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CODEX Aquile blu 

 
“​Fra le fronde più alte dell’albero del mondo vive un’aquila gigante,
da li tutto vede e nessuno la può domare.”

Caratteristiche generali
Il clan delle Aquile blu è da sempre un clan indomabile ma poco belligerante, la loro vita è
scandita dall’esercizio e lavori artigianali. Hanno dei corpi mediamente magri e ben definiti,
sono forti e prestanti poiché quotidianamente sottoposti a duri esercizi associati alla loro vita
in mezzo alle fitte foreste.
I membri svolgono diverse mansioni in perfetta armonia: i cacciatori, i conciatori, i cerusici e i
musici.
Le Aquile Blu prediligono un tranquillo ambiente rurale ad una caotica città; la cordialità, la
socievolezza ed un’eterna devozione alla famiglia e al clan, sono caratteristiche che ogni
membro possiede.
La loro cultura è molto legata al rispetto della vita, e non perdono l’occasione di aiutare
chiunque abbia bisogno di aiuto, anche un membro esterno al clan.

Hanno un fortissimo rispetto per la natura e farebbero di tutto per difenderla. Nonostante sia
un popolo prevalentemente pacifico non provocherebbero mai un nemico, ma in caso di
estremo bisogno o di soprusi sono in grado di difendersi diventando guerrieri precisi e letali.

Le loro origini sono legate al valore e al rispetto per la vita. Ogni loro competenza è
compiuta come una forma d’arte; la conoscenza è tramandata da generazioni ed è dedita al
perfezionamento del corpo e del loro intelletto.

È uso comune tingersi il viso e il collo con pitture di colore blu acceso, sia in battaglia sia per
un'uscita di caccia. Queste pitture sono un rituale giornaliero che ogni membro del clan
effettua per scacciare la malasorte e purificare lo spirito.
Struttura Sociale e usi e costumi
“Esistono tre modi per imparare la saggezza: il primo, con la tradizione, che è il metodo più
nobile; Il secondo, con l’imitazione, che è il metodo più facile; il terzo, con l’esperienza, che è
il metodo più amaro”

Le Aquile blu sono un clan di guerrieri onorevoli e indomiti, legati alla natura e agli dei
antichi. Come già detto la loro cultura è legata al rispetto della vita, al perfezionamento del
corpo e della mente. Ogni mansione viene assegnata ad ogni membro da “le tre madri”
durante il ​rito del Sumbel​ in onore degli spiriti, compiuto per il passaggio all’età adulta.
Il Sumbel è un importante rituale della tradizione del clan e consiste in una grande festa tra
banchetti, musiche e balli dove i giovani, pronti per il passaggio alla età adulta compiono il
Bagrarfull. ​Il Bagrarfull​, il “calice del migliore”, è un rito solenne che si tiene al termine dei
Sumbel. Esso consiste nel recitare un giuramento e bere idromele da un corno di toro.
È costume che i giovani stiano in equilibrio su un piedistallo posto di fronte al trono da “le tre
madri” finché il Sumbel non sia giunto al termine; arrivato il momento devono compiere il
giuramento solenne di fedeltà agli dei e al clan, per poi bere il contenuto del corno. I ruoli più
riconosciuti all’interno del clan sono: ​i Cernunnos, i Tann, gli Egill e gli Agus.

I Cernunnos: ​Ricercare, inseguire, abbattere o catturare sono parte integrante della caccia
alla selvaggina questo compito è svolto dai cacciatori detti anche Cernunnos. Agili e
prestanti sono anche i guerrieri di questo clan. Preferiscono vesti e cuoio per abbigliarsi per
avere la massima mobilità. Le armi utilizzate sono arco e frecce, coltelli e lance per la caccia
e spade lunghe, sax e scudi per le battaglie.

I Tann: ​Conservare e lavorare la pelle sono le mansioni dei conciatori detti anche Tann, ciò
serve per modificare la struttura del pellame e renderlo inattaccabile, o per filare le pelliccie
e trasformarle in vestiti. Per le Aquile Blu il telaio casalingo non è solo uno strumento per
abbigliarsi ma costituisce un vero a proprio tesoro. Con esso si realizza il ​vadhmàl​, il solido
panno di lana di montone che compone i capi di vestiario, fatto per tradizione dai genitori per
i figli al rituale del Sumbel. L'abbigliamento della popolazione è improntato alla funzionalità,
prevalentemente è un ruolo svolto dagli anziani del villaggio, richiede pazienza e una buona
dose di esperienza.

Gli Egill:​ Benché spesso mescolata e confusa con la magia, quella medica è un’arte molto
praticata dalle Aquile blu. Incisione, pulizia delle ferite, unzione, bendaggio e la preparazione
di rimedi erboristici sono le mansioni dei Laekmir(guaritori). Tra coloro che vivono nelle
montagne del nord i cerusici delle Aquile blu sono i più esperti, vengono chiamati Egill,
conosciuti come i migliori guaritori del regno avendo tramandato alle generazioni successive
le tecniche più efficienti.

Gli Agus:​ Conservano il sapere del popolo, istruiti per memorizzare tutte le tradizioni e i miti
del proprio clan e le informazioni del mondo esterno, questi sono i musici, detti anche Agus.
Distinguibili anche da un mantello fatto di cotone grezzo color malva, sono membri del clan
possessori di grande saggezza, poiché narrano gesta e leggende di cose realmente
accadute, latori di notizie e anche di conoscenza.
“La ricchezza provoca conflitti tra familiari ed è il sentiero del serpente. Il serpente si trova
arrotolato, attende sotto, nascosto come un campo coperto di gelo; conflitto che provoca
sofferenza alla famiglia”

Contrariamente a quanto avviene nelle altre tribù del nord, presso le Aquile blu la figura
femminile è tenuta in grandissima considerazione per le doti di comando. Il villaggio è
saggiamente governato da ​“le tre madri”​, sacerdotesse, ponte tra l’uomo e gli dei.

La politica e la giustizia del clan sono decise da assemblee presiedute da “le tre madri” e dai
membri più valorosi del villaggio. Le decisioni vengono prese dalle madri e dai membri del
concilio, subito dopo aver ascoltato chiunque voglia esprimere la propria opinione. Rarissimi
sono stati i casi in cui “le tre madri” si trovassero in disaccordo e mai è successo che il
concilio votasse in disaccordo a quanto disposto da “le tre madri” poiché le loro parole sono
sagge e nascondono profezie.

