Sei sulla pagina 1di 7

SEARCH Tout OpenEdition

Italies
Littérature - Civilisation - Société

1 | 1997

Voyager à la découverte de...

Tabucchi e il viaggio illusione e specularità.


Riflessioni in margine a Notturno indiano
Anna Dolfi
p. 161-182
https://doi.org/10.4000/italies.3436

Résumé
In questo articolo l’autrice propone una lettura dell’opera di Antonio Tabucchi a partire dal tema del viaggio definito come percorso
nelle « alonature del possibile » o anche come « metafora di ciò che c’è ma che potrebbe anche non esserci, o essere diverso ». Da
tale problematica deriva quella dell’incontro del protagonista (spesso il narratore) con « un altro simile a sé » che può essere un
doppio ma più spesso è « il riflesso di un io diviso ». Nell’articolo viene fatta una duplice analisi di I treni che vanno a Madras e
Notturno indiano di cui A. Dolfi propone un’interpretazione che esclude «  la risoluzione della tematica dell’identità [...] nel
pacificante incontro » che avviene alla fine del racconto.

Entrées d’index
Mots-clés : identité, Tabucchi (Antonio), voyage
Index géographique : Inde
Index chronologique : XXe

Texte intégral
1 Nel Prologo a Donna di Porto Pim, Tabucchi, soffermandosi a riflettere sul libro appena finito, sulle inconsapevoli
spinte rivelate e nascoste dalla scrittura, proponeva come al solito le regole del suo patto d’autore :

Ho molto affetto per gli onesti libri di viaggio e ne sono sempre stato un assiduo lettore. Essi posseggono la virtù di
offrire un altrove teorico e plausibile al nostro dove imprescindibile e massiccio. Ma una elementare lealtà mi
impone di mettere in guardia chi si aspettasse da questo piccolo libro un diario di viaggio, genere che presuppone
tempestività di scrittura o una memoria inattaccabile dall’immaginazione che la memoria produce – qualità che per
un paradossale senso di realismo ho’ desistito dal perseguire (...). Premesso questo sarebbe disonesto spacciare
queste pagine per pura finzione : la musa che le ha dettate, di un genere confidenziale e direi quasi tascabile [...]
questo libretto trae origine, oltre che dalla mia disponibilità alla menzogna, da un periodo di tempo passato nelle
isole Azzorre. Suoi argomenti sono fondamentalmente le balene, che più che animali sembrerebbero metafore ; e
insieme i naufragi, che nella loro accezione di atti mancati e fallimenti sembrerebbero altrettanto metaforici.

