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UNI VERSI T DEGLI STUDI DI MI LANO

FACOL T DI L E T T E RE E FI L OS OF I A
Corso di laurea in Filosofia





I L GI OCO COME
I POTESI ONTOLOGI CA



Tesi di laurea di:
Micol GUFFANTI
Matr. N 609009




Relatore: Chiar.mo Prof. Carlo SINI

Correlatore: Chiar.mo Prof. Alfredo MARINI





Anno Accademico 2003/2004

Perfino la costrizione pi pazza termina in qualche modo
nella libert, e labbandono pi nero una porta verso
lincontro, latto pi indifferente e insensato unarcata di
ponte che ci sostiene, e la sorte pi orrenda un velo che
cela la bellezza. Porgiamo dunque a tutto le nostre mani
con libert e serenit, con lanimo sgombro e lieve. Non
gli daremo maggior peso che ad un gioco che si gioca
fino al limite del suo tempo, e nemmeno gli daremo
minor peso di quel che non faccia il bambino che ne
riempie la sua giornata con seriet e dedizione e che
tuttavia sempre pronto a lasciarlo a mezzo se la voce
dalla casa lo chiama dicendogli: Vieni!

PETER LIPPERT


3
INTRODUZIONE

Seriet e leggerezza. Realt e finzione. Regola e libert. In questi
binomi antitetici si situa lesperienza umana del giocare, che dunque
alle prese con una dicotomia interna lacerante, sempre superata,
tuttavia, nellazione. La complessit del fenomeno ludico manifesta
nella difficolt di definirne i confini e gli aspetti caratterizzanti, ma offre
anche la possibilit di riconsiderare alcune antitesi concettuali radicali
per il pensiero filosofico e di osservarle in qualche modo risolte in
azione.
Il movimento plasmante, vivace, innovativo e insieme totalmente
regolato e reiterato del gioco lo ha da sempre reso, almeno
poeticamente, unimmagine pregnante della vita e dellandamento del
mondo. Laccostamento tra gioco e mondo pu a prima vista sembrare
una provocazione sacrilega nei confronti di questultimo, un desiderio di
sottrarlo alla seriet dei suoi destini per ridurlo a dinamiche semplici e
calcolabili o tradurlo in commedia. Tuttavia risulta evidente e facilmente
reperibile un significato cosmico del gioco nel suo stesso svolgersi; su
una qualunque enciclopedia facile imbattersi infatti in una descrizione,
sotto la voce giochi, che riporta pi o meno queste informazioni:

Il gioco del cielo e dellinferno nel quale i bambini, una volta
disegnata unelica a forma di spirale sul suolo, saltellano su di un
piede passando per dodici riquadri e spingendo al centro un
sassolino, ritenuto un esempio di imitazione del corso del sole.
Ne derivato il gioco della campana, che simula un percorso di
prova tra cielo e inferno.
1



1
H. Biedermann, Enciclopedia dei simboli, Garzanti, Milano 1991, p. 232.
4
Si tratta, come chiaro, di unillustrazione del comunissimo gioco
del mondo o campana, in cui i bambini si cimentano spesso sui
marciapiedi, tracciando il campo di gioco con un gessetto e numerando
le caselle su cui, lanciata una pietruzza, saltellano in modi differenti (su
un piede solo, a occhi chiusi) badando a non toccare le righe divisorie e
mirando a raggiungere la casella finale del percorso, dove finalmente
possibile appoggiare entrambi i piedi e riposare prima di ritornare sui
propri passi. Questo divertimento comunissimo porta dunque ancora le
tracce del suo essere un passaggio iniziatico dallinferno al cielo, da un
universo a un altro, superiore e pacificato, in cui il gioco si conclude.
Il parallelismo non si arresta a un caso isolato, ma, attingendo alla
medesima fonte, si scopre anche che il gioco della palla porta con s
unantica tradizione di riproduzione del corso del cielo:

Palla: I giochi con la palla che pu essere fatta di caucci
(nellantico Messico), di cuoio, di lana o di stoffa rivestono un
significato simbolicocultuale in molte culture arcaiche, quasi
certamente perch la palla viene associata alla sfera del sole che
attraversa il cielo. NellOdissea (8, 374-380) Omero descrive un
gioco rituale con la palla in forma di danza, alla corte del re dei
Feaci: due ragazzi si cimentavano nel salto e nel gettare in alto
una palla vermiglia fatta di lana.
Nellusanza ecclesiastica dei giochi conventuali, si considerava la
palla come il simbolo di Cristo, il risorto sole pasquale. Questa
pelota pasquale fu celebrata ad Auxerre (Francia) sino al 1538; i
chierici danzavano cantando intorno a un labirinto tracciato sul
pavimento, al suono di un organo, e intanto si lanciavano la palla.
2


Non solo, ma, presso i Maya, il gioco della palla si ricollegava al
racconto mitico della lotta tra le divinit terrestri e solari e i demoni
dellInframondo narrato dal Popul Vuh. Il gioco era associato al culto del

2
Id., ibidem., p. 361.
5
sole che doveva rinascere ogni giorno fuoriuscendo dal mondo delle
tenebre: il campo da gioco rappresentava la terra, mentre la palla
simboleggiava il sole, pertanto il giocatore che lasciava cadere la palla
doveva essere sacrificato, poich il suo errore impediva al sole di
risorgere. A Chichn Itz, inoltre, sul limite nord e sud del campo da
gioco della pelota furono costruiti due templi dedicati rispettivamente a
Sole e Luna.
Nello svolgimento ripetuto dei pi noti giochi collettivi si mostra
dunque un intreccio indelebile, per quanto obliato, con il corso degli
astri e con il percorso della vita umana, che finisce per comporre un
ordine mondiale nella prassi ludica. Il collegamento tra il gioco e il
mondo perde cos la sua apparente arbitrariet, trovando fondamento
nelloggetto stesso di indagine, il gioco, appunto. Persino in ambito
strettamente scientifico sorta unelaborata teoria cosmologica, basata
sulle scoperte del chimico premio Nobel Eigen, incentrata sul gioco
nelle sue innumerevoli accezioni e, in particolare, sul gioco come
struttura ordinata emergente dal divenire caotico, quindi come
fenomeno guida di tutta la vicenda universale
3
.
Gi Cusano, nel dialogo Il gioco della palla, progetta un gioco
attraverso cui spiega lordine cosmico, il tempo, lo spazio e lanima
delluomo, individuando nel gioco della palla una non piccola
filosofia
4
. La variazione infinita dei movimenti della palla, le cui spinta e
traiettoria sono sempre differenti, anche per la diversit delle
circostanze, sono assimilate da Cusano al movimento degli astri e del

3
Cfr. M. Eigen R. Winkel, Il gioco: le leggi naturali governano il caso, trad. it. di
A.M. Stein Meyer, collaborazione scientifica di F. Ascoli, Adelphi, Milano 1986.
4
N. Cusano, Il gioco della palla, in Opere filosofiche, UTET, Torino 1972, p. 860.
6
tempo. Non solo, ma il movimento dellultima sfera celeste, impresso
direttamente da Dio, trova il suo parallelo nellazione che d movimento
alla palla. Dunque il movimento ludico finisce per coincidere con la
vitalit dellanima, vero motore delluomo, nella cui kinesis consiste la
vita. Il gioco della palla e i diversi punteggi ottenuti lanciandola in
direzione di una sorta di bersaglio composto da centri concentrici, il
campo di gioco ideato da Cusano, rappresentano i differenti percorsi
possibili per lanima dellindividuo. Per un cardinale come Cusano,
naturalmente, il lancio che giunge pi vicino al bersaglio quello del
cristiano che imita la vita del centro, Cristo: Vedi quanto difficile
guidare la palla curva, a seguire la vita di Cristo nel quale fu lo spirito di
Dio che lo condusse nel centro e alla fonte della vita!
5
.
Nelle pagine che seguono si cerca dunque di tracciare un
percorso nello sfaccettato universo del gioco, di cui si tratta innanzitutto
di riscoprire la pregnanza esistenziale, al di l dellesperienza infantile,
ma, soprattutto, si ha la pretesa di voler proporre il gioco come
possibile paradigma di prassi filosofica. Il risultato lattraversamento di
numerosi testi filosofici dallantichit al Novecento, e il loro
accostamento a manifestazioni di pensiero non strettamente filosofiche,
ma, forse proprio per questo, capaci di allargare alcuni orizzonti e
alcune vie lasciate in disparte dalla filosofia ufficiale. I filosofi che
studiano il gioco avvertono sempre la necessit di giustificare la loro
scelta e nel farlo spesso individuano in esso una strada interrotta del
pensiero occidentale. Si vuole allora, con loro, sottrarre alloblio questa
via quale intentato approccio al divenire del mondo. Lesperienza ludica
viene infatti studiata soprattutto per le sue riconosciute capacit di

5
Id., ibidem, p. 887.
7
presentarsi come azione critica, distorcente, alternativa, flessibile e
gioiosamente vitale. Giocando si vive e si agisce in un mondo a parte,
tuttavia concretamente esistente, fisicamente visibile e manipolabile. Ma
il mondo non a parte, quello serio e adulto non si comporta
diversamente, e nel suo moto entificante si propone come grande gioco
entro cui tutti i giochi degli uomini sono compresi e a cui essi alludono.
Il gioco viene dunque alternativamente osservato da due fronti
complementari: da un lato il gioco come costruzione di un mondo,
dallaltra lazione del mondo intesa come gioco. In tutto questo lavoro
ricorre lidea che il gioco coincida con uno specifico modo di agire:
azione ludicamente cosmopoietica. Da questa formula nasce il percorso
qui proposto in quattro tappe, quattro momenti di un gioco con i testi e
con gli stimoli argomentativi e immaginativi che essi offrono nelle
poliedriche combinazioni degli accostamenti. I concetti di gioco, danza,
musica, riso si muovono in circolo cercando il loro bersaglio, mirando a
comprendere il gioco del mondo che si offre dispiegato nei suoi
frammenti umani. Come per lanima-palla descritta da Cusano, non si
tratta forse di raggiungere lultimo circolo, ma di tentare il miglior lancio
possibile e di giocarsi le proprie chances facendo spazio al gioco nel
pensiero.



8

CAPITOLO 1

FACCIAMO UN GIOCO?: IL GIOCO COME
FENOMENO ORIGINARIO


1. GIOCO E SERIET: LHOMO LUDENS ALLORIGINE DELLA CULTURA

La riflessione sul gioco da parte della filosofia conosce un
singolare fenomeno di oblio: agli albori, infatti, della storia della filosofia
un pensatore della caratura di Eraclito risulta connesso alla tematica
ludica da molteplici fili. Successivamente sar Platone a fornire ancora
interessanti indicazioni in merito alla specificit del fenomeno del gioco,
osservazioni che non a caso fanno da sfondo a larga parte delle
considerazioni di Fink in Il gioco come simbolo del mondo. Tuttavia,
dopo i promettenti inizi, lattenzione per il gioco scema
progressivamente, e bisogner attendere il 700 e la rivalutazione
operata da Schiller per ritrovarlo nuovamente al centro degli interessi
dei filosofi puri. Proprio da Schiller occorre partire, perch nelle sue
Lettere sulleducazione estetica delluomo si incontra unaffermazione
diretta e immediata, quasi aforistica, che porta il gioco in primo piano
nellesistenza umana:

E che cosa invero significa un semplice gioco, dal momento che
sappiamo che tra tutti gli stati delluomo per lappunto il gioco ed
unicamente il gioco ci che lo fa completo e nello stesso tempo
sviluppa la sua duplice natura? []

9
Ed invero, per riassumere finalmente, luomo gioca unicamente
quando uomo nel senso pieno della parola ed pienamente
uomo unicamente quando gioca.
1


Essenza umana e gioco coincidono: per Schiller ci che per Kant
resta un ideale, il libero gioco delle facolt esercitato nellesperienza
estetica con laccordo di libert e necessit, diventa oggetto di
unesperienza possibile concretantesi nellattivit ludica
2
. Nel gioco si
realizza pienamente lideale della bella umanit, dellanima bella cui la
pedagogia schilleriana mira, dal momento che in esso si esplica
limpulso mediatore che unisce le due spinte primarie che si
combattono nelluomo, vita e forma: listinto materiale o sensibilit
spinge luomo al mutamento, mentre la forma conduce allimmutabilit
dellordine e della ragnatela dei concetti. Laccordo tra i due si realizza,
secondo Schiller non nella subordinazione delluno allaltro ma in un
difficile equilibrio, consentito dal gioco, in cui ha luogo lepifania del
bello. Larte, intesa come gioco, si propone dunque come
pedagogicamente ineludibile, dal momento che leducazione alla
bellezza formazione alla cooperazione armonica dei due impulsi e,
quindi, in quanto sganciamento dal dominio assoluto delluno o
dellaltro, educazione alla libert. Il gioco tiene pertanto in equilibrio la
bilancia, ma soprattutto realizzazione della pienezza di verit e gioia.
Nel gioco lapparenza diviene sovrana sulla realt e luomo gode del
suo fare che apre prospettive infinite e multicolori e, cos agendo, d
modo alla cultura e alla civilt di continuare a crescere, ampliando

1
F. Schiller, Lettera decimaquinta, in Lettere sulleducazione estetica delluomo;
Callia o Della bellezza, traduzione, introduzione e note di A. Negri, Armando
Editore, Roma 1971, pp. 172-174, passim.
2
Cfr. N. Bosco, Il gioco, la festa, la fantasia, Cooperativa Editrice LArca, Torino
1982, pp. 42-44.

10
indefinitamente nel gioco dei possibili la realt posseduta. Lirrealt
propria del gioco non da svalutare in una presunta minorit
ontologica, ma va apprezzata come un sapere di pi e una percezione
di nuove connessioni
3
. Tra il caos della vita e lordine della forma si
muove allora, mediando e trascendendo entrambi, lo Spieltrieb, che
conferisce allumanit la propria specificit e potenza creativa,
consentendo la formazione di un soggetto integrale e armonico, che
sappia vivere, come nella lontana classicit, ugualmente bene il proprio
legame con la natura e con lo spirito. La conciliazione non si traduce in
un annullamento reciproco, ma il senso del gioco consiste in un
potenziamento dellinterezza a scapito dellunilateralit. Il gioco
sospensione in cui non si consente alla fissit di essere catena e
neppure al ribollire della vita di distruggere ci che stato, ma
lesistenza si rimette in gioco in un creativo aver a che fare sempre con
se stessa, vale a dire con la propria provenienza e con un avvenire da
progettare presentendolo nel presente di una nuova configurazione
ludica e non dogmatica.

Il momento di determinabilit estetica , per luomo, un
potenziamento. Infatti, egli riacquista tutte intere le sue
potenzialit e perde lunilateralit e la determinatezza del passato;
nel contempo, per, la determinabilit estetica non totale n
vuota, perch conserva i contenuti delle precedenti realizzazioni
delluomo. Il gioco sospende e interrompe. []
Con una deviazione semantica un poazzardata si potrebbe dire
che nel gioco si ritorna ad essere come bambini, ma non si torna
bambini.
Nel gioco il passato perde il suo carattere di inevitabilit, si riapre
alla possibilit, anche se mantiene il proprio status di passato. Il
presente si potenzia infinitamente perch, nel gioco, si fa

3
Cfr. R. Pistorio, Con ali e con radici. Sotto il segno del gioco, Edizioni Greco, Catania
1999, pp. 29-41.

11
addirittura reale ogni possibilit. Il futuro si apre ad ogni
eventualit. Giocando, ci si rimette in gioco e si accetta il rischio
di un nuovo inizio.
4


La sovrapposizione operata e argomentata da Schiller tra
umanit e ludicit lascia perplessi, data la storica avversit tra la
composta seriet del pensiero, considerato tratto caratteristico
dellumano, e la mobilit fanciullesca del gioco. Tuttavia Schiller coglie
nel gioco la possibilit di fornire una rappresentazione pi completa
delluomo, che sappia dar conto del suo reale agire nel mondo meglio
della tradizionale raffigurazione dualistica di un essere scisso tra
bestialit e divinit. Luomo media tra le sue due nature, ma anche abita
la dualit del mondo che ripropone alla vista costantemente un conflitto
tra ordine e caos, e lo fa giocando sempre nuovi giochi. Luomo che
gioca forma se stesso corrispondendo alla sua natura, e solo cos
apprende anche come inserirsi nello spazio del mondo, in cui tenta
sempre di riorientarsi. Non va dunque scisso il riferimento al gioco
umano da un pensiero cosmologico: infatti, in principio, Eraclito a
portare alla ribalta il gioco in modo prepotente, ancorando il suo
richiamo nientemeno che al corso del mondo.

Il tempo un bimbo che gioca con le tessere di una scacchiera: di
un bimbo il regno.
[ain pis est pizon pessuon: paids basilie].
5


Nel celebre frammento eracliteo compare una figura
emblematica, prima ancora dellazione del giocare: quella del bambino.

4
M. Gargano, Il gioco e il tragico, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1991, pp. 84-
85.
5
Eraclito, I frammenti e le testimonianze, testo critico e traduzione di C. Diano,
commento di C. Diano e G. Serra, Fondazione Lorenzo Valla, Mondadori, Milano
1980, fr. 52 DK, p. 25.

12
In greco bambino che gioca suona pis pizon, in una espressione
densissima, in cui si rileva immediatamente la comune radice del
termine bambino e dellattivit ludica. In questo inscindibile legame
consiste anche uno dei grandi fraintendimenti che segneranno la storia
della considerazione del gioco in ambito filosofico: la caratterizzazione
come attivit infantile per eccellenza ha infatti prodotto un suo
scadimento nel campo delle ovviet da tutti esperite e conosciute, ma
marginali per lesistenza e la speculazione. Emblematico il disappunto
di uno degli autori cardine della novecentesca speculazione sul gioco,
Johan Huizinga, che associa la cattiva sorte filosofica del gioco al suo
riferimento, innanzitutto terminologico, allinfanzia:

Levoluzione di tale idea nello spirito ellenico impedita tuttavia
dal fatto semantico che indicammo gi prima: in greco, alla parola
indicante gioco paidi si connette troppo, a causa della sua
origine etimologica, il significato di gioco infantile, frivolezza.
Paidi poteva difficilmente indicare le forme superiori del gioco,
giacch il pensiero di bambino vi si univa inseparabilmente.
Quelle forme superiori trovarono perci la loro espressione in
termini di significato ristretto come agn gara, scholazein
passare il tempo libero, diagoge letteralmente: modo di vivere,
trascorrimento. Ecco perch alla mente greca sfugg il
riconoscimento che tutti questi concetti sono riuniti in un unico
concetto comune.
6


Nella prospettiva generale, infatti, gioco e seriet si oppongono,
ma Huizinga non dello stesso avviso, tanto che dedica le prime pagine
di Homo ludens a una chiarificazione della nozione di gioco proprio
disinnescando tale contrapposizione. E merito di questo studioso,
infatti, mostrarsi consapevole della necessit di affiancare nellattivit
ludica la massima seriet con la quale il giocatore, sia esso il bambino

6
J. Huizinga, Homo ludens, Einaudi, Torino 1973, p. 188.

13
piuttosto che il maturo giocatore di scacchi, si rapporta al proprio
giocare allaltrettanto evidente coscienza del giocatore del suo agire
solo per finta e per gioco. Proprio questa apparente contraddizione
rappresenta tra laltro uno tra gli aspetti pi fecondi della riflessione sul
gioco, che entra cos in interazione con le teorie relative al rapporto tra
immagine e realt. Dellapparente inconciliabilit tra gioco e seriet,
Huizinga afferma:

Nella nostra coscienza il gioco si oppone alla seriet. Il contrasto
rimane provvisoriamente tanto irriducibile quanto la nozione
stessa di gioco. Osservandola meglio, lopposizione gioco-seriet
non pare n conclusiva n stabile. [] Bambini, calciatori, scacchisti
giocano con la massima seriet senza la minima tendenza a ridere.
7


A conclusione della successiva disamina linguistica che compara
le terminologie dei pi svariati idiomi in riferimento al gioco, la
contrapposizione tra gioco e seriet negata su nuove basi: tutte le
lingue, infatti, testimoniano una nascita posteriore del termine
traducibile con serio rispetto a quelli legati alla sfera semantica ludica,
quasi si trattasse di uno sforzo secondario di definizione di ci che in
origine in realt solamente non-gioco, pertanto una categoria
esclusivamente negativa di contro alla nozione positiva di gioco:

Il contenuto semantico di gioco, invece, non affatto circoscritto
n esaurito dalla non seriet. Gioco una cosa a s. Il concetto
gioco come tale dun ordine superiore a quello di seriet.
Perch la seriet cerca di escludere il gioco, ma il gioco pu
includere benissimo la seriet.
8



7
J. Huizinga, op. cit., p. 8.
8
J. Huizinga, ibidem, p. 54.

14
Per quanto concerne, invece, la consapevolezza del carattere
fittizio dellazione ludica, Huizinga non potrebbe essere pi chiaro:

Gioco non la vita ordinaria o vera. E un allontanarsi da quella
per entrare in una sfera temporanea di attivit con finalit tutta
propria. Gi il bambino sa perfettamente di fare solo per finta, di
fare solo per scherzo.
9


Lapologia di Huizinga nei confronti del gioco non si limita
tuttavia a una confutazione delle opinioni che ne giustificano la
marginalit, ma si spinge a unaffermazione positiva del ruolo e della
natura del gioco: in primo luogo gli conferisce lo statuto di funzione che
oltrepassa quelle meramente biologiche di sopravvivenza,
riconoscendogli un contenuto di senso e di significato. Non solo, ma,
come esplicito nel titolo dellopera, il gioco senso della vita e luomo
lente che ha come essere il gioco
10
. Non il gioco come
comportamento tra gli altri, e, neppure, come momento preparatorio
che avvenga in funzione di unaltra cosa, ma il gioco come riferimento
primario cui ancorare la biologia come la psicologia perch lo stesso
gioco ad essere la logica del mondo nel senso di essere del mondo
11

loggetto che Huizinga si propone di sviscerare nel suo saggio. Proprio
lo sganciamento da una lettura del gioco in termini fisiologici consente
a Huizinga di collocarlo nellalta sfera dello spirito, opposto alla materia
e allesistenza fisica, poich il gioco sovrabbondante rispetto alle
esigenze di autosussistenza gi, sostiene Huizinga, in ambito non

9
J. Huizinga, ibidem, p. 11.
10
Cfr. G. Brescia, Il gioco come momento ermeneutico, in in Il gioco come
momento ermeneutico, Atti del seminario di studi Momenti del gioco, 18
dicembre 2000a cura di Matteo Borri, Edizioni Giuseppe Laterza, Bari 2002, pp. 19-
70. Per questo argomento, cfr in particolare pp. 34-37.
11
G.Brescia, ibidem, p. 34.

15
umano, ma animale. Solo il riconoscimento dello spirito consente allora
la giustificazione dellesistenza dellentit gioco, innegabile alla luce
dellesperienza. La presenza del gioco nellorizzonte del mondo induce
al superamento di unipotesi puramente meccanicistica, assegnando
cos allessere umano che non solo gioca, ma sa di giocare, un luogo
sopralogico e al di fuori del raziocinio perch il gioco addirittura
irrazionale, se letto secondo lo schema imperante imposto dalla
seriet, che si mostra invece un derivato rispetto al gioco
12
. Al di fuori
della pseudo-logica della seriet, invece, il gioco ritrova il suo essere
senso e regola del mondo.
Il progetto di Huizinga, in un momento storico che vede profilarsi
allorizzonte la minaccia nazista e il secondo conflitto mondiale, quello
di una pionieristica riabilitazione del gioco quale paradigma alternativo
di ri-fondazione culturale, dal momento che loriginario humus ludico da
cui si generata la civilt sembra essersi perso. Lo scandaglio di ogni
esperienza, dalla pi immediata, quella linguistica, alle pi alte vette del
diritto e del pensiero, rivela al fondo una struttura comune riconducibile
a un originario sostrato ludico. La tesi di una cultura generata dallo
spirito ludico sostenuta a chiare lettere:

Parlando dellelemento ludico della cultura, non intendiamo dire
che fra le varie attivit della vita culturale i giochi occupino un
posto importante, e neppure che la cultura provenga dal gioco per
un processo di evoluzione, di modo che ci che in origine era
gioco sia passato pi tardi in qualcosa che non sia pi gioco e che
possa portare il nome di cultura. La concezione chiarita qui sotto
la seguente: la cultura sorge in forma ludica, la cultura dapprima
giocata. [] nei giochi e con i giochi la vita sociale si riveste di
forme soprabiologiche che le conferiscono maggior valore. Con
quei giochi la collettivit esprime la sua interpretazione della vita e

12
Cfr. J. Huizinga, op. cit, p. 6.

16
del mondo. Dunque ci non significa che il gioco muta o si
converte in cultura, ma piuttosto che la cultura, nelle sue fasi
originarie, porta il carattere di un gioco, viene rappresentata in
forme e stati danimo ludici.
13


Il rapporto tra il gioco e la cultura non n di evoluzione n di
derivazione, ma, appunto, si tratta di cogliere qualcosa come uno
spirito, unaura ludica della cultura che, a parere di Huizinga, va
recuperato dalloblio
14
.
Nella presentazione dellargomento centrale del suo studio, tra
laltro, Huizinga giunge a percepire il gioco come interpretazione della
vita e del mondo da parte di una comunit. Non si tratta di una
proposizione isolata nel testo, ancorch in un luogo centrale, ma sin
dalle prime pagine di Homo ludens sviluppata unanalisi sinergica di
gioco e sacro che produce una riconduzione delluno allaltro, da
intendersi come mondi provvisori conchiusi entro il mondo ordinario. Il
ricorso al termine mondo insistito e voluto, cos come lidea che il
gioco, come il rito, sia in grado di creare un ordine, un ksmos
15
, che
esplicitamente Huizinga riporta sul terreno estetico della bellezza
classica come ritmo e armonia. Ancora sullonda del parallelismo con
lesperienza del culto, il gioco viene ricondotto al suo carattere di
rappresentazione intesa per lo pi nel senso di unapparente
realizzazione di una realt migliore e pi elevata. Nel sacro tale
realizzazione raggiunge laltezza mistica dellapparizione dellinvisibile e
dellineffabile che si concreta in una bella forma. Ma il gioco, come il
sacro, azione, fare lordine.

13
J. Huizinga, ibidem, p. 55.
14
Cfr. R. Pistorio, op. cit., pp. 109-114 e M. Gargano, op. cit., pp. 11-14.
15
Ed ecco qui un nuovo carattere positivo del gioco: esso crea un ordine, un
ordine. [J. Huizinga, op. cit., p. 14].

17

Lazione figura un avvenimento cosmico, non soltanto per come
rappresentazione, ma come identificazione. [] La sua funzione
non un puro e semplice imitare, ma un partecipare, nel doppio
senso di comunicare e di co-agire.
16


Lumanit gioca ( lespressione di Leo Frobenius) lordine della
natura come questa le si palesata. [] Cos, in e mediante questo
gioco, lumanit realizza di nuovo gli avvenimenti rappresentati,
contribuisce a mantenere lordine del mondo. Anzi, ben altro
risulta ancora da quel gioco. Perch dalle forme del gioco-culto
sorto lordine della societ stessa, il principio della sua primitiva
forma governamentale. Il re il sole, la sovranit unimmagine
riflessa del corso solare.
17


Huizinga, riportando alcuni risultati delle indagini di Frobenius,
trova testimonianze che confortano la sua tesi. Egli condivide con
Frobenius la concezione rappresentativa del gioco nella sua accezione
partecipativa, per cui, in quanto azione, e azione umana per eccellenza,
esso non tanto imitazione, ma nel ri-presentare la natura in tutte le
sue forme, innanzitutto uno sforzo di intellezione del corso delle cose.
Solo in questo senso si pu concepire unaffermazione come quella per
cui il gioco contribuisce a mantenere lordine cosmico. Nellinterpretarlo
lo perpetua e lo segue, come dimostra, tra laltro, la formulazione della
sovranit sul modello solare.
Rispetto alle analisi di Frobenius, tuttavia, Huizinga propone una
concezione pi forte del giocare in quanto tale, ribadendo lautonomia
e lirriducibilit dellazione ludica a un ruolo strumentale di mera
espressione di qualcosaltro. Non casuale, secondo Huizinga, che la
forma in cui si concretizza lo sforzo cosmico del culto primitivo sia
proprio quella ludica; solo in seguito si produce questa alienazione del

16
Id., ibidem, p. 19.
17
Id., ibidem, p. 19.

18
gioco come presentazione di un contenuto altro rispetto al suo essere
agito. Originariamente il gioco laccordarsi stesso delluomo con il
cosmo, lesser parte dellordine mondiale.

Solo in una pi tarda fase della vita sociale viene a collegarsi a quel
gioco la nozione che in esso una cosa si esprime, una
rappresentazione cio della vita. Ci che fu gioco senza parole
acquista forma poetica. Nella forma e nella funzione di un gioco
(che una qualit indipendente del vivere) lidea di essere poi
compresi in un cosmo, cio in un ordine sacro, ottiene la sua
primeva e suprema espressione.
18


Di fatto lo spirito ludico coincide per Huizinga con
latteggiamento agonale, consistente di fatto nel giocare per qualcosa
allo scopo di vincere, cio di risultare il migliore. Questo slittamento dal
gioco alla gara facilita indubbiamente loperazione huizinghiana di
allacciamento del gioco alle pi svariate forme culturali, dal diritto alla
guerra, ma costituisce anche inevitabilmente uno dei maggiori limiti
della lettura di Huizinga, che pure porta numerose testimonianze delle
usanze competitive dei popoli dei diversi angoli della terra,
individuandone la struttura base nel competere per qualcosa in
qualcosa e con qualcosa. Inoltre, riportando ulteriormente lesperienza
della gara allanalogia con lordine cosmico, Huizinga individua
correttamente che la vittoria ludica si presenta come una
rappresentazione simbolica: la vittoria in una corsa va intesa come una
realizzazione in figura del giusto trionfo del bene (i valori di cui si fa
portatore il vincitore) sul male (i valori propugnati dal perdente). Il
trionfo ludico obbedisce cio al destino del mondo, accordandosi
armoniosamente con fato e fortuna. Ricongiungendo il gioco alla

18
Id., ibidem, p. 23.

19
divinit, inoltre, Huizinga ricorda la presenza del gioco dei dadi nella
mitologia di molte civilt come avvenimento corrispondente alla genesi
del mondo:

Curiosi rapporti collegano le immagini di dado e freccia. Il mondo
stesso pensato come una partita di dadi che Siva gioca con la
moglie. Le stagioni, rtu, sono ideate come sei uomini che giocano
con dadi doro e dargento. Anche la mitologia germanica conosce
un gioco sul tavoliere per gli dei. Dopo che il mondo fu ordinato,
gli dei si riunirono per una partita di dadi, e quando, dopo la sua
fine, il mondo rinasce, gli Asi ringiovaniti ritroveranno i tavolieri
doro posseduti una volta
19
.

Il mondo scaturisce dunque da una partita a dadi, e il vincitore
impone il proprio ordine alluniverso che nasce, cos come laristos,
luomo maggiormente dotato di virt, cio di aret, tale non per una
qualche astratta definizione della virt stessa a cui si conforma, quanto
perch pi abile e idoneo nellambito di una certa particolare prassi. La
conclusione di Huizinga emblematica della centralit da lui attribuita
al fattore competitivo nella questione del gioco, considerato
lespressione innata e universale dellaspirazione umana a un fine pi
alto di superiorit terrena o di vittoria contro la morte. Analogamente in
forma di gioco-lotta, teso a provare una superiorit che si traduce poi in
giustizia o potere, sono interpretate le dinamiche del processo
giudiziario e della guerra, intesi entrambi come intreccio tra
luguaglianza iniziale dei contendenti, la loro abilit nel rispetto delle
regole del gioco e lespressione del destino e della sorte.
Tuttavia, la componente vitale del gioco come gara si presta
secondo Huizinga anche a descrivere la radice ultima del sapere. La

19
Id., ibidem, pp. 69-70.

20
conoscenza, e la priorit concessa da Huizinga alla dimensione
linguistica lo conferma, innanzitutto dar nome alle cose, il che
significa, implicitamente, dar ordine al mondo con cui si ha a che fare,
pertanto il sapere ha originariamente una forza magica di relazione
diretta con lordine cosmico, che si presenta plasticamente negli inizi
della sophia nella forma di enigmi e indovinelli sacri, aventi spesso per
posta la vita stessa del supposto sapiente. Lincontro tra Edipo e la
Sfinge costituirebbe in tal senso una chiara testimonianza dellorigine
ludica della filosofia come sapienza cosmica. Non va tralasciato inoltre
che, come accenna Huizinga, proprio il bambino, soggetto ludens per
eccellenza, un formidabile formulatore di domande cosmografiche,
intese a produrre una mappatura del mondo, per molti tratti ancora
ignoto, cui il gioco risponde praticamente in modo immediato, e che
proprio Eraclito che, per primo, pone allattenzione della filosofia il tema
del gioco, anche colui che riconosce Polemos
20
, la lotta tra i contrari e
la loro interazione, come forza cosmogonica. Le antilogie sofistiche e il
dialogo socratico-platonico sarebbero gli eredi agonali di questi primi e
ben pi pericolosi indovinelli sacri, la cui giusta soluzione scioglie
lenigma dei simboli e fornisce una geografia delluniverso finalmente
visibile nelle sue trame.

Si esercita la sapienza come un sacro cimento di abilit. La filosofia
nasce qui in forma ludica. E incontestabile che la domanda
cosmogonica, come sia avvenuto tutto ci che nel mondo,
costituisca una delle occupazioni primarie dello spirito umano. La
psicologia sperimentale del bambino dimostra che molte delle
domande poste da un bambino di sei anni sogliono essere
dindole cosmogonica: chi fa scorrere le acque, da dove viene il

20
Il conflitto padre di tutte le cose, e di tutte re: e gli uni fece dei, gli altri
uomini: gli uni servi, gli altri liberi. fr. 53 DK, in Eraclito, op. cit.., p. 13.

21
vento; e poi si notino le molte domande intorno allessere morto,
ecc.
21


Nonostante, dunque, lo studio di Huizinga sia mosso da ragioni
che esulano dallindividuazione di un rapporto essenziale tra il gioco e il
cosmo, tuttavia la sua disamina percepisce in luoghi centrali tale
legame. Il posto assunto dalla questione tanto pi importante in
quanto non fa parte dello scopo dichiarato o della tesi centrale
dellopera rilevarla. Un ulteriore approfondimento in tal senso
riportato nel capitolo di Homo ludens dedicato alle Forme ludiche
dellarte, in gran parte occupato da riflessioni sulla mousik, nel largo
senso greco che comprende canto, accompagnamento strumentale e
danza e, pi in generale le arti a cui sovrintendono Apollo e le Muse, di
contro alle arti plastiche e meccaniche. Huizinga si rif a un passo delle
Leggi
22
in cui Platone sostiene che le feste votive costituiscono un dono
consolatorio offerto dagli dei agli uomini per concedere loro una pausa

21
J. Huizinga, op. cit., p. 127.
22
Ma poich queste sono forme di educazione al retto orientamento del piacere e
del dolore, vengono meno in gran parte agli uomini e si corrompono troppe volte
nella vita, e gli dei pietosi del genere umano nato a soffrire concessero una tregua
e la fissarono nella successione di feste dovute alla divinit, e compagni di festa
diedero le Muse e Apollo musegeta e Dioniso perch gli uomini ne fossero di
nuovo guidati alla rettitudine e la loro educazione durante il divertimento fosse
corretta per virt divina. Bisogna dunque vedere se un discorso vero, secondo la
natura delle cose, quello che ora cantiamo su questo argomento o se non lo . Esso
dice che ogni giovane animale, per cos dire, non pu star fermo col corpo e in
riposo con la voce, ma sempre tende a muoversi ed a gridare, e alcuni saltano e
rimbalzano come se prendessero piacere nella danza e nel gioco, altri urlano in
tutti i toni. Gli altri animali diversi dalluomo non sono sensibili allordine ed al
disordine di questi moti, cio al ritmo e allarmonia, cos si chiamano, ma a noi,
quegli dei che dicemmo esserci stati donati compagni di danza, ci furono anche
donatori della piacevole sensibilit del ritmico e dellarmonico: e cos essi
sollecitano i nostri movimenti e guidano i nostri cori legandoci lun laltro con la
danza e coi canti, e li hanno detti cori per il nome gioia che vi interiormente
connesso. [Platone, Leg., 653d654a, trad.it. di A. Zadro, in vol. VII Minosse, Leggi,
Epinomide, in Opere complete, Laterza, Roma-Bari 1987 p. 64]. Cfr., inoltre,
Platone, Leg., 667e, cit., p.80.