Ogni anno viene organizzata una festa, in prossimità dell'inizio della stagione della caccia, in
cui vengono organizzati giochi e un torneo rituale; il vincitore verrà eletto ​“principe del
raccolto”​, figura che guida il clan durante gli scontri armati che il villaggio dovrà sostenere.

Ogni luna nuova (la prima fase della luna, quand'essa è completamente oscura) viene
allestito un grande falò notturno, durante il quale tutti i membri del villaggio danzano e
recitano canti antichi, in cui si narrano gli eventi della storia del clan e le gesta dei grandi eroi
del passato; questo permette di tramandare la storia della comunità e dà ai giovani la
possibilità di immedesimarsi negli atti dei loro antenati.

Ultimamente la comunità delle Aquile blu si è isolata dal resto dei clan di Erbita, poiché
convinti che qualcosa di oscuro avvolga il Re e la sua famiglia. Nonostante ciò la loro fedeltà
alla corona è fuori discussione.

Le tre guide
“Dalla conoscenza vengono tre fanciulle di molta saggezza,che bevvero da quelle acque che
sotto l’albero si estendono. Sussurrano alla grande aquila. Queste decidono la legge,
conoscono il volere degli dei, queste scelgono la vita per i viventi nati, le sorti degli uomini.

Figlia del sole, la prima, figlia del sangue l'altra e figlia della terra quella ch'è terza.
Queste decidono la legge, queste scelgono le sorti degli uomini col volere degli dei.”

Hræsvelgr, la grande Aquila Blu, è progenitore delle tre madri alle quali ha donato loro la
visione del passato, del presente e del futuro. Le tre madri, adepte della grande Aquila,
dominano i poteri concessi da quest’ultima. Il loro potere è stato dato dalla stessa fonte
concedendo loro una visione onnisciente del mondo mortale del divenire, di ciò che è
previsto e del futuro.

Si dice che il potere delle madri sia trasmesso al momento della loro morte, passando la loro
coscienza alla nascitura e futura madre, che avrà contezza di tutti i loro passati.
Secondo le leggende era una pratica antica insegnata dagli dei stessi. Buona parte di
questa magia si basa sulla comunicazione con gli spiriti. Ciò permetteva di prevedere il
futuro, ma anche di dispensare morte, sventura e malattia. Con questa pratica era infatti
possibile privare un individuo della sua forza e della sua intelligenza per trasmetterle a
qualcun altro, cosi loro tramandano la loro conoscenza alla prossima madre.
Ogni mansione viene assegnata ad ogni membro da “le tre madri” durante il rito del Sumbel
in onore agli dei. Esse hanno degli appellativi datogli grazie alle loro capacità di visione del
mondo: la Figlia del sole riesce a comprendere il volere degli dei e grazie a ciò riesce, se pur
in parte, a vedere il futuro; la Figlia del sangue è colei la quale presiede ai riti più importanti
e che interpreta il presente; la Figlia della terra è la madre che ha un maggior contatto con la
natura e tramite essa riesce a vedere il passato.

Oggi le tre madri sono ​Oddkatla​, la Figlia del sole, ​Herdís​, la Figlia del sangue e sorella di
re dei draghi rossi e ​Toràrinn​, la figlia della terra.

Membri del consiglio


Madre Raccoglitrice/Padre Raccoglitore o Capo Tann:​ questa carica viene data
solitamente ai membri più saggi e che si sono contraddistinti per innovazioni sia nella caccia
che nel raccolto. Uno degli esponenti di spicco fu ​Silenia​ che fece apprendere e migliorare
la capacità di domare gli animali ai cacciatori del clan. Il nome del capo Tann odierno è
Arnbjörn​.

Capo Egill​: dotati di grandi capacità curative, conoscono tutti i segreti del corpo umano, la
loro esperienza ha portato loro a sperimentare attraverso alcune pozioni da loro preparate e
di portare il corpo ad acquisire capacità speciali, riuscendo a indurre anche delle visioni.
Il nome del capo Egill è ​Feima​ è una delle più anziane donne del villaggio.

Capo Guerra/Principe del Raccolto:​ figura che guida il clan durante gli scontri armati che il
villaggio dovrà sostenere. Il nome del Principe del Raccolto odierno è ​Kerra​ agile e forzuto,
formidabile in combattimento, la maggior parte del tempo possiede un carattere spensierato
e giocoso. Il suo comportamento quieto lascia il posto ad una selvaggia ferocia quando è
tempo di combattere, come una quieta tempesta o un vulcano da cui è meglio fuggire
quando inizia ad eruttare. Non viene però a mancare il rispetto per gli spiriti dei predecessori
e dei compagni caduti per trovare una guida.

Capo conciatore e tessile:​ questa carica è solitamente data ai membri più anziani poiché
data la loro esperienza riescono meglio a coordinare le opere di lavoro. Sono anche grandi
inventori di macchinari, utilizzati non solo per la tessitura o la conciatura. ​Wogalf​ è il nome
del capo conciatore oggi. Un vecchio artigiano che, nonostante la mancanza di un braccio, è
dotato di una abilità straordinaria nella lavorazione di oggetti innovativi e rivoluzionari.
VESTIARIO

Il vestito tradizionale delle aquile blu è il ​tartan​. Esso è un particolare disegno dei tessuti in
lana. Il ​kilt​, il tipico gonnellino delle aquile blu, è realizzato in tartan e difatti questo tessuto è
considerato un simbolo tradizionale, e la sua trama ​definisce la famiglia di appartenenza.
Questo disegno è ottenuto con fili di colori diversi che si ripetono con uno schema definito,
uguale sia nell'ordito che nella trama, denominato sett. L'armatura del telaio per tessere il
tartan è la saia. I blocchi di colore si ripetono verticalmente e orizzontalmente in un modello
distintivo di quadrati e linee che, intrecciandosi, danno l'apparenza di nuovi colori miscelati
da quelli originali. Il tartan è abbinato al plaid che è una tela appesa sopra la spalla come
fosse un accessorio del kilt, solitamente indossato insieme ad uno ​sporran​ (borsetta di
cuoio).

