoterapia), ma soprattutto non deve
dare nemmeno lui dei giudizi su quello che comunica all’analista, ne tantomeno deve farlo
quest’ultimo. Questo meccanismo è utile perché porta a rinunciare ad esercitare sul materiale del
sogno qualunque tipo di cernita o di scelta. Non ci deve sottoporre ad uno stato di abrégé, di scelta
di certi aspetti che lui ha sognato. Il paziente non deve operare alcun tipo di selezione, nemmeno se
questa fosse anche motivata. Per ottenere che il paziente giunga a rievocare quel materiale, perché
appunto si parla di una operazione che deve portare allo scoperto tutto ciò che è latente che
altrimenti rimarrebbe per sempre nei luoghi in cui la rimozione l’ha posto, non è più funzionale
esercitare la tecnica dell’ipnosi. Anche l’ipnosi riusciva in qualche modo ad apporsi alle forze della
resistenza, che sono quelle che si determinano nel rapporto con l’analista, forme in cui il paziente
cerca di non scoprirsi di tutto quasi come se giocasse al massacro: è lì per essere guarito però non
gli piace far sapere troppo riguardo i veri motivi per cui ha chiesto aiuto all’analista, tutto questo è
paradossale. La resistenza complica il lavoro dell’analista e viene messa in atto da chi avrebbe tutto
l’interesse che la resistenza non ci fosse. Freud è dell’idea che per ovviare a certe questioni, che
erano comparse all’epoca in cui utilizzava l’ipnosi, bastasse mettere il paziente nelle condizioni di
passività di cui parlavamo prima. Era sufficiente richiamarsi a quell’assenza di critica. Il paziente è
chiamato ad una sorta di abbandono: ci si deve abbandonare al corso dei propri pensieri, non si deve
essere legati a nessuna forma di ricerca intenzionale nel modo in cui i nostri pensieri si sono
sviluppati, nel senso che non si deve cercare a tutti i costi di dare consequenzialità al nostro
pensiero. Tutto questo è escluso dalla tecnica dell’associazione libera ed è funzionale a rivendicare
secondo Freud la bontà di questa tecnica per i fini che lui si proponeva. Era questa la via regia per
entrare effettivamente ad esplorare quella dimensione dell’inconscio che fino a quel momento non
era stata sufficientemente esplorata.

Si deve in questo campo adottare un atteggiamento di assoluta franchezza e di rinuncia ad ogni


riserba comunicativa, non si devono avere inibizioni o riserbi. Ci si dovrebbe lasciare andare perché
altrimenti si tradurrebbe in una resistenza rispetto alla cura. Al paziente vengono richieste alcune
cose: viene richiesto innanzi tutto di essere completamente rilassato, ovvero assumere una posizione
di abbandono anche dal punto di vista attentivo, cioè dell’attenzione. Quindi il soggetto deve
dimettere ogni atteggiamento di autocontrollo, non bisogna rinchiudersi in una sorta di corazza in
cui ci proteggiamo già a monte di quello che può avvenire nel corso della terapia perché temiamo le
interpretazioni dell’analista, che certo forse intuiamo che sono quello che ci portare alla guarigione,
ma durante il percorso della cura, che è talvolta molto lungo e scandito da varie fasi, si avverte il
dolore di questo. Non ci deve essere alcuna forma di autocontrollo rispetto quello che ci viene via
via comunicato. Proprio per favorire questo comportamento il paziente molto spesso sta su di un
divanetto (stiamo parlando dell’immagine più consacrata della psicanalisi freudiana) che si chiama
lettino (quelli più eleganti sono le Corbuiser, che è il lettino tipico e storico dell’analisi) La
rilassatezza che si può determinare in questa relazione deriva anche dal fatto che di solito nella
psicanalisi classica l’analista stava alle spalle. Noi non vedevamo in faccia l’analista. Chi andava da
Freud si metteva sulla dormeuse e l’analista si poneva dietro di lui. Aveva una funzione ben precisa,
nel senso che l’analista poteva osservare l’analizzando senza richiamare troppo su di se l’attenzione,
essere seduti vis a vis, l’uno davanti all’altro potrebbe creare perturbative di un certo tipo.