22
dalle afflizioni. Durante le feste, prosegue Platone, grazie al conforto
delle Muse si ristabilisce una comunanza con gli dei e con lordine delle
cose. Se tuttavia proprio degli esseri giovani di ogni specie animale il
giocare muovendosi, saltellando, ballando e emettendo suoni, alluomo
concesso in via del tutto eccezionale di saper apprezzare in queste
azioni la distinzione tra ordine e disordine, cogliendo il ritmo e
larmonia. Ecco dunque chiaramente stabilito un raccordo tra la musica
e il gioco e rivendicato il ruolo educativo della musica nellacquisizione
di uno status propriamente umano coincidente con lattitudine a
cogliere le giuste misure e le correlazioni tra le cose. E noto, inoltre, che
gi i pitagorici parlavano dellarmonia musicale, non udibile
dallorecchio umano che vi immerso, prodotta dalle sfere celesti nel
loro movimento eterno. Leducazione musicale riproduce pertanto nel
microcosmo uomo quella stessa armonia che governa i cieli,
accordando lumano con luniversale. Il gioco e la musica, quindi, pur
rientrando nellalveo dellozio, portano con s una compiutezza che,
non contenendo pi alcun affanno dovuto alla tensione verso ci che
non si possiede ancora, costituisce una realizzazione precaria e
temporanea del fine della vita stessa, il raggiungimento della felicit. Il
godimento musicale, come accenna Aristotele nella Politica
23
, si avvicina

23
Aristotele, Pol., 1339a 1340a, in vol. IX Politica; Trattato sulleconomia, trad.it.
di R. Laurenti, in Opere, introduzione a cura di G. Giannantoni, Laterza, Roma-Bari
1973, pp. 269-272 e, in particolare: Tutti i piaceri innocenti non solo sono
convenienti al fine, ma anche al riposo poich raramente capita agli uomini di
raggiungere il fine, mentre spesso si riposano e si danno ai divertimenti, non tanto
in vista dun ulteriore oggetto, ma solo per il piacere, sarebbe utile trovare riposo
nei diletti che dalla musica derivano.
E per capitato agli uomini di farsi dei divertimenti un fine: in realt pure il fine
contiene forse un piacere, anche se non uno qualsiasi, e cercando questo prendono
laltro come se fosse questo, perch ha una certa eguaglianza col fine delle azioni. E

23
al tlos delleudaimona perch non ricercato per qualche beneficio
futuro ottenibile mediante esso, ma per se stesso. Chiaramente,
secondo Huizinga, lo stesso vale per il gioco, anche se Aristotele non ne
fa menzione.
Un ulteriore tratto caratteristico avvicina lesperienza musicale al
gioco, allorch si veda nella musica, come Platone nella Repubblica,
unarte imitativa, che pertanto riproduce nelle sue differenti tonalit
stati danimo e situazioni. Limitazione, nel richiamato passaggio
platonico, ha chiaramente una connotazione ludica
24
.
Infine, come il gioco, la musica vive nella sua esecuzione e
ripetizione. Tale aspetto risulta evidente nellesperienza della danza:

Larte musica azione, e viene goduta come azione nellesecuzione
ogni volta che questa si ripete. [] Orbene, quellazione stessa colla
quale e nella quale viene creata e subita larte musica pu dirsi un
gioco.
25


La parte conclusiva di Homo ludens rappresenta il tentativo di
dipanare uninterpretazione della storia sub specie ludi mediante
lindividuazione del maggiore o minore rilievo dellelemento ludico in
periodi pi recenti di civilt, allo scopo di mostrare che non solo nelle
radici delle forme di vita sociale allopera il fattore-gioco, ma che esso
si declina differentemente in periodi meno arcaici. Certamente si tratta

infatti il fine non desiderabile in vista di qualcosa che ne risulter, e i piaceri di tal
sorta non lo sono in vista di qualcosa che ne risulter.
24
In questo, a quanto pare, ci siamo messi bene daccordo, che limitatore nulla
sappia di serio su ci che imita, ma che la mimesi sia come un gioco e non una
cosa seria [allinai paidin tina ka ou spoudn tn mmesin], e che quelli che
trattano la poesia tragica in giambi e in metri epici siano tutti quanto mai mimetici.
[Platone, Resp., 602b, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1997, vol. II, p. 358.
Sottolineature mie].
25
J. Huizinga, op. cit., p. 195.

24
dellapporto meno convincente fornito dallopera di Huizinga, anche se
funzionale allapertura delle conclusioni del testo, che si propongono
unanalisi del ruolo del gioco nella cultura contemporanea. La posizione
di Huizinga in proposito non potrebbe essere pi netta: di fronte a
unapparente reviviscenza della ludicit nel fenomeno dello sport,
bisogna invece rilevare che la crescente sistemazione e il
disciplinamento del gioco producono un venir meno della pura qualit
ludica. Il fenomeno del professionismo mostra come si vada perdendo
lautentico atteggiamento ludico, caratterizzato innanzitutto dalla
spontaneit. Lagonismo economico-capitalistico introduce
surrettiziamente una logica sportiva in ambito produttivo e commerciale
per aumentare la propria efficienza, ma in tal modo capovolge il
processo culturale naturale riducendo il ludico a seriet. Daltro canto,
al di fuori del professionismo sportivo e della competizione industriale,
il gioco nella vita sociale si trova nella forma reietta che Huizinga
definisce puerilismo, cio ricerca dello svago a tutti i costi, del
massificato e banale passatempo. In questa dimensione il gioco perde
ogni valore formativo, ma anche ogni pretesa cosmogonica. Non
stupisce allora che Huizinga sia stato costretto a sterrare dalloblio le
radici dellesperienza del gioco, spingendosi per recuperarle negli stadi
pi arcaici dellavventura sociale umana e riconoscendo cos proprio
nellimpulso ludico la molla dello sviluppo della civilt che, giunta
tuttavia al suo estremo limite, deve evitare il tracollo, incarnato
nellazione del totalitarismo nazista, ritrovando lautentico Spieltrieb
delle origini. La chiusura di Homo ludens un ammonimento che
giustifica tutta lindagine svolta e che ribadisce lirrinunciabilit del
gioco come perno di una riflessione, prima ancora che sulla cultura e la

25
sua storia come quella operata da Huizinga, sulla natura delluomo e
del suo rapportarsi al cosmo:

E cos siamo ormai giunti ad una conclusione: cultura vera non pu
esistere senza una certa qualit ludica, perch cultura suppone
autolimitazione e autodominio, una certa facolt a non vedere
nelle proprie tendenze la mira ultima e pi alta, ma a vedersi
racchiusa entro limiti che essa stessa liberamente si imposti. La
cultura vuole tuttora, in un certo senso, essere giocata dopo
comune accordo, secondo date regole. La cultura vera esige
sempre e per ogni rispetto fair play. E fair play non altra cosa che
lequivalente espresso in termini di gioco, di buona fede. Il guasta-
gioco guasta la cultura stessa. Se questa qualit ludica vorr
creare o promuovere la cultura, allora dovr essere pura. Non
dovr consistere nel pervertimento o nellabbandono delle norme
prescritte da ragione, umanit e fede. Non dovr essere una falsa
apparenza dietro la quale si mascheri un disegno di realizzare date
mire con forme ludiche appositamente coltivate. Il vero gioco
esclude ogni propaganda. Ha in s la sua finalit.
26



2. A PARTIRE DAI GIOCHI: CLASSIFICAZIONE E ANALISI SOCIOLOGICA
IN ROGER CAILLOIS

Roger Caillois, uno dei massimi continuatori della via aperta da
Huizinga, si preoccupa meno di altri di giustificare il suo interesse per il
gioco, dal momento che la sua lettura del fenomeno prettamente
classificatoria e non mira a identificarlo necessariamente come
fondamento della cultura o del mondo, quanto piuttosto a reperirvi
lazione di differenti impulsi caratteristici della natura umana. Tuttavia
anchegli, volendo impostare unanalisi sociologica che legga le
differenti tipologie di societ succedutesi nei secoli a partire dalla
temporanea predominanza di alcuni degli impulsi ludici sugli altri, sente

26
Id., ibidem, pp. 248-249.

26
il bisogno di smarcarsi da precedenti analisi che hanno identificato
studio dei giochi e studio dei giocattoli. A tale proposito Caillois mette
in moto una contrapposizione tra la posizione propugnata da Huizinga,
secondo cui tutta la cultura si origina dal gioco
27
, e la prospettiva usuale
che vede invece il gioco e il giocattolo come schiettamente puerili,
lasciati appunto al bambino mentre ladulto si dedica a pi importanti
occupazioni, spesso, anzi, stadio ultimo della decadenza e delloblio di
attivit anticamente solenni e decisive proprio per gli adulti (incantesimi,
riti magici, armi cadute in disuso, ecc.). Pur giudicando eccessiva la
pretesa di definire e descrivere una cultura a partire dai suoi giochi,
Caillois, come Huizinga, avverte il bisogno di fare del gioco una
categoria adatta anche allesperienza delladulto, data lattrazione che,
anche in forme volutamente ignorate da Huizinga come il gioco
dazzardo, esso esercita su individui di ogni et. Non solo, ma Caillois
sottolinea come il gioco interessi spesso luomo adulto come e pi di
unattivit professionale, rappresentando unesperienza di una tale
intensit da non poter essere ignorata
28
. Se il gioco, daltra parte,
chiaramente identificabile come una presenza parallela rispetto alla vita
ordinaria e se il gioco infantile interpretabile anche come imitazione e
preparazione alla vita adulta, ci non deve indurre a dimenticare che
ladulto continua a giocare e, soprattutto, che gioco e vita sono
costantemente e in ogni campo antagonisti e simultanei
29
. A parere di
Caillois dunque, la prospettiva che evidenzia una priorit temporale del
gioco sulla struttura seria o cultura feconda cos come lo sguardo

27
R. Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, Bompiani, Milano 1995,
pp. 75-76.
28
Id., ibidem, p. 86.
29
Id., ibidem, p. 82.

27
opposto, dal momento che Tutto ci che si esprime nei giochi non
diverso da quanto esprime una cultura. La motivazione profonda
coincide
30
. Inoltre Caillois, sfruttando questa che non solo
unanalogia che utilizza il gioco come metafora di una civilt, ma un
rilievo di carattere strutturale, si spinge a tracciare un parallelo tra
trasformazione e evoluzione delle regole del gioco da un lato e
aggiustamenti e rivoluzioni interni a una societ dallaltro
31
. Pur
mostrando cautela, rispetto al pi deciso taglio huizinghiano nei
confronti di una totale identificazione tra gioco e cultura, Caillois si
schiera comunque senza reticenze su una posizione di sostanziale
identificazione tra motivazioni fondanti dellesperienza ludica e della
prassi culturale.
Caillois sembra individuare nel gioco, cos come fa Wittgenstein
nel definire limportanza dellanalisi dei giochi linguistici
32
, una sorta di
laboratorio in cui le dinamiche rinvenibili anche nello snodarsi di una
cultura sono visibili in modo trasparente, non inquinate dalleccessiva
complessit che la rete dei rapporti umani apporta allorch si ha a che
fare con la vita ordinaria delle istituzioni culturali. In questo senso si pu
interpretare la scelta espressiva di Caillois di definire il mondo del gioco

30
Id., ibidem, p. 84.
31
Id., ibidem, pp. 83-84.
32
I giochi di linguaggio sono modi di usare i segni, modi pi semplici di quelli nei
quali noi usiamo i segni del nostro complicatissimo linguaggio quotidiano. I giochi
di linguaggio sono le forme di linguaggio con le quali un bambino comincia ad
usare le parole. [] Quando noi consideriamo tali forme di linguaggio semplici, si
dissolve la nebbia mentale che sembra avvolgere il nostro uso comune del
linguaggio. Noi vediamo attivit, reazioni, che sono nette e trasparenti. Dallaltra
parte, in questi processi semplici, noi riconosciamo forme di linguaggio che non
sono del tutto separate dalle nostre forme di linguaggio pi complicate. Noi
vediamo che le forme complicate si possono costruire a partire dalle forme
primitive aggiungendo gradualmente forme nuove. [L. Wittgenstein, Libro blu, in
Libro blu e libro marrone, Einaudi, Torino 2000, p. 26. Sottolineature mie].

28
come assoluto, senza resistenza, ma per cos dire, come un mondo
fittizio senza peso n materia
33
. Il gioco funziona dunque da banco di
prova delle interazioni culturali poich in esso, come in un laboratorio di
fisica, vengono create condizioni ideali di osservazione dei fenomeni
che rendono possibile ricavare uno schema operativo sufficientemente
semplice da applicare a pi complicate configurazioni. Le spinte
motivazionali che determinano gli impulsi ludici sono le medesime sia
nelluniverso ordinario che in quello ludico:

Il bisogno di affermarsi, lambizione di mostrarsi il migliore;
il gusto della sfida, del primato, o semplicemente della difficolt
superata;
lattesa, la ricerca del favore del destino;
il piacere della segretezza, della finzione, del travestimento;
quello di avere paura o di far paura;
la ricerca della ripetizione, della simmetria, o al contrario la gioia
dimprovvisare, dinventare, di variare le soluzioni allinfinito;
la gioia di delucidare un mistero, un enigma;
le soddisfazioni procurate da ogni arte combinatoria;
il desiderio di misurarsi in una prova di forza, di abilit, di velocit,
di resistenza, di equilibrio, dingegnosit;
la messa a punto di regole e norme, il dovere di rispettarle, la
tentazione di aggirarle;
infine lebbrezza e il rapimento dei sensi, la nostalgia dellestasi, il
desiderio di un panico voluttuoso.
34


Se dunque Caillois individua quattro impulsi ludici che governano
sia il mondo dei giochi che il mondo ordinario, si pu condividere
daltra parte laffermazione di Monica Gargano secondo cui il
manifestarsi di questi impulsi in ciascuna delle due sfere ha unintensit
differente, controllata e fittizia nelluno, tradotta in pericolosa violenza
nellaltro:

33
R. Caillois, op. cit., p. 84.
34
Id., ibidem, p. 84.

29

La competizione diventa concorrenza assoluta e brutale; la sfida al
destino diventa superstizione; limitazione e la simulazione
diventano alienazione; la ricerca della vertigine diventa alcoolismo
e tossicodipendenza.
35


Il gioco, concepito da Huizinga soprattutto nella forma della leale
competizione e, come si vedr, da Eugen Fink come oasi della gioia, si
trasforma in Caillois in un recinto con tratti inquietanti, pericolosamente
esposto alla degenerazione e al pervertimento, e in ogni caso in
movimento tra lambiguit della maschera e linquietudine della
vertigine. Una volta ultimata la definizione delle categorie ludiche,
Caillois introduce la disamina storico-sociologica che concreta il suo
progetto di una sociologia a partire dai giochi, sostenendo che la
distinzione tra le diverse civilt da attribuire alla preferenza accordata
da ciascuna di esse a uno dei quattro impulsi descritti o a una loro
particolare combinazione. Tuttavia, pi interessante risulta
unosservazione a proposito della possibile degenerazione degli impulsi
ludici al contatto con la realt ordinaria, vale a dire quando i due
universi, fittizio e reale, si contaminano:

Che cosa succede, dunque, quando ogni convenzione violata?
Quando luniverso del gioco non pi separato ermeticamente?
Quando c contaminazione con il mondo reale in cui ogni gesto
porta con s conseguenze ineluttabili? A ognuna delle categorie
fondamentali corrisponde allora una perversione specifica che la
risultante dellassenza di freno e protezione assieme.
36


Nel mondo ordinario non si lotta con armi spuntate, n si pu
agire inconsapevolmente contando sulla possibilit di arrestare un

35
M. Gargano, op. cit., p. 17.
36
R. Caillois, op. cit., p. 62.

30
processo quando il gioco si fa duro. Nei confronti della vita quotidiana
non possibile attuare il distacco del buon giocatore che sa giostrare
tra impegno allo spasimo e coscienza del carattere ludico del suo agire.
Pertanto, secondo Caillois, la distinzione tra i due universi deve essere
totale, pena la corruzione del gioco. La forza delle pulsioni ludiche, una
volta negate le regole che le disciplinano, frenandole e insieme
difendendole dalla loro autodistruttivit, nellambito ideale e circoscritto
del gioco, diventano funeste per la civilt.
In questo approccio si disegnano le due grandi divergenze di
impostazione del discorso di Caillois rispetto allanalisi di Huizinga, ben
enucleate nella prefazione di Rovatti alledizione italiana de I giochi e gli
uomini
37
. Entrambe sono ricavabili dal titolo stesso dellopera di Caillois
che riecheggia nei termini il soggetto huizinghiano, ma lhomo diventa
plurale e, soprattutto, lo diventano i giochi. Inoltre quello che nel testo
di Huizinga, in analogia con espressioni come homo faber, era un
rapporto di inerenza tra luomo e lattivit espressa dal participio ludens,
per cui essere uomo non solo comporta, ma coincide con il giocare,
diviene qui una congiunzione. La e tra giochi e uomini nasconde uno
sganciamento potente dallidentit dessere uomo/gioco proposta da
Huizinga, finendo per configurarla come un legame in qualche modo
contingente.
Nei contenuti, questa mera differenza linguistica si traduce
innanzitutto in unanalisi del fenomeno ludico secondo le quattro
categorie di agon, alea, mimicry e ilinx che, in unideale gamma
cromatica, sono pi o meno vicini alla forma-base del ludus o della
paidia. La classificazione proposta da Caillois ha indubbiamente il merito

37
P.A. Rovatti, Prefazione, in R. Caillois, op. cit., pp. VII-XVIII.

31
di avvicinarsi maggiormente al concreto manifestarsi dei giochi
nellesperienza umana e ne coglie le innumerevoli sfaccettature e
intrecci, tuttavia indebolisce la pregnanza del concetto di gioco quale
punto di riferimento unitario. I giochi non sono il gioco, pertanto, se la
fenomenologia risulta, almeno a prima vista, maggiormente esaustiva e
meno vaga, priva in realt di unessenza unitaria il termine di
riferimento. Come sottolinea Rovatti, Caillois spera in tal modo di
evitare il pregiudizio filosofico della reductio ad unum.

Ammettiamo pure che lesperienza ludica possa essere
riconosciuta come qualcosa di comune a tutti gli uomini e a tutte
le compagini socio-culturali (senza dimenticare gli animali),
tuttavia, a uneventuale identificazione di tale esperienza non si
arriva per via astratta (riflettendo sul concetto di gioco), ma ci si
pu arrivare solo allargando lindagine ai vari tipi di gioco e ai vari
modi di giocare.
38


La seconda, e forse ancor pi profonda, distanza tra i due studiosi
si potrebbe definire come uno squilibrio tra le poste in gioco: Huizinga
scommette di pi di quanto non faccia Caillois, che si trincera dietro
unipotesi guardinga che egli definisce come il progetto di una
sociologia a partire dai giochi
39
, dichiarando esplicitamente temeraria
e deviante laffermazione di Huizinga secondo cui le grandi attivit
originali della societ umana sono tutte gi intessute di gioco
40
. Il
gioco rappresenta per Caillois un punto di partenza nellarticolazione di
una sociologia che, in effetti, nella seconda parte della sua opera,
attraversa la storia cogliendo nellorganizzazione e nelle esperienze

38
Id., ibidem, p. XI.
39
R. Caillois, op. cit., p. 86.
40
J. Huizinga, op. cit., p. 7.

32
fondanti di ogni societ lintreccio e il predominio di alcune tipologie
ludiche sulle altre.
Caillois si impegna in unoperazione ardua e potenzialmente
infinita: quella della classificazione dei giochi nella loro infinita variet. Il
criterio di fondo adottato dal sociologo francese quello dellattitudine
del giocatore come tratto caratterizzante di ciascuna tipologia di gioco.
Allinterno di ogni singola categoria una maggior finezza danalisi
consentita dalla gradazione interna dal gioco meno organizzato a
quello pi organizzato, dalla turbolenza sregolata del chiasso infantile
alla rigorosa e quieta regolamentazione, dalla paidia al ludus.
Lesemplificazione fornita da Caillois risulta assolutamente chiara
nellidentificazione delle caratteristiche tipiche di ciascuna categoria:

Si gioca al calcio, a biglie o a scacchi (agon), si gioca alla roulette o
alla lotteria (alea), si gioca ai pirati o si recita la parte di Nerone o
Amleto (mimicry), ci si diverte, si gioca a provocare in noi, con un
movimento accelerato di rotazione o di caduta, uno stato organico
di perdita di coscienza e di smarrimento (ilinx).
41


La categoria agon comprende dunque tutti quei giochi che
hanno i caratteri di una competizione in cui luguaglianza delle
probabilit di vittoria costruita artificialmente allinizio del gioco, in
modo tale che gli avversari si incontrino in condizioni ideali cos che la
vittoria delluno o dellaltro risulti incontestabilmente decisa. Questi
giochi stabiliscono il migliore sotto un determinato rispetto (il pi
veloce, il pi forte ecc.). Come gi aveva riconosciuto Huizinga, la spinta
ludica fondamentale il tentativo di veder riconosciuta la propria
superiorit in un determinato campo, ragione per cui la competizione

41
R. Caillois, op. cit., p. 28.

33
richiede la profusione di un impegno assiduo e il continuo allenamento,
promuovendo il successo della forma pi pura del merito personale.
Allopposto dellagon, rivendicazione totale di responsabilit e
capacit personali, si situano i giochi di alea (termine che letteralmente
indica il gioco dei dadi), che si fondano invece su una totale avocazione
delle responsabilit al destino. La vittoria ottenuta contro la sorte e
non contro lavversario, e latteggiamento del giocatore di totale
passivit verso i capricci della sorte, insolente e sovrana derisione del
merito
42
.
Una medesima regola accomuna tuttavia agon e alea: la
creazione artificiale fra i giocatori di unassoluta parit di partenza che la
realt nega agli uomini. Caillois utilizza ancora in questo contesto una
forma di separazione di realt ordinaria e realt ludica basata
sullidealit di condizioni e sulla minor confusione di questultima.
Lalterit cos richiamata concepita nei termini di unevasione, che
concerne anche la successiva categoria ludica:

Nelluno e nellaltro modo [con i giochi di agon e alea] si evade dal
mondo facendolo altro. Si pu evaderne anche facendosi altro. A
questo bisogno risponde la mimicry
43


Come ben si vede nella frase appena citata lidea del gioco come
laboratorio dove si opera in condizioni ideali si accompagna a una
considerazione di esso come universo separato dalla realt ordinaria, e,
anzi, sua alterazione che, se la rende maggiormente intelligibile e tersa,
tuttavia ne disconosce lintima complessit. Lidea di evasione mantiene
un tratto parzialmente dispregiativo, che mostrer tutta la sua forza

42
Id., ibidem, p. 34.
43
Id., ibidem, p. 36.

34
allorch Caillois si occuper della degenerazione dei giochi in special
modo nella realt odierna. Competizione e gioco dazzardo fanno il
mondo altro, creando artificialmente condizioni ideali di confronto con
un avversario o con la sorte. Ma il duplice movimento di uscita da una
realt e costruzione di unaltra si fa ancor pi intimo, sino a trasformarsi
in alienazione del soggetto in se stesso, nei giochi della categoria
mimicry, parola inglese che significa mimetismo. E da notare,
innanzitutto, che per illustrare questa tipologia ludica Caillois richiama
due attivit differenti: il mascheramento dei bambini che si fanno
indiani in uno dei pi classici giochi infantili e il pi ricercato
immedesimarsi nel ruolo da parte dellattore. In entrambi i casi si attua
un incontro con uno straniero da conoscere, in una in-medesimazione
temporanea nei suoi costumi e nei suoi gesti. Contro Caillois che,
invece, ritiene proprio lassenza di assoggettamento a regole
imperative un tratto distintivo della mimicry, Duflo, commentando la
classificazione presentata ne I giochi e gli uomini, sostiene
correttamente che le strutture di finzione di un gioco di mimicry sono
delle regole pratiche che forniscono pi o meno esplicitamente le
maschere che concesso assumere nelluniverso creato
44
.
Ci che interessante, tuttavia, nella definizione di Caillois della
mimicry, soprattutto il riferimento al mondo creato dal gioco:
innanzitutto la giustificazione della scelta del termine mimicry, che
rimanda alla sfera semantica del mimetismo animale, si basa sulla
natura fondamentale ed elementare, quasi organica, dellimpulso che la
suscita
45
. Con questa affermazione viene implicitamente messo in

44
C. Duflo, Jouer et philosopher, Presses Universitaires de France, Paris 1997, p. 23.
45
R. Caillois, op. cit., p. 37.

35
rilievo il carattere originario del gioco, la sua appartenenza allo strato di
humus pi profondo da cui si sviluppa ogni esperienza umana. In
secondo luogo, inoltre, Caillois, proprio richiamandosi al gioco del farsi
credere un altro, generalizza una richiesta base per il funzionamento di
un gioco: laccettazione di un universo fittizio, creato dal gioco stesso,
da parte del giocatore. In ci consiste lin-ludere, lentrare nel gioco che
non altro, quindi, che sottomettersi a unillusione, partecipare a un
dramma in veste di attori, a unazione reale (come lo la recitazione) e
assieme fittizia (perch ci si fa altri in un mondo altro pur rimanendo
nellal di qua). Laccettazione cosciente, sia da parte del partecipante
che da parte dello spettatore: scopo del gioco non ingannare o
ingannarsi. Caillois, come gi valeva per Huizinga, perfettamente
convinto della duplice coscienza del giocatore che, pur immerso
nellazione ludica, sa perfettamente che sta agendo per finta.

Ogni gioco presuppone laccettazione temporanea, se non di
unillusione (per quanto questultima parola non significhi
nientaltro che entrata in gioco, in-lusio), almeno di un universo
chiuso convenzionale e, sotto determinati aspetti, fittizio.
46


Lultimo gruppo di azioni ludichi considerato da Caillois, la specie
dellilinx (letteralmente gorgo), sono mosse dal desiderio di produrre un
panico coscienziale sino allo spossessamento di s dovuto allo
smarrimento della stabilit percettiva causato dalla vertigine della
velocit, del disordine e del caos. Sicuramente questultima partizione
quella che suscita maggiori perplessit, ben espresse, ancora una volta ,
da Duflo, che afferma che se la vertigine connessa in qualche modo al
piacere, cos come lo il gioco, tuttavia il mero ricavare piacere da

46
Id., ibidem, p. 36.

36
unattivit non fa di questa un gioco; inoltre il gioco coincide con un
controllo esercitato su di s e sulla propria vertigine
47
.
Lattenzione manifestata verso la modalit dellessere delluomo
allinterno del gioco ha fatto parlare, a proposito del lavoro di Caillois, di
classificazione esistenziale dei giochi
48
. Gli estremi paidia e ludus
sarebbero a questo livello traducibili sul piano della vita e del divenire
umano innanzitutto in termini di ambiguit e doppiezza: nellagon si
esprimerebbe da un lato lo spirito del giocatore che si sforza di vincere
e dallaltro la consapevolezza del giocatore stesso della regola
costitutiva delliniziale uguaglianza di possibilit; nellalea convivono
due atteggiamenti opposti e complementari nei confronti del destino
quali la sfida attiva e la passiva accettazione della sorte; con la mimicry il
soggetto esplora lambivalenza dellessere s e contemporaneamente
laltro; infine, nellilinx si opera uno svuotamento e unuscita da s del
soggetto
49
.
La medesima doppiezza rilevabile nellanimo del giocatore
attraverso le categorie ludiche, trasposta su un piano ontologico
traduce, sulla linea che va da paidia a ludus, la dinamica tra Nulla e
Essere, nella loro perenne e dialettica opposizione e convivenza che va a
costituire lintera trama vitale del divenire che , appunto, un gioco: da
questo punto di vista lagon si caratterizzerebbe come affermazione
dellessere per evitare lannullamento, lalea come essere che si accorge
dellesistenza del totalmente altro e dunque del rischio di annullamento,
la mimicry come trasformazione in altro del proprio essere per evitare il

47
Cfr. C. Duflo, op. cit., pp. 24-25.
48
G. Brescia, op. cit., p. 53.
49
Cfr. M. Gargano, op. cit., p. 18.

37
nulla e, infine, lilinx come tentazione dellessere allautoannullamento.
Portate a questo alto livello teoretico, le categorie di Caillois traducono
un concreto movimento di unit-distinzione degli opposti che pulsa
sotto ogni concreto fenomenizzarsi storico
50
.


3. UNAPOLOGIA NECESSARIA: IL GIOCO COME ESISTENZIALE
PRIMARIO

Come si potuto notare dalle lunghe premesse apposte da
Huizinga e Caillois alle loro trattazioni del gioco, largomento della
ricerca necessita da parte dei suoi adepti di un preliminare sforzo
apologetico che ne recuperi il ruolo primario allinterno dellumana
esperienza, dal momento che se, come scrive Huizinga, il gioco
innegabile
51
, con ci non ancora detto che non sia un oggetto
dindagine ovvio o quantomeno marginale rispetto al serio. Non
quindi casuale che la prima parte del lavoro di Fink Il gioco come
simbolo del mondo porti come titolo Il gioco come problema filosofico
e consista di fatto in una lunga giustificazione della decisione di
affrontare il gioco in una prospettiva filosofica. Sembra infatti
problematico per il pensatore conciliare la severit dellindagine
filosofica con la spensierata seriet del gioco e la sua immaginosa
giocosit rappresentativa
52
.

50
Cfr. G. Brescia, op. cit., pp. 60-62.
51
J. Huizinga, op. cit., p. 6.
52
E. Fink, Il gioco come simbolo del mondo, Hopeful Monster Editore, Firenze 1991,
p.9. Dora in poi GSM.

38
Lo stesso Fink, del resto, quando qualche anno prima parlava di
gioco come oasi sembrava separare questa componente, pur
annoverata accanto a amore, lotta, morte e lavoro tra i fenomeni
esistenziali fondamentali dellesserci, dalle ostili lande desertiche in cui
si compie leffettivo destino delluomo. proprio lapproccio come
pausa ricreativa e luogo di ristoro che va scardinato per rendere degno
il gioco di considerazione filosofica.
Fink, esordendo su posizioni fenomenologiche derivanti dal
lungo sodalizio con Husserl, sposta tuttavia da subito il fuoco della
propria riflessione sul problema del mondo e del rapporto delluomo al
mondo, individuando in questi interrogativi la questione ultima della
fenomenologia stessa. Il riesame del rapporto delluomo con il mondo,
oscurato dalla tradizione metafisica a favore di quello tra uomo e Dio,
mira a salvare dal rischio nichilistico, a partire dalla rivalutazione dei
fenomeni fondamentali dellagire umano: lavoro, lotta, amore, morte e
gioco. Non a caso lapporto di Fink come collaboratore di Husserl si fa
sentire proprio nel periodo in cui questultimo impegnato nella
stesura della Crisi delle scienze europee, in cui primaria risulta proprio la
tematica del Lebenswelt, il mondo della vita. Come ben sottolinea
Tommaso Pedicini nel suo saggio sulla cosmologia ludica di Fink
53
, la
questione del mondo si avverte gi nei primi scritti ortodossamente
fenomenologici dellautore, come il testo del 1933 Die Phnomenologie
E. Husserls un der gegenwrtigen Kritik in cui, rigettando la posizione
neokantiana, stabilisce la distanza tra criticismo e fenomenologia sul
terreno del riferimento costante da parte di questultima alla questione

53
T. Pedicini, Il labirinto del mondo. La filosofia del gioco di Eugen Fink, Guerini e
Associati, Milano 1997.

39
dellorizzonte in cui le cose appaiono, alla genesi del mondo, domanda
originaria che il mito e poi la teologia e la filosofia hanno cercato di
soddisfare, di contro al mero reperimento delle forme dellattivit
dellintelletto messo in opera dai kantiani.
La morte di Husserl, avvenuta nel 1938, costringe Fink a un
ripensamento delle posizioni del maestro che lo conduce sempre pi
vicino alla riflessione heideggeriana sullessere che, nella prospettiva
finkiana, si traduce in pensiero sul mondo, obliato sfondo
dellesperienza umana cos come lo per Heidegger lessere. La
fenomenologia husserliana appare a Fink sempre pi insufficiente, sino
ad essere ridotta al rango di mera pre-filosofia, nella misura in cui
lepoch non consente lapprodo allessere del mondo, cio alla
dimensione originaria, dal momento che concetti come spazio e tempo
non sono da essa individuati come spazio e tempo del mondo, originari
campi dazione del gioco dellessere del mondo presupposti da tutti i
fenomeni. Il mondo si configura dunque come il gioco che d spazio e
tempo alle cose di manifestarsi e scomparire, il gioco della
individuazione
54
. Nel cuore di questo movimento cosmico di alternanza
dei contrari, secondo una visione che deve molto a Eraclito, che traduce
in unit intrinsecamente contraddittoria, e perci vitale, lo stato della
veglia e del sonno, della morte e della vita, della via allin su e di quella
allin gi, lo spazio proprio delluomo va riscoperto alla luce della sua
capacit di rapportarsi al cosmo, che, come un liquido amniotico, lo
circonda e lo permea. Nel lavoro e nella lotta Fink riconosce le prime
forme di apertura alla comprensione del movimento cosmico e il
medesimo vale per culto dei morti e amore, che rappresentano il

54
Pedicini cita al proposito un passaggio di S.L. Hart. Cfr. T. Pedicini, op. cit., p. 38.

40
rapportarsi delluomo allelemento informe e caotico del mondo,
mentre i primi due si relazionano a configurazioni ordinate. Ai quattro
poli cos individuati, tuttavia, Fink aggiunge il gioco: E solo nel gioco,
nella festivit ludica che luomo riesce a comprendere il movimento del
mondo in cui appare e scompare tutto ci che finito
55
e, cos facendo,
acquisiscono unautentica portata cosmica tutti i progetti e tutta la
storia umani. Se Fink conferisce pari dignit ai cinque Grundphnomene
cos individuati, del resto mai analizzabili separatamente, ma sempre
richiamantisi lun laltro nella globalit irriducibile a elementi scissi dalla
trama esistenziale, egli stesso a riconoscere al gioco uno statuto
speciale e onnicomprensivo:

Il gioco pervade la vita umana, mischiato con lamore, la morte, il
dominio e il lavoro e in esso si rispecchiano i grandi contenuti della
nostra esistenza: il gioco li abbraccia tutti.
56


Fink dedica due saggi fondamentali al fenomeno ludico, non
limitandosi a proporne una fenomenologia, ma introducendo e
sviluppando il concetto di gioco come simbolo del mondo: Oasi della
gioia: idee per una ontologia del gioco
57
, nel 1957, e Il gioco come
simbolo del mondo, nel 1960. I due testi sviluppano una linea di pensiero
unitaria che, abbandonando gli altri quattro Grundphnomene
individuati nei testi precedenti, si concentra esclusivamente sul gioco. I
Grundphnomene, sono radicati, come viene ribadito anche in questi
testi, nella situazione peculiare dellessere umano come libert immersa

55
T. Pedicini, ibidem, p. 40.
56
E. Fink, Grundphnomene des menschlichen Daseins, 1979, pp. 400-401, trad. da
T. Pedicini, op. cit., p. 43. Sottolineature mie.
57
E. Fink, Oasi della gioia: idee per una ontologia del gioco, Rumma Editore, Salerno
1969. Dora in poi OG.

41
nella natura, posto cio in continua comprensione rispetto al proprio
esserci e impossibilitato a sganciarsi da esso nellaerea libert
dellangelo. La condizione mediana delluomo fa della sua esistenza un
teso rapportarsi al proprio esserci: i fenomeni individuati da Fink sono
allora fondamentali nel senso dellessere specificamente umani, in
quanto in essi si manifesta tale particolare tensione come apertura
comprendente a s e al mondo-essere. Luomo, data la sua finitezza,
non riesce a rapportarsi alla totalit diveniente del mondo, pertanto
quello che le quattro radici amore, morte, lotta e lavoro costituiscono e
vivono uno pseudo-mondo adeguato alle limitatezze dei confini
dellumano. Il gioco interviene a scardinare questi confini mettendo
luomo in contatto diretto con lintelligibilit del mondo reale: il gioco si
muove nellambiguit tra reale (invero il mondo quotidiano apparente,
di dimensioni umanamente accessibili) e irreale, provocando una
frattura che consente un trascendimento della finitudine in un momento
puro di possibilit di comprensione del mondo stesso. In questo senso il
gioco consente a Fink di trasporre il proprio contributo dallambito
antropologico a quello cosmologico.
58

Lesordio di Oasi della gioia propone un progetto tripartito che,
di fatto, si dipana nel testo soprattutto nei suoi primi due momenti,
lasciando il compito speculativamente pi impegnativo al saggio
successivo:

Ci che nel seguito si tenter una riflessione sullo strano e
singolare carattere dellessere del gioco umano, una formulazione

58
Cfr. M. Borri, La filosofia del gioco in Eugen Fink, in Il gioco come momento
ermeneutico, Atti del seminario di studi Momenti del gioco, 18 dicembre 2000,
cit., pp. 133-134.

42
concettuale dei momenti strutturali ed un annuncio anticipatore
del concetto speculativo di gioco.
59


Poche righe prima, inoltre, Fink richiama opportunamente la
distanza tra unovvia conoscenza del fenomeno del gioco e la sua reale
comprensione ontologica, con toni che ricordano lesordio
heideggeriano in Essere e tempo, allorch si pone la questione della
riproposizione del problema dellessere proprio a partire dalla
constatazione del suo oblio in quanto problema autentico, soffocato
dalla comprensione media e dallapparente ovviet del concetto
60
.
Come nel caso dellessere, anche nei confronti del gioco lestromissione
dalla riflessione promossa innanzitutto dal fatto che per tutti il gioco
unesperienza familiare e quotidiana. Ma proprio lassenza di distanza
tra luomo e il suo giocare richiede di essere indagata, dal momento che
la totale immersione nella dimensione ludica una spia della sua
primariet nellorizzonte dellesistenza umana e del rapportarsi
delluomo al mondo. Cronologicamente precoce e costantemente
presente tra le possibilit del nostro proprio fare, il gioco non pu non
avere un suo proprio senso, inevitabilmente connesso con la necessit
di costruire il mondo, esigenza primaria, nellottica di Fink, prima
ancora che della speculazione fenomenologica, di ogni esperienza

59
OG, p. 33.
60
Si dice: il concetto di essere il pi generale e vuoto di tutti e resiste perci a
qualsiasi tentativo di definirlo. Daltra parte, in quanto generalissimo, e come tale
indefinibile, non ha neppur bisogno di essere definito. Tutti lo impiegano
continuamente e anche gi comprendono che cosa si intende con esso. [] E
divenuto chiaro e ovvio, a tal punto che colui che si ostina a farlo oggetto di ricerca
accusato di errore metodologico. [] Ma questa comprensione media non
dimostra che unincomprensione. [] Il fatto che gi sempre viviamo in una
comprensione dellessere e che, nel contempo, il senso dellessere continua a
restare avvolto nelloscurit, attesta la necessit fondamentale di una ripetizione del
problema del senso dellessere. [M. Heidegger, Essere e Tempo, Longanesi,
Milano 1976, pp. 17-19].