Gli indumenti vengono fabbricati in casa da


uomini e donne grazie al telaio verticale
appoggiato contro il muro. I fili dell'ordito
sono tenuti tesi con delle piccole pietre
colorate, mentre quelli della trama vengono
infilati con una primitiva navetta azionata a
mano. Il filo di lana si ottiene tramite la
filatura con la conocchia e i fili della matassa
sono ritorti a mano, con l'aiuto di un peso, un
cilindretto affilato ai due capi, che può
essere di legno, terracotta o pietra, e al
quale viene impressa una veloce rotazione.
Alla stessa maniera viene filato il lino. Di
largo uso sono anche le pellicce nei periodi
più freddi.
Le tinte più usate sono quelle naturali, il
beige, il marrone e il nero, ma non è raro il
ricorso alla tintura, adoperando conchiglie
frantumate o erbe e piante per ottenere
rosso, verde e blu.
EQUIPAGGIAMENTO
I membri del clan delle Aquile Blu sono soliti usare:

Arco e Frecce: ​Utilizzati prevalentemente durante la caccia. L’arco dalle aquile blu ha
flettenti stretti e molto lunghi. La parte centrale costituisce la sola impugnatura; fabbricato da
un unico ramo di legno di unico spessore, quando è scaricato dalla corda, a riposo, assume
la forma di un’asta lunga e dritta; le frecce hanno un fusto di lunghezza variabile, stabilito in
base all’allungo dell’arciere, la punta è realizzata in selce o in ossidiana. Il legno dell’arco è
in abete bianco. La corda viene creata da fibre naturali di origine animale, come i tendini
degli animali macellati.

Claymore:​ è un’arma comune per il clan delle Aquile Blu, una spada a due mani possente e
maneggevole. Caratteristica tipica della claymore è l’impugnatura. La guardia consta di una
crociera a bracci dritti per favorire le manovre di disarmo. Solitamente presentano vicino
l’impugnatura il ricasso, spesso manicato in cuoio, per sviluppare elaborate manovre che
permettano allo spadaccino di liquidare l’avversario anche se pesantemente corazzato.

Ascia corta: ​Leggere veloci e ben bilanciate per attacchi rapidi e improvvisi, il manico è
realizzato in legno, le dimensioni variano in base all’altezza del combattente e al peso della
penna che deve essere bilanciata. Sviluppata direttamente dagli attrezzi per tagliare il legno,
rispetto alla normale scure da guerra, per garantire sia maggior efficacia al colpo di taglio,
sia la possibilità, di agganciare, tramite l’uncino, il bordo dello scudo o un’arma o di fendere
colpi mortali quando la guardia dell’avversario rimane scoperta.

Sax:​ I Cacciatori e i conciatori portano quest’arma nella vita di tutti i giorni; usato come
machete o per lavorare la pelle, in tempo di pace, e come arma, in guerra. La grandezza di
questo coltello è data anche dalla anzianità e dalle gesta del possessore del sax.
Solitamente viene tramandato al figlio primogenito, ogni possessore incide in runico le
proprie iniziali nell’impugnatura.

Buklari:​ E’ un piccolo scudo, può essere sia di metallo che di legno, spesso decorato in
cuoio o con vernici colorate. E’ un'arma difensiva di origini antichissime che si impugna con
la mano sinistra, utilizzato per accompagnare un’arma impugnata con l’altra mano. Utilizzato
prevalentemente per difesa personale, anche se lo si può vedere anche in guerra come
arma d’offesa veloce e imprevedibile.

Lancia lunga: ​Le armi spesso presentavano disegni complicati creati utilizzando il processo
di niellatura. Questo si effettuava utilizzando una lega di diversi metalli (in particolare
argento) mescolato con zolfo, che viene poi strofinata in un disegno inciso e quindi cotta.
Solitamente usate per i rituali, vengono usate in battaglia solo in casi straordinari.

Scudo torre:​ Sono scudi più grandi, di forma oblunga decorati con simboli e colori.
Solitamente hanno delle decorazioni composte da cerchi e spirali realizzati con una tecnica
a sbalzo e decorata con incisioni e punzonature. Lo scudo è assai imponente e può essere
utilizzato in verticale ma anche in orizzontale per offrire una miglior protezione contro gli
attacchi. Prevalentemente questo ero lo scudo più utilizzato dalle aquile blu ma oramai
messo al bando dall’impero​. Molti ancora lo nascondono aspettando il momento propizio.
LE FESTIVITA ATTUALI
Molte delle festività delle aquile blu sono una rivisitazione di quelle antiche ma sono rimaste
nella tradizione locale, pur presentando alcuni cambiamenti. Quello che andiamo a
presentare è un elenco delle varie festività più sentite:

Yule ​(20 – 31 Dicembre):


E’ la celebrazione del nuovo anno per le aquile, ha una durata di dodici notti ed è la
principale festività. Proprio la notte del 20 Dicembre, la ​dea Sifa​ che cavalcava sulla terra in
groppa al suo cinghiale, portando luce e amore nel mondo; si celebra anche la rinascita di
Frey​. In questi dodici giorni (nei quali le ore diurne sono davvero poche) la Caccia Selvaggia
raggiunge il massimo potere.

Thurseblot ​(primo plenilunio di Gennaio):


E’ una festività minore dedicata al dio Kron, al quale si chiede di rimandare i geli e far
sbocciare la primavera.

Disting ​(2 Febbraio):


E’ la celebrazione delle Idi, quando l'inverno iniziava a perdere asperità: a questo fatto sono
legate la preparazione della terra per la semina e la conta del bestiame.

Ostara ​(20 – 21 Marzo):


E’ la festa della fertilità e del rinnovamento.
E’ l'usanza di scambiarsi dei doni come augurio di ogni bene, e per la sua capacità
riproduttiva, la lepre è considerata il simbolo di questa festività.

Walpurgis ​(22 Aprile)


E’ una notte di festeggiamenti e oscurità, nella quale si prega Korghul perché non porti notti
troppo lunghe.

Thrimilci ​(30 Aprile – 1 Maggio):


La celebrazione dell'avvento dell'Estate, questa festa è legata ai riti di fertilità, del raccolto e
della caccia.

Mezza Estate ​(20 – 21 Giugno):


Festa per il solstizio d'estate, quando il potere del sole raggiungeva il suo apice. Questo è il
momento in cui si viaggia, si pesca e si intraprendono nuove scoperte: questa è la festa
dell'azione e dei cambiamenti dedicata a ​Mim​.

Lithasblot ​(31 Luglio – 1 Agosto):


E’ la festa del raccolto, nella quale si ringrazia ​Sifa​ per la sua bontà.

Mabon ​(22- 23 Settembre):


Celebra la fine dei raccolti, e ad essa era collegata la preparazione dell'idromele.

