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03/04/2020 «Max Stirner», il monologo visionario di Emil Cioran - Orizzonti culturali italo-romeni

«Max Stirner», il monologo visionario di Emil Cioran

Il testo qui proposto fa parte di quei manoscritti (provenienti dall’archivio del fratello di Emil Cioran,
Aurel Cioran) che sono saliti alle cronache (per lo meno in Romania e in Francia) anche a causa delle
travagliate vicende legate ai diritti di proprietà e alle rocambolesche vendite all’asta. Fortunatamente,
questi documenti unici nel loro genere sono attualmente conservati nel fondo della Biblioteca
dell’Accademia della Romania di Bucarest - «Manuscrise şi documente personale Emil Cioran» - e
sono stati pubblicati parzialmente da Ion Dur, nel suo libro, Hîrtia de turnesol (Sibiu 2000) e in Emil
Cioran, Opere, II vol. (Academia Română, Fundaţia Naţională pentru Ştiinţă și Artă, edizione a cura di
Marin Diaconu, Introduzione di Eugen Simion, Bucarest 2012).
Sulla prima pagina del manoscritto, oltre alla firma dell’autore, compare anche la scritta «II anno di
Filosofia – Seminario di sociologia». Cioran aveva dunque 18 anni quando scriveva questo riassunto
e commento a Der Einzige und sein Eigentum di Max Stirner. .

Gli appunti su Max Stirner Stirner qui tradotti per la prima volta in italiano, ci restituiscono il volto di un giovane studente di
filosofia impegnato nella preparazione dei corsi e dei seminari universitari. Non stiamo parlando però di uno studente
qualsiasi, bensì di Emil Cioran, il quale, in quel periodo aveva l’abitudine di divorare letteralmente i libri durante le
sessioni di lettura indette «ad oltranza» presso la Biblioteca della Fondazione Universitaria Carlo I, a Bucarest. L’amico di
sempre, il filosofo romeno Constantin Noica, si ricorderà ancora molto bene a distanza di anni quel viso allucinato che,
con immensa difficoltà si staccava dalle pile dei libri, ma solo dopo l’echeggiare del fatidico tintinnio del campanello di
chiusura. Infatti, Cioran aveva il suo posto fisso in Biblioteca dove, completamente isolato dall’ambiente circostante,
s’immergeva nella lettura esibendo un viso sul quale si era impresso il disgusto - a detta dell’altro suo amico di gioventù,
lo scrittore Arșavir Acterian [1]. D’inverno poi, aveva un motivo in più per non abbandonare la Biblioteca la quale, a
differenza della sua camera, era ben riscaldata. In quelle sale silenziose Cioran si dedicherà soprattutto
all’approfondimento della filosofia tedesca.

In seguito, comparso come una cometa al liceo Andrei Şaguna di Brașov, dove farà parte del corpo docenti durante un
unico anno di studi (1936-1937), il professore ventiseienne Emil Cioran, lascerà tuttavia una traccia indelebile nei cuori e
nelle menti dei suoi alunni. Un ex studente, Ştefan Baciu, si ricorderà ancora nitidamente il nome di Max Stirner come
uno dei filosofi menzionati incessantemente da Cioran durante le sue lezioni - o monologhi visionari, come sarebbe più
adeguato definirli - ma anche durante gli indimenticabili Stammtisch presso il caffè Coroana. [2] E molto probabile
comunque che Cioran non se ne sia mai completamente separato, nonostante l’addio all’Unico proclamato più tardi.

Amelia Natalia Bulboaca

[1] Titus Lates, «Emil Cioran: lecturi din tinereţe (1926-1947)», in Studii de Istorie a Filosofiei Românești, vol. II, Institutul de Filosofie și
Psihologie “Constantin Rădulescu-Motru”, Editura Academiei Române, București 2011, pp. 88-99.
[2] Ştefan Baciu, «Emil Cioran, profesor la Brașov», in Emil Cioran în conștiinţa contemporanilor săi din exil, Criterion publishing, București
2007, p. 16.