43
umana. Fink insiste molto, nello sviluppare la prima parte del suo
progetto, sulla specificit umana del gioco, ribadendo continuamente il
carattere di senso
61
che il gioco possiede, e, ancor pi profondamente,
lattiva comprensione promossa dal gioco nei confronti della vita stessa.
Anche lesordio di Il gioco come simbolo del mondo manifesta il
medesimo tentativo apologetico nei confronti della scelta del gioco
come tema degno di considerazione speculativa e, proprio nel compiere
questa operazione preliminare, Fink arriva a tracciare le linee guida per
una nuova trattazione del fenomeno ludico.
Nelleconomia di vita degli adulti si attribuisce comunque al gioco
un valore limitato; gli si riconosce un effetto terapeutico contro le
ipertensioni del lavoro, della preoccupazioni, dellimpegno. Ma nel
considerarlo come mezzo di distensione, il gioco viene messo al
servizio proprio di quei fenomeni della vita di fronte ai quali viene
invece svalorizzato ed escluso. Come fenomeno a s stante per
non preso affatto sul serio. Senzaltro si riconosce che ha un
ruolo importante, anzi fondamentale nellesistenza infantile, il
centro della vita.
62


Prima ancora di iniziare la sua trattazione, Fink si pone dunque
una domanda decisiva su due punti:
1. se il gioco sia degno di analisi al di l della sua espressione infantile;
2. se un aspetto apparentemente irrilevante dal punto di vista
dellesistenza umana possa avere significato cosmico, come
suggerisce il titolo dellopera.

Il gioco ha una realt umana degna di rilievo oltrepassata let
infantile? Gi considerato nella sfera umana il gioco non sembra
avere grande valore. Il titolo dellopera per menziona accanto al

61
Noi siamo dellopinione che il gioco umano abbia un suo proprio, genuino
senso. [OG, p. 39]; Il giocare [] sempre un accadere illuminato da un senso, un
processo vissuto. [OG, p. 39].
62
GSM, pp. 10-11.

44
problema umano del gioco anche un problema universale. Ci
che sembra cos marginale nella vita delluomo pu dunque avere
al di l di essa un significato cosmico? Il gioco trova una sua
collocazione nel tutto universale oltre che nella finitezza umana?
Questa ipotesi ci appare dapprima assurda nel migliore dei casi
ammissibile solo come dizione poetica, come illegittima metafora
che riferita agli eventi universali rappresenterebbe un primitivo
antropomorfismo.
63


Con le sue ultime parole, Fink, in una sorta di dichiarazione
metodologica, menziona un pericolo effettivamente presente nella
decisione di utilizzare la nozione di gioco in senso cosmico. Al di l
infatti della sua adeguatezza, il rischio quello di creare soltanto una
riproduzione poetica della realt che si limita a fornire unimmagine
affascinante e facilmente spendibile dellandamento delluniverso,
presentando di fatto una figura idealizzata di gioco, specialmente del
suo connotato di libert, che non trova riscontro nellesperienza ludica
umana e che pertanto non spiega nulla.
Su questa base Fink propone la metafora delloasi rappresentata
dal gioco rispetto alla vita ordinaria, da intendersi in molteplici sensi: in
primo luogo, allinterno di una inautentica comprensione del gioco, che
vede in esso un aspetto limitato e marginale dellesistenza adulta, il
gioco oasi in quanto pausa disalienante rispetto al dominio
tecnocratico-burocratico della societ contemporanea.

Esso vale come il non-serio, il non impegnativo, come petulanza e
ozio. Proprio nel modo in cui si raccomanda positivamente la
efficacia igienica del gioco, si esprime il fatto che lo si considera
sempre ancora come manifestazione marginale, come un
contrappeso periferico, quasi un ingrediente aromatizzante per il
piatto pesante del nostro essere.
64


63
GSM, p. 16.
64
OG, pp. 42-43.

45

Tuttavia, anche in questa svalutazione moderna della ludicit, il
gioco mantiene tutta la sua legittimit e, soprattutto, si manifesta
dotato di uneccezionalit che consente in esso il recupero della
poliedricit creativa dellumano (la rigogliosa vegetazione delloasi),
nello sviluppo di unalternativa critica possibile allestenuata
contemporaneit (deserto). A tale scopo Fink individua il limite di
qualsiasi indagine che consideri il gioco come esperienza
esclusivamente infantile, dal momento che il gioco del bambino
assume, secondo il pensatore tedesco, solo una forma innocente e
trasparente, mentre il gioco adulto si presenta, mascherato e
dissimulato, nelle questioni serie, dai riti alle convenzioni sociali sino al
rapporto di coppia. Fink conferisce in questo modo un tratto
inquietante allesperienza ludica che, daltro canto, gli consente un
allargamento del concetto alle manifestazioni apparentemente pi
lontane:

Quando noi desumiamo limmagine guida per il nostro concetto di
gioco solo dallesistenza infantile, ci ha per conseguenza che la
natura dissimulata-sfuggente, ambigua, del gioco resta
incompresa. In verit lampiezza del suo arco arriva dal gioco delle
bambole della piccola fanciulla fino alla tragedia. Il gioco non
unapparizione marginale nel paesaggio della vita umana [] il
gioco appartiene in modo essenziale alla costituzione ontologica
dellesistenza umana, esso un fondamentale fenomeno
esistenziale.
65


Lidea delloasi come realt in s conchiusa e autosufficiente
rende conto del gioco come universo in s compiuto, non ingabbiato
nella rete del futurismo che caratterizza la vita, sempre regolata

65
OG, pp. 46-47.

46
dallarchitettura di scopi estrinseci rispetto allattivit presente, ridotta a
mezzo per. Ogni altra azione si rapporta al fine ultimo dellesistenza
umana, costantemente protesa alla ricerca di un senso e pertanto
condannata allinquietudine del non poterlo individuare con certezza e
del non poter essere padroni sino in fondo del proprio destino. Il senso
autarchico del gioco gli assegna il ruolo di un presente quietato
66
, il
cui scopo esclusivamente immanente e non rivolto alla realizzazione
del sommo scopo. Il gioco dona in tal senso il tempo presente come
tempo non sfuggente, ma che consente lindugio.
La possibilit di separare il gioco come vero e proprio mondo a
parte consente a esso di assurgere a rappresentazione del tutto,
simbolo del mondo nel senso originario del frammento, delloggetto
spezzato che rimanda al tutto da cui stato tagliato. Come nello
specchio di Dioniso, non a caso un giocattolo, si riflette tutto il cosmo,
anche una volta che esso stato ridotto in mille scaglie di vetro dalla
violenza titanica, cos il gioco non va posto accanto agli altri fenomeni
esistenziali, ma in esso questi sono vissuti, nella loro dinamicit
ordinata. Non solo, ma il respiro stesso del mondo, in cui le cose si
fanno presenti e scompaiono, agisce in tutta la sua complessit nello
svolgersi variegato del gioco umano, frammento dello specchio che
restituisce ancora il riflesso del tutto. Sul tema del riflesso e della
specularit, del resto, Fink torner approfonditamente in Il gioco come
simbolo del mondo, allo scopo di indagare la peculiare irrealt del
mondo ludico smarcandola dalla svalutativa idea platonica della copia.
In questo senso Aldo Masullo, nella sua prefazione a Oasi della gioia,

66
OG, p. 51.

47
chiarisce bene come vada intesa lespressione Weltsymbol riferita al
gioco:

Il gioco umano simbolo del mondo invero, non nel senso che il
mondo sia loggetto di questo simbolo, bens nel senso che in esso
si esprime il modo di rapportarsi delluomo al mondo.
Simboleggiare il mondo non significa rappresentarselo come
oggetto, ma vivere uno specifico rapporto con esso: e di tal
rapporto il gioco espressione.
Lessere allora non il gioco del mondo, della totalit degli enti, la
loro necessitante unit, ma il gioco in cui si rapportano luomo e il
mondo.
67


E Fink stesso, daltra parte a mettere in guardia contro il pericolo
di una cosificazione del mondo se lo si intende come simboleggiato dal
gioco nel senso della mera riproduzione miniaturizzata, con
unargomentazione che racchiude le sue posizioni in una mirabile
sintesi:

Falsamente esso [il gioco] viene posto solo accanto ad altri
fenomeni della vita [] Esso sta per cos dire di fronte a essi per
comprenderli in s, rappresentandoli. Noi giochiamo il serio,
giochiamo lautentico, giochiamo la realt, il lavoro e la lotta,
giochiamo lamore e la morte. E giochiamo perfino il gioco.
68


Commenta Masullo:

Tutto ci non vuol dire soltanto che noi possiamo, giocando,
imitare ogni forma dellesistenza, ma, ben pi profondamente, che
ogni forma della esistenza, nel suo venire esistita, giocata.
69


Fink mantiene, vero, una certa ambiguit nella spiegazione del
ruolo del gioco, e fa agire la nozione su tre livelli diversi: i primi due, pi

67
A. Masullo, Il gioco, il mondo e lombra, prefazione a OG, p. 19.
68
E. Fink, OG, pp. 53-54.
69
A. Masullo, ivi, p. 24.

48
tradizionali, vedono nel gioco unattivit accanto alle altre e una forma
di rappresentazione di ci che sta fuori dal suo recinto dorato. Tuttavia,
pur continuando a riconoscere allopera tali dimensioni, lesclusiva
mimeticit del gioco sembra a Fink insufficiente a dar conto della sua
specificit: il gioco fa di pi che rappresentare, comprende in s gli
altri fenomeni e ogni forma della esistenza, nel suo venire esistita
giocata. La tonalit ludica pervade cio ogni aspetto dellesperienza,
non solo perch il gioco, a prescindere dal suo carattere di oasi, di
pausa separata, di cerchio magico (come lo definiva Huizinga), poggia,
come il deserto che lo minaccia, sul medesimo suolo mondano usando
nel proprio spazio fittizio tempo e spazio reali, ma perch lesperienza
tutta gioco del rapportarsi delluomo al proprio essere, che altro non
che il mondo in cui tutte le cose si fanno tali. La lezione della
fenomenologia, come ben individua Masullo nella sua prefazione, ha
insegnato a Fink che le cose sono ombre, sono quello che sono in virt
dei significati che luomo istituisce, e tuttavia vi una pre-datit, un
sostrato preconcettuale su cui la vita della coscienza si sposta per farsi
coscienza della vita. Lambivalenza ludica che alterna i ruoli, gli schemi e
le configurazioni d allora conto dellambiguit irrisolvibile e
fenomenologicamente avvistata tra il mondo che fa luomo, con la sua
ingombrante pre-datit, e luomo che fa il mondo, lavorando sui
significati e le loro concatenazioni. Come nella descrizione proposta dal
critico darte Gombrich
70
, nel gioco il bastone di legno non
propriamente un cavallo, ma lo per il bambino che arreda il suo
mondo in modo tale che il posto del bastone in quel contesto quello

70
Cfr. E. Gombrich, A cavallo di un manico di scopa. Saggi di teoria dellarte, Einaudi,
Torino 1976.

49
di significare-segnalare la presenza di un cavallo. Tuttavia senza il pezzo
di legno non vi sarebbe nulla a fungere da segnale del cavallo.
Lambivalenza di realt e irrealt innerva dunque il contesto ludico e,
nella prospettiva di Fink, diventa questione cardine dellinterpretazione
delluomo e del mondo.
Non stupisce allora che, nellindividuazione dei tratti strutturali
del gioco, Fink dia spazio in prima battuta proprio a quelli che rendono
giustizia del suo proporsi come configurazione sensata e globale. Cos il
piacere che si associa al ludere non sembra a Fink originato
esclusivamente dalla giocosit dellimmagine creata nel gioco, che, anzi,
pu sconfinare nel doloroso e nellorribile come avviene nella tragedia,
punto di riferimento costante per Fink come si gi visto allorch,
nellindicare larea di estensione del concetto di gioco, la poneva come
confine opposto rispetto alle bambole fanciullesche. Lo slancio giocoso
trova invece la propria piacevolezza nel suo essere creativa estasi di
figurazione
71
e entusiasmo di fronte a una dimensione immaginaria
72

o a una sfera alternativa. Nelle espressioni di cui fa uso, Fink cerca di
focalizzare lattenzione sul caratteristico fare mondo presente in ogni
forma di gioco. Infatti, lelemento segnalato immediatamente dopo il
piacere, la sensatezza che abbraccia la sequenza dei movimenti dei
giocatori. Un movimento che rilassa semplicemente le membra non
gioco perch non possiede alcun senso per chi lo compie. Vi allora
una vera e propria configurazione della totalit conchiusa messa in
opera dal gioco, al cui proposito Fink parla di senso interno del gioco
come trama delle relazioni e delle mosse; va considerata per, anche,

71
OG, p. 58.
72
OG, p. 59.

50
una sensatezza ulteriore, che si riconnette al piacere del giocare e che si
manifesta nella significativit assunta anche nella vita ordinaria del
giocatore dal mondo ludicamente creato.
Il gioco istituisce quindi un ksmos entro il quale si specificano gli
altri tratti distintivi dellesperienza ludica, consistente di fatto in un
continuo arredare e spostare i centri dellordine stabilito entro loasi.
Fink introduce infatti a questo punto lesigenza, irrinunciabile entro il
gioco di una comunit, di regole e di giocattoli. In particolare, in
relazione alla regola Fink, sottolinea la sua flessibilit, pur nel
mantenimento dellimprescindibile compito del disciplinamento del
flusso di azioni ludiche mediante la prescrizione delle possibilit di
comportamento lecite entro il campo di gioco. Lungi dallinterpretare il
gioco come terreno di sfrenata libert, Fink riconosce invece alla regola
un posto essenziale e positivo nel consentire al gioco di svolgere il
proprio ruolo cosmogonico: Spesso proprio lesser legati ad una regola
di gioco gi in vigore costituisce unesperienza lieta e positiva
73
. Il
mondo ludico assolutamente regolato, pur nella possibilit di
assunzione di configurazioni infinitamente variabili in correlazione con
labilit dei giocatori e le loro capacit di movimento allinterno del
reticolato delle regole.
E tuttavia nella trattazione del giocattolo che Fink si avvicina
maggiormente alla visione del ruolo metafisico del gioco: ogni oggetto
pu assumere questa funzione per chi gioca. Visto dallesterno si tratta
solo di un inerte frammento di realt, che nel gioco si anima per in un
senso propriamente simbolico quale modalit di render presente una
totalit. Non una confusione ingannevole quella che fa identificare la

73
OG, p. 62.

51
bambola con una bambina, ma la capacit ludica di sostare in due
universi contemporaneamente restandone consapevoli: nelle prime
pagine di Oasi della gioia Fink parlava a tal proposito di rapimento
operato dal gioco, che trasporta su un diverso pianeta il giocatore,
isolandolo nelloasi cos costruita, ma ora, ancor pi profondamente
Fink ricorre allimmagine pi arcaica dellesperienza magica dellentrare
in un ruolo altro rimanendo se stessi, riconoscendo la convivenza della
realt ordinaria e di una realt contemporaneamente differente
delloggetto e della persona coinvolti nel gioco. Torna nuovamente, in
un momento nodale della trattazione, la necessit di chiarire la duplice
realt entro cui si muove il gioco o, meglio, lambiguo rapporto di reale
e fittizio entro i suoi confini, interconnessione da considerare non solo
in chiave conoscitiva come distinzione del vero dal falso, ma da cogliere
nella sua profonda necessit entro lorizzonte umano di rapporto con il
mondo: ogni realt anche irreale perch costruita dalluomo per
orientarsi, ma al tempo stesso ogni realt, ludicamente e non
dogmaticamente progettata, corrisponde armonicamente al movimento
del mondo. Lesposizione relativa al giocattolo consente pertanto di
riproporre il nodo delloriginariet esistenziale, ma anche cosmica, del
gioco, che, nelle parole di Fink, si rivela come scandaglio, esperimento e
tentativo di comprensione del proprio esser-ci da parte delluomo, ma,
ancor pi, come simbolo, scoperta della totalit in un frammento.

Ogni giocattolo rappresentanza di tutte le cose in generale: il
giocare sempre una spiegazione con lente. Nel giocattolo si
concentra lintero in una cosa singola. Ogni gioco un tentativo di
vita, un esperimento vitale, che nel giocattolo esperisce in generale
la totalit dellente di fronte a noi.
74


74
OG, pp. 63-64.

52

Se si torna con la mente alladagio iniziale di Oasi della gioia,
secondo cui si giocano il serio e lautentico, lamore e la morte, si
comprende meglio come il percorso di Fink chiarisca quel passaggio,
dal momento che il paradigma ludico si spiega ora come non solo
applicabile, ma di fatto sempre applicato in ogni costruzione di mondo,
vale a dire in ogni istante dellesistenza umana colta nella sua
dimensione pi propria di progettualit organica: ogni istante
simbolico nel senso che coinvolge nella propria interpretazione e nel
proprio esser vissuto una precomprensione della totalit da intendersi
come configurazione complessiva di regole, mosse consentite e
variabilit, cio in ogni secondo presente una visione cosmica delle
cose che si rattrappisce in una scaglia di specchio e esplode nella
decisione del momento. Si gioca la realt, nel senso che la si porta a
realizzazione vedendo qualcosa nelle mere pre-datit e applicando loro
uno schema di relazioni complessive entro cui liberamente muoversi. Il
mondo ludico risulta perfettamente coerente rispetto alle sue mosse e
su questa coerenza della realt, giocosamente sistemata dallessere
umano, si misura il successo o linsuccesso delle sue azioni. Senza
dimenticare la flessibilit individuata da Fink per le regole del gioco, che
consente di allargare e stringere le maglie allorch la rete della realt
prospettata non funziona adeguatamente.

Tutti i momenti strutturali fin qui toccati si stringono insieme nel
concetto fondamentale del mondo del gioco. Ogni giocare una
produzione magica di un mondo ludico.
75



75
OG, pp. 65-66.

53
Il giocatore il creatore di un mondo ludico entro cui si
riconnettono piacere, senso, regola, comunit, giocattolo, ma, in
prospettiva luomo stesso non mai altro che un giocatore alle prese
con la propria creazione. Nellesperimento vitale del gioco, tuttavia, il
creatore si commisura allente, connette in uno tutti i fenomeni vitali, e
non solo li organizza, ma si fa specchio, quasi per magica empatia, del
corso del mondo. Fink conclude infatti la sua disamina strutturale in
primo luogo con il riferimento al mondo del gioco in cui tali strutture si
intrecciano e, in seguito, riallacciando il gioco alla spiegazione mitico-
magica e allesperienza del culto e della festa, richiama la
rappresentazione scenica come gioco che d conto del mondo.

Posto il caso che il gioco sia qualcosa di cui soltanto luomo
capace, resta ancora da chiedere se luomo come giocatore rimane
nella terra degli uomini oppure se egli con ci si mette
necessariamente in rapporto anche con un sovrumano.
Originariamente il gioco una rappresentazione simbolica
dellesistenza umana, che in esso d una interpretazione di s
medesima. I giochi pi primitivi sono i riti magici, i grandi gesti di
impronta cultuale, nei quali luomo arcaico interpreta il suo star nel
mezzo del contesto mondano, vi rappresenta il suo destino, e
rievoca a s gli eventi di nascita e morte, di matrimonio, guerra,
caccia e lavoro. [] lLa comunit di festa avvolge gli spettatori, gli
iniziati e gli adepti di un gioco cultuale, dove le gesta e le pene
degli dei e degli uomini vanno su un palcoscenico le cui tavole in
effetti significano il mondo.
76


Fink supera cos dun balzo le perplessit di Caillois che
inducevano questultimo a uno sfiancante tentativo di separazione
continua e ermetica delluniverso ordinario da quello del gioco, pur
riconosciuto come mondo e quindi altamente considerato, almeno
come luogo sterile per lanalisi delle dinamiche del mondo reale. Il

76
OG, pp. 70-72.

54
mondo uno, secondo Fink, ed strutturalmente mondo in gioco, cui
lattivit ludica umana propriamente detta si conforma in quanto parte
di mondo, ma al tempo stesso innervando ogni momento dellesistenza
stessa e facendola consapevole del movimento cosmico in cui
immersa. In questo senso di notevole importanza lattenzione, poi
sviluppata ne Il gioco come simbolo del mondo, portata da Fink, sulla
scorta di Huizinga, sul legame tra gioco e religione, oltre che il
riferimento alla magia: rapportarsi alla divinit, cos come trovare
formule che irretiscano la natura, rappresentano le modalit pi antiche
del tentativo di portare dentro di s la sterminata grandezza
delluniverso, di collocarsi in esso e tra le sue forze discordanti.
Lesigenza di orientamento muove il gioco umano, che strappa la
propria oasi al flusso del mondo per ritrovarsi e ricollocarsi nel suo
infinito facendolo proprio.



55
4. PAIS PAIZON

Come si visto attraversando le impostazioni del discorso sul
gioco di Huizinga, Caillois e Fink, la coincidenza tra gioco e infanzia
rappresenta il primo pregiudizio da sfatare per potersi seriamente
occupare del gioco in unopera che si proponga di scoprire in esso
loriginaria mossa civilizzatrice o lessere specifico delluomo e del suo
rapporto con il mondo. Tornando agli inizi, tuttavia, bisogna subito
segnalare la presenza del giocatore bambino nel frammento 52 DK di
Eraclito citato allinizio del presente percorso. La scelta del bambino da
parte di Eraclito trova giustificazione non tanto nella volont di sminuire
il valore del gioco stesso relegandolo nellalveo dellesperienza infantile,
ma nellintenzione di dare corpo a una figura di giocatore
particolarmente significativa. Va innanzitutto notato che Eraclito non si
richiama al gioco solamente in queste righe, ma almeno un altro
episodio della sua biografia collegato, secondo le fonti, allesperienza
del gioco: la narrazione di Diogene Laerzio mostra Eraclito presso il
tempio di Artemide a Efeso mentre, invece di porgere doni alla dea,
gioca a dadi (astragalzein). In risposta a chi gli chiede conto di questa
stranezza, assai vicina a un atto di empiet, il pensatore dice: Perch vi
stupite, o canaglie? Forse questo non meglio che partecipare con voi
al governo della citt?
77
. Eraclito utilizza la risorsa ludica per
polemizzare con linstabilit politica della patria, invitando a distaccarsi
da presunte verit prestabilite e che si rivelano fragili alla prova dei fatti.

77
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, libro IX, capitolo I, a cura di M. Gigante, Laterza,
Roma-Bari 2002, vol. II, p.353.

56
Il detto attribuitogli Ho indagato me stesso
78
, accanto alla sua
affermazione di non essere discepolo di nessuno, bens un autodidatta,
riporta lattenzione sulla prospettiva educativa sottesa al suo ricorso al
gioco nel tempio. Come ben chiarisce Graziano Micheli nel suo scritto Il
motivo del gioco in Eraclito
79
:

E necessario proporre non una sua [delluomo] immagine scelta
accortamente tra la serie insinuante dei soliti modelli, ma quella,
tutta collegata alla verit esistenziale delluomo, come colui che ,
e rimane pais, quando si apre al giuoco, anche se resta,
drammaticamente, solo con le proprie capacit umane molto
limitate, rifiutando qualsiasi infingimento.
80


Eraclito resta silenzioso, scrive il biografo Ermippo, allorch si
trova ad assistere a interminabili logomachie; preferisce, come mostra
lepisodio dei dadi, utilizzare argutamente unesperienza ludica che, pur
di difficile interpretazione nellimmediato e richiedendo per essere
compresa lintuizione pi che lindagine, porta con s in unimmagine
viva e praticamente attiva una metodologia di pensiero che si oppone,
appunto, alla verbosit improduttiva dei finti sapienti. Tornando cos al
bimbo che gioca alla pessia, si deve dunque rilevare che il riferimento
al gioco non affatto una scelta poetica, ma che riflette innanzitutto
uno stile di pensiero fuori dagli schemi. Non per sufficiente limitarsi a
cogliere uninterpretazione didattica del gioco, dal momento che il
bambino del frammento 52 DK compie unesperienza ben precisa: la
pessia infatti un gioco molto simile alla dama o agli scacchi, dunque,

78
Eraclito, op. cit., fr. 101 DK, p. 55.
79
G. Micheli, Il motivo del gioco in Eraclito, in in Il gioco come momento
ermeneutico, Atti del seminario di studi Momenti del gioco, 18 dicembre 2000,
cit., pp. 91-102.
80
Id., ibidem, p. 95.

57
se il participio paizon (giocando) focalizza lattenzione sulla dimensione
infantile del giocatore, pur vero che questo gioco esige sino
dallinizio abilit ed intelligenza, non prevede lintervento della tuche,
come poteva congetturarsi, se egli avesse usato il verbo astragalizein,
riferendosi al giuoco dei dadi
81
. I pessi, inoltre, non erano solo le
pietruzze con cui si giocava la pessia, ma anche i sassolini utilizzati per
prendere i voti da Zeus. Sebbene nel frammento eracliteo il riferimento
sia indubbiamente al gioco, il suggestivo accostamento a Zeus non va
dimenticato, poich il pais regge con il suo gioco o ion, il tempo
concreto, storico, cio il corso dei giorni e delle notti e degli
avvenimenti che concernono i popoli e gli individui. Luomo ritrova
dunque la propria regalit, la propria capacit di fare il mondo, cos
come Zeus ordina il suo cosmo, allorch riscopre il piacere e il rischio
del lancio delle tessere di una scacchiera, accettando una sfida di abilit
e intelligenza, pi che lazzardo della sorte. Come conclude Micheli: il
messaggio di Eraclito invita ad essere individui che sanno pensare
82
,
poich il gioco arricchisce, interrompendo il sonno dogmatico.
Il bambino, e con lui luomo, diventa Zeus allorch scopre
linnocenza del proprio gioco e sposta le pedine, nella consapevolezza
della loro arbitraria disposizione. La figura del fanciullo-dio daltro
canto un archetipo mitico di grande forza e diffusione, che passa poi
nella tradizione favolistica di diverse civilt. Nel suo studio sul fanciullo
divino Kroly Kernyi
83
rimarca ripetutamente che la fanciullezza della
divinit non rappresenta nel racconto mitico un momento biografico,

81
Id., ibidem, p. 98.
82
Id., ibidem, p. 99.
83
K. Kernyi, Il fanciullo divino, in G. Jung K. Kernyi, Prolegomeni allo studio
scientifico della mitologia, Boringhieri, Torino 1972, pp. 47-106.

58
quanto piuttosto una condizione esistenziale della divinit (o anche
delleroe) che ne segnala leccezionale forza e abilit oltre che il ruolo
cosmico, dal momento che ogni divinit crea, con la propria nascita, un
nuovo mondo. Il dio bambino, precisa Kernyi, non perci meno
potente, ma nel pieno della vita e del suo senso divino. La
caratteristica comune dei fanciulli divini protagonisti degli antichi
mitologemi da ritenere, dati i risultati dellanalisi comparata di poemi
epici di tradizioni differenti, dal finnico Kalevala allindico Mahbhrata,
la loro condizione di orfani abbandonati, per lo pi in una situazione di
grave pericolo in cui il padre il maggiore nemico (come Chronos per il
neonato Zeus) oppure risulta colpevolmente assente (come nel caso di
Zeus allorch Dioniso sbranato dai Titani). La madre ha invece un
ruolo di contemporanea presenza/assenza assai particolare. Lo
scandaglio dellimmaginario mitico antico consente lemergenza di un
sottofondo comune riassumibile in due tratti: La solitudine del fanciullo
divino e, daltra parte, la sua familiarit con il mondo primordiale.
Situazione che ha un doppio aspetto: situazione del fanciullo orfano e,
nello stesso tempo, del figlio amato degli dei
84
. Il fanciullo divino,
inoltre, affrontando inaudite peripezie, dimostra una forza fisica e
unabilit assolutamente incompatibili con la sua et anagrafica,
producendo una compresenza paradossale della massima forza
nellestrema debolezza dellinfanzia. La triste solitudine dellorfanello
coincide dunque con la solitudine dellessere elementare-primordiale, e
infatti molto spesso sono proprio gli elementi fondamentali aria, acqua,
terra e fuoco che esaltano la forza dei fanciulli mitici. Questa solitudine
primordiale spesso trova unimmagine potente nellemergenza epifanica

84
Id., ibidem, p. 51.

59
del dio bambino dallacqua (oppure su una nave, miticamente
equivalente): E il Fanciullo nella Solitudine del Primo Elemento, il
Fanciullo che una forma di sviluppo dellUovo, come tutto il mondo
una sua forma di sviluppo
85
. Pi importante, tuttavia, risulta
laffermazione metodologica di Kernyi che si avvicina alla presa di
posizione di Fink contro luso esclusivamente metaforico dei caratteri
del gioco per raffigurare il mondo. Il mito, dice Kernyi, simbolico, e il
simbolo non lallegoria che si limita a dire qualcosa in maniera diversa.

[Il simbolo ] unimmagine offerta dal mondo stesso.
Nellimmagine del Fanciullo il mondo parla della propria infanzia:
di ci che il sorgere del sole quanto la nascita dun bambino
rivelano ed esprimono del mondo.
Infanzia e destino dorfano dei fanciulli divini non si formano del
materiale della vita umana, bens del materiale della vita cosmica.
86


Tra laltro, poco prima, quasi di sfuggita, Kernyi sfiora la
questione ludica e propone un interessante parallelismo tra gioco e
mitologia, dicendosi convinto del fatto che entrambi i fenomeni si
comprendano unicamente dal di dentro.

Quando nel gioco si diventa coscienti del fatto che in fondo si
tratta soltanto di una forma dapparizione della vitalit e di
nientaltro, il giuoco finito [] Anche il nostro tema fondamentale
[del fanciullo divino] pu essere concepito come una forma
desperienza umana del sorgere del sole, come lapparizione di
questesperienza in sogno, in visione, in poesia in materiale
umano. Con ci per non si dice nulla intorno al tema stesso, nulla
assolutamente intorno al mitologema quale mitologema.
87



85
Id., ibidem, p. 73.
86
Id., ibidem, p. 75.
87
Id., ibidem, p. 74.

60
Il gioco come il mito, dunque sono della medesima stoffa del
mondo, non sono riducibili a antropomorfizzazioni di un ciclo cosmico
irriducibile allesperienza umana, ma sono il mondo stesso che bussa
alle porte dellumanit. Kernyi tocca quindi i confini della questione del
gioco. Nelle pagine successive del suo saggio, inoltre, prendendo in
considerazione le figure di bambini divini pi note della grecit da
Apollo a Hermes, da Eros ad Afrodite, sino a Dioniso e Zeus, Kernyi
accenna, a proposito di Hermes alla sua connessione, da un lato, con
Afrodite, nata dalle acque per opera del fallo di Urano, evirato da
Chronos, nellessere bisessuato primordiale (ermafrodito), dallaltro alla
sua prima impresa infantile: una tartaruga, essere che rimanda nel mito
alla sterminata antichit, portatrice del pi profondo strato cosmico, il
Tartaro, diviene giocattolo e vittima del piccolo dio ingegnoso che con il
suo guscio fabbrica la prima lira, anchessa dotata di valenza cosmica,
poich tra le mani del bimbo esprime la musicalit del mondo, il suo
ordinamento ritmico-musicale. Il mito di Zeus, fanciullo che ha nel
padre, timoroso di perdere il regno, il suo primo nemico, presenta con
la massima evidenza il nascere in lui e con lui di un nuovo ordinamento
cosmico. Tuttavia linfanzia non ha tanta importanza nel culto di
alcunaltra divinit a prescindere da Zeus quanta ne ha nel culto di
Dioniso. Anchegli ha la sua epifania acquatica (lacqua come elemento
materno) e la sua raffigurazione, come quella di Hermes, spesso nella
forma di un fallo (nel caso di Hermes lerma), oltre alla sua natura di
uomo e donna assieme. La sua primordialit, unita alla sua presenza
anche nelle raffigurazioni sepolcrali, quasi alludendo alla similarit tra
bambini e morenti nella loro condizione di confine tra esistenza e non
esistenza, gli conferisce la patente di fanciullo cosmico per eccellenza.

61
Inoltre, bench Kernyi non si soffermi su questo aspetto, linfanzia di
Dioniso profondamente segnata dal suo rapporto con il gioco. Eletto
al rango di divinit, il dio Pais troneggiava nei culti misterici accanto a
nomi imponenti come Chronos, Mnemosyne, Phanes, Ananke, ma
nella fanciullezza di Dioniso che il tema del gioco assume la dimensione
di esperienza iniziatica e rischiosa, di vitale importanza: il mito di
Dioniso ci conservato da Clemente Alessandrino, che cita i versi di
Orfeo in cui il mitico cantore elenca i giocattoli con cui si trastullava il
piccolo dio. Essi rappresentano l'apprendistato di Dioniso a un
particolare gioco:

I misteri di Dioniso sono difatti assolutamente inumani. Intorno a
lui ancora fanciullo si agitano in una danza armata i Cureti, ma i
Titani si insinuano con l'astuzia: dopo di averlo ingannato con
giocattoli fanciulleschi, ecco che questi Titani lo sbranarono,
sebbene fosse ancora un bambino, come dice il poeta
dell'iniziazione, Orfeo il Tracio: "la trottola, il giocattolo rotante e
rombante, le bambole pieghevoli e le belle mele d'oro delle
Esperidi dalla voce sonante". E non inutile menzionarvi come
oggetto di biasimo i simboli inutili di questa iniziazione: l'astragalo,
la palla, la trottola, le mele, il giocattolo rotante e rombante, lo
specchio, il vello.
88


Per gioco si pu morire, anche se si un dio. Ma per gioco anche
si cresce e si diventa uomini: lo sbranamento di Dioniso provoca infatti
la punizione divina contro i Titani che vengono inceneriti dal fulmine di
Zeus. Le membra di Dioniso sono per amorevolmente ricomposte e il
dio fanciullo torna a vivere, ormai iniziato, irrimediabilmente sottratto
allinnocenza del gioco. Una recentissima ripresa narrativa del racconto
relativo ai giocattoli di Dioniso mette in scena ancor pi crudamente

88
Clemente Alessandrino, Protrettico, 2, 17-18, cit. in G. Colli, La sapienza greca,
Adelphi, Milano 1977, vol. I, p. 245.

62
quale pericolo si nasconda dietro a una sottovalutazione
dellimportanza del gioco. Il narratore francese Daniel Pennac spiega
infatti con il ricorso al mito dello sbranamento di Dioniso il senso del
suo romanzo Il paradiso degli orchi. Cos recita lesergo del romanzo,
una citazione tratta da Girard
89
:

Per attirare il piccolo Dioniso nel loro cerchi, i Titani agitano certi
ninnoli. Sedotto da questi oggetti scintillanti, il bambino si fa
avanti e il cerchio mostruoso si richiude su di lui. Tutti insieme, i
Titani assassinano Dioniso; dopo di ch lo fanno cuocere e lo
divorano.
90


Il racconto di Pennac concerne infatti alcuni misteriosi attentati
che avvengono in un grande magazzino, in cui risultano coinvolte
persone implicate in una sanguinosa operazione: nel 1942, anno in cui, a
causa della guerra, i grandi magazzini erano chiusi, i bambini venivano
attratti nel reparto giocattoli e l giustiziati. Quindi, nel titolo, la parola
orchi si riferisce allefferatezza di questo gesto, mentre il paradiso
rappresenta il reparto giocattoli, considerato un universo fantastico e
meraviglioso dai bambini che restavano vittime di tale incantamento.
Un cos potente uso mitico dellimmagine del gioco non pu
lasciare indifferenti, specie quando vi connessa una divinit nodale
come Dioniso, simbolo ambiguo e inquietante del recupero di una
natura umana ancor pi originaria del suo stesso mito. Cos, almeno, lo
ha visto Nietzsche. Il dio perde linnocenza osservando se stesso nello
specchio-giocattolo e vedendo in esso il riflesso del mondo e di s
come mondo. In questo sguardo del dio fanciullo racchiuso un
percorso dindagine che tenta di coniugare lazione ludica al farsi del

89
R. Girard, Il capro espiatorio, Adelphi, Milano 1987.
90
D. Pennac, Il paradiso degli orchi, Feltrinelli, Milano 1972.

63
mondo, ancorando questa cosmogonia alle strutture effettive della
prassi del gioco che, muovendosi tra regola e libert, sembra
plasticamente aderire allazione stessa delluniverso.
Dalla filosofia al mito, dunque, la grecit ha tramandato figure di
bimbi che giocano e che, giocando, portano a compimento operazioni
cosmiche, sino a reggere, come scrive Eraclito, le sorti del tempo. In
riferimento a Eraclito e ad alcuni passi di Platone, Nynfa Bosco individua
correttamente le conseguenze che derivano allimmagine del mondo
dallistituzione di una relazione diretta tra mondo e gioco:

Usare il gioco come simbolo cosmico significa dunque, per i greci,
vedere nel mondo ordine senza necessit, variet senza casualit,
fisicit senza pesantezza; significa vedervi bellezza e ragione, e
vedere nella divinit uniniziativa o almeno uneffusione gratuita,
ma sapiente e benefica, che lorigine e la ragione della presenza,
della bellezza e della conoscibilit del mondo.
91


Anche Sigmund Freud, in Al di l del principio del piacere, riporta i
risultati dellosservazione del gioco di un bambino molto piccolo con un
rocchetto di legno a cui legato un filo. Il bambino prova piacere nel
gettare lontano il rocchetto e riavvicinarlo poi a s pronunciando nel
primo atto lespressione o-o-o e nel secondo da
92
. Freud ricava

91
N. Bosco, op. cit., p.29.
92
Alla fine mi resi conto che si trattava di un gioco e che il bambino usava i suoi
giocattoli solo per farli scomparire.
Un bel giorno mi capit di fare unosservazione che conferm la mia ipotesi.
Il bambino aveva un rocchetto di legno con un pezzo di spago arrotolato: ebbene,
mai gli venne in mente di trascinarselo dietro per il pavimento, di usarlo, ad
esempio, come un carrettino. Quel che invece gli piaceva fare era tenere in mano lo
spago e scagliare con consumata precisione il rocchetto dietro la spalliera a tendina
del suo letto, di modo che laggeggio sparisse; contemporaneamente egli emetteva
il suo caratteristico o-o-o-o. Quindi ritirava il rocchetto dal nascondiglio e
salutava la sua riapparizione con un festoso da! [eccolo!].
Questo, dunque, era lintero gioco: scomparsa e ritorno. [S. Freud, Al di l del
principio del piacere, Newton Compton, Roma 1976, p. 30].

