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Il presupposto necessario e non sufficiente del trauma in quanto tale è che nel suo svolgersi e

dispiegarsi, il soggetto non sia un grado di percepire né prevedere gli sviluppi e le conseguenze che
l'atto comporterà nel prosieguo della sua vita, né di poterli controllare almeno fino al suo
riconoscimento. Esiste l'evento-in-sé immediatamente successivo alla manifestazione del fenomeno,
quella barbara stilettata che accende un'autostrada di fuoco elettrico lungo la dorsale cervello-pancia
e che piano piano affievolisce, il suo scopo ormai esaurito. In modo scorbutico come un neon
sempre più intermittente o progressivo come un fuoco esausto, poco importa, il seme è stato
impiantato, dormiente e ricco di potenzialità. E lì rimane, fecondo, mentre la vita di tutti i giorni
riprende, giocoforza cosciente del fenomeno che ha con brutale violenza turbato il comune scorrere
del tempo quotidiano. Nutrito e accudito da così repentini cambiamenti della quotidianità sui cui
l'invisibile fenomeno sta sfogando tutta la propria potenza, la collettività è assolutamente ignara
della portata e delle conseguenze che lo sbocciare e il crescere del piccolo seme d'acciaio avrà nel
nella realtà soggettiva e oggettiva, collettiva e quindi individuale. Il turbamento e le scosse che il
fenomeno ha avuto comporteranno misure, cambiamenti sostanziali, una convincente litania ripetuta
allo sfinimento che alla fine le cose si sistemeranno ma che niente sarà più come prima. Può
capitare però che appaia evidente sin da subito come le presunte soluzioni al fenomeno, in quello
specifico momento ancora invincibile, non possano essere altro che formule di gestione e
contenimento, non certo di sfida ad armi pari. Ciò che ne risulta è un individuo immobile,
spaventato, la cui unica consolazione pare essere la ripetizione mentale del mantra. Un mantra
sempre più vuoto ripetuto allo stremo, che ha tutte le caratteristiche dell'esorcismo: la prima,
concreta e misurabile prova che qualcos'altro è successo sotto la superficie dell'avvenimento, un
minuscolo ma gigantesco, primo segnale dei rivoltamenti tellurici in atto qualche centimetro al di
sotto del visibile. Lì dove il piccolo seme d'acciaio ha trovato terreno fertile per realizzarsi
inevitabilmente, i suoi gangli che iniziano con pazienza e metodo a creare connessioni, ponti,
ingerenze, sovrapposizioni con il reale e il quantificabile. E giorno dopo giorno, settimana dopo
settimana, l'individuo e la collettività non senza ritrosie e resistenze si reinventano in una
quotidianità diversa, raccolta, uno circolo virtuoso di convinzione reciproca auto-conservativa. Un
cambiamento quasi esclusivamente superficiale e logistico che, viene garantito, permetterà al
tempo di riavvolgersi e riportare il tutto come prima della manifestazione del fenomeno. Ma
ricordiamolo, è solo contenimento, non soluzione, e non potrebbe essere altrimenti. E giorno dopo
giorno, settimana dopo settimana, i tentacoli del trauma inizieranno a fare capolino da questa parte
del percepibile come fiori dal cemento, alimentati e rinvigoriti dalle difficoltà della nuova
quotidianità, dalle rinunce imposte dall'autoconservazione, dal rancore per il prezzo che quei
sempre meno convincenti rituali d'esorcismo stanno dimostrando di costare. Sospinti verso il cielo
dalla forza centripeta che la loro natura ha per definizione, finiscono per irrompere nel reale e
pratico del più fragile, del più emotivamente ricattabile, del meno preparato allo stravolgimento in
atto. E qui il cortocircuito. Come invisibile, potente e archetipico sembra essere il fenomeno,
altrettanto dovrà esserne la soluzione. Una rete nuova si crea, tanto concreta e misurabile quanto
non lo sono le ragioni che ne stanno alla base, tra soggetti che si identificano reciprocamente e non-
scelgono di condividere quello che la spinta del trauma obbliga loro a condividere. Una nuova
comunità inconscia sorge. Nuovi esorcismi prendono lo scena, nuovi crocefissi il cui possesso e
ostentazione promettono di garantire la protezione dal fenomeno, variazioni del mantra originale
iniziano a viaggiare di bocca in bocca nella crescente moltitudine degli accoliti del trauma. Nuove
spiegazioni del fenomeno vengono assunte come Verbo più comprensibile, quindi più condivisibile.
Il significato di certe, specifiche pratiche imposte dall'alto nel tentativo di arginare il fenomeno,
svuotandosi della loro della loro efficacia pratica, diventano ritualità, salvifiche per definizione.
Una nuova salvezza che viene garantita al costo di dedizione al dogma, sacrificio inerte e
ostentazione del feticcio. Così le originarie soluzioni di disinnesco del fenomeno perdono di
interesse e apparente efficacia nella loro pedissequa ripetitività, così lontana dagli ancestrali
rigurgiti rituali del nuovo collettivo. Uno slittamento di significato da ciò che dovrebbe essere fatto
a ciò che non potrebbe essere altrimenti nonostante tutto. Non ci sono precauzioni, misure o senso
di responsabilità che tengano: è l'idolo a promettere, in qualsiasi condizione, sicurezza e salvezza.
Di quale salvezza si parli, è presto detto: la garanzia che tutto vada bene, quindi che torni tutto
esattamente come prima. Costi quel che costi, perché ogni culto ha bisogno dei propri martiri. E una
volta portato a compimento il ciclo evolutivo del fenomeno, condannato per costituzione a finire a
prescindere da qualsiasi formula alchemica gli sia sviluppata contro, con matematica sistematicità e
ferina dedizione tutto tornerà come prima. Ricreando idealmente le condizioni per cui un nuovo,
lentissimo ciclo possa avviarsi.

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