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Struttura dei virus.
Il virione può essere descritto come l’insieme di acido nucleico e capside, cioè il nucleocapside.
Il capside si compone di più subunità proteiche, le quali, una volta prodotte nella cellula ospite, sono in
grado di assemblarsi spontaneamente.
I virus dotati solo di nucleocapside sono detti nudi, molti sono invece rivestiti.
Nei virus rivestiti il nucleocapside è racchiuso da una membrana formata da un doppio strato lipidico, derivata dalla
cellula ospite, in cui sono inserite glicoproteine (chiamate spicole) virus-specifiche di fondamentale importanza per
il riconoscimento delle cellule ospiti e il rilascio delle nuove particelle virali. Questo ulteriore rivestimento è
detto pericapside o peplos (detto anche involucro, envelope in inglese).
Sono dotati di envelope molti virus che infettano le cellule animali, alcuni delle piante e uno batterico.
La struttura di base di tutti i virus prevede un rivestimento proteico, il capside, al cui interno si trova una
molecola di acido nucleico, DNA o RNA. I virus dotati di solo nucleocapside sono detti nudi, quelli
rivestiti presentano in aggiunta il pericapside o envelope, di natura lipidica e glicoproteica.
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Le due principali simmetrie dei nucleocapsidi dei virus sono quella elicoidale (a sinistra) e quella
icosaedrica (a destra). Le immagini in alto sono al microscopio elettronico.
Le simmetrie più complesse si riscontrano nei batteriofagi, tipicamente formati da una testa icosaedrica e
una coda elicoidale. Fibre caudali e spine sono coinvolte nel riconoscimento e nell’adesione sulla
superficie delle cellule batteriche.
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Classificazione dei virus.
Nel tempo sono stati elaborati diversi criteri di classificazione dei virus.
Il sistema messo a punto dal medico Baltimore nel 1971 identifica sette classi in base alla tipologia di
acido nucleico, DNA o RNA, alla configurazione a doppio o a singolo filamento e alle conseguenti
strategie di replicazione.
Nel caso di genomi a RNA a singolo filamento, questo può essere a senso positivo o negativo a seconda
se può fungere o meno da RNA messaggero (mRNA).
Alcuni virus utilizzano entrambe le tipologie di acido nucleico, ma in momenti diversi del ciclo
replicativo (classi VI e VII).
Lo spettro d’ospite.
La tipologia di organismi riconosciuti e infettati da un dato virus è detta “spettro d’ospite”.
In genere vi è un’elevata specificità tra virus e tipo di organismo infettato.
Nel caso di organismi pluricellulari (piante e animali) i virus riconoscono solo alcuni tipi di cellule o
tessuti:
questa affinità tessuto-specifica è detta “tropismo” e dipende dall’interazione tra molecole della superficie
virale e di quella cellulare nella fase di riconoscimento della cellula ospite.
I poliovirus infettano e distruggono alcuni tipi di cellule nervose, i rinovirus (responsabili del comune
raffreddore) sono in grado di moltiplicarsi nel tratto respiratorio superiore perché adattati alle condizioni
di bassa temperatura ed elevata disponibilità di ossigeno, gli enterovirus prediligono le vie intestinali,
mentre il virus HIV, responsabile dell’immunodeficienza acquisita (AIDS), agisce selettivamente sui
linfociti T.
Sono note, tuttavia, alcune importanti eccezioni di virus in grado di infettare organismi anche non
evolutivamente correlati (ad esempio, i virus di alcune piante infettano anche gli insetti che si nutrono di
esse, sfruttandoli come vettori da una pianta a un’altra).
Alcune gravi malattie infettive dell’Uomo e di altri animali sono causate da virus trasmesse da insetti e
capaci quindi di replicarsi sia in un ospite Vertebrato che in un Invertebrato.
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La replicazione virale.
Per infettare una cellula, un virus deve aderire alla sua superficie, penetrarvi all’interno e liberarsi degli
involucri esterni per esporre il genoma agli enzimi della cellula, implicati nella sua replicazione e
nell’espressione delle proteine codificate.
Successivamente le nuove particelle virali, assemblate nella cellula ospite, devono essere liberate per
poter infettare altre cellule.
1) Attacco.
La fase di adesione alla cellula ospite è detta “attacco” o “adsorbimento” ed è affidata all’interazione tra
le molecole del capside o dell’envelope (definite nel complesso “anti-recettori”) e i recettori della cellula
bersaglio.
Questi ultimi possono essere lipidi, proteine, carboidrati o combinazioni di tali macromolecole come
glicoproteine e glicolipidi.
Alcuni farmaci antivirali agiscono proprio sugli anti-recettori dei virus, impedendone la penetrazione
nella cellula.
In alcuni casi, tuttavia, il virus è dotato di un elevato tasso di mutazione e di variabilità delle molecole
superficiali, vanificando di volta in volta i farmaci in utilizzo e imponendo una continua ricerca e messa a
punto di agenti antivirali più efficaci.
