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MATTIA BUTTA
Jak se jmenuješ?.......................................................................................18
Batoh.........................................................................................................23
Parco ceco.................................................................................................38
Happy days...............................................................................................55
Hi! How are you?.....................................................................................60
Co nadělaš?...............................................................................................67
Titoli di testa.............................................................................................73
Pochi, ma buoni........................................................................................78
Ai cechi...................................................................................................104
Dieci aggettivi........................................................................................108
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prende quando senti che non sei a casa tua. Senti che c'è qualcosa di
diverso, ma non riesci a capire cosa sia.
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Buon viaggio!
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Sono con degli amici in birreria. Mima è in città solo per una giornata
e mezza, così ha trascinato me ed altri amici a bere.
Io: «Ma scusa, ora che vieni a Praga solo un giorno alla settimana, dove
stai a dormire?»
Io: «Sì, ma scusa, Honza adesso lavora a Cork, o mi sono perso qualche
puntata?»
Io: «No, scusa, vuoi farmi credere che mentre Honza è in Irlanda a
lavorare tu, una volta alla settimana, vai a casa sua a dormire insieme
alla sua morosa?»
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Io: «Come che problema c'è? C'è che non si fanno queste cose, scusa!»
Io: «Oh santo cielo. Hai trent'anni, non sei un bambino. Cerca di capirlo.
Perché si presume che se anche tu hai tutte le buone intenzioni di
questo mondo, magari capita che la mattina vedi Jana con una
vestaglietta fine fine addosso, o magari anche meno vestita. Così ti
vengono le tentazioni e combini il patatrak.»
Mima: «Ma guarda che io Jana l'ho già vista nuda più di una volta.».
Mima: «Ma cosa hai capito? Abbiamo semplicemente fatto il bagno nudi
insieme.»
Mima: «Una volta eravamo nei paesi baschi per una conferenza.
C'eravamo io, altri colleghi e Honza con la sua fidanzata. Volevamo
fare un bagno nel mare, ma non avevamo i costumi così ci siamo
spogliati e abbiamo fatto il bagno nudi.»
Io: «Cioè, scusa, fammi capire... Eravate un gruppo di uomini con una
donna sola, vi siete spogliati tutti nudi come il culo di un macaco e
c'era anche Honza che non ha avuto problemi a farvi vedere la sua
morosa nuda?»
Mima: «Sì. E quindi? Davvero non riesco a capire dove vuoi arrivare.
Qual è il problema?»
Mima era sincero. La sua non era sfrontatezza di chi si vuole vantare
per una trasgressione. Per lui era davvero normale quello che aveva fatto.
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Mostrarsi nudo davanti a dei colleghi e alle loro morose era qualcosa che
non infrangeva nessuna regola. Così come era normale per Honza
mostrare la sua fidanzata ai colleghi così com'è, senza trucco e senza
inganno.
Per questo Mima non capiva il motivo del mio stupore. Mi raccontò
anche di quando ripeterono il bagno di gruppo, tutti nudi (Jana
compresa), in un laghetto al fianco di un'autostrada in Norvegia.
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fanno vedere. È per questo che sono rimasto stravolto quando sono
venuto a contatto con la realtà della nudità ceca. Tutte le mie certezze si
sono infrante.
Sì, perché mi ricordo ancora quando andai per la prima volta alla
piscina di Lecco, dopo la ristrutturazione. Era comparso un cartello «È
severamente vietato fare la doccia senza il costume». Se siete cechi vi
lascio trenta secondi per ridere (la consueta reazione quando racconto di
questo cartello). Alla piscina di Podoli infatti il cartello è esattamente
opposto “Prima di entrare in piscina si deve fare la doccia senza il
costume”.
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Ho riflettuto molto (si vede che non ho nulla da fare, vero?) sul
motivo per cui i cechi hanno questo rapporto così libero con la nudità. Se
devo essere sincero non ho trovato una risposta. All'inizio pensavo fosse
dovuto al fatto che i cechi non sono religiosi, e perciò non sentono sulle
spalle il peso del “peccato di nudità”, come mi ha inculcato mia nonna.
Poi mi sono dovuto ricredere; un giorno infatti sono andato in piscina
con un gruppo di amici cattolici, una rarità in questo paese. I cattolici
cechi sono pochi ma strettamente osservanti, non come gran parte dei
cattolici all'acqua di rose del mio paese natio. Pensavo quindi di vederli
tutti pudorosi che si cambiavano alla velocità della luce per non far
vedere le “brutte cose”. E invece si sono comportati come tutti gli altri
cechi presenti: nudi come vermi che facevano con calma la doccia in
compagnia, senza pudore nel mostrare i propri strumenti di battaglia.
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Quindi non era un problema di religiosità. Ma allo stesso tempo non era
nemmeno dovuto a uno spirito libertino: nel racconto di Mima non c'era
malizia. I cechi non si spogliano per esibizionismo, o per
anticonformismo, e nemmeno per pruderia. Probabilmente non si fanno
nemmeno problemi comparativi delle proprie appendici pendule (che in
effetti non sono correlate ad alcun merito/demerito). Per loro la nudità è
una cosa normale, come tante altre cose della vita. E in effetti, non riesci
a capire cosa ci sia di male ad essere nudi, e ad essere visti nudi.
Allora non riuscivo a capire perché i cechi avessero tutta questa libertà
nel mostrarsi nudi. Poi ho capito che il problema era opposto: ero io che
dovevo capire perché per il mio popolo, una cosa normale come la nudità
era così mal considerata.
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Jak se jmenuješ?
Per chi vive nella Repubblica Ceca questa domanda è quasi inutile:
senza peccare di ottimismo, tirando a indovinare quattro o cinque volte,
molto probabilmente indovinerai il nome della persona con cui stai
parlando senza chiederglielo. Questo perché i cechi hanno poca,
pochissima, fantasia nel dare il nome ai figli. Gran parte della
popolazione può essere raggruppata in pochi, banalissimi nomi, e ciò
vale sia per gli uomini che per le donne. Se stai parlando con un uomo
ceco molto probabilmente il tuoi interlocutore si chiama Jiři (Giorgio),
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Non pensiate però che il mondo dei nomi cechi mi crei solo problemi.