Naturalmente quest’ultimo aspetto è l’ultimo residuo della tecnica ipnotica. Questo tratto della
psicanalisi ha a che fare con quella tecnica ipnotica cui ci siamo richiamati prima.

Un’altra richiesta che si fa al paziente è di assumere un atteggiamento spassionato. Rispetto alle


cose che via via comunichiamo non occorrono filtri, non devono intervenire scelte più o meno
opportunistiche. Dobbiamo far uscire ciò che ci sgorga dall’interno in maniera spassionata.
Naturalmente lo psicanalista ha una funzione e un ruolo particolare, nel senso che deve cercare di
questo tipo di comportamento. Guai se l’analista dovesse mai mostrare meraviglia o turbamento
rispetto a ciò che gli viene comunicato dall’analizzando, questo sarebbe come un errore di
grammatica che potrebbe avere influenze molto pesanti. L’analista non deve mai avere reazioni
emotive rispetto a ciò che è oggetto di comunicazione. Deve sempre essere guidato e governato da
un interessamento per ciò che gli viene comunicato, però in modo assolutamente calmo e benevolo.
Soprattutto il paziente deve sapere (vedete anche l’aspetto fiduciario che determina questo assetto
relazionale) che qualsiasi cosa possa riferire all’analista lo lascerà indifferente. Indifferente nel
senso che l’analista non emetterà mai giudizi di alcun tipo su quello che gli viene comunicato.
C’è un’altra caratteristica che è richiesta a chi va in analisi, cioè la massima sincerità. In realtà non è
solo prerogativa dell’analisi, ma in questa si carica di un tratto ulteriore. La sincerità per la
psicanalisi rappresenta un comportamento più completo e anche più difficile da realizzare, di quanto
invece non avvenga o non lo si intenda comunemente sul piano di qualunque comportamento
sincero. Non è esattamente questo il senso della sincerità cui ci si deve porre sul piano dell’analisi.
Cosa voglio dire? Per sincerità non s’intende solamente di riferire fedelmente ciò che si pensa. Ci
capita di riferire degli elementi molto penosi della nostra vita, quindi si deve senza indugi
comunicarli. Il problema non è solo quello di un riferimento fedele di questi aspetti talvolta penosi o
addirittura sconvenienti, dato che nell’analisi molto spesso si va a parare sui temi della sessualità.
Oppure anche elementi poco riguardosi nei confronti di qualcuno, magari anche dello stesso
psicanalista (vedete come fa parte del transfert e controtransfert, delle resistenze, dei rapporti anche
conflittuali che si possono registrare con l’analista). La sincerità in analisi sta a significare che si
tratta di comunicare e dire tutto ciò che passa per la testa, compreso però ciò che potrebbe risultare
inessenziale rispetto all’argomento della cura o in sé poco importante. Non ci dobbiamo
minimamente porre questa questione. Non è solo la sincerità nel fatto di non omettere cose di un
certo rilievo. È il fatto di dire proprio tutto, perché talvolta negli aspetti che un potrebbe pensare
essere inessenziali in realtà possono rappresentare un elemento di partenza da cui si iniziano delle
catene associative che possono magari essere più capaci di riportarci in prossimità di quei pensieri
latenti che sono all’origine dei sogni intorno a cui noi stiamo ragionando per interpretarli, che
quindi sono anche funzionali a dare poi risoluzione ai sintomi che si sono manifestati. Non
dobbiamo pensare che ci siano aspetti inessenziali, non dobbiamo pensare che alcune cose non le
dobbiamo dire perché non si inquadrano logicamente nel discorso che stiamo facendo. Non è un
linguaggio in cui si ricerchi una logicità di tipo standard. Non dobbiamo porci il problema di non
dire una cosa perché ci appare assurda. Può essere una sciocchezza, una fantasia, un ricordo
incidentale che ci appare privo di senso, ma non dobbiamo porci il problema se dirlo o meno. La
sincerità riguarda soprattutto questo aspetto. La ricerca a 360°, di quello che si può chiamare
materiale patogeno, si effettua fondamentalmente in base a questo comportamento che è per
l’appunto richiesto al paziente. Quando, per esempio, si inizia l’esame di un sintomo particolare, il
paziente è invitato dall’analista a dire tutto ciò che gli passa per la mente.