Emil Cioran: «Max Stirner» (Seminario di Sociologia, 1929-1930)

La reazione individualista della seconda metà del secolo scorso, reazione diretta contro il realismo sociale di sorgente
hegeliana e contro il sociologismo, che negavano qualsiasi valore all’individuo, contestando le possibilità di un’autonomia
morale personale al di là del rigido determinismo del meccanismo sociale – ha finito per porre in ombra il suo precursore
più eminente, ovvero Max Stirner. Sarà John Henry MacKay, con un certo ritardo, a occuparsi di Stirner e, nella sua
opera, Stirner, sein Leben, sein Werk (Berlino, 1898), e a cimentarsi nella ricostruzione dei dati biografici di Stirner,
raccogliendo i suoi scritti minori, saggi pubblicati su varie riviste. Il movimento individualista avrebbe riconosciuto proprio
in lui il suo precursore più illustre. Stirner può stare accanto ai grandi individualisti come Carlyle, Emerson, Kierkegaard,
Nietzsche, Ibsen ecc. Eduard von Hartmann pensa che Stirner sia superiore a Nietzsche, in quanto che, come filosofo,
possedeva qualità molto più eminenti di quest’ultimo; oltre a ciò, egli ha tentato anche una fondazione filosofica
dell’individualismo, che la verve poetica e lo slancio lirico di Nietzsche non realizzarono.
Affinché Stirner possa essere compreso, sarà anzitutto necessario stabilire il momento storico nel quale egli si colloca,
l’atteggiamento nei confronti delle correnti dell’epoca e, successivamente, passare al vaglio le sue idee generali
sull’individuo, così come sono esposte nella sua opera principale, L’Unico e la sua proprietà (1845).
Questo inquadramento è reso necessario a maggior ragione dato che l’importanza di Stirner nella riflessione moderna è
collegata a un preciso momento storico. Questo momento storico è caratterizzato da una rivoluzione totale dei costumi,
da un eroico tentativo di rompere i pregiudizi esistenti, attaccando in primo luogo il concetto logoro dell’etica consolidata
su basi teologiche, opposte allo spirito moderno incentrato più sui fatti concreti della vita che sulle speculazioni arbitrarie
e convenzionali. Di conseguenza, l’epoca nella quale Stirner iniziò a sviluppare la sua attività, si stava incanalando verso
una valorizzazione più comprensiva del fatto della vita, della dinamica vitale concreta e, al tempo stesso, verso un
nominalismo sociale che assomigliava di più all’individualismo solipsistico dei romantici che all’individualismo atomista del
XVIII secolo, poggiato sul pluralismo monadistico.
Il nominalismo di Stirner sarà diretto contro Hegel, il rappresentante più brillante del realismo, sia metafisico sia socio-
politico.