Ci sono altri due elementi interessanti nella scelta dei nomi cechi. Il
primo è quello dei nomi desueti, che quantomeno provoca curiosità.
Molti infatti dei nomi più comuni sono nomi quasi scomparsi in altri
paesi. Pensate al già citato Vojtěch, nome difficile da tradurre, ma che in
verità corrisponde ad Adalberto. Di Vojtěch ne ho incontrati qualche
decina a Praga: trovatemene uno a Milano e cento punti sono vostri
(persone con più di novant'anni non valgono). Discorso analogo per i
moltissimi Vladimir (che forse a noi ricorda più che altro il conte
Dracula), Václav (Venceslao) o Stanislav (Stanislao, l'unico che
conoscevo con questo nome era un magistrato che di questi tempi
dovrebbe andare per i novant'anni: fa impressione vedere un bambino
con questo nome!).
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Ecco, questo fenomeno non esiste tra i cechi. Anche i bambini del
giorno d'oggi vengono chiamati con nomi normali e non come le stelle
del cinema o della musica.
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Batoh
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Un ceco usa il Batoh, che non è la capitale di uno stato del Sud-Est
asiatico. Batoh significa zaino; il caro e vecchio zaino, quello che si
carica in spalla. Oggi ormai sono diventati degli strumenti meravigliosi:
hanno schienali rinforzati e imbottiti, cinghie che scaricano il peso sulle
anche senza forzare le spalle. Insomma non sono più solo sacche di tela
da caricarsi in spalla, sono dei veri concentrati di tecnologia a cui in ceco
non rinuncia quando deve viaggiare.
Sia chiaro, non sto parlando solo dei viaggi in cui usare uno zaino è
normale. In effetti se vedete qualcuno che si presenta con il trolley per
andare ai monti, è evidente che c'è qualcosa che non quadra. In quel caso
è naturale usare lo zaino.
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Le prime volte che vedevo gli zaini arrivare sul rullo dei bagagli, mi
sembrava che ci fosse qualcosa che non quadrava. Cosa ci faceva uno
zaino mischiato tra tutte quelle valigie ruotate? Poi ho capito a cosa era
dovuto il sentimento di inadeguatezza nel guardare lo zaino. Lo zaino
“sta male” in un aeroporto, perché l'aeroporto è per definizione il luogo
dei ricchi.
Badate bene, non sto certo parlando di poche persone, quella dei cechi
per lo zaino è una vera mania. Una volta mi è capitato di vedere una
giovane famiglia sulla metropolitana a Praga. Lui, lei – non oltre i
trent'anni- e i due piccoli figli in passeggino. Ognuno dei due genitori
portava un figlio e un enorme zaino sulle spalle. Mi sono quasi
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La chiamo mania anche perché c'è una sorta di feticismo dei cechi
verso lo zaino. Quando comprai il mio, lo mostrai a Mima chiedendo «ti
piace il mio nuovissimo zaino?». Mi aspettavo un «sì, bello». Invece si
avvicinò e lo esaminò attentamente facendone una recensione completa,
notando tutti i dettagli (come la possibilità di regolare l'attacco delle
cinghie per le spalle) che io nemmeno avevo notato.
Per anni mi sono chiesto a cosa fosse dovuta questa mania dei cechi
per lo zaino. Avevo appena fatto il salto sociale comprando il trolley dei
desideri, potevo finalmente sentirmi come tutti gli altri (un po' di sano
conformismo), quando mi sono trasferito in Rep. Ceca e tutti gli altri
intorno a me erano cambiati. Dannazione, perché tutti i cechi usavano lo
zaino?
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Conosco cechi che hanno superato i trent'anni e ancora viaggiano
alloggiando negli ostelli; quando mi sono permesso di dire qualcosa tipo
«insomma...a quell'età ... ancora all'ostello?» mi è stato risposto «quando
sentirò il bisogno di andare all'hotel vorrà dire che sono diventato
vecchio». Lo spirito backpacking non è quindi da escludere.
Ma forse il vero motivo per cui il ceco viaggia con lo zaino è il più
ovvio e per questo meno immediato: lo zaino è dannatamente comodo.
L'ho capito poco prima della mia conversione allo zainismo ceco, nel
Settembre 2007. A quel tempo mi recai in Galles per una conferenza
insieme a tre amici cechi. Io con il trolley, loro tre invece con lo zaino.
Mentre ci spostavamo dalla stazione all'alloggio, io continuavo a
rimanere indietro mentre i miei amici cechi zaino-dotati mi precedevano;
poco dopo ho capito il motivo. Ciò che mi handicappava era il mio
trolley: ad ogni marciapiede era un disastro, dovevo lasciare il manico ed
afferrare la maniglia per sollevarlo. Ogni tratto di strada in cui l'asfalto
lasciava spazio al porfido era una tragedia, se non volevo rovinare il mio
preziosissimo trolley dovevo drasticamente ridurre la velocità per evitare
pericolosi ribaltamenti.
Fu allora che guardai i miei amici cechi con invidia per la loro
indipendenza. Se viaggi con lo zaino ti basta caricartelo sulle spalle e
camminare. Non ci sono ciottolati, scale o altro ad impacciarti la vita. La
capienza limitata (sui 60-80 litri) ti porta automaticamente a ridurre il
bagaglio a quello che realmente serve; se usi uno zaino non avrai
problemi di sovraccarico bagaglio al check-in!
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Uno dei maggiori vantaggi che si hanno nel vivere in Rep. Ceca è
quello che non bisogna svenarsi per bere una birra. La più banale e
inflazionata delle frasi che mi dicono quando racconto di vivere a Praga,
riguarda infatti la birra: «beato te, che puoi berti un'ottima birra a poco
prezzo». La cultura birraiola ceca è infatti una delle poche cose corrette
che gli stranieri sanno di questo paese. Quello che invece è un po' meno
noto è il vero rapporto dei cechi con l'alcool.
