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«Ho incontrato Jürgen Habermas per la prima volta quando ho tenuto una lezione a Francoforte
nell’estate del 1980. Sino ad allora avevo seguito la sua opera con ammirazione, interesse e profitto.
Non c’è bisogno di dire che tale opera è enormemente ricca e copre un territorio immenso. Anzi,
nelle due occasioni in cui ho tenuto seminari sugli scritti di Habermas, ho invitato sociologi con
interessi e mentalità filosofiche — Dan Bell e Geoffrey Hawthorn una volta e Seyla Benhabib
nell’altra occasione — a tenerli insieme a me, perché la sua opera travalica i confini di qualsiasi
disciplina accademica costituita. Ho anche incontrato di persona Habermas molte volte e la mia
ammirazione per lui, come pensatore e come persona, ha continuato ad accrescersi. Egli è uno dei
giganti del pensiero europeo dei nostri tempi.» (Putnam Hilary 2002 Fatto/Valore: fine di una
dicotomia e altri saggi, Fazi editore, Roma 2004, 124)
1.2. Il contesto e confronto di metodo delle scienze e tratti generali delle ricerche storico
sociali: costruzione e scoperta.
Il confronto è attuato soprattutto con le ricerche che hanno come cardine le opere di Max Weber.
Habermas condivide con Weber l’inclusione del tema politico nel problema dell’ordinamento
sociale come processo di costruzione comunicativa etica e giuridica.
1.2.1. Le scienze sociali tra costruzione e scoperta. Max Weber ha indicato l’urgenza di definire in
modo specifico, e di conseguenza produttivo, il metodo proprio delle scienze sociali accettando la
distinzione che da tempo si andava articolando tra scienze naturali e scienze sociali, spiegare
(erklären) e comprendere (verstehen). Habermas, a far risaltare la specificità del metodo con cui
procedono le scienze sociali, richiama la coppia di termini / atteggiamenti: costruzione e scoperta e
la motiva. «Se consideriamo la costituzione ontologica del mondo sociale ricordiamoci che esso,
come Marx e Vico riconobbero, è sempre un nostro prodotto (anche quando non lo vogliamo o
sappiamo), allora diventa plausibile supporre che l’equilibrio tra «costruzione» e «scoperta» che
abbiamo ipotizzato per la conoscenza del mondo oggettivo venga spostarsi in direzione
dell’elemento costruttivo, ossia venga maggiormente a gravare sulla fantasia abduttiva [che si
avvale di premesse incerte accanto ad altre certe]. Nei confronti di problemi difficili si tratterà allora
di farci «venire in mente» [einfallen] le costruzioni giuste.» (Habermas Jürgen 1993-1996
Solidarietà tra estranei. Interventi su «Fatti e norme», Guerini e associati, Milano 1997, 45)
Scienze naturali e scienze sociali si muovono all’interno di due cammini: costruzione e scoperta o, e
anche viceversa “vedere e costruire il mondo” (Nelson Goodman); le scienze riguardanti il sociale
che sembrano oscillare di più verso la componente della costruzione. Distinguere le due
componenti di metodo è necessario e doveroso deontologicamente, ma nella prassi nessuna delle
due entra in funzione se non in concomitanza con l’altra, al punto da tendere a non distinguersene
più (fino ai casi estremi di costruzioni pure spacciate per scoperte, o di scoperte assolutamente
ignorate per assenza di capacità costruttive o per attenzioni costruttive miranti ad altro). Del resto,
in questo campo, come osserva acutamente Habermas: «… i punti di vista analiticamente
distinguibili nella prassi diventano indistinguibili». (Habermas Jürgen 1993-1996 Solidarietà, 27)
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1.3. due direzioni sociologiche per la comprensione (scoperta e costruzione) della
contemporaneità e una base: comunicazione (prassi comunicativa volta all’intesa) e diritto (la
costituzione condivisa di un diritto positivo), sulla base del mondo della vita.
In una intervista del 1993, in battuta preliminare Bert Van Den Brink e in forma di quesito,
riassume il cammino compiuto da Habermas nelle sue due principali e corpose pubblicazioni:
«Domanda. Nella Teoria dell’agire comunicativo (1981) lei ha sviluppato, a partire dall'analisi delle
strutture formali del linguaggio quotidiano, un nuovo modello pragmatico di agire razionale: quello
dell’agire comunicativo. In senso propriamente razionale agisce soltanto chi si orienta all'intesa
reciproca. Nell’agire consensuale gli attori individuali sono in linea di principio disposti a
difendere, con ragioni che siano accettabili per tutti, le pretese di verità, giustezza e autenticità che
sono implicite al loro parlare, nonché a riconoscere le conseguenze che un consenso raggiunto
produce sulle azioni. Lei attribuisce tanta importanza a questa forma di agire razionale, in quanto è
la precondizione per produrre ordinamenti sociali legittimi. Anche il suo nuovo libro Fatti e norme
(1992) poggia su questo modello di agire razionale. Ma per certi aspetti lei sembra qui essersi fatto
più prudente: infatti cita assai più spesso che non nella Teoria dell’agire comunicativo il «rischio di
dissenso» che sarebbe implicito alle azioni comunicative. Secondo lei, assetti e arrangiamenti
istituzionali sarebbero appunto necessari per «stabilizzare» questo rischio di dissenso, mentre solo
le forme di vita «ricettive» e post-tradizionali sarebbero in grado di sollecitare [ansinnen] dalle
persone l'esercizio delle competenze comunicative. Questa maggiore prudenza deriva forse dal fatto
che Fatti e norme tratta direttamente della realtà empirica di diritto e politica — dove si segnalano
innumerevoli «infrazioni» all’ideale dell’agire orientato al consenso — o non si tratta invece di uno
«spostamento di accento» nel suo modello di razionalità ?» Habermas rispondendo osserva: «…solo
nell’agire comunicativo essi coordinano i loro rispettivi piani di azione nell’orizzonte di un mondo
di vita condiviso e sulla base di una intesa sulla loro situazione di azione. Questa intesa poggia su
un concetto di razionalità che è più comprensivo. In questo caso, infatti, il coordinamento delle
azioni scorre anche attraverso pretese di veridicità e pretese di validità normativa, e comunque
attraverso ragioni che devono contare come «ragioni buone» non soltanto agli occhi di questa o
quella parte, bensì agli occhi di tutti nella stessa maniera. Questa è la condizione perché la
comunicazione possa sviluppare forza vincolante. […] Di fronte alla varietà degli interessi in
contrasto e al pluralismo delle forme di vita, l’integrazione sociale non può più realizzarsi da sola, e
comunque non abbastanza sulla base dei processi informali d’intesa, in quanto viene a mancare lo
sfondo di un comune mondo di vita. Le società moderne devono integrarsi su un piano più astratto.
Ciò non ha nulla a che vedere con le «infrazioni» contro l’ideale.» (Habermas Jürgen 1993-1996
Solidarietà, 142)
1.3.1. È evidente il proposito di Habermas di muoversi su due strade parallele e comunicanti:
l’intesa (a ciò lo studio della prassi comunicativa: struttura, intenti, direzioni, esiti, potenziamento
etico sociale e politico); il diritto (il diritto positivo costituito, a partire dalla convinzione ormai
assodata – dopo Kelsen - che il diritto positivo sia l’unico a disposizione e che esso mantenga solo
prospetticamente una relazione con un diritto naturale e un diritto soggettivo; una relazione tra
diritto e morale). Ma il sostrato di tenuta di un processo sociale e della sua evoluzione continua, sia
di comunicazione volta all’intesa sia nella costituzione di un diritto di libertà, è posto nel concetto
complesso mondo della vita più che su di un ideale, come accadeva nella “precedenti”
(ottocentesche) ideologie.
1.3.2. Alla base dell’esperienza culturale dell’umanità della società, delle comunità, degli individui
non si colloca più un sostrato metafisico o trascendentale storicamente astratto o neutro, come
evidenziato nelle filosofie antiche o moderne, ma il mondo della vita, sostrato linguistico e
semiotico del vissuto culturale di un lungo processo e quindi uno denso e stratificato lascito storico.
Su quel terreno prende vita, sotto lo stimolo del vivere, il riconoscimento e la costruzione culturale
degli individui e delle società nel loro scorrere storico.
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1.4. La convinzione generale e fondante: la fine della metafisica (o l’epoca post-metafisica e
post-ideologica), dell’impostazione trascendentale (mentalistica e a-priori).
«Il disincantamento delle immagini religioso-metafisiche del mondo e la nascita delle strutture della
coscienza moderna» (Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo, 279 ss; vol. I sez. II, § 2.). È
in atto un doppio abbandono: 1. dell’impostazione metafisica trascendente che fa riferimento a
entità o essenze, strutture immanenti, impalcature profonde portanti che sorreggono e spiegano
l’accadere contingente ed effimero dei fatti; la parallela ipotesi di un disegno che, allo stesso modo
e allo stesso scopo, sorregge e determina il corso degli eventi nel loro succedersi storico; ipotesi di
carattere sia filosofico che religioso fonte, di conseguenza, di filosofie della storia teorizzate
secondo linearità oggettive di carattere evoluzionistico/progressivo in vista di fini intenzionali,
progetti a disegno coincidenti con proclamati ideali universali e perenni (principi per costituire
movimenti militanti di ideologie); 2. dell’impostazione coscienzialista / mentalista (e)
trascendentale, che espone le strutture logiche a priori proprie della mente di cui si mostrano forme
o principi puri, a priori, assolutamente indipendenti da ogni esperienza, pure e astoriche, immutabili
e universali. La difficoltà e la conseguente rinuncia a sostenere una visione metafisica e
trascendentale del mondo porta alla tesi del mondo come l’insieme dei fatti che accadono (come
nelle tesi di Wittgenstein); la ragione ha il compito non di scovare essenze o disegni ma di costruire,
conoscitivamente ed eticamente, ipotesi di indagine e di conoscenza che permettano la costruzione
di visioni del mondo secondo leggi, cioè le teorie scientifiche, e lo sviluppo pratico, tecnico ed
etico, dei modi di gestione dell’esperienza. Al tramonto delle impostazioni metafisico /
trascendentali, il paradigma che viene proposto è quello della comunicazione linguistica nel
contesto del mondo della vita. Il paradigma dell’agire comunicativo volto all’intesa in cui il
medium linguistico è colto e valorizzato nelle sue varie funzioni e forme. «Soltanto il modello di
azione comunicativa presuppone il linguaggio come un medium di comprensione e intesa non-
ridotta, ove i parlanti e gli uditori, dall’orizzonte del loro mondo vitale pre-interpretato, fanno
contemporaneamente riferimento a qualcosa nel mondo oggettivo, sociale e soggettivo per trattare
comuni definizioni della situazione. […] … il modello di azione comunicativa, che definisce le
tradizioni delle scienze sociali che si riallacciano all’interazionismo simbolico di Mead, al concetto
di giochi linguistici di Wittgenstein, alla teoria dell'atto linguistico di Austin e all’ermeneutica di
Gadamer, prende in considerazione tutte le funzioni del linguaggio in egual misura». (Habermas
1981, Teoria dell’agire comunicativo, 170) La rilevanza del linguaggio quotidiano nel cogliere la
pregnanza del mondo vitale e nel sostenere il suo continuo e non ipotecato trapasso verso la sua
formalizzazione nei tre mondi della cultura, della società e della persona è esplicitamente ribadito
da Habermas anche con il richiamo all’opera della filosofia analitica: «Chi ha seguito le discussioni
avvenute nell’ambito della filosofia analitica del linguaggio, non sarà certo sorpreso dal fatto che il
linguaggio ordinario possa funzionare da «metalinguaggio ultimo». Esso rappresenta il medium
aperto d’un linguaggio circolante nell’intero corpo sociale, risultando traducibile «in» e «da» tutti i
codici specialistici.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 414)
1.4.1. Siamo di fronte, dunque, ad un paradigma di osservazione, analisi e costruzione che può
definirsi insieme di costruzione e di visione, pragmatico e di fenomenologia storico trascendentale;
questa ultima impostazione sembra contenere inaccettabili ossimori, ma indica la doppia urgenza 1.
dell’attenzione ai fatti, ma senza appiattirsi su di essi in una mera descrizione secondo i tratti di una
sociologia descrittiva comprendente; 2. di possedere idee o concetti di lettura, di valore e di validità,
ma senza trasformarli in forme di una soggettività astorica a priori e trascendentale.