2 La mistione tra reale e immaginario, tra quotidianeità e leggero delirio, che è tra i tratti caratteristici della sua
narrativa, vi trovava una giustificazione di esistenza e dosaggio, come se per raggiungere un “prodotto” onesto fosse
necessaria l’umanizzazione del fantastico, la sua confidenzialità  : reso insomma, anche lo sconosciuto, “tascabile”,
qualcosa in grado di seguirci e venire sempre con noi. Confidenziale, la musa, perché tutto è raccontato senza clamore,
come in sordina (nella tonalità del “notturno”), e accompagnato dal vezzo di una certa eleganza. Sommesso,
all’apparenza svagato, il dettato, che, mentre crea metafore, senza gareggiare con il sublime (solo a precise condizioni
accetta di insinuarsi tra i miti), si rivolge alla ragione e alle sue possibilità di misurato controllo.
3 Data per scontata l’esigenza di uscire dai canoni di quella che potremmo chiamare un’arte realista, Tabucchi tiene a
precisare che piuttosto che i toni maestosi dell’invenzione assoluta gli si addicono tonalità più misurate, più caute. E la
ragione è evidente. Al nostro scrittore la realtà sembra greve, se non altro per la terribilità della consistenza, per
l’invadenza dell’oggettività, per l’ineluttabilità dell’imprescindibile. Ma proprio per questo (nella coscienza che gli
aggettivi contano più dei sostantivi nella declinazione delle qualità) un altrove assoluto (caratterizzato al contrario
dalla terribilità dell’inconsistenza, dall’invadenza dell’inesistente, dall’ineluttabilità dell’improbabile) non gli pare
risolutivo. Ciò che è da cercare è un altrove che abbia radici nel reale, che ne sfugga, ma muovendo da quello. “Onesto”
è il libro che non si scatena nella fantasia, ma offre le alonature del possibile, i segni della dérégulation, “l’anello” che
potrebbe non tenere. Quel mondo alternativo che mantiene le tangenze col nostro, seguendo le piste dei tracciati
inattuati, quanto si è perduto talvolta a causa di piccoli equivoci senza importanza. Le virtualità del possibile hanno
nella vita un valore analogo a quello dell’“onesto” viaggio proposto per la letteratura ; in ambedue i casi una leggera
correzione del vero, un irreale che avrebbe potuto esistere.
4 Così Tabucchi esercita il suo impegno (la scrittura come il luogo della curiosità e della pietas), mentre come
narratore si sente vincolato da un patto di lealtà verso il lettore, al quale sente il bisogno di dire (in una sorta di
ossessione dei generi), entro che margini è intervenuto ad alterare, correggere. Quasi fosse moralmente tenuto a
precisare quanto sta alla base dell’atto del leggere e dello scrivere, creando così quella rassicurante confidenza che
ispirano le cose e gli esseri di cui si conosce la natura, la lealtà.
5 Ai libri (sicuri compagni di viaggio, soprattutto se son “di viaggio”1) ci si può rivolgere con sfumature affettive
(all’usuale “mi piacciono” si sostituisce l’“affetto”), condite persino da una buona dose di tenerezza. Giacché a loro
riconduce la memoria (i miti delle letture giovanili) e la storia (la passione per l’accaduto), l’affabulare (il gusto per vita
degli altri), e la tendenza alla simbolizzazione (una verità che si dice al secondo grado, per via di metafora).
Specialmente i libri di viaggio si qualificano per attributi antichi : l’onestà, la virtù, un sano bilanciamento tra esistente
e immaginario  ; assai più veritieri dei così detti libri realisti, che sono comunque risultato delle alterazioni della
memoria. Proprio “un paradossale senso di realismo” (la coscienza ineliminabile del nostro vivere in un’epoca post-
freudiana) fa desistere dall’unica vera menzogna, che è quella di credere e far credere che di realtà ce ne sia una sola,
che le cose esistano soltanto come noi le vediamo, e siano raccontabili, trascrivibili senza dubbi e incertezze.
6 Figlio della molteplicità pirandelliana, dei suoi personaggi in cerca di un punto di raccordo tra l’essere e l’apparire ;
affascinato dall’eteronomia di Pessoa e di Machado, dai cammini intrecciati, dal percorso dei sogni di Borges, Tabucchi
si pone anche in prima persona come figura plurima. Si rispecchia e rifrange in personaggi tormentati alla ricerca
d’identà, che in viaggi reali o fittizi si rincorrono e cercano sotto mutato nome nell’infra e nell’extra testo ; accompagna
i suoi libri (quelli che legge, quelli che scrive) con l’ausilio delle citazioni, che individuano i punti sui quali, al di là del
tempo, l’io si moltiplica in un prisma di volti sfuggenti e complementari cui lega la sintonia e la ricerca di quanto si fa,
da indole, destino.
7 Sempre in Donna di Porto Pim troviamo indicazioni per una biblioteca ideale, una di quelle biblioteche (al di là della
sua collocazione in una barca, in Altri frammenti) da pub sperduti vicino all’oceano (al nord, nei più vari paesi), o da
lungo e solitario viaggio per mare. Un contesto insomma da Il compagno segreto di Conrad visto dalle due parti  ;
quella dell’isola/rifugio e quella di chi resta a viaggiare. Pochi libri, sui quali e con i quali giocare l’esistenza, da Les
Natchez di Chateaubriand a Melville, Conrad, Stevenson, James, Kipling, Shaw, il Wells di The Time Machine e di The
Invisible Man, i Dubliners joyciani, Maugham, Forster, Joyce Cary, M. E. Bates. Aggiungiamoci Borges, Cortazar,
Pessoa, Carlos Drumond de Andrade, Barthes, la Sontag e pochi altri, qualche estrosa guida di viaggio (si pensi come a
un caso limite alla reale India. A survival kit che accompagna personaggio e lettore fin dalla prima pagina di Notturno
indiano), i testi tradotti da Pereira nell’ultimo libro, e avremo le coordinate essenziali, la mappa di Tabucchi. Mappa
per raggiungere, con l’aiuto di tutte le suggestioni, di tutte le lingue, il luogo delle mirabili dimore, quel tempio (per
usare un’invenzione o metafora di Donna di Porto Pim) del padre di tutti gli dei, a cui credono gli abitanti delle
Esperidi, quel luogo che «  consiste in una città tutta virtuale, nel senso che non esistono gli edifici ma solo la loro
pianta tracciata sul terreno ».
8 Compagne di viaggio dello scrittore (che ha una irrimediabile passione per le scomparse, i naufragi, le cose in via di
estinzione – di qui l’interesse per le balene ; ma si sarà capito che vogliamo suggerire l’ipotesi che la letteratura sia il
mezzo helas  ! ormai desueto  – per avvicinare una nuova, imprendibile isola del tesoro) le balene, che hanno
abbandonato la memoria fisiologica che le salda all’ancestralità terrestre per poter vivere libere nel vasto mare. Tra
distese d’acqua e isole, fiori e uccelli, vulcani e blocchi di lava, dirupi e falesie, il mare e i suoi singolari abitanti si
confermano appartenere al luogo dell’altrove (analogamente nascerà il mito dell’India o dei paesi di lingua portoghese
in Tabucchi), laddove la terra senza viaggio (neppure mentale) non è che prosaica realtà, spazio nel quale il virtuale si
è spento.

La vita è un appuntamento [...] solo che noi non sappiamo mai il quando, il chi, il come, il dove. E allora uno pensa :
se avessi detto questo invece di quello, e quello invece di questo, se mi fossi alzato tardi invece di presto, o presto
invece che tardi, oggi sarei impercettibilmente differente, e forse tutto il mondo sarebbe impercettibilmente
differente [... la vita è] un appuntamento e un viaggio [...] nel grande viaggio si fanno dei viaggi, sono i nostri piccoli
percorsi insignificanti sulla crosta di questo pianeta che a sua volta viaggia, ma verso dove ?

