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5ALS
Indice
Premessa……………………………………………………………………………………………………….3
Bibliografia…………………………………………………………………………………………………..12
Sitografia……………………………………………………………………………………………………...12
Premessa
Con il presente percorso si intende definire le tappe significative dei mutamenti che hanno
interessato il concetto di alienazione, a partire dall’etimologia del termine e dalle influenze
dei relativi periodi storico-culturali.
Verranno inoltre rintracciate le manifestazioni e le rappresentazioni dell’alienazione in
letteratura italiana, in quella oltremanica e nell’arte figurativa, con particolare riferimento alle
sue forme di espressione nella narrativa del Novecento.
Infine lo scopo prefissato sarà quello di comprendere come l’informatizzazione del lavoro
impiegatizio abbia peculiarità affini all’alienazione degli operai in fabbrica, tanto da andare a
costituire una nuova forma di “alienazione da ufficio”.
Il termine alienazione (in latino alienatio, -onis) ha origine dal verbo latino alienare e
dall’aggettivo alienus, che letteralmente significa appartenente ad altri, che non è dei nostri.
Mentre nel linguaggio giuridico corrente per alienazione si intende vendita, trasferimento o
privazione di un immobile, in ambito filosofico il lemma ha progressivamente acquisito
spessore concettuale tale da diventare una delle nozioni pregnanti della riflessione filosofica
post-hegeliana.
In particolare ciò avviene nella contemporaneità , che sempre più sembra caratterizzarsi
come società del disagio, lacerata drammaticamente dalla contraddizione tra l’enorme
produzione seriale di ricchezza materiale e il sentimento di una profonda povertà , di un senso
d’impotenza, di estraneità ad una realtà potente, indifferente e ricca, che l’alienato è
inadeguato a controllare e inetto a fronteggiare.
Appunto “alienato”, perché alienata è questa realtà da lui prodotta, estranea e ostile, che si
allontana portando con sé la nostra stessa essenza, impoverendoci, privandoci di noi stessi.
“Noi partiamo da un fatto dell'economia politica, da un fatto attuale. L'operaio diventa tanto
più povero quanto più produce ricchezza, quanto più la sua produzione cresce in potenza ed
estensione. L'operaio diventa una merce tanto più a buon mercato quanto più crea delle merci.
Con la messa in valore del mondo delle cose cresce in rapporto diretto la svalutazione del
mondo degli uomini. Il lavoro non produce soltanto merci; esso produce se stesso e il lavoratore
come una merce, precisamente nella proporzione in cui esso produce merci in genere. […]
Questa realizzazione del lavoro appare, nella condizione descritta dall'economia politica, come
annullamento dell'operaio, e l'oggettivazione appare come perdita e schiavitù dell'oggetto, e
l'appropriazione come alienazione, come espropriazione. [...] Certamente il lavoro produce
meraviglie per i ricchi, ma produce lo spogliamento dell'operaio. Produce palazzi, ma caverne
per l'operaio. Produce bellezza, ma deformità per l'operaio. Esso sostituisce il lavoro con le
macchine, ma respinge una parte dei lavoratori ad un lavoro barbarico, e riduce a macchine
l'altra parte. Produce spiritualità, e produce la imbecillità, il cretinismo dell'operaio. [...] Ma
l'alienazione non si mostra solo nel risultato, bensì nell'atto della produzione, dentro la stessa
attività producente.”
immediately strikes the reader’s attention and conveys the overall effect of a polluted
atmosphere, allowing him to create a black-and-white mental picture of the city.
Indeed, the following sequence gives space to a large range of dark colours, which
contribute to emphasize the space’s negative connotation. Its ashes covered everything they
bumped into. The image provided by the narrator also seems to demolish any time reference:
the expression “for ever and ever” conveys the impression of an eternal city disregarding time
and where ordinary life only consists of work.
All in all the first paragraphs provide a photograph of the consequences of the Industrial
Revolution, as the narrator will show in the following sequence.
The reader’s expectations come true when the verbs "rattling" and "trembling", appealing
to hearing and the onomatopoeia of pistons that go up and down all day long give a clear
image of the monotony of worker's lives. The image is reinforced by the anaphoric use of
the adjective same ("same hours", "same sounds", "same pavements", "same work”). With the
description, Dickens creates an unbearable and suffocating atmosphere that perfectly
conveys the reality of that time.
Again in the following passage the reader comes across a new obsessive anaphoric
repetition of the word “fact”, juxtaposed to two contrasting words: “material” and
“immaterial”. The period is full of figures of speech and contributes to create confusion in the
reader’s mind. He has to slow down his reading pace to better understand the contradictions
of an industrialized town where everything seemed the same.