«Non più coperti alle spalle da quelle visioni del mondo religiose o metafisiche che erano
impermeabili alla critica, gli orientamenti pratici diventano in ultima istanza ricavabili soltanto
tramite argomentazioni, ossia attraverso le forme di riflessione dello stesso agire comunicativo. La
razionalizzazione del mondo di vita dipende dalla misura in cui i potenziali di razionalità impliciti
nell’agire comunicativo, e messi discorsivamente in libertà, hanno impregnato e fluidificato le
strutture di questo mondo.» (Habermas Jürgen 1992 Fatti e norme. Contributi a una teoria
discorsiva del diritto e della democrazia, Guerini e Associati, Milano 1996,121)
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«Se oggi si vuole ancora rischiare il tentativo di dimostrare l’universalità del concetto di razionalità
comunicativa, senza ricorrere alle garanzie della grande tradizione filosofica, si presentano
fondamentalmente tre vie. La prima è l’elaborazione pragmatico-formale del concetto di agire
comunicativo introdotto in via propedeutica. Con ciò intendo il tentativo di una ricostruzione
razionale delle regole generali e dei presupposti necessari degli atti linguistici orientati alla intesa,
in collegamento con la semantica formale, la teoria dell’atto linguistico e altri approcci della
pragmatica linguistica. […]
In secondo luogo possiamo cercare di valutare l’utilità empirica delle analisi pragmatico-formali. A
tale scopo si presentano soprattutto tre ambiti di ricerca: la spiegazione di modelli patologici di
comunicazione, l’evoluzione dei fondamenti delle forme socio-culturali di vita e l’ontogenesi delle
capacità di azione. […]
Un po' meno ardita è — in terzo luogo — la rielaborazione degli approcci sociologici per una teoria
della razionalizzazione sociale. Qui possiamo riallacciarci ad una tradizione ben sviluppata di teoria
della società. Scelgo questa via, ma non con l’intento di attuare indagini storiche. Piuttosto accolgo
le strategie concettuali, gli assunti e le argomentazioni da Weber fino a Parsons con l'intento
sistematico di sviscerare i problemi che sono risolvibili con l’ausilio di una teoria della
razionalizzazione elaborata nei concetti base dell’agire comunicativo. Non una storia delle idee, ma
una storia della teoria perseguita con intento sistematico può condurre a questo traguardo. Esplorare
a tastoni con flessibilità e attingere in modo mirato dalle costruzioni teoriche importanti, edificate a
scopi esplicativi, consentirà un fecondo trattamento dei problemi.» (Habermas 1981, Teoria
dell’agire comunicativo, 223-225)
1.5. La doppia direzione e il collegamento nella costruzione dell’analisi e della proposta sociale
e politica di Habermas: agire comunicativo [al punto 2.], norme [al punto 3.], all’interno delle
metodologie formalizzate disponibili per la costruzione dell’indagine sociale.
Il capitolo terzo dell’opera Habermas Jürgen 1967 Logica delle scienze sociali, il Mulino, Bologna
1970, 137-257, intitolato La problematica della comprensione del senso nelle scienze dell' azione
empirico-analitiche, centrale nella riflessione di metodo delle scienze sociali cui è finalizzata
l’opera, è dedicato ad un esame analitico e un rilancio combinato del triplice approccio costituente
le scienze sociali: 1. Approccio fenomenologico (142-179), 2. Approccio linguistico (179-218), 3.
Approccio ermeneutico (218-257). L’esito di questi approcci combinati permette la costruzione
della sociologia come teoria del presente (Habermas 1967 Logica delle scienze sociali Capitolo
quarto, La sociologia come teoria del presente.)
Dunque la Teoria dell’agire comunicativo intende essere «Un discorso capace non soltanto di
analizzare meccanismi di funzionamento ed evoluzione della società, ma anche di fondare
razionalmente «l’intendersi», il capirsi, il consenso sociale — sulla criticabilità delle pretese di
ragione che i soggetti avanzano reciprocamente». L’obiettivo è nuovo come lo è il fondamento
consapevole: “non solo sono improponibili fondazioni ontologiche o trascendentali di tipo
filosofico tradizionale, ma sono impercorribili anche le strade della vecchia «teoria critica» e quella
del marxismo, più o meno modernizzato. Tutte sono viziate da residui di filosofia della coscienza”;
si deve passare “dalla «coscienza» alla «comunicazione»”, o meglio alla razionalità comunicativa
pragmatica. «La razionalità comunicativa non è un processo della coscienza, ma un medium di
riproduzione simbolica del mondo vitale»; quindi il testo è “guidato da una tenace intenzione
unitaria nello sviluppare tutti gli aspetti della razionalità comunicativa”. (Habermas 1981, Teoria
dell’agire comunicativo, citazioni dalla Introduzione di Gian Enrico Rusconi)
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si può agire in modo da intendersi tramite ragioni e insieme influenzarsi strategicamente.»
(Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo, Introduzione di Gian Enrico Rusconi, 12-13).
2.1.1. La ragione strumentale, in particolare, a detta della tradizione che va da Weber a Lukács,
esprime ed è propria delle società dominate dall’economia capitalistica a modello avanzato o
segnate da un’ottica di sviluppo e di profitto fondati sulla massima produttività possibile. «Nelle
società capitalistiche il modello della razionalizzazione è determinato piuttosto dal fatto che il
complesso della razionalità cognitivo-strumentale si afferma a scapito di quella pratica [razionalità
pratica, etica, comunicativa], reificando i rapporti di vita comunicativi.» (Habermas 1981, Teoria
dell’agire comunicativo, 485-486; e cfr Habermas 1992 Fatti e norme, 27).
2.2. la teoria dei tre mondi. Tre concetti formali del mondo: cultura, società, persona.
È possibile comprendere la natura, l’efficacia e la complessità dell’agire comunicativo se si mette in
luce il mondo in cui esso si esplica e le modalità che assume di conseguenza. A tale scopo è la
stessa categoria di mondo che va chiarita. Habermas riprende la distinzione formulata dal filosofo
Karl Raymund Popper. Nei suoi studi Popper osserva come il termine mondo, proprio del
linguaggio quotidiano, possa venire formalizzato in tre diverse accezioni: il mondo oggettivo dei
fatti, cui corrispondono le forme scientifiche della cultura linguisticamente formulate,
universalmente condivise e divenute perciò terreno comune di intesa di un’epoca (cultura, mondo
oggettivo, fatti oggettivi, fatti); il mondo sociale delle norme, cui corrispondono i processi che
indagano e regolano le relazioni interpersonali, dall’etica alla politica (società, mondo sociale,
norme); il mondo soggettivo dell’esperienza individuale, in cui si collocano le scelte che
definiscono le singole personalità (persona, mondo soggettivo, esperienze vissute). Queste tre
dimensioni, della cultura, della società e della persona (personalità), dimensioni presenti nell’agire
teleologico, contesto dell’agire orientato all’intesa, costituiscono per Habermas i livelli diversi e
intercomunicanti di presenza e attuazione, così come di studio, comprensione e sviluppo dell’agire
comunicativo dell'età contemporanea.
Habermas stesso fornisce una breve presentazione di queste tre dimensioni o modi fondamentali di
essere del mondo: «Definisco cultura la riserva di sapere dalla quale i partecipanti alla
comunicazione, intendendosi su qualcosa in un mondo, si dotano di interpretazioni. Definisco
società gli ordinamenti legittimi attraverso i quali i partecipanti alla comunicazione regolano la loro
appartenenza a gruppi sociali garantendo così solidarietà. Per personalità intendo le competenze
che rendono un soggetto capace di linguaggio e di azione, mettendolo quindi in grado di partecipare
a processi di intesa e di affermare con ciò la propria identità. Il campo semantico di contenuti
simbolici, lo spazio sociale e il tempo storico costituiscono le dimensioni nelle quali si estendono le
azioni comunicative. Le interazioni intrecciate nella rete della prassi comunicativa quotidiana
costituiscono il medium attraverso il quale la cultura, la società e la persona si riproducono. Questi
processi di riproduzione si estendono alle strutture simboliche del mondo vitale.» (Habermas 1981,
Teoria dell’agire comunicativo, 730-731)
2.2.1. Le tre direzioni, dimensioni o mondi della cultura, società e persona si definiscono secondo la
propria specifica natura e nelle concretezza delle forme in cui storicamente si determinano (in un
continuo mutamento quale si manifesta nella dimensione dell’agire comunicativo) sullo sfondo di
un senso comune, di un mondo comune condiviso e partecipato, implicito ma indirettamente
ribadito e conservato, indicato con l’espressione mondo-della-vita o mondo vitale: Lebenswelt.
2.3. il mondo della vita (il mondo di vita, mondo vitale, Lebenswelt)
Habermas riprende la nozione di «mondo della vita presentata da E. Husserl, nell’opera La crisi
delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (1937, 1954), come presupposto e
fondamento inespresso dei progetti e dei comportamenti cui la ragione dà vita, nei vari campi della
sua presenza. «Nella sua trattazione su La crisi delle scienze europee, Husserl ha introdotto il
concetto di mondo della vita dal punto di vista di una critica della ragione. Al di sotto della realtà
che le scienze naturali fanno valere come unica, Husserl porta invece alla luce il contesto previo
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all’esperienza di mondo e alla prassi naturale di vita, quale fondamento di senso che è stato rimosso.
Il mondo della vita rappresenta a tale riguardo il controconcetto di tutte quelle idealizzazioni che
costituiscono in primo luogo l’ambito oggettuale delle scienze naturali. Contro le idealizzazioni
della misurazione, della sottomissione alla causalità e della matematizzazione, ma anche contro
un’attiva tendenza alla tecnicizzazione, Husserl rivendica invece il ritorno al mondo della vita come
sfera immediatamente presente delle prestazioni originarie; in tale prospettiva, egli critica le
idealizzazioni, dimentiche di se stesse, dell’oggettivismo delle scienze naturali. Ma poiché la
filosofia del soggetto è cieca di fronte alla caparbietà (Eigensinn) dell’intersoggettività linguistica,
per questo anche Husserl non riesce a riconoscere come già il terreno della stessa prassi
comunicativa quotidiana poggi su presupposti idealizzanti.» (Habermas Jürgen 1990, Il pensiero
post-metafisico, ed. Laterza Bari 1991 p. 85)
2.3.1. L’impostazione di Husserl, osserva Habermas, pur rifiutando con decisione ogni
psicologismo filosofico, rimane tuttavia ferma alla filosofia del soggetto, non coglie il mondo della
vita come concetto «che si riferisce alla totalità dei fatti socioculturali, in grado perciò di offrire un
punto di contatto per la teoria della società». Habermas critica cioè la «riduzione culturalistica del
concetto di mondo vitale» presente nella tradizione fenomenologica inaugurata da Husserl:
collocare il tema del mondo vitale nell’ambito della sola cultura significa riservarne la portata
fondativa al solo sapere formale razionalmente definito. In quanto i procedimenti di intesa non si
riducono soltanto al mondo oggettivo formalizzato, quello delle scienze o della cultura, ma stanno
all’origine sia del mondo sociale («in quanto totalità delle relazioni interpersonali regolate in modo
legittimo»), sia del mondo soggettivo («in quanto totalità delle esperienze vissute del parlante,
accessibili in modo privilegiato»), Habermas lavora quindi a una definizione del mondo vitale
anche all’interno delle dimensioni della società e della personalità.