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Benché prenda in prestito da Hegel molti elementi, Stirner respinge tuttavia le sue idee principali, in nome di un
nominalismo, o meglio, in nome di un individualismo con tendenze solipsistiche.
La concezione dello Stato nella filosofia politica di Hegel, è attaccata da Stirner con la massima irruenza. Che cos’era lo
Stato per Hegel? Esso non è una realtà politica o giuridica sottoposta alle fluttuazioni effimere e all’arbitrarietà . Lo Stato
è un’entità che appartiene alla struttura ontologica della realtà; è inquadrato nel percorso evolutivo dello spirito universale
del graduale dispiegarsi dei valori spirituali universali.
Nella sua evoluzione storica fino a diventare spirito assoluto, lo spirito universale passa attraverso la prima fase, quella
dello spirito soggettivo, la seconda fase, quella dello spirito oggettivo, sino ad arrivare alla terza fase, quella dello spirito
assoluto. Lo spirito oggettivo raggiunge la sua massima espressione nello Stato. Esso è un’entità a parte, indipendente,
con una propria struttura. In una simile forma organica, l’individuo non ricopre alcun significato particolare; la sua volontà
privata deve essere concorde con quella dello Stato, che punisce la minima deviazione dai suoi princìpi. L’individuo,
coordinando la propria attività in base al senso generale della vita particolare dello Stato, è in grado di giungere a
un’armonia e a una solidarietà sociale. Ogni velleità di indipendenza è contro lo Stato e contro la morale. Attraverso
questi princìpi, Hegel distruggeva ogni valore di realtà indipendente dell’individuo, assimilandolo a una realtà superiore.
Veniva stabilito il concetto dello Stato come forza coercitiva, in opposizione all’individuo.
«La volontà personale e lo Stato – afferma Stirner – sono nemici mortali fra i quali non è possibile che ci sia mai pace
eterna» (L’Unique et sa propriété, trad. Lasvigues, 1900, p. 244). [1]
La coscienza individuale e indipendente – ecco il fine ultimo dell’evoluzione storica. Non la coercizione obiettiva dello
Stato, bensì la libertà dell’individuo come valore personale, soggettivo. Lo stesso passaggio dall’infanzia all’età adulta
assume questo significato. Nell’infanzia, l’individuo è completamente assimilato alle cose; egli vive in una sorta di
comunicazione ingenua con esse; la sua coscienza non afferma la propria indipendenza nei confronti delle cose, ma è
totalmente assimilata a esse. Nell’età adulta, l’individuo si separa dalle cose, acquisisce un’indipendenza da esse,
impone la sua volontà personale. Questo processo di liberazione dell’individuo dai vari determinismi esteriori, questo
processo di separazione della coscienza soggettiva dalla realtà oggettiva delle cose esteriori, si compie nello stesso
vissuto storico. È questo il senso del vissuto storico, superare la pressione oggettiva delle cose attraverso la libertà
personale.
L’hegelismo, al contrario, per lo meno nella sua componente politica e nel suo affermare l’onnipotenza della forza brutale
dello Stato, distrugge la stessa tendenza di autonomia nell’individuo. Il processo storico è invece tendenza di
autonomizzazione.
I popoli antichi, nella fase giovanile dell’umanità, erano completamente subordinati alle cose; l’armonia tra la loro vita
spirituale e quella della natura in generale, non era turbata da alcuna disarmonia; più tardi, con l’avvento del
cristianesimo e delle moderne concezioni di vita, l’uomo sconfigge il determinismo, affermando la libertà della propria
coscienza dalle cose che lo circondavano.
Gli antichi erano sottomessi alle cose; i moderni hanno provato a superarle; gli uomini liberi sono gli uomini del futuro,
svincolati da ogni pregiudizio, liberati da tutte le pressioni di una tradizione secolare.
Gli uomini del futuro sono uomini liberi, indipendenti. Il loro carattere è l’egoismo, il desiderio dell’ego che cresce in
conformità alla sua spontaneità priva di costrizioni. La civiltà ha distrutto l’egoismo dell’uomo, la sua tendenza a essere
ciò che è.
È con tono profetico che Stirner si erge a difesa del risveglio degli egoisti. Carico di lirismo, egli cerca di condurre
l’individuo alla coscientizzazione della sua libertà essenziale, non intaccata dalle relazioni sociali. Il suo intento è quello di
provocare nell’uomo una rinascita tramite la recrudescenza della sua qualità originaria, che è l’egoismo, l’unica