The detailed description of the city on a Sunday morning is nothing more than sad. Again it
suggests the monotony of people's life. Indeed, the narrator uses the repetition of the
possessive adjective "own" (own quarter, own close rooms, own streets) and builds a
sequence of events connected with the temporal adverb "then". Nothing changes, even on
Sundays despite some more drunken people (either religious or not): the portrait of common
people lifestyle.
The overall effect of the contrast between drama and satire contributes to convey a
distorted image which swings from coarse reality to parodic fiction, witnessing the adoption
of a typical Victorian narrative strategy: the grotesque. The narrative device allows the
narrator to alternate dramatic moments (which let the reader identify with the victims) with
exaggerated and ironic ones, something very frequent in Dickens’ narrative.
Da qui una serie di dipinti, che culminano con l’opera L’alienato - Seattle, concepita alla fine
del 1999 durante la terza conferenza dell’Organizzazione mondiale per il commercio
(WTO) tenutasi proprio nell’Emerald City.
In esso è percepibile una figura seduta su una poltrona, rannicchiata su sé stessa con le
braccia avvolte attorno alle sue ginocchia. Davanti ad essa è situata una scrivania su cui sono
adagiati un monitor, una tastiera e degli amplificatori, come in un qualsivoglia ufficio
moderno. Inoltre numerosi libri aperti sono scaraventati pietosamente a terra: la cultura e
l’informazione sono stati ormai sostituiti dall’enciclopedia online, dalle risorse web e dagli e-
book.
Da una finestra invece si intravedono delle industrie con ciminiere in rappresentazione
della rivoluzione industriale quale causa, negli anni, dell'inquinamento del pianeta. Appesi alla
parete figurano l’Uomo Vitruviano di Leonardo da Vinci, nonché la sequenza di DNA, nonché
un famoso manifesto propagandistico di Che Guevara; essi rappresentano il genio umano e le
relative scoperte evolutive che, gestite dalle mani dei "Padroni della Terra", finiscono col
produrre ostilità sia all'uomo che all'ecosistema, portando la società ad uno stato di
estraniazione: le nuove tecnologie e la vita frenetica alienano l'uomo.
“Ci provò un centinaio di volte, chiuse gli occhi per non vedere le zampe annaspanti, e rinunciò solo
quando cominciò a sentire sul fianco un dolorino sordo, mai provato prima d'allora. "Oh Dio", pensò,
"che mestiere faticoso mi sono scelto!: sempre in giro, un giorno dopo l'altro. L'affanno per gli affari è
molto maggiore che nell'azienda, inoltre devo sopportare anche questa piaga del viaggiatore, i crucci
per le coincidenze, i pasti irregolari e cattivi, rapporti umani sempre mutevoli, mai costanti, mai
cordiali. Che vada tutto al diavolo!".
“Era un’ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze che l’accompagnarono. M’ero
arrabbiato col diritto canonico che mi pareva tanto lontano dalla vita e correvo alla scienza ch’è la
vita stessa benché ridotta in un matraccio. Quell’ultima sigaretta significava proprio il desiderio di
attività (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo. […] Adesso che son qui, ad analizzarmi,
sono colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto la sigaretta per poter riversare su di essa
la colpa della mia incapacità? Chissà se cessando di fumare io sarei divenuto l’uomo ideale e forte
che m’aspettavo? Forse fu tale dubbio che mi legò al mio vizio perché è un modo comodo di vivere
quello di credersi grande di una grandezza latente. Io avanzo tale ipotesi per spiegare la mia
debolezza giovanile, ma senza una decisa convinzione.”
“Chi lo aveva fatto così, quell’uomo che figurava me? chi lo aveva voluto così? chi così lo vestiva e lo
calzava? chi lo faceva muovere e parlare così? chi gli aveva imposto tutti quei doveri uno piú
gravoso e odioso dell’altro? Commendatore, professore, avvocato, quell’uomo che tutti cercavano,
che tutti rispettavano e ammiravano, di cui tutti volevan l’opera, il consiglio, l’assistenza, che tutti
si disputavano senza mai dargli un momento di requie, un momento di respiro – ero io? io?
propriamente? ma quando mai?”
Resta chiaro fin dall’inizio come il protagonista sia un “ego” problematico, contraddittorio e
scisso, che parla di sé in terza persona. Anche qui sono frequenti le autointerrogative
esistenziali a connotare l’insicurezza e la confusione che regnano nella mente della figura
scissa.
La coordinazione per asindeto crea una climax accumulativa di caratteristiche, che lascia
trasparire al contempo le scissioni di identità e l’ansia esistenziale che angoscia la figura
dell’inetto. Appunto “inetto” in quanto eccessivamente passivo e insufficientemente attivo
nell’affrontare le problematiche della vita.
I dialoghi non sono presenti, testimoniando l’isolamento e la modesta propensione sociale
del personaggio alienato, ma sono spesso sostituiti dall’uso del discorso indiretto libero, che
consiste quasi di un dialogo tra due parti “sdoppiate” dell’omonima solitaria persona.