2.3.3. La presentazione del mondo della vita. «Ogni atto della comprensione può essere inteso come
parte di un processo cooperativo di interpretazione che mira a definizioni della situazione
riconosciute intersoggettivamente. In ciò i concetti dei tre mondi servono da sistema di coordinate,
supposto comune, nel quale i contesti situazionali possono essere ordinati in modo che si raggiunga
l’intesa su ciò che i partecipanti possono trattare di volta in volta come fatto e come norma valida
oppure come esperienza vissuta soggettiva.
A questo punto posso introdurre il concetto di «Lebenswelt» anzitutto come correlato a processi di
intesa. Soggetti che agiscono in modo comunicativo si intendono sempre nell’orizzonte di un
mondo vitale. Il loro mondo vitale si compone di convincimenti di sfondo più o meno diffusi,
sempre aproblematici. Tale sfondo di mondo vitale funge da fonte per definizioni situazionali che
sono presupposte in modo aproblematico dai partecipanti. Nella loro opera di interpretazione gli
appartenenti ad una comunità comunicativa delimitano il mondo oggettivo e il loro mondo sociale
condiviso intersoggettivamente dai mondi soggettivi di singoli e di (altri) collettivi. I concetti del
mondo e le corrispondenti pretese di validità costituiscono l’impalcatura formale con cui gli agenti
in modo comunicativo inquadrano i contesti situazionali di volta in volta problematici, cioè
bisognosi di accordo, nel loro mondo vitale presupposto come aproblematico.
Il mondo vitale immagazzina il lavoro interpretativo svolto dalle generazioni precedenti; esso è il
contrappeso conservatore contro il rischio di dissenso che sorge con ogni processo effettivo
dell’intendersi. […] I parlanti integrano i tre concetti formali del mondo (che compaiono
singolarmente o a coppie negli altri modelli di azione) in un sistema e presuppongono quest’ultimo
come quadro interpretativo all’interno del quale possono raggiungere una intesa. Essi non fanno più
riferimento in modo diretto a qualcosa nel mondo oggettivo, sociale o soggettivo, bensì
relativizzano la loro espressione alla possibilità che la sua validità sia contestata da altri attori.
L’intesa funziona da meccanismo che coordina le azioni soltanto nel senso che i partecipanti
all’interazione si mettono d’accordo sulla validità rivendicata dalle loro espressioni, vale a dire
riconoscono intersoggettivamente le pretese di validità reciprocamente sollevate.» (Habermas 1981,
Teoria dell’agire comunicativo, 138, 175)
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2.3.4. I partecipanti a una conversazione o a un'attività si riconoscono in un sistema culturale e
sociale già strutturato secondo regole e usato come contesto di intesa, essi non sentono dunque il
bisogno di mettere a tema il contesto in cui operano. Solo un ostacolo all’intesa può trasformare un
sistema organizzato da «quadro indiscusso nel quale si pongono i problemi da affrontare» in oggetto
esplicito di riflessione. Impostata con rigorosa coerenza, tale riflessione tende all’esame non solo
del contesto di intesa direttamente messo in discussione, ma della radice prima dei sistemi
strutturati; essa raggiunge quindi il mondo della vita, finora sfondo non problematizzato dei
procedimenti di intesa culturale e pragmatica. «Vorrei anzitutto chiarire come il mondo vitale si
rapporta a quei tre mondi che i soggetti agenti in modo orientato all’intendersi pongono alla base
delle loro definizioni comuni delle situazioni.» (Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo,
705) La definizione di sistemi culturali condivisi (cultura), base per la comunicazione, il mondo
delle relazioni sociali (società), presupposto di intesa interpersonale, il campo delle esperienze
personali (persona), contesto in cui si definiscono le forme soggettive di attenzione e di
orientamento, diventano il luogo in cui si colloca la nuova riflessione filosofica sul mondo della
vita: «i tratti fondamentali del mondo vitale, fenomenologicamente descritti, possono essere spiegati
senza difficoltà se si introduce il “mondo vitale” come concetto complementare dell’“agire
comunicativo”». Habermas indica dunque come compito preliminare e prioritario delle scienze
sociali la riflessione sul mondo della vita e l’analisi fenomenologica della storicità che esso acquista
all’interno dell’agire comunicativo; solo così i processi di intesa che si realizzano o falliscono nei
sistemi organizzati vengono affrontati a partire dalla radice della comunicazione (dalla «risorsa
dell’agire orientato all’intesa») e solo così l’attenzione rivolta al fondamento trascendentale e
pragmatico dell’intesa, il mondo vitale, permette di esplorare senza precondizionamenti il campo
delle possibilità comunicative dell’età contemporanea.
2.3.5. Mondo della vita, una riserva vitale mai completamente formalizzata e formalizzabile, e i “tre
mondi”. «La categoria del mondo vitale… ha uno status diverso da quello dei concetti formali del
mondo» (Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo, 714) La complessità del concetto di
mondo, individuata attraverso la «teoria dei tre mondi», difende il mondo della vita e le procedure
comunicative che genera dalla loro riduzione al solo sapere formalizzato, alle sole istituzioni
socialmente riconosciute, alla dimensione puramente psicologica e individualistica della vita; lo
difende dal rischio di una sua razionalizzazione strumentale. Collocato nel triplice mondo della
cultura, della società e della persona, lo studio delle strategie con cui il linguaggio, la prassi
argomentativa ed ermeneutica sviluppano le potenzialità del mondo della vita, attuano l’intesa
sociale e svolgono il ruolo di medium sia della comunicazione sia del suo insuccesso, entra a far
parte della nuova teoria della comunicazione. Le analisi linguistiche, così come le riflessioni
ermeneutiche e gli studi di retorica dell’argomentazione, in quanto mettono in luce le strutture
dell’agire comunicativo, diventano strumenti di analisi teoretica del concetto di mondo vitale e
individuazione delle aperture o chiusure comunicative rese possibili dai media contemoporanei.
2.4. La razionalizzazione del mondo vitale come reificazione e la messa a rischio dell’agire
comunicativo.
Si tratta di un’indagine e un’analisi affidate al Capitolo quarto (su otto) Da Lukács ad Adorno:
razionalizzazione come reificazione. (Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo, 457-529), e
ripresa più volte, come nel capitolo VI dedicato al tema: «sistema e mondo vitale» (Habermas 1981,
Teoria dell’agire comunicativo, 697-809). Qui, in sintesi, il progetto e il cammino complessivo:
«Da siffatto orizzonte si stacca la indagine delle funzioni assunte dall’agire comunicativo per il
mantenimento di un mondo vitale differenziato strutturalmente. In base a queste funzioni si possono
chiarire le condizioni necessarie per una razionalizzazione del mondo vitale. Qui ci imbattiamo nei
limiti degli approcci che identificano la società con il mondo vitale; proporrò perciò di concepire la
società nello stesso tempo come sistema e come mondo vitale. (Habermas 1981, Teoria dell’agire
comunicativo,705-706)
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Con il termine razionalizzazione si indica il progressivo portare a razionalità scientifica tutti i
processi storici naturali e sociali. È il trionfo della razionalità strumentale imposta come unico
modello di razionalità, come definizione e sinonimo di razionalità scientifica e quindi rivendicante
per sé il monopolio della validità e della verità, in una parola della modernità. Si tratta di una
impostazione di studio e di teoria che ha radici molto lontane: ha a che fare con filosofie della
storia, che individuano una linearità immanente al corso degli eventi, di carattere ora trascendente
religioso, ora immanente metafisico, il cui disegno si sovrappone, vincola a priori e mette in
secondo piano o travisa o nasconde il dato empirico fattuale; si rafforza inoltre con la trasposizione
della logica propria delle scienze naturali nel campo delle ricerche sociali. Habermas cita come
primo teorizzatore esplicito della prassi indicata il filosofo dell’età illuministica Condorcet:
«Condorcet intende concepire la storia dell’umanità secondo il modello della storia della scienza
moderna, vale a dire come processo di razionalizzazione.» (Habermas 1981, Teoria dell’agire
comunicativo, 232). Il tema della razionalizzazione è presente anche in Weber (il tema della “gabbia
d’acciaio”); egli ne mette in luce la natura, la funzione e il rischio. Non si tratta affatto di escludere
la prassi della razionalizzazione né nella interpretazione né nella gestione del sociale ma occorre
avere consapevolezza (critica) delle piste che apre, delle opportunità che offre, dei rischi che
comporta legati, questi, soprattutto alla sua capacità e volontà di ridurre ad un unico modello di
razionalità (strumentale) il processo comunicativo che struttura il sociale e gli elementi che lo
sorreggono (il mondo della vita). Il riferimento è soprattutto ai modi con cui una ragione
strumentale usata come sistema di esercizio del potere e di conservazione della stabilità preordinata
di un modello sociale (di cultura, di società e di persona) annulla l’agire comunicativo funzionale
all’intesa cercando di accedere e incidendo sul mondo vitale (“orizzonte e sfondo dell’agire
comunicativo”) allo scopo di razionalizzarne e preordinarne i contenuti e i processi, bloccarne la
dinamica evolutiva propria.