Innanzitutto c'è il fattore costo: il prezzo così basso della birra può
essere contestato da chi ne vede un incentivo all'abuso, soprattutto da
parte di giovani. Ed è vero; che i giovani bevano tanta birra è
indiscutibile. Ma è questo “il male”?
Per i cechi invece l'alcool è come una matita o un ferro da stiro. È una
cosa normale e diffusa, tanto che nessuno si scandalizza per l'uso (o
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abuso) di alcool. Bere alcool o bere acqua è tutto sommato la stessa cosa
– escludendo che nei locali pubblici l'acqua costa di più della birra. Tanti
atteggiamenti che in alcuni paesi sarebbero considerati inappropriati,
sono invece considerati normali in Repubblica Ceca (e fanno sgranare gli
occhi a quelli come me). Una volta mi sono trovato a un incontro
pubblico di Karel Schwarzenberg, ministro degli esteri della Repubblica
Ceca e senatore di Praga 6, proprio dove abito io. Per ricordare ai suoi
elettori quanto si occupa di loro, aveva organizzato questo incontro
informale in una elegante sala da ballo, trasformata per l'occasione in
sala civica. Siccome mi interessava vedere da vicino il rapporto dei cechi
con la politica (e un po' anche perché – diciamolo – quel pomeriggio
avevo poco da fare), mi sono imbucato alla conferenza. Già ero rimasto
stupito quando arrivai un quarto d'ora prima dell'inizio, e vidi che i
partecipanti al ritrovo mandavano giù tanti bei boccali di birra. Capisco
ad un incontro conviviale, ma ad una conferenza con il ministro degli
esteri non mi sembra che sia educato farsi vedere mentre si beve, benché
fosse estate e una bella birra passava giù che era un piacere (ovviamente
non mi sono tirato indietro).
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stesso per cui i cechi non considerano offensivo lo stesso gesto. Sono
talmente abituati a bere che possono scolarsi litri e litri di birra senza
ubriacarsi (o senza darlo troppo a vedere!). Mi ricordo di una volta,
quando mi trovavo in uno sperduto villaggio del Sud Boemia insieme ad
alcuni amici per una gita in canoa. È una tipica attività in Repubblica
Ceca: con zaino e tenda sulle spalle, si prende il treno per portarsi
lontano dalla città, dove si noleggia la canoa. Si pagaia un paio di giorni
dormendo in tenda dove capita e mangiando in qualche osteria alla
buona. Proprio la sera del primo giorno siamo andati a mangiare e bere
qualcosa all'unica osteria del paese. Oddio, più che un'osteria era meglio
definirla una bettola: quando ho chiesto cosa avevano da mangiare mi
hanno risposto che il menù comprendeva solo due piatti freddi! Ho
quindi compensato col beveraggio: in effetti, mi sono bastate quattro
birre per iniziare a cantare. Venuto il momento di pagare dichiaro al
cameriere quello che avevo preso (da queste parti non si paga alla
romana; funziona che il cameriere scrive cosa prendi su un foglietto: a
turno ognuno dice quali sono le sue consumazioni e paga il suo,
facendole depennare dal foglietto). Un amico di un amico quando sente
che avevo bevuto solo quattro birre rimane dubbioso «non ci credo che
ha bevuto solo quattro birre, non può essere ridotto in quella maniera». Il
mio amico l'ha rassicurato: «è fatto così, non è mica ceco!». Forse
l'abitudine di bere così tanto, ha reso i cechi molto più resistenti
all'alcool, così che non si associa automaticamente l'alcool
all'ubriacatura. Viene quindi a cadere quell'alone di “male” attorno
all'alcool.
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C'è addirittura una canzone dei “Divokej Bill” un gruppo rock che si
intitola proprio “Alkohol” che recita proprio “Alcool, amico alcool”, in
pratica un inno all'alcolismo. Quando questo pezzo parte nei concerti
iniziano tutti a cantare in coro insieme alla band. In qualsiasi paese che
non si chiami Repubblica Ceca, probabilmente avrebbero censurato la
canzone, come diseducativa. Qualche deputato, che non ha niente di
meglio da fare, nei momenti liberi tra un orgia a base di cocaina e l'altra
avrebbe fatto un'interrogazione parlamentare a un ministero a caso per
sapere se era lecito a un complesso musicale dare questi messaggi
diseducativi alle nuove generazioni. In Repubblica Ceca, no.
Eppure anche nella nostra terra il vino ha sempre rappresentato una
parte importante della nostra cultura. Basti pensare ai tantissimi vini di
qualità che ci invidiano in tutto il mondo. Ed anche la cultura popolare fa
la sua parte: come non citare i mitici alpini che del vino fanno
carburante. Non ho mai preso l'abitudine di bere il vino a tavola, come
invece fanno i miei genitori. A un certo punto quando avevo sui 16-17
anni mia mamma continuava a ripetermi «Ma su, perché non bevi il tuo
mezzo bicchiere di vino: come devi fare a far l'alpino». Certo, perché
ovviamente un ragazzo che non beve non può fare l'alpino! Ciò
nonostante, benché sia cresciuto in una famiglia wine-friendly, i miei
genitori hanno sempre avuto un giudizio negativo dell'alcool, quando
andava oltre il bicchiere di vino a tavola.
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anche in persone “per bene” (se mai si potesse dare una definizione di
tale persona).
Be', per farla breve, io ho bevuto solo un sorso, mentre lui ha fatto
tutto il viaggio da Brno a Budapest, bevendo il vinello (per inciso,
quando è salito sul treno erano le dieci del mattino, e beveva).
Ora, uno può anche chiedersi se questa gente fa colazione con gli
alcolici. Ed è quello che mi sono chiesto la mattina dopo quando mi sono
svegliato e ancora nel dormiveglia ho visto Paja che beveva da una
bottiglia. «Oh, ma cos'è, stai ancora bevendo quel vino di ieri? Sono le 7
del mattino!». «No, è solo acqua». «Ah, per fortuna è solo acqua». «Sì,
purtroppo il vino l'ho finito». Altrimenti...