In certi casi ci sono quelli che Freud chiama punti di appiglio: punti a cui ci si può aggrappare, su
cui si innesta però un decorso libero delle idee. Questi punti fermi sono qualcosa di stranamente
casuale: come dicevo prima possono essere parole, espressioni relative al sintomo analizzato,
elementi o aspetti presi o ripresi dal materiale del sogno che è già emerso. Sono degli elementi che
servono in chiave propulsiva, sono qualcosa che funge da stimolo iniziale a quello che ha un
decorso ideativo. Freud chiama questi elementi iniziali in tedesco einfall/einfelle (singolare e
plurale), vuol dire molte cose questo termine, ma in chiave psicanalitica sono idee lampo,
improvvise. Sono quelle idee che fanno irruzione immediatamente nella psiche e che vengono
subito in mente. Idee che sgorgano senza pensarci. Sono quegli elementi ideativi che talvolta
appaiono nella vita psichica del soggetto.
Ma ad un certo punto Freud decise di sostituire il metodo delle associazioni libere all’ipnosi.
L’ipnosi era praticata con il metodo chiamato “catartico”. Il metodo catartico è un metodo che
persegue una purificazione. La purificazione dal punto di vista della catarsi ipnotica avveniva
attraverso il tentativo di rievocare o addirittura rivivere gli eventi traumatici e la stessa scarica
emozionale con cui il soggetto si libera da quello che è l’affetto legato al ricordo. Ieri vi citavo
Foucault e il caso delle isteriche, che secondo lui ne avrebbero inquinato le prove, nel senso che
avrebbero dato in pasto agli psichiatri, in particolare a quelli che praticavano l’ipnosi, ciò che in
fondo questi volevano sentirsi dire o volevano veder prodotto. Il problema dell’ipnosi è che era
molto difficile vincere le resistenze. Dal punto di vista ipnotico il tema delle resistenze continuava a
sussistere, continuava ad esercitarsi quella sorta di ostruzionismo del paziente verso l’accettare un
certo tipo di meccanismi o di regole. Quelle regole che poi, per Freud, la via aurea della psicanalisi.
Riguardo all’ipnosi le resistenze restavano mascherate. Non si vincevano le resistenze soprattutto
perché erano dissimulate, non venivano messe in evidenza. Cosa che invece accade col metodo
delle associazione libere, ecco il vantaggio secondo Freud, le resistenze vengono portate allo
scoperto e messe in evidenza. La resistenza è a sua volta espressione di quelle rimozioni che sono
un fattore essenziale del meccanismo patogeno. La rimozione è ciò che determina il fatto che nella
dimensione dell’inconscio si ritrovino tutti quei desideri che non sono stati realizzati e che ci
perturbavano. Quindi con l’uso dell’ipnosi le resistenze non venivano evidenziate e quindi non
potevano essere risolte. Il problema era grosso perché si finiva per sottrarre l’analisi dagli aspetti
fondamentali di ciò che riguarda la situazione psichica del paziente. Se anche Freud avesse
continuato a fondare la propria tecnica sull’ipnosi, che garanzie avremmo avuto di riuscire in
qualche modo ad avvicinarci a quegli elementi reconditi, nascosti e latenti che invece lo psicanalista
si propone di ricercare perché sono quelli che vanno rintracciati per capire il significato di quel
sogno che a tutta prima ci sembra non averne alcuno.