2.4.1. Si impone dunque un lavoro plurimo: 1. Definire la struttura di un agire orientato all’intesa;
2. individuare i processi (e la loro struttura) che escludono (e sono volti ad escludere) l’intesa
comunicativa con la conseguente estinzione di un pensiero riflessivo, critico e con il trionfo della
ragione strumentale (negli ambiti della cultura, società, persona); 3. studiare le vie possibili per
rilanciare il concetto di razionalità comunicativa nella sua universalità senza ricorrere alle ormai
tramontate grandi garanzie della tradizione filosofica (garanzie metafisiche, mitiche, trascendentali,
sistemiche, di classi o avanguardie rivoluzionarie portatrici di un nuovo corso storico… presenti
nella tradizione da Platone a Marx) (cfr. (Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo, 223 ss)
2.4.2. La razionalizzazione, la reificazione, il dominio della ragione strumentale… sono processi
che hanno raggiunto il proprio obiettivo di asservimento delle persone, di silenziamento del loro
potenziale propositivo quando accadono nel mondo della vita. Occorre in proposito ricordare il
postulato generale di Habermas del mondo vitale, Lebenswelt, come supporto e retroterra dell’agire
comunicativo. «In questa problematica viene tuttavia preso in troppo scarsa considerazione il ruolo
del sapere implicito. Rimane oscuro come si configura l’orizzonte dell’agire quotidiano nel quale si
incunea il sapere esplicito degli esperti e come, sotto tale apporto, si modifica di fatto la prassi
comunicativa quotidiana. Il concetto di agire orientato all’intesa presenta l’ulteriore pregio, d’ordine
assai diverso, di illuminare siffatto sfondo di sapere implicito che entra a tergo nei processi
cooperativi di interpretazione. L’agire comunicativo si svolge all’interno di un mondo vitale che
rimane alle spalle dei partecipanti alla comunicazione. Ad essi questo mondo vitale è presente
soltanto nella forma pre-riflessiva di assunti di sfondo scontati e di abilità padroneggiate in modo
ingenuo. Se le ricerche socio-, etno- e psico-linguistiche dell’ultimo decennio convergono su un
punto, questo è costituito dal riconoscimento che il sapere collettivo di sfondo e contestuale di
parlanti ed uditori determina in misura straordinariamente ampia l’interpretazione delle loro
espressioni esplicite. (Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo, 452-453)
Dunque «L’agire comunicativo si svolge all'interno di un mondo vitale che rimane alle spalle dei
partecipanti alla comunicazione»; su questa base diventano evidenti le sedi e le conseguenze dei
processi della razionalizzazione sociale e della reificazione progressiva delle relazioni e delle
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persone. Questi infatti sono processi che non hanno luogo «negli orientamenti di azione
esplicitamente conosciuti — come suggerisce Weber — ma piuttosto nelle strutture implicitamente
conosciute del mondo vitale». «Razionalizzazione sociale, allora, non significa semplicemente
diffusione di agire razionale rispetto-allo-scopo, ma attivazione di potenzialità comunicative
racchiuse nel parlare corrente. La razionalità implicita nelle condizioni dell’intendersi quotidiano è
la stessa che razionalizza il mondo vitale » (Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo, Gian
Enrico Rusconi, Introduzione, 19); è allora consegnata all’ovvietà e alla conseguente forza di ciò
che è dato per implicito e conseguentemente come universalmente riconosciuto e indiscusso, non
problematizzato (se non in caso di forti inefficienze) nella sua validità. «La razionalizzazione si
configura come una ristrutturazione del mondo vitale, come un processo che attraverso la
differenziazione dei sistemi del sapere influisce sulle comunicazioni quotidiane, investendo le
forme della riproduzione culturale, dell’integrazione sociale e della socializzazione» (Habermas
1981, Teoria dell’agire comunicativo, Gian Enrico Rusconi, Introduzione, 19; citazione da
Habermas come vol. I, p. 459).
In altri termini. L’efficacia di una relazione comunicativa in termini di ridefinizione della cultura,
società e persona ha raggiunto il proprio successo non quando si ferma alla tematizzazione dei tre
mondi a livello di consapevolezza e espressione formalizzata, ma quando si iscrive nel mondo vitale
in coerenza con la logica della sua continua evoluzione e plasmabilità. Si tratta dunque di un
processo che si presenta anche (seppur in forma mai totalizzata) come una razionalizzazione del
mondo vitale: una sua definizione, cioè, a partire da scopi preordinati secondo una razionalità
strumentale che qui diventa rideterminazione intenzionale e strumentale dei processi di intesa
immediati propri del mondo vitale. L’azione di razionalizzazione raggiunge qui la propria massima
efficace di intervento strumentale secondo scopi preordinati (e quindi anche di manipolazione) in
quanto, iscrivendosi nei modi di essere del mondo della vita, presupposto e fondo di intesa, si
esprime in ogni forma comunicativa fino ad assumere illusoriamente, spontaneamente e
inconsapevolmente le forme di una razionalità comunicativa.
2.4.3. Le due strategie di costruzione e di comprensione del sociale: «mondo vitale» e «sistema».
Nella prassi che tende a ricondurre il mondo vitale alle dimensioni sociali e ad una società
programmata sono in atto e in conflitto «le due strategie concettuali contraddistinte da «sistema» e
«mondo vitale».» (Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo, 748)
La prospettiva sistema nasce dal presupposto e dalla finzione della possibilità di uno sguardo
esterno sul sociale in modo che esso possa essere definito nei suoi confini e costruito in modo
trasparente nei suoi nessi simbolici e nelle sue normative; la prospettiva mondo vitale guarda il
sociale dall’interno e vede le sue manifestazioni come differenziazioni di secondo grado del mondo
vitale e queste sono appunto cultura, società, persona; ma le priva di una propria autonomia
strutturante o strutturale. Occorre cogliere invece la relazione e l’intrinseco rimando delle due
prospettive e strategie, sistema e mondo vitale, per cogliere la natura e l’evoluzione del reale
sociale, la sua stabilità (esigenza di stabilità o stabilizzazione) e mutamento (esigenza di
cambiamento). «La formula secondo cui le società costituiscono nessi di azione stabilizzati
sistemicamente di gruppi integrati socialmente, necessita certo di essere spiegata più puntualmente.
Innanzitutto essa sta ad indicare la proposta euristica di considerare la società come un’entità che si
differenzia nel corso dell’evoluzione sia come sistema sia come mondo vitale. L’evoluzione
sistemica si commisura all’aumento della capacità di controllo di una società, mentre la
divaricazione tra cultura, società e personalità indica lo stato di evoluzione di un mondo vitale
strutturato simbolicamente.» (Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo, 748)
Quindi vi è una corrispondenza tra “le due strategie concettuali contraddistinte da «sistema» e
«mondo vitale»” e i due imprescindibili tratti sociali: controllo e evoluzione: “capacità di controllo
di una società” e “evoluzione di un mondo vitale strutturato simbolicamente”. «Concepisco
l’evoluzione sociale come un processo di differenziazione di secondo grado: sistema e mondo vitale
si differenziano, a mano a mano che cresce la complessità dell’uno e la razionalità dell’altro, non
soltanto rispettivamente come sistema e come mondo vitale — entrambi si differenziano nel
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contempo l’uno dall'altro.» (Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo, 749) Ma la visione
generale della dinamica sociale in atto nelle società contemporanee, lette a partire dai due concetti
strategici di sistema e mondo vitale, era già indicata con chiarezza da Habermas: «… proporrò
perciò di concepire la società nello stesso tempo come sistema e come mondo vitale.» (Habermas
1981, Teoria dell’agire comunicativo,706)
In sintesi conclusiva le due situazioni. La radice della possibilità della ragione comunicativa di
sottrarsi a una razionalizzazione reificante è da collocare nella non coincidenza tra mondo vitale e
mondo sociale sistematicamente concepito; in tal modo il sistema sociale che per procedere ha
urgenze di sistematicità non soffoca totalitaristicamente quel mondo vitale da cui trae la propria
spinta simbolica culturale sociale e personale. Viceversa, la crisi della razionalità comunicativa
volta all’intesa mira a quella coincidenza portando il mondo vitale alle forme della ragione di
sistema e riducendolo a sua obbligata e normalizzata espressione. Il tema si impone e viene ripreso
nella studio sulla presenza e sui ruoli della ragione strumentale e della ragione comunicativa, del
sistema e del mondo vitale nella comunicazione sociale sostenuta e resa possibile dagli attuali mezzi
di comunicazione sociale: i mass media. Media dei quali Habermas mette in luce l’intrinseca
ambivalenza.
2.5. l’ambivalenza della società contemporanea a partire dall’ambivalenza dei media della
comunicazione. O il doppio volto dell’età contemporanea. [ripreso in Laboratorio]
Fin dalle analisi storiche e sociologiche in cui Habermas ricostruisce il cammini del formarsi sociale
e politico della opinione pubblica (nell’opera Habermas Jürgen 1962, 1990 Storia e critica
dell’opinione pubblica, Laterza, Roma-Bari 2011), Habermas sottolinea il tema della ambivalenza
dei media nella formazione della pubblica opinione, soprattutto nel momento in cui, nella società
borghese, la cultura diventa merce destinata e capace di contare su di un largo consumo. In tale
contesto e per tale destino la cultura si caratterizza per tratti specifici in relazione agli effetti
programmati e provocati. «A misura che la cultura si trasforma in merce non solo secondo la forma,
ma anche secondo il contenuto, lascia cadere alcuni elementi, la cui ricezione presuppone un certo
apprendistato, grazie al quale l'appropriazione «consapevole» accresce a sua volta la
consapevolezza. Non già la standardizzazione come tale, ma quel particolare precondizionamento
dei prodotti che conferisce loro piena fruibilità, cioè la garanzia di poter essere recepiti senza
rigorose premesse e, ovviamente, senza tracce durevoli, pone la commercializzazione dei beni
culturali in un rapporto inverso rispetto alla loro complessità. Il contatto con la cultura affina,
mentre il consumo della cultura di massa non lascia alcuna traccia: il tipo di esperienza che ne
risulta è regressivo, non cumulativo.» (Habermas 1962 Storia e critica dell’opinione pubblica, 191);
e conclude sull’ambivalenza coinvolgimento / esclusione che i media sono in grado di determinare,
situazione che si forma fin dal primo formarsi storico di una pubblica opinione: «La medesima
situazione economica che spinge le masse a partecipare alla sfera pubblica politica, preclude loro
però anche lo standard culturale che potrebbe rendere possibile una loro partecipazione nei modi e
sul piano dei lettori di giornale borghesi.» (Habermas 1962 Storia e critica dell’opinione
pubblica,193) Nel tempo l’analisi si affina, come ricostruisce, storicamente e programmaticamente,
Habermas: «L’attività dell’Istituto per la ricerca sociale fino all’inizio degli anni ’40 — quando si
sciolse il gruppo dei collaboratori a New York — è stata essenzialmente dominata da sei temi.
Questi interessi della ricerca si rispecchiano negli articoli, che danno l’impronta teorica nella parte
principale della «Rivista per la ricerca sociale». Si tratta a) delle forme di integrazione delle società
post-liberali [lo Stato autoritario], b) della socializzazione familiare e dell’evoluzione dell’io, c) dei
mass media e della cultura di massa, d) della socio-psicologia della paralisi della protesta, e) della
teoria dell'arte e f) della critica al positivismo e alla scienza.» (Habermas 1981, Teoria dell’agire
comunicativo,1052)
2.6. Nuovi soggetti attivi nella consapevolezza e nelle finalità condivisa grazie all’agire
comunicativo (ad un’etica del discorso) (settori sociali attivi e la sub-politica)
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La paralisi del conflitto di classe, considerato da Marx come una caratteristica del sistema
capitalistico, non significa paralisi in assoluto dei potenziali di protesta; «essi non si scatenano più
in ambiti della riproduzione materiale — osserva Habermas — non sono più canalizzati attraverso
partiti e associazioni e non sono neppure componibili sotto forma di risarcimenti conformi al
sistema. I nuovi conflitti sorgono piuttosto in ambiti della riproduzione culturale, dell’integrazione
sociale e della socializzazione; si manifestano forme di protesta sub-istituzionali, in ogni caso
extraparlamentari». Habermas esemplifica la propria affermazione ricordando diversi «nuclei
organizzativi» come potenziali autonomi e disaggregati di protesta: movimento antinucleare ed
ecologico, movimento per la pace, movimento di iniziative civiche, movimento alternativo per
l'occupazione di case, per la costituzione di comuni agricole, difesa delle minoranze quali anziani,
omosessuali, handicappati, movimento di protesta fiscale, movimento delle donne.