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Parco ceco
Un parco ceco è un luogo dove fare una passeggiata (se passate dal
Nord Boemia vi consiglio Český ráj, per esempio). Un ceco parco, è
semplicemente un ceco. Nel senso che un ceco è generalmente parco.
Voglio dire: parco inteso come aggettivo, ossia frugale.
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Forse quelli che hanno qualche anno in più e che hanno vissuto gli
anni prima del 1989, si ricordano le differenze che c'erano tra l'Europa da
una parte e dall'altra della cortina di ferro.
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Tuttavia, il turista che arriva a Praga non potrà non notare alcuni
dettagli che potrebbero essere fuorvianti, e far pensare che in questo
paese ci sia ancora una profonda povertà. Un giorno ero a spasso per
Praga con una persona che mi era venuta a trovare. Era arrivata nella
capitale ceca da poche ore, eppure uno sguardo attento alle strade le ha
fatto dire «Oh, ma che macchine schifose che hanno qua a Praga. Non
hanno due lire per comprarsi delle macchine decenti?». La frase era
ovviamente accompagnata da una faccia a metà tra lo schizzinoso e il
deridente. È vero, tante macchine a Praga sono vecchie, alcune molto
vecchie. Sulle strade di questa città trovi sia le auto moderne e lussuose,
sia le auto con tanti anni, e chilometri, alle spalle. Auto che appartengono
a una specie di via di mezzo: non sono più auto moderne, ma non sono
ancora auto storiche. Certo, capita di incontrare qualche Škoda 1000, un
modello di quarant'anni fa, con un design affascinante; una macchina che
tirata a lucido ti farebbe rimorchiare un sacco di fanciulle in una
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Ecco, le macchine vecchie che potete vedere sulle strade ceche, sono
macchine che fanno ancora il loro lavoro. Probabilmente le persone che
le usano non sentono l'esigenza di cambiarle. Vivono con la macchina
vecchia e si accontentano. Magari vorrebbero cambiarla e non se lo
possono permettere. Invece di impegnare i denti d'oro perché «piuttosto
faccio la fame, ma non devo far vedere che sono uno straccione», si
tengono la macchina vecchia.
Questo non vuol dire che le macchine che girano sulle strade ceche
siano tutte vecchie e con la manetta al finestrino. È ovvio che le
macchine nuove sono normali macchine come in tutto il mondo. Ma ciò
non implica che si buttino via prima del tempo automobili che, anche
senza tutti i comfort del caso, possono ancora avere un'utilità. Lo spreco,
ecco ciò che si evita; e proprio in questo consiste la parsimonia.
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In Repubblica Ceca invece non funziona così: non ho quasi mai visto
gente arrivare con il carrello stracolmo alla cassa, e men che meno con
due. Spesso le merci acquistate coprono a malapena il fondo del carrello.
Non ci sono le cataste di cibo nei supermercati cechi. Non ci sono
nemmeno le confezioni famiglia, cosa che peraltro si rivela assai
scomoda per me. Quando devo comprare i biscotti mi tocca prendere
dieci confezioni da 130 grammi di BeBe. Purtroppo il sacco di biscotti da
un chilogrammo non esiste, forse perché sono io l'unico che compra dieci
confezioni di biscotti tutte insieme.
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Penso che non ci sia la cultura della scorta, del comprare cibo per
accumulare. Quella cultura che a noi è stata imposta a botte di 3x2 (che
qui infatti è quasi inesistente), dove tu pensi di fare un affare, e invece ti
trovi a comprare molto più cibo di quello che ti serve, finendo poi per
gettarlo. I cechi comprano solo quel poco che gli serve per i giorni
successivi.
Sia chiaro, il ceco compra poca cosa, perché prende solo quello che
realmente gli serve, non perché non mangia (anche se a vedere come
sono pelle e ossa molti cechi, qualche dubbio verrebbe!). Una volta
abituato a questa realtà parsimoniosa è stato quasi un trauma tornare a
Lecco e vedere l'ostentata opulenza dei miei concittadini.
***
Uno dei punti centrali attorno al quale gira la parsimonia ceca è il non
aver vergogna della propria condizione. Hai le tasche vuote, va bene: e
allora? Non è che devi far finta di avere il portafogli gonfio. Non devi
declinare gli inviti ad uscire, inventandoti qualche scusa, per non dire
«No, guardate, non me lo posso permettere». Mi è capitato di andare a
cena con degli amici e notare che uno non mangiava niente, e si limitava
a bere la birra (che essendo molto economica, si può bere in abbondanza
senza avere un salasso finanziario). «Cos'è, non hai fame?». «No, ho
mangiato a casa.». Pora stella, si direbbe dalle mie parti. Non voleva
mancare alla serata in compagnia, ma è arrivato già cenato per poter
limitarsi a bere. E non aveva vergogna di dirlo. E la stessa cosa mi
capitata in tante altre circostanze; di volte che si sta lì a guardare anche
agli spiccioli, che in circostanze analoghe in Lombardia non passano due
secondi che qualcuno se ne esce dicendo di non fare gli spilorci.
Quell'atteggiamento, tipico dell'ostentatore che deve far vedere di non
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solo nella vita». Il ragionamento ha buon senso e non fa una piega, anche
per lei che quei mille euro poteva permetterseli.
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almeno sette negozi di bomboniere per cercare quelle che vanno per la
maggiore, perché «no, tesoro, non possiamo rischiare che Jerry e
Chanelle dopo vadano in giro a sparlare dicendo a Julie che abbiamo
fatto delle bomboniere da straccioni».
***
E poi ci sono quelle cose che hai sotto gli occhi tutti i giorni e che non
noti mai. Come il fatto che in Repubblica Ceca non ci siano i motorini.