inclinazione conforme alle esigenze generali della vita e della libertà.
Ecco il modo in cui Stirner si rivolge agli egoisti di domani: «Millenni di civiltà hanno oscurato ai vostri occhi ciò che voi
siete, vi hanno fatto credere di non essere egoisti, ma di essere invece chiamati a diventare idealisti (“uomini dabbene”).
Scrollatevi di dosso queste idee! Non cercate la libertà che vi deruba di voi stessi con l’”abnegazione”, ma cercate voi
stessi, diventate egoisti, ognuno di voi divenga un io onnipotente! O più chiaramente: tornate finalmente a riconoscere voi
stessi, riconoscete infine ciò che siete veramente e lasciate correre le vostre aspirazioni ipocrite, la vostra stolta mania di
essere qualcos’altro da ciò che siete. Parlo d’ipocrisia perché, nonostante tutto, voi siete rimasti, per tutti questi millenni,
egoisti, ma egoisti addormentati, ingannatori di sé stessi, alienati da sé stessi, eautontimorùmenoi, fustigatori di sé stessi
(p. 205)». [2]
L’egoista non deve avere riguardo per alcunché, deve calpestare e sopprimere tutto ciò che non gli appartiene. L’egoista
non deve sacrificare nulla alla società, egli non deve immolarsi in nome di nulla purché ciò non gli risulti in qualche modo
utile; non aggiunge niente alla società; al contrario, egli la sfrutta, la rende sua proprietà, sua creazione. La società deve
essere distrutta e sostituita da un’associazione di egoisti.
Di conseguenza, l’egoista deve distruggere lo Stato, perché questi riconosce solo l’uomo generale, l’uomo astratto, non
l’individuo con la sua esistenza in concreto, con il suo egoismo istintivo, con la sua forza vulcanica e imperialistica.
L’uomo è soltanto un ideale, la specie esiste solo nel pensiero. Essere uomo vuol dire manifestare un carattere
individuale e specifico, e non la realizzazione dell’ideale umano. Per il nominalismo stirneriano, l’individuo non ha alcuna
relazione con il concetto generale di uomo, ma l’unico suo obbligo è di conformarsi alla sua struttura soggettiva. L’egoista
non ha legge, né norma né specie né genere. Anche se l’egoista non può realizzare molto senza il concorso di queste
circostanze, egli deve essere sicuro di sé, senza nessun appoggio.
L’io dell’egoista non ha alcun giudice all’infuori di sé stesso, i giudizi degli altri lo lasciano totalmente indifferente. Tutto ciò
che gli altri possono fare è di essere d’accordo con lui, senza poter intervenire per apportare delle modifiche alle
considerazioni personali dell’egoista.
È un bene o un male se l’egoista ragiona in questo modo?! Egli è causa di sé stesso, non c’è nulla che possa deviarlo
dalla linea della sua condotta personale.
«Il divino è la causa di Dio, l’umano la causa “dell’uomo”. La mia causa non è né il divino né l’umano, non è ciò che è
vero, buono, giusto, libero ecc., bensì solo ciò che è mio, e non è una causa generale, ma – unica, così come io stesso
sono unico. Non c’è nulla che m’importi più di me stesso» (p. 4). [3]
È solo nell’egoista, nel suo io, che si trova qualcosa di giusto; e quel qualcosa non esiste all’infuori di sé. Se qualcosa è
giusto per lui, allora quel qualcosa sarà giusto. Se c’è qualcosa che per il mondo è ingiusto, mentre per l’egoista è giusto,
ne consegue che solamente lui avrà ragione; egli decide quello che vuole, perché lui è quello forte, perché è a buona
ragione che la forza primeggi sulla giustizia.
I comunisti, afferma Stirner, pensano che la terra appartenga di diritto a chi la coltiva e che i suoi frutti spettino a chi li
raccoglie. Essi appartengono però al più forte, a colui che li possiede. Al più forte appartiene anche il diritto, non solo la
terra. In base al diritto egoistico, il diritto spetta a chi è più forte e più caparbio.
Se l’egoista possiede la forza, non si cura se ne abbia o meno il diritto. Non gli serve alcuna sorta di autorizzazione in
nessuna azione, perché non dipende da niente e da nessuno.
Nulla deve limitare l’Unico. Tutto ciò che è sacro rappresenta una catena, una limitazione della sua libertà, la quale si
deve manifestare distruggendo qualsiasi ostacolo che ne potrebbe sbarrare la libera espansione.
Che cos’è la proprietà per l’Unico? Tutto ciò che il suo desiderio illimitato di possesso vuole abbracciare. Egli non deve
avere alcun rispetto per la proprietà altrui; considererebbe sua qualsiasi proprietà estranea che troverebbe dinanzi a sé.
«Ma proprietario non è né Dio né l’uomo (la “società umana”), bensì il singolo (p. 316)». [4]