Si tratta di potenziali di protesta estremamente eterogenei, di emancipazione ma anche di resistenza
e di rifiuto; essi, nella loro estrema mobilità, richiamano l’attenzione sulla irriducibilità del nucleo
vitale dell’agire comunicativo; tale irriducibilità costituisce con evidenza sempre maggiore, secondo
Habermas, il carattere specifico dell'età contemporanea. Nel proprio sviluppo «la stessa evoluzione
sociale deve far sorgere situazioni problematiche che aprono soggettivamente ai contemporanei un
accesso privilegiato alle strutture generali del loro mondo vitale». Il riproporsi di aggregazioni
sociali, libere dai contesti normativi massificati, sottolinea quindi «l’ostinata autonomia della prassi
comunicativa» e dei meccanismi di intesa contro i processi del suo soffocamento, evidenzia la
natura bivalente dei meccanismi di informatizzazione, segnala la circolarità positiva propria del
rapporto tra il mondo vitale e i tre livelli formalizzati del mondo: cultura, società, personalità.
Presentando il tema «Potenziali di protesta», Habermas osserva: «La tesi della colonizzazione del
mondo vitale, elaborata in collegamento con la tesi weberiana della razionalizzazione sociale,
poggia su una critica della ragione funzionalistica che coincide con una critica della ragione
strumentale soltanto nell'intenzione — e nell’uso ironico dell’espressione «ragione». Una
considerevole differenza consiste nel fatto che la teoria dell'agire comunicativo concepisce il mondo
vitale come una sfera nella quale i processi di reificazione non si manifestano come meri riflessi —
come fenomeni di un’integrazione repressiva che procede dall’economia oligopolitistica e
dall’apparato statuale autoritario. Sotto questo aspetto la vecchia teoria critica ha soltanto ripetuto
gli errori del funzionalismo marxista. Gli accenni alla rilevanza socializzatrice della disgiunzione
tra sistema e mondo vitale e le osservazioni sul potenziale ambivalente dei mass media e della
cultura massificata mostrano sfera privata e sfera pubblica alla luce di un mondo vitale
razionalizzato, nel quale gli imperativi sistemici si scontrano con strutture comunicative irriducibili.
La trasformazione dell'agire comunicativo in interazioni controllate da media e la deformazione di
strutture di un’intersoggettività ingannevole non sono affatto processi già decisi che si possono
ridurre in pochi concetti globali. L’analisi delle patologie del mondo vitale esige l’analisi imparziale
di tendenze e controtendenze. Il fatto che nelle democrazie di massa dello Stato sociale il conflitto
di classe, che ha connotato le società capitalistiche nella fase del loro dispiegamento, sia stato
istituzionalizzato e quindi bloccato, non significa la paralisi di potenziali di protesta in generale.
Questi ultimi sorgono ora su altre linee conflittuali — e là ove sono prevedibili, se è giusta la tesi
della colonizzazione del mondo vitale. Nelle società evolute dell'Occidente si sono sviluppati negli
ultimi due decenni conflitti che sotto più profili divergono dal modello del conflitto distributivo
istituzionalizzato proprio dallo Stato sociale. Essi non si scatenano più in ambiti della riproduzione
materiale, non sono più canalizzati attraverso partiti e associazioni e non sono neppure componibili
sotto forma di risarcimenti conformi al sistema. I nuovi conflitti sorgono piuttosto in ambiti della
riproduzione culturale, dell'integrazione sociale e della socializzazione; si manifestano forme di
protesta sub-istituzionali, in ogni caso extraparlamentari. E nelle carenze che ne stanno alla base si
rispecchia una reificazione di ambiti di azione strutturati in modo comunicativo, che non è possibile
cogliere attraverso i media denaro e potere. Non si tratta primariamente di risarcimenti che lo Stato
sociale può concedere, ma di difesa e restituzione di modi di vita minacciati o dell'affermazione di
modi di vita riformati. In breve, i nuovi conflitti non si scatenano su problemi di distribuzione, ma
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su questioni riguardanti la grammatica di forme di vita. […] La classificazione degli attuali
potenziali di protesta e rifiuto incontra grandi difficoltà, poiché scenari, raggruppamenti e temi
mutano rapidamente. Nella misura in cui si formano nuclei organizzativi a livello partitico e
associativo, i membri si reclutano dal medesimo serbatoio diffuso. […] Le finalità, gli atteggiamenti
e i modi di agire diffusi nei gruppi di protesta giovanile possono essere resi comprensibili anzitutto
come reazioni a determinate problematiche, vissute con grande sensibilità. Problemi «verdi» …
Problemi di ipercomplessità… Sovraccarichi dell’infrastruttura comunicativa… I nuovi conflitti
sorgono quindi nei punti di sutura fra sistema e mondo vitale.» (Habermas 1981, Teoria dell’agire
comunicativo, 1071-1076)
2.7. La circolarità virtuosa tra mondo vitale e agire comunicativo, contesto di una rinnovata e
contemporanea democrazia sociale, nelle tre dimensioni del mondo: cultura, società, persona.
Lo sviluppo del testo di Habermas segnala, sul tema dei “punti di sutura tra sistema e mondo
vitale”, una ricorrente circolarità produttiva: «l’agire ovvero la padronanza di situazioni si configura
come processo circolare nel quale l’attore è al tempo stesso entrambe le cose: l’iniziatore di azioni
imputabili e il prodotto di tradizioni nelle quali è collocato, il prodotto di gruppi solidali ai quali
appartiene, il prodotto di processi di socializzazione e di apprendimento ai quali è sottoposto»;
«Intendendosi fra di loro sulla propria situazione, i partecipanti all’interazione stanno in una
tradizione culturale che essi utilizzano e al tempo stesso rinnovano; coordinando le proprie azioni
attraverso il riconoscimento intersoggettivo di pretese di validità criticabili, i partecipanti
all’interazione si basano su appartenenze ai gruppi sociali e ne rafforzano nel contempo
l’integrazione; prendendo parte ad interazioni con persone di riferimento che agiscono in modo
competente, i bambini interiorizzano gli orientamenti di valore del loro gruppo sociale ed
acquisiscono capacità generalizzate di azione. Sotto l’aspetto funzionale all'intendersi l'agire
comunicativo serve alla tradizione e al rinnovamento del sapere culturale; sotto l’aspetto del
coordinamento delle azioni esso serve all’integrazione sociale e alla produzione di solidarietà: sotto
l’aspetto della socializzazione l’agire comunicativo serve infine alla formazione di identità
personali. Le strutture simboliche del mondo vitale si riproducono attraverso la continuazione del
sapere valido, la stabilizzazione della solidarietà di gruppo e la formazione di attori imputabili. Il
processo di riproduzione collega situazioni nuove agli stati esistenti, e precisamente, nella
dimensione semantica dei significati e dei contenuti (della tradizione culturale) altrettanto come
nelle dimensioni dello spazio sociale (di gruppi socialmente integrati) e del tempo storico (delle
generazioni in successione). A questi processi della riproduzione culturale, dell'integrazione sociale
e della socializzazione corrispondono, quali componenti strutturali del mondo vitale, la cultura, la
società e la persona». (Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo, 730)
2.7.1. Dunque le tre dimensioni del mondo vitale e le loro formalizzazioni tematiche, collocate
all’interno della prassi comunicativa, «non diventano efficaci soltanto come restrizioni; esse
servono anche da risorse», così come, in particolare ricorda Habermas, i media della comunicazione
di massa «costituiscono amplificatori tecnici della comunicazione linguistica, superano le distanze
spazio-temporali e moltiplicano le possibilità di comunicazione, infittiscono la rete dell’agire
comunicativo, senza però sganciare gli orientamenti di azione dai contesti del mondo vitale in
generale». A partire dal concetto complesso di mondo vitale Habermas affronta dunque la doppia
situazione della società contemporanea: quella in cui il mondo vitale si presenta «come contesto
costitutivo dell’orizzonte dei processi di comprensione e di comunicazione», ma non viene
tematizzato e non è quindi oggetto di analisi teorica (il concetto di quotidianità del mondo vitale);
quella invece in cui il concetto di mondo vitale, intuitivamente e immediatamente disponibile,
diventa oggetto di uno studio teoretico che ne spieghi i processi di riproduzione e il ruolo di
fondamento pragmatico-trascendentale. Solo quest’ultima prospettiva, in grado di impostare con
coerenza fin dal proprio fondamento (il mondo vitale) la teoria dell’agire comunicativo e le scienze
sociali, consente di cogliere l’ambivalente capacità dell’età contemporanea di precludere e di
promuovere i processi di comunicazione: ogni atto linguistico e comunicativo se, da una parte,
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creando l'intesa su qualcosa, contribuisce alla riproduzione sistematica dell'ordine ufficiale di una
società, dall’altra, negli stessi processi, consolida forme generalizzate e varie di comunicazione,
base per l’ampliarsi degli atteggiamenti di intesa e mezzo per attivare l’opposizione nei confronti di
sistemi oppressivi e totalizzanti.
L’opera di Habermas chiude (sembra) in senso di speranza positiva l’analisi del potenziale
ambivalente dei mass media: « Ora la teoria della modernità, che ho delineato a tratti molto
approssimativi, lascia pur sempre riconoscere gli aspetti seguenti. Nelle società moderne i margini
di contingenza per le interazioni liberate da contesti normativi si allargano al punto che «diventa
praticamente vera» l’ostinatezza dell'agire comunicativo, sia nelle forme relazionali de-
istituzionalizzate della sfera familiare privata sia nella sfera pubblica plasmata dai mass media. Nel
contempo gli imperativi di sottosistemi autonomizzati penetrano nel mondo vitale e, mediante la
monetarizzazione e la burocratizzazione, impongono un’assimilazione dell’agire comunicativo ad
ambiti di azione formalmente organizzati, anche là ove il meccanismo di coordinamento delle
azioni costituito dalla comprensione e dall’intesa è funzionalmente necessario. Forse questa
minaccia provocatoria, questa sfida che pone in discussione nell’insieme le strutture simboliche del
mondo vitale, può rendere plausibile perché esse ci sono diventate accessibili.» (Habermas 1981,
Teoria dell’agire comunicativo, 1088)
3.1. Il contesto di fondazione dell’agire politico sociale democratico «Fondazione discorsiva dei
diritti fondamentali: principio di discorso, forma giuridica e principio democratico.» (Habermas
1992 Fatti e norme, 143) « Il diritto non è quindi solo costitutivo d’un codice-potere controllante i
processi amministrativi. Esso rappresenta anche il medium per trasformare il potere comunicativo
in potere amministrativo. Così possiamo sviluppare l'idea dello Stato di diritto analizzando i
principi per cui da un lato il diritto legittimo deriva dal potere comunicativo e dall’altro lato questo
stesso potere comunicativo si converte di nuovo in potere amministrativo passando attraverso il
diritto legittimamente prodotto.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 201)
3.1.1. Nella consapevolezza culturale generale contemporanea: un’epoca post-metafisica e post-
trascendentale non resta che la fondazione del diritto sul principio del discorso: il diritto sulla base
dell’agire comunicativo della ragione volta all’intesa o per una teoria del diritto fondata su di una
teoria del discorso. Una fondazione da un punto di vista laico, secolare, con riferimento a prassi
comunicative di intesa.