In narrativa contemporanea è Jonas Karlsson ad offrire l’immagine dell’alienazione moderna
nel suo romanzo La stanza.
L’autore scandinavo è sapiente nel rendere le atmosfere kafkiane della vicenda, puntando
su uno stile minimale, secco nella punteggiatura e scarno nelle descrizioni, utilizzando una
suddivisione in capitoli brevissimi ed una narrazione in prima persona che, con una sarcastica
brutalità , argomenta fatalmente il conflitto io/altri vissuto dal protagonista Bjö rn con i suoi
colleghi.
Le attività di pensiero interne alla mente sono rese tramite una grafetica corsivata, che
denota un dialogo interno ad un personaggio che parla tra sé e sé. L’impiegato, che coincide
con l’io narrante, è anch’esso autore di autointerrogative esistenziali, che hanno più che altro
la funzione di auto convincimento e di ulteriore conferma del proprio punto di vista. Esse
costellano una narrazione perlopiù riflessiva – testimonianza di una tendenza all’autoanalisi -
che lascia meno spazio allo sviluppo narrativo, coerentemente con la mancanza d’azione
tipica della figura dell’inetto.
Il lessico è spesso logico e specialistico, caratterizzato dalla cinicità e dalla rigidità di una
mente poco incline alle relazioni sociali e all’apertura mentale ad eventuali alternative.
Il protagonista sente spesso il bisogno di possedere la situazione sotto controllo: il
narratore lascia molto spazio all’analisi sociologica dei colleghi, all’attenzione per le attitudini
altrui e per i particolari. L’esigenza di “recludere” il lavoro e le sue attività entro categorie
certe (tanto che ad un certo punto Bjö rn afferma di aver suddiviso la giornata in periodi orari
formati da 55 minuti di attività e 5 minuti di pausa) ottiene l’effetto contrario, in quanto egli
entra in crisi non appena si sente impotente nell’impossibilità di pianificare razionalmente la
sua vita.
arroventata che è la psiche ferita dell’operaio. I drammi quotidiani dei “colletti bianchi” sono
invece da cercarsi in due aspetti:
addirittura disinteresse a farlo - che lo porta a ritrovarsi a suo agio solo richiudendosi in sé
stesso, lontano dal conformismo e dalle ipocrisie che regnano nel suo ufficio.
La figura di Bjö rn pare scissa in due: la compostezza di impiegato e l’apparente sicurezza
di sé stonano con l’implicito disagio di una personalità attorcigliata su sé stessa e proiettata al
di fuori di sé, che talvolta si ritrova ad ammirare la propria immagine riflessa sullo specchio
antistante la scrivania della stanza.
Egli si “vede vivere” pirandellianamente fino a quando, al capitolo 37, a circa metà della
narrazione, giunge ad un momento di crollo ed al contempo di rinascita: un pianto liberatorio,
che a suo dire è “un segno di debolezza, di mancato contegno e decoro”, sembrerebbe segnare
uno spartiacque tra un’ormai superata follia allucinogena incontrollata ed un’assunzione di
consapevolezza della propria condizione.
In effetti con il progredire nel “ranking” dell’ufficio, dopo la fatalità di aver brillantemente
portato a termine delle delibere a quattro cifre di notevole priorità (sempre rinchiuso
nell’immaginaria stanza), iniziano le prime simpatie con i colleghi ed il capo, che ora lo
guardano da una prospettiva diversa, seppur inconsapevoli della sua latente ed impellente
necessità di ricamarsi di nascosto il proprio spazio all’interno di quelle quattro pareti.
Necessità e bramosia che riaffiorano nel momento in cui Bjö rn sente di aver acquisito un
certo status, una certa posizione e nondimeno una certa confidenza all’interno dell’ambiente
lavorativo. In ufficio in quel momento il caos riemerge dal suo stato di quiescenza, facendo
crollare le aspettative di un impiegato modello che aveva troppo confidato nell’accoglienza e
nella comprensività dei suoi nuovi compagni di reparto.
Il risultato di ciò è un perenne senso di oppressione e inettitudine derivato dal
complottismo di cui il mondo viene accusato, che lo porta a “fondersi” tutt’uno con le pareti
protettive della stanza, lontano da un ambiente di lavoro malsano infestato da colleghi cinici e
indifferenti.
Bibliografia
Narrativa
Manualistica
Sitografia
www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaM/Marx_12.htm
www.sparknotes.com/lit/hardtimes/themes.html
www.tesionline.it/v2/appunto-sub.jsp?p=21&id=855
www.youtube.com/watch?v=YiHbKZcLqy8
www.ioarte.org/artisti/Antonio-Apa/opere/L-Alienato-Seattle/
www.filosofale.altervista.org/alienazione.htm
www.enricogiammarco.com/2014/07/17/la-stanza-karlsson-recensione/