64
dallosservazione lidea che il bambino, nella pratica del gioco, stia
tentando di colmare il vuoto lasciato dallassenza della madre,
riproducendone lallontanamento e il ritorno. Indubbiamente suggestivo
risulta laccostamento proposto da Rovatti e Dal Lago tra il passo in cui
Freud narra questa osservazione e la relativa interpretazione
psicanalitica e il frammento 52 DK di Eraclito. Il confronto si muove sul
cardine del maggior realismo della figura infantile descritta da Freud,
storicamente e ambientalmente collocata, oltre che sulla perduta
innocenza del bambino che gioca con il rocchetto che, teatralmente,
tenta faticosamente di imparare a stare al gioco dellinstabilit e
caducit umane, non evadendo dal mondo, in cui per altro gi si trova,
ma collocandovicisi, producendo con il suo gioco delle forme e delle
costruzioni che gli consentano di orientarsi in esso:

Il bambino di Freud, come sappiamo, ha perduto linnocenza.
Vorrebbe assomigliare di pi al bambino reale. Non funziona come
un miraggio da raggiungere, come se linfanzia fosse il possibile
compimento felice della maturit. Adesso, sulla scena, c un
bambino in carne e ossa, come si dice, e intorno ha una casa, un
ambiente, un livello di vita, una determinazione storica che
assomiglia alla nostra. La natura, si direbbe, scomparsa. Niente
mare, niente immensit del mondo, niente Gioco cosmico. Se gioca
con il suo rocchetto, questo bimbo lo fa, sembra, per costruirsi un
proprio mondo, o per fare in modo che il mondo sia proprio. Usa
larte della finzione e fa del teatro: spontaneamente, con infantile
naturalit, finge. Fantastica che il rocchetto non sia il rocchetto, che
ogni cosa e lui stesso siano qualcosaltro. Un pezzo di legno pu
essere tutto: e cos la realt diventa scena, fantasia, storia, magari
sogno. Adesso il bambino in riva al mare con la sabbia produce
forme e situazioni, inventa un teatro strabiliante.
93




93
A. Dal Lago - P.A. Rovatti, Per gioco: piccolo manuale dellesperienza ludica,
Cortina, Milano 1993, p. 28.

65

66
5. TORNARE A ERACLITO: IL MONDO COME GIOCARE DEL GIOCO

La lunga digressione sullarchetipo mitico del fanciullo cosmico
sembra aver chiarito limportanza del richiamo eracliteo al gioco
infantile come azione organizzatrice e regolatrice del cosmo universale.
Eugen Fink parte di qui per puntualizzare il ruolo del gioco nel suo
universo concettuale quale grimaldello per scardinare loblio del,
perpetrato dalla concezione metafisica del mondo come ente o somma
di enti, e per ricollocare luomo nel rapporto a esso. Fink riconosce in
Eraclito la proposta di una via ludica del pensiero, trascurata dalla
successiva tradizione e ritrovata da Nietzsche.
Innanzitutto, Fink consapevole del fatto che Il gioco cosmico
non un fenomeno
94
, pertanto non riconoscibile e dimostrabile
intersoggettivamente. Proprio questo carattere di invisibilit del gioco
del mondo, tuttavia, non deve far pensare alla cosmologia ludica come
a una trasposizione analogica del gioco umano su scala universale in
qualit di metafora del movimento del mondo. In tal modo gioco
umano e gioco cosmico risulterebbero due realt distinte, luna
designante unattivit concreta, laltra un mero pensiero speculativo,
mentre Fink precisa giustamente che il rapporto tra uomo e mondo
proprio ci che lanalisi del gioco deve scoprire e precisare, e non un
presupposto dellindagine
95
. Sulla scorta dellinterpretazione
heideggeriana dellessere, Fink ribadisce a pi riprese come il mondo
non sia riconducibile allente e come la relazione delluomo con il
mondo non sia spiegabile nei termini del rapporto tra due enti. Tuttavia

94
GSM, p. 17.
95
Cfr. GSM, p. 18.

67
il concetto di mondo, sottratto allanalogia ontica, si fa problematico e
rischia di ridursi a mera idea regolativa di cui non si fa esperienza, ma
che necessario porre come sfondo dellesperienza stessa dal momento
che la ragione sempre turbata dal pensiero della totalit. Del resto, la
tradizione filosofica ha sempre nascosto il problema del rapporto con il
tutto universale, soppiantandolo con la questione del legame tra luomo
e la divinit.
Dissotterrare lapertura comprendente delluomo alluniversale
consentito allora solamente dal ritorno alle origini che si declina come
ritorno a Eraclito e, in particolare, al fondamentale frammento 52 DK cui
Fink affianca un altro aforisma cosmologicamente orientato, il
frammento 30 DK:

Questo cosmo n alcuno degli dei lo fece n alcuno degli uomini,
ma fu sempre ed e sar, fuoco di eterna vita [pr aizoon], che si
accende con misura e si spegne con misura.
96


Linterpretazione offerta da Fink approfondisce la consapevolezza
dellirriducibilit del mondo a cosa, ma opera anche un riorientamento
della posizione delluomo e della divinit rispetto allordine universale.
Due sono infatti le questioni che Eraclito, a parere di Fink, mette in
opera in questo frammento:
In primo luogo lordine universale sottratto alla paternit divina e
umana, mettendo tra laltro in scacco tutta la tradizione che ha
ridotto la questione del mondo alla questione di Dio, e viene
attribuito allazione eterna del fuoco: si tratta di una forza
sistematrice, non di un elemento chimico che entri nella
composizione di tutte le cose. Il mondo anzitutto ksmos, da tutti

96
Eraclito, op. cit., fr. 30 DK, p. 21.

68
percepibile, che risiede in tutte le configurazioni possibili: il pyr
eracliteo funziona come una comprensione illuminante che d vita
alle cose.
La negazione del ruolo creativo di dei e uomini nei confronti
dellordine mondiale ha per senso solo se in qualche modo essi
sono vicini e connessi con questa attivit produttrice. Menzionarli in
relazione al ksmos quasi pi importante che escluderli:

Dei e uomini sono nel mondo in modo tale che hanno un rapporto
di comprensione verso la potenza fondamentale che tutto produce
e tutto riprende, che organizza il ksmos e regola il corso e il
mutarsi delle cose. E da tale rapporto di comprensione riescono
essi stessi in modo derivato ad essere ancora creativi.
97


Agganciandosi a un altro detto di Eraclito, il frammento 32 DK, si
pu ben osservare questo aspetto di vincolo-separazione della creativit
umano-divina rispetto a quella cosmica, dal momento che lUno-tutto
non accetta e insieme accetta il nome di Zeus
98
, divinit suprema che,
tuttavia, in quanto ente personale, non gli corrisponde totalmente.
Prima Eraclito rifiuta la denominazione, poi, in nome della comune,
anche se subordinata, produttivit si lascia convincere ad utilizzarla
99
.

97
GSM, p. 26.
98
Una sola cosa, la sapienza, vuole e non vuole esser chiamata col nome di Zeus.
[Eraclito, op. cit., fr. 32 DK, p. 33].
99
Pu essere suggestivo affiancare il frammento 32 DK a un brano
dellAgamennone di Eschilo:
Zeus, chiunque egli sia, se questo il nome
con cui gli caro essere invocato,
cos a lui mi rivolgo. Nulla trovo cui compararlo
pur tutto attentamente vagliando
tranne Zeus, se veramente si deve gettar via
il vano peso dal proprio pensiero.
[Eschilo, Agamennone, vv.160-166, in Orestea: Agamennone, Coefore, Eumenidi,
Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1995, p.207].

69
A questo punto facile per Fink riallacciare lazione del fuoco al
termine aion (corso del mondo) che apre il frammento 52 DK e
commentare:

Tutto lente, in quanto ente governante, viene definito
simbolicamente bambino che gioca, pas pazon. La creazione pi
originale ha il carattere di gioco. Luniverso governa come gioco.
100


Dunque Eraclito prende a modello un comportamento umano
per descrivere il corso universale, ma, anche riconosce un vassallaggio
creativo delluomo e del dio rispetto al fuoco ordinatore che non ente
del mondo, ma potenza vivificatrice: il gioco non mai un dato, ma si
esaurisce nel dare, nellazione vivificante della potenza donatrice. La
forza produttiva delluomo, che gli conferisce la sua caratteristica
estaticit incompiuta e progettante, e dunque anche il suo gioco,
traggono origine da quellaltro gioco, lo imitano e lo perpetuano. Il
gioco della vita umana d corpo alle cose, conferisce significati a ci che
si manifesta, cos come il fuoco d e sottrae lessere alle cose, sotto
forma di luce che le illumina.
La peculiarit riconosciuta da Heidegger al Dasein in quanto ente
che si rapporta al proprio essere in unattitudine comprendente viene
dunque riproposta da Fink, con locuzioni spesso molto simili a quelle
heideggeriane come Luomo ha lintelligenza dellessere
101
, Abbiamo
dimestichezza con la comprensione dellessere
102
, La nostra

In entrambi i casi emerge la difficolt del dire ci a partire da cui si parla, ci che,
sottraendosi d vita alle cose e che, appunto per questo, non contemplabile dal
linguaggio e che risulta difficile da comprendere per luomo, pur costitutivamente
ad esso aperto.
100
GSM, p. 26.
101
GSM, p. 35.
102
GSM, p. 35.

70
partecipazione allessere del mondo da noi compreso
103
, e, ancora, in
Oasi della gioia, luomo Non semplicemente, egli si rapporta
comprendendo al suo proprio esserci nel triplice momento del
rapporto con s, della comprensione dellessere, e dellaprirsi al
mondo
104
. Lavorando per sulla suggestione eraclitea, Fink scandaglia
la capacit comprendente dellessere umano e ne radica le condizioni di
possibilit nel movimento dellessere stesso come gioco. Loperazione
non , ancora una volta, estranea allorizzonte heideggeriano.
Significativi sono a questo proposito alcuni passaggi di un corso tenuto
da Heidegger nel semestre invernale del 1928/29
105
dove la
comprensione dessere propria dellesser-ci definita esplicitamente
come gioco, in uninterpretazione dellespressione comune gioco della
vita, innanzitutto nel suo carattere attivo di azione del giocare come
essere accordato e essere nella disposizione da cui derivano il
piacere ludico e la disponibilit a rispettarne le regole, la cui rete non
esaurisce il gioco che, invece, si fa spazio ogni volta formandosi e
trasformandosi. Sotto questo aspetto Heidegger insiste sul gioco non
come comportamento tra i tanti possibili verso qualcosa, ma come il
giocare del gioco: lessere il gioco che gioca, il fuoco che illumina e
plasma ci che appare, esso stesso lazione e il suo svolgimento,
sfuggente come il gioco sa essere, che si vede nelle sue mosse e nelle
sue regole, ma non sta mai tutto dispiegato davanti al giocatore e, anzi,

103
GSM, p. 10.
104
OG, p. 47.
105
Il testo di Heidegger cui si fa riferimento pubblicato in M. Heidegger,
Gesaumtausgabe II. Abteilung: Vorlesungen 1919-18944, Band 27: Einleitung in
die Philosophie, Wintersemester 1928-29, hrsg. Von O. Saame und I. Saame-Speidel,
Klostermann, Frankfurt a.M. 1996: 36 Welt als Spiels des Lebens, pp. 309-322.
La traduzione di alcuni passi del testo heideggeriano reperibile in Aut-Aut, n.
295, 2000, pp. 73-78.

71
lo si continua a giocare proprio perch lesito non ancora determinato
dalle mosse gi compiute. A sua volta lessere-nel-mondo dellesser-ci
allora lazione che fa lo spazio, che mette in gioco lente, gli conferisce
un nome e un ruolo nellorizzonte dei significati, gli d un posto. Il gioco
della vita come essere-nel-mondo allora accordarsi a questo
cangiante farsi presente del mondo stesso. Il gioco dunque in primo
luogo il gioco dellessere che lascia apparire gli enti. Si intuisce quindi la
misura dellimportanza del gioco come cerniera e frammezzo
106
che non
tanto rende intelligibile lazione dellessere, ma strutturalmente
coincidente con questazione. Lessere gioca e giocando fa gli enti,
come il bambino di Eraclito giocando fa il corso del mondo.
Il rischio che si deve evitare quello, partendo dal gioco, di
invertire i termini della questione non comprendendo il vero carattere
del mondo: secondo Fink il primo Heidegger incorre nellerrore di
pensare il mondo in senso esistenziale, come modo dessere delluomo
che si concreta in una struttura spazio-temporale che luomo progetta e
in cui abita
107
; bisogna invece riportare laccento sul mondo quale
scaturigine delluomo, che in questultimo fa dunque irruzione con il suo
giocare.

Giocando luomo non rimane in s, nel chiuso cerchio dellintimit
della sua anima egli esce piuttosto estatico da se stesso in un
atto cosmico e interpreta il senso di tutto il mondo.
Proprio come problema umano il gioco delluomo appartiene al
mondo e come problema del mondo rimanda alluomo.
108



106
Questi i termini, decisamente perspicui e plastici, utilizzati come
rappresentazioni del gioco da R. Pistorio, op. cit.
107
Cfr. GSM, pp. 42-43.
108
GSM, p. 21.

72
Il compito posto da Fink al proprio pensiero quello di dare
conto del rapporto tra uomo e cosmo a partire dal gioco, riconoscendo
in questultimo il senso stesso del mondo come apertura entro cui
luomo si colloca. Pertanto il gioco umano, sulla base di Eraclito, prende
la sua misura dalla partecipazione al gioco cosmico in cui immerso:
Fink alla ricerca della collocazione delluomo nel mondo
109
, svisata a
suo parere dalla metafisica che ha dimenticato di rapportarsi al mondo
e che ha conferito alluomo una caratteristica posizione di mediet tra
fiera e divinit. Coglie dunque correttamente, sin dalle prime pagine de
Il gioco come simbolo del mondo, lo spirito della metafisica come
ordinamento e gerarchia degli enti, in cui luomo ha il contraddittorio
privilegio di abitare in due mondi, quello sensibile e quello intelligibile,
posizione che, scrive Fink, gi testimonia unincompresione totale del
carattere del mondo. Rifacendosi strettamente allimpostazione
concettuale del secondo Heidegger, Fink insiste sulleccezionalit,
invece, del mondo quale unica totalit onnicomprendente da cui deriva
che ogni cosa che viene incontro allesperienza cos come ogni atto
comprendente delluomo, avviene gi entro tale mondo
110
, da leggersi
dunque, secondo la lezione eraclitea, come azione dellindividuazione e
del realizzarsi delle cose. Tutto il pensiero di Eraclito, del resto, richiama
la profonda congiunzione armonica degli opposti, per cui sveglio e
dormiente, vita e morte, Ade e Dioniso sono correlati in una tensione
irrisolvibile, come capi di un medesimo filo; tutto connesso in ununica
totalit, in cui ciascuna forma appare come controluce dellaltra.

109
Fink si assegna esplicitamente un compito: Comprendere la collocazione
delluomo nel mondo sotto la guida di una precisa comprensione del gioco. [GSM,
p. 29].
110
[Il mondo] umano perch luomo prima di tutto del mondo. [GSM, p. 46].

73
Lazione del mondo consiste in questa individuazione mobile e
ininterrotta. Il bimbo eracliteo sposta le pedine sul suo tavolo da gioco
nel medesimo modo in cui agisce il mondo, dando forma alle cose e
agli uomini, che, dunque, sono anzitutto in esso: Fink declina al plurale
la struttura di essere-nel-mondo, distinguendo labitare nel tutto di ogni
ente finito dalla peculiare apertura con cui luomo vive in esso, ma,
soprattutto insistendo sul connotato del movimento instabile che
caratterizza lappartenenza al mondo degli enti finiti, che divengono tali
per la partecipazione allazione individualizzante. La peculiarit
dellessere-nel-mondo, che consente alluomo di giocare e non solo di
esser giocato, consiste dunque nella capacit di porsi di fronte al gioco
del mondo, pur continuando a rimanere in esso.
Ripercorrendo la strada tracciata da Eraclito, Fink riesce a
riportare in quota il gioco riscontrandolo come agire proprio dellessere:
il mondo non altro dal giocare il gioco dellindividuazione, del nascere
e del perire, e si concentra tutto in questa azione ludica. E dunque
innanzitutto la nozione di mondo come ricettacolo delle cose o come
spazio in cui le cose si muovono che viene rivista dalloperazione di Fink,
incrociando i riferimenti a Heidegger e Eraclito. Non infatti sufficiente
individuare un carattere rappresentativo del gioco che gli consentirebbe
di fungere da metafora cosmica, ma innanzitutto il mondo a
presentarsi come un gioco in senso proprio. Cos, se il gioco umano pu
essere punto di partenza di unindagine sul corso del mondo come
gioco, esso non va travisato nel senso di un modello ideale perch in
grado di fornire, in una struttura semplificata, un calco del mondo, ma
va inteso nel suo senso di azione e esercizio formativo di una realt
autarchica. Il giocatore fa il mondo nel senso che il mondo non altro

74
che questo fare incessante: le figure e le forme di volta in volta
manifeste sono effetti interni del gioco, assolutamente vere e legittime
entro quel gioco, ma loperazione da compiere quella di focalizzare lo
sguardo sullazione che allopera nel giocare, da intendersi come
poiesis subalterna di uomini e dei rispetto alla medesima azione ludica
del mondo.


6. PLATONE E IL GIOCO DEGLI DEI

Se Eraclito mette in campo dei e uomini per distinguerne lazione
creatrice da quella del fuoco ordinatore, il successivo punto di
riferimento, per una filosofia che desideri prendere in considerazione il
gioco al di l dei suoi aspetti empirici pi evidenti per farne una potente
ipotesi ontologica, costituito da un brano delle Leggi di Platone:

Io dico che noi dobbiamo occuparci di ci che ha valore, tralasciare
il resto; la divinit per natura degna di ogni interesse, che sia
anche fonte di beatitudine, ma luomo, labbiamo detto prima, non
che un giocattolo uscito dalle mani degli dei, e ci che di lui vale
di pi proprio questo, in realt. E in modo a ci conseguente,
ogni uomo e ogni donna devono anche vivere la loro vita,
giocando cio i giochi migliori, il contrario di quanto si intende
oggi da parte loro.
111


Platone focalizza due distinte dimensioni delluomo,
contemporaneamente giocattolo e giocatore. Una lunga linea
interpretativa ha insistito soprattutto sulla prima connotazione,
leggendola pessimisticamente come condizione delluomo in totale
balia delle decisioni del fato o di una divinit capricciosa, sullonda di

111
Platone, Leg., 803c-d, cit., p. 228.

75
una incomunicabilit e disparit tra divino e umano in cui a questultimo
non resta che accettare il proprio destino. Tuttavia Platone dice anche
qualcosa di ben diverso e fa slittare e convergere il giocattolo sul
giocatore: proprio lapparente sottomissione agli dei in qualit di
giocattolo, infatti, consente alluomo il proprio gioco, il proprio libero
agire nel mondo.
Il giocattolo infatti qualcosa di intenzionato, messo in gioco e
non lasciato nella sua inerzia, qualcosa che, per il bambino, appare
degno di considerazione innanzitutto per le sue possibilit
metamorfiche. Cos il giocattolo uomo non mero utensile del
divertimento divino, ma ha in s il motore per diventare ci che ,
sotto locchio vigile della divinit che gratuitamente gli concede
lattenzione di trasformarlo in proprio giocattolo. Il gioco d piacere al
dio, ma non nel senso di un crudele prendersi gioco delluomo,
sballottandolo fatalmente tra vittoria e sconfitta, gioia e sventura, ma
nel senso che il giocattolo fa il gioco. Come scrive Fink in Oasi della
gioia, il giocattolo pu essere sottoposto a un doppio e antitetico
sguardo: quello di chi sta fuori dal gioco e vi vede solo una cosa tra le
tante e quello del giocatore che scorge in esso un intero mondo cui
magicamente il giocattolo d vita.

Visto per cos dire dal di fuori, cio considerato con gli occhi di chi
non gioca, esso [il giocattolo] ovviamente un pezzo parziale, una
cosa del semplice mondo reale. [] Il proprio del giocattolo nel
giocattolo, la sua essenza consiste nel suo carattere magico. Nella
semplice realt una cosa e al tempo stesso ha una realt
diversa, ricca di mistero. E quindi infinitamente pi che un mero
strumento della nostra occupazione, pi che una cosa accidentale

76
con cui compiamo le nostre manipolazioni. Il gioco umano ha
bisogno di giocattoli.
112


Il gioco, dunque, come proprium della divinit, ha bisogno
delluomo per farsi. Non un caso che Platone veda lessere giocattolo
delluomo come la sua migliore caratteristica, dal momento che
proprio lattenzione divina che lo fa tale e gli consente di stare nel
gioco. Il giocattolo abbandonato, disinvestito dellattivit del bambino
che gioca, non gi pi giocattolo, ma pezzo di realt letteralmente
insignificante. Il giocattolo, come il gioco, simbolo e da questo punto
di vista gioco emblematico la costruzione di un puzzle: il singolo
pezzo rimanda, con i suoi bordi conformati per lattacco ad altri pezzi,
alla totalit del quadro, ma in quel pezzo, per poter trovare lattacco
giusto, va intravista lintera raffigurazione che sola consente la
collocazione esatta. Perdere un pezzo significa rendere impossibile il
gioco stesso e, daltro canto, chiunque trovi un pezzo solitario non potr
mai giocare quel gioco se non correndo a cercare gli altri. Il gioco, per
potersi costituire, ha bisogno di tutti i suoi pezzi. Il giocattolo fa da nido
per il senso globale, incarna luniverso costruito e, al tempo stesso,
suggerisce, come gli attacchi di un frammento di puzzle, le possibili
fughe della fantasia del giocatore.

Il mondo ludico ha il suo substrato reale nelluomo che gioca e nei
suoi giocattoli che fungono quasi da portatori. Un mondo
ludico non pu esistere per se stesso, dipende sempre dalla
comune realt dei giocatori e dei giocattoli.
113


Nel giocattolo, prima ancora che con il giocattolo, si fa possibile il
gioco, e, se il giocatore dio, la luce che getta sul giocattolo lo investe

112
OG, pp. 63-64.
113
GSM, p.94.

77
di possibilit innumerevoli e meravigliose. Tutta limmaginazione divina
scommette sulluomo, che trova in questa partecipazione al gioco la
propria collocazione. Ponendo il dio allorigine del proprio esistere,
luomo, per corrispondere appieno al suo ruolo di giocattolo, deve
saper riconoscere la grandezza sovrumana del giocatore e conformarsi
alle opportunit di cui stato magicamente investito grazie
allamorevole cura di colui che ha voluto farne il proprio giocattolo.
Platone, paradossalmente, ordina di giocare, non tanto per far piacere al
dio, quanto per essere pienamente uomini. Gi egli vede nelloblio
delloriginariet e primariet dellesperienza ludica un segno di
decadenza e di pericolo, unimperdonabile cecit che non consente
alluomo di trovarsi e conoscersi. Poche righe dopo il passaggio da cui si
partiti, infatti, Platone fa esclamare allAteniese: Potranno vivere tutta
la vita in modo quasi conforme alla loro natura, che quella di chi
quasi del tutto una marionetta e di poco partecipa alla verit
114
.
Platone non si accontenta, per, di invitare al gioco, ma, con estrema
convinzione, prescrive lesecuzione dei giochi pi belli: non un gioco
qualsiasi attende luomo, ma il gioco di cui limprescindibile giocattolo
il gioco di dio. Di fronte allalternativa, inevitabilmente posta dalle
parole platoniche, se luomo giochi o sia giocato, vale la pena di
ricordare laffermazione di Aldo Masullo nella prefazione a Oasi della
gioia, l dove egli qualifica uomo e mondo come partners nel gioco
115
,
cos come Rosaria Pistorio definisce il gioco zona di chiaro-scuro e
attivit-passivit, accettazione della propria condizione come movenza

114
Platone, Leg., 804b, cit., p. 229.
115
Luomo non giocato dal mondo, ma nel gioco uomo e mondo si giocano alla
pari, da partners di gioco [A. Masullo, op. cit., p. 16].

78
della vita cosmica e contemporanea attivit nel sentirsi liberi di
indirizzare il proprio pensare e agire nella consapevolezza dei propri
desideri e paure
116
.
Gi in Homo ludens si era rilevata la fecondit del continuo
passaggio dalla sfera del gioco a quella del sacro, che evidenziava la
polisemia ludica e la sua capacit di rappresentazione delloriginario.
Rimemorazione dellorigine del mondo nel mondo stesso, sforzo di
autocomprensione e di comunicazione con lalterit divina, la sacralit
ludica si misura su queste traiettorie di magico incantamento: il gioco si
rivela in tal modo uno strumento di conoscenza imprescindibile, data la
sua prossimit al coglimento della totalit del senso del mondo e della
vita. In secondo luogo il gioco, manifestando consapevolmente
nellapparenza un senso cosmico che va oltre essa e di cui limmagine
ludica sa dar conto con limmediatezza e la potenza dellintuizione
visibile nella dinamica del gioco, riavvicina luomo al potere creatore e
alla coscienza della forza dellintenzionalit che plasticamene d luogo
al ksmos. Tuttavia, come sottolinea Francesca Brezzi, lo spessore
epistemologico del gioco sacro si coglie maggiormente se lo si
concepisce come luogo in cui la relazione uomo-dio si fa altro da un
rapporto gerarchico tra dominatore e schiavo, per trasformarsi in una
unit-diversit o lontananza-vicinanza che proprio e soltanto il gioco sa
mantenere in equilibrio. Superando una rigida alternativa tra il pensiero
di un uomo fantasma, riflesso di dio anche nei suoi giochi, e, viceversa,
il delirio di onnipotenza dellumano che considera la divinit il risultato
di una fantasia ludica, va accettato il gioco come canale mediatore che
riunisce sullo stesso terreno divini e umani in quanto, se proprio il

116
Cfr. R. Pistorio, op. cit., pp.166-167.

79
giocare rende il dio pi vicino alluomo in unazione che entrambi
compiono, daltro canto e assieme va considerato che luomo conosce il
dio in primo luogo perch nel gioco sperimenta una libert poetica che
propria, nella sua assolutezza e gratuit, dellorizzonte divino. Nel
gioco luomo si vive da un lato come burattino divino, dallaltro come
partecipe del mondo di dio in quanto giocatore
117
: il segreto, allora,
heideggerianamente, sembrerebbe essere quello di stare nel circolo nel
modo giusto, musicalmente accordandosi sulle note del gioco del
mondo. Non a caso Heidegger, nel seminario gi citato, intende
lessere-nel-mondo come accordo con il gioco del mondo stesso, il
gioco da cui non si pu uscire e dal quale non si resta giocati solo
accettando di giocarlo. Questa consapevole entrata nel gioco in cui da
sempre si gettati si conforma perfettamente al pensiero platonico
secondo cui il gioco la miglior cosa per luomo, che solo cos
corrisponde a se stesso e trova la propria perfetta collocazione nel
ksmos, costruendo le proprie bellissime e fragili reti di oggetti e
concetti sul modello della divinit, che si compiace del suo giocattolo
capace di stare nel gioco e di reinventarsi costantemente. Il ludus
divino-mondano non si inferisce per analogia dal gioco terreno e
umano, nel qual caso si tratterebbe di una connotazione estrinseca tesa
a render conto della fatalit imprevedibile del placito divino, ma, pi
originariamente, la divinit si compiace della sua opera libera e creativa,
gioiosamente espletata, e, cos giocando, si trastulla anche con gli
uomini: il dio non gioca occasionalmente, ma il gioco il modo dessere
di dio che manifesta la sua condizione beata e felice. A questo punto,

117
Cfr. F. Brezzi, A partire dal gioco. Per i sentieri di un pensiero ludico, Marietti,
Genova 1992, pp. 67-71.

80
allora, dato che linferenza va da dio alluomo, si pu intuire il progetto
di una pedagogia che inviti luomo a perseguire la propria felicit
imitando il comportamento giocoso della divinit.

La dimensione ludica appartiene alla vita del mondo, a quella
delluomo e a quella di dio, poich il gioco apertura inesauribile,
creativit inestinguibile, luogo delle mille possibilit e scelte che
ora si attuano per il prevalere di un certo campo di forze, ora per
laffermazione di un sistema di valori su un altro, ora per
lincidenza di una libera provvidenza divina.
Il tutto realizzato nella pi piena gratuit che, lo ripetiamo, non
vuol dire assenza di senso bens di scopo estrinseco, e nella pi
autentica tragicit, rispettosa del drammatico rapporto mondo-
uomo-dio.
118


Anche Fink richiama il passaggio delle Leggi, prima di immergersi
nella sua critica allinclinazione fatta assumere da Platone alle questioni
dellimmagine e della copia, funzionale alla disamina della dialettica tra
realt e irrealt nel gioco e al recupero della sua originariet con un
oltrepassamento proprio dellontologia platonica. Fink utilizza in due
momenti il testo sul gioco degli dei: nel primo caso per mostrare come
la battaglia di Platone contro la mmesis non si compia nel pensiero di
questautore, come cio la via ludica del pensiero resti aperta anche in
lui, e, anzi ritrovi posto proprio alla fine della vita, in quel testamento
spirituale costituito dal lungo dialogo delle Leggi. Se Platone il padre
di una prospettiva che fa del mondo il prodotto del trionfo dellordine
razionale e di una perfetta tchne del demiurgo cosmico, e pertanto
responsabile della cancellazione dallorizzonte filosofico ufficiale della
maggiormente dinamica concezione eraclitea di gioco e conflitto come
movimenti cosmici fondamentali, tuttavia il problema del rapporto di

118
R. Pistorio, op. cit., p. 120.

81
questordine con il gioco senza scopo e la danza delle cose lo turba sino
alla tarda maturit. Ecco allora che il gioco diviene lagire caratteristico
degli dei verso gli uomini. Gli dei possono giocare perch non turbati da
alcun bisogno, e lattivit ludica modella e configura le proprie creazioni
beatamente e senza sforzo alcuno, si compiace di se stessa senza
attendere a scopi estrinseci. Il gioco come attivit divina si contrappone
come interpretazione alternativa e clandestina alla dominante che
stabilisce nel pensiero puro il proprium della felice autosufficienza
divina
119
.
La seconda, e pi importante, ripresa del testo platonico avviene
allorch Fink si propone di studiare il fenomeno del gioco cultuale, in
cui vede una prima, ma ancora insufficiente, alternativa alla mera
considerazione gioco=immagine che gli sembra emergere come
posizione caratterizzante di tutta la metafisica. In primo luogo, in questo
contesto Fink mette in luce il carattere di azione del gioco, pertanto
irriducibile a un riflesso o a unillustrazione del mondo: il gioco nel culto
primitivo innanzitutto magia manipolatoria che, consentendo,
attraverso il mascheramento rappresentativo, la comunicazione e la
partecipazione alle forze demoniache, provoca una reazione a esse.
Epifania divina e dolore umano si fondono nellazione ludica,
contemporaneamente attiva e passiva partecipazione delluomo al
gioco cosmico.

E nel gioco, che i giocatori umani compiono come servizio solenne
agli dei e presentano come offerta votiva, essi giocano in maniera
abbastanza singolare ad essere giocati, giocano il proprio ruolo
umano, che consiste nellessere giocattoli degli dei celesti.
120


119
Cfr. GSM, pp. 80-81.
120
GSM, p. 146.

82

Il gioco cultuale trova tuttavia il suo luogo pi proprio allorch
interpreta il governo stesso degli dei come gioco: a quel punto,
considera Fink, la festa sacra pu tradursi in tragedia allorch la
fortunata giocosit della divinit viene assunta come cifra della distanza
dallinane sforzo cui luomo quotidianamente costretto, oppure si pu
indirizzare verso la commedia nella misura in cui si lascia trascinare dalla
forza del gioco stesso. Le due opportunit si realizzano in dipendenza
da una duplice considerazione possibile del gioco stesso degli dei, a sua
volta conseguenza di una differente attitudine possibile nei suoi
confronti.

Evidentemente il significato delluomo come di un giocattolo
divino da interpretare in modo del tutto diverso a seconda che il
gioco degli dei sia posto come distanza o come malia.
121


Il giocattolo, nellanalisi di Fink, pu essere concepito come
oggetto qualsiasi liberamente manipolabile che, a differenza di quanto
accade per la materia grezza su cui luomo lavora, consente una
reinvenzione non faticosa e in cui la libera fantasia pu spontaneamente
aggiungere connotati non oggettivamente presenti nella cosa. Con il
giocattolo si ha un rapporto assolutamente arbitrario (si fa di esso ci
che si vuole) in cui contemplata leventuale noncuranza dei giocatori
nei suoi confronti. Dal momento che questo tipo di comportamento si
realizza per lo pi allorch ci si accorge della propria sovranit sul gioco,
gli dei, consapevoli della loro signoria, sono certamente in grado di fare
delluomo il proprio trastullo in questo senso. La sovranit divina
gioco perch aliena da fatica, e cos vale anche per il governo regale

121
GSM, p. 153.

83
del bambino di Eraclito: solo il bambino, conferma Fink, vive nel gioco
puro intatto del presente senza scopi, mentre ladulto per sua essenza
progettante e rivolto al futuro, mai perfettamente coincidente con se
stesso e con la propria azione. Tuttavia merito di Fink smarcarsi dalla
schiavit di questa interpretazione e dare spazio a una considerazione
pi complessa del gioco che non esclude questa prima alternativa, ma
segnala anche lesistenza di un gioco in cui ci si perde, in cui non ci si
sente sovrani, nella sicurezza distante del dominatore, ma il giocatore
piuttosto affascinato dal giocattolo e suo prigioniero
122
. Il gioco che
ammalia, e non a caso Fink utilizza spesso termini come magia,
incantamento, rapimento, non consente di disporre a proprio
piacimento del giocattolo, ma, in qualche modo, conferisce al giocattolo
stesso un carattere di necessit, di simbolo in quanto la sua non
presenza di una cosa tra tante a cui dare il senso che si preferisce, ma
ingombrante segnale del mondo, dellillimitato in cui ci si deve
collocare. I giochi pi belli, come li chiama Platone, sono allora quelli
delluomo ammaliato dal mondo-giocattolo, sono quelli in cui luomo si
riconosce non burattino divino, ma artefice del mondo che incanta il dio
stesso, come limmagine nello specchio-giocattolo rapisce il piccolo
Dioniso.


122
GSM, p. 153.

84
CAPITOLO 2

IL CAMPO DI GIOCO: LIRREALT LUDICA


1. FARE FINTA: IL GIOCO E LA RAPPRESENTAZIONE

La complessa variabilit dellattivit ludica apre, come si visto
nel precedente capitolo, innumerevoli possibilit di riflessione, potendo
rientrare a pieno titolo in una speculazione di tipo esistenziale sulla
posizione e il destino delluomo, oppure in una prospettiva sociologico-
culturale o, ancora, psicologica. Tuttavia la domanda pressante che
losservazione del gioco sembra porre al pensatore che vi si accosti
riguarda pi propriamente lo statuto ontologico del gioco stesso e
delluniverso da esso creato. Tutti gli autori coinvolti nella riscoperta
dellimportanza del gioco, da Huizinga a Fink, tornano ripetutamente sul
dissidio interno al gioco tra realt e irrealt, complicato dallinnegabile
consapevolezza del giocatore nei riguardi della questione, che, tuttavia,
nello svolgersi del gioco, non costituisce problema.
Da questo punto di vista laccostamento, proposto gi da Schiller
e, in qualche misura, da Platone, tra il gioco e larte, pu risultare
illuminante, qualora essi non vengano ridotti a copie di una realt
ontologicamente superiore. Kendall Walton, in una sua recente e
preziosa opera
1
, recupera tale analogia, illuminando cos
reciprocamente entrambe le sfere. Scopo precipuo del lavoro di Walton

1
K. Walton, Mimesis as make-believe. On the foundations of representational arts,
Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts London, England 1990.

85
lindividuazione della specificit delle opere darte rappresentazionali
nella creazione di un universo finzionale, a partire dalla considerazione
del ruolo primario svolto da questi oggetti nella vita di tutti. A questo
scopo Walton fa ricorso a due nozioni fondamentali: mimesis e make-
believe. Mimesis, nellottica di Walton, corrisponde meglio del termine
rappresentazione alloggetto di indagine, lasciando spiccare la
caratteristica di fiction che Walton gli attribuisce. In tal modo egli si
discosta da uninterpretazione meramente corrispondentista, e dunque
svalutativa, dellopera darte rispetto alla vera realt, che sembrerebbe
implicata dal ricorso allabusata nozione di rappresentazione. La scelta
del taglio netto entro lalveo rappresentativo, per cui lanalisi verte
esclusivamente su opere di finzione (works of fiction), sembra dapprima
confermare il pregiudizio metafisico che oppone realt e irrealt e
dunque riprodurre lirrisolta contraddizione interna al gioco tra reale e
irreale. Tuttavia questimpressione viene immediatamente superata
allorch Walton inserisce nella sua disamina il concetto di far finta
(make-believe), individuato come tratto caratterizzante di tutti gli
oggetti che ricadono entro il suo concetto di rappresentazione. Proprio
in questo contesto Walton introduce lassimilazione dellopera darte
rappresentativa al gioco infantile.