9 Così Tabucchi in Rebus, uno dei piccoli equivoci senza importanza, un testo, come si vede, pieno di interrogazioni.
Che cadono in gran parte nella loro forma esplicita per essere suggerite piuttosto da una complessiva metafora quando
lo scrittore passa dai racconti (ove sovente l’io narrante o il personaggio si pongono insistentemente quesiti sul senso
delle cose, della vita) ai romanzi, ove una storia, sia pur franta, spezzata, ripetuta soprattutto si impone. A guidarla,
mentre si intrecciano essere e apparire, identità e ripetizione, tempo e memoria, sogno e delirio, notte ed insonnia, è
spesso la ricerca, l’inseguimento di un altro, esistente o fittizio, reale o immaginario. Un altro simile a sé, più che un
amico un fratello (significativo in questo senso il progressivo mutamento di definizione in Notturno indiano), oggetto,
in vita e in morte (o nell’incertezza tra le due), di un dialogo continuo in assenza. Che si realizza spesso attraverso il
viaggio, giacché quello che si cerca è l’appuntamento con quanto si è perduto (l’immagine speculare di sé, il proprio io
passato, il progetto o sogno di un’identità diversa, l’inquietante proposta di una diversità possibile) e che non si riesce
a trovare e si insegue allora per cammini sconosciuti, piste ipotetiche, contraddittori segnali. Difficile è stabilire se
l’altro, il doppio (brevissimo è il passo dalla fratellanza alla specularità), abbia una consistenza oggettiva o sia soltanto
il riflesso di un io diviso. Persino in Notturno indiano, ove alla fine del romanzo il protagonista gioca i due ruoli
assieme (proponendo, con la trama del libro raccontata a Christine, una storia speculare a quella fino ad allora
proposta), è limitato il campo di applicazione per un ipotetico teorema dell’interscambiabilità. Sicuramente si può
affermare soltanto che l’altro non è persecutorio, oppone anzi tutte le resistenze possibili al ritrovamento (della
persona o dell’identità, si pensi ai casi diversi di Notturno indiano e del Filo dell’orizzonte), forse perché, quale che sia
la storia narrata, il suo nome è sempre l’inglese “nobody” (che vuol dire nessuno). Ma non si scordi che Nel filo
dell’orizzonte anche quest’ultimo era un nome falsificato ; sì che di nuovo ogni dubbio può tornare a proporsi. Solo con
Sostiene Pereira Tabucchi pare aver avviato a momentanea soluzione il tema del doppio proponendo una
confederazione di anime che si risolve nella prevalenza dell’anima egemone. Il doppio (fino a Pereira) potrebbe non
essere altro che il segno visibile, concretizzato di questa molteplicità, la prova, come nel Sogno di Fernando Pessoa,
poeta e fingitore (in Sogni di sogni), dell’esistenza di un io complesso (« io sono lei [...] sono la parte più profonda di
lei [...] la sua parte oscura »), di un io tri o bipartito.
10 Nelle schede di Coloro che sognano in questo libro (a tutti gli effetti un nuovo racconto che sigilla Sogni di sogni),
leggiamo alla voce Freud :
[...] interpretò i sogni degli uomini [...], intendendo risalire da quelli all’infelicità che ci perseguita. Sostenne che
l’uomo, dentro di sé, ha un grumo oscuro che egli chiamò l’Inconscio. I suoi Casi clinici possono essere letti come
ingegnosi romanzi. Es, Io e Super-io sono la sua Trinità. E, forse, ancora la nostra.

11 e viene allora (tra le tante possibili) la tentazione di ricercare nei romanzi di Tabucchi (specie nei più criptici) la
messa in gioco di questa trinità, essendo inteso che al personaggio visibile potrebbe essere assegnato il ruolo di super-
io, lasciato quello dell’io alla sua controfigura nascosta. Per Pereira l’esperimento darebbe qualche risultato (nella
contrapposizione tra un io rigido iniziale al quale si sostituisce, per mediazione della giovinezza incosciente di
Monteiro Rossi – personificazione dell’es –, un io liberato), parimenti per il Filo dell’orizzonte e, sia pur con maggiore
difficoltà, per Notturno indiano. Si spiegherebbe così perchè la ricerca che il lettore recepisce all’inizio come esterna
finisca poi per ricondurre ogni volta l’alterità verso un solo io, e l’individuo sconosciuto verso il personaggio agente.
L’altro lo si cerca in giro, in mezzo al buio, a tentoni, in attimi di caparbietà e attacchi di scoraggiamento, con una
tecnica analoga a quella che fa emergere dall’inconscio la coscienza, dall’informe la fotografia. Ma appunto nella forma
di un quadro fatto a pezzetti, di un panorama alonato o sfocato del quale si possono mettere a fuoco i particolari, mai
l’insieme complessivo. L’universo alternativo, ricco di una sua logica segreta, presente più che nella realtà esterna nella
psiche, portatore, nella segreta obbedienza a un fato necessario e imprescindibile, di conseguenze che coinvolgono “il
mondo e la vita, e un universo”, è destinato a restare, nelle sue regole e leggi ultime, inconoscibile ; mentre l’uomo,
nella mescolanza di volontà e inconsapevolezza, nel suo ruolo di artefice del verificato e del potenziale, diviene una
sorta di regista/burattino sul proscenio di un teatro gestito da lui stesso.
12 Di certo, per quanto concerne Notturno indiano, resta l’opera raccontata come una biografia (così nella proprosta
del romanzo autobiografico riassunto a Christine nel dodicesimo capitolo  ; e questo darebbe un senso alla messa in
gioco della topica freudiana), quasi ad obbedire a un suggerimento di Octavio Paz citato da Tabucchi in Donna di
Porto Pim  :«  Devo al suggerimento di Octavio Paz che i poeti non abbiano biografia e che la loro opera sia la loro
biografia ».
13 Nel suo viaggio per l’India notturna alla ricerca di un amico scomparso di cui si troverà più volte a mimetizzare
l’identità, Rouxignol, alter ego, controfigura o fantasma generatore di Xavier/Nightingale, incontra ambienti (più che
paesaggi), personaggi (più che persone). Anche se le figure di contorno si stagliano a lettura ultimata difficilmente
dimenticabili (così il tassista sikh di Marina Drive, Vimala Sar nel misero albergo del Quartiere delle Gabbie, la
fuggiasca/ladra del Taj Coromandel Hotel, l’indovino deforme sulla strada tra Madras e Mangalore, il pazzo nel sogno
all’Arcivescodado di Goa, il postino di Filadelfia sulle spiagge del sud in festa, i camerieri del Mandovi Hotel) nessun
dubbio che, al di là dell’inafferrabile Xavier e del suo pacato “inseguitore”, tre o quattro interlocutori si impongano : il
medico indiano del Breach Candy Hospital, il viaggiatore jainista della Victoria Station di Bombay, il responsabile
della Theosophical Society di Madras, la giovane fotografa del colloquio finale. Su due di questi personaggi
(protagonisti rispettivamente del quarto e sesto capitolo ; e varrà notare, per marcare la loro centralità, il rapporto che
il 4 e il 6 intrattengono col 12 che connota l’insieme) altre opere di Tabucchi ci costringono a tornare, costituendo un
extratesto essenziale per la comprensione complessiva di Notturno indiano.
14 Nel primo caso (quello dei Treni che vanno a Madras, poi pubblicato in Piccoli equivoci senza importanza) ci
troviamo dinanzi a un clamoroso esempio di testo parallelo (di un parallelismo fattuale oltre che vagamente genetico ;
e si tratta di un’occorrenza difficile, unica comunque nel corpus tabucchiano), all’origine pensato e scritto per
Notturno indiano e poi espunto e sostituito per ragioni soprattutto di stile, di tonalità, di misura. C’era un pianissimo
quale cifra caratteristica del libro, e la drammaticità di quel pezzo era sembrata a Tabucchi turbare le tinte tenui, i
mezzi toni, il sussurrato che caratterizzava l’insieme2. I treni che vanno a Madras è un racconto che Tabucchi avrebbe
potuto dire di voler scritto da Kipling (« I risultati sarebbero stati indubbiamente migliori. Più che un rammarico per
quanto ho scritto è un rimpianto per ciò che non potrò mai leggere »3), laddove a dominare nel nostro volume sono
forse sfumature alla James, le più leggere eteronomie di Pessoa e Machado. Se tanti dei personaggi di Tabucchi non
hanno un nome, o ne hanno uno finto, alterato, quello di Peter Schlemilhl proposto nei Treni che vanno a Madras era
troppo esplicito, troppo pronto ad offrire soltanto la soluzione dell’ombra per non venire un poco a turbare il sottile
gioco delle parti (destinato a rimanere aperto) che affianca nella stesura definitiva normalità e mistero.
15 Un pericolo indeterminato, genericamente umano (quello di una morte allusa in clausola con delicata e incurante
fermezza) si sostituisce nel nostro Notturno alla morte nei campi di sterminio e a un omicidio a lungo coltivato come
gesto riparatore, mentre si muta anche l’interlocutore, di cui la prima, ben più lunga versione (doppia almeno, rispetto
alla definitiva) descrive i movimenti, i gusti, l’aspetto. Se è vero che i racconti di Tabucchi sembrano nascere dal
cinema e dalla letteratura più che dalla vita, il capitolo quarto del romanzo e I treni che vanno a Madras paiono
proporci la differenza tonale di quelle diverse modalità ideative, ascrivibile il primo al mondo sommesso che si ispira
alla letteratura e il secondo alla figuralità più forte di un medium che richiede soluzioni, riempimento di spazi, pur
nella possibilità di continuare a riferirsi alle cose attraverso un costante processo di triangolazione. Così, laddove il
colloquio nella Railways’s Retiring Room si avvia in dissolvenza col capitolo precedente, contrassegnato dalla proposta
di una voce nella penombra dell’India  ; l’altro, con modalità che richiamano piuttosto quelle del (e di un) primo
capitolo, con informazioni che a raggera sembrano riverberarsi sul futuro Notturno indiano, propone la stazione, la
guida, le riflessioni connesse sulla natura dell’incongruo, la verità e l’errore, tutto quanto è atto a mettere in gioco
l’intenzionalità e a ridurre l’effetto sorpresa che invece la versione ultima ci riserva :