Un esempio di tale problematica è la continua lotta nei confronti del virus HIV.
Anche i virus influenzali sono caratterizzati da una notevole variabilità, a causa della quale ogni anno
vengono allestiti nuovi vaccini.
2) Penetrazione.
I virus animali entrano nella maggior parte dei casi mediante endocitosi o fusione con la membrana
plasmatica. In rari casi viene introdotto solo l’acido nucleico.
Generalmente l’envelope, se presente, viene perso a seguito della fusione con la membrana plasmatica,
oppure eliminato in seguito all’intervento degli enzimi contenuti nei lisosomi con cui si fondono le
vescicole endocitiche.
Il capside viene rimosso nel citoplasma o al contatto con la membrana nucleare.
Più complessa è la modalità di penetrazione dei batteriofagi: essi aderiscono attraverso le spine caudali
alla superficie batterica, le quali successivamente si contraggono e avvicinano la parte terminale della
coda alla parete, poi un enzima crea un poro e, a seguito della contrazione della coda, l’acido nucleico
viene iniettato nella cellula.
Nelle piante i virus vengono introdotti nelle cellule grazie alla proboscide degli insetti che si nutrono dei
loro fluidi.
I virus animali senza enevelope sfruttano nella maggior parte dei casi il fenomeno dell’endocitosi per
penetrare nella cellula ospite (1). In rari casi viene iniettato solo l’acido nucleico (2).
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I virus animali con envelope entrano nella cellula ospite a seguito della fusione con la membrana
plasmatica liberando nel citoplasma il nucleocapside (1) o mediante endocitosi (2).
La penetrazione dei batteriofagi è tra le più complesse. Avvenuta l’adesione, le spine caudali si
contraggono e avvicinano la coda alla parete. Un enzima perfora la parete, attraverso cui viene iniettato
l’acido nucleico.
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3) Replicazione: sintesi dell’acido nucleico e delle proteine.
L’esposizione dell’acido nucleico virale agli enzimi cellulari avvia la fase replicativa in cui si producono
numerose copie del genoma e vengono sintetizzate le proteine del capside.
Questa fase si differenzia tra i vari virus a seconda della tipologia dell’acido nucleico, della
configurazione a doppio o a singolo filamento e della polarità dei genomi a RNA.
Le differenze riscontrabili consentono di classificare i virus in sette classi, secondo lo schema di
Baltimore.
Caratteristiche sono le classi VI e VII per la presenza del fenomeno della trascrizione inversa, ossia la
produzione di una molecola di DNA, detta DNA complementare (cDNA), da uno stampo a RNA.
Questo processo è realizzato da un enzima contenuto nel virione stesso, la trascrittasi inversa.
La classe VI è quella dei retrovirus, virus rivestiti con un genoma a RNA a polarità positiva, che
provocano nell’Uomo e negli animali alcune forme di tumore e comprendono il virus HIV.
Una volta avvenuta la penetrazione, il genoma a RNA viene retrotrascritto in DNA a doppio filamento
che si integra nel genoma della cellula ospite.
Mediante regolare trascrizione vengono prodotti diversi RNA utilizzati sia come messaggeri per la sintesi
proteica sia come genoma delle nuove particelle virali.
La classe VII comprende virus che hanno DNA a doppio filamento, duplicato attraverso un intermedio a
RNA da una trascrittasi inversa.
Rilascio per gemmazione dei virioni nelle cellule animali. L’envelope origina dalla membrana plasmatica
della cellula ospite, da cui si spiega la composizione chimica molto simile ad essa.
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Gli effetti dei virus sulle cellule animali.
Gli esiti di un’infezione virale sulle cellule animali possono essere diversi.
Come detto precedentemente, alcuni danno infezioni litiche, causando la morte delle cellule ospiti.
Quando il rilascio dei nuovi virioni avviene lentamente e la cellula rimane vitale per lungo tempo si parla
di infezione persistente.
Sono possibili anche delle infezioni latenti, se si verifica un ritardo tra il momento in cui avviene
l’infezione e la lisi.
Un esempio è l’infezione da herpes simplex che causa l’erpete febbrile, i cui sintomi (la lisi delle cellule
e l’escoriazione che ne deriva) compaiono sporadicamente quando il virus riemerge dalla latenza.
L’infezione latente provocata dai virus animali ricorda il ciclo lisogeno dei batteriofagi temperati,
ma non prevede l’integrazione del genoma virale in quello della cellula ospite.
Infine, alcuni virus possono causare la trasformazione in cellula tumorale perché interferiscono con i
meccanismi molecolari preposti al controllo del ciclo cellulare.