Ci che tutte le rappresentazioni hanno in comune un ruolo nel
far finta. Far finta, spiegato in termini di immaginazione, costituir
il fulcro della mia teoria. Prendo seriamente lassociazione con i
giochi dei bambini - giocare alla casa o alla scuola, a guardie e
ladri, a cow-boy e indiani, fantasticare intorno a bambole
orsacchiotti e camioncini giocattolo. Possiamo imparare molto

86
circa romanzi, dipinti, rappresentazioni teatrali e film
approfondendo analogie con attivit di far finta come queste.
2


Lo studioso previene cos la classica domanda sul significato del
gioco per ladulto, prospettando unassoluta continuit dellesperienza
infantile del gioco di finzione con lapprezzamento maturo dellopera
darte: il rapporto che si instaura tra il mondo creato nel gioco e il
bambino-giocatore infatti il medesimo che consente la corretta
posizione del fruitore dellopera darte. Walton ritiene impossibile che
un cos potente e pedagogicamente centrale impulso al far finta
presente nella fanciullezza scompaia nella vita adulta senza lasciare
traccia. Non solo, ma in entrambi i casi si tratta di unesperienza nodale
nella vita dellindividuo
3
. Si pu forse rimproverare a Walton una certa
ingenuit nellapplicare dogmaticamente la caratterizzazione di gioco al
rapporto con lopera darte, una sorta di regresso alluso metaforico del
ludus da comparare a fenomeni da esso distanti per avvicinarli
allesperienza quotidiana. Tuttavia, in questo particolare frangente,
Walton ha alle spalle una lunga e autorevole tradizione e, soprattutto, la

2
What all representations have in common is a role in make believe. Make-believe,
explained in terms of imagination, will constitute the core of my theory. I take
seriously the association with childrens games with playing house and school,
cops and robbers, cowboys and Indians, with fantasies built around dolls, teddy
bears, and toy trucks. We can learn a lot about novels, paintings, theatre and film
by pursuing analogies with make believe activities like these. [K. Walton, ibidem, p.
4. Trad. it. mia].
3
Children devote enormous quantities of time and effort to make-believe
activities. And this preoccupation seems to be nearly universal, not peculiar to any
particular cultures or social groups. They urge to engage in make-believe and the
needs such activities address would seem to be very fundamental ones. If they are,
one would not expect children simply to outgrow them when they grow up; it
would be surprising if make believe disappeared without a trace at the onset of
adulthood.
It doesnt. It continues, I claim, in our interaction with representational works of art
(which of course itself begins in childhood). [Id., ibidem, pp. 11-12].

87
specificit dellambito artistico prescelto gli consente una chiarificazione
di alcuni aspetti delluniverso ludico per cui vale la pena di considerare il
suo contributo.
Walton definisce esplicitamente i confini della propria nozione di
far finta, segnalandone da un lato la coincidenza con lattivit
immaginativa e, dallaltro, la peculiarit del necessario uso in essa di
supporti
4
. Le considerazioni svolte da Walton sul processo di
immaginazione riaprono la questione del rapporto vero-falso, cio della
convivenza tra realt e irrealt nella medesima attivit: limmagine non
propriamente falsa e neppure in-credibile nel senso letterale del
termine. Immaginare, infatti non consiste in uno stato di dimenticanza
di s e del terreno su cui si svolge la vita ordinaria, ma in una sorta di
volontaria decisione di non occuparsene, unitamente alla deliberata
ignoranza del fatto che i generatori dellimmagine non sono affatto
oggetti reali, ma cose concrete trasformate dalla percezione
immaginativa in un modo che conferisce allimmagine creata la vivida
consistenza di realt mescolata alla coscienza del suo carattere fittizio.
Lattivit immaginativa apre la possibilit del gioco nella misura in cui
immaginare che p, si pu dire, avere in mente la proposizione che p,
prestare attenzione ad essa, considerarla
5
. Immaginare significa
dunque introdurre nel proprio universo qualcosa e agire di
conseguenza, cio posizionandolo entro il proprio orizzonte e
conoscendo le mosse che esso consente o impedisce. Significa
riconfigurare linsieme delle cose e delle credenze sulla base, anche, di

4
Games of make believe are one species of imaginative activity; specifically, they
are exercises of the imagination involving props. [Id., ibidem, p. 12].
5
Id., ibidem, p. 19. Trad. it. mia.

88
quellelemento, conferire nuovi significati e assumere nuovi ruoli entro
rapporti differenti.
Come si in parte gi visto, Eugen Fink si sofferma a riflettere
sulla natura del giocattolo come oggetto concretamente accessibile
appartenente a due mondi differenti e magicamente capace di
suscitarne uno. Cos, in parte, si muoveva anche Platone allorch
considerava luomo giocattolo degli dei e creatura speciale proprio in
virt di tale posizione. Walton, giunto a questo punto della sua
discussione del problema dellimmaginazione, passa a considerare
laspetto che egli ritiene maggiormente caratteristico nei giochi di far
finta, cio la presenza di supporti (props) nella generazione di tali giochi.
Il suo discorso contempla tre livelli di partecipazione degli oggetti reali
allattivit immaginativa: essi possono, infatti, limitarsi a suggerire
limmagine, oppure costituire veri oggetti di immaginazione, o, infine,
generare compiute verit di finzione. Solo questultimo grado ne fa dei
supporti per giochi di far finta
6
. Walton ribadisce dunque la posizione di
indispensabilit del giocattolo entro lattivit ludica, ma ne propone un
ruolo fortemente attivo, capace di incarnare simbolicamente il gioco
tutto. La volont di adesione del suo studio allesperienza quotidiana,
pertanto, non lo conduce lontano dalle considerazioni finkiane al
proposito, ma, piuttosto, mostra in azione lambiguit del giocattolo per
sviscerare lambivalenza del gioco nella sua totalit, partendo proprio
dal suo connotato pi immediato e visibile. Il supporto, come lo
definisce Walton, possiede in realt anche le caratteristiche delle prime

6
I will examine three major roles that real things often have in our imaginative
experiences: they prompt imaginings, they are objects of imaginings; and they
generate fictional truths. The third is the defining characteristic of props, as I shall
use the term. [Id., ibidem, p. 21].

89
due categorie di oggetti che stimolano limmaginazione, sommando a
queste una maggiore pregnanza e attivit nella costruzione del reale
ludico. E innanzitutto da rilevare che Walton sottolinea lessenziale
compito svolto da questi oggetti nellallargare gli orizzonti desperienza
del giocatore, stimolandolo a esplorare
7
nuove possibilit dazione, a
congiungere idee separate da vaste distanze, questo grazie
allingombrante presenza del proprio concreto esistere che induce a
immaginare ci che altrimenti richiederebbe alla sola fantasia salti
proibitivi. Loggetto reale in questo contesto consente dunque un
potenziamento e un ampliamento delle strategie immaginative e anche
una maggiore rispondenza alle esigenze di somiglianza e similarit
richieste dal giocatore. Questo tratto ancor pi indispensabile se si ha
a che fare con una comunit di giocatori, situazione per altro frequente
proprio perch il far finta attivit precipuamente sociale, a differenza
della fantasticheria, allorch si prescrive loro di immaginare un universo
entro cui muoversi come pedine del gioco. Loggetto di primo grado,
che suggerisce loperazione di immaginazione, facilita alcune decisioni
circa laspetto delloggetto da immaginare, cio prende le decisioni in
vece del giocatore. Ancor pi essenziale, tuttavia, sembra a Walton un
altro aspetto della questione, che diventa primario allorch si parla di
supporti in senso proprio: loggetto realmente presente provoca un
accordo intra e inter soggettivo tale per cui da quel momento in poi
ogni oggetto analogo a quello che suscita limmagine considerato al

7
Il gioco come esplorazione del resto un assioma chiave nelle interpretazioni
etologiche e psicologiche del gioco, bench sottoposto a innumerevoli critiche e
giudicato insufficiente. Al proposito cfr. G. De Crescenzo, Il gioco e il suo piacere.
Etologia e filosofia, La Nuova Italia, Firenze 1983, in cui raccolta una carrellata di
posizioni espresse da etologi novecenteschi riguardo al piacere ludico. Lidea di
esplorazione ribadita costantemente, anche se in declinazioni differenti.

90
medesimo modo del primo. Walton propone lesempio di un ceppo che
si decide di considerare un orso. Da quel momento in poi, come se si
dicesse: Facciamo che tutti i ceppi sono orsi
8
e questa convenzione
venisse progressivamente introiettata, diventando ovvia. A questo
proposito Walton sottolinea pi oltre che la funzione di supporto svolta
da un determinato oggetto determinata in riferimento a uno specifico
contesto sociale
9
. Tuttavia, una volta stabilita tale funzione, il gioco non
deve essere ristabilito ex novo ogni volta che si desidera praticarlo. Per
reperire un esempio immediato e noto basta pensare al ruolo delle
pedine nei giochi da tavolo: assolutamente ovvio che ciascuna
pedina rappresenta un giocatore e le sue mosse entro il campo di gioco,
e questo basilare far finta non deve pi essere stabilito e accettato a
ogni inizio di partita.
Il secondo livello di partecipazione al gioco di finzione da parte
delloggetto reale, quello per cui diventa oggetto di immaginazione
esso stesso, consiste in unadesione maggiore dellimmagine alla cosa,
tale per cui si genera un quasi totale rapimento della cosa entro il
ruolo che le si fa rivestire. La bambina che gioca con una bambola non
percepisce infatti due oggetti distinti, la bambola e il bambino, per poi
condensarli in una rappresentazione unitaria, ma vede una sola cosa, la
bambina, che si incarna nella bambola
10
. Come direbbe Wittgenstein,
non ci sono le linee che disegnano un volto e il volto reale da esse

8
Lets say that all stumps are bears. [K. Walton, op. cit., p. 24].
9
Functions are society relative. Coal and gold and constellations and dolls have
functions only with reference to a given social context. An object may have a make-
believe function for one social group but not for another, and so may be a
representation for the one but not the other. [Id., ibidem, p. 53].
10
This is not to imagine that there is something which is both a rag doll and a
baby. The child imagines, of something which is in fact a rag doll, that it is not a
doll but a baby. [Id., ibidem, p. 25].

91
separato, ma il volto in quelle linee, si vedono i tratti di penna come
volto
11
. Cos, nel precedente esempio del ceppo-orso, il ceppo d
sostanza, stoffa reale, al protagonista del gioco; ancora, poi, il giocatore
stesso cosa reale che si fa supporto di un ruolo, immaginando se
stesso nei panni di un altro o in azioni che lo mettono alla prova nel
ruolo di genitore, medico, poliziotto, ecc. Il significato esistenziale di tale
immaginazione applicata a se stessi ben individuato da Walton, che
percepisce laspetto formativo del gioco proprio in rapporto al suo
operare una finzione globale, ogni volta coincidente con un universo
dispiegato intorno al giocatore che, nel ruolo che si conferisce di volta
in volta, fa i conti con se stesso, scoprendo le proprie paure e intenzioni
e imparando a convivere con esse.

E innanzitutto immaginando noi stessi di fronte a determinate
situazioni, impegnati in determinate attivit, intenti a osservare
determinati eventi, coinvolti nellesperire o nellesprimere
determinati sentimenti o attitudini che veniamo a patti con i nostri
sentimenti che li scopriamo, impariamo a accettarli, ci liberiamo
di essi.
12


Tutto ci che considerato vero in un gioco di far finta ,
secondo Walton una verit di finzione (fictional truth) e tutto ci che ha
spazio in un mondo di finzione di finzione esso stesso. Non vi
coincidenza tra ci che immaginato e ci che di finzione. Lessere di
finzione comporta una concretezza che non appartiene
necessariamente allimmaginazione. E il supporto che consente la

11
Cfr. L. Wittgenstein, Libro marrone, in Libro blu e libro marrone, cit., pp. 207
sgg.
12
It is chiefly by imagining ourselves facing certain situations, engaging in certain
activities, observing certain events, experiencing or expressing certain feelings or
attitudes that we come to terms with our feelings that we discover them, learn to
accept them, purge ourselves of them. [K. Walton, op. cit., p. 34. Trad. it. mia].

92
genesi di verit di finzione in virt della propria natura e esistenza,
indipendentemente da ci che qualcuno realmente immagini o no. Ci
non comporta, beninteso che il supporto faccia tutto da s. Il suo ruolo
tale solo se viene avvistato un reale o potenziale immaginatore:
pertanto una verit di finzione consiste in una sorta di mandato a
immaginare in un determinato modo, indipendentemente dal fatto che
ci accada realmente
13
. Il rifiuto di quel che da immaginare
comporta la mancata accettazione del gioco stesso nelle sue regole
fondanti, bench non necessariamente riferite a un accordo stipulato in
modo esplicito.


2. FICTIONAL WORLDS?

Bench il mondo del gioco di finzione sia appunto tale, cio di
finzione, e non abbia dunque a che fare con il vero inteso in senso
proprio, tuttavia Walton sottolinea come il supporto conferisca
unoggettivit tale al mondo di finzione da potergli assegnare
unesistenza indipendente e fattuale e da contribuire enormemente alla
partecipazione di chi gioca alle azioni e alle avventure in cui incappa.
Lambiguo statuto di verit di ci che accade in questo universo
parallelo risulta radicato nel fondamento stesso della fiction, e il fatto
che molto spesso, parlando di ci che accade in un romanzo o in un
film, si ometta lindicazione nel film di finzione che, limitandosi a
narrare fatti e emozioni come appartenessero al mondo del vivere
quotidiano, una spia della consistenza reale delluniverso

13
Cfr. K. Walton, op. cit., p. 39.

93
finzionale
14
. Walton esprime molte perplessit circa ladeguatezza del
concetto di mondo di finzione (fictional world) per rendere conto
dellesperienza suscitata dalle rappresentazioni artistiche e dai giochi di
far finta. Innanzitutto il rischio sembra essere quello di pensare alla
finzione come a una sorta di verit; in secondo luogo ci si trova di fronte
a una possibile confusione tra il concetto di mondo di finzione e la
teoria semantica dei mondi possibili, dei quali i cosiddetti mondi di
finzione non possiedono n la completezza n la coerenza, dal
momento che si pu trattare anche di mondi impossibili. Walton stesso
ammette di essere passato nel corso del suo lavoro da una primaria
posizione che intendeva la finzione come ci che vero in un mondo
di finzione
15
a unidea di finzione come prescrizione ad immaginare
16

qualcosa. Tuttavia opta per il mantenimento della locuzione mondo di
finzione nel significato comunemente inteso: pertanto si pu parlare di
proposizioni di finzione che sono tali nel mondo di un certo gioco di
far finta o di un altro
17
. In questo senso anche le rappresentazioni
artistiche sono supporti di giochi di far finta che aprono dei mondi di
finzione. Tuttavia, lopera darte possiede una potenzialit di
generazione di propri mondi non concessa a tutti i tipi di supporti: ci
che di finzione nei mondi generati da un quadro tale perch
prodotto dal supporto stesso, mentre i supporti la cui funzione tale
solo entro i giochi giocati con essi non hanno un proprio vero mondo
di finzione. In questo senso romanzi o dipinti danno certamente un

14
Cfr. i rilievi circa luso dellespressione mondo di finzione nel linguaggio
ordinario in Id., ibidem., pp. 206-208.
15
Id., ibidem, p. 58. Trad. it. mia.
16
Id., ibidem, p. 58. Trad. it. mia.
17
Id., ibidem, p. 68. Trad. it. mia.

94
maggior contributo alla definizione dei giochi e dei rispettivi mondi in
cui svolgono il ruolo di supporti.
Il far finta coincide pertanto con luso di supporti esterni-reali in
attivit di immaginazione. Walton fornisce dunque un paradigma
estremamente chiaro su cui misurare lintreccio tra realt e
immaginazione nellattivit ludica. Proprio il far finta, infatti, grazie alla
presenza del supporto reale, consente di vedere la torsione imposta dal
gioco al reale e la capacit del ludico di costruzione di un universo
indipendente, bench ancorato alle forze del mondo. Il ceppo, la
bambola o il quadro sono il momento dincontro delle due dimensioni
del gioco e ne dispiegano pertanto sia la capacit di trascendere il
quotidiano esplorando terre vergini e alternative possibili, sia
lincredibile e misteriosa forza che lo accorda al giocare del mondo,
alle sue cose che appaiono e scompaiono, vedendo nel medesimo
oggetto ora un significato, ora un altro e facendo dunque di esso via via
un uso differente. Il gioco apre la possibilit del fare altrimenti,
consentendo nello stesso sguardo una diplopia che percepisce ci che
assieme a ci che potrebbe esserci. Il gioco lincarnazione in unazione
plasmante della radicale ermeneuticit del fare umano, che sempre
interpreta ci che gli compare davanti, di cui il supposto reale sembra
essere solo il riflesso pi coerente e corposo. Il fatto , tuttavia che luso
nel gioco di una cosa reale non solo d consistenza alluniverso ludico
cos modellato, ma riporta la radice del gioco al di l dellagire umano.
La possibilit del supporto di farsi tale richiama in qualche modo la
giocosit del reale stesso, ancor oltre, del movimento dessere che
illumina ora un aspetto ora un altro, sfuggendo sempre, come accade
alla materialit del supporto di gioco, ma restando ci che consente

95
lapparizione degli enti. Se le cose assumono significato nellesperienza
umana in virt di un atto interpretativo per cui luomo scrive con
caratteri propri sulla loro superficie, prima e alla base di tale possibilit
interpretativa concessa allesser-ci si rileva unimprescindibile
ermeneuticit giocosa del mondo stesso che dispone le cose in
cangianti e parziali prospettive.
Walton individua nel make-believe un particolare tipo di
operazione immaginativa, che consente di chiarire alcuni punti nodali
del problema posto dalla categoria ludica. Lumano far finta consente
infatti di svelare il momento di passaggio dal reale allirreale che si
incarna nei props: non solo, infatti, luniverso immaginario possiede una
malleabilit non consentita al reale
18
, ma lancoraggio alla quotidiana
realt promosso dai supporti fa assumere al mondo di finzione una
consistenza e unindipendenza sconosciute ai pur immaginari mondi del
sogno o della fantasticheria, liberando cos il mondo del gioco dal
solipsismo cui questi sono confinati e consentendogli di assumere un
ruolo fondamentale in ambito conoscitivo. Il far finta arricchisce la vita
permettendo di esperire, come in laboratorio, alternative di
organizzazione delle gerarchie e delle connessioni tra le cose, ma,
restando collegato al reale, si inserisce nel flusso delle cose guardandole
al tempo stesso dallesterno, come momento di vita che insieme guarda
la vita. Questa straordinaria convergenza si attua proprio nella reale
irrealt del giocattolo o del supporto, capace di stare di qua e insieme

18
We can arrange their contents as we like by manipulating props or even, if
necessary, altering principles of generation. We can make people turn into
pumpkins, or make sure the good guys win, or see what it is like for the bad guys
to win. [Id., ibidem, p. 67].

96
di l, linea di confine tra loasi e il deserto che in essa si riconoscono e si
fondono.
Walton riassume in poche, densissime, righe il percorso sin qui
svolto:

Ho detto che sono rappresentazioni le cose che possiedono la
funzione sociale di servire come supporti in giochi di far finta,
bench esse allo stesso tempo suggeriscano processi di
immaginazione e siano alle volte al tempo stesso oggetti di essi. Un
supporto qualcosa che, grazie a principi di generazione
condizionali, veicola processi di immaginazione. Le proposizioni da
cui le immagini sono veicolate sono di finzione, e il fatto che una
data proposizione di finzione una verit di finzione. I mondi di
finzione sono associati a insiemi di verit di finzione; ci che di
finzione di finzione in un dato mondo il mondo di un gioco di
far finta, per esempio, o quello di unopera darte rappresentativa.
Questo, in breve, lo scheletro della mia teoria.
19


La ricerca condotta da Walton si concentra in seguito sul
coinvolgimento del giocatore o dellosservatore, lettore, spettatore
dellopera darte e, in questa prospettiva, Walton recupera la nozione di
fictional world riaprendo la questione del suo problematico legame con
il mondo reale. Egli si concentra sullevidente contrasto tra lisolamento
fisico del mondo di finzione di contro al contatto psicologico che esso
promuove tra i propri abitanti (personaggi, luoghi, eventi) e gli
inquilini del mondo reale
20
: da un lato, infatti, i personaggi filmici o
romanzeschi suscitano lacrime, riso, paura, dallaltro, tuttavia,
impossibile pensare a un intervento fisico del lettore o dello
spettatore in loro difesa o contro di essi. Data linconsistenza reale
delleroe di un romanzo e dunque del suo essere, ad esempio, in

19
Id., ibidem, p. 69. Trad. it. mia.
20
Cfr. Id., ibidem, pp. 191 e sgg.

97
pericolo, nessun intervento concreto del lettore pu salvare leroe.
Bruciare un quadro che spaventa o saltare sul palco strappando il
protagonista del dramma dalle mani del nemico non significa
oltrepassare le barriere tra i due mondi: si pu salvare o distruggere
qualcosa solo appartenendo al medesimo universo, mentre il passaggio
da un mondo allaltro (cross-world) non contemplato
21
. Tuttavia resta il
fatto che lintensit emotiva e lintimit avvertita nei confronti di un
mondo di finzione di un tipo assolutamente analogo a quello provato
nei confronti del reale. Sembra del resto assurdo parlare di una
credenza a met nei confronti di questo universo parallelo. Neppure il
pensare a questa partecipazione emotiva come semplicemente affine a
quella reale oppure come una mera trasposizione del sentimento che si
prova di fronte a situazioni simili incontrate nella vita reale coglie la
peculiarit dellapprezzamento rivolto al gioco di far finta messo in atto
dallopera. Lobiettivo di comprendere la vicinanza psicologica, pur
fisicamente negata, al mondo di finzione completamente fallito
allorch si cerca di interpretare la finzione ludica cos esperita con i
fenomeni della credenza e del desiderio. La stessa espressione fictional
world, comunemente usata, richiama secondo Walton lidea che la
fiction costituisca realmente un universo parallelo e distante, ma pur
sempre con la consistenza di un mondo, a differenza di quanto accade

21
Proprio loltrepassamento di questo confine costituisce lelemento pi
affascinante del film di Woody Allen La rosa purpurea del Cairo, in cui la
protagonista, per amore del personaggio di una pellicola che continua a rivedere in
un cinema di periferia perch le consente di evadere dalla misera quotidianit della
sua esistenza, entra letteralmente nelluniverso del film, provocando esilaranti e
stranianti episodi, ricchi anche di unintensa drammaticit.

98
per ci che si crede o si desidera
22
. Il particolare statuto della realt
ludica implica dunque un riorientamento della posizione attribuita al
giocatore, da non considerarsi come spettatore estraneo ai fatti, ma nei
termini di un partecipante. La nozione di partecipazione viene
significativamente scandagliata da Walton osservandola in opera nei
giochi di far finta infantili, per poi trasporne le caratteristiche cos
individuate nellesperienza del fruitore dellopera darte rappresentativa.

Coloro che partecipano a un gioco di far finta, essendo a un tempo
supporti riflessivi e ideatori di immagini, immaginano riguardo
alleffettiva azione rappresentata che si tratti di un caso del loro
compiere qualcosa, e immaginano ci dallinterno.
23


La prima differenza da notare tra il partecipante e lo spettatore
la sottomissione del primo alla regola-base del dover immaginare ci
che di finzione nel gioco. Il giocatore accetta, cio, la prescrizione a
immaginare determinate cose. Tuttavia il gioco, in genere, coinvolge
anche a un secondo livello il giocatore, trasformandolo in supporto
riflessivo: il soggetto coinvolto, cio, produttore di verit di finzione
che lo riguardano. E quello che accade quando i bambini giocano a
fare gli indiani, i pirati, le mamme e cos via. In questo senso le azioni
del partecipante diventano anchesse azioni fittizie nella misura in cui,
ad esempio, il fatto che il bambino si trovi di fronte a un ceppo si

22
What fictionally is the case is naturally thought of as being the case in a special
realm, a world, in a way in which what is claimed or believed or desired to be the
case is not. The ordinary conception of fictional worlds worlds different from
the real one but worlds nevertheless is a device to paper over our confusion
about whether or not (mere) fictions are real. [K. Walton, op. cit., p. 206].
23
Participants in games of make-believe, being at once reflexive props and
imaginers, imagine of the actual representing actions that they are instances of
their doing things, and they imagine this from the inside. [Id., ibidem, p. 213. Trad.
it. mia].

99
trasforma immediatamente in un corpo a corpo tra il partecipante e un
orso. I supporti interagiscono tra loro facendo s che anche lazione
reale assuma uno statuto immaginativo differente, in cui, comunque, il
soggetto coinvolto effettivamente, in cui i suoi movimenti reali (delle
braccia, delle gambe) sono un concreto lottare o cavalcare o guidare
automobili. La partecipazione coincide con limmaginare, dallinterno, di
fare cose, senza esserne completamente coinvolti, ma vedendo queste
azioni con cose altrimenti insignificanti come casi dellazione
pienamente realizzata.
La partecipazione, nella descrizione di Walton, riesce dunque a
tenere legati il piano reale e quello immaginario dando spessore
allideal-realt del giocare come azione che conferisce esistenza alle
cose e al tempo stesso le reimmerge continuamente nel vortice di una
successiva e possibile individuazione. Il gioco si configura dunque
sempre pi nettamente come luogo di confine in cui si mescolano il
noto e il quotidiano con il possibile e lapertura, concretizzandosi in un
momento di sosta e sospensione che traccia le strade di un intero
mondo che tutto comprende e regola, per poi inabissarsi in un nuovo
gioco.


3. IL GIOCO COME FENOMENO TRANSIZIONALE

Walton ha individuato nel supporto la sede del raccordo tra i due
universi abitati dal gioco. Un altro studio merita ora di essere preso in

100
considerazione al riguardo, Gioco e realt
24
dello psicanalista Donald
Winnicott, la cui proposta interpretativa recupera limportanza
delloggetto reale entro lalveo dellattivit ludica e ne fa momento
imprescindibile per la possibilit da parte del bambino di dare corpo
alla realt esterna e, per rimbalzo, conoscere i confini del s. Il gioco con
loggetto che Winnicott definisce transizionale, sottolineando con il
termine proprio il carattere di passaggio e sconfinamento che gli si
addice, fa compiere lattraversamento in modo dolce e indolore, come
essendo trasportati da unimbarcazione che, dal fiume, conduca
placidamente, senza strappi, al mare. Winnicott parla esplicitamente del
gioco come terza realt, intermedia tra quella soggettiva e quella
oggettiva, momento impercettibile, bench concretamente osservabile,
in cui si crea la lacerazione, ma in cui i due capi sono ancora tenuti
assieme.
Winnicott osserva, con dovizia di testimonianze ricavate da casi
clinici incontrati nel corso della sua attivit di terapeuta, il graduale
passaggio del bambino dallutilizzo di parti del proprio corpo, per
stimolare la zona erogena orale e ristabilire ununione con essa, al gioco
con oggetti che si succhiano o si accarezzano e a cui ci si abitua sino a
che diventano compagni inseparabili. Secondo Winnicott, sulla scia di
Freud, loggetto cos manipolato ha una funzione sostitutiva del seno
materno in sua assenza. Pertanto il bordo di una coperta, il fazzoletto, la
bambola o lorsacchiotto non sono in questa fase ancora riconosciuti
come non-me dallinfante, nella misura in cui non si ancora creata la
frattura tra realt interna e esterna, bens la realt esperita, in una
sorta di delirio di onnipotenza, come tutta me, senza soluzione di

24
D.W. Winnicott, Gioco e realt, Armando Editore, Roma 1974.

101
continuit. Il rapporto con la madre non una relazione con lalterit,
ma con una propaggine di s. Daltro canto non esiste neppure, in
questo stadio, un s, dal momento che questo autoriconoscimento
implica unindividuazione e una presa di distanza dal non-s.

Loggetto transizionale non un oggetto interno (che un
concetto mentale). E un possesso. Ma non (per il bambino)
nemmeno un oggetto esterno. []
Loggetto transizionale non mai sotto il controllo magico come
loggetto interno n al di fuori di ogni controllo come lo la
madre vera.
25


Lonnipotenza magica consentita dalloggetto psichico
sostituita dallesperienza formativa della manipolazione, che consente la
contemporanea esperienza del fuori e del dentro. Allinizio il rapporto
con la madre simbiotico al punto da fornire al neonato lillusione che il
seno materno sia parte di lui; la presa di distanza progressiva da parte
della madre nei confronti del figlio deve essere graduale, cos da porre
sempre il proprio seno a una distanza tale da poter essere raggiunto
dal bambino con un ponte transizionale commisurato ai suoi stadi
evolutivi. Winnicott individua del resto la medesima istanza di creazione
di un raccordo tra area interna e area esterna, la cui commistione la
tentazione prima dellumano, anche in fenomeni quali arte e religione,
che in qualche misura assolvono il medesimo compito del gioco
infantile. In questultimo, tuttavia, la separazione tra le due sfere avviene
per la prima volta e in maniera prepotente, e la corretta esperienza di
questo distacco assume un ruolo prioritario nella formazione della
personalit adulta. Lillusione, che, va ricordato, etimologicamente ha
proprio il senso dellentrare in gioco (in-ludere), larea di esperienza

25
Id., ibidem, p. 36.

102
basilare in cui si svolge quasi tutta la vita infantile. Pertanto da questa
sede intermedia che emerge il mondo con cui si ha a che fare nella vita
adulta. Limportanza delloggetto transizionale in questo senso
duplice: se il valore simbolico-sostitutivo de-traumatizza il venir meno
della fusione con la figura materna, altrettanto centrale il carattere
reale delloggetto, la sua consistenza che promuove il trasferimento a
una dimensione esterna di cui il gioco, in quanto esercizio attivo, il
procedere.
Una volta descritto il peculiare statuto di frontiera dellattivit
ludica, Winnicott aggiunge per ad esso la connotazione di spazio
potenziale: il gioco non rappresenta tanto un punto di passaggio,
immediato e senza dimensione, ma luogo dazione, con una sua
estensione spazio-temporale.

Rendo concreta la mia idea del gioco pretendendo che il gioco
abbia un luogo e un tempo. Tale luogo non allinterno, in
qualunque modo si usi questa parola [] Non neppure al di fuori,
vale a dire che non parte del mondo ripudiato, del non-me, ci
che lindividuo ha deciso di riconoscere come effettivamente
esterno (a prezzo di ogni difficolt e anche di dolore), che fuori
dal controllo magico. Per controllare ci che al di fuori uno deve
fare le cose, non semplicemente pensare o desiderare di fare, e
fare le cose richiede tempo. Giocare vuol dire fare.
26


Giocare fare. La realt si costruisce nel concreto agire del gioco
come esercizio di un tentativo di controllo sulle cose, via via slegate
dalla magica onnipotenza infantile di un controllo totale e poste di
fronte. Tuttavia, la percezione e laccettazione della realt esterna
passano attraverso un percorso di riconoscimento che non avviene
intrapsichicamente, ma mediante latto trasformativo effettivamente

26
Id., ibidem, p. 83. Sottolineature mie.

103
realizzato nella dinamica ludica. La potenzialit dello spazio del gioco
rende conto della variabilit possibile dellorganizzazione del reale, ma
tale anche in relazione al compito che pone al giocatore: egli pu
colmare questo spazio, vale a dire che pu anche non attraversare la
distanza, con tutte le distorsioni che questo comporta.
Lattraversamento implica lo sforzo, per quanto naturale, dellazione
ludica. La non ovviet del passaggio ben colta da Winnicott, allorch
interpreta la relazione tra psicanalista e paziente come un gioco in cui il
terapeuta ha il dovere di insegnare a giocare al paziente
27
. Lultima,
icastica, affermazione di Winnicott estensibile, secondo la direzione
indicata da Fink, a tutto lagire umano. Se infatti giocare fare, ogni fare
consiste nel dare essere alle cose nella loro dimensione di non-me.
Pertanto, dal momento che proprio questa lazione precipua del
gioco, ogni fare un giocare, cio si muove nellarea intermedia dello
spazio potenziale ludico che si situa tra loggetto soggettivo e loggetto
percepito oggettivamente. Il bambino proietta qualcosa sulloggetto,
estrinseca una componente onirica, cio manipola i fenomeni stessi al
servizio del sogno e compie questoperazione creativa e, pi ancora,
cosmogonica in unarea protetta, bench precaria, data la collocazione
in limine, dove la soddisfazione del creatore garantita dalla fiducia
nella permanenza delloggetto e, prima, della madre
28
. Winnicott parla
al proposito di un paradosso da accettare per comprendere il gioco e
il suo valore nellesperienza umana: la creazione di un oggetto da parte

27
Cfr. Id., ibidem, p. 79.
28
Ho localizzato questa importante area dellesperienza nello spazio potenziale fra
lindividuo e lambiente, quello che allinizio unisce e separa al contempo il
bambino e la madre, allorch lamore materno, espresso e reso manifesto come
attendibilit umana, d in realt al bambino un senso di fiducia e sicurezza nel
fattore ambientale. [Id., ibidem, p. 176].

104
del bambino non si pu realizzare altrimenti che essendo loggetto gi
l dove lo si crea
29
. In termini filosoficamente pi ricercati si potrebbe
parlare dellessenziale ruolo della predatit entro il processo di
individuazione delle oggettualit, o, pi semplicemente, si potrebbe far
riferimento allheideggeriano circolo ermeneutico. Quel che resta
essenziale , in ogni caso, il rilevamento della commistione tra due piani
di realt, che si fondono e si distinguono proprio grazie al gioco. Il
percorso dal mero rapporto con loggetto al suo uso coincide con il
riconoscimento di tale oggetto come esistenza indipendente dal s, e il
gioco si situa proprio al centro tra le due percezioni, mezzo di trasporto
imprescindibile verso il principio di realt, svolgendo quella che
Winnicott non esita a definire la cosa forse pi difficile dello sviluppo
umano, o almeno il pi arduo di tutti i primi insuccessi che devono
essere sanati
30
. La sopravvivenza delloggetto, che fa seguito al
processo della sua distruzione coincidente con il divenire esterno, ci
che consente lattribuzione di valore alloggetto esterno in quanto tale,
collocato fuori dallarea di controllo onnipotente delliniziale totalit
confusa. Nel gioco avvengono entrambe le operazioni, quella distruttiva
e quella creativa, distruzione che persiste nella fantasia e che consente
nella sua permanenza la vitale esistenza delloggetto esterno in quanto
tale, rendendolo disponibile alluso. La fragilit delluniverso ludico si
misura nella difficile operazione di mantenere unito ci che si sta
separando, nel momento in cui la scissione sta accadendo, e di
custodire nella giusta distanza la separazione stessa. Winnicott tende a
non usare a proposito del gioco la parola simbolo, poich la intende

29
Cfr. Id., ibidem, p.129.
30
Id., ibidem, p.156.

105
semplicisticamente nel senso di allegoria o sostituzione e non, invece,
come idea di un frammento che rimanda a un completamento. Ma
proprio come simbolo il gioco dispiega tutta la propria significativit e
si esplica come attivit catalizzatrice del passaggio al reale esterno.
Indubbiamente il linguaggio di Winnicott cade vittima di molte
ingenuit, in particolare attribuendo allinfante una percezione di realt
che non dato verificare, n, probabilmente, effettivamente esperita dal
momento che le distinzioni interno/esterno e soggettivo/oggettivo
sono il punto darrivo del percorso che egli intende ricostruire, non i
suoi presupposti. Tuttavia Winnicott ha il merito di tentare di sostare nel
sito intermedio costituito dal gioco e di volerne osservare lintimo
movimento di formazione e costruzione degli oggetti. Lattenzione al
processo, pi che le nozioni utilizzate per descriverlo, consentono di
definire meglio il luogo del gioco, la sua posizione rispetto agli altri
aspetti della vita umana, e di comprenderne la pervasivit nellideazione
di ogni realt oggettuale in cui si svolge poi lesistenza. Osservare il
gioco equivale a fermarsi sulla soglia che non sta da una parte o
dallaltra, ma a partire da cui luniverso si apre. In questo ulteriore senso
lo spazio ludico pu definirsi potenziale, perch punto dell azione
reciproca dei bordi di due tende
31
, in cui si distinguono, il che equivale
a dire che si generano contemporaneamente, il s e la realt. La
segnalazione di Winnicott relativa alla fiducia circa lattendibilit
dellambiente esterno promossa dalla prima esperienza dellamore
materno risulta in questo senso interessante perch proprio questa
fiducia infantile che consente di vivere senza lacerazioni il passaggio al
principio di realt. Il gioco un transito indolore, piacevolmente

31
Id., ibidem, p.169.

106
accolto e agito, che, come ogni prassi, salva dalla tormentosit
dellinfinito interpretare e fornisce la necessaria certezza dell agisco
cos
32
. Lo spazio potenziale agisce allora come spazio di continuit e
contiguit del bambino e della madre, o, altrimenti detto, dellindividuo
e della sua cultura, sufficientemente tranquillizzante e rilassato da
consentire un progressivo, ma mai totale, distacco da quello sfondo
originario verso lesperienza pienamente indipendente nella realt, che
in quellorigine sempre mantiene il proprio radicamento. Tutta
lesistenza umana si svolge allora in questo spazio potenziale del ludus,
placidamente fiducioso nellaccordo intimo tra la realt del mondo e la
realt delluomo, mai in esso concepite come ostilmente contrapposte,
ma come con-viventi nel medesimo slancio creativo in cui luomo, parte
dellambiente, al contempo creatore e frutto dellordine cosmico. Il
gioco e, in esso, loggetto transizionale, consentono di esperire in fieri
questo duplice movimento di reale-irreale irriducibile a una
semplicistica distinzione tra interno e esterno, copia e originale.

Nellesperienza del lattante pi fortunato (e del bambino piccolo e
delladolescente e delladulto) la questione della separazione nel
separarsi non si pone perch nello spazio potenziale tra lattante e
madre compare il gioco creativo che scaturisce naturalmente da
una condizione di rilassamento; qui che si sviluppa un uso di
simboli che stanno al tempo stesso in luogo di fenomeni del
mondo esterno e di fenomeni della singola persona che si va
considerando.
33




32
Quando ho esaurito le giustificazioni arrivo allo strato di roccia e la mia vanga si
piega. Allora sono disposto a dire: Ecco, agisco proprio cos. [L. Wittgenstein,
Ricerche filosofiche, 217, Einaudi, Torino 1967, p. 113].
33
D.W. Winnicott, op. cit., p. 186. Sottolineature mie.