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L’individualismo anarchico di Stirner non si solo accontenta di questo, arrivando al parossismo, all’ultima espressione del
suo impeto.
«Quando il mondo mi incrocia sul cammino (e lo fa in ogni momento), io lo consumo per calmare la fame del mio
egoismo. Tu non sei per me nient’altro che il mio alimento (p. 378)». [5]
Qual è il legame che l’Unico stabilisce con il mondo attorno a sé e con gli altri individui? Egli utilizza il mondo circostante
esclusivamente per sua soddisfazione personale. Non si può nemmeno parlare di un legame vero e proprio, ma di una
personale soddisfazione estetica.
Cos’è la verità per il soggettivismo radicale di Stirner?
«Tutte le verità sotto di me mi sono care; una verità sopra di me, una verità in base alla quale io dovrei orientarmi è cosa
che non conosco. Per me non c’è nessuna verità, perché non c’è niente al di sopra di me (p. 455)». [6]
Visto che Stirner insiste più volte sulla concezione dell’io in Fichte, quale differenza ci sarà secondo lui tra la sua
concezione personale e quella di Fichte?
Quando Fichte dice «l’io è tutto», questo potrebbe far pensare che ci sia quasi un’identità tra l’io di Fichte e quello di
Stirner.
Per Stirner, l’io non è propriamente tutto, ma esso distrugge tutto. In più, Fichte parla dell’io assoluto, mentre Stirner parla
dell’io finito, individuale, dell’io concreto, dell’io deperibile.
L’io di Stirner non è l’io di Kant, un io generale e astratto, costituito da vari gradini (l’io sensibile, l’io intelligibile), ma è
un’unità concreta, che si differenzia dagli altri attraverso delle particolarità specifiche. Per Stirner, non vi è una parte
inferiore e una parte superiore dell’io, ma un’unità. I valori spirituali hanno la loro origine sia in quello che l’io possiede
come puro intelletto sia in quello che esso ha di sensibile. È merito di Stirner aver reagito contro le tendenze che
concepivano astrattamente l’io, non considerandolo nella sua particolarità concreta e specifica.
Questi sono alcuni dei tratti generali dell’individualismo anarchico di Stirner. È facile osservare quanto siano presenti le
reminiscenze di una concezione aristocratico-romantica. Il difetto fondamentale dell’individualismo stirneriano – e, in
generale, di qualsiasi individualismo aristocratico – è quello di prendere le mosse da una premessa aprioristicamente
accettata, quella cioè di una differenza qualitativa tra gli individui. Questa premessa rende impossibile sin da subito ogni
possibilità di abbozzo, per quanto schematico, di un sistema sociale.
Una simile premessa – che considera assoluta la differenziazione tra gli individui – è illusoria. Essa è il prodotto del
profondo scuotimento psichico del teorico individualista. Tralasceremo il fatto che tutti gli individualisti radicali, isolandosi
nella propria vita interiore, sono morti di alienazione mentale, e considereremo solo l’aspetto della vita interiore rapportata
alla realtà. Il vivere soggettivo del mondo distrugge ogni possibilità di comprensione del mondo esteriore. Che Stirner
appartenga alla schiera di coloro la cui analisi interiore ha distrutto la percezione della realtà è del tutto evidente. Ciò non
è tuttavia un difetto, lo è semmai un altro: il carattere estetico dei concetti politici stirneriani, il fatto di considerare il mondo
come un semplice spettacolo per l’intrattenimento di un io affetto dalla sua stessa sufficienza fino al parossismo, tutto
questo costituisce un’immoralità. Rispetto a Stirner, Nietzsche è molto più umano.
Non è accettabile una concezione estetica della vita sociale; una concezione nella quale l’individuo si diverte dinanzi allo
spettacolo doloroso del mondo contiene molto del soggettivismo romantico e, in special modo, di quella “ironia romantica”
di Friedrich Schlegel.
Che questo sia il caso, è dimostrato dal fatto che l’io di Stirner è un animale, come afferma V. Basch (L’individualisme
anarchiste. Max Stirner, p. 152), apolitico, non adatto alla vita sociale.
Così come viene concepita da Stirner, la società sarebbe un aggregato di egoisti, ognuno con i suoi moti personali,
conformanti ai dati originari del proprio essere, che si sottraggono al dominio di un qualsiasi principio di vita etica. Ma
questo aggregato non apre alcuna possibilità di sviluppo della vita sociale.
L’individualismo di Stirner rappresenta, in realtà, una distruzione dell’individuo, poiché non gli dà alcuna possibilità di
manifestarsi. Conseguentemente, qualsiasi individualismo anarchico è una formula intimamente antinomica, perché, se
da un lato esalta l’individuo, dall’altro non gli offre la possibilità di manifestarsi. Liberandolo dall’impero limitante di
qualsiasi inquadramento, gli sottrae la possibilità di valorizzare le proprie energie rapportandole ad altre.
È qui che risiede il tragico paradosso della vita individuale, che Stirner aveva vagamente intravisto: nella società,
l’individuo è oppresso e non può manifestarsi liberamente; al di fuori della società, egli non può ugualmente manifestare
sé stesso poiché, non disponendo di un inquadramento necessario, non è in grado di agire.

[1] M. Stirner, L’Unico e la sua proprietà, Adelphi, Milano, 2009, p. 216.


[2] Ivi, p. 182.
[3] Ivi, p. 11.
[4] Ivi, p. 276.
[5] Ivi, p. 327.
[6] Ivi, p. 390.

(ottobre 2016)

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