NOTE SULLA PUBBLICAZIONE DELL’OPERA
Questo libro straordinario ha avuto diverse edizioni, otto durante la vita di Freud. SI registrano
alcune differenze ma non degli sconvolgimenti, e Freud insiste su questo (dicevamo ieri che nella
prefazione inglese 3132 sottolinea che l’analisi sia quella che lui ha sempre evidenziato sin
dall’inizio del secolo e che la scoperta fondamentale fosse quella che abbiamo sottolineato). Non si
può dire che il quadro teorico della psicanalisi sia cambiato in corso d’opera. Del resto, Freud è
partito dal rilievo dato alla propria autoanalisi. Il problema dell’autoanalisi come abbiamo
sottolineato ieri non è da trascurare. Il problema dell’ideazione stessa di questo testo è strettamente
in funzione con quell’evento luttuoso della morte del padre. Quindi il problema di mettere a punto
una tecnica come quella delle associazioni libere ha la sua origine proprio in quella congiuntura
storica. Certo dal punto di vista generale anche la psicanalisi rappresenta un work in progress,
rappresenta una teoria che ha comportato al suo interno qualche riorientamento, ma non si può dire
che abbia avuto delle inversioni di tendenza o delle giravolte dal punto di vista della dottrina
freudiana.
Una cosa è fare edizioni di opere molto diverse l’una dall’altra, una cosa è invece ripubblicare lo
stesso libro oppure un libro che contiene poche modifiche rispetto alla precedente. Il problema era
quello che ha afflitto in questo caso Freud e tutti i filosofi e anche grandi. Il poco successo di
pubblico e anche di critica che aveva riguardato la prima edizione rese necessario realizzare dopo
meno di un decennio una seconda edizione (1909). Ci sono molti autori nella storia del pensiero che
si sono trovati nella stessa situazione. Pensate a Kant o a Hume. Kant scrisse la Critica della
Ragion Pura nel 1871, ma non ebbe il successo che sperava e due anni dopo fu costretto a scrivere
un aberégé che sono i Prolegomeni ad ogni metafisica futura per cercare di rendere più veicolabile
il suo pensiero. la Critica della Ragion Pura è molto ponderosa, contiene due parti di cui non si
intuiva bene il modo in cui stessero insieme (che saranno poi sviluppate nelle altre critiche) mentre
l’altro libretto due anni dopo molto più agile, sarebbe riuscito a veicolare il suo pensiero in maniera
molto più facile. Pensate a Hume che ha scritto il Trattato della Natura Umana nel 1739-40 che
anch’esso non ebbe un certo successo pubblico. Qualche decennio dopo diede vita alle Ricerche
dove naturalmente tagliò diverse cose: il fatto che il libro fosse molto più succinto voleva dire che
molte cose erano state fatte cadere e ci furono peraltro anche correzioni di tiro, nel senso che nella
mancata fortuna del trattato c’erano anche alcune posizioni che lui tese a rendere meno evidenti. Per
esempio non è un caso che Kant, avendo solo studiato le Ricerche non capì nulla davvero di Hume,
perché gli aspetti più importanti della filosofia humiana, quelli che costituiscono il “problema di
Hume”, che peraltro Kant molto spesso evoca emergono dal Trattato e non dalle Ricerche. Questo è
per dire che tutti o quasi i grandi filosofi, in questo caso uno psicologo e studioso dell’importanza di
Freud, si trovò nella necessità di ripubblicare questo libro. Questa necessità non si doveva ad un
interesse sollevato dall’opera anche solo in un pubblico che immaginiamo essere abbastanza
ristretto di addetti ai lavori (filosofi e psichiatri in sostanza erano pochi, quindi quante copie potevi
vendere?). Non è questo il problema. Freud usa anche molta ironia nella prefazione della seconda
edizione dicendo che i suoi colleghi psichiatri non si diedero alcuna pena per superare la sorpresa
inziale che era insorta con la sua concezione del sogno. Al contempo non c’erano solo i “cattivoni”
colleghi. C’erano anche i filosofi di professione che (Freud è molto più netto nei loro confronti)
erano ormai soliti sbrigare la pratica in poche frasi, perlopiù sempre le stesse, quelli che erano i
problemi della vita onirica, intendendola come una sorta di appendice degli stati di coscienza (ecco
la critica di fondo di entrambi). Sia che agli psichiatri che ai filosofi interessava soprattutto la vita