107
4. LIMMAGINE E LO SPECCHIO

Walton e Winnicott hanno individuato nel supporto e
nelloggetto transizionale il luogo in cui si fa plasticamente presente la
coabitazione di due realt nellesperienza del gioco. Il compito che la
riflessione di Fink assolve a questo punto quello di riconciliare le due
sfere mediante un approfondito esame dellirrealt quale caratteristica
positiva e feconda dellincontro con il ludico. Fink opera in questa
direzione a due livelli, in Il gioco come simbolo del mondo, in primis
sottoponendo a una puntuale decostruzione linterpretazione metafisica
del gioco, di cui rileva la totale dipendenza dalla presa di posizione
ontologica platonica, e, in seconda battuta, recuperando la ricchezza del
mito, capace di osservare nel gioco la possibilit di un contatto con
loltreumano.
Lo specchio, giocattolo prediletto di Dioniso, lo conduce alla
consapevolezza del mondo ed strumento fatale del suo
sbranamento. Ancora uno specchio consente a Alice, allinizio del
romanzo di Lewis Carroll Alice nel mondo dello specchio
34
, di immergersi,
oltrepassandolo, in un universo fantastico, seriosamente ludico. Lo
specchio riflette e, nel rimando dimmagine cos realizzato, porta
conoscenza e finzione. Lambiguo statuto del rispecchiamento messo

34
La piccola Alice, in questo che il seguito del pi celebre Alice nel paese delle
meraviglie, particolarmente affascinata da ci che vede attraverso uno specchio:
la medesima stanza in cui si trova, ma disposta al contrario. Lattrazione tale da
spingerla a attraversare il vetro, finendo nella stanza dello specchio, passaggio in
un mondo regolato dal gioco degli scacchi e in cui movimenti e concetti
funzionano al contrario (per muoversi occorre restar fermi, per dissetarsi si mangia
e cos via). Inoltre tutte le cose inerti sono vive e si muovono in quel mondo, a
partire dalla pedine degli scacchi. Cfr. L. Carroll, Alice nel mondo dello specchio,
Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1992

108
in luce da Fink come nodo problematico della concezione metafisica
dellirrealt.

Certo che a una considerazione non prevenuta del fenomeno del
gioco, il mondo ludico si d come una specie di riflesso di
specchio. Proprio da una discussione sul riflesso bisogna trarre le
categorie necessarie per caratterizzare esaurientemente il rapporto
fra realt e irrealt nel gioco. Tuttavia ci non esente da pericolo.
Limmagine di specchio si d in se stessa come derivante
dallimmagine originale, si d per imitazione di quella.
35


Lazione del gioco presenta una caratteristica ambivalenza: da un
lato, essa azione reale di un soggetto reale, dallaltro, essa azione di
un certo personaggio nel mondo creato entro lo spazio delle regole del
gioco. Come valutare la consistente inconsistenza di unesperienza
innegabile e quotidiana? La medesima questione posta dallesistenza
dellimmagine, anchessa in bilico tra materiale presenza e impalpabile
stoffa rappresentativa. In un saggio giovanile
36
Fink cercava di
comprendere limmagine al di l della svalutazione platonica
spiegandone lazione con la similitudine della finestra, soglia aperta sul
mondo che disvela nel suo rettangolo trasparente, interrompendo la
solidit opaca e impermeabile del muro. Limmagine consente dunque,
secondo il giovane Fink, di esperire un di pi di realt, unantenna che
tocca il mondo e lo illumina
37
.
Dal punto di vista esistenziale il gioco pienamente umano e,
anzi, corrisponde alla specifica qualit umana dellestaticit rispetto alla
propria condizione dessere presente. E tuttavia un esperimento di

35
GSM, p. 68.
36
Cfr. E. Fink, Vergegenwrtigung und Bild, testo del 1928, in Studien zur
Phnomenologie 1930-1939, M. Nijoff, Den Haag 1966.
37
Cfr. R. Clis, La mondanit du jeu et de limage selon Eugen Fink, in Revue
philosophique de Louvain, n. 76, Febbraio 1978, pp. 54-66.

109
uscita da s che ha luogo nellirresponsabilit consentita dalla
mancanza di conseguenze reali dellazione ludica e dallintensa
variabilit delle opportunit di gioco che dischiudono, in un sempre
nuovo inizio, gamme inesauribili di possibilit. Mentre nella seriet del
reale ogni agire determina ulteriormente e cancella per sempre alcune
alternative, nel gioco il giocatore non ancora individuato in un
questo o quello, ma si trova nelle condizioni di un tutto potenziale,
che si mette in gioco ogni volta dallinizio. Divenire reale significa
ritagliarsi delle possibilit, perdendone altre, quando il gioco consente
invece il recupero di possibilit perdute e il perseguimento di ulteriori e
inesplorate traiettorie. La felicit prodotta dal gioco nellanimo
strettamente legata al tratto illusionistico di schiusura che in esso
risiede. Tuttavia, il gioco, come ben ha mostrato Walton ricorrendo alla
paradigmaticit dei giochi di make-believe che hanno a che fare con
supporti concretamente visibili, non ha unesistenza puramente mentale,
ma, nel tessuto del reale unapparenza che , unapparenza
esistente
38
. Se la realt delluomo dunque il risultato di un taglio
operato tra le possibilit, il gioco riapre, come la finestra-immagine, la
capacit di guardare il paesaggio oltre il muro. Fink, tuttavia, rimarca
costantemente come si debba continuare a parlare di ununica realt,
come, appunto, quella che comprende la casa e il panorama visibile
sporgendosi dalla finestra, e non di due mondi in un rapporto di
derivazione. La gerarchizzazione ontologica promossa dalla metafisica
sulla scia di Platone non d affatto risposta alla complessa tematica
dellirrealt ludica. Si tratta, secondo Fink, di uninsufficienza esiziale per
lautentica comprensione dellapprodo finale del suo lavoro, poich

38
GSM, p. 67.

110
nella sua prospettiva lirrealt stabilisce il ponte tra gioco umano e
gioco del mondo.
E ben noto che lontologia platonica si dipana allombra di
unopzione metodologica ben precisa consistente nella bipartizione tra
realt originaria e riproduzione o copia. Tuttavia, il punto critico,
individuato dallo stesso Platone nei suoi ultimi dialoghi, costituito dal
rapporto di partecipazione tra le idee e le cose del mondo che, se
consente di oltrepassare la dicotomia tra essere e nulla, pone la
necessit di trattare come si configuri questo passaggio. Il gioco,
secondo Fink, mette definitivamente in scacco la pretesa di ingabbiare il
tutto nella divisione tra vero e apparente e tra essenza e immagine,
instaurando un contatto diretto con il darsi del mondo nellazione
individuante. Ad ogni modo la collocazione proposta da Platone per il
gioco lo assimila a fenomeni che mostrano gi a un primo sguardo il
loro essere derivato e strutturalmente dipendente e condizionato dalla
cosa reale cui rimanda: ombra, copia e riflesso dello specchio, fenomeni
in cui empiricamente riscontrabile la compresenza di reale e irreale,
sono le similitudini presenti nel lessico platonico per dire lessenza del
gioco. In questi termini, il gioco, assimilato per altro da Platone alla
creazione tragica e poetica, non sarebbe altro che riproduzione del
mondo sensibile, pertanto, come ogni mimesis, copia di copia. Da
questo punto in poi il discorso finkiano si muove su due binari:
il recupero di uno statuto ontologico superiore per limmagine e il
gioco, sulla base della considerazione del fondamentale apporto del
riflesso allinnescarsi del conoscere umano;

111
la critica della posizione di Platone sul gioco a partire dal
rilevamento dellinadeguatezza del ricorso allo specchio come
modello descrittivo delloperazione realizzante del gioco.
Il primo aspetto risulta estremamente importante, anche come
conclusione ideale della proposta interpretativa di Winnicott, riportando
dunque laccento sul potere pedagogico del gioco nella formazione
dellumano, ma anche rivalutando limpegno speculativo nei confronti di
unattivit che si delinea a questo punto come basilare per lintellezione
della realt. Lambiguit dellimmagine e del gioco viene dunque risolta
da Platone nellidea del riflesso. Fink indaga tuttavia lesperienza
concreta dellimmagine riflessa e dellombra. Come nel gioco lazione
compiuta con uno sforzo e un movimento reali, cos il riflesso e lombra
non sono meno reali della cosa che li proietta, dal punto di vista ottico:
lo sguardo coglie lalbero allo stesso modo in cui percepisce il riflesso
sullacqua. La distanza dessere tra i due fenomeni si fa palese solo nel
momento del confronto, durante il quale si stabilisce tra essi un
rapporto di derivazione. Ci che colpisce, tuttavia, nel riflesso, il fatto
che esso denunci in qualche modo la sua irrealt, non nascondendo
affatto la superficie riflettente (in particolare, se si tratta di uno specchio
dacqua, le onde che lo increspano sono facilmente visibili e deformano
il riflesso stesso), ma esibendola quasi volutamente. Giustamente, Fink
rileva la differenza tra questa percezione e quella, ad esempio, della
visione attraverso un vetro. In quel caso, infatti, sia il vetro sia loggetto
al di l di esso sono dotati di uno spessore ontologico paritario, sono
entrambi reali. Limmagine, dunque, necessita di un supporto reale
che non pu nascondere con la sua inconsistenza, ma, soprattutto,
nellesperienza del riflesso chiaro come limmagine non possa creare

112
da s le proprie linee e i propri colori, dipendendo totalmente, quanto a
questi, dal suo correlato originale. Nonostante ci, proprio il riflesso
schiude una dimensione magica e ulteriore della realt. Proprio la sua
dipendenza dalloriginale dimostra che quello cos aperto non va
configurato come un altro mondo, ma come un approfondimento
conoscitivo. Irreale e, contemporaneamente, visibile, il riflesso sdoppia
lente e cos lo rende presente come tale, rendendo possibile alluomo
percepirlo come distinto e chiedersi conto del suo essere. La
conoscenza porta il mondo entro lo specchio, e conoscersi
innanzitutto specchiarsi. Un utilizzo magistrale del significato
epistemologico del riflesso quale iniziale stimolo alla conoscenza
quello attuato da Dostoevskij in alcuni suoi racconti e, con maggiore
insistenza, nel romanzo Delitto e castigo, in cui spesso il protagonista
Raskolnikov sorpreso a specchiarsi nelle acque dei canali di
Pietroburgo, proprio nei momenti pi drammatici della sua scissione
interiore tra il senso di colpa per lomicidio perpetrato ai danni
dellanziana usuraia e la condivisione dello spirito del proprio gesto
come primo passo per la realizzazione della sua personale grandezza.
Nina Kauchtschischwili
39
, nellinterpretare tale scelta stilistica del
romanziere russo, richiama alcune nozioni di Bachelard e Florenskij che
completano e rendono giustizia allipotesi di Fink. Le immagini riflesse
nellacqua, elemento che, secondo Bachelard, invita a scrutare
profondit sconosciute, consentono uno sdoppiamento che proietta
letteralmente allesterno le questioni che tormentano il cuore e

39
Cfr. N. Kauchtschischwili, Alcuni aspetti specifici della poetica dostoevskiana, in AA.
VV., Problemi attuali di critica dostoevskiana, Istituto Lombardo di Scienze e
Lettere, Milano 1983, pp. 33-55.

113
permettono il dialogo tra s dellanima divisa, ma, al tempo stesso,
forniscono, anche concretamente, la raffigurazione di un universo
capovolto in cui possibile ricomprendersi e rinascere anche dopo un
gesto efferato e insensato. In rapporto alla comune realt limmagine
acquatica ha la consistenza di un nihil visibile, un nulla visibile,
contemplabile e confezionato con le immagini di questa realt
40
. Torna
dunque la necessit di individuare il gioco e limmagine come
esperienze di un crinale che si affaccia su due orizzonti differenti, ma
che si completano a vicenda. Lacqua infatti parte del medesimo
mondo in cui abita loriginale del riflesso, e il riflesso stesso, posandosi
sullacqua, vive in una dimensione pienamente reale. Tuttavia la sua
impalpabilit gli conferisce un pi di esistenza, una consistenza
simbolica, dal momento che in quel frammento riflesso si concentra
tutta la profondit del reale, nei suoi sviluppi possibili. Allevoluzione
dellacqua in Delitto e castigo da segno che stimola la riflessione
(etimologicamente legata al riflesso) a simbolo che produce una
speranza nuova nellanimo tormentato del giovane protagonista
dedicata tutta la parte finale del contributo della Kauchtschischwili:
Pietroburgo si specchia nei canali e rimanda Raskolnikov al suo passato,
ma un riflesso sfuggente. Solo dopo la confessione allamata Sonja del
proprio delitto il giovane riscopre nellacqua pietroburghese un raggio
di sole che ne buca la superficie e vi permane, o, meglio, fugge in essa,
realt vera e assieme virtuale che prospetta, come simbolo che riunisce
in una nuova totalit loggetto prima spezzato, una diversa possibilit di
essere nel mondo.

40
P.A. Florenskij, Ikonostas Le porte regali, Milano, 1977, p. 32; citato da N.
Kauchtschischwili, op. cit., p.39.

114
Fink chiude con un commosso afflato lirico questo primo
momento del suo confronto con Platone, ricorrendo al prediletto
paragone dellimmagine riflessa con la finestra. Come ha insegnato il
percorso attraverso Dostoevskij, il gioco, colto nella sua autentica
simbolicit, dischiude un nuovo modo di essere-nel-mondo attraverso
le sue apparenti inconsistenza e vanit.

Limmagine riflessa per noi come una finestra aperta su un
paese irreale e pur visibile. Quando noi stiamo sulla riva e
guardiamo nellacqua, la verde profondit e la sua vita silenziosa ci
toccano forse misteriosamente ma ancor pi misterioso che
sullacqua e tuttavia senza un contatto reale con essa ricompaiano
ancora gli alberi del mondo delle immagini e al di sopra di essi il
cielo e le nuvole che si rincorrono. Luomo che per primo si pieg
sullacqua e si riconobbe nellimmagine che essa rifletteva schiuse
una sfera di mistero e di magia: il riflesso della realt in se stessa.
[]
Indagare sullessenza del riflesso nello specchio non un arbitrio
dellontologia. Tramite il riflesso lente si sdoppiato per la prima
volta agli occhi delluomo, dividendosi in originale e copia e
permettendo cos alluomo di chiedersi cosa sia lente.
41


Fink non ha timore di scomodare categorie filosofiche abusate,
allorch colloca il gioco nellalveo dellapparenza. Questultima non ha,
secondo lui, alcuna connotazione svalutativa, ma, invece, come il riflesso
sullacqua, consente di esperire una realt pi profonda e vasta.
Richiamare lapparenza come sostanza del gioco non testimonia uno
sguardo che si arresta alla superficie delle cose, ma lattenzione alla
produzione creatrice
42
di cui il gioco capace. Lapparenza ontica si
configura dunque come aspetto strutturale irrinunciabile del gioco, che
dunque un comportamento reale che comprende in s anche

41
GSM, p. 77. Sottolineature mie.
42
OG, p. 76.

115
unimmagine riflessa, come si manifesta chiaramente nei ruoli
impersonati dal giocatore. Se giocare produrre mondi, tali mondi si
ancorano alle cose reali che appartengono al mondo del gioco e che in
esso svolgono la duplice funzione di apparenza ontica e di oggetti
rivestiti soggettivamente di significati dallanima umana. Loperazione
irrealizzante del gioco trova la sua condizione di possibilit nel fatto che
esistono fenomeni, come il riflesso e lombra, dotati di ambigua realt,
immagini che esistono oggettivamente
43
che in questo loro essere
reali comportano una specifica irrealt e, per giunta, riposano su un
oggetto dotato di realt semplice. Il gioco non solipsistica rverie, ma
un luogo intermedio, uno spazio potenziale, come lo definisce
Winnicott, il cui caratteristico aspetto immaginario richiede attenzione
e scavo entro nozioni troppo spesso assunte come ovviet. Il senso
dellapparenza si arricchisce e si smarca dal semplicistico dualismo
platonico, nella direzione indicata dalluso che del riflesso fa, in ambito
narrativo, Dostoevskij. Fink convinto della centralit di questo
passaggio nello studio dellumano giocare e nella riconduzione di
questultimo al suo autentico rapporto con il gioco cosmico. Il nocciolo
del gioco come questione filosofica si innerva dunque sulla messa in
discussione della separazione metafisica tra essere e apparire.

Il prodotto il mondo del gioco, una sfera di apparenza, un campo
la cui realt manifestamente non ben posta. E tuttavia
lapparenza del mondo ludico non semplicemente un nulla. Noi
ci muoviamo in essa mentre giochiamo; noi viviamo in essa -
talvolta, certo, leggeri e sospesi come in un regno di sogno,
talvolta per anche pieni di fervido abbandono e raccoglimento.
44



43
OG, p. 78.
44
OG, p. 76.

116
La seconda fase del corpo a corpo con Platone parte dal
riconoscimento della giusta correlazione creata da questultimo tra il
gioco e limmagine, ma trova, nelluso fatto da Platone della metafora
dello specchio, la chiave dellinsufficienza di tale equivalenza. Il
riferimento allo specchio sostanzia la critica di Platone contro larte
mimetica, dal momento che il riflesso, per sua essenza, improduttivo,
non pu far altro che rimandare la luce che lo illumina, che riportare
fedelmente loggetto reale. Loperato dellartista, rinchiuso in questo
paragone, porta con s questa secondariet ontologica, incapace di
aggiungere alcunch alla superiore categoria della cosa reale. Larte e il
gioco sono dunque imitazioni alla seconda potenza. Andrea Gilardoni
accomuna in questo senso Fink e Nietzsche nella consapevole
attuazione di un rovesciamento del platonismo che ne sterra i
presupposti sottaciuti
45
. In particolare, Gilardoni si sofferma a
commentare la critica di Fink allarbitrariet e incompletezza della
trattazione platonica della questione dello specchio. Questultima si
sviluppa infatti allombra di una confusione non innocente che non
distingue le cose naturali dai prodotti artificiali
46
. Platone tratta chi usa
lo specchio come un produttore di cose. In realt lartista innanzitutto
il produttore dello specchio, colui che consente la formazione del
riflesso, e la presenza dello specchio non va saltata nello studio del
riflesso, perch questo oggetto che produce qualcosa in quanto in
qualche modo locchio che percepisce in prospettiva, modifica e
deforma il reale. Non artista chi maneggia lo specchio, ma, in primis,

45
A. Gilardoni, Cosmologia come pedagogia del transhumanum, in A. Gilardoni (a
cura di), Potenziamenti immaginifici. Sperimentazioni filosofiche intorno a Eugen
Fink, Unicopli, Milano 2001, pp. 81-110.
46
Cfr. Id., ibidem, pp. 85-89.

117
chi produce lo specchio entro cui, in seguito, si manifesta il riflesso, vale
a dire lopera darte compiuta. Lo specchio, secondo Gilardoni, che
interpreta per un pensiero espresso anche da Fink
47
,
contemporaneamente il processo creativo e lo strumento reale che,
come il giocattolo, consente lancoraggio del mondo ludico e le sue
possibilit metamorfiche. Larte e il gioco mostrano allora con evidenza
la loro essenza di produzioni e non di imitazioni, espressioni pure della
volont di potenza intesa come potenziamento della vita che passa oltre
lumano, di maggior valore della verit in quanto trasvalutazione di tutti
i valori, e in prima istanza del valore veritativo stesso. La produzione del
poeta, del pittore e con loro del giocatore possiede dunque una propria
peculiare realt non esausta e sbiadita, ma, al contrario potenziata entro
le opportunit consentite dallo specchio. Il vero artista, come suggerisce
Nietzsche, consapevole, come chi osserva i riflessi prodotti da una
superficie riflettente, del carattere riflesso, irreale, dellimmagine, ma la
sua potenza consiste nel riconoscimento di questa inconsistenza che,
solo, consente la libert di creare nuove immagini. Il portatore reale di
immagini, sia esso lo specchio o lartista, continua ad essere un
correlato irrinunciabile, il vero agente del ludus.
Nonostante il ribaltamento del valore della specularit come
produttivit e non come sterile copiatura, tuttavia, nellesperienza del
riflesso rimane limprescindibilit di una contemporaneit e fedelt
rispetto a un originale, per cui solo se nelloriginale accade qualcosa,
ci pu ripetersi anche nel mondo riflesso
48
. La mancata
corrispondenza tra un simile approccio e la fattiva esperienza del gioco

47
Cfr. GSM, p. 84.
48
GSM, p. 90.

118
umano induce Fink a una domanda cruciale: il gioco pienamente colto
da unintuizione che lo sovrapponga e lo faccia coincidere con
limmagine? E, in secondo luogo, questo carattere di immagine
riconducibile in toto alla mimesis?

Limportanza dellimmagine non sta nel suo rapporto col modello
causale. Limmagine pu essere stata configurata liberandosi
ampiamente del modello reale e tuttavia rappresenta ancora un
oggetto. E ancora, in un altro senso, limmagine pu essere una
compagine di forme e colori che comporta una certa tensione
senza avere carattere di copia. Che tipo di immagine il gioco? E
unimmagine riflessa, in generale una copia o unimmagine senza
rimando a un originale? []
Il punto pi oscuro rimane quello di sapere se il gioco viene colto
nel suo significato pieno e originario allorch si isola il momento
della mimesis per considerarlo il pi rilevante. Indiscutibilmente il
gioco ha un carattere mimetico ma si esaurisce in esso? E
innanzitutto questa imitazione si rapporta a circostanze o azioni
ontiche?
49


Il gioco, infatti, a differenza del riflesso, non vincolato a alcuna
contemporaneit rispetto al presunto originale: lazione ludica non
possiede necessariamente una parallela attivit nel mondo serio,
pertanto il carattere imitativo del gioco, se pure sussiste, non ha la
medesima natura di quello del riflesso speculare. La contemporaneit
che incatena limmagine riflessa al suo originale, e che consente al
riflesso di sussistere solo fintantoch c luce sufficiente ad illuminare
loriginale, non in questione nel gioco. Piuttosto, il gioco come
immagine si commisura alle raffigurazioni tecnicamente prodotte che,
pertanto, gi in questo passaggio che propriamente artistico, si
staccano dal loro modello e assumono una maggiore indipendenza e

49
GSM, pp. 86-87. Sottolineature mie.

119
unicit rappresentative, usando liberamente loriginale
50
come, secondo
Winnicott, il bambino usa la cosa reale rendendola funzionale alla
materializzazione dei suoi sogni
51
.
La trattazione di Fink, fino a questo momento, si mossa su due
livelli. Dapprima ha denunciato lunilateralit della presentazione
platonica del paradigma dello specchio, che ne ignora il momento
produttivo; in un secondo momento, poi, Fink si chiesto fino a che
punto limmagine sia riducibile allesperienza del riflesso, rilevando
un'altra voluta incomprensione platonica nei confronti della necessaria
contemporaneit tra originale e copia che si realizza nellesperienza
speculare e che invece non trova riscontro nella produzione di immagini
propria del gioco e della raffigurazione artistica. Questo secondo
momento critico rivendica il carattere interpretativo e lindipendenza
dellimmagine rispetto alloriginale, sganciandosi cos da una
concezione servile della componente imitativa. In conclusione, dunque,
il mondo del gioco non correttamente compreso se interpretato come
universo parallelo che riproduce pedissequamente gli oggetti e le
relazioni della realt. Il gioco non unimmagine riflessa, ma, piuttosto, il
gioco lo specchio. Non vi soluzione di continuit tra mondo reale e
mondo ludico che, nonostante il caratteristico isolamento, ha sede
nella medesima realt, come limmagine riflessa abita la medesima
realt dellacqua su cui si riflette. Il gioco, come lo specchio, portatore
di immagini: la pellicola ludica copre giocatori e giocattoli e li

50
Limmagine, per quanto sia ancora copia, parafrasa gi la realt; non riflette,
interpreta. [GSM, p. 92].
51
Nel gioco il bambino manipola i fenomeni esterni al servizio del sogno, e investe
i fenomeni esterni prescelti con significato e sentimento di sogno. [D.W. Winnicott,
op. cit., p. 99].

120
trasforma, lasciandoli al tempo stesso concretamente quello che sono
nellordinario; riveste, ma non nasconde. Fink focalizza perfettamente
laspetto potenziante e produttivo del gioco: La comune realt non
presenta dei vuoti, ma piuttosto continuata ad opera del portatore di
immagini
52
. Ritorna dunque lamata metafora della finestra costituita
dal mondo ludico e dalle immagini rispetto al mondo reale. Ancora da
sottolineare resta linsistente ammonimento finkiano a considerare la
necessaria presenza di un pezzo dello spazio reale entro lattivit
ludica, lindispensabile ancoraggio, tramite il giocattolo o il giocatore o
gli stessi tempi e spazi occupati dal gioco, alla comune realt. Parete e
tela per limmagine fungono, allo stesso modo di giocattoli e giocatori,
come supporti che si spostano in secondo piano rispetto alla loro
ordinaria significanza, ma sono il suolo su cui poggia ledificio ludico.
Questa presenza assente ribadisce limportanza delle considerazioni
svolte attraversando i lavori di Winnicott e Walton che centrano la loro
analisi su questo aspetto materiale del gioco e, di conseguenza, sul
suo potere di trasformazione-alterazione dellordinaria comprensione
delle cose. Del resto proprio Fink riconosce lelemento fecondo di quella
che egli chiama linterpretazione metafisica del gioco nellindividuazione
del fundamentum in re
53
del gioco stesso, nonostante lunilateralit di
una lettura che, istituendo il parallelismo con limmagine e con il riflesso
in particolare, opta per una considerazione dellattivit ludica come
fenomeno derivato, meramente apparente e inconsistente dal punto di
vista ontologico. Il gioco andava razionalizzato, scaricando la sua
potenziale sovversivit, per integrarlo nellordine gerarchico degli enti

52
GSM, p. 94.
53
GSM, p. 98.

121
prodotti da un intelletto cosmico ordinatore. Il gioco inteso come
imitazione e, pi ancora, anticipazione dellattivit adulta, serve a dar
ordine alla magmatica costellazione ludica vedendo in essa una
prefigurazione del logos.
Lultima tappa della decostruzione finkiana dellargomentazione
platonica rappresenta, tuttavia, uno scarto non indifferente rispetto a
tutte le considerazioni precedenti: il problema del gioco non si risolve
spiegandolo come immagine, anche allorch si sia stabilita la distanza,
colpevolmente ignorata da Platone, tra il riflesso e limmagine
creativamente realizzata dallartista. Il gioco innanzitutto lazione del
produrre: non tanto un risultato estrinseco a questazione, come pu
essere lopera darte, quanto il movimento stesso del creare. Questa
differenza scava un abisso che isola il gioco da ogni altra esperienza e
gli consente di divenire un modello di spiegazione e, anzi, la sostanza
stessa del movimento cosmico. Il gioco risiede nellagire, nel produrre il
mondo ludico, e sussiste solo fintantoch tale produzione si esercita.

Il giocare non unattivit produttrice, che termini in un risultato
separabile dallattivit stessa. Noi non giochiamo dopo che
abbiamo prodotto il gioco o il mondo ludico, ma giochiamo solo
fino a quando produciamo il mondo ludico. La produzione del
gioco non arriva ad un risultato. In altri termini e sottolineando
maggiormente questa antitesi: giocare come produrre
lapparenza del mondo ludico.
54


Anche ammesso il diritto di rapportare il gioco allimmagine, il
segreto per non tradire lautentica fertilit del gioco come momento
cosmico risiede nel non puntare tanto allo svelamento di quale sia il
corrispettivo ontico reale dellimitazione ludica, quanto nel soffermarsi a

54
GSM, p. 95. Sottolineature mie.

122
osservare che cosa siano la parafrasi e la rappresentazione ludica in
quanto tali. Non il risultato il senso del gioco, ma il suo essere giocato,
le mosse e le relazioni che lo muovono. Cos per il giocatore il piacere
del gioco sussiste solo fino a quando trova senso nei compiti che il
gioco gli impone, nellarmonia dei gesti e degli spostamenti possibili,
esaurendosi invece allorch si comprende che tutto gi deciso, il
risultato gi scritto. Non un caso che a quel punto, ad esempio, i
giocatori di scacchi interrompano la partita, anche se materialmente
non si ancora dato scacco matto, riconoscendo che il gioco, ormai,
non ha pi nulla da dire. Lapprodo finale di Fink sar la concezione del
gioco come simbolo, non come immagine o segno, in virt di una
rivalutazione ontologica dellapparenza come qualcosa di diverso dalla
mera parvenza, portatrice invece di un pi rispetto alla semplice realt
delle cose. Ma il percorso in questa direzione ancora lungo, e richiede
un attraversamento attento e fecondo di uno degli autori cardine della
formazione filosofica di Fink, Friedrich Nietzsche.


5. IL GIOCO DELLE APPARENZE

Non conosco altra maniera di trattare i grandi compiti che non sia
il giuoco: fra i segni della grandezza, questo un presupposto
essenziale.
55


La proposizione appena citata porta direttamente nel cuore del
pensiero di Nietzsche attorno al gioco. Pi che una collezione di passi in

55
F. Nietzsche, Ecce Homo, in Opere di Friedrich Nietzsche, edizione italiana
condotta sul testo critico originale stabilito da G. Colli e M. Montinari, Adelphi,
Milano 1964 sgg., vol.VI, t. 3, p. 306.

123
cui il gioco sia nominato o analizzato, Fink, ma anche altri interpreti, e in
particolare Deleuze
56
e Bataille
57
, colgono unatmosfera ludica sottesa a
tutta quanta la riflessione niciana. Il gioco, come in un lampo, si
trasforma nelle mani di Nietzsche in metodo di conoscenza e modalit
dazione adeguata alle pi alte mete dellumano, e, si vedr, non solo di
esso. Sembra di sentire leco delladagio platonico secondo cui giocare i
giochi pi belli ci che di meglio luomo possa fare su questa terra.
Cos, scrive Nietzsche, giocare segno di grandezza e, anzi, il maggiore
tra questi segni. Come arriva il gioco a tale posizione di spicco nel
panorama esistenziale? La risposta si pu leggere soprattutto nelle
opere giovanili, dove Nietzsche riporta il gioco agli onori della cronaca
traducendolo in un paradigma cosmico. Nei testi in cui si muove vicino
alla grecit, la questione del gioco emerge innanzitutto, come ovvio,
da un serrato confronto con la metafisica socratico-platonica, cui
vengono contrapposte la riflessione presocratica e lesperienza unica
della tragedia attica. Il gioco in queste opere per Nietzsche il modo
dessere dellarte, pertanto, da un punto di vista tradizionale, esso si
colloca tra i fenomeni dellapparenza e non tra quelli, ontologicamente
superiori, della verit ideale. Loperazione di Nietzsche nel corso di tutta
la sua vita consiste nellabbattimento di tale dualismo, sino alla
perentoria cancellazione della gerarchia ontologica di stampo platonico,
per proporre invece unassimilazione della verit allapparenza, nel
senso che la prima non altro che il risultato giocoso della seconda
58
.

56
G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Einaudi, Torino 2002.
57
G. Bataille, Su Nietzsche, Cappelli, Bologna 1980.
58
Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci rimasto? Forse quello
apparente? Ma no! Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente!.

124
Di qui la superiorit intellettuale dellartista sullo scienziato, testimoniata
dallinedito Su verit e menzogna in senso extramorale
59
, fondata sulla
consapevolezza del primo del suo aver a che fare con apparenze
fantasmatiche di contro al realismo scientifico consistente
nellingabbiare presunti concetti reali in schemi esplicativi che si rivelano
anchessi, ad uno sguardo acuto, come castelli in aria. In questo scritto
lintelletto concepito da Nietzsche come facolt istrionica, simulatrice
per essenza, ideatrice di meravigliose mascherate concettuali,
esuberante rispetto ai bisogni biologici del soggetto che produce i
concetti allo scopo di organizzare il caotico materiale offertogli
dallesperienza. Lintelletto va dunque oltre le esigenze della
sopravvivenza e in tale eccesso mostra chiaramente il suo carattere
ludico. La tanto decantata conoscenza consiste in una forma di
antropomorfizzazione dellinquietante realt offerta dai sensi attraverso
unoperazione di metaforizzazione e generalizzazione che Nietzsche
non esita a assimilare alla creazione di immagini poetiche. In una simile
prospettiva, la verit coincide con un uso socialmente condiviso di
metafore, e, contemporaneamente, con un rigetto nella menzogna e
nellapparenza di tutte le altre possibili metafore non approvate
60
:

[F. Nietzsche, Crepuscolo degli idoli, in Opere DI Friedrich Nietzsche, cit., vol. VI , t.
3, p. 76].
59
F. Nietzsche, Su verit e menzogna in senso extramorale, in Opere di Friedrich
Nietzsche, cit., vol. III, t. 2, pp. 353-373.
60
A questo punto viene fissato ci che in seguito dovr essere la verit; in altre
parole, viene scoperta una designazione delle cose uniformemente valida e
vincolante, e la legislazione del linguaggio fornisce altres le prime leggi della
verit [Id., ibidem, p. 357]; inoltre: Che cos dunque la verit? Un mobile esercito
di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve una somma di relazioni umane
che sono state potenziate poeticamente e retoricamente, che sono state trasferite e
abbellite, e che dopo un lungo uso sembrano a un popolo solide, canoniche e
vincolanti: le verit sono illusioni di cui si dimenticata la natura illusoria. [Id.,
ibidem, p. 361].

125
Nietzsche paragona in questo contesto le parole a monete su cui lusura
ha cancellato leffigie che consegnava al mero pezzo di metallo il suo
valore. La metafora usurata perde il suo collegamento con lesperienza
singolare che lha generata e si ritrova, in contesti distanti da quello
originario, depauperata della sua primitiva vivacit. Lirrigidimento
dogmatico del vero consiste per Nietzsche sostanzialmente in un
progressivo sbiadire dei colori delleffettiva esperienza entro morti
concetti, la cui architettura egli descrive come un colombario
61
o una
ragnatela
62
. In questo testo giovanile Nietzsche rivaluta la ricchezza
metamorfica dellapparenza riconoscendo in essa lattivit stessa del
tanto acclamato intelletto. La ricchezza dellumano risiede nella capacit
costruttiva, nel suo spirito progettuale, cio si misura nel gioco come
azione del formare concetti e verit flessibili mediante cui orientarsi
nella realt. La rigidit delle celle dellalveare della scienza si configura
come forma depauperata e solidificata dellimpulso artistico di
metaforizzazione. Questultimo va, secondo Nietzsche, recuperato
dalloblio, riportato al suo rango di movimento dorigine di tutto ci che
riconosciuto come vero e di valore. E quello che accade,
consapevolmente, nella creazione artistica e, Nietzsche non manca di
puntualizzarlo, nel gioco, dove la libert di spostare e confondere le

61
La grande costruzione dei concetti mostra invece la rigida regolarit di un
colombario romano e manifesta nella logica quel rigore e quella freddezza che
sono propri della matematica. [Id., ibidem, pp. 362-363].
62
Occorrer una costruzione fatta di ragnatele, tanto tenue da non essere
trascinata via dalle onde e tanto solida da non essere spazzata via al soffiare di ogni
vento. [Id., ibidem, p.363]. Lanalogia della struttura concettuale con la ragnatela si
approfondisce ulteriormente per la similarit delle modalit di produzione di
entrambe le reti: entrambe sono prodotte con materiale proprio, la saliva del ragno
e le metafore delluomo, non con componenti tratti dalla realt esterna: Queste
[categorie], tuttavia, noi le produciamo in noi, traendole da noi stessi con quella
necessit con cui il ragno tesse la sua tela. [Id., ibidem, p. 367].

126
parti concessa allintelletto in uno spazio protetto, senza conseguenze,
in cui essa non pu far danno, ma solo arricchire lesausta e impallidita
esistenza. Lintelletto simulatore torna allora ad essere signore del suo
potere creatore, non pi ingabbiato in un difensivo baluardo di nozioni
condivise. Il gioco in questo testo vicinissimo al fenomeno del sogno,
dal momento che entrambi sono accomunati dallirresistibile impulso a
scompaginare lordine, a fare di ci che codificato soltanto
unarmatura e un trastullo
63
per la loro artistica creativit. Ancora pi
profonda, tuttavia, lintuizione di Nietzsche allorch interpreta la verit
pubblicamente riconosciuta come una menzogna sociale, una decisione
collettiva di mentire tutti allo stesso modo e, riconoscendola come
residuo di una metafora, di una delle tante create dallintelletto, parla di
essa come di un concettuale gioco di dadi
64
, assiologicamente
indistinguibile da altre modalit di giocare se non per il fatto che fissa
per ogni dado un uso limitato secondo la sua designazione
65
.

Sono due gli stati in cui luomo raggiunge il sentimento estatico
dellesistenza: il sogno e lebbrezza. [] Dunque, mentre il sogno
il giuoco del singolo uomo con il reale, larte dellartista figurativo
(in un senso pi ampio) il gioco con il sogno. [] Larte dionisiaca
invece basata sul gioco con lebbrezza, con lestasi.
66


La volont niciana di dissolvere la superstizione della verit
conduce al fondo dellambiguit tra reale e irreale cui lesperienza del
gioco mette irrimediabilmente di fronte. Nella Nascita della tragedia
lagire dellartista apollineo identificato come gioco con il sogno,

63
Id., ibidem, p. 370.
64
Id., ibidem, p. 363.
65
Id., ibidem, p. 363.
66
F. Nietzsche, La visione dionisiaca del mondo, in La nascita della tragedia; La
filosofia nellet tragica dei Greci; Verit e menzogna, Newton Compton, Roma
1995, pp. 53-54, passim.

127
mentre quello dellartista dionisiaco gioco con lebbrezza. In entrambi
i casi lesperienza ludica a fare da base, e, dunque, a dimostrare
perentoriamente la non estraneit tra Apollo e Dioniso, lintima
fratellanza che fa di Apollo, e dellordinata apparenza che da lui
scaturisce (assimilabile al perfetto equilibrio delledificio scientifico), uno
dei giochi di Dioniso, una delle possibilit aperte dallo
scompaginamento e dallabissale profondit dello sguardo ebbro.