Tra i virus oncogenici si ricordano alcuni retrovirus, responsabili di leucemie nell’uomo e negli
animali, e tra i virus a DNA quelli dell’epatite B (HBV) e C (HCV), alcuni herpesvirus e
papillomavirus.
Virus a RNA.
i Virus a RNA sono virus che utilizzano l'RNA come materiale genetico. Questo acido nucleico di solito
è presente come filamento singolo, sebbene siano presenti gruppi di virus che utilizzano un RNA a
doppio filamento.
Appartenenti a questa classe di virus sono quello della SARS, dell'influenza, dell'ebola, dell'epatite C e
della COVID-19.
Orthocoronavirinae.
Orthocoronavirinae è una sottofamiglia di virus, noti anche come “coronavirus” della famiglia
Coronaviridae.
Include genogruppi filogeneticamente compatti di RNA avvolto, a senso positivo, a singolo filamento e
con un nucleocapside di simmetria elicoidale.
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La "dimensione genomica" dei coronavirus varia da circa 26 a 32 kilobasi, straordinariamente grande
per un virus a RNA. Il loro numero sta crescendo rapidamente con diversi nuovi coronavirus scoperti di
recente, tra cui MERS-CoV scoperto nel 2012 e SARS-CoV-2 scoperto nel 2019 a Wuhan, in Cina.
Il nome "coronavirus" deriva dal termine latino "corona", che significa "corona" o "aureola". Ciò si
riferisce all'aspetto caratteristico dei virioni (la forma infettiva del virus) visibile al microscopio
elettronico, che presenta una serie di glicoproteine superficiali che danno un'immagine che ricorda una
corona reale o una corona solare. Questa morfologia è dovuta ai peplomeri virali, che
sono proteine presenti sulla superficie del virus e che determinano il tropismo nell'ospite (il peplomero,
o spinula, o spike, è una struttura glicoproteica presente come protuberanza all'esterno del pericapside).
Tali protuberanze si legano ad alcuni recettori della cellula ospite e sono essenziali sia per la specificità
dell'ospite sia per l'infettività virale.
Il riconoscimento di tali strutture da parte del sistema immunitario è in grado di indurre una risposta
immune neutralizzante.
I peplomeri (in rosso e arancione) che costituiscono le protuberanze del coronavirus SARS-CoV-2
I coronavirus (virus a RNA a singolo filamento positivo) devono il proprio nome proprio a queste punte
superficiali intorno al virione che, nelle immagini scattate con il microscopio elettronico, danno
un'immagine simile a quella di un alone o corona in latino.
I coronavirus sono responsabili di diverse patologie nei mammiferi e negli uccelli: dal verificarsi
di diarrea nei bovini e nei suini, a malattie respiratorie delle vie superiori nei polli. Nell'Uomo,
provocano infezioni delle vie respiratorie, spesso di lieve entità come il raffreddore comune, ma in rari
casi potenzialmente letali come polmoniti e bronchiti.
I coronavirus sono stati responsabili delle gravi epidemie …
di SARS del novembre 2002,
della MERS del 2012,
e della pandemia di COVID-19.
I coronavirus sono virus a RNA positivo dal diametro di circa 80-160 nm.
Questo aspetto è dato dalla presenza di "spike" (spicole) rappresentate dalla glicoproteina che attraversa
il pericapside, raggiungendo il rivestimento proteico, detta proteina S.
La struttura del virus è quella più o meno tipica dei virus rivestiti: presenta quindi un nucleocapside a
simmetria elicoidale e un pericapside costituito da un doppio strato fosfolipidico di origine cellulare; tra
questi due strati si interpone un coat (cappotto) proteico costituito dalla proteina M (matrix o matrice).
Nel nucleocapside si ritrova il genoma costituito da un ssRNA+ (un filamento di RNA singolo a polarità
positiva) da 27-30 kilo basi che codifica per 7 proteine virali ed è associato alla proteina N
(il nucleocapside, che costituisce il guscio protettivo dei virus ed è una piccola proteina che racchiude
il genoma).
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I coronavirus si attaccano alla membrana cellulare delle cellule bersaglio grazie alle loro proteine S che
interagiscono con la membrana.
Non è chiaro se la penetrazione della cellula sia effettuata mediante fusione del pericapside con
la membrana plasmatica o per endocitosi. All'interno del citoplasma della cellula il coronavirus rilascia il
suo RNA a singolo filamento positivo che si attacca ai ribosomi, dove viene tradotto. La traduzione
comporta la produzione di una RNA-polimerasi RNA-dipendente (proteina L) che trascrive un RNA a
singolo filamento negativo da cui poi è possibile ottenere nuovi RNA a filamento positivo del
coronavirus, nonché le sette proteine che esso codifica.
Un traslocatore trasferisce i nuovi nucleocapsidi nel lume del reticolo endoplasmatico; successivamente
da questo gemmano vescicole che costituiscono i nuovi virioni che possono essere rilasciati per esocitosi.
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