I treni che da Bombay vanno a Madras partono dalla Victoria Station. La mia guida assicurava che una partenza
dalla Victoria Station vale da sola un viaggio in India, e questa era la prima motivazione che mi aveva fatto preferire
il treno all’aereo. La mia guida era un libretto un po’ eccentrico che dava consigli perfettamente incongrui, e io lo
stavo seguendo alla lettera. Il fatto era che anche il mio viaggio era perfettamente incongruo, dunque quello era il
libro fatto apposta per me. Trattava il viaggiatore non come un predone avido di immagini stereotipe al quale si
consigliano tre o quattro itinerari obbligatori come nei grandi musei visitati di corsa, ma alla stregua di un essere
vagante e illogico, disponibile all’ozio e all’errore. Con l’aereo, diceva, farete un viaggio comodo e rapido, ma
salterete l’India dei villaggi e dei paesaggi indimenticabili [...] non dimenticate che sui treni indiani si possono fare
gli incontri più imprevedibili. / Queste ultime considerazioni mi avevano definitivamente convinto.4

16 Anche il contenitore è più “visivo”, un vagone in corsa nel centro dell’India, in mezzo e dopo paesaggi di « montagne
rosse e scabre », e l’incontro avviene in gran parte con i due viaggiatori in posizione frontale, mentre seduti nel vagone
ristorante gustano un tandori di agnello, « cibo nobile e sacrificale », adatto alla “ritualità” indiana del cibo. Prima che
si affacci il turbamento e la percezione dell’inespresso (la tonalità della voce, l’incompiutezza dell’aspetto, una strana
impressione di malattia e/o vergogna) è il reticolato del viaggio a venire che sembra prospettarsi (Madras, il sud, Goa,
la colonia francese), collocato nei limiti di dati esatti, informazioni precise. Solo quando cala la notte il colloquio, da
dotto e formale, conversevole e cortese, si fa ricco di pause, silenzi, mistero, e iniziano le allusioni, corrispondenze,
intermittences, magari proprio a partire dalla citazione di una possibile comune guida di viaggio :

Tornammo nel nostro scompartimento continuando a conversare, ma ora la sua verve si era affievolita e il nostro
colloquio era intercalato da lunghi silenzi. Mentre ci disponevamo a prepararci per la notte, solo per dire qualcosa,
senza una ragione specifica, gli chiesi perché viaggiasse in treno, piuttosto che in aereo. Pensavo che per una persona
della sua età sarebbe stato più agevole e comodo usare l’aereo [...]. Il signor Peter mi guardò perplesso, come se non
ci avesse mai pensato [...]. Fu più forte di me e mormorai : “India, a travel survival kit”. “Come ?” disse lui. “Niente”,
risposi, mi era venuto in mente un, libro [...]. “Per conoscere un luogo non è sempre necessario esserci stati”,
affermò. Si tolse la giacca e le scarpe, infilò la valigetta sotto il cuscino, tirò la tenda della sua cuccetta e mi augurò la
buona notte. / Avrei voluto dirgli che anche lui aveva una tenue speranza, e per questo aveva preso il treno : perché
preferiva cullarla e assaporarla a lungo, invece di bruciarla nel breve spazio di un viaggio aereo. Ne ero certo. Ma
naturalmente non dissi niente, spensi la luce centrale, lasciai la veilleuse azzurra, tirai la tenda e gli augurai la buona
notte.5