Notti d'Inverno ​(29 Ottobre – 2 Novembre):


Celebra l'inizio dell'inverno e, durante la festa, si commemorano gli antenati.
Questa cerimonia si pone fine alla stagione dei viaggi e all'inizio di quella della caccia. Si
dice che chi trascorre l'intera notte seduto su un tumulo acquisisce capacità divinatorie,
sciamaniche e scaldiche. Nelle Notti d'Inverno ha inizio la “​caccia selvaggia”​.
RITI E USANZE
Le Veilzur:
Sono le feste più antiche della storia del clan. E’ rituale molto semplice e inizia con la
consacrazione dell’evento agli dei e finisce con un corteo per scacciare la malasorte portata
dagli dei dell’oscurità. Un Veizla (singolare di Veilzur) può durare da pochi minuti ad interi
giorni.

Il Minni:
Queste festività norrene sono strettamente legate ai cicli stagionali, talvolta messi in
relazione con alcune divinità. Il fulcro di questi riti è la consumazione di bevande alcoliche, i
membri del clan devono organizzarsi in gruppi di almeno tre persone per preparare la birra
che viene consumata nella festa d’Inverno e di Mezza Estate.
La pratica della condivisione della birra è legata anche ad altre festività quotidiane come il
Gravöl​ (funerale della birra) e il ​Barnöl​ (nascita della birra).
Durante queste celebrazioni si tengono frequenti brindisi che seguivano delle azioni ben
precise:
la coppa sacrificale deve essere fatta girare attorno al fuoco, benedire la coppa allo stesso
modo dell'idromele sacrificale. Il primo brindisi doveva essere per ​Arundel​, padre degli dei,
poi per ​Mim e Sifa​, per il buono raccolto e per la pace. Seguendo ciò, si è soliti alzare le
coppe in onore delle tre madri.
Non è raro che si brindi anche in onore dei defunti: questo brindisi prende il nome di minni,
termine che possiamo tradurre come memoria.

Il Sumbel e il Bagrarfull:
Il Sumbel è un importante rituale della tradizione del clan e consiste in una grande festa tra
banchetti, musiche e balli dove i giovani, pronti per il passaggio alla età adulta compiono il
Bagrarfull.
Precisiamo che il Sumbel non includeva cibo, ma precedeva o seguiva un pasto. Il Sumbel
era solenne nel senso che aveva un profondo significato e una certa importanza per i
partecipanti, ma non era una cerimonia cupa o severa.
Il Bagrarfull, il “calice del migliore”, è un rito solenne che si tiene al termine dei Sumbel. Esso
consiste nel recitare un giuramento e bere idromele da un corno di toro.
È costume che i giovani stiano in equilibrio su un piedistallo posto di fronte al trono da “le tre
madri” finché il Sumbel non sia giunto al termine; arrivato il momento devono compiere il
giuramento solenne di fedeltà agli dei e al clan, per poi bere il contenuto del corno.
Comunque, era considerato un comportamento meschino quello di ubriacarsi a un Sumbel.
Prendere da bere da una tazza cerimoniale poteva essere concepito come un simbolo della
divina ispirazione proveniente da Arundel tramite l'idromele della poesia.

La caccia selvaggia:
Il popolo delle Aquile Blu fa celebrazioni alle prime nevi, venerando il ​Dio Kron​ per la
protezione dal gelido Inverno e per la caccia. Diverse pratiche rituali compongono queste
celebrazioni: in alcuni luoghi viene lasciato del cibo per il dio e viene organizzato un corteo
di bambini spettrali per scacciare l’oscuro Korghul. Un altro aspetto di queste celebrazioni
sono delle esibizioni in maschera. A queste attività in maschera, generalmente, prendevano
parte i giovani tutti condotti da una donna che rappresentava l'Inverno in una processione
attraverso i boschi. I giovani tradizionalmente erano vestiti con pellicce nere, avevano dei
cappucci a coprire le teste, e delle cinghie a reggere dei campanacci, e i loro volti erano
nascosti dietro delle maschere.
Lo Erfi, il Funerale:
Lo Erfi, il funerale, è l’ultimo rito a cui è sottoposto il corpo di un uomo o di una donna. I corpi
vengono bruciati, per favorire l’accesso al Regno degli Dei.
Vi sono tre tipi di funerale:
- con una barca funebre, o da utilizzare in acqua che andava poi incendiata tramite frecce
infuocate o quella che fungeva da pira terrestre;
- con una pira eseguita sulla terraferma, differente da quella a forma di imbarcazione proprio
per la forma;
- con un tumulo, per i più valorosi e meritevoli d’onore.
Per i primi due tipi di funerale il rituale è comune:
Si pone il defunto sulla sua barca funebre con i suoi averi. Si santifica il rito agli dei tramite
un’ascia o un martello, ed in particolare ad Korghul, dio degli inferi, e ad Arundel. Si procede
col dar fuoco alla pira, sia essa in terra o in mare.
Per dar fuoco alla salma si utilizza l’olio, questo è importante soprattutto nei funerali con la
barca funebre, tipicamente adottata per i morti in battaglia, poiché la nave di legno,
bruciando, affonda, e dunque il corpo rischia di non bruciare completamente.
Un grande disonore è essere lasciati a deperire una volta morti, persino i condannati a morte
per crimini contro l’intera comunità. I casi di abbandono del cadavere o di seppellimento
sono rarissimi e su questo le aquile blu sono molto superstiziose temendo che i morti
ritornino a trovarli.

Cerimonia Nuziale:
Il matrimonio, in quanto rito di passaggio, obbligava gli sposi a sottoporsi ad una adeguata
preparazione. Questa aveva il duplice scopo di cancellare la precedente condizione di adulti
non sposati, e di prepararli ai rispettivi nuovi ruoli. La preparazione era ancora più estrema
nel caso in cui la sposa si accingesse a passare non solo da donna a moglie, ma anche da
vergine a madre.
La sposa prima del matrimonio, viene sequestrata dalle donne del villaggio. Come simbolo
della perdita della condizione di vergine, alla futura sposa vengono strappati via di dosso gli
abiti indossati. Le vesti della purezza vengono rimosse in modo solenne da una delle
assistenti della sposa e poi conservate in modo da consegnarlo poi alla sua prima figlia. Il
passo successivo nella preparazione della sposa è il bagno di vapore, un atto
profondamente simbolico, che rappresenta sia il "lavaggio" della condizione di vergine che la
purificazione dello spirito. La preparazione si conclude facendo indossare alla sposa l’abito
previsto per la cerimonia. I capelli sono lasciati sciolti indossando una corona nuziale di
foglie di trifoglio, addobbate con nastri di seta rossi e verdi.
Anche lo sposo deve affrontare la stessa preparazione comprendente il distacco dall'identità
precedente e la sua successiva cancellazione. Dato che i maschi non indossano nulla che
attestasse la loro condizione di scapoli, la distruzione simbolica della vecchia identità segue
una procedura diversa da quella della sposa. Lo sposo deve recuperare la spada
appartenuta a un antenato deceduto del clan, da usare più avanti nel corso della cerimonia
nuziale. Questo è considerato un rituale molto importante: attraverso la discesa nel tumulo,
l’uomo riemerge, in una forma di resurrezione simbolica, come sposo. Anche per lo sposo il
passo successivo è il bagno di vapore per purificarlo per la cerimonia nuziale. Dopo il bagno,
lo sposo viene vestito per la cerimonia preparato appositamente per lo sposo dalla famiglia.
La Cerimonia si tiene all'aperto scegliendo un luogo più indicato per invocare le divinità della
fertilità e del matrimonio. La cerimonia consiste nell'invocazione degli Dei: con una semplice
preghiera o attraverso la consacrazione di un animale come dono vivente per gli Dei e
mantenuta in vita come una bestia sacra per quella nuova famiglia.
STORIA DEL CLAN