Quellaspirare allinfinito, il colpo dala dellanelito, con il supremo
piacere per la realt chiaramente percepita, ricordano che in
entrambi gli stati dobbiamo riconoscere un fenomeno dionisiaco, il
quale ci rivela sempre di nuovo il gioco di costruzione e
distruzione del mondo individuale come lefflusso di un piacere
originario, in modo simile a come la forza formatrice del mondo
viene paragonata da Eraclito loscuro ad un fanciullo che giocando
ponga pietre di qua e di l, costruisca mucchi di sabbia e di nuovo,
con un colpo, li distrugga.
67


Quello che risulta fondamentale nel passo test riportato che il
gioco, plasticamente personificato attraverso il richiamo a Dioniso, si
definisce come onnipervasivo, in una visione per cui tutto gioco e ci
che si intende per serio non altro che una concrezione
momentaneamente pi stabile dellanelito allinfinito, del ribollire
dionisiaco che costruisce e dissolve ininterrottamente i propri castelli di
sabbia. In Dioniso c Apollo, nel senso che il desiderio di una
percezione distinta del reale fa parte del gioco. Come notava Kernyi,
nessun dio cos intimamente connesso con linfanzia e lattivit ludica

67
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, in La nascita della tragedia, La filosofia
nellet tragica dei Greci, Verit e menzogna, cit., p. 200.

128
come Dioniso
68
. Nietzsche, pienamente consapevole di tale
consanguineit, fa agire questa figura divina come grimaldello che
spezza le barriere tra il reale e lirreale del gioco, mostrando
chiaramente che ci che chiamiamo reale uno dei tanti risultati
possibili del poetante (in senso etimologico) ardore ludico dionisiaco.
Dioniso il ribollente calderone dei possibili irrealmente presenti, che si
stabilizza e si lascia fotografare di tanto in tanto in una forma apollinea
ordinata. Tuttavia, questultima non pu accampare alcuna pretesa di
superiorit ontologica, poich non ha altra consistenza che quella
concessagli temporaneamente dal suo bimbo creatore, beffardamente
sorridente, monello e giullare.

Dobbiamo, di tanto in tanto, riposarci dal peso di noi stessi,
volgendo lo sguardo l in basso su di noi, ridendo e piangendo su
noi stessi da una distanza da artisti: dobbiamo scoprire leroe e
anche il giullare che si cela nella nostra passione della conoscenza,
dobbiamo, qualche volta, rallegrarci della nostra follia per poter
star contenti della nostra saggezza! E, proprio perch in ultima
istanza siamo gravi e seri e piuttosto dei pesi che degli uomini, non
c nulla che ci faccia tanto bene quanto il berretto del monello: ne
abbiamo bisogno di fronte a noi stessi ogni arte tracotante,
ondeggiante, danzante, irridente, fanciullesca e beata ci
necessaria per non perdere quella libert sopra le cose che il nostro
ideale esige da noi. []
Dobbiamo poter sovrastare anche la morale: e non soltanto
starcene impalati lass con langosciosa rigidit di chi teme ad
ogni istante di scivolare e di cadere; ma inoltre ondeggiare e
giocare su essa! Come potremmo perci fare a meno dellarte, e
anche del giullare?
69



68
E linfanzia non ha tanta importanza nel culto di alcunaltra divinit a
prescindere da Zeus quanta ne ha nel culto di Dioniso. [K. Kernyi, op. cit., p.
104].
69
F. Nietzsche, La Gaia scienza, in Opere di Friedrich Nietzsche, cit., V, t. 2, pp.
115-116. Sottolineature mie.

129
Lo spirito rinnovato homo ludens, nel senso di un consapevole
allontanamento dalla pesantezza e dalle rigidit degli schemi veritativi,
nel senso dellesplorazione di nuove realt, dotate di altrettanta
consistenza quanto quella abbandonata e creduta finora lunica degna
di questo nome. Gilardoni parla al proposito di una pedagogia del
transhumanum, proprio perch lo spazio di libera inventiva aperto dal
gioco uneducazione che riconsegna alluomo una componente
fanciullesca sublimata dal passaggio distruttivo attraverso la storia della
metafisica, riconduce a una non ingenua innocenza, che, proprio perch
frutto di un lungo e travagliato percorso, consente alluomo di andare
oltre se stesso, di scoprirsi nel proprio potenziale produttivo senza
smarrirsi incoscientemente in esso. Il gioco intrinsecamente
pedagogico in quanto fa forme, come variazione immaginifica tale per
cui ci a cui ci si educa non un universo di fatti ma di posseizzazione,
elevazione della vita al divenire possibile
70
.

Un altro ideale ci precede correndo [] lideale di uno spirito che
ingenuamente, cio suo malgrado e per esuberante pienezza e
possanza, giuoca con tutto quanto fino a oggi fu detto sacro,
buono, intangibile, divino; uno spirito per il quale il termine
supremo, in cui il popolo ragionevolmente ripone la sua misura di
valore, significherebbe gi qualcosa come pericolo, decadenza,
abiezione, o per lo meno diversivo, cecit, effimero oblio di s;
lideale di un umano-sovrumano benessere e benvolere, un ideale
che apparir molto spesso disumano, se lo si pone, a esempio,
accanto a tutta la seriet terrena finora esistita, a ogni specie di
solennit [] un ideale con cui, nonostante tutto ci, comincia
forse per la prima volta la grande seriet, posto per la prima volta
il vero punto interrogativo, con cui il destino dellanima ha la sua
svolta.
71



70
Cfr. A. Gilardoni, op. cit.
71
F. Nietzsche, La gaia scienza, cit., pp. 262-263. Sottolineature mie.

130
Nietzsche riprende ironicamente la tradizionale opposizione
gioco/seriet e, come quando riconosce che la vera essenza dello spirito
libero non risiede nella capacit di liberarsi dai sogni ma nella forza di
sognare pi vero, cos comprende che lideale benessere delluomo
consiste nel saper giocare, in quanto solo con il gioco autoconsapevole
inizia la grande seriet. Finora luomo ha sempre giocato senza saperlo.
Ora, portato al limite il processo di decomposizione dei valori e dei
significati condivisi, finalmente visti nel loro essere fantasmatiche
apparenze quali i sogni, luomo comprende il suo essere-nel-mondo
estaticamente come lusor. Al gioco non ci si pu sottrarre e, allorch si
crede di farlo, si solamente vittime inconsapevoli di una superstizione;
non si vede allora, irretiti dagli oggetti e dalle configurazioni creatisi,
che si tratta di mirabili castelli, ma di sabbia, che possono cadere al
primo alito di vento. Il senso del messaggio niciano dunque quello di
un invito a entrare nel gioco in cui, volenti o nolenti, gi si abita, di
accettarne le regole e, in tal modo, giocare i giochi pi belli, secondo il
suggerimento di Platone. Nulla pi serio del gioco, nella misura in cui
ci in cui crediamo e sulla cui base regoliamo il nostro essere-nel-
mondo un prodotto del gioco stesso. Nietzsche riesce, con la nozione
di gioco, a tenere insieme essere e divenire, nascita del mondo dal caos
e caos nellordine del mondo. La tragedia, studiata da Nietzsche come
fenomeno squisitamente ludico, traduce visibilmente il gioco come
appropriazione magica del reale, e messa in gioco del senso
72
. Il segreto
della tragedia consiste, secondo il Nietzsche della Visione dionisiaca del

72
Cfr. P. Ghieri, Il gioco nel pensiero di Friedrich Nietzsche, in Il gioco come
momento ermeneutico, Atti del seminario di studi Momenti del gioco, 18
dicembre 2000, cit., pp. 105-127.

131
mondo, in una capacit sospesa di giocare con lebbrezza senza lasciarsi
assorbire da essa
73
. La tipica doppia coscienza del giocatore che sa di
giocare, ma si impegna con il massimo fervore nel gioco, trova risposta
nella natura umana stessa, che Nietzsche concepisce come
istintivamente creatrice di significati e al tempo stesso artisticamente
volubile. Il gioco fa coincidere nello stesso luogo il caos con lordine,
anzi, di fatto annulla questa distinzione individuando la coesistenza
dellorigine del senso dal caos e del caos nella nascita del senso. Non si
esce dalla vita, e dunque si sempre gi nel gioco di Dioniso. Pertanto
la tragedia gioco che riesce a scorgersi, che riesce a mettere ordine in
una visione contemplabile, e al tempo stesso evanescente, di quello
stesso gioco che la genera e la distrugge. La scienza, nella prospettiva di
Nietzsche, potr dirsi gaia, cio ludicamente atteggiata, allorch sapr
ristabilire il raccordo con loriginaria caoticit del vivere entro cui si
radica ogni ordine possibile. Il gioco risulta, nella conclusione della
Nascita della tragedia, la capacit di dar forma allinforme, nella
consapevolezza che tale forma solo lultimo scherzo dellinforme
stesso: Forma [] significa gioco fondante che pone da s la propria
regola e ponendola la afferma convertendo il caso in necessit
74
.
Nietzsche compie dunque un ulteriore scavo entro la
problematica dellambigua irrealt ludica, scoprendo lirrealizzazione

73
Ora, se lebbrezza il gioco della natura con luomo, la creazione dellartista
dionisiaco il gioco con lebbrezza. Questo stato si lascia concepire solo per
analogia, quando non lo si sia sperimentato in se stessi: qualcosa di simile a ci
che accade quando si sogna e si sa di sognare. Cos il fedele di Dioniso deve
lasciarsi andare allebbrezza e nello stesso tempo star fuori di s, come una spia che
osserva. Non nel passaggio dalla sobriet allebbrezza, bens nella loro coesistenza
si mostra lartisticit dionisiaca. [F. Nietzsche, La visione dionisiaca del mondo, cit.,
pp. 54-55. Sottolineature mie].
74
P. Ghieri, op. cit., p. 117.

132
come il movimento stesso del farsi del reale, che dunque solo una
delle innumerevoli traiettorie disponibili per appropriarsi magicamente
del mondo. La riflessione di Nietzsche si muove compenetrando
laspetto cosmologico e quello psico-antropologico del gioco senza
soluzione di continuit. E tuttavia soprattutto questa seconda
componente che lascia intravedere il legame tra realt ludica realt
ordinaria: a differenza di quanto si osservato in Walton e Winnicott e,
parzialmente, nella parte delle argomentazioni di Fink attraversate in
precedenza, lidea di Nietzsche non quella del gioco come realt
mediana di raccordo in cui il legame con luniverso quotidiano
stabilito dalla presenza delloggetto reale in un ruolo trasformato.
Secondo Nietzsche, invece, il gioco la realt tutta, e, anzi, il gioco pi
perfetto e affascinante proprio quello che si fa realt palpabile, unit
coerente. Anzi, meglio ancora, la visionaria concretezza della tragedia
che nelle sue maschere usa il linguaggio di Apollo, ma mantiene in s la
vitalit giocosa e terribile di Dioniso: Da qui il gioco come gesto
simbolico originario, come produzione estetica di significati
75
. Deleuze,
interprete attento alla peculiare lettura niciana del millenario dissidio tra
essere e divenire e verit e apparenza, ruotante sul conflitto tra caso e
necessit, riesce a intendere la proposta niciana, capace di fondere i due
corni del dilemma, recuperando la potente immagine del lancio dei
dadi
76
, pi volte ripetuta dallo stesso Nietzsche. Sono due, in
particolare, i passi niciani che fanno da sfondo a questo senso del gioco,
che unisce cielo e terra in un singolo universo. Dunque, reale e irreale
non rimangono due universi paralleli, ma costituiscono un unico

75
Id., ibidem, p.119.
76
G. Deleuze, op. cit., pp. 39-52.

133
terreno di gioco per luomo superiore che sappia comprenderne
lintima convergenza.

Se mai giocai a dadi con gli dei sul divino tavoliere della terra
sinch la terra trem e si spacc, vomitando fiumi di fuoco - ch
un divino tavoliere la terra, tremante sotto le nuove parole
creatrici e i colpi di dadi degli dei
Oh, come potrei io non bramar leternit, il nuziale anello degli
anelli, lanello del ritorno?
77


O cielo sopra di me, puro, eccelso! Questa per me la tua purezza,
che non ci siano un eterno ragno ed eterne ragnatele di ragione:
- che tu sia per me un luogo di danza per casi divini, che tu sia per
me un tavolo di dei per dadi e giocatori di dadi divini!
78


Nel gioco dei dadi, commenta Deleuze, i momenti topici sono
due: quello del lancio e quello della ricaduta, da un punto di vista
psicologico traducibili in aspettativa e risultato. Tuttavia, se il cielo il
luogo in cui si gettano i dadi e la terra il terreno su cui ricadono,
lunitariet dellazione ludica che compie il gesto e ottiene il punteggio
dimostra che i due tavoli non corrispondono a due mondi, ma a due
momenti dello stesso mondo: il primo, che disperde le forze
nellesuberanza del caso spargendo i dadi in aria, e il secondo, che le
riconduce ad una necessit nellinsindacabilit del punteggio. Tuttavia, i
dadi sono gli stessi nei due eventi, dellabbandono e della fissazione,
cos come la vita ondeggia tra lesplosione delle potenzialit e
lingabbiamento della costruzione di significati. Deleuze coglie bene la
puntualit dellazione ludica: il lancio di dadi non si compie
ripetutamente cercando, per la legge dei grandi numeri, di ottenere
nuovamente la medesima combinazione, provandone cos la

77
F. Nietzsche, Cos parl Zarathustra, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1985, p.
258.
78
Id., ibidem, p. 190.

134
correttezza. Il lancio dei dadi non attende la verifica empirica della
somma degli esperimenti, ma ad ogni lancio si fonda un mondo, un
nuovo punteggio, che al termine del lancio risulta assolutamente
necessario, inevitabile e coerente con le premesse del lanciatore. La
necessit, la combinazione che fatalmente si realizza sul tavolo nella
ricaduta dei dadi, generata dal caso e non lo abolisce, ma
combinazione del caso. Il cattivo giocatore tenta di oltrepassare e
cancellare il caso ripetendo il lancio, cercando rifugio dallinvincibile
scossa del caso nel finalismo e nella causalit. La centralit della
categoria della casualit del resto ribadita dallinterpretazione del
celebre frammento 52 DK di Eraclito: Nietzsche intende la pessia, il
gioco in cui occupato il bambino protagonista della proposizione
eraclitea, come gioco di dadi, cio associa senza remore il corso del
mondo a un effetto della sorte, non a una forma strategica preordinata.
Nel cuore del testo niciano si riconosce, ancor pi che nel frammento di
Eraclito, laccento posto sui caratteri di arbitrariet e innocenza
dellesperienza ludica. Questo slittamento, che tradisce in modo non
indifferente la lettera del testo di Eraclito, testimonia lessenza del gioco
come fare, piuttosto che come sapere avveduto o, piuttosto, come
sapere che si costruisce agendo, secondo leggi non scritte e
accostamenti arbitrari.

Il fanciullo che muove i pezzi sulla scacchiera non un precoce
professionista degli scacchi. Intanto, si direbbe, non ha avversari,
non un esperto di regole logiche. [] Questo fanciullo divinizzato
non ha niente a che fare con i giochi di guerra o di strategia. Non
si impegna in nessun agone e, si direbbe, non prende alcun rischio,
non si lascia sedurre da alcuna vertigine. La sua scacchiera non la
miniaturizzazione simbolica di unesistenza in cui o si vince o si
perde: non dispone di regole migliori per vincere, non maneggia

135
un sapere che gli permetta di essere sempre un po oltre il calcolo
dellavversario, ma neanche accetta il gioco a occhi chiusi,
buttandosi nellazzardo, sfidando il destino. [] Non si gioca a
scacchi ma al gioco del mondo. Il fanciullo di Eraclito e di
Nietzsche riesce a vedere il mondo come un grande gioco, un
Gioco cosmico: non ci viene detto, da coloro che lhanno
immaginato, di cosa goda questo fanciullo, che se ne sta l beato,
magari in riva al mare, a muovere i suoi pezzi [] gode del caso, e
il suo gioco possibile perch riuscito a piegare il destino
gravido di colpe e di avvisi di lutto in una innocente casualit.
79


Il concetto che Nietzsche vuole esprimere con la figura del ragno
e della ragnatela, che gli cara dai tempi di Verit e menzogna, la
mortifera debolezza che induce allingabbiamentro del caso in schemi
concettuali rigidi. Il gioco giocato da dadi e giocatori divini, per, e
non si lascia internare in alcuna ragnatela, di cui finisce vittima proprio il
cattivo giocatore, incapace di affermare la propria infinita potenza
realizzatrice, dal momento che gli manca lacutezza dello sguardo
necessaria per cogliere il momento in cui in cielo si gettano i dadi. La
miopia del cattivo giocatore gli fa scorgere solo la ricaduta, la
combinazione, che non riesce a spiegarsi perch deficitaria in lui la
comprensione dellinnesco del gioco. Linvito niciano a imparare la
danza, il riso e il gioco
80
si rivolge alluomo superiore che sa muoversi
sul campo come un buon giocatore, senza farsi frastornare dalle maglie
delle regole apparentemente inamovibili e scorgendone invece lintima
flessibilit che lascia aperto lo spazio al colpo di genio sovvertitore, al
nuovo lancio di dadi che scompagina le pedine e inverte i pronostici.

79
A. Dal Lago P. A. Rovatti, op. cit., pp. 24-25, passim.
80
Schivi, umiliati, goffi, simili a una tigre che ha fallito il balzo. Cos, o uomini
superiori, vi ho visti spesso scivolare in disparte. Avete fallito un lancio.
Ma o giocatori di dadi, che importa ci? Non avete imparato a giocare e a
scherzare come si deve. Imparate a giocare e scherzare! Non sediamo ancora noi
sempre a un grande tavolo dove si gioca e si scherza?. [F. Nietzsche, Cos parl
Zarathustra, cit., p. 324].

136
Contare sulla ripetizione significa invece disconoscere il caso,
letteralmente non capire a che gioco si sta giocando. Il lancio di dadi
pu dirsi sbagliato solo se non si riusciti ad affermare il caso tutto in
una volta, se non si capito lintreccio di caso e destino con cui
Nietzsche sostituisce la coppia probabilit-finalit. Solo per il giocatore
avveduto la combinazione ottenuta linsieme dei due tempi: Questo
secondo tempo leterno ritorno, risultato del colpo di dadi,
affermazione della necessit, numero che riunisce tutte le membra del
caso, ma anche ritorno del primo tempo, ripetizione del colpo di dadi,
riproduzione e riaffermazione del caso
81
. Affermare il caso significa
affermare la realt del molteplice, accettarne la poliedricit in un sol
colpo, cio tenere unita la realt e lirrealt che apparentemente si
scontrano nel gioco. La regola del gioco il dovere di produrre una
combinazione, o una costellazione, come scrive Deleuze, capace di
essere stella danzante nella misura in cui ha il caos dentro di s, in cui
riesce a mantenere la levit della coscienza del reale come punto
momentaneamente ingrossatosi dellirreale, ultima combinazione
(costellazione) raggiunta dal colpo di dadi
82
. Laccettazione della
combinazione manifesta la comprensione della possibilit della
trasvalutazione dei valori e dei significati ormai induriti e ovvi, ma
anche disponibilit allautosuperamento, a compiere tale
possibilizzazione innanzitutto a partire dal s, riconoscimento del
proprio muoversi nel mondo come spazio di gioco e volont di
cambiare i giochi e le mosse, disponibilit a uscire da s e estaticamente

81
G. Deleuze, op. cit., p. 43.
82
Io vi dico: bisogna avere ancora il caos dentro di s per poter partorire una stella
danzante. [F. Nietzsche, Cos parl Zarathustra, cit., p. 32].

137
rivolgersi al futuro, nel rischio e nel pericolo dellirreale, capacit di
accettare il corso della vita e del mondo come peripezia e non come
metodo, strada gi tracciata e destinazione gi pronta ad accogliere. In
questo senso Zarathustra, nella sua descrizione delluomo come corda
tesa, o ponte, passaggio e trapasso, pu affermare, tornando
nuovamente al lancio dei dadi: Amo colui che si vergogna se il dado
riesce a suo favore e che allora si domanda: sono forse un baro?
giacch egli vuole perire
83
. La stima di Zarathustra va a chi riesce a
concepirsi come passaggio in cui il mondo si fa reale, ma anche
pronto a dissolversi; a chi, di fronte alle proprie convinzioni ben
delineate si chiede se non stia misconoscendo il gioco della vita. In
questo senso pronto a perire, a andare oltre le sue ragnatele e a
giocare come giocano gli dei.
Loscillazione del gioco tra reale e irreale somiglia dunque,
secondo Nietzsche, non tanto a una frontiera da oltrepassare, quanto,
piuttosto, alla leggerezza di un movimento di danza, che segue un
ordine senza lasciarsene imbrigliare, che nellesuberanza del moto
(dionisiaco) si d una configurazione (apollinea) che resta stabile per un
istante e poi fugge via: La danza d senso senza dare direzione,
afferma la necessit come una libert, come libert di essere legge a se
stessa
84
. Proprio come il gioco, la danza si fonda su una libert di
movimento allinterno di regole flessibili, su un precario equilibrio di
andata e ritorno senza una destinazione l avanti, ma circolarmente
avvolgentesi su se stesso in un turbinio incessante. Ecco dunque che
Zarathustra il sapiente che danza e ride e che solo sa dar voce alle

83
Id., ibidem, p. 31.
84
P. Ghieri, op. cit., p. 121.

138
vette del suo messaggio con una parola ballerina. E caratteristico che la
citazione da cui si sono prese le mosse per questo attraversamento dei
testi niciani, che ribadisce lassoluta priorit riservata dal pensatore al
gioco come chiave interpretativa e paradigma dazione, sia riecheggiata
quasi letteralmente nelle affermazioni di Zarathustra: Soltanto nella
danza io so dire il simbolo delle cose supreme
85
e Crederei solo a un
dio che sapesse danzare
86
. Zarathustra danza, e non cammina. Ha
abbandonato le rigidit imposte da uno schema metafisico che oppone
mondo vero e favola senza percepire che il mondo vero esso stesso il
personaggio di una favola. La leggerezza del danzatore si contrappone
plasticamente alla gravit e alla pesantezza individuate da Nietzsche
come tipicamente appartenenti a unideologia di significati immobili e
indiscutibili. Zarathustra mette in discussione il lento passo del
viandante scompaginandone con il ballo la compostezza, dettata pi
dalla paura del disordine che da un forte equilibrio interno.
Il comico e il riso, altre componenti attinenti alla galassia
semantica del gioco, ne conservano la capacit critica e la volont
cosmopoietica concretatesi nellimmaginazione e nella realizzazione in
azione, per quanto ludicamente atteggiata, di schemi alternativi alle
rigide codificazioni ideologicamente imposte e accettate
87
. La verit
per Nietzsche sempre verit da giullare, accompagnata dalla risata
demitizzante. In questo senso va interpretato anche il ricorso al modello
del carnevale, che inverte le gerarchie e fa indossare variopinti costumi
de-personalizzanti, nella chiusura del testo Su verit e menzogna
88
.

85
F. Nietzsche, ivi, p. 133.
86
Id., ibidem, p. 59.
87
Cfr. F. Brezzi, op. cit., pp. 40-54.
88
Cfr. F. Nietzsche, Su verit e menzogna in senso extramorale, cit., pp. 369-370.

139
Entro la necessit antica e intramontabile per lessere umano,
apertamente testimoniata dalloriginariet del gioco, di costituirsi come
creatore di valori, il gioco ha il caratteristico movimento del pendolo
che impedisce la sclerotizzazione dei significati una volta formati. In
questa danza il valore che si pone al tempo stesso si oblitera e si
trasforma gi in un'altra figura, prodotta dallarmonico spostamento dei
ballerini.

Il passo rivela gi se uno sta procedendo sulla propria strada: e
allora guardate come cammino io! Ma chi si avvicina alla sua meta
balla.
E, in verit, io non sono diventato una statua, n me ne sto qui
rigido, ottuso, impietrito come una colonna, io amo landar celere.
E anche se sulla terra ci sono paludi e spesse afflizioni: chi ha piedi
pi leggeri corre anche sul fango e vi danza sopra come su
ghiaccio levigato.
In alto i cuori, fratelli, in alto, pi in alto! E non dimenticatemi
neanche le gambe! Alzate anche le gambe, miei bravi ballerini, e
meglio ancora: reggetevi sulla testa!
Questa corona di Zarthustra il ridente, questa corona del risario: io
stesso me la sono posta sul capo, io stesso ho proclamato sacro il
mio riso. Nessun altro ho trovato oggi abbastanza forte per farlo.
Zarathustra il danzatore, Zarathustra il lieve, che ammicca con le
ali, uno che pronto a spiccare il volo, che fa cenno a tutti gli
uccelli, che ben preparato e disposto, beatamente spensierato:
Zarathustra che predice il vero, che preride il vero, non uno
impaziente, non uno intollerante, bens uno che ama i salti e gli
scarti; io stesso mi sono posto sul capo questa corona! []
O uomini superiori, la vostra cosa peggiore : che voi tutti non
abbiate imparato a danzare come si deve a danzare al di l di voi
stessi! Che importa se siete falliti?
Quante cose sono ancora possibili! E allora imparate dunque a
ridere al di l di voi stessi! In alto i cuori, miei bravi ballerini, in alto,
pi in alto! E non dimenticatemi neanche il buon riso!
Questa corona di Zarathustra il ridente, questa corona del risario: a
voi fratelli miei, io getto questa corona! Ho proclamato sacro il riso;
o uomini superiori, imparate dunque a ridere!
89


89
F. Nietzsche, Cos parl Zarathustra, cit., pp. 326-328, passim.

140

Dalla relazione col potere dissacrante del riso risulta chiarita
anche lultima caratteristica del gioco, che fa esplodere lambiguit del
suo essere doppiamente reale, nella sua prassi empiricamente
osservabile, e tuttavia tendente ad altro come azione puramente ludica:
linevitabile carica ironica e autoparodistica del gioco. Riconoscendosi
come atto che tutto pone e che tutto distrugge, il gioco che si svolge
nel presente si osserva in controluce anche nel suo essere
costitutivamente in errore rispetto al proprio bersaglio. In tutta la
riflessione di Nietzsche i concetti e le immagini possiedono questo
doppio fondo che consente di vederli come tanti Giano, che mostrano
un volto, ma ne possiedono anche un altro, basta girare dietro alla
statua per vedere che anchessa una mossa del giullare Dioniso:
Nietzsche sa che anchesso [il gioco] , come tale, sfasato rispetto
allessere e, nello stesso tempo, sa che proprio nellautoparodia, nel
gioco autocanzonatorio voluto dalla coscienza del giullare, si pu
giocare con la vita senza essere perdenti in partenza
90
.


6. IL GIOCO SACRO E LA MASCHERA: LIRREALE COME SURREALE

Lattraversamento del testo niciano ha consentito di entrare in
contatto con una straniante messa in discussione dellopposizione tra
verit e apparenza, significativamente promossa da una lettura del
fenomeno del gioco. Giocare, cos come danzare o ridere, consente
secondo Nietzsche lassunzione di un nuovo sguardo nei confronti del

90
P. Ghieri, op. cit., p. 125.

141
reale, che non mira a distinguerlo assiologicamente dallapparente, ma
ne fa un suo epifenomeno. Linteresse di Nietzsche per la tragedia
testimonia limportanza educativa e culturale della finzione teatrale
quale gioco in cui reperibile la profonda abissalit della caoticit
dionisiaca nellordinata forma della rappresentazione. Gli attori
mascherati consentono un oltrepassamento dei confini della realt
quotidiana, pur restando sul palco, distanti dal luogo del pubblico.
Tuttavia la tragedia, estrema propaggine del gioco cultuale in cui si
rappresenta lepifania divina, promuove una partecipazione non
indifferente del pubblico e solo commuovendolo, secondo quanto gi
intuiva Aristotele
91
, lo educa, esibendo lunitariet del gioco cosmico.
Fink eredita la prospettiva di Nietzsche, anche se la declina, come
evidente nel suo La filosofia di Nietzsche
92
, soprattutto dal punto di vista
cosmologico, pi che soffermarsi sul senso del gioco visto muoversi da
Nietzsche tra apparenza e verit nella costruzione di mondi da parte
delluomo. Pi che intendere il gioco come incrocio e interazione di
orizzonti interpretativi, secondo la prospettiva dellermeneutica
gadameriana, Fink preferisce spostare il fulcro della trattazione al livello
del gioco dellunico mondo-essere in cui tutte le umane prospettive
sono allopera. Tuttavia, per accedere a questo piano di spiegazione
cosmologica, Fink deve chiarire, anche attraverso leredit niciana,
manifesta gi a livello superficiale per lattenzione alla rappresentazione

91
Tragedia dunque mimesi di unazione seria e compiuta in se stessa, con una
certa estensione; in un linguaggio abbellito di varie specie di abbellimenti, ma
ciascuno a suo luogo nelle parti diverse; in forma drammatica e non narrativa; la
quale, mediante una serie di casi che suscitano piet e terrore, ha per effetto di
sollevare e purificare lanimo da siffatte passioni. [Aristotele, Poet., 1449b, in
Opere, cit., vol. X, p. 203. Sottolineature mie].
92
E. Fink, La filosofia di Nietzsche, Marsilio, Padova 1973. Dora in poi FN.

142
teatrale quale manifestazione ludica, come realt e irrealt si incontrino
nel gioco. Terminata la disamina dellinterpretazione platonica del gioco
e stabilitane linsufficienza, nella seconda parte de Il gioco come simbolo
del mondo Fink tenta di recuperare il peculiare effetto di rapimento
suscitato dal ludo teatrale come parte del culto, per avvicinarsi
allipotesi finale che vede nel gioco il simbolo del mondo. Il fatto che il
passaggio dalla concezione metafisico-platonica del gioco a quella
mitica e, poi, alla finale interpretazione mondana, sia operato a partire
dalla considerazione dellirrealt ludica, mostra ancora una volta la
centralit di questo problema squisitamente filosofico per lautentica
comprensione del fenomeno gioco. Curiosamente, questo aspetto
centrale del saggio di Fink, che costituisce la giustificazione del diverso
sentiero di approccio alla tematica del gioco percorso in Il gioco come
simbolo del mondo rispetto a Oasi della gioia
93
, per lo pi toccata solo
di sfuggita dagli interpreti finkiani, che preferiscono soffermarsi sulle
conclusioni cosmologiche o, al limite, su altre componenti strutturali del
gioco individuate da Fink, piuttosto che su questa dialettica di reale e
irreale che pure il ponte necessario per giungere al panludismo
cosmico finale. Lo studio dellambivalenza ludica dal punto di vista del
contrasto reale/irreale, infatti, non solo promuove un confronto con
tutta la tradizione del pensiero occidentale, ma rimette in circolo,
discutendole, le tradizionali dicotomie vero/falso, realt/finzione,
essere/apparire, che hanno formato per secoli lossatura dellontologia.

93
Spiel as Weltsymbol non riprende il discorso sul gioco dal punto conclusivo di
Oase des Glcks. Per giungere alla spiegazione di cosa intenda per gioco, Fink
sceglie una via pi lunga, nella ricerca di dare alle proprie conclusioni una solida
giustificazione storico-filosofica, senza disdegnare per ampie digressioni di natura
antropologica. [T. Pedicini, op. cit., p. 56].

143
Gi solo per questo stravolgimento si pu dare a pieno titolo
allindagine niciana e a quella finkiana la definizione di ipotesi
ontologica alternativa.

Evidentemente qui tutto dipende da come noi intendiamo
lirrealt del mondo ludico se la consideriamo partendo dalla
distanza fra la parte e lattore, e quindi dal punto di vista dello
smascheramento, ovvero partendo dal rapimento dellattore che
diventa dio, cio dal punto di vista dellincantesimo. In un caso
lirreale ci che resta dietro le cose del mondo e ha un essere
assai rimpicciolito, impotente e quasi nullo; nellaltro caso lambito
del mondo ludico irreale potrebbe essere la sfera misteriosa e
ambigua, dove in mezzo alle cose appare ci che pi esistente e
pi potente di tutte le cose.
94


Secondo Fink nel gioco cultuale si pu vedere una modalit di
agire il gioco pi vicina alla capacit umana di cogliere il mondo. Perso
nellente individuato e isolato, luomo metafisico sordo alla musica del
mondo, forza che governa le cose finite rendendole possibili come tali.
In unipotetica et delloro, in cui il rapporto uomo-mondo sia
pienamente realizzato, non ci sarebbe bisogno di alcun culto che mimi
questo ricongiungimento. Il culto insomma memoria di ununit
dazione perduta, senso del distacco, canto dellesilio delluomo
dalloriginaria profondit universale in cui coglie tutte le cose. Luso
delle cose ordinarie nel culto (dal tempio al pane dellEucarestia)
concepito da Fink come un tentativo di ri-innalzare il quotidiano agli
splendori delluniversale, una reintegrazione nella cittadinanza del mondo
delle cose isolate, un recupero di totalit perduta. Il culto, come il gioco, fa
apparire qualcosa che nello scorrere della vita normalmente non ha
presenza, la divinit. Qui risiede, secondo Fink, il limite del culto, dal

94
GSM, p. 96.

144
momento che il rapporto uomo-dio resta un rapporto tra enti, sebbene
di diversa caratura ontologica, che pertanto non attinge alloriginario
rapporto con il mondo, che non si pu definire in termini di vicinanza e
lontananza come quello tra enti mondani, dal momento che il mondo
ci che consente laprirsi della distanza e pertanto sta in tutte le
distanze e in tutte le cose, rendendole tali. Ad ogni modo, il culto riesce
a promuovere il ricordo di un rapporto con il mondo non ancora
determinato dalla differenza uomo/dio e sacro/profano, ma
riconoscimento del mondo in ogni cosa. Il culto, nel tentativo di
ripristino del raccordo perduto, pu agire solo attraverso la mediazione
del finito di un ente ordinario innalzato a significato infinito. E quello
che accade con il giocattolo, che ancora la fantasia ludica allordinario
fornendole quella che Walton individuava correttamente come una
maggior consistenza e credibilit che si traduce in partecipazione
emotiva.
Quello che incuriosisce Fink nellesame del culto il fatto che la
comunicazione tra lumano e il divino si instaura non solo attraverso
oggetti mediatori, ma, soprattutto, attraverso una modalit di azione
che si svincola dallordinariet dello sforzo lavorativo con cui luomo
trasforma il mondo: anche il primitivo consapevole della precariet
della propria esistenza, ininterrottamente in balia del capriccio delle
forze della natura in cui egli vede potenze demoniache che si baloccano
con il misero burattino umano. Pertanto sa che il suo faticoso operare
per rendersi benigna la natura pu essere distrutto in un solo istante.
Dunque il suo avvicinarsi al demone non avviene come sfida
lavorativa, ma si manifesta nella forma del gioco: lattivit
altezzosamente considerata meno seria e potente diventa invece il

145
modo per misurarsi con la divinit, cio per recuperare in parte
larmonico rapporto con il mondo
95
. La rappresentazione mitica ,
infatti, radicalmente immaginativa, non concettuale, nel senso che
luomo dalla coscienza mitica iscrive i significati nelle cose, vede nelle
cose stesse equivalenze e transizioni, in unintuizione del tutto tale per
cui limmagine mitica non raffigurazione nel senso platonico della
copia, non concetto che si abbassa di livello, senso che si fa immagine,
ma senso che si disvela nellimmagine. Per questo, dietro le cose,
luomo arcaico vede i demoni, potenze cosmiche che danno loro vita e
ne fanno la propria maschera. La superiorit del gioco, secondo Fink,
rispetto alle altre vie disponibili alluomo per lottare con i demoni,
risiede nella capacit del giocatore di portarsi sullo stesso terreno del
nemico, che si fa vedere sempre e solo nelle sue maschere, indossando
una maschera a propria volta.

Luomo arcaico che col lavoro e con la lotta non riesce ad afferrare
i demoni, arriva per a un contatto pi stretto, pi pericoloso, ma
anche pi eccitante con le potenze sovrannaturali, quando
abbandona la chiarezza univoca della propria esistenza, per
scivolare nellambiguit della maschera quando partecipa come
giocatore alla forza demoniaca, quando diventa egli stesso
stregone.
96


Il gioco cultuale dunque si toglie di dosso ogni accusa di
marginalit e assume il ruolo di momento fondamentale, vitale, per la
sopravvivenza dellumano, che supera la propria impotenza nellatto del

95
Con i demoni non si pu combattere n si pu rompere la loro resistenza con il
lavoro. Ma lattivit che si considera di solito come la meno seria e alla quale in
genere non si attribuisce alcuna forza, cio il gioco, diventa lunica possibilit
delluomo di agire contrastando la magica potenza dei demoni e di cambiare la
loro ostilit in amicizia. La maschera del giocatore acquista essa stessa un potere
magico. [GSM, p. 118].
96
GSM, p. 127.