17 Dopo una sosta notturna al confine del Tamil Nadu e un controllo di documenti che rivela sul passaporto’ israeliano
dell’altro il nome di Peter Schlemihl (una declinazione improbabile, impossibile nella realtà), l’ “atmosfera di sogno”, i
vaghi echi della notte facilitano il racconto di una storia lontana che si sviluppa secondo le tecniche tipiche del rebus,
del giallo, della spy-story, mentre il misterioso Peter lascia come proprio recapito, per eventuali messaggi concernenti
la raffigurazione di Shiva danzante, l’indirizzo dell’American Express. Dove naturalmente nessuno lo conoscerà, e così
niente più si saprà di lui al di là dell’accostamento probabile con un misterioso delitto che riconduce a una statuetta
vista quarant’anni prima, in clima di epurazioni razziali, sulla scrivania di un medico tedesco, e alle riflessioni sul
cerchio della vita e la problematica chamissiana e tabucchiana dell’ombra.
18 Il doppio come grande mito della cultura occidentale (si pensi, tra i grandi moderni, oltre ai già citati, a Hoffmann,
Poe, Dostoevskij, Maupassant), presente in Notturno indiano assieme alla tematica del sosia, del riflesso speculare (si
ricordi di nuovo il capitolo dodicesimo), al di là dell’allusione letteraria evidente (Chamisso), si chiarisce comunque,
nei Treni che vannoa Madras, solo alla fine del racconto, quando l’io narrante si chiede « se avess[e] indovinato qual
era l’ombra che il signor Schlemihl aveva perduto » e ipotizza quindi il viaggio, il gesto, come un tentativo di ricerca e
riannessione della parte di sé spoliata nell’esperienza della “turpitudine”. L’omicidio insomma, si potrebbe inferire,
come estremo rimedio a una di-midiazione dell’io imposta dalla persecuzione e dalla guerra, dal delirio politico e
dall’ideologia  ; con una carica di motivazione ben più forte di quella che accompagnerà Rouxignol/Xavier sulla
terrazza dell’Oberai Hotel nel finale colloquio che riassume e capovolge le vicende ed il libro.
19 Quanto a Notturno indiano, se si esclude (come noi intendiamo fare con fermezza) l’ipotesi semplificante della
risoluzione della tematica dell’identità, del doppio, della ricerca di sé, nel finale e pacificante incontro con una giovane
donna, la vicenda del romanzo, in mancanza di fatti eclatanti, di avvenimenti risolutivi, resta aperta, oscillante (come
all’inizio d’altronde ; si ricordi il secondo capitolo e la ricerca sospesa nell’ospedale), pronta a farsi metafora di ciò che
c’è ma che potrebbe anche non esserci, o essere diverso. Tutto, come nella fotografia, è un problema di inquadratura ;
ma se niente esclude un qualche valore informativo della fotografia, della narrativa (tanto per parafrasare la Sontag6),
è certo che non si può aspettare interpretazione sicura, conclusione certa quando si usano morceaux choisis (e tale è
anche il romanzo di Tabucchi, costituito da dodici unità distinte, a sé stanti, corrispondenti ai capitoli che si
rincorrono, da una parte all’altra del libro, in tangenze di fotografia e racconto). Più che comprendere le cose il
personaggio può tentare di divenire quello che le cose sono (diventare insomma da Roux Nightingale e viceversa)  ;
giacché in ogni caso gli scambi non sono un problema, se ogni corpo non è che una abitazione temporanea e quel che
importa (su insegnamento anche della saggezza indiana7) è solo la capacità di abitare il sé. Non a caso l’io sono
tradizionale, peraltro mai troppo insistito, durante il viaggio si riduce, si ridimensiona proprio mentre cerca l’altro e si
cerca, fino ad arrivare a annullarsi nella proiezione speculare, avatar, «  orma nata dal niente, niente disceso nella
forma », come avrebbe detto Sri Nisarga-datta Maharaj.
20 Se l’esclusione dal tutto vitale è legata alla nostra, occidentale abitudine di identificazione con un corpo-intelletto,
alla visione e alla coscienza primaria e prevalente di essere un corpo, l’unica significativa acquisizione del protagonista
in un viaggio per l’India (e la scelta del paese allora non sarebbe più casuale) potrebbe passare proprio
dall’allontanamento da questa endiadi fatale, dalla capacità di uscire dal corpo, di vedersi, come io, altrove. La
conclusione insomma inscritta nel testo raccontato due volte (nei dodici capitoli, e poi solo, e a contrario, nel
dodicesimo), visibile e invisibile insieme, come la verità della fotografia che ritrae un giovane nero morente. Verità
anche della letteratura più che della vita, giacché la letteratura (ancora come la fotografia, ma con maggior forza di
questa  : non si scordi che nelle parole di Christine il significato dell’immagine sta nell’uso, nel contesto, nella
didascalia) è creazione di un mondo duplicato, proposta di una realtà al secondo grado, offerta per frammenti (per
citazioni) di ciò che nascosto si mostra solo allo sguardo demistificante. Fermo restando che, come nella sofistica
antica o medievale, ogni deduzione è circolare e approda là dove non c’è né vero né falso, nel regno insomma degli
insolubilia8.
21 La frase che segue è falsa. La frase che precede è vera propone nella forma di un limitato carteggio (quattro lettere
–  due per parte  – che si immaginano scritte tra il gennaio e il luglio del 1985) una riflessione d’autore su Notturno
indiano, inscritta, come il titolo dice subito, di nuovo sotto l’egida del dubbio, della menzogna, del capovolgimento.
D’altronde, se lo specchio è ingannatore e costituisce false evidenze9, anche il romanzo si era concluso così, con
l’illusione di una voyance che non aveva restituito un personaggio ma il suo contrario. Non un corpo insomma ma una
superficie senza spessore, un riflesso, che pure permetteva una sorta di autoritratto (la descrizione che Roux fa di sé
nei panni di Xavier o viceversa), il coraggio (viste le lettere firmate “Antonio Tabucchi” nel racconto successivo) di
pronunciare il nome vero, eliminando il doppio (l’io narrante di Notturno indiano sostituito nella Frase che segue è
falsa dal narratore), chiudendo la ricerca (l’abbandono progressivo delle indagini sul quale si sigillava il romanzo
poteva già leggersi come un segno possibile della fine della notte e dei connessi incubi di sdoppiamento e
duplicazione).
22 In una volontaria mistione tra realtà e finzione, persone (immaginate come reali) e personaggi di romanzo,
situazioni romanzesche accettate soltanto a metà e abilmente mescidate con nuovi elementi perturbanti (in un incrocio
significativo dei dati del quarto e sesto capitolo di Notturno indiano), la prima voce arriva da Madras, ed è quella di
Xavier Janata Monroy, presunto interlocutore del capitolo sesto del libro. Nella lettera del vecchio ospite indiano (di
cui per altro Roux non aveva conosciuto il nome, stranamente simile a quello dell’amico disperso, Xavier Janata
Pinto), assieme al ricordo di particolari di quel lontano incontro (ma non più col personaggio, bensì con l’autore), si
trovano le prime reazioni di lettura all’invio del romanzo, si profila soprattutto la possibilità di inscriverlo entro le
problematiche aperte dalla gnosi buddista :
Vorrei invece cominciare con una sentenza induista che tradotta nella sua lingua suona più o meno in questo modo :
l’uomo che crede di conoscere la sua (o propria ?) vita conosce in realtà la sua (o propria ?) morte. / Non ho nessun
dubbio che Indian Nocturne parli dell’apparenza, e cioè della morte. Lo sono le parti in cui parla della fotografia e
dell’immagine, dell’impossibilità di trovare ciò che si è perduto : il tempo, le persone, la propria immagine, la Storia
[...]. Ma queste parti sono anche un’iniziazione, della quale alcuni capitoli costituiscono una tappa segreta e
misteriosa [...]. Ma vorrei venire alla conclusione del suo libro, all’ultimo capitolo [...]. Era evidente che la critica
occidentale non poteva interpretare il suo libro se non in una maniera occidentale. E ciò significa la cultura del
‘doppio’, Otto Rank, The Secret Sharer di Conrad, la psicanalisi, il ‘gioco’ letterario e altre categorie culturali che vi
sono proprie (o sue ?). Non poteva essere altrimenti. Ma io sospetto che lei volesse dire altre cose [...] Lei conosce il
Mandala [...].. Il simbolo della totalità, in India, è stato illustrato di preferenza nel Mandala (etimo latino mundus, in
sanscrito ‘globo’, ‘anello’), e anche nello zero e nello specchio [...] prendiamo un simbolo per voi più comprensibile :
lo specchio. Prendiamo dunque uno specchio in mano e guardiamo. Esso ci riflette identici invertendo le parti. Ciò
che è a destra si traspone a sinistra e viceversa, sicché chi ci guarda siamo noi, ma non gli stessi noi che un altro
guarda. Restituendoci la nostra immagine invertita sull’asse avanti-dietro, lo specchio produce un effetto che può
anche adombrare un sortilegio ; ci guarda da fuori ma è come se ci frugasse dentro, la nostra vista non ci è
indifferente, ci intriga e ci turba come quella di nessun altro : i filosofi taoisti la chiamarono lo sguardo ritornato. /
Mi consenta un salto logico che forse lei capirà. Siamo alla gnosi dell’Upanishad e ai dialoghi di Misargatta
[Nisardagatta] Majaraj con i suoi discepoli. Conoscere il Sé significa scoprire in noi ciò che è già nostro, e scoprire
altresì che non c’è reale differenza fra l’essere in me e la totalità universale. La gnosi buddista compie un passo
ulteriore, un nonritorno : nullifica anche il Sé. Dietro l’ultima maschera, il Sé si mostra assente.10