Ne ho visti talmente pochi che non so nemmeno come è fatta la targa
ceca di un motorino. E ciò la dice lunga, perché il formato della targa è
una delle prime cose che noti, quando cambi paese: mi accorsi di essere
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stato lontano da Lecco per tanto tempo quella volta che ci ritornai e vidi
che i motorini avevano una targa grande il doppio di quella a cui ero
abituato.
La targa del motorino ceco invece non la conosco, perché l'avrò vista
quattro o cinque volte. Mi sono reso conto dell'inesistenza dei motorini,
d'un tratto mentre tornavo da pranzo con dei colleghi. Ben inteso, non
che la cosa mi dispiaccia, anzi. Quando ti fermi a uno STOP, non vieni
circondato da nugoli di ragazzi, e finti giovani che ti accerchiano
impedendoti di muoverti. Ma la cosa mi sorprendeva: se non esistevano i
motorini, con cosa si muovevano i ragazzi sotto i diciotto anni? E allora
l'ho chiesto ai miei colleghi: ma scusate, in Rep. Ceca non esistono i
motorini? Sì, mi ha risposto Vojta, ma di solito sono appannaggio di
qualche smanettone che si diverte a montarli e smontarli, per passione
nella meccanica. Al massimo ci fanno mezzo chilometro nella via del
paesino, così per provarlo, ma non lo usano come mezzo di trasporto.
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generalmente “direzione Nord”. «Be', è da quella parte, ma mi scusi...
dove sta andando di preciso?».
«Sto cercando di uscire dalla città, quindi vado verso Nord per trovare
un posto nella natura dove accamparmi». «Ma allora perché non prende
un bus, o una metrò. È molto più veloce», ho chiesto io. «Penso di non
potermelo permettere. A me piace viaggiare a piedi, sono tre mesi che
giro Norvegia e Svezia camminando. Ho con me solo i soldi per il cibo, e
me la vivo così», mi ha risposto sorridendo. Un nomade moderno, di
quelli a cui basta uno zaino sulle spalle, due lire per comprare da
mangiare, e via, a scoprire il mondo. Solo con le proprie gambe.
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Happy days
«Dai, non fare il Fonzie» dissi a un amico che si era messo a fare lo
sbruffone. «Fonzie? E chi è Fonzie?». «Doh!» direbbe Homer.
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Mi sarebbe sempre piaciuto che anche nel mio paese ci fosse questa
tradizione. Forse avrò una mentalità antiquata, ma penso che invitare una
ragazza ad un ballo sia molto più elegante (e intrigante – cioè efficace!)
che invitarla a bere una birra. Purtroppo da noi questa tradizione non è
mai esistita, e a dire il vero sono cresciuto pensando che i balli di Happy
Days fossero in realtà finti, che non ci fosse davvero un paese dove si
invitava una fanciulla al ballo.
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E sono proprio balli da Happy Days! Quei balli con l'orchestra che
suona il Waltz sul palco, le ragazze con l'elegante abito lungo (e truccate
in modo che anche le più brutte sembrano decenti), e con i ragazzi che le
accompagnano a braccetto in smoking e col fiore all'occhiello. Quando ci
si trova in questi balli sembra davvero di ritrovarsi in un telefilm
americano.
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Quando penso che dalle mie parti si trova questo genere di balli solo
alle feste dell'Unità. E che bisogna avere almeno sessant'anni per non
sentirsi un pesce fuor d'acqua...
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Succede anche nelle grandi città come San Francisco, dove ti può
capitare che stai per attraversare la strada e una signora che aspetta il
verde insieme a te, inizi a raccontarti di quello che ha fatto durante la
giornata. Senza che tu le chiedessi niente.
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Perché ovviamente non posso mica rispondere sempre che sto bene e
sono al settimo cielo. Ma potrò mai dire che sto da schifo? E quindi cadi
nella trappola del conformismo del rispondere che stai sempre bene.
Ecco, tutto questo, la confidenza automatica, la sfrontatezza benevola
con cui ti chiedono come stai e ti rivolgono la parola, mi mette molto a
disagio. Perché ormai sono cechizzato. E, se non si era capito, in
Repubblica Ceca, non ci si comporta in questo modo. Anzi, ci si
comporta in modo diametralmente opposto. Uno dei pochi luoghi
comuni sui cechi che rivela avere un fondo di verità, è infatti la loro
freddezza.
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Praga non mi è mai capitato di essere a tavola con tutti colleghi che non
parlassero. Qui invece mi capita quasi ogni giorno: ci si siede, si dice
«Dobrou Chut'» (buon appetito), e si mangia in silenzio, che viene
interrotto al termine del pranzo dalla domanda «Jdeme?» (Andiamo?).
Arrivo alla birreria del Masarikova e vedo un sacco di ragazzi col naso
all'insù verso lo schermo. Ci sono rimasto dieci minuti, poi sono tornato
a vedermela da solo sul PC: era più coinvolgente. Io ero arrivato
rampante, pensando di essere avvolto da bandiere, cori, urla... e invece
l'unico momento in cui si è sentita una reazione dei “tifosi”, è stato in
occasione del goal. Altrimenti, solo un gran silenzio tombale: nessuno
che gridava a Jankulovski di tirare a destra anziché sinistra, nessuno che
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Poi certo, ci sono dei casi del tutto straordinari in cui i cechi si
rivelano del tutto amichevoli. Dicembre 2007, il 31 per la precisione.
Sono insieme a Petr, la sua morosa Klara e altre due amiche sul treno che
ci porta da Praga a Liberec, per festeggiare l'ultimo dell'anno. A un certo
punto nella nostra carrozza entrano due ragazzi con delle scatole di
cartone in mano: giravano il treno regalando i biscotti e i chlebičky (delle
specie di mini sandwich) ai viaggiatori. Raccontavano (durante il resto
del viaggio, passato insieme a fare merenda) che le loro premurose
madri gliene avevano rifilati troppi, e siccome non sapevano come finirli,
li distribuivano sul treno. Quello è stato forse l'unico caso in cui mi sono
trovato con un ceco caciarone, con la voglia di far festa insieme a degli
sconosciuti.