3.1.2. Una flessibilità non apriori ma legata al binomio fattualità/validità esprime la tensione che è
presente in ogni relazione sociale caratterizzata da momenti riflessivi, ed è intrinseca al diritto
stesso e al problema della sua produzione e imposizione, ritorna infatti con notevole frequenza ed è
la prospettiva di fondo della teoria del diritto: è la «caratteristica unione di coercizione fattuale e
validità legittimante» «… come l’intero sistema dei diritti sia attraversato dall’interna tensione di
fattualità e validità caratterizzante l’ambivalente modalità della validità giuridica.» (Habermas 1992
Fatti e norme, 43, 103 e cfr. 82,118…). È, del resto, il titolo stesso dell’opera : Fatti e norme.
3.1.3.Anche qui torna l’ambivalenza: «il fatto che le norme giuridiche siano simultaneamente
produttrici di costrizione e di libertà» (Habermas 1992 Fatti e norme, 42). Questa coercizione però
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si giustifica soltanto «in quanto sopprime un ostacolo contro la libertà», ossia in quanto impedisce
che si violi la libertà di ciascuno. La pretesa di validità del diritto esprime appunto questo interno
«accordo della coazione generale e reciproca con la libertà di ognuno» (I. Kant La metafisica dei
costumi, Laterza, Roma-Bari 1991, 36). […] … le leggi coercitive devono dimostrarsi legittime
come leggi di libertà.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 38-39, 43)
3.2. Materiali e strumenti a disposizione per una nuova teoria democratica del diritto condotta
all’interno del sociale e con metodo pragmatico trascendentale (tra fattualità e validità).
3.2.1. l’importanza, la natura e il ruolo del mondo della vita (mondo vitale). «Il primo passo nella
ricostruzione delle condizioni dell’integrazione sociale ci porta al concetto di mondo di vita.»
(Habermas 1992 Fatti e norme, 30)
3.2.2. l’importanza, la natura e il ruolo di istituzioni e tradizioni sociali storiche consolidate e non
messe a tema. La rilevanza di queste formazioni consolidate può venire espressa con la formula dei
tre mondi: «Il mondo di vita di cui le istituzioni fanno parte viene così avanti come un contesto che,
riprodotto dall'agire comunicativo, si compone dell'intreccio di tradizioni culturali, ordinamenti
legittimi e identità personali.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 32). Quella rilevanza è ulteriormente
problematica nel complicarsi delle società contemporanee: «Con il crescere della complessità
sociale e l’allargarsi dell’originaria prospettiva etnocentrica, le forme di vita si pluralizzano e le
storie di vita si individualizzano in misura sempre più grande.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 34)
3.2.3. La tensione fattualità/normatività mette al centro della costituzione e imposizione del diritto
l’agire comunicativo base di una integrazione sociale democratica. L’obiettivo di Habermas è
«inquadrare la categoria del diritto (soprattutto quella del diritto moderno) nella prospettiva teorica
dell’agire comunicativo.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 103)
3.2.3.1. Una delle tesi centrali presentate nella Teoria dell’agire comunicativo è quella circa il ruolo
del medium linguistico nel portare a forma (cultura, società, persona) e a condivisione il potenziale
che il mondo vitale permette, a livello di primo fondamento di intesa, di considerare come propria
area di riferimento. «Tramite l’agire comunicativo, il potenziale di razionalità racchiuso nel
linguaggio viene intercettato, mobilitato e, nel corso dell’evoluzione sociale, reso funzionalmente
disponibile all’integrazione della società.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 55). Nella stessa
direzione, pur con altri ruoli, opera il processo legislativo e il diritto. «Il diritto si colloca infatti tra
un mondo di vita che si riproduce tramite agire comunicativo, da un lato, e quei sistemi funzionali
della società formanti l'uno per l'altro degli ambienti esterni, dall'altro. […] Il diritto funziona,
diciamo così, da trasformatore esso solo è in grado di garantire che non si spezzi la rete della
comunicazione generale che tiene insieme tutta la società. Solo nel linguaggio del diritto possono
circolare per tutto il corpo sociale messaggi ricchi di contenuto normativo. Questi messaggi si
scontrerebbero con la sordità delle sfere controllate dai media, ove non fossero preventivamente
tradotti in quel complesso codice giuridico che è egualmente aperto sia al mondo di vita sia al
sistema.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 71-72) E ancora: «Prendendo forma giuridica, il principio
di discorso si trasforma in principio democratico.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 537)
3.2.3.2. «Il processo legislativo rappresenta così il luogo specifico dell’integrazione sociale entro il
sistema giuridico. È perciò ragionevole aspettarsi che tutti i partecipanti (diretti o indiretti) al
processo legislativo «escano fuori» dal ruolo di privati soggetti giuridici e si accollino – nel ruolo di
cittadini dello Stato – la prospettiva di membri d'una comunità giuridica cui liberamente si aderisce.
In questa comunità, il consenso sui principi che regolano la convivenza o risulta già assicurato per
via di tradizione oppure dev’essere realizzato per via d'intesa secondo regole riconosciute sul piano
normativo. […] Nella misura in cui i diritti politici di partecipazione e di comunicazione sono parte
integrante di qualunque procedimento legislativo generante legittimazione, questi diritti individuali
andranno esercitati non in quanto diritti di soggetti giuridici privati individualisticamente isolati tra
loro, bensì piuttosto nell'atteggiamento di cittadini partecipanti a una prassi d’intesa intersoggettiva.
Perciò nel concetto moderno di diritto — che intensifica e insieme operazionalizza a fini di
controllo comportamentale la tensione di fattualità e validità — noi ritroviamo l’idea democratica
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già sviluppata da Rousseau e Kant. Quest’idea afferma che la pretesa di legittimità d'un
ordinamento giuridico costruito a partire dai diritti individuali può essere riscattata soltanto
attraverso la forza d'integrazione sociale sviluppata dalla «volontà concorde e unificata» di tutti i
cittadini liberi ed eguali.» (Habermas 1992 Fatti e norme,42-43)
3.3. il diritto moderno è un diritto positivo, statuito e oggetto di intesa (e accordo), quindi non
arbitrario, per la sua fondazione discorsiva.
La tesi centrale della « funzione socio-integrativa del diritto» (Habermas 1992 Fatti e norme, 83)
impone la ripresa del tema del diritto come diritto positivo (perché in questo contesto il diritto può
essere solo un diritto positivo [come da Kelsen], senza che sconfini tragicamente nell’arbitrio
giuridico o nella sua irrazionalità) e il tema di “quali diritti”. Comunicazione per l’intesa, diritto
positivo, mondo della vita, definizione e ruolo della democrazia costituiscono il necessario intreccio
perché si formi una volontà sociale (e istituzionale) statuente nelle forme del diritto. Dunque il
doppio significato del termine “positivo”: statuito, oggetto di intesa e di accordo negoziale; «una
prassi razionalmente concordata». «Nel diritto si riflette l’effettivo sostrato di volontà di una società
determinata: per questo il diritto deve farsi «positivo». Esso deve essere «statuito», in quanto
momenti di mutua intesa s'intrecciano a momenti di scelta degli obiettivi e a momenti di accordo
negoziale. Perciò la nascita del diritto ha potuto essere intesa (a differenza della morale) in termini
contrattualistici: il che non è corretto e tuttavia non è nemmeno del tutto falso». (Habermas Jürgen
1993-1996 Solidarietà tra estranei. Interventi su «Fatti e norme», Guerini e associati, Milano 1997,
63) Quindi la stretta fusione tra la funzione sociointegrativa del diritto e contemporaneamente, il
mondo della vita e la natura positiva (alla Kelsen) del diritto.
Il diritto positivo è espressione del processo democratico di autolegislazione; è razionale, quindi
non sede di arbitrio, poiché sorto sulla base di un agire comunicativo come nuova ragion pratica
collettiva: l’espressione sintetica con cui Habermas indica questo processo è quella che lo presenta
come una prassi «razionalmente concordata» (Habermas 1992 Fatti e norme,91). Qui trovano
convergenza due cardini di formazione di un diritto positivo autonomo: razionalità (secondo
principi, quindi ragione) e accordo (secondo consenso, quindi volontà e dunque libertà): «La
distinzione tra norme e principi d’azione, il concetto sia di una produzione di norme guidata da
principi sia di un volontario accordo su regole normativamente vincolanti, il concetto d’una capacità
produttiva di diritto ascrivibile alle persone giuridiche privatamente autonome, ecco ciò che
condusse progressivamente all’idea di norme positivamente stabilite, e pertanto modificabili, ma
nello stesso tempo criticabili e bisognose di giustificazione.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 90)
3.5. il concetto e il ruolo della forma giuridica. La forma giuridica e le istituzioni che stabilizzano
la realizzazione, l’attuazione dei diritti nell’ambito di una autodeterminazione positiva sottratta però
all’arbitrio e alla incontrollata precarietà.
3.7. il rapporto tra sovranità popolare, potere politico e diritto: un legame inscindibile, sulla
base della giustizia che ha sede “nell’agire discorsivo volto all’intesa”.
Solo nelle istituzioni (potere politico) si incontrano sovranità popolare e diritto a garanzia di rispetto
e realizzazioni delle libertà (attive e passive); oltre sogni di anarchia o di perenne democrazia
diretta, ma in varietà di forme istituzionali. «Una sovranità popolare già internamente intrecciata
alle libertà individuali ora s’intreccia nuovamente con il potere organizzato dello Stato. Il principio
per cui «ogni potere dello Stato discende dal popolo» viene adesso a realizzarsi attraverso i
presupposti comunicativi e procedurali d’una formazione istituzionalmente differenziata
dell’opinione e della volontà. Quando lo Stato di diritto è concepito nei termini della teoria
discorsiva, la sovranità popolare non si personifica più in un'assemblea visivamente identificabile di
cittadini autonomi. Essa si ritira piuttosto nei circuiti comunicativi — per così dire senza soggetto
[subjektlos] — rappresentati dai fori [in nota: per foro s’intende lo specifico cerchio di persone che
garantisce una competente discussione del problema] e dai corpi legislativi. Solo così, in questa
forma anonima, il potere comunicativamente fluidificato della sovranità popolare può vincolare alla
volontà dei cittadini il potere amministrativo dello Stato.» (Habermas 1992 Fatti e norme,163)
3.7.1. In questo contesto ritorna l’opportunità di ribadire la natura positiva del diritto e dunque la
sua relatività storica. «Proprio quest’intrinseco coniugarsi — sul piano concettuale — di
«produzione giuridica» e «formazione del potere» ci fa capire ancora una volta (retrospettivamente)
perché quel sistema dei diritti con cui noi abbiamo dato risposta a questi problemi debba subito
affacciarsi come un diritto positivo, senza reclamare per sé nessuna validità morale o
giusnaturalistica «antecedente» alla formazione civica della volontà.» (Habermas 1992 Fatti e
norme, 178)
3.7.2. Quindi l’analisi diventa studio delle forme e tipi di discorso, delle relative procedure attuative
per la realizzazione di argomentazioni comunicative volte alla formazione politica (civile) della
volontà. Forme e procedure; tipologie e regolamenti… sull’assunto non ogni forma di discorso è
costitutiva di volontà civile, sociale-politica, o politicamente finalizzata all’intesa. Questa ricerca è
la definizione delle istituzioni (natura, funzione e funzionamento) a partire dalla teoria del discorso;
significa cioè mettere in evidenza la tipologia e la procedura dei discorsi che definiscono quelle
istituzioni nel ruolo rappresentativo e nel ruolo istituzionale specifico: il discorso della giustizia, del
parlamento, dell’amministrazione governativa; discorso analizzato sempre nelle due componenti:
forma (forme, tipologie) e procedure (regolamentazioni interne). E l’attenzione andrà rivolta anche
ai rischi derivanti dalla generica esportazione di una (magari unica) forma comunicativa in tutti gli
ambiti o l’utilizzo improprio di procedure in campi non ammessi. Due soli esempi: 1) sulle
questioni morali: «Un altro rischio sta nell’applicazione delle procedure del compromesso alle
questioni morali od etiche, perché ciò implicherebbe (in maniera tacita oppure inconsapevole) una
riclassificazione di tali questioni come questioni strategiche.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 211);
2) sull’uso della regola di maggioranza: «La regola di maggioranza conserva un’interna relazione
con la ricerca della verità per il fatto che la decisione maggioritaria rappresenta solo un’interruzione
nel corso d’una discussione incessante. Essa fissa, per così dire, un risultato provvisorio nella
formazione discorsiva dell`opinione.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 212-213)
«A seconda della problematica affrontata, i vari tipi di discorso e di trattativa svolgono ruoli
argomentativamente differenti ai fini d’una ragionevole formazione politica della volontà. Essi si
21
realizzano in corrispondenti forme di comunicazione e queste a loro volta — se si vuole garantire il
diritto dei cittadini ad esercitare i loro diritti politici di partecipazione — dovranno essere
istituzionalizzate giuridicamente. […] Ma sono istituzionalizzabili anche i procedimenti che
stabiliscono con quali regole una collaborazione debba affrontare determinati compiti. » (Habermas
1992 Fatti e norme, 210)
3.7.3. La ridefinizione delle istituzioni secondo la teoria del discorso è un proposito di metodo, un
obiettivo chiarito in forma esplicita e realizzato a partire dalle forme, tipologie e procedure dei
discorsi. «Dal punto di vista della teoria discorsiva, le funzioni degli apparati legislativi,
giurisdizionali e amministrativi [n.b. i tre poteri] si lasciano differenziare a partire dalle loro forme
comunicative e dai corrispondenti potenziali di ragioni. […] Se consideriamo le cose dal punto di
vista di una logica dell’argomentazione, il dividersi delle competenze tra organi che producono,
applicano ed eseguono le leggi deriva dal distribuirsi delle possibilità di ricorrere a diversi tipi di
ragioni, nonché a corrispondenti forme di comunicazione con cui trattare queste ragioni.»