23 Non senza una qualche ironia (implicita nell’allusione di Janata Monroy alla reincarnazione) esemplarmente
concretizzata nel vago progetto di rinascere in un “pollo zoppo” (metafora degradata della “musa zoppa” sotto i cui
auspici Tabucchi avrebbe inscritto in altro contesto la sua poetica11), lo scrittore gioca nella risposta (di circa tre mesi
dopo), al di là delle formule di cortesia, del rituale un po’ ossequioso dei ringraziamenti, la parte della modestia,
dell’autodiminuzione, raccontando anche un curioso episodio di escoriazione a una gamba (anticipazione e
compimento forse di quel destino di artista a cui si alludeva) :

[...] devo dirle che a mio avviso il senso più immediato del Notturno rispecchia uno stato di spirito molto meno
profondo di quanto lei ha potuto generosamente supporre. Per motivi privati dei quali le risparmio la noiosa
conoscenza, ma certo anche perché mi trovavo in un continente così lontano dal mio mondo, provai allora un
sentimento di estraneità molto forte verso tutto : a tal punto che non sapevo più perché ero lì, quale era il senso del
mio viaggio, e quale senso aveva ciò che stavo facendo e ciò che io stesso ero. Da ciò, forse, il mio libro. Insomma, un
equivoco. L’equivoco evidentemente mi si addice.12

24 L’annunciato invio di nuovi libri (Piccoli equivoci senza importanza, Il gioco del rovescio) e il loro arrivo provoca,
nella finzione epistolare, un’ulteriore lettera di Janata Monroy, che avrà così occasione di ritornare sul paradosso
verità/menzogna :

Anche la posizione filosofica (posso definirla in questo modo ?) che lei definisce “Equivoco”, pur se vestita di cultura
occidentale (il Barocco) corrisponde all’antico precetto induista che l’equivoco (l’errore della vita) equivale a un
viaggio iniziatico intorno all’illusione del reale, intorno cioè alla vita umana terrena. Tutto è identico, diciamo noi ; e
mi pare che lei affermi la stessa cosa, anche se la sua è una posizione di scetticismo [...]. Lei forse ricorderà il
paradosso di Epimenide che dice più o meno così : La frase che segue è falsa. La frase che precede è vera. Come
avrà osservato le due metà della sentenza sono l’una lo specchio dell’altra. Riesumando questo paradosso, un
matematico americano, Richard Hoffstadter, autore di un trattato sul teorema di Goedel, ha recentemente messo in
crisi la dicotomia logica (aristotelica-cartesiana) sulla quale la vostra cultura è basata e secondo la quale ogni
affermazione deve essere o vera o falsa. Infatti questa affermazione può essere contemporaneamente vera e falsa ; e
ciò perché si riferisce a se stessa al negativo : è un serpente che si morde la coda o, secondo la definizione di
Hoffstadter, un “anello strano” (a strange loop). / Anche la vita è un anello strano, Siamo nuovamente
all’induismo.13