Ma proprio perché i cechi non si comportano normalmente così, posso
confermare questo atteggiamento si è rivelato oltremodo strano,
inconsueto. La stessa sera infatti mi sono trovato ad una festa di fine
anno in un dormitorio dell'Università tecnica di Liberec, che definirei
surreale. Ora, io non sono un tipo trasgressivo, che deve fare casino a
tutti i costi, ma quella festa mi ha davvero sconvolto. Eravamo una
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Freddi, sì, i cechi sono freddi. Nel conversare con le persone che
conoscono, ma a maggior ragione con le persone che non conoscono.
Poche settimane dopo essere arrivato per la prima volta a Praga, Katka
mi spiegava che la sua propensione a parlare con tutti, anche con gli
sconosciuti, gli aveva procurato qualche problema coi suoi connazionali:
«sai, qui non si attacca bottone con gli sconosciuti, così quando io lo
faccio pensano immediatamente che ci sto provando!»
L'unica volta che qualche sconosciuto mi ha rivolto spontaneamente la
parola è stato il giorno seguente la semifinale (o quello che era) del
mondiale di hockey su ghiaccio. Mi ero accorto che quella sera c'era la
partita di hockey quando, seduto al computer, ho sentito un urlo
provenire dall'esterno. Ho acceso il televisore e ho visto che la
Repubblica Ceca aveva segnato: l'urlo era lo stesso a cui ero abituato per
i goal della nazionale ai mondiali di calcio. Così per curiosità ho
continuato a guardare la partita. Se non ricordo male la Repubblica Ceca
ha condotto buona parte della gara per poi perdere nel finale. Il giorno
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Co nadělaš?
«Co nadělaš?» ossia «Cosa ci puoi fare?». È una delle prime frasi che
ho imparato in ceco. L'ho imparata quando ancora non parlavo ceco e
usavo l'inglese anche per chiedere quanto costava il prosciutto. È una
frase ricorrente e molto utile: ad esempio puoi usarla per bloccare sul
nascita una discussione che si preannuncia noiosa, con un interlocutore
paranoico. Alle sue storie di proteste basta rispondergli con un «Cosa ci
puoi fare?» e la discussione muore lì, visto che l'unica risposta possibile
è «nic» ossia «niente».
Niente. Che è tra l'altro è anche l'unica risposta che i cechi danno a
questa domanda. Una risposta che palesa la propensione dei cechi a
subire senza protestare. Questo è uno degli atteggiamenti che non
condivido appieno nella mentalità ceca. In molti aspetti della vita di tutti
i giorni ci capita di subire dei torti o dei soprusi.
Mi ricordo di quando andai alla notte bianca di Como nel 2006. Tutta
la città era chiusa al traffico, perciò chi proveniva da Lecco doveva
parcheggiare la macchina a qualche km di distanza e prendere un bus (o
scendere in città a piedi). Ovviamente l'organizzazione era stata a dir
poco fallimentare: i bus navetta erano talmente pochi da essere ridicoli.
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Questo è uno dei tanti casi in cui per me è lecito protestare: lecito e
doveroso, perché non si richiede qualcosa di impossibile, ma di venire
aiutati su un problema, che può essere facilmente risolto con un po' di
buona volontà. No, i cechi non protestano, nemmeno in questi casi. Non
alzano la voce e non si impongono.
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Titoli di testa
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metteva in bella mostra tutti i suoi titoli. Li riporto per diritto di cronaca:
“prof.Ing., CSc.D.Eng.h.c.”. E considerate che il suo nome era uno
striminzito “Petr Zuna”. Se contiamo i caratteri, il titolo batte il nome 23
a 8.
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Pochi, ma buoni
Quando parlo dei cechi con qualche amico, ogni tanto salta fuori il
discorso della religione. Forse perché essendo io credente mi capita di
frequentare spesso questo ambiente, e di riflesso capita che ne parli. La
domanda che di solito mi fanno è sempre la stessa «cosa sono qua?
Protestanti?». Forse c'è l'impressione che, essendo vicini alla Germania
si debba essere per forza protestanti. Normalmente gli “occidentali” non
conoscono che questa terra ha avuto un sviluppo storico indipendente, e
che di conseguenza molte cose – religione compresa – non hanno niente
a che vedere con i paesi che la circondano. Qualcuno si addirittura spinto
a chiedermi se fossero ortodossi «sai, la Russia...». Penso (spero) che
non sia necessario spiegare perché mi sono messo a ridere.
No, la risposta è che sono cattolici. Quelli che ci sono, sono cattolici.
Poi, ci sono ovviamente anche delle minoranze protestanti, che rispetto
al nostro paese sono molto più diffuse; devo dire che questo è anche un
vantaggio: quando non c'è una sola voce c'è più dialogo e meno
estremismo fondamentalista.
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Il punto è che sono talmente pochi i credenti cechi che con tutta
tranquillità puoi dire che anche la maggioranza (cattolica) è in realtà una
piccola minoranza (nel paese).
Tanti cechi infatti, non solo non sono credenti, ma non sono nemmeno
battezzati. Un mio amico abruzzese aveva la morosa ceca, Petka. Quando
gli disse che non era battezzata, egli ci rimase molto male. Non che lui in
chiesa ci andasse molto spesso, sia ben chiaro. Ma considerava strano,
inusuale, che una persona non fosse battezzata in modo predefinito.
Tra le persone che conosco, posso confermare che una buona metà
non è battezzata, giusto per avere una conferma delle statistiche ufficiali.
Poi, come dicevo, i veri cattolici sono molto meno numerosi. Certo,
bisogna fare delle distinzioni, perché la Repubblica Ceca non è un paese
tutto uguale: in Moravia c'è una concentrazione di credenti sicuramente
superiore a quella che c'è a Praga o nel Nord del paese. Mi ricordo di
quella volta che stavo tornando da Příchovice, paesino del Nord a 5 km
dal confine con la Polonia. Ero in macchina con alcuni amici a cui avevo
dato un passaggio verso Praga. Il discorso cadde proprio sulla
percentuale di persone che vanno regolarmente in chiesa la Domenica
nella loro diocesi (Litoměřice). Uno di quei casi in cui i numeri sono
talmente bassi che devi usare la calcolatrice del cellulare per fare i conti
per bene (no, non mentre guidavo, tranquilli; eravamo in coda dal
benzinaio economico dove mi aveva condotto uno della compagnia). Se
non ricordo male uscì uno 0,9%. La stessa percentuale che dalle mie
parti vota Fattuzzo.