(Habermas 1992 Fatti e norme, 227, 228) Impostata sul principio del discorso, la riflessione sulle
istituzioni diventa riflessione sulle garanzie democratiche offerte all’agire comunicativo: garanzie di
sicurezza (giustizia), efficacia (legislazione), stabilità (governo).
3.8. il rapporto più ampio (e di fondo) tra società civile e potere politico e il ruolo specifico
della società civile.
3.8.1. Il piano /progetto generale per la traduzione pragmatica (agire discorsivo) del principio della
sovranità popolare nelle forme e negli ambiti distinti delle Istituzioni. «Muovendo da
un’interpretazione del principio di sovranità popolare sviluppata in termini discorsivi (a) [cioè “ogni
potere politico nasce dal potere comunicativo dei cittadini”], è possibile derivare in primo luogo il
principio d'una completa tutela giurisdizionale dell'individuo fornita da un potere giudiziario
indipendente (b), in secondo luogo i principi della legalità amministrativa e del controllo giudiziario
e parlamentare sull’amministrazione (c), in terzo luogo, infine, quel principio di separazione tra
Stato e società che dovrebbe impedire al potere sociale di convertirsi in potere amministrativo
senz’essere preventivamente «filtrato», ossia fatto passare attraverso le «chiuse idrauliche» della
formazione comunicativa del potere (d).» (Habermas 1992 Fatti e norme, 202)
3.8.2. Il ruolo e la rilevanza del principio della separazione tra Stato e società.
La rilevanza politico-libertaria della separazione tra Stato e società appartiene alla tradizione
liberale, ma lì la libertà veniva sottolineata nel suo aspetto negativo nei confronti dello Stato: si
sottolinea l’esclusione o il limite di competenza dello Stato… e non il tema della partecipazione
attiva del cittadino allo Stato o meglio nella società in quanto società civile. «Nella tradizione del
diritto statuale tedesco, il principio della separazione di Stato e società fu interpretato — in
maniera troppo concreta — unicamente nel senso dello Stato liberale di diritto. Invece quel
principio afferma, in generale, la tutela giuridica di un'autonomia sociale che concede a ciascuno
anche pari opportunità di utilizzare, come cittadino, i propri diritti politici di partecipazione e di
comunicazione.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 207) «Il principio della separazione di Stato e
società, letto in termini più generali, richiede il formarsi di una società civile [Zivilgesellschaft],
ossia d’una rete di rapporti associativi e d’una cultura politica che siano sufficientemente sganciati
dalle strutture di classe.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 208) In conclusione: «Le istituzioni dello
Stato di diritto devono garantire l’esercizio effettivo dell'autonomia politica a cittadini socialmente
autonomi.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 209)
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meccanismi, attivi nelle democrazie di massa, di alienazione dei cittadini dal processo politico.» In
particolare, l’attenzione critica va al «ricorso manipolativo al potere dei media per creare devozione
di massa» (Habermas 1962, 1990 Storia e critica dell’opinione pubblica, XXXVI, XXXVIII)
Lo studio di Habermas sulla Storia e critica dell’opinione pubblica indica sinteticamente, verso la
sua conclusione e in forma di sintesi l’ambivalenza della “sfera pubblica” studiata nel divenire della
sua funzione politica sotto l’influsso dei mezzi e delle forme di gestione della comunicazione
sociale; si evidenziano due direzioni potenziali, opposte ma non dualisticamente distinguibili come
se fossero processi privi di contaminazione reciproca. «La sfera pubblica politica dello Stato sociale
è caratterizzata da due tendenze concorrenti. Come forma di disgregazione della sfera pubblica
borghese essa dà luogo a una pubblicità, dimostrativa e manipolativa, sviluppata dalle
organizzazioni sopra la testa del pubblico mediatizzato. D’altra parte lo Stato sociale, in quanto
conserva una continuità con lo Stato di diritto liberale, mantiene il dettato di una sfera pubblica con
funzioni politiche, nella cui logica il pubblico mediatizzato dalle organizzazioni avvia, per loro
stesso tramite, un processo critico di pubblica comunicazione. Nella realtà costituzionale dello Stato
sociale questo aspetto della pubblicità critica è in contrasto con quello di una pubblicità con fini
esclusivamente manipolativi…» (Habermas 1962, 1990 Storia e critica dell’opinione pubblica,
267)
4.1. Il percorso. Nell’opera programmatica del 1967, Logica delle scienze sociali, Habermas mette
in luce i due soggetti che tengono in scacco la democrazia nell’età contemporanea: 1. i gruppi
oligopolistici di interesse e profitto (economico, religioso, culturale…); 2. i partiti di massa come
macchine di costruzione di voto e di consenso artefatto. È a rischio la democrazia rappresentativa e
Habermas studia, in modo specifico, le dinamiche di questa deriva già in Storia e critica
dell’opinione pubblica e in Fatti e norme.
4.1.1. Torna applicativamente il tema del difficile incontro tra le due strategie proposte da
Habermas: sistema e mondo vitale pensato in una prassi del discorso volto all’obiettivo di una
comunicazione per l’intesa alla prova dei sistemi autorganizzati.
4.1.2. E, in contrasto con la teorizzazione dello Stato etico, in cui si realizzerebbe la società civile
(situazione delineata da Hegel e da lui consegnata alla tradizione), occorre riprendere il discorso
sulla irriducibile autonomia tra società civile e Stato; solo una loro specifica autonomia di ruoli ne
conserva, salva, alimenta la imprescindibile funzione.
«Costituendosi come Stato di diritto, il sistema politico è internamente differenziato nei settori del
potere amministrativo e del potete comunicativo, e rimane così sempre aperto in direzione del
mondo di vita. Infatti la formazione istituzionalizzata dell'opinione e della volontà resta dipendente
dagli apporti provenienti dai nessi comunicativi informali relativi a sfera pubblica, libere
associazioni e sfera privata. [vedi qui: cultura, società, persona] In altre parole, il sistema d'azione
politico è inserito in contesti del mondo di vita. […]
Questa diagnosi misconosce tuttavia le prestazioni che un linguaggio ordinario multifunzionale può
fornire proprio in virtù della sua non-specializzazione. Questo linguaggio ordinario è il medium
dell’agire orientato all’intesa: attraverso esso il mondo di vita si riproduce e le sue componenti
s'intersecano l’una con l’altra. I sistemi d'azione altamente specializzati nella riproduzione culturale
(scuola), nella socializzazione pulsionale (famiglia) o nell`integrazione sociale (per es. il diritto)
non operano affatto dentro compartimenti stagni. Attraverso il comune codice del linguaggio
ordinario — e scorrendo per così dire in parallelo — ognuno di questi sistemi soddisfa anche alle
funzioni degli altri due, tenendo in piedi un rapporto con la totalità del mondo di vita.» […]
Nel suo insieme, il mondo di vita forma una rete di azioni comunicative. Dal punto di vista del
coordinamento, la sua componente relativa alla società si compone della totalità delle relazioni
interpersonali legittimamente ordinate. Essa comprende anche collettivi, associazioni e
organizzazioni che si specializzano in funzioni determinate.» (Habermas 1992 Fatti e norme,418-
421)
23
4.2. La sede dell’ambivalenza e della trasformazione delle forme della democrazia diventa
dunque il variegato mondo «delle relazioni interpersonali legittimamente ordinate» che
compongono e pullulano nella società civile. Il problema politico nuovo che si pone alla democrazia
contemporanea consiste nel gestire e assecondare quello che Habermas (ottimisticamente) chiama
una tendenza funzionale (se non proprio “naturale”) della differenziazione sociale a cercare una
convergenza organica nel sociale attraverso il senso civico politico. «Rientra infatti nella logica di
differenziazione funzionale d’una società il fatto che i sottosistemi, già sviluppatisi per
differenziazione, si reintegrino globalmente a livello superiore della società. Se, decentrandosi, la
società non fosse più in grado di salvaguardare la propria unità, e dunque non potesse più trarre
vantaggio dalla crescita di complessità delle sue singole parti, essa finirebbe per cadere vittima delle
proprie (riuscite) differenziazioni parziali.» (Habermas 1992 Fatti e norme, 408) Un processo di
integrazione in cui occorre articolare il ruolo dei soggetti (alcuni soggetti) implicati. Un primo
problema è creato dalla relazione tra “centro” gestionale dello Stato (i “tre poteri”) e la vasta
periferia che agisce più o meno autonomamente nel sociale. Un secondo e connesso problema è
quello creato dalla presenza e ruolo politico diretto dei partiti (espressione della società civile ma
diretti gestori, in qualche modo, del politico) e la varietà dei soggetti sociale e, soprattutto, dei
movimenti; il problema è quello della loro diversa natura e della loro relazione.