25 che motiverà un ultimo finale rovesciamento d’autore, a riaprire la partita e riportare di nuovo il dubbio, l’enigma, la
paura al centro della storia, di ogni storia raccontata, raccontabile. Iscrivendola di nuovo, ogni storia, anche
nell’incertezza speculare, nel segno di Pessoa, se è vero che si deve al grande scrittore portoghese la proposta di un
terzo tipo di intelligenza, quella negatrice e negativa

che converte ogni affermazione in negazione e che fa della filosofia una nonfilosofia. Il principio di questa Magna
Arte Negatrice è di stabilire antitesi senza fermarsi al bilancio antinomico kantiano o alla sintesi hegeliana : è negare
i contrari e affermarli allo stesso tempo per generare il paradosso14.

26 Una sciarada insomma, non solo per Pessoa15, ma per Notturno Indiano, che ci ricorda piuttosto quel “classico
problema della sciaradistica” che parla di un

prigioniero dentro una cella sulla quale si aprono due porte ; una porta che conduce alla libertà e una porta che
conduce al patibolo. A guardia di ciascuna delle porte stanno due sentinelle ; una che dice sempre la verità e una che
dice sempre menzogne. Il condannato ha la possibilità di fare una sola domanda a una sola sentinella, e in tal modo
di salvarsi. Per riuscire a salvarsi egli deve chiedere a una delle sentinelle quale sia la porta che secondo il collega
porta alla salvezza (o al patibolo) e poi cambiare la porta che gli sarà indicata. In sostanza, per arrivare alla verità, il
prigioniero deve risuscire a percorrere in senso inverso il processo attraverso il quale gli arriva la risposta. Il
Marinaio [di Pessoa] si comporta allo stesso modo, riuscendo a ripercorrere il labirinto. Infatti, egli che è sogno di un
sogno, si libera sovvertendo il sogno, o ripercorrendolo in senso contrario, cioè sognando chi lo sogna [...]. Insomma,
sognando, il Marinaio evade dal sogno come dalla bocca di un imbuto, chiude il circolo, si dissolve ; e dissolvendosi
fa dissolvere con l’alba coloro che sognandolo lo fecero sognare. La sciarada è risolta, il racconto è finito.16

27 Nel nostro Notturno Roux, che è un prodotto di Xavier (a lui deve il nome e la ragione del viaggio...) sovverte
l’ordine, ripercorre il labirinto, immaginandosi (nella finzione del romanzo raccontato) al posto dell’altro. Così si libera
della sua assenza (si fa vittima anzi della sua presenza) dando corpo ai fantasmi che chiudono il circolo sulla
dissolvenza di entrambi. Oppure... Roux, che ha creato Xavier, immagina che Xavier lo crei. I due scompaiono, ma la
ricerca è compiuta, giacché si è raggiunta la piena coscienza dell’inncoscibile, dell’“occulto” pessoano. Oppure... Roux è
un personaggio inesistente, dal passato inesistente come Xavier, e viceversa. Oppure...

Bibliographie
Nota bibliografica
Si fa riferimento in queste pagine, stralciate con tagli e varianti dalla nostra introduzione all’edizione commentata di Notturno
indiano (in corso di stampa presso la SEI di Torino), ad alcune opere di Tabucchi funzionali al nostro discorso, in particolare a
Donna di porto Pini (Palermo, Sellerio, 1983), Piccoli equivoci senza importanza (Milano, Feltrinelli, 1985), Il filo dell’orizzonte
(Milano, Feltrinelli, 1986), Gli uccelli del Beato Angelico (Palermo, Sellerio, 1987), I dialoghi mancati (Milano, Feltrinelli, 1988), Il
gioco del rovescio (Milano, Feltrinelli, 1981/1989), Sogni di sogni (Palermo, Sellerio, 1992), Sostiene Pereira (Milano, Feltrinelli,
1994). Un posto centrale occupa ovviamente nella nostra analisi Notturno indiano (Palermo, Sellerio, 1984). Per una bibliografia
sull’autore e tutti i necessari riferimenti critici si rimanda all’edizione à paraître appena citata.

Quanto alla complessa problematica del viaggio (alla base di ogni narrativa, ergo anche della moderna narratologia) ci limitiamo a
citare solo alcune opere recenti, cui si rinvia anche per una esauriente e dettagliata bibliografia specifica : Eric J. Leed, La mente del
viaggiatore. Dall’Odissea al turismo globale, Bologna, Il Mulino, 1991 ; Paolo Scarpi, La fuga e il ritorno. Storia e mitologia del
viaggio, Venezia, Marsilio, 1992  ; AA. VV., Pothos. Il viaggio, la nostalgia, a cura di Fabio Rosa e Francesco Zambon, Trento,
Università degli Studi, 1995 ; AA. VV., Le voyage : de l’aventure à l’écriture, textes réunis et présentés par Jeanine Guérin dalle
Mese, Poitiers, La licorne, 1995. Per quel che ci riguarda, e specificamente in riferimento al caso Tabucchi qui esaminato, ci pare
importante, ai margini del rapporto sempre possibile tra viaggio reale e sua alterazione/trascrizione (su cui le note specifiche nella
nostra edizione di Notturno indiano, anche per quanto pertiene la modalità specifica di vivere e raccontare un’India dettagliata
eppure nascosta, quasi esclusivamente notturna, senza colori e paesaggio – con tutte le differenze del caso in rapporto a scrittori
come Manganelli, Moravia, Pasolini... che ne hanno fatto soggetto non di finzione ma di reportages), puntare piuttosto sulle
strutture profonde che il viaggio rappresenta e muove nella poetica dell’autore. In un confronto tra i generi e le forme del journal e
del romanzo, è quest’ultimo a nostro avviso a risultare vincente  : la “finzione” vede insomma più della cronaca, non descrive ma
coglie le suggestioni, ride degli stereotipi e sfugge alla ripetitività inevitabile nelle sia pur abili, geniali trascrizioni di un “vero” che si
presenta a tutti con elementi di omogeneità.