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Allora uno potrebbe pensare che non valga la pena parlare di come i
cechi vivano la religiosità. Invece no, penso che sia utile; innanzitutto è
uno dei tanti aspetti che caratterizza questo popolo: un tassello di un
mosaico ben più grande. Ma soprattutto, si possono cogliere nel
comportamento dei cattolici cechi, tante caratteristiche comuni a tutti gli
abitanti di questo paese.
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Tuttavia credo che ci siano anche altri motivi che hanno portato questo
paese all'ateismo diffuso. Sicuramente c'è stata una mancanza di
leadership. La Repubblica Ceca non ha avuto un Karol Wojtyła che
lottava contro il comunismo. Questo paese è sempre stato passivamente
succube di Mosca, non c'era un sentimento nazionale organizzato con il
quale la Russia dovesse fare i conti, probabilmente anche perché essendo
la popolazione numericamente molto inferiore era più facile da
dominare.
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I cattolici cechi sono pochi ma sono credenti fino in fondo. Ero infatti
abituato ad una situazione di credenti in scala di grigi: di quelli che sono
“credenti-praticanti-osservanti”, di quelli che “ci-mancherebbe-che-non-
vado-in-chiesa”, di quelli che “credo-in-Dio-ma-non-nella-Chiesa”, di
quelli che “credo-in-qualcosa-di-più-grande” o di quelli che non ci
credono proprio.
In Repubblica Ceca invece la scala di grigi non c'è: o bianco o nero.
Se sei credente lo sei davvero. Normalmente chi va in chiesa aderisce
totalmente alla dottrina della Chiesa. E questo si ripercuote in estremi
che non sono immaginabili nemmeno dal più talebano dei ciellini
lombardi. Mi raccontava un mio amico ceco (non citerò il nome
nemmeno sotto tortura) che una volta incontrò una ragazza slovacca in
un locale. «E sai com'è, una parola tira un'altra, una birra anche... e alla
fine siamo usciti che era troppo tardi e lei non aveva più autobus per
andare a casa».
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Dicevo che i cattolici cechi sono uno spaccato della società Ceca nel
suo complesso. Lo sono nella mitezza, nella rassegnazione, e nel non-
fanatismo verso le personalità. Ma lo sono anche nell'educazione e nella
compostezza. L'esempio più lampante è l'esperienza che ho vissuto a
Pasqua 2008. Il sabato sera sono andato alla parrocchia di Kobylisy, nella
periferia Nord di Praga. Una bella parrocchia, gestita da padri salesiani
che hanno costruito un centro molto attivo, con tante iniziative e una
comunità molto partecipe. Non è la tipica parrocchia, con quattro vecchie
che ripetono le litanie sulle panche che puzzano di chiuso. Al contrario, è
una parrocchia dove a messa ci trovi tanti giovani e tante famiglie coi
bambini.
La veglia pasquale del sabato santo l'ho passata lì. Ed è stata una
signora veglia. Chiesa strapiena, ma nessun problema: tutti composti,
senza chiacchierare, senza fare confusione. Tutti che si alzavano quando
c'era da alzarsi e si sedevano quando c'era da sedersi. Tutti, che si
inginocchiavano quando c'era da inginocchiarsi (all'elevazione e
all'agnus dei). Chi – come gli anziani – non poteva inginocchiarsi si
sedeva: gli altri si inginocchiavano, tutti.
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non disturbavano. Sembra che sin da bambini i cechi imparino a non far
casino.
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Brava con le lingue
Devo aggiungere, dopo anni che la conosco, che è davvero brava con
le lingue. Parla l'italiano perfettamente, praticamente livello
madrelingua, oltre a parlare fluentemente inglese e francese. Insomma,
una di quelle persone che invidii davvero, per l'abilità di imparare lingue
straniere.
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È evidente quindi che la Repubblica Ceca, così come gli altri paesi
oltre cortina, ha dovuto scontare un ritardo didattico per quanto riguarda
l'inglese, rispetto agli altri paesi europei. Ma questa scusa poteva valere
per i primi dieci, quindici anni dopo la rivoluzione. Ora ci si aspettano
dei cambiamenti.
È vero, ogni tanto capita di incontrare dei ragazzi molto giovani che
parlano molto bene inglese. Una volta aspettavo la valigia all'aeroporto
di Bergamo, proveniente da Praga. Un gruppo di ragazzini cechi,
massimo dodici anni, si era seduto sul nastro bagagli, e siccome stavano
per arrivare le valigie ho detto loro di alzarsi. Ovviamente hanno capito
dalla mia orribile pronuncia ceca, che ero straniero, e si sono rivolti a me
in un ottimo inglese. Poche frasi mi sono bastate per capire che quei
ragazzi l'inglese lo parlavano davvero bene.
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Non capisco fino in fondo i motivi per cui i cechi sono così restii ad
imparare lingue straniere. Sì, restii. Magari gli piacerebbe parlare
inglese, ma hanno una sorta di rassegnazione. Forse è la paura di non
farcela, vista la differenza tra le due lingue.
Il tedesco, vero; perché se dalle mie parti nessuno parla tedesco, qua
invece la percentuale è molto più alta. Conosco giovani (20, 25 anni) che
non parlano una parola di inglese, ma che parlano correttamente tedesco.
E no, non deriva dal fatto che le due lingue, tedesco e ceco, siano simili,
perché non lo sono. Anzi, forse dovrei fare una precisazione: sapete che
esiste il ceco, vero?