26
operanti di una cultura massificata che si limita a raddoppiare l’esistente. Consuma la cultura
depurata da tutti i momenti sovversivi e trascendenti a favore di un più ampio sistema di controllo
sociale imposto agli individui che in parte rafforza, in parte sostituisce gli indeboliti controlli
comportamentali interni. Il modo di funzionamento dell'industria culturale deve rapportarsi
specularmente al modo di funzionamento dell’apparato psichico che, finché funzionava ancora
l’interiorizzazione dell’autorità paterna, aveva sottomesso la natura pulsionale al controllo del
super-io così come la tecnica aveva sottomesso la natura esterna al proprio dominio.» (Habermas
1981, Teoria dell’agire comunicativo, 1068)
1.2.2. La lettura di Habermas. Le analisi di Habermas giungono a tratteggiare un quadro più
complesso delle potenzialità caratteristiche dell'età contemporanea. Sul fondamento del mondo
della vita e dal punto di vista di una teoria della ragione comunicativa, i processi che definiscono
l’età contemporanea vengono da Habermas restituiti alla loro reale complessità e riscoperti non solo
come fonte di processi di indebolimento e negazione delle possibilità comunicative proprie della
società, ma anche come processi di esaltazione e amplificazione delle capacità espressive
dell'uomo. Habermas invita a non subire la seduzione dell'utopia individualistico-liberale che
alimenta le visioni tragiche della modernità; egli tende a mettere in luce la inscindibile ambivalenza
sia della cultura industrializzata di cui sottolinea il «potenziale autoritario», ma anche il «potenziale
emancipativo» (le «sfere pubbliche dei media gerarchizzano e al tempo stesso dischiudono
l’orizzonte di comunicazioni possibili»), sia dei processi di socializzazione e di identificazione
personale in atto nella realtà contemporanea. Se non si considera la società solo come un sistema,
definito da una logica uniforme in grado di controllare e sottomettere l’intero mondo delle
possibilità culturali, sociali e individuali, ma anche come luogo naturale di una imprevedibile e
insopprimibile espressione del mondo della vita, serbatoio aperto di possibilità culturali, sociali e
personali, allora è possibile evidenziare come gli imperativi volti a riprodurre il sistema si scontrano
con «irriducibili strutture comunicative».
Esplicito il dissenso di Habermas nei confronti delle diagnosi unilaterali espresse da autori guida
della Scuola di Francoforte: «Contro questa teoria non possono soltanto essere sollevate le riserve
empiriche che si possono sempre mettere in campo contro ipersemplificazioni stilizzanti. Questa
teoria, infatti, procede in modo astorico e non prende in considerazione il mutamento strutturale
della sfera pubblica borghese; non è abbastanza complessa per tener conto delle accentuate
differenziazioni nazionali, a cominciare dalle diversità della struttura organizzativa privata, di
diritto pubblico e statale degli enti di trasmissione sino alle diversità dell’impostazione dei
programmi, delle abitudini di ricezione, della cultura politica ecc.
«Ho distinto due specie di media che possono alleggerire il rischioso e dispendioso meccanismo di
coordinamento della comprensione e intesa. Da un lato media di controllo con i quali i sottosistemi
sono differenziati dal mondo vitale, dall’altro lato forme generalizzate della comunicazione che non
sostituiscono, ma semplicemente condensano la comprensione linguistica e quindi restano legate a
contesti di mondo vitale. […] I mass media appartengono a queste forme generalizzate di
comunicazione. Essi staccano i processi di comunicazione dal provincialismo di contesti limitati in
senso spazio-temporale e fanno sorgere sfere pubbliche, in quanto istituiscono la contemporaneità
astratta di una rete virtualmente sempre presente di contenuti comunicativi molto distanti spazio-
temporalmente e mantengono disponibili messaggi per contesti moltiplicati.» (Habermas 1981,
Teoria dell’agire comunicativo, 1068-1069)
«Queste sfere pubbliche dei media gerarchizzano e al tempo, stesso dischiudono l’orizzonte di
comunicazioni possibili. Un aspetto non può essere separato dall’altro — e qui è fondato il loro
potenziale ambivalente. I mass media, nella misura in cui canalizzano unilateralmente flussi di
comunicazione in una rete centralizzata, dal centro alla periferia o dall’alto verso il basso, possono
rafforzare notevolmente l’efficacia dei controlli sociali. Lo sfruttamento di questo potenziale
autoritario resta però sempre precario, poiché nelle stesse strutture comunicative è incorporato il
contrappeso di un potenziale emancipativo. I mass media possono al tempo stesso graduare,
accelerare e condensare i processi di intesa, ma soltanto in prima istanza possono scaricare le
27
interazioni dalle prese di posizione sì/no su pretese di validità criticabili; neppure le comunicazioni
astratte e affastellate possono essere protette in modo efficace contro le possibilità di obiezioni da
parte di attori imputabili. La ricerca sulla comunicazione, purché non sia ridotta empiristicamente
ma sia attenta alle dimensioni della reificazione della prassi comunicativa quotidiana, conferma
questa ambivalenza. La ricerca sulla ricezione e l’analisi dei programmi offre, è vero, sempre nuovi
esempi di quella critica della cultura che specialmente Adorno ha elaborato con una certa intensità
persino eccessiva. Ma nel frattempo sono state enucleate con altrettanta energia le contraddizioni
risultanti dal fatto
— che gli enti di trasmissione sono esposti a interessi concorrenti e non possono affatto integrare
senza soluzione di continuità punti di vista economici, politico-ideologici, professionali e di estetica
mediale;
— che i mass media non possono normalmente sottrarsi senza conflitti agli obblighi derivanti loro
dal compito giornalistico;
— che le trasmissioni non corrispondono affatto soltanto o anche solo prevalentemente agli
standard della cultura di massa e, persino quando assumono le forme banali dell’intrattenimento
popolare, possono benissimo contenere messaggi critici — popular culture as popular revenge;
— che messaggi ideologici mancano il loro destinatario, poiché il significato, inteso in condizioni di
ricezione di un determinato sfondo sub-culturale, è capovolto nel suo contrario;
— che l’ostinata autonomia della prassi comunicativa quotidiana si difende contro un diretto
intervento manipolatorio dei mass media e
— che lo sviluppo tecnico dei media elettronici non si svolge necessariamente nella direzione di
una centralizzazione delle reti, anche se per ora video-pluralism e television democracy non sono
molto di più che visioni libertarie.» (Habermas 1981, Teoria dell’agire comunicativo, 1069-1071)
Habermas torna sul tema nel 1992: «L’unica cosa sicura è che le ricerche empiriche sugli effetti e
sulla ricezione dei media hanno definitivamente falsificato l'immagine d’un consumatore passivo,
eterodiretto, «culturalmente drogato». Oggi esse s'indirizzano piuttosto sulle strategie interpretative
con cui gli spettatori, quando possono comunicare tra loro, sono anche capaci di reagire a ciò che
viene offerto, oppure di sintetizzarlo a partire da modelli loro propri di conoscenza.» (Habermas
1992 Fatti e norme, 447)
Da qui parte la discussione/laboratorio sul tema: agire comunicativo e agire strumentale nei mass-
media; sugli estremi attivi nella comunicazione mediatica, come: 1. massimo della comunicazione e
della solitudine, 2. massimo della condivisione e dell’intolleranza, 3. massimo dell’informazione e
dell’ignoranza, 4. massimo del sapere e dell’inganno, 5. massimo della partecipazione attiva e della
fidelizzazione commerciale.
3.2. L’Europa ad una svolta e di fronte ad un dilemma (un dibattito Streek-Habermas). La crisi
economica pone l’Europa (e la politica) di fronte ad un dilemma, in discussione e destino. «Il
dilemma dell’Europa: capitalismo vs democrazia. L’integrazione politica ci salverà? Una
discussione tedesca, i destini di tutti, di Maurizio Ferrera (Corriere della sera, 21 luglio 2013)
Negli ultimi mesi si è accesa ad esempio una vera e propria controversia fra due intellettuali di
grande calibro: il sociologo Wolfgang Streeck e il filosofo Jürgen Habermas. Oggetto del
contendere è, appunto, il futuro dell’Unione Europea. Secondo Streeck, l’integrazione economica
sta uccidendo la democrazia per difendere il capitalismo: meglio ripristinare al più presto i ripari
dello Stato nazionale. Per Habermas invece l’approfondimento politico della Ue è l’unica via per
salvare la democrazia e riconciliarla con il mercato. Pur toccando temi «alti» di teoria sociale, lo
Streeck-Habermas Debatte ha avuto grandissima eco nei mezzi di informazione ed è un vero
peccato che le barriere linguistiche ne abbiano sinora ostacolato una maggiore diffusione
internazionale.» Entrambi rimandano ad una formazione e a interessi primi nella tradizione della
Scuola di Francoforte e nel pensiero di Adorno, giungono a posizione quasi antitetiche: di ritorno
“alle mura” dello stato nazionale per Streeck (che vede in azione il capitale finanziario e i suoi
gendarmi a difesa degli interessi della finanzia internazionale e a distruzione dei governi nazionali e
della democrazia), di rilancio e realizzazione convinta e strutturata dell’Unione europea per
Habermas. «In una lunga recensione apparsa lo scorso maggio, Habermas ha rivolto critiche molto
incisive alle tesi di Streek. Come è noto, anche Habermas viene dalla Scuola di Francoforte, e infatti
condivide l’idea che capitalismo e democrazia siano in costante tensione tra loro. Nel corso del
tempo, tuttavia, il grande filosofo ha preso le distanze dal neomarxismo, avvicinandosi alla
prospettiva weberiana e alla tradizione del liberalismo pragmatico ed egalitario. Streeck ha ragione,
sostiene Habermas, a criticare l’eccesso di influenza del capitale finanziario e ad attaccare il
«federalismo esecutivo» della Ue di oggi, quasi del tutto scollegato dai tradizionali circuiti della
rappresentanza. Ma il sociologo del «Max Planck» sbaglia due volte: primo, nel formulare una
implausibile teoria della cospirazione; secondo, nel raccomandare l’«opzione nostalgica» di un
ritorno al passato. Secondo Habermas, la democrazia può salvarsi solo grazie all’Europa, più
precisamente grazie alla realizzazione di una genuina Unione Politica. Ciò che il filosofo ha in
mente è una «Comunità di Stati», i quali continuerebbero a giocare un ruolo di primo piano
nell’attuazione delle politiche pubbliche e nella salvaguardia delle libertà civili. Una comunità,
tuttavia, capace di fornire ai cittadini europei una Wir-Perspektive (una prospettiva del «noi»), uno
stimolo a tenere in conto gli interessi di tutti e non solo quelli dei propri connazionali.»
3.2.1. Per questi obiettivi si impongono incisive riforme istituzionali e culturali: «“detronizzare” il
Consiglio Europeo e rivitalizzare il metodo comunitario.» Più nello specifico: «Per procedere verso
questa meta, Habermas ritiene assolutamente necessario superare lo status quo su due fronti cruciali
il primo è istituzionale: «detronizzare» il Consiglio Europeo e rivitalizzare il metodo comunitario. Il
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secondo è sostanziale: accettare un più elevato livello di redistribuzione tra Stati tramite il bilancio
dell’Unione. Mutualizzazione del debito, eurobond, unione bancaria e così via: solo con questi
strumenti è possibile uscire dalla crisi salvaguardando democrazia e solidarietà.» (Maurizio Ferrera)
3.2.3. I fondamenti delle tesi di Habermas. Ad una impostazione (quella di Streeck) che sembra
storicamente nostalgica e ideologicamente precostituita intorno ai concetti romantici di nazione e di
popolo (pur nel riconoscimento del ruolo imprescindibile della nostalgia e della ideologia come
fattori o componenti di orientamento e decisione), Habermas oppone un modello politico fondato
giuridicamente sulla dialettica tra fatti e norme (Fatti e norme) e culturalmente su di un agire
comunicativo mirato all’intesa (Teoria dell’agire comunicativo).
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