Notes
1  Quanto alla fascinazione di Tabucchi per i libri di viaggio e alla combinazione di viaggio e vagabondaggio nell’archetipo di quei
libri, l’Odissea, si veda adesso Carlos Gumpert, Conversacìones con Antonio Tabucchi, Barcelona, Anagrama, 1995, pp. 53, 56-57.
2   Una dichiarazione in tal senso l’ha fatta Tabucchi, rispondendo a una domanda mirata nel corso di un incontro (Scrittori a
confronto) con gli studenti della Facoltà di Magistero di Firenze nella primavera del 1995. Ma adesso si veda anche C. Gumpert,
Conversaciones... cit.
3  Cfr. la nota d’autore ai Piccoli equivoci senza importanza cit., p. 8
4 I treni che vanno a Madras, ivi, pp. 107-108.
5 Ivi, pp. 111-112.
6  La Sontag nel suo libro Sulla fotografia (Torino, Einaudi, 1978), nel capitolo La grotta di Platone, parla di un valore informativo
delle fotografie analogo a quello della narrativa.
7  Intendiamo riferirci in particolare al Nisarga-Yoga, ovvero al pensiero di Sri Nisargadatta Maharaj (1897-1981), considerato uno
dei più grandi ‘maestri’ dell’India contemporanea, e alla sua riflessione sull’io elaborata in una serie di incontri registrati negli anni
70 e 80 e tradotti ormai da tempo in inglese e francese. Si vedano in particolare Je suis, Paris, Les deux océans, 1982 ; Graines de
conscience, Paris, Les deux océans, 1983  ; Ni ceci ni cela. 24 entretiens  : du 20-12-1978 au 20-11-1980, Paris, Les deux océans,
1986 ; À la source de la conscience. Entretiens avril 1980-juillet 1981, Paris, Les deux océans, 1991  : testi di cui Tabucchi aveva
sentito parlare e che potrebbe avere sfogliato durante i suoi frequenti soggiorni a Parigi, visto che fa un esplicito riferimento al loro
autore in La frase che segue è falsa. La frase che precede è vera (in I volatili del Beato Angelico).
8   È, quello degli insolubilia, il terzo caso della logica medievale di Roger Swyneshed, che si appunta su proposizioni che non
significano “né come è ne altrimenti da come è”. A tale paradossale logica sembra rinviare il titolo di quello che ci piace considerare
il testo conclusivo di Notturno indiano  : La frase che segue è falsa. La frase che precede è vera. Tabucchi cita invece
(assolutamente a proposito) un poeta, pensatore, teologo greco del VI secolo a. C, Epimenide de Creta. Ma del frammento che gli
attribuisce non si trovano tracce nelle moderne raccolte dei presocratici (cfr. Presocratici. Testimonianze e frammenti, Bari,
Laterza, 1981, voll. 2).
9  Così Clément Rosset nel Réel et son double, in particolare nel capitolo : L’illusion psychologique : l’homme et son double.
10 La frase che segue è falsa. La frase che precede è vera cit., pp. 42-46.
11  Si veda : "Gli antichi avevano scoperto le muse, noi oggi abbiamo capito che le muse, forse divise per categoria non esistono più.
/ C’è una musa unica, magari un po’ zoppa e un po’ sindacalizzata che ci assiste tutti ; assiste lo scrittore di libretti d’opera, come
assiste lo scrittore di testi teatrali, come assiste nelle sue manchevolezze il romanziere./ Forse noi, nel tardo Novecento, abbbiamo
licenziato le muse per assumere una musa a volte un po’ infedele che comunque ci accompagna e che caratterizza l’arte"
(Conversazione con Antonio Tabucchi.Dove va il romanzo ?, a cura di Paola Gaglianone e Marco Cassini, Roma, Il libro che non
c’è, 1995, pp. 11-12)
12 La frase che segue è falsa, la frase che precede è vera cit., pp. 47-50.
13 Ivi, pp. 51-52.
14  Antonio Tabucchi, Interpretazioni dell’eteronomia di Ferdinando Pessoa, in "Studi mediolatini e volgari", 1975, [pp. 139-187],
p. 149.
15  Così Tabucchi nel suo splendido saggio introduttivo al Marinaio di Pessoa (Torino, Einaudi, 1988)
16  Ivi.

Pour citer cet article


Référence papier
Anna Dolfi, « Tabucchi e il viaggio illusione e specularità. Riflessioni in margine a Notturno indiano », Italies, 1 | 1997, 161-182.

Référence électronique
Anna Dolfi, « Tabucchi e il viaggio illusione e specularità. Riflessioni in margine a Notturno indiano », Italies [En ligne], 1 | 1997, mis
en ligne le 01 octobre 2011, consulté le 22 juillet 2022. URL : http://journals.openedition.org/italies/3436 ; DOI :
https://doi.org/10.4000/italies.3436

Auteur
Anna Dolfi
Università di Firenze

Articles du même auteur


Lo Spleen di Parigi e il senso di colpa [Texte intégral]
Paru dans Italies, N° spécial | 2007

Oreste Macrí,   Le prose del malumore di Simeone (per copia conforme) [Texte intégral]
Paru dans Italies, 4 | 2000

Sul principio di non contraddizione. Qualche nota aggiunta su una dialettica improgressiva [Texte intégral]
Paru dans Italies, 7 | 2003

Droits d’auteur

Creative Commons - Attribution - Pas d'Utilisation Commerciale - Pas de Modification 4.0 International - CC BY-NC-ND 4.0

https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/4.0/

Potrebbero piacerti anche