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La lingua ceca ha però anche degli aspetti divertenti: per dire “tutto
bene” i cechi usano la parola inglese fine. Il problema è come la
scrivono: fajn. E lo stesso vale per tutte le parole straniere importate in
ceco, che vengono trascritte come un ceco le leggerebbe (con poche
eccezioni, come cappuccino che fortunatamente non viene scritto
kapučino se non raramente). Perciò il ketchup diventa kečup, il camping
si scrive kempink, un gruppo di persone compone un tým (team) e se fai
il finesettimana parti per il vikend. Sul cartello di un cantiere mi è
capitato di leggere il nome dello studio di ingegneria che aveva redatto il
progetto: c'era scritto Inženýring! Mi immagino la faccia dei linguisti
italiani che si strappano i capelli per una misera s in più o in meno per il
plurale delle parole inglesi usate in italiano.
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Ai cechi
Usare una citazione non è mai una mossa saggia. Citare poi qualcosa
di molto famoso, è ancora più pericoloso: il rischio di cadere nel banale
diventa molto alto. Ciò nonostante voglio correre questo rischio. Vi
ricordate il film “L'attimo fuggente”? In una famosa scena il prof.
Keating invita i propri studenti a salire sulla cattedra per guardare il
mondo da un'altra prospettiva. È sempre lo stesso ambiente, è sempre la
stessa aula con gli stessi banchi e le stesse sedie, ma se la guardi da una
posizione più in alto sembra diversa. Una sensazione ben nota a chi si
arrampica su mobili e sedie per fare le pulizie domestiche. Con questo
piccolo esperimento il prof. Keating voleva far capire come ogni giudizio
che diamo dipende dall'angolazione con cui osserviamo.
Sinceramente non ho mai avuto ben chiaro chi dovesse essere il lettore
tipo per quello che stavo scrivendo. Probabilmente queste pagine
possono risultare interessanti ai miei connazionali, o comunque a gente
non ceca che vuole scoprire qualcosa di questo popolo.
Temo che molti dei temi trattati qui siano noiosi o incomprensibili per
i cechi. Noiosi perché raccontare a un gatto quanto è bravo ad
arrampicarsi non attirerà di certo la sua attenzione. E incomprensibili
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Tuttavia penso che qualche ceco, prima o poi, leggerà queste pagine e
la reazione che immagino sarà probabilmente qualcosa del tipo «che cosa
dice? non siamo mica così noi cechi».
C'è una cosa che però vorrei sottolineare: penso che la quasi totalità
dei cechi, leggendo questo libro penserà che il mio giudizio su di loro è
stato troppo generoso. Una delle caratteristiche dei cechi infatti è una
sorta di rassegnazione e di auto commiserazione per i loro lati negativi.
Un ceco di lamenta per la burocrazia, e sbuffa «ecco, questa è la
Repubblica Ceca!». Un ceco vede i politici corrotti, governanti che
hanno più a cuore la poltrona che il proprio paese, e pensa che non ci sia
nulla da fare, che fa tutto schifo. Ho sentito un ceco dire una volta, che
mentre viaggiava in treno di ritorno dalla Germania, aveva capito di aver
passato il confine con la Repubblica Ceca, perché in territorio tedesco
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l'area attorno alla ferrovia era ben pulita mentre appena entrati in
Repubblica Ceca, si iniziavano a vedere i rifiuti vicino ai binari.
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Mosè ebbe i suoi problemini con gli ebrei quando li aveva liberati dalla
schiavitù: avrebbero addirittura preferito essere schiavi!
E proprio dai giovani sento i discorsi più belli: c'è voglia di mettersi in
gioco e impegnarsi per migliorare il proprio futuro; c'è voglia di lavorare
per crearsi la propria posizione, forse perché da queste parti è ancora
possibile fare un salto sociale se ci si impegna, senza necessità di
raccomandazione (pochi giorni fa ho conosciuto una ragazza in gamba
assunta in un Ministero... senza conoscere nessuno!).
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Dieci aggettivi
NORMALI
EDUCATI
DISFATTISTI
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PERMALOSI
Sono loro i primi a parlar male del proprio paese, ma guai se lo fa uno
straniero. In quel caso sono capaci di trovare tutti i difetti del tuo paese,
pur di difendere il loro orgoglio.
SILENZIOSI
PUNTUALI
CALOROSI
Non nel senso affettivo, ma nel senso che hanno sempre caldo, tanto
che appena arriva la primavera si va tutti in giro in pantaloni corti, anche
se si ha cinquant'anni e una posizione di tutto rispetto. Ed anche
d'inverno non sono da meno: mi è capitato di barbellare dal freddo sotto
la neve, e veder passare cechi in maglietta.
PRECISI
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NERVOSI
...e indisciplinati, quando guidano. State attenti ad attraversare la
strada, anche se siete sulle strisce pedonali rischiate la vita. Provate a
protestare: si incazzeranno, pretendendo pure di aver ragione.
Probabilmente i più furbi di voi si sono accorti che gli aggettivi sono
soltanto nove. Però non volevo tornare a cambiare il titolo, e ad ogni
modo avrebbe stonato il titolo “Nove aggettivi”: chissà perché uno si
aspetta sempre un decalogo. Ma se proprio volete il decimo aggettivo...
be', venite in questo paese, mischiatevi tra la gente, osservate senza
pregiudizi, criticate ad apprezzate. E poi il decimo aggettivo datelo voi.
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Nota personale: non ho la pretesa che alcuno si senta ispirato a tal punto da
plagiare queste pagine. Ma mi dicono che è meglio scrivere queste quattro
frasi e tutelarsi. Se avete voglia di usare questo testo scrivetemi un'email e –
soprattutto se per scopi didattici – non faccio problemi ad autorizzare l'uso
senza fini di lucro. La necessità di comunicarmelo serve solo a soddisfare il
mio ego personale e sapere che a qualcuno questo testo è piaciuto. Stesso
motivo per cui non consento di ripubblicare il file su altri siti o reti p2p.
Venite sul mio sito, lo scaricate gratuitamente, e almeno so quante persone
l'hanno scaricato.
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