Napoli, 1943: sotto uno dei sempre più frequenti bombardamenti alleati, in un bordello cittadino il
benestante Mimì Soriano (Marcello Mastroianni) fa la conoscenza della prostituta minorenne
Filumena (Sophia Loren). L’episodio darà vita ad un rapporto tra i due che si svilupperà irregolarmente negli anni successivi: forte della propria condizione, Mimì farà di Filumena la propria amante. Ma insoddisfatta della propria condizione e alla vigilia del matrimonio di Mimì con la giovane Diana (Marilù Tolo), Filumena si fingerà in punto di morte per convincere l’uomo a sposarla. Furioso e ingannato, Mimì scoprirà anche che Filumena negli anni è diventata madre di tre bambini di cui uno sicuramente suo, pur non venendogli rivelato quale. Mentre cercherà di dipanare la matassa, Mimì troverà la più inattesa delle soluzioni. Libero adattamento dalla commedia teatrale scritta da Eduardo de Filippo nel 1946, alla secondo riduzione cinematografica dopo quella dello stesso Eduardo del 1951, nelle mani del produttore Carlo Ponti l’immortale opera di Eduardo viene declinata in una commedia amara di grandissimo successo di pubblico e di critica. Con in mano la trasposizione di quattro mammasantissima della sceneggiatura dell’epoca (Renato Castellani, Tonino Guerra, Piero de Bernardi e Leonardo Benvenuti), Vittorio de Sica mette in atto una totale cinematografizzazione del testo teatrale che, soprattutto nella prima ora, non perde un colpo, in costante, equilibrata tensione tra romanticismo da feulietton ottocentesco, satira sociale e due interpreti, per ragioni diverse e complementari, larger than life e capaci di archetipizzare con i loro personaggi un’intera società. La debordante, ferina femminilità di una umanissima Loren e il suo ideale contraltare alla perfettamente dosata, deliziosa ipocrisia del borghese Mimì diventano così i due magnetici punti focali di un adattamento per tutti i palati di una commedia che, come si è detto, muta in maniera piuttosto vistosa nel suo passaggio alla pellicola: il ricorso al lungo flashback iniziale, lo strategico cambiamento del titolo, che strizza l'occhio a quel Divozio all'italiana di tre anni prima diretto da Pietro Germi ed interpretato dallo stesso Mastroianni; una seconda parte, introdotta da un’ulteriore flashback necessario alla successiva svolta narrativa della vicenda, che vira invece con decisione verso sfumatura più rosa e meló, facendo di fatto perdere alla pellicola buona parte di quello slancio e freschezza che ne determinano l’intera prima ora. Una sorta di riequilibrio che è dove con forse più evidenza si svela lo spirito complessivo più commerciale dell’intera operazione, sapientemente orchestrata dal trittico DeSica-Loren-Mastroianni reduce dall’Oscar al miglior film straniero di appena un anno prima con Ieri, oggi, domani.