Genesi
Antiche storie raccontano che il clan avesse preso insediamento vicino ai grandi boschi
dell’Adar​. Il clan basava la struttura sociale sulla "grande famiglia" patriarcale.
Il gruppo familiare includeva non solo la famiglia in senso stretto, ma l’intero clan. Questo
permetteva un grande spirito di comunità che portava cooperazione e pace nel clan.
Ogni anno veniva scelto un capo come figura guida del clan che aveva compito di
amministrare le attività di produzione, imperniate sull'agricoltura e l'allevamento svolti dal
popolo, e potere decisionale su ciò che il villaggio avrebbe dovuto affrontare.
La donna godeva di uguali diritti all'interno della società. Poteva ereditare come gli uomini ed
essere eletta a qualsiasi carica, tranne la figura del capo clan.
Le donne anziane venivano spesso interpellate nei concili per saggezza e temperanza.
Nel clan erano presenti figure di culto, dei sacerdoti, prevalentemente figure depositarie
delle tradizioni comunitarie, del sapere collettivo e dell'identità stessa della tribù.
Prevalentemente incentrato sulla produzione agricola e la caccia, il clan manteneva una vita
isolata e pacifica.

La nascita dei Veilzur


Il popolo cresceva con solide leggi e nel rispetto degli dei, e molti inverni passarono in pace
e prosperità. La cultura dei riti e delle feste in onore degli dei si fece sempre più forte col
passare del tempo. I rituali erano tra i più disparati ma mirati alle esigenze delle divinità da
soddisfare. Da qui nacquero i “​Veilzur​”, feste rituali che puntavano a soddisfare gli dei e
ingraziarli per i raccolti o per le stagioni di caccia.
Il fuoco veniva acceso da nove tipi di legno, questa era l'antica usanza.
Un sacrificio era offerto agli spiriti e ogni membro del clan era asperso con del sangue.
La parte migliore era donata agli spiriti e quel che rimane doveva essere consumata dagli
uomini.

Queste feste erano caratterizzate da frenesie, ritmi di tamburi e l’imitazione di versi di


animali tramite vocalizzi.
Le danze erano praticate dai cacciatori e dai guerrieri più valenti che indossavano maschere
e vestivano con pelli di animali, tramutandosi in bestie antropomorfe e armate, che
danzavano intorno al fuoco.

Nei periodi di grande freddo e alle prime nevi si organizzavano delle celebrazioni in cui si
chiedeva protezione per l'Inverno al dio Kron.
In queste celebrazioni veniva lasciato del cibo per il dio e organizzato un corteo di bambini
spettrali per allontanare Korghul, signore della morte e del buio, così da scacciare la
malasorte. Tradizionalmente erano vestiti con pellicce nere, avevano dei cappucci a coprire
le teste, e delle cinghie a reggere dei campanacci, e i loro volti erano nascosti dietro delle
maschere. I giovani erano tutti condotti da una donna che rappresentava l'Inverno in una
processione attraverso i boschi.
Il primo Capo guerra
Nel clan non vi era l’usanza di servirsi di armi tranne che in casi eccezionali, come la guerra;
di uso comune, invece, erano quelle utilizzati per la caccia, come gli archi e le lance.
Nonostante la presenza dei guerrieri e cacciatori, l’arrivo di un’ombra oscura mise in
ginocchio la tribù segnando un periodo di orrori e paura, portando lutti e sofferenza nella
comunità.

Per molte notti, le donne del villaggio, nei loro sogni, avevano visioni di fuoco e fiamme e di
una creatura generata dal fuoco stesso. Venne istituito un concilio per cercare di capire cosa
si sarebbe dovuto fare, se prepararsi ad una presunta minaccia o meno.
Vennero prodotti archi, frecce e lance, vennero istituite sessioni di addestramento anche ai
membri che non erano avvezzi alla lotta.
Dopo settimane di preparativi, al calar della notte, arrivò un temporale improvviso, forte
come mai prima di allora, il villaggio fu preso da enorme sgomento vedendo che i loro corpi
venivano ricoperti, non di pioggia, bensì di sangue, la quiete mutò in violenza in pochi attimi.
Improvvisamente smise di piovere, tutto si tinse di porpora, un silenzio innaturale avvolse la
pianura, poi d’un tratto una luce, prima fioca, poi via via sempre più intensa, si fece strada
tra gli alberi del fitto bosco.

Fuoco e fiamme avvolsero tutta la foresta e una moltitudine di animali uscì dal bosco per
raggiungere la salvezza.

Là, tra le fiamme, si ergeva una figura, fatta di fuoco e morte, il suo volto era avvolto da serpi
fiammeggianti e dopo aver pronunciato parole a loro sconosciute, svanì nel nulla.
Quelle parole scatenarono delle fiamme gigantesche e da esse prese forma una bestia, una
creatura alta tre metri si diresse furente verso il villaggio, squarciando le carni, spaccando i
crani e spezzando costole ai malcapitati che arrivavano a portata, esigendo morte.

Zarg​, cosi chiamata nelle leggende, era grande ma innaturalmente rapido e molti furono i
malcapitati che finirono azzannati dalle sue fauci. I guerrieri, crearono una prima linea,
combattendo corpo a corpo con il gigantesco mostro, mentre i cacciatori scoccavano le loro
frecce dalle retrovie. Nulla poteva fermare la bestia, ogni arma e ogni tattica sembravano
vane.