146
mascherarsi, analogamente a quanto fa il demone. Non solo, ma Fink
individua in queste poche righe la profondit dellintuizione cosmica del
gioco cultuale, che fa assumere alla peculiare irrealt ludica un senso
ben diverso da quello di copia sbiadita del mondo della vita ordinaria.
La divinit che compare nel culto, infatti, a rigore, ha la stoffa
inconsistente dellirreale, inaccessibile allo sguardo ordinario, meno
sensibile di quello del giocatore. Ma tale irrealt resta tale finch fanno
da metro dellessere le cose ordinarie. Altrimenti, questa evanescente
irrealt del dio pu essere concepita come lo spiraglio di una realt
superiore che si lascia solo intravedere. Secondo Fink lirrealt del mondo
del gioco lapertura che consente laccesso alla superiore intellezione
del gioco del mondo. Il gioco miticamente inteso non arriva a tali
altezze, gi in parte effetto delloblio del mondo provocato dalla
concentrazione affannosa sullente, ma consente ancora di introdursi
nelle maglie del divenire cosmico e di intuirne i segreti. Nel culto
luomo, che si appropria degli enti guardandoli, si scopre spiato egli
stesso da potenze superiori e, pertanto, mantiene un contatto con lidea
di una totalit pi alta, presente al fondo di ogni suo agire e di ogni
evento delluniverso che lo circonda e di cui si sente parte.
Nel gioco con gli dei instaurato durante il culto lelemento
cardinale rappresentato dalla maschera: innanzitutto la divinit che,
secondo luomo, appare in maschera negli alberi, nelle acque, negli astri,
senza mai lasciarsi cogliere in se stessa. Anche luomo ha facolt di
mascherarsi, tuttavia lo fa in modo diverso dal demone, nel senso che
egli riconosce nella maschera qualcosa di distinto da s. Chi si maschera
e chi vede un individuo mascherato sa bene che dietro la maschera c
qualcuno, ma lo scopo del mascherarsi non linganno, bens la

147
produzione di un incantesimo, un rapimento che annulli
momentaneamente la distanza e consenta alluomo lesperienza
dellambiguit e della polivalenza del suo essere. I diversi ruoli che
qualunque gioco infantile fa assumere al giocatore non sono altro che
questa forma di conoscenza delle proprie potenzialit di trasformazione
e evoluzione. Con la maschera si pu divenire tutto, si pu tornare a
essere tuttuno con il mondo e avere la stessa forza dei demoni. Luomo
ha accesso al possibile, lessere per eccellenza indeterminato, e nella
maschera fa concretamente esperienza di tale apertura e della
possibilit del contatto con lalterit del mondo, ridivenuta propria e
vicina allorch la si comprenda come movimento ludico che d la
presenza e la sottrae. Nel mascheramento rituale non solo si produce
unautoconsapevolezza delluomo rispetto al suo posto nel mondo, ma
pi ancora si assiste a unapparenza rappresentata: Fink precisa
lincommensurabilit di giocattolo e maschera a partire dalla
considerazione che questultima non qualcosa a cui si fa assumere un
ruolo entro un mondo ludico gi costruito di cui entra a far parte, ma
essa ha in s la potenza magica di aprire una realt di gioco, di
costituire a partire da s il gioco stesso. La maschera un punto
daccesso o, come meglio scrive Fink pi oltre punto di sfondamento
97
,
da cui scaturisce il passaggio alla realt superiore che lirrealt ludica
rende finalmente visibile. Si gioca nella maschera e non con essa
98
, dal
momento che la maschera apre lambiguo e pericoloso spazio del
possibile, dellirriconoscibile e del contatto con le potenze demoniache.
La maschera d inizio alle danze, per essa si va oltre la realt ordinaria,

97
GSM, p. 148.
98
GSM, p. 137.

148
si perde lunivocit e la fissit delle determinazioni consuete. La sua
azione riproduce in figura il medesimo gesto del mondo che dischiude
lente.
Ecco allora che, grazie al rimando al gioco cultuale e allambiguit
della maschera, si scioglie il nodo della valutazione del gioco come
mondo apparente e irreale: la consapevolezza dello spettatore del
fatto che la maschera nasconda un comune mortale non limita, ma anzi
consente lemergere del simbolo, dando accesso alla realt superiore
delle potenze che muovono il tutto.

Nel culto appare la forma forse pi primitiva del gioco umano,
perch qui il momento dellirrealt, proprio di ogni gioco, ha il
valore di innalzamento e di superamento al di l delle cose
normalmente reali.
99


In una formula quasi aforistica lo stesso concetto ribadito pi
oltre: lirreale diventa il luogo del surreale
100
. Il recupero del senso
dellapparenza, promosso da Nietzsche contro una millenaria
svalutazione trova qui il suo compimento, con un attraversamento
dellesperienza ludica umana che si perde nella notte dei tempi.
Lirrealt non segno di una deficienza ontologica del ludico, ma
piuttosto il suo pi pieno senso: il gioco istituzione di una realt altra
nel senso di apertura alla realt superiore. Per lumanit del rito e del
mito la superiorit si incarna nelle figure di dei e demoni. Proprio in
questa entificazione e personalizzazione del surreale cui il gioco
introduce risiede, secondo Fink, il limite di quella che egli chiama

99
GSM, p. 129.
100
GSM, p. 148.

149
linterpretazione mitica del gioco
101
. Tuttavia, pur nella sua insufficiente
comprensione, il gioco cultuale osserva e spiega il governo divino come
gioco. Questo apprezzamento coglie il senso ultimo della questione,
secondo Fink, bench non riesca a liberarsi dal limite di vedere nel gioco
solo il rapporto uomo-dio, cio tra due enti.

Il gioco cultuale attualizza il governo degli dei, la loro attivit
ordinatrice e direttiva che domina senza fatica e senza sforzo il
mutamento e landamento di tutte le cose del mondo e non
interpreta solo nel gioco umano il governo degli dei, ma lo
interpreta anche variamente come gioco. Il gioco fa quasi
apparire nel simbolismo visionario della scena il gioco degli dei
governatori del mondo, rendendolo visibile nel simbolo ai deboli
occhi delluomo.
102


Il gioco umano, a maggior ragione nella seriet esistenziale di
quello cultuale, non solo metafora del governo divino, ma ne fornisce
la sostanza. Il gioco cultuale vede lirrealt ludica come possibilit
daccesso a una realt pi vera, ma questa verit consiste soprattutto
nel coglimento dellattivit regolatrice divina come gioco. Data la
portata globalizzante del culto, che mette in relazione con il carattere
complessivo e non parziale degli avvenimenti, Fink individua lultima
mossa da compiere per conferire finalmente al gioco il suo statuto di
simbolo cosmico: chi gioca nel gioco che il culto mima, dandogli forma
nella polivalenza del mascheramento, non lente dio, ma il mondo.
Resta cio da sostituire il rapporto uomo-dio, quale rapporto fondante
e originale, con la relazione uomo-mondo
103
.

101
E questo il titolo della terza parte de Il gioco come simbolo del mondo.
102
GSM, p. 148.
103
Ma resta da vedere domanda che ci siamo pi volte posta se il rapporto
uomo-dio da cui il culto pervaso, impregnato e sostenuto in tutte le sue forme

150

dapparizione, il rapporto simbolico pi originale (in senso filosofico) o solo un
riflesso e una rifrazione del rapporto delluomo con il mondo. [GSM, pp.148-149].

151

CAPITOLO 3

TEMPO DEL GIOCO, TEMPO DEL MONDO


1. LA MONDANIT DEL GIOCO

Sinora il gioco stato affrontato dal punto di vista umano: ci
che emerso, di fatto, lesplicitarsi nel gioco del potere cosmopoietico
del pensiero e dellazione. I paralleli tra il giocatore e lartista, cos come
tra il gioco e limmagine, svelano soprattutto, una volta approfonditi,
lattivit plasmatrice dellumano. Dal punto di vista ontologico, Fink
individua come momento fondamentale del ludico la questione
dellirreale realt del cosmo, creato ad hoc, entro cui ogni giocare si
colloca e si muove. Il gioco cultuale, in tal senso, apre lo spazio per una
considerazione del mondo del gioco non quale derivato immaginativo-
creativo, ma quale sonda che consente il passaggio a una realt
superiore rispetto a quella degli enti con cui lattivit umana si rapporta
quotidianamente. Lo spazio ulteriore che cos si dispiega , secondo
Fink, il mondo. sullanalisi dellaggettivo mondano che Fink si sofferma
per forzare le serrature dellapparente ovviet del concetto di mondo
che, proprio come il gioco, comunemente considerato come qualcosa
che non fa problema in quanto ci si imbatte continuamente in esso e se
ne fa uso, apparentemente, senza alcuna difficolt. Curiosamente, gioco
e mondo sono collegati da unidentica incomprensione da parte del
pensiero, e forse gi tale comune destino di oblio segnala una sorta di

152
familiarit tra di loro. Il potere del gioco, secondo Fink, consiste
soprattutto nella capacit di mantenere intrecciato ci che nella realt
extraludica il pensiero categorizzante tende a lasciare separato. Nella
commistione di fattuale e possibile e nellinfinita variabilit dei casi
aperti dal gioco attraverso le innumerevoli opportunit fornite dalla
maschera si colloca la pregnanza dellattivit ludica, che esplica e
potenzia lapertura alla comprensione dessere insita nella natura
umana. Inoltre, lazione del mascheramento e la produttivit creatrice
del gioco sono rimandi allattivit del mondo stesso.
Fink si sofferma brevemente sullo svolgimento isolato e
autarchico del giocare umano, individuando in questo carattere di
hortus conclusus la radice della possibilit del gioco umano di
simbolizzare il movimento del mondo, anchesso totalit onniavvolgente
e che non ha alcun fine estrinseco allazionarsi stesso del processo di
individuazione-distruzione degli enti. Il gioco il movimento che fa le
cose ed in tutte queste cose senza mai esaurirsi in esse. In questo
senso i contenuti del singolo gioco sono indifferenti rispetto allatto del
giocare, poich in ogni ludus si fa presente un cosmo che lazione a
costruire e distruggere. Lirrealt taglia i vincoli delle connessioni
accettate e condivise e ne propone altre, pi mobili e perci pi
conformi allagire del mondo, che plasma le cose e con la medesima
innocenza e assenza di riguardo le fa ricadere nellombra. Il significato
di mondano, al di l e contro lidea di una sua incontestabile ovviet
1
, si
ramifica secondo Fink in quattro direzioni:

1
Noi usiamo lespressione mondano in una naturale disinvoltura, ne facciamo
uso, ma di solito non la consideriamo a fondo. Quel che significa mondano si
spiega da solo, il suo significato incontestabile, ognuno lo conosce e ne fa uso.
[GSM, p. 179].

153
mondani sono infatti innanzitutto gli eventi e gli enti del mondo, nel
senso che ogni ente nel mondo; pertanto il mondo si configura
come la totalit degli enti. In questo senso mondano un concetto
assolutamente povero, che non dice nulla pi dellappartenenza di
tutte le cose a un unico insieme, che resta, quanto a s, nella pi
vaga generalit di ci che precede ogni individuazione.
In quanto derivato da mondo, tuttavia, laggettivo mondano
possiede un senso pi profondo, allorch lo si identifichi con il modo
dessere del mondo, il suo governare. Sotto questo aspetto il mondo
mondano nel senso del governo che esso esercita non come ente
sugli enti, come la divinit, ma come potenza che, sottraendosi, dona
lessere alle cose e che, agendo, si realizza dando cos luogo al reale.
Il mondo non si presenta pi nella veste di contenitore, ma le cose
come tali sono momenti di mondo, pieghe della veste mondo che
pertanto sono esso, della medesima stoffa, che nessuna piega
tuttavia esaurisce. Il mondo non plasma qualcosa di diverso da s,
ma in tutte le cose e in esse vive, come movimento che
sottraendosi le pone. Molto spesso disconosciuto, questo senso di
mondano invece quello che pi preme a Fink per smarcarsi
dallidentificazione del governo del mondo con la figura personale di
un dio e per arrivare alla matura visione del gioco come simbolo.
In un terzo senso, mondana la collocazione umana in quanto
apertura al tutto diveniente che il mondo: lintelligenza dessere
concessa alluomo lo rende il pi mondano degli enti, dal momento
che egli non solo sta nel mondo, ma sa di appartenervi e anela a
scovarne lintima legge organizzatrice.

154
Lultima connotazione dellaggettivo mondano si riferisce ancora
alluomo in quanto parte del mondo, identificando il suo perdersi
nelle cose come uno svilimento rispetto ai suoi pi alti compiti.
Mondano si associa in questa direzione a sensibile, pagano, frivolo e
vano.

Abbiamo quindi distinto quattro significati di mondano: I lessere
nel mondo di tutte le cose finite; II il governo dello stesso mondo;
III il rapportarsi intelligente a se stesso; IV un modo diffamato del
soggiorno delluomo nel mondo, la caduta pagana nel sensibile.
In che modo il gioco umano mondano?
2


Fink ha definitivamente chiarito il suo concetto di mondo, che
deve molto alla riflessione heideggeriana sullessere, decifrando
analiticamente il senso del termine mondano: la seconda
determinazione consente di penetrare il senso del movimento del
mondo in modo tale da poterlo correlare al concetto finkiano di gioco.
La questione posta da Fink al termine della sua disamina dei significati
di mondano assolutamente fondamentale, bench resti ancorata alla
dimensione umana del gioco: lo stesso autore, del resto, a riconoscere
una mondanit banale del ludus in quanto attivit umana che, essendo
luomo nel e del mondo, non pu che rientrare entro lalveo del mondo
stesso; non solo, ma anche rispetto alla considerazione tradizionale del
gioco come aspetto marginale, puerile e insignificante dellesperienza
umana, Fink pu facilmente riconoscere una mondanit del gioco anche
nellultimo senso del vocabolo mondano, quello dispregiativo di
scadimento nel sensibile. Tuttavia, come nellanalisi dei fenomeni dello
scadimento proposta da Heidegger in Essere e Tempo, anche

2
GSM, p. 195.

155
nellapproccio di Fink va individuato un tentativo di superare un
atteggiamento moralisticamente valutativo nei confronti di questi
fenomeni
3
. Indubbiamente, soprattutto nellet moderna, il gioco
stato sfruttato soprattutto come oasi ricreativa o come spazio di sfogo
dallalienazione del quotidiano, vedendo stravolto il suo senso
autenticamente potenziante per le possibilit umane e trasformandosi
in cultura del divertimento a tutti i costi
4
e in una forma subdola di
irreggimentamento delle facolt creative. Come ben notava Huizinga
nella parte conclusiva di Homo ludens, tuttavia, questa permanenza,
bench reietta e sfibrata, del gioco entro lorizzonte dattenzione del
governo umano testimonia il riconoscimento di alcune sue
caratteristiche. Proprio la gioiosa libert, il piacere dellapparenza e della
manipolabilit delle cose del gioco, spesso frettolosamente liquidate
come segni della sua inconsistenza e futilit, sono i caratteri che vanno
recuperati per percepire un adeguato senso cosmico del gioco umano.
In questo approccio, il terzo significato di mondano, richiamando
inequivocabilmente la strutturale schiusura delluomo rispetto al
mondo, crea un ponte indispensabile per giungere allautentico
coglimento di un giocare non esclusivamente umano: citando
nuovamente Gilardoni, il gioco consente un potenziamento
dellumano
5
. Il rapimento, che cos spesso Fink riconosce come carattere
del gioco autenticamente vissuto, offre limpagabile opportunit di

3
Cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, cit., in particolare 35-38, pp. 210-226.
4
Cfr. E. Bencivenga, Giocare per forza: critica della societ del divertimento,
Mondadori, Milano 1995.
5
Cfr. A. Gilardoni, op. cit.

156
sperimentare unoltre-realt, una realt in prova
6
che pu coinvolgere
con tanto ardore solo perch non rappresenta qualcosa di totalmente
staccato dalla vita, ma perch ne fa esplodere lintima indecidibilit,
rendendone vulnerabili gli sclerotizzati schematismi. Lautotelicit del
gioco, aliena da ogni finalismo strumentale, sostanzia il carattere di
apertura gratuita dellumano al senso del mondo e consente di cogliere,
entro unumana attivit non asservita a intenti produttivi di alcun
genere, il movimento del mondo stesso. Questo non significa che gli
altri fenomeni esistenziali fondamentali individuati da Fink agli esordi
della sua riflessione filosofica non consentano una comprensione del
mondo, ma piuttosto che il gioco apre nuove prospettive entro tale
azione comprendente, potendo fondarsi su una vista pi acuta e meno
distratta dagli affanni. Lapertura delluomo al mondo, dal momento che
egli in ogni suo muoversi mondano comprende lessere, non
esclusivamente affidata al gioco, ma si declina in molte forme.

Giocando comprendiamo il tutto governante diversamente che nel
lavoro, nella lotta, nellamore e nel culto dei morti ci si aprono
altri aspetti, altre dimensioni. [] Lapertura delluomo al mondo
non n solamente linguistica, n di volta in volta solo individuale,
essa stessa pluriforme a seconda dei fenomeni fondamentali
della nostra esistenza ed perci anche sempre sociale. Proprio
esistendo socialmente luomo esiste aperto al mondo. Il gioco
umano un modo particolare e singolare di un rapporto sociale
con il mondo. Ci non tuttavia manifesto. Il gioco delluomo
mondano nel senso di un essere intelligente nel tutto, di un
comprensivo fervore.
7


La differenza sostanziale introdotta dal gioco entro il
comprendere umano consiste nella realizzazione di unapertura non

6
K. B. Buch, Potenziamento e impropriet, in A. Gilardoni (a cura di), Potenziamenti
immaginifici. Sperimentazioni filosofiche intorno a Eugen Fink, cit., p. 111.
7
GSM, pp. 192-193, passim.

157
rivolta agli enti, ma alla globale realt delle cose, al senso del loro
apparire, a ci che ne mette in moto le dinamiche e le correlazioni.
Bench nel gioco vengano coinvolti anche degli enti, dai giocatori ai
giocattoli, il gioco non li assume come dati, ma, nella molteplicit dei
mascheramenti cui li sottopone, ripropone unaltra azione, la medesima
del mondo. Per comprendere una prospettiva ontologica che si fondi
sul gioco, lattenzione va spostata dai prodotti allazione che li produce:
pertanto non tanto importante che il bambino faccia lindiano
puttosto che il dottore, quanto lazione di questo impersonare. Entro
questo movimento plasmante e trasformante si misura la potenza del
gioco come vicina allattivit del mondo. Lapertura ludica al mondo non
si descrive come utilizzabilit, ma nei termini di una sospensione
dellordinario rapportarsi alla differenza ontologica: il venir meno del
principio di realt espande a dismisura la realt stessa, consente una
multidimensionalit normalmente impedita dal codificarsi di una
versione ufficiale del reale e della sistemazione delle cose in esso
8
.
Il fervore comprensivo menzionato da Fink si esercita tuttavia a
partire da una opzione ontologica fondamentale relativa al mondo
stesso: la consustanzialit di mondo e ente, proprio a partire dalla
differenza ontologica tra i due. Essendo il mondo il movimento
individuante e collocante, la luce che illumina gli enti, tali enti sono

8
"Or la prise en considration du phnomne du jeu fait rebondir lenqute de
faon inattendue. Premirement, parce que le jeu touche directement au mode de
lavoir-part de lhomme lunivers, et donc la finitude qui conditionne sa libert
dtant intramondain. Ensuite, parce que cet avoir-part ludique met en uvre une
manire dtre dans le monde qui ne prsuppose en celui-ci aucun substance
praccomplie: lavoir-part ludique produit le monde auquel il participe, mme si le
mode de rattachement de cette production nest pas dordre pratique. Le jeu
suspend ou neutralise le principe de ralit par lequel se conquiert la
comprhension ordinaire de la diffrence ontico-ontologique". [R. Clis, op. cit., pp.
59-60].

158
connaturali rispetto al mondo pur nella loro incommensurabile distanza.
Gli enti sono i grumi in cui si sofferma e si indurisce il medesimo
impasto del mondo. Fink segnala con forza limpossibilit di attribuire al
gioco umano la caratterizzazione di mondano nel secondo significato
del termine, quello relativo al governo del mondo stesso:

Non possiamo chiamare mondano nel suo secondo significato il
gioco delluomo: esso non governa come il mondo stesso.
Assolutamente nessuna cosa n in cielo n in terra domina come la
potenza del tutto. Tutto ci che nel mondo non mondano nel
secondo significato o, espresso in modo pi positivo, la mobilit
delle cose finite, per quanto esse possano essere differenti tra di
loro, radicalmente diversa dal movimento del mondo.
9


Nessun agire umano pu circoscrivere lazione della propria
sorgente, come ben testimonia, del resto, anche linterpretazione
finkiana del frammento 30 DK di Eraclito relativo allazione creatrice del
pyr, distinta rispetto a quella di uomini e dei: la capacit poietica, che
pure accomuna questi enti del mondo al fuoco, non , nel caso di
questultimo, un predicato che gli si aggiunge, ma la sua forma in
quanto portatore dellessere del cosmo. Tuttavia proprio la creativa
partecipazione delluomo che si stabilisce nel gioco che consente di
comprendere la specificit di questa attivit rispetto al mondo: il gioco
mescola le determinazioni opposte, comprende non nel senso della
chiarezza, distinzione e evidenza proposte dal metodo cartesiano quali
punti darrivo della conoscenza, ma nel senso che rigetta ogni fissit,
recupera lunit degli opposti, ancora una volta secondo la lezione
eraclitea. Ogni individuazione nel gioco nientaltro che una questione
di illuminazione, unillusione ottica voluta e giustificata. Lo stesso,

9
GSM, p. 191.

159
direbbe Nietzsche vale per i valori della morale, i concetti della scienza e
il significato delle parole, solo che, in questi casi, lintelletto si dimentica
troppo rapidamente del suo carattere giocoso e istrionico. Da questo
punto di vista interessante il parallelo, proposto da Clis nel suo
articolo sulla mondanit del gioco in Fink, tra la considerazione del
fuoco in Eraclito e il mito della caverna narrato nella Repubblica di
Platone
10
: come nel testo finkiano, Platone si oppone a Eraclito come
punto di partenza di un misconoscimento del carattere ludico della
poiesis, innanzitutto di quella cosmica. La potenza ctonia del fuoco,
afferma Clis, nella caverna platonica genera solo ombre ingannevoli,
uno sdoppiamento fallace della vera luce solare. Oscuramento e
adombramento sono i risultati delloperare creativo del fuoco
platonicamente inteso. I fantasmi che si producono sulla parete della
caverna ritardano e distolgono il dispiegamento della verit. Ben diverso
lapproccio eracliteo e, conseguentemente, finkiano, alla questione: il
negativo riassorbito, liberato da una logica oppositiva entro cui vita e
morte, gioia e dolore, notte e giorno si oppongono ineluttabilmente,
interpretato come effetto del rimescolamento di carte in cui consiste il
mondo-fuoco
11
. Il gioco umano non questa fiamma, ma partecipa
della sua luce e in tal senso si pu anche dire che ne riproduca lazione,
poich, in quanto parte di un tale movimento, non pu distogliersene.
Nel gioco il movimento del mondo lasciato essere, non temuto e
pertanto non si cerca di tenerlo a distanza. In tale prospettiva il gioco
non una simulazione di qualcosa che non c, di una realt alternativa
ancora da inventare, ma prende la sua forma dal mondo stesso.

10
Platone, Resp., 514a-517c, cit., vol. II, pp. 243-247.
11
R. Clis, op. cit., pp. 60-61.

160
Il gioco umano, dunque, non corrisponde se non latamente al
secondo significato di mondano individuato da Fink. Va per
segnalato che il gioco, secondo Fink, strappato dal suo riferimento
esclusivo allumano, la metafora cosmica pi adeguata. Il mondo non
si pu infatti assolutamente definire come un ente, ma solo ed
esclusivamente, come il fuoco eracliteo, nei termini di unazione
ludicamente creativa. Tuttavia, rispetto alla percezione cultuale del
governo divino del mondo inteso come gioco, Fink introduce una
distinzione fondamentale, spersonalizzando loperare del mondo e
introducendo il concetto conclusivo di gioco senza giocatore:

Abbiamo fissato e cercato di sviluppare il nostro dubbio, per
preparare la terza risposta che interpreta il gioco come rapporto
dellesistenza umana con il mondo, quindi come un rapporto di
senso verso qualcosa, che non una cosa e non un avvenimento
oggettivo e che, nonostante la provata inadeguatezza di tutti i
modelli e le metafore finite, riusciamo a raffigurarci nel migliore dei
modi ancora come gioco senza giocatore.
12



2. IL GIOCO COSMICO DELLINDIVIDUAZIONE

Fink mette giustamente in guardia dalla metafora, consapevole
dellambigua parentela di questa forma del pensiero e della parola con
limmagine e con la scarsa propensione alla rigidit concettuale propria
della poesia. Pi oltre, tuttavia, ancora fa riferimento al gioco come
metafora cosmica
13
, subito premurandosi di dichiarare lidea stessa di
una metafora cosmica una crux rationis. La metafora pone infatti il

12
GSM, p. 195. Sottolineature mie.
13
GSM, p. 199.

161
problema delluguaglianza o, almeno, della similarit delle cose che
mette in rapporto. Tuttavia implicito nella sua etimologia, che la lega
alla galassia del trasporto e del trasferimento, la concreta minaccia del
tradimento rispetto alloriginale. Da questo punto di vista Nietzsche fa
giocare in maniera esemplare la nozione di metafora nel suo scritto Su
verit e menzogna, interpretandola da un lato, in senso positivo, come
sintomo eclatante della produttivit immaginifica dellintelletto,
dallaltro come pericolo e rischio allorch sia intesa troppo letteralmente
come capace di dar conto dellessenza delle cose, quando invece si
tratta solo di un tentativo autoconservativo di antropomorfizzazione del
reale a uso e consumo dellattivit umana.
Il trasferimento consentito dalla metafora, implicitamente, rinvia
alla possibilit di un arricchimento: tradire pu significare fraintendere,
ma la dimestichezza delluomo con la propria facolt metaforizzante e,
ancor pi, la sua connaturata familiarit con il mondo, gli consentono di
non ingannarsi troppo allorch vede in questultimo un gioco. Dire
mondo dire gioco o, meglio, accentuando laspetto attivo e
processuale, giocare. In tal senso la realt ludica, nel suo dar corpo alle
apparenze, consente una metafora nel senso letterale della
trasposizione e dunque del trascendimento. Questo accade,
innanzitutto, come si gi detto, sul piano esistenziale, riaprendo le
possibilit perdute o sperimentandone altre che potrebbero verificarsi: il
gioco, scrive Fink, libera dalla libert, nel senso che luomo libero in
quanto pu scegliere, ma, proprio scegliendo, si gioca, nel senso che

162
esclude alcune possibilit, recuperabili, bench irrealmente e senza
conseguenza, solo ludicamente
14
.
Tuttavia, e pi pienamente, il trascendimento consentito
dallirrealt messa in opera nel gioco quello verso il recupero
dellintuizione del mondo: lirrealt ludica, nel senso della
possibilizzazione, del rivolgimento, della apparenza inconsistente e al
tempo stesso fatale, della catastrofe, della rinascita e della possibilit del
ricominciamento ex novo, riflette il comportamento del mondo.

Il mondo appare nellapparenza del gioco, si riflette in se stesso
per il fatto che un comportamento del mondo, anche se in forma
irreale, assume i tratti del tutto governante. Il riflesso del mondo su
se stesso, su una determinata cosa del mondo, sulluomo che
emula quasi il mondo, luomo che quasi onnipotente, quasi
irresponsabile, quasi contemporaneo di tutte le possibilit,
questo riflesso, visto dalla parte del cosmo, la stessa cosa che
noi, dal punto di vista delluomo, abbiamo chiamato lestasi verso il
tutto universale.
15


Gioco delluomo e gioco del mondo dunque si intersecano, e non
si pu guardare il gioco delluomo senza intercettare in esso il riflesso di
quello cosmico: sono i due lati di uno stesso foglio, reciprocamente
inscindibili e materialmente coesistenti. Scrive ancora Fink, con
unintuizione fondamentale che fuga ogni dubbio lasciato aperto
dallambigua espressione rapporto, utilizzata per qualificare il legame tra
uomo e mondo che nel gioco si fa trasparente: questa relazione non
rappresenta un rapporto tra due cose separate, ma precede come
rapporto la diversit di ci che in esso racchiuso
16
. Lapertura
delluomo al mondo costitutiva, non un comportamento occasionale,

14
Cfr. GSM, pp.196-197.
15
GSM, p. 197. Sottolineature mie.
16
GSM, p. 197.

163
ma una strutturale possibilit di aver a che fare con la complessit, la
vaghezza, limponderabilit degli eventi del mondo e di orientarvicisi.
Nel passaggio appena citato, Fink fornisce anche una rapida
caratterizzazione di quale tipo di gioco sia quello del mondo:
onnipotenza, irresponsabilit e contemporaneit di tutte le possibilit
sono i tratti decisivi del ludus umano in quanto riflesso di quello
cosmico. Nel gioco umano il mondo non si riflette su scala ridotta, dal
momento che non una cosa n, tanto meno, una super-cosa. Qui
sorge il problema dellimpossibilit di una metafora cosmica dal
momento che non vi alcuna similarit tra il mondo e le cose. Tuttavia,
non nella cosa-gioco, bens nellazione-gioco, che il mondo si riflette in
tutta la sua infinita grandezza. Non a caso, i tratti strutturali del gioco
del mondo individuati da Fink sono assoluti, illimitati, e dunque al di
fuori dellordinaria esistenza umana, gioco escluso. La considerazione
del mondo come gioco scaturisce dallosservazione della diveniente
instabilit delle cose mondane, per cui nulla risparmiato dal
mutamento e dalla decadenza e ogni cosa nuovamente rinasce, ma al
tempo stesso questi sconvolgimenti continui appaiono regolati e
ordinati. Il movimento del mondo onnipotente nella misura in cui non
ha altro fine fuori di s, pur essendo alla radice di ogni causalit e di
ogni scopo interno. Lo stesso accade nel gioco umano, entro cui ogni
azione finalizzata e ordinatamente inserita entro un contesto crono-
topico, ma al di fuori del gioco non vi senso alcuno per quelle azioni
pur cos esteticamente belle. Inutilit e assenza di progetto estrinseco al
movimento stesso sono caratteri legati allidea di onnipotenza e
irresponsabilit dellazione ludica e, da questo punto di vista, la futilit
del gioco umano pienamente giustificata dallassoluta assenza di meta

164
del gioco mondano. Il mondo privo di fondamento esattamente come
il gioco, che innalza i propri castelli sulla sabbia, come scriveva
Nietzsche e con la medesima innocenza li distrugge e ne costruisce di
nuovi. Il gioco del mondo assolutamente gratuito, e per questo
aspetto irresponsabile, con regole infondate se per fondatezza si
intende una giustificazione logica o morale di un determinato
procedere. Il gioco umano come esplorazione e finestra su una realt
superiore si trova a specchiarsi nel gioco del mondo e vi ritrova la
propria gratuit e spontaneit scoprendosi cos come accettazione e
comprensione del dinamismo mondano di cui strutturalmente
intessuto: in questo senso restaura il rapporto primitivo e non estrinseco
delluomo con il mondo, proprio nella direzione precisata da Fink, dal
momento che in esso il mondo si dispiega in tutte le sue facce,
palesando lunione armonica dellio e del non-io, proprio come la
esplicitava Winnicott cogliendola nellattimo della sua scissione. Come
sottolinea Melchiorre
17
, lobiettivo si sposta allora dal giocatore
giocante al gioco giocato, cio alla considerazione del giocatore nel
gioco pi originario e profondo del mondo
18
.
La distanza abissale del gioco del mondo dal gioco umano si
struttura, secondo Fink, in due grandi momenti: innanzitutto il gioco del
mondo poietico in un senso pi forte, dal momento che il tutto
universale esercita il suo governo dando essere alle cose, mentre il

17
V. Melchiorre, Il gioco come simbolo, in Vita e pensiero, LX [1973], n. 3, pp. 583-
604. Tutto il numero della rivista dedicato al tema del gioco in relazione alla
religione e alla festa cristianamente intese.
18
Nel gioco, dicevamo, gradualmente viene a attuarsi non tanto unesperienza del
s o dellaltro, quanto unesperienza della relazione, anzi duna relazione
inconsueta del s e dellaltro, del soggettivo e delloggettivo. In tal senso lo si
gi notato andare al fondo del gioco vuol dire considerare, pi del giocatore
giocante, il giocatore nel gioco o il gioco giocato. [Id, ibidem., p. 592].

165
potere del giocatore umano si limita alla creazione di apparenze
immaginarie, in fondo improduttive. Lindividuazione e la multiformit
giocosa delle cose, che il gioco offre alluomo in oasi ben recintate, il
mondo lha invece come azione propria, anzi consiste in questa azione
giocosa. Il mondo ludico del gioco del mondo ci che chiamiamo
realt, la dimensione universale della presenza, la dimensione
dellapparizione, in cui le cose sono realmente separate luna dallaltra.
Il mondo ludico del gioco del mondo dunque la dimensione degli enti
individuati e illuminati entro cui luomo si muove quotidianamente, e
anche nel suo giocare. Tuttavia, come apparso chiaro nella critica di
Fink a Platone, il gioco non consiste tanto nellopera prodotta, nella
realt individuata di volta in volta, ma in primo luogo giocare azione,
azione dello specchio e dunque della produzione e l si sofferma anche
Fink, per dire che il mondo gioco proprio perch non si riduce alla
realt individuata, ma in quanto lindividuante, pertanto non solo
dimensione della presenza, ma anche dellassenza e della pura
possibilit di apparizione delle cose. Non un caso che Fink utilizzi
proprio nella pagina conclusiva del suo saggio lopposizione
giorno/notte, che riporta non solo alla caverna platonica, ma, ancor pi,
allaccentuazione dellunit degli opposti nel divenire posta da Eraclito,
daltro canto ambiguamente colta e smentita da Parmenide
19
: Se il
gioco del mondo pu avere un senso pensabile, deve essere inteso
come il rapporto tra la notte del mondo e il giorno del mondo
20
.

19
Cfr. fr. 8 e 9 DK, in Parmenide, Poema sulla natura. I frammenti e le testimonianze
indirette, presentazione, traduzione e note di G. Reale, saggio introduttivo e
commentario filosofico di L. Ruggiu, Bompiani, Milano 2003, pp. 109-111.
20
GSM, p. 205.

166
Se nellespressione gioco del mondo il termine gioco inteso in
senso metaforico si fallisce la comprensione del mondo: infatti,
rigorosamente parlando, come Fink stesso sottolinea, possiamo parlare
di un gioco del mondo solo in unequazione decisamente alterata e
quindi rotta
21
. Non vi somiglianza, ma piuttosto incommensurabilit
tra gioco umano e gioco del mondo. Tuttavia il gioco, se pensato non
metaforicamente, ma strutturalmente, quale azione del mondo, si
segnala come potente chiarificazione di questo movimento: il mondo
non solo la presenza delle cose, quella che banalmente si definisce
realt, il giorno del mondo, appunto, n solo la pura possibilit,
necessariamente pi vasta di ci che si realizza poi, la notte del mondo,
ma innanzitutto il movimento del venire alla presenza.
La seconda distanza fondamentale che Fink osserva tra gioco
umano e gioco del mondo consiste nellassenza, in questultimo, della
figura del giocatore. In questo senso Fink vicino a Gadamer, che,
analogamente, sostiene che il giocatore non indispensabile
allesecuzione del gioco, essendo invece il senso principe del giocare
quello mediale, come lo si intende allorch si dice che qualcosa in
gioco o che qualcosa gioca nel senso dello svolgimento di qualcosa
22
.
Il mondo, come appare chiaro, non sta nel giorno o nella notte, non
luno o laltra, ma il movimento della traduzione nel diurno discorrere
degli enti individuati delle sconnesse allucinazioni oniriche notturne.
Ben si comprende come Winnicott possa allora istituire un fondato
parallelo tra la funzione esistenziale del gioco e il tentativo di
riparazione dei traumi irrisolti fornito dalla terapia psicanalitica. Il gioco

21
GSM, p. 204.
22
H.G. Gadamer, Verit e metodo, Fabbri, Milano 1972, p. 135.

167
pi originario , a parere di Fink, impersonale, nel senso che ci da cui
si generano ogni persona e ogni cosa intese nella loro individualit,
movimento di passaggio dallinformit monocromatica della notte ai
confini netti del giorno. Tuttavia, per non pensare che la notte sia
meglio del giorno o che uno dei due abbia pi realt dellaltro, occorre
soffermarsi a guardare il passaggio, rendersi conto del movimento che
fa le cose. Il gioco senza giocatore gioca ogni giocatore reale,
umano o divino che sia, entro le sue mosse, ne fa il proprio trastullo
esattamente come scriveva Platone. A meno che luomo-giocatore non
si sappia collocare sul passaggio e scoprire le sempre cangianti aurore
del mondo, comprendendosi al tempo stesso non come spettatore, ma
come giocattolo, cio come colui che non pu sottrarsi al gioco del
mondo e che, proprio perch il mondo gioca, pu anchegli giocare
23
.

Tutto lente giocattolo cosmico, ma anche tutti i giocatori sono
essi stessi solo giocati. Lapparizione la maschera, dietro la quale
non vi nessuno, dietro la quale non vi nulla che non sia
appunto il nulla.
24


Certamente, come gran parte della teologia cristiana degli ultimi
anni non ha mancato di notare, il rischio nichilistico sotteso alla
cosmologia ludica finkiana. Tuttavia resta il fatto che, per esplicita
ammissione dello stesso autore, il pensiero speculativo del gioco del
mondo ancora allo stadio di progetto, di cui Fink si sente pioniere e
non traguardo, piuttosto un archeologo alla riscoperta di una linea di
pensiero sepolta sotto le scorie della metafisica
25
.

23
Cfr. M. Gargano, op. cit., p. 25.
24
GSM, p. 205.
25
Cfr. le conclusioni di Fink in GSM (p. 205).

168
3. DALLA METAFORA AL SIMBOLO

Lincommensurabilit del gioco del mondo al gioco umano
giustifica linsufficienza della considerazione del gioco come immagine
e metafora cosmica consegnata dalla tradizione. Linsuperabile distanza
e assieme linscindibile familiarit dei due giochi sono per tenute
assieme da una nozione, quella di simbolo, che Fink trova pi consona
alle strutture del gioco e a cui dedica una breve trattazione a questo
concetto proprio in chiusura delle considerazioni critiche riferite alla
teoria platonica dellimmagine e del riflesso, rilevandovi in particolare
tre aspetti
26
:
Letimo greco symballein ha in s lidea della coincidenza, intesa nel
senso dellincastro del frammento nel suo tutto.
Ogni ente finito in questo senso frammento, vale a dire simbolo,
dal momento che il suo essere gli deriva da limiti e confini, da una
separazione e alterit rispetto al resto, che rimanda a un tutto. Tutti
questi frammenti partecipano al tempo stesso di un tutto a cui sono
connaturati, che d loro nascita e origine. Non si tratta di una totalit
che si compia per riunione di tutti i suoi pezzi, ma di un unit globale
che preesiste ai frammenti e che in s contiene lo spezzettamento:
lazione dellessere-mondo esattamente quella che produce lo
spezzettamento, pertanto i suoi pezzi non sono di natura differente
dal tutto. Come una brocca spezzata in ogni suo lacerto un pezzo
di terracotta, cos questa familiarit degli enti con il mondo sussiste
anche nellindividuazione che li fa frammenti.

26
GSM, pp. 99-102.

169
La consustanzialit del frammento e dellintero consente al
frammento stesso di ottenere in alcuni momenti una trasparenza tale
da far intravedere il tutto di cui frammento.
Il simbolo rinvia dunque strutