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XIX TESI

La riforma di Gluck e Calzabigi. Teorici del melodramma. Satire e parodie in


Italia e fuori

Le regioni dei letterati

Italia
Il favore che l’opera italiana godeva presso il pubblico aristocratico e borghese
europeo non era condiviso da filosofi, scrittori e letterati. Essi si rivelavano assai
critici nei confronti dell’opera in musica, e lamentavano che il rapporto tra la musica
e la poesia fosse gravemente sbilanciato a favore della prima.
Per lo spirito razionalistico-cartesiano, infatti, che domina nella cultura tardo-
seicentesca l’arte e il sentimento rappresentano solamente forme inferiori di
conoscenza. Nelle classificazioni gerarchiche delle arti, la musica si trova solitamente
all’ultimo posto, la poesia al primo. Questo privilegio accordato alla poesia non
corrisponde certo ad un suo maggiore pregio artistico, ma piuttosto ad un maggiore
contenuto concettuale e didascalico. La musica si rivolge ai sensi, all’udito, la poesia
alla ragione: questo fatto costituisce il motivo della sua supremazia.
Il primato della poesia nei confronti dell’opera in musica è infatti affermato nella
“Istoria della volgar poesia” di Crescimbeni, nella “Perfetta poesia italiana” di
Muratori, nel dialogo “ Della tragedia antica e moderna” di Martello. La posizione
più sdegnosa è dichiarata dal Muratori: “…i moderni Drammi sono un mostro…da
essi si recano gravi danni al popolo”.
La condanna più sbrigativa e sprezzante arrivò da un letterato francese, Charles de
Saint- Evremond: “… un’opera è uno strambo lavoro nel quale si mescolano la poesia
e la musica, e dove il poeta e il compositore si danno un gran daffare per arrivare a
cattivi risultati..” .
Le critiche più aspre furono mitigate quando si imposero i drammi per musica di
Metastasio; la sua amabile poesia, l’eleganza dei suoi versi, ebbero certamente gran
peso nell’indurre i letterati a mutare atteggiamento. Tra questi si pose il dotto gesuita
Spagnolo Stefano Arteaga, che nei  volumi delle “Rivoluzioni del teatro musicale
italiano” collocò il dramma metastasiano ai vertici della perfezione dell’opera in
musica. L’Arteaga, acutamente, riconosce alla poesia del Metastasio quell’intrinseca
musicalità che non poteva essere esplicitata altro che dalla musica vera e propria; le
arie del Metastasio sono un suggerimento al musicista, un invito a dire con il
linguaggio dei suoni ciò che il linguaggio delle parole non può più esprimere.
Il Metastasio è indirettamente colpevole di aver fatto intravedere agli uomini la
possibilità che la musica sia “ una spezie di nuova lingua inventata dall’arte al fine di
supplire all’insufficienza di quella che ci fu data dalla natura”.
Gli scrittori della generazione successiva sostennero che la logica del dramma e la
coerenza dei suoi elementi costitutivi dovessero porsi in primo piano. Il più noto ed
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efficace assertore di questo indirizzo fu Francesco Algarotti scrittore e autore
dell’essenziale “Saggio sopra l’opera in musica”, nel quale si possono già intravedere
alcune delle scelte operative che , di lì a pochi anni, seguirono Calzabigi e Gluck. Nel
Saggio sopra l’opera in musica l’Algarotti tende a riformare l’opera secondo la
tradizione francese. Alla corte di Federico II di Prussia dove visse dal 1740 al 1753,
egli collaborò alla stesura di vari libretti d’opera e alla realizzazione di spettacoli
teatrali. Il principio estetico sottinteso alla sua critica dell’opera italiana è che la
musica può raggiungere la sua piena espressione solo accompagnando la parola. Per
l’Algarotti in definitiva l’opera deve ridursi “ad una tragedia recitata per musica”; e
per riportarla a questa condizione è necessario che la musica torni ad essere “ministra
ed ausiliaria della poesia”.

Francia
Anche fuori dall’Italia, i problemi estetici e musicali dell’opera in musica fecero
versare fiumi d’inchiostro. Durante il XVIII secolo, si pubblicarono numerosi
opuscoli e articoli nei quali si intrecciavano le polemiche. In Francia questa
letteratura fu particolarmente copiosa nei periodi in cui i contrasti fra i melomani
alimentarono tre successive querelles: 1) quella fra i lullisti e i ramisti ( i seguaci di
Rameau contro i sostenitori di Lulli); 2) quella fra buffonisti e antibuffonisti ( i
favorevoli e i contrari all’opera buffa italiana); ) quella fra gluckisti e piccinnisti ( i
seguaci di Gluck contro quelli di Piccinni che erano fautori dell’opera tradizionale
francese e dell’opera italiana).

Satire e parodie

Visto dall’esterno, il teatro d’opera, con tutti coloro che vi operavano, appariva un
mondo strano ed assurdo. Per la sua singolarità, questo mondo si prestava ad essere
fatto oggetto di ironie. Nacque così e si alimentò un piccolo filone letterario satirico
che si sviluppò fino ai primi decenni dell’Ottocento. La satira più pungente e famosa
la scrisse un patrizio Veneziano, Benedetto Marcello. Il suo scritto, intitolato “ Il
teatro alla moda”, è un manuale che dispensa consigli e suggerimenti a tutti coloro
che lavoravano nell’industria dello Spettacolo operistico dai poeti, compositori di
musica ai conduttori del botteghino. Ma i consigli sono l’esatto contrario di quello
che sembrano, in quanto esortavano a fare ciò che non andava fatto, ma che era la
pratica corrente nei teatri.
1) “ Ai poeti”- Il poeta moderno non dovrà leggere mai gli autori antichi Latini o
Greci.
2) “ Ai compositori di musica”- Il moderno compositore di musica non dovrà
possedere notizia delle regole di ben comporre.
3) “ Ai musici”- Il virtuoso moderno non dovrà aver solfeggiato né mai
solfeggiare per non cadere nel pericolo di fermare la voce.
4) “ Agli impresari”- L’impresario moderno non dovrà possedere notizia alcuna
delle cose appartenenti il teatro.
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Più numerose furono le parodie. Molte avevano la forma di libretti d’opera buffa o di
intermezzi. Tra esse si ricordano: “Prima la musica, poi le parole”, con musica di
Salieri; “Il maestro di cappella”, con musica di Cimarosa; “Der Schauspieldirektor”
(il direttore di scena), con musica di Mozart.

Christoph Willibald Gluk

Nato a Erasbach, trascorse l’infanzia in piccoli centri della Boemia dove il padre
esercitava l’attività di guardaboschi. Nel 1731 si stabilì a Praga per studiare logica
all’Università, ma più lo impegno lo studio della musica. Nel 1741 Gluck intraprese
la carriera di compositore teatrale; scrisse drammi per musica e pasticci per i teatri di
varie città, ma soprattutto Milano e Venezia.
Continuò tale attività a Londra in cui conobbe Händel e subì il fascino della sua
personalità. Nel 1752 prese dimora stabile a Vienna, che era una delle capitali
dell’opera italiana.
Nella città danubiana , attraverso i contatti con il conte Giacomo Durazzo e con il
librettista livornese Ranieri dè Calzabigi, Gluck maturò le linee di riforma dell’opera
seria italiana.
Il primo frutto del rinnovamento fu l’azione teatrale “Orfeo ed Euridice”. Ma,
contemporaneamente egli accettava commissioni per opere tradizionali, componendo
opèras – comiques e balletti.
Veniva intanto maturando il disegno di estendere alla “ tragededie- lirique” francese
gli spiriti del rinnovamento che aveva esercitato sull’opera seria italiana. Dietro
invito di alcuni intellettuali nel 1773 si trasferì a Parigi. Le rappresentazioni di
“Iphigenie en Aulide” e la versione francese dell’ “ Orfeo” scatenarono una
“querelle” che durò anni, per l’opposizione sollevata sia dai sostenitori della
tradizione di Rameau sia dai seguaci dell’opera italiana, i quali gli contrapposero
Piccinni.
Quella tra Gluck e Piccinni, più che una querelle, fu un superamento delle querelles,
in quanto Gluck ne fu l’unico protagonista. I pochi seguaci di Piccinni si trovarono
ben presto emarginati di fronte all’imponente e autorevole figura di Gluck.
Il merito maggiore della riforma , da un punto di vista teorico, va al poeta Calzabigi il
quale, già da parecchi anni, stava elaborando una serrata requisitoria contro il
melodramma italiano. Il Calzabigi concludeva affermando che la dolcezza e la
musicalità del Metastasio è antidrammatica e non contribuisce a plasmare i caratteri e
a creare dei tipi tragici.
Ma il teorico più vicino alla spirito di Gluck e del Calzabigi è senza dubbio
l’Algharotti e proprio a lui doveva pensare il Calzabigi quando pensò alla sua
riforma. La critica dell’Algarotti riflette ancora la mentalità del letterato che vuole
difendere le ragioni della sua arte, cioè della poesia contro gli abusi della musica,
cioè di un’arte inferiore.
Questa prospettiva tipicamente letteraria sull’opera per il Calzabigi non è stato il
punto d’arrivo. Il Calzabugi e soprattutto il Gluck dimostrano di condurre innanzi i
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loro principi, non in nome della letteratura e neppure della musica, ma
dell’espressione drammatica. “… La musica deve piuttosto assecondare la poesia..”,
afferma il Gluck e aggiunge : “… la musica è come il colore di un quadro, cioè la
vita…”. Egli ripropose praticamente l’ideale di una musica universale, comprensibile
a tutti gli uomini dotti e illuminati, di un’opera valida per tutti i teatri d’Europa.
Dal 1779 non si allontanò più da Vienna, dove morì nel 1787.
Ad eccezione di alcune composizioni vocali sacre e profane ( tra queste ultime 7 odi),
9 sonate per 2 violini e continuo e 9 sinfonie, la produzione di Gluck fu volta
interamente al teatro e comprende 50 opere e 5 balletti. Nel periodo in cui lavorò in
Italia, a Londra e nei primi anni di Vienna Gluck compose esclusivamente drammi
per musica, feste teatrali italiane, tra i quali si citano: “Artaserse”, “La Caduta dei
Giganti”, “ La clemenza di Tito”, “ Le Cinesi”.
Lo schema drammaturgico e letterario mestasiano, con la contrapposizione
recitativo/ aria e il primato incontrastato delle voci soliste, domina questa prima fase
della produzione operistica di Gluck.
Gli anni più ricchi di esperienza e realizzazione furono quelli di Vienna, tra il 1758 e
il 1770.
Pur continuando a scrivere, occasionalmente, opere serie e serenate nella tradizione
metastasiana, Gluck affrontò l’esperienza dell’opera-comique francese, producendo
lavori felici tra cui: “ Le cadi dupè” e “ La recontre imprevue”. Un altro positivo
incontro ebbe con il balletto, esso pure di ascendenza francese. In collaborazione con
il coreografo Gasparo Angiolini realizzò alcuni balletti, tra cui “ Don Juou on le
festin de pierre” e “ Semiramis”.
L’esperienza dell’opera seria italiana, dell’opera comica francese, e del balletto
confluirono nelle opere nelle quali si realizzò quella che fu chiamata la “ Riforma di
Gluck e Calzabugi” e che si concentrò in  opere che egli scrisse cioè : 1) “ Orfeo ed
Euridice”, azione teatrale in  atti, 1762; 2) “ Alceste”, tragedia in  atti, 1767; )
“Paride ed Elena”, dramma per musica in 5 atti, 1770.
Calzabigi e Gluck avevano intuito che, per riformare l’opera seria italiana, occorreva
superare decisamente gli schemi tuttora imperanti dei libretti mestasiani, eliminando
il “ tagliente divario” tra i recitativi e le arie.
Per innovare la struttura formale dei libretti, Calzabigi impiegò versi sciolti e rimati
in fluida successione, alternando con libertà recitativi ed arie, facendo posto ai cori e
aggiungendo balli in armonia con l’azione. Per eliminare lo stacco tra i recitativi e le
arie, Gluck sostituì al recitativo semplice il recitativo accompagnato: in tal modo il
discorso vocale era tutto sostenuto dall’orchestra. Nelle arie abolì i da capo
rendendone più compatta la forma e abbandonò l’uso del canto fiorito. Non limitò lo
svolgimento della vicenda scenica alle sole voci soliste dei personaggi, ma coinvolse
anche il coro e l’orchestra. Il coro commenta, interviene, a volte diventa un
personaggio. L’orchestra non si limitava ad accompagnare, ma anch’essa era
coinvolta nel dramma cantato. Gluck scoprì il calore espressivo del timbro.
La sinfonia di apertura non fu più generico brano di musica di stampo scarlattiano,
ma preparava il clima dell’azione.
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Gluck volle motivare le novità di forma e di stile da lui introdotte spiegandole nella
“Prefazione” che premise alla stampa dell’ “ Alceste” in cui si afferma: “ Quando
presi a far la musica dell’Alceste mi promisi di spogliarla di tutti quegli abusi, che
introdotti dalla troppa compiacenza dei maestri, da tanto tempo sfiguravano l’opera
italiana. Pensai di restringere la musica al suo vero ufficio di servire la poesia senza
interrompere l’azione. Non ho voluto dunque né arrestare un attore nel maggior caldo
del dialogo per rispettare un noioso ritornello, né fermarlo a mezza parola sopra una
vocale favorevole. Ho immaginato che la sinfonia debba formare l’argomento: che il
concerto degli istrumenti abbia a regolarsi a proporzione degli interessi e della
passione…”.
Dopo la rappresentazione di “Paride ed Elena”, accolta con una certa freddezza dal
pubblico viennese, Gluck, come già ricordato, nel 1773 si trasferì a Parigi. Qui, tra il
1774 e il 1779, compose 6 opere oltre a 2 “ opèras- comiques”: 1) “Iphigènie in
Aulide”; “ tragedie- opera”; 2) “ Orfeo et Euridice”, versione francese dell’Orfeo ed
Euridice; ) “ Alceste”, versione francese; 4) “ Armide”, tragedie- opera, sul testo di
Quinanet ; 5) “ Iphigenie eu Taurine”, tragèdie; 6) “ Echo et Narcisse”, drame lirique.
I caratteri della riforma di Gluck rispondono alle attese di novità che agitavano alcuni
settori del gusto e della cultura illuministica. Esse auspicavano la rimozione delle
stilizzazioni auliche e galanti dell’opera seria metastasiana, da sostituire con proposte
drammaturgiche che rivalutassero la ragione.
Anche la scelta, come materia dei libretti, di non dimenticate favole della mitologia
greca, con l’umanità e la pietas dei loro contenuti, favoriva l’approccio ad un mondo
di comuni sentimenti.

L’eredità di Gluck

Non deve stupire di trovare nell’elenco dei post- gluckiani il nome di quel Piccinni
che le “ querelles” parigine, pochi anni prima, avevano contrapposto all’operista
tedesco. In “Roland” – opera quest’ultima protagonista della “gara” con Gluck
(secondo i sostenitori di Piccinni, quest’ultimo e Gluck avrebbero dovuto comporre
ciascuna una propria versione del “Roland”) – in “Atys”, e soprattutto in “ Didon”
egli diede valide dimostrazioni di aver capito il messaggio innovatore del suo
antagonista. L’insegnamento di Gluck influenzò anche le opere scritte negli anni
Ottanta da Salieri, Sacchini e Cherubini .

Antonio Salieri
Studiò a Venezia e a Vienna, dove prese residenza. Già l’opera “Armida” mostra
l’adesione alla concezione riformistica di Gluck .
Nel 1774 fu nominato compositore di corte e maestro di cappella dell’opera italiana.
Fu un valente insegnante; i suoi più celebri allievi furono Beethoven, Shubert, Liszt,
Mosheles. Grazie a Gluck ottenne la prima commissione di un opera per Parigi, “ Les
Danäides”. Ad essa seguì, tre anni dopo, “ Tarare”, che ottenne uno splendido
successo. Altre composizioni: le opere “ La grotta di trionfo”, “ Il mondo alla
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rovescia”, musiche sacre e strumentali. Di notevole ampiezza è anche la sua
produzione orchestrale ( per flauto e oboe, per violino, violoncello), sacra. Di
tendenza gluckiana, nelle migliori fra le sue opere teatrali Salieri mostra di saper
trattare in chiave espressiva e drammatica tutti gli elementi del melodramma,
recitativi compresi, e fa uso di una strumentazione ricca di suggestioni. Morì a
Vienna nel 1825.

Antonio Sacchini
Nato a Firenze nel 1730, morto a Parigi nel 1785. Allievo del Durante a Napoli,
esordì come operista nel 1758 (“Olimpia tradita”).
Nel 1762 lasciò Napoli per Venezia; nel 1770 fu a Monaco e Stoccarda, e dal 1772
dimorò per dieci anni a Londra. Nel 1783 si trasferì a Parigi, ove le sue qualità di
melodista gli fecero conquistare l’appoggio della fazione italianizzante nell’ultima
fase della polemica tra piccinnisti e gluckisti. Ma a poco a poco si lasciò attrarre dalle
forme rigorose del teatro di Gluck, sia pure ammorbidite dalla vocalità italiana, come
l’opera di “ Armida”, “ Dardanus”. Culmine del suo nuovo indirizzo fu “ l’Oedipe à
Colone”. Rappresentato dopo la morte del compositore, ottenne uno strepitoso trionfo
e per oltre 50 anni fu opera di cartello.

Luigi Cherubini
Nacque a Firenze nel 1760 e morì a Parigi nel 1842. La sua carriera di compositore
ebbe inizio nell’ambito del genere sacro che egli continuò a coltivare anche quando si
trasferì a Bologna per continuare gli studi con Sarti. Sotto l’influsso di Sarti,
nacquero il “ Quinto Fabio” e altre opere del tutto convenzionali. Nonostante i primi
successi raccolti in Italia, Cherubini decisi di espatriare.
La prima tappa fu Londra, dove scrisse per il teatro di Haymarket “ La finta
principessa”, poi si stabilì a Parigi. Nel 1794 entrò a far parte della “ Banda
repubblicana”, trasformata l’ anno seguente in Conservatorio di cui dal 1821 al 1841
ne fu il direttore . In questo periodo scrisse il “ Demophoon”, l’opera comique “ Le
due giornate ovvero il portatore d’acqua” e “ Medea”. Con questo capolavoro si
colloca tra Gluck e Beethoven, ricollegandosi al primo per la severità dello stile, al
secondo per l’accentuato sinfonismo.

In Italia al contrario della Francia, la riforma Gluckiana fu di nessun eco.

ASCOLTI PROPOSTI DURANTE LE LEZIONI:

CHRISTOPH WILLIBALD GLUCK – Ballo e Coro – da Orfeo ed Euridice, Atto II,


Scena I.

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