da scienziato. Del resto, il rilievo che ha una parola come coscienza per la storia della filosofia
rende abbastanza evidente questo tipo di commento, l’inconscio c’è o forse no, non sappiamo bene
cosa dire che cosa sia, ma al massimo è un’appendice quindi perché dovremmo occuparcene? Freud
si sentiva accerchiato da una parte e dall’altra. Viceversa, dice il perché aveva necessariamente
dovuto e voluto ripubblicare questo testo: tutte queste persone non avevano capito o notato che a
partire proprio da questo nuovo punto di vista si sarebbe potuto operare un radicale mutamente delle
dottrine psicologiche più consolidate. Vedete che lui punta in alto (anche qui ritorna e richiama la
scientificità). È sì il fondatore della psicanalisi ed un medico, ma gli interessi erano anche psico-
biologici o psicologici in senso stretto. Il tema del sogno affrontato correttamente, alla maniera di
Freud, sarebbe intervenuto per riposizionare tutti gli argomenti solitamente trattati nel quadro delle
psicologie più tradizionali dell’epoca. Vuol dire che questo atteggiamento della critica scientifica,
quell’atteggiamento di disinteresse per la sua posizione, non lasciava presagire nulla di buono. Anzi
dietro questo disinteresse non è che si sentisse del tutto abbandonato, lui pensava che questo
disinteresse si sarebbe tradotto in un silenzio totale nei confronti di questa dottrina. Anche per
questo lui tentava di ricongiungersi e richiamarsi con Binswanger, per cercare di far sì che alcune
persone che erano più al centro delle vicende culturali della psichiatria europea dell’epoca fossero
in grado di perorare in qualche modo la causa dello psicanalista. Il problema è che né dal punto di
vista scientifico né dal punto di vista di coloro che facevano uso dell’interpretazione dei sogni come
trattamento dei nevrotici (né mettendo insieme questi versanti) si sarebbe riusciti ad esaurire la
prima tiratura dell’edizione di questo testo. Viceversa, dice Freud, fu proprio l’interesse che
quest’opera esercitò in una schiera più ampia a (?). Il suo pubblico non è solo rappresentato dagli
psichiatri, colleghi o viceversa dei filosofi, ma è rappresentato dagli uomini in generale. Tutte
quelle persone che siano attirate in qualche modo da queste questioni che rientrano in questo
schema più ampio. Cioè persone che siano curiose dal punto di vista di questo sapere, quelli che lui
chiama i “moralisti”, non nel senso di chi giudica in modo più o meno preconcetto secondo una
morale preventiva. Le persone curiose. Non perché pensava a vendere le copie, ma perché pensava
che l’interesse potesse essere generalizzato. Indubbiamente c’erano i motivi per pensare questo.
Concludiamo con questa citazione. C’è un post scriptum nella seconda edizione del 1909 in cui
Freud spiega bene il motivo per cui non aveva continuato in quegli anni ad aggiornare la
bibliografia sul problema dei sogni(problematica che riproporrà nel confronto con Binswanger).
“È necessario che io mi giustifichi per non aver continuato la bibliografia dei problemi onirici anche
per il periodo intercorrente tra la prima e la seconda edizione di questo libro. La giustificazione
potrà apparire al lettore poco soddisfacente. Ne sono stato comunque determinato. I motivi che mi
avevano indotto a esporre la bibliografia riguardante il sogno erano esauriti con l’introduzione che
precede. Proseguire questo lavoro mi sarebbe costato grandissime fatiche. Mi avrebbe giovato o
insegnato assai poco. Infatti i 9 anni trascorsi non hanno portato nulla di nuovo o di valido, sia
quanto ai fatti, sia quanto alle opinioni per ciò che riguarda la teoria del sogno. Nella maggioranza
delle pubblicazioni comparse durante questo periodo il mio lavoro non è stato né capito né preso in
considerazione. Meno che mai, naturalmente, dai cosiddetti studiosi del sogno, che hanno dato un
brillante esempio della versione propria degli uomini di scienza a imparare qualcosa di nuovo.”
Questo è il motivo principale per cui la bibliografia e gli studi ulteriori, quella che noi
chiameremmo letteratura secondaria, non sono avanzati. Lui non aveva proceduto in questa
direzione perché bastava quello che aveva già inserito nella prima edizione.

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