D’un tratto, arrivò un guerriero a cavallo, il capo aveva le corna del cervo, nero era il crine
del suo stallone, piastre di metallo adornavano la sua armatura, alla sinistra teneva una
lancia da battaglia e alla destra un grande scudo inciso con antiche rune.
Si parò davanti alla bestia Zarg e gli diede battaglia.
Pur riportando numerose ferite e vedendo il suo destriero morire, il forestiero fece cadere in
terra esangue la bestia.
Per prevenire il ritorno dell’evocatore di fuoco venne cosparso col sangue della bestia
caduta l’intero villaggio.
La notte, il guerriero non sopravvisse a causa delle ferite.
Venne organizzato un funerale ed eretto un tumulo, per onorare il valoroso combattente e
fargli trovare pace nell'aldilà.
La testa della creatura malefica venne messa su un palo e onori vennero tributati al
forestiero.

L’eroe si chiamava ​Jannik​, da quel giorno, figura di prestigio nei ranghi del clan, imbastito
con la carica di primo ​Principe del Raccolto​, ovvero il ​Capo guerra​.
Svart Take
La paura che si potessero ripetere gli orrori accaduti portò il clan a migliorare le difese con la
creazione di una milizia, in modo da pattugliare maggiormente le aree limitrofe al villaggio.
Durante una di queste spedizioni si addentrarono nei boschi raggiungendo luoghi a loro
sconosciuti. Riuscirono a trovare, nel fitto della foresta, un grandissimo lago. Questo era un
luogo ricco di vita, ottimo per la caccia e la pesca.
Nella strada del ritorno trovarono per terra profonde impronte che destarono sospetto e
sgomento. Erano piatte e brutte più di qualsiasi altra cosa. A ogni dito si accompagnava la
traccia aguzza di un unghia a forma di artiglio. La loro forma quindi era umana e nello stesso
tempo non umana. Con esse trovarono delle tracce di sangue che puntavano nella stessa
direzione.

La fine delle tracce portavano ad un'abitazione nel fitto del bosco, e una volta dentro furono
testimoni di uno spettacolo raccapricciante, una serie di corpi di giovane età e di bella
corporatura lacerati arto per arto, e dense pozze di sangue erano visibili sul pavimento e su
ogni superficie. Sentirono un singhiozzare sommesso e trovarono, nascosta, una ragazza.
Non era un essere umano, aveva strane orecchie e delle corna che spuntavano dalla cima
del capo. Alla vista dei cacciatori capì di non essere più in pericolo e, a causa delle ferite e
dello shock, perse i sensi.

Nella strada del ritorno, venne ritrovato un piccolo monile, più piccolo del pugno di un bimbo,
levigato e rozzamente scolpito. Un'opera brutta e grossolana: ​una falce di luna rivolta verso
il basso​. Tutti i guerrieri si accalcarono per vederla e alla vista di quell’oggetto capirono che
una nuova minaccia era in arrivo.
Il mattino seguente venne scandito dal rumore di martellate, tutti gli abitanti erano a lavoro
per le opere di difesa. I cavalli portavano un gran numero di tronchi che i guerrieri affilavano
sino a renderli aguzzi per creare delle palizzate.

Il Principe del Raccolto dirigeva personalmente i lavori, tracciando segni sul terreno con la
punta della sua spada.
Verso la metà della giornata, un presagio venne annunciato dalle donne più sagge del clan,
la notte successiva sarebbe calata la bruma e con essa gli “​Svartàki​”, esseri umani corrotti
da ​Korghùl​ e dall’oscurità che esso porta, modificandone il corpo e la mente piegandoli al
suo volere.

Il nome ​Svartàko​ è molto antico, almeno quanto le più antiche popolazioni di queste terre, e
significa “bruma oscura” (Svart Tàke). Una nebbia che col favore della notte porta demoni
neri, che straziano, dilaniano e mangiano la carne degli esseri umani.
Esseri irti di pelo e ripugnanti alla vista e all'odorato, arrivano con la nebbia notturna e
scompaiono allo spuntar del giorno; sono crudeli, astuti e parlano una lingua che nessuno
conosce.

Ai tempi antichi, la bruma nera era temuta da tutti, e nonostante tutti ne fossero a
conoscenza nessuno ne aspettava il ritorno.
Dopo i preparativi di difesa del villaggio, venne radunato l’intero clan nella sala comune, al
centro di esso. Vennero sbarrate porte e finestre, e i bambini e i più deboli trovarono
nascondiglio in alcune cantine usate per la conservazione del cibo.
Calò la notte e con essa arrivò anche la bruma nera.
Dapprima si udì un sommesso grugnito simile al grufolare di un maiale, accompagnato da
un rancido fetore, come quello di una carcassa in putrefazione da un mese.
Quel verso divenne sempre più forte.
Veniva da fuori, oltre uno dei muri della sala, poi da un'altra direzione, poi da un’altra.
Erano completamente circondati. Il silenzio venne interrotto da un urto poderoso che
spalancò le solide porte della sala, l’onda d'aria fetida spense tutte le luci e la bruma nera
entrò nella stanza. Sembravano migliaia, e tuttavia, quelle sagome oscure, non potevano
essere più di cinque o sei, ben poco simili a uomini e tuttavia quasi umane.

L'aria puzzava di sangue e di morte. I loro occhi erano rossi e scintillanti, mostri con peli
lunghi come quelli di un lupo, e altrettanto folti su ogni parte del corpo.
Non si sa per quanto tempo abbia infuriato la battaglia, ma d'un tratto, improvvisamente si
concluse. La bruma nera scomparve e si allontanò, lasciandosi appresso distruzione e
morte.

Quella notte persero la vita tre valorosi guerrieri. Uno di questi venne trovato con stretto a se
ancora un braccio di uno dei mostri della bruma, reciso di netto alla spalla dalla grande
spada. Tutti i guerrieri videro un piccolo braccio con una mano anormalmente grande.
Il braccio non era di grosse proporzioni ma aveva muscoli poderosi.
Era interamente coperto di lunghi e arruffati peli neri, tranne che sul palmo della mano. Il
braccio puzzava come l'intera bestia, emanando lo stesso fetore della bruma nera.
Il braccio dello Svartàko venne appeso alle travi della sala, per scacciare gli spiriti maligni.
Finì così la prima battaglia con gli Svartàki.

Silenia​, la ragazza ritrovata nel bosco, era probabilmente stata vittima di queste immonde
creature ed era riuscita a salvarsi solo grazie ad una buona dose di fortuna; venne curata e
adottata come membro del clan. Silenia era dotata di capacità sensazionali date dalla sua
grande armonia con la natura. Con solo il suono della sua voce entrava in connessione con
la terra e con gli animali, riuscendo con questi ultimi a far compiere azioni da lei richieste.
Tramandò questo suo dono alla sua nuova famiglia, soprattutto a quelli che ne erano più
portati, insegnando loro ad addestrarli e allevarli. Tutt’ora ai cacciatori del clan viene
tramandato questo meraviglioso dono.

A Silenia venne conferito l’onore di divenire la prima “Madre Raccoglitrice”.

Luna Nuova
Dopo sette lune, un nuovo presagio di morte si era palesato alle stesse donne che avevano
avuto in precedenza quelle visioni. La bruma nera sarebbe tornata e con essa i suoi servi
immondi. Ripresero le costruzioni per la fortificazioni intorno alla sala. Lavoravano tutti,
compresi i bambini e gli anziani. Venne eretta una nuova palizzata fatta di lance incrociate e
di pali con le punte aguzze e minacciose non più alta delle spalle di un uomo. Venne poi
costruita un'altra linea di difesa, un fossato scavato un passo e mezzo oltre la palizzata. Non
era profondo: non più alto delle ginocchia di un uomo o anche meno. Era stato scavato in
maniera ineguale, sicché in certi punti era poco profondo, in altri molto di più e con delle
piccole buche e qua e là erano state conficcate nella terra delle piccole lance con la punta in
su. Col calare dell'oscurità la bruma scese dalle colline, sgusciando come tante dita intorno
agli alberi e filtrando sui verdi campi, diretta verso il villaggio in attesa. Qui il lavoro non
aveva soste: l'acqua di una sorgente venne deviata per riempire il fossato, per nascondere i
paletti e le buche più profonde, costituendo quindi un pericoloso trabocchetto per qualsiasi
invasore. Adesso la notte era totalmente buia e i guerrieri aspettavano l'arrivo degli Svartàki.
Mentre gli occhi di tutti erano rivolti verso le colline, a grande altezza e a grande distanza, fu
avvistata una luce scintillante e infuocata, simile a una stella ardente.
Comparve presto un secondo punto luminoso, poi un terzo, poi un quarto fino a perdere il
conto. Cavalieri armati di torce avanzavano verso il villaggio, nere sagome con le torce
levate e neri destrieri sibilanti che si lanciarono alla carica, iniziando così la battaglia.
L'aria della notte si riempì immediatamente di urla spaventose e di grida strazianti, perché la
prima carica aveva sbattuto contro la trincea e molti cavalli erano inciampati e caduti,
rovesciando i rispettivi cavalieri, mentre le loro torce crepitavano nell'acqua. Altri cavalli, che
cercavano di saltare la palizzata, finirono impalati sulle punte aguzze. Una parte della
palizzata prese fuoco. I guerrieri nemici fuggirono in ogni direzione.

La battaglia infuriò per un considerevole lasso di tempo, illuminata dal fuoco che divampava
nella bruma.
Il terreno era inzuppato di sangue, come se fosse stata pioggia, pieno di cadaveri di uomini,
donne e bambini.

La palizzata era quasi completamente bruciata. In altri punti si vedevano cavalli impalati e
ormai freddi. Qua e là erano sparse delle torce ma nessuno dei nemici giaceva senza vita
sul campo di battaglia nonostante i guerrieri più abili erano sicuri di averne uccisi e feriti un
bel po’. Un bambino entrò nella sala con in mano un oggetto di pietra. Esaminandolo videro
che era un altro monile uguale a quello ritrovato nel bosco: l’immagine rappresentava il dio
degli Svartàki, che li dirige e li guida nelle loro azioni.
Il presagio di un ulteriore battaglia si sarebbe abbattuto nuovamente. Ma il clan aveva subito
ingenti perdite per resistere ad un altro scontro, troppo debole e troppo poco numeroso. Le
fortificazioni erano state bruciate e distrutte.
Il destino si sarebbe abbattuto ponendo fine dell’intero clan se non fosse che le stesse
donne, che avevano avuto le visioni di sventura, ora portavano speranza e cambiamento.
Era loro venuta in sogno una grande aquila che li avrebbe condotti lontano dal pericolo e
avrebbe assicurato loro la salvezza, poiché meritevoli in quanto rispettose degli spiriti e degli
dei. Appresa questa notizia, si prepararono per il viaggio che avrebbero dovuto affrontare.

Askr ed Embla
Finiti i preparativi vennero sellati i cavalli e, nella prima parte del giorno, dalla pianura,
raggiunsero foreste di alberi verde scuro.
L'alito sibilante dei cavalli e i bianchi sbuffi di fiato dei cani erano causati dal vento gelido
arrivato col calar della notte, nonostante ciò proseguirono il loro viaggio.
Avanzarono a passo lento per un notevole tratto, e dopo aver cavalcato a lungo arrivarono,
verso la metà del giorno, in un ambiente diverso. Era una piccola distesa d’erba, una
brughiera che si trovata davanti ad un bosco di grandi alberi secolari.
Poi a un certo punto i cani si fermarono. Il terreno non era cambiato e non c'erano segni di
alcun genere; tuttavia i cani si bloccarono come se avessero davanti un ostacolo.

Non c'era vento e non si udiva alcun rumore, né di uccelli né di altre creature viventi.
Soltanto il silenzio. Dal fitto del bosco emerse una figura che aveva le sembianze di un
uomo, ma portava, come Silenia, corna di animale sul capo e orecchie da cervo. Puntandoci
col suo arco, pronunciava una lingua sconosciuta. Quelle erano le porte per il regno degli
immortali. Vani risultavano i tentativi di parlare con questa creatura che sembrava ostile a far
oltrepassare il popolo così bisognoso di aiuto.
D’un tratto, nonostante fosse notte fonda, il cielo si illuminò come fosse giorno e ​una
gigantesca aquila dalle piume blu​ si palesò di fronte agli occhi increduli del clan.
La guardia alle porte del regno degli immortali, al suo cospetto, depose le sue armi e fece
passare l’intero clan. L’aquila blu, che si era mostrata nei sogni e nelle visioni di quelle
donne, stava aprendo loro le porte della salvezza.
Seguirono la guardia e sui due lati del sentiero se ne aggiunsero altre due per fare da
scorta. Continuarono a cavalcare di buon passo arrivando poi a una collina e, giunti sulla
cresta poterono contemplare dall'alto il paesaggio. Scorsero una grande roccia, grigia,
enorme e lontana, alta come la sella di un cavallo e scolpita in modo da formare la figura di
una grande aquila.

C'era una vallata, e in essa un cerchio di abitazioni in legno finemente cesellate al cui
centro, un grande fuoco che ora si stava consumando. Non c'erano cavalli, ma grosse alci
che usavano come destrieri apparentemente disinteressate alla presenza di questi nuovi
visitatori.

Arrivati al villaggio smontarono di sella e scesero guardinghi la collina, tra arbusti e cespugli
pieni di fiori e frutti mai visti, diretti al centro dell’accampamento.
Queste creature possedevano poteri magici e non temevano quindi nessun uomo.
Vennero scelte le figure di rilievo del clan indirizzate alla più alta delle abitazioni per
presiedere al cospetto di ​Tengol​, più vecchio degli altri, con barba e chioma di un bianco
purissimo e un viso grinzoso e rugoso.

Il suo nome, tradotto in lingua conosciuta, significava giudice del bene e del male e indovino.
Questo Tengol salutò i presenti chiamandoli per nome e li invitò a sedersi. Spiegò che il loro
arrivino era previsto da tempo grazie alla grande aquila, ​Hræsvelgr​, ​dominatrice dei venti​,
sapiente di tutto ciò che è accaduto in passato, che sta accadendo nel momento presente e
che accadrà nel futuro. Il clan sarebbe stato ospitato, quindi, nella dimora di Hræsvelgr a
patto di imparare gli usi e rispettare le leggi di quelle terre in un grande albero cavo poco
fuori dal villaggio.

Nella grande sala dove vennero accolti si tenne un grande banchetto, al quale presero parte
tutti e due i popoli. Si consumarono due grosse pecore cornute, uccise in onore agli dei, e
ognuno bevve acqua di fonte e una bevanda ricavata dalla fermentazione del frutto della
vite, fatta cuocere con frutta e spezie dal sapore intenso e dolce.
Passò diverso tempo e i due popoli convissero nel rispetto delle leggi e degli dei.
La grande aquila Hræsvelgr aveva scelto come adepte quelle stesse donne del clan che
avevano dimostrato grandi capacità spirituali. Queste tre donne avevano il compito di curare
una fonte nella cima della dimora di Hræsvelgr ed imparare a dominare quei poteri che gli
erano stati concessi. Questo potere venne nutrito dalla stessa fonte concedendo loro una
visione onnisciente del mondo mortale.

Vennero chiamate “Le tre madri” ed erano considerate le guide dell’intero clan.
Passarono vari giorni e l’intero clan poté così riprendersi dall’attacco subito, ma la calma non
sarebbe durata a lungo perché il loro nemico non avrebbe avuto pace affinché non avesse
soddisfatto la sua brama di sangue. Hræsvelgr aveva già messo al corrente l’arrivo degli
Svartàki e li esortò a prepararsi al meglio in modo da infierire il colpo di grazia al proprio
nemico. Arrivò la notte ed entrambi i popoli erano pronti alla battaglia. Fu così che si
trovarono nuovamente faccia a faccia con il loro spettrale nemico.
Ben visibili alla luce tremolante del fuoco, sembravano esseri umani sotto tutti gli aspetti, ma
non assomigliavano a nessun uomo vivente sulla terra. Erano piccoli, tozzi e tarchiati, e
pelosi in tutte le parti del corpo, tranne i palmi delle mani, le piante dei piedi e il viso.
Avevano facce larghe, con bocca e mascelle grandi e prominenti e assai brutte a vedersi, e
anche le teste erano più grosse di quelle degli uomini normali. Gli occhi erano incavati, i
denti, erano grandi e aguzzi anche se in molti casi erano stati limati e affilati. Poi apparve
una vecchia creatura che dapprima si celava nell'ombra emettendo urla agghiaccianti.
Pronunciando parole incomprensibili impartiva ordini a tutti gli Svartàki.

Hræsvelgr le si scagliò contro aiutando le Aquile Blu nella battaglia che cadevano uno dopo
l’altro sotto i colpi di quella creatura maligna. Colpiva senza sosta coi suoi artigli e gli uomini
spiravano in preda ad agonie e sofferenze causate dal veleno che secernevano.
Altri guerrieri colsero l’occasione di attaccare quella che, presumibilmente, era la loro guida
infierendole numerosi colpi mortali. Nonostante fosse stata ferita gravemente la donna non
cadeva, e rimaneva sempre in piedi, anche se zampillava sangue come una fontana,
continuando a emettere grida orribili. I suoi occhi divennero completamente neri, privi di iride
e pupilla, e nera e densa come la pece era la bava che adesso le usciva dalle fauci. Si
scagliò contro Hræsvelgr azzannandolo e dilaniandolo. Col suo enorme becco, Hræsvelgr,
la afferrò e la strappò da se, scaraventandola violentemente a terra e non appena esalò
l’ultimo respiro, gli Svartàki batterono in ritirata. Era stato inflitto loro un duro colpo e
difficilmente si sarebbero ripresi. Nonostante Hræsvelgr riprese le forze, il clan stesso decise
di lasciare quei luoghi per non mettere più in pericolo la grande Aquila e il suo popolo ma
avrebbero onorato le sue azioni mantenendo il suo nome per il clan.

Il Regno di Erbita
Dopo decenni di pace e prosperità, dalle montagne iniziarono le razzie di bande di Thorak
mano nera, guidate da Gurk denti marci.
Le aquile blu non potevano affrontare tale minaccia ed emissari vennero mandati nella
regione, in cerca di alleati.
Da Erbita venne l’aiuto: ​Re Godamas Krauser​ portò la sua armata presso la cascata del
Basilisco e affrontò la minaccia dei “pelle nera”. Lo scudo di Gurk denti marci venne preso
come trofeo, dopo che il sovrano di erbita fracassò il suo cranio con un colpo di ascia ben
assestato. Le tre madri delle Aquile Blu videro in lui la forza e la mano degli dei e si
inginocchiarono di fronte al nuovo Re e giurarono fedeltà al regno. Da quel giorno le Aquile
Blu divennero cittadini di Erbita e risposero sempre alla chiamata del più grande sovrano
della regione. L’arrivo dell’imperatore Fanes non mutò l’alleanza e le Aquile Blu si
allinearono al volere del Re di Erbita, inginocchiandosi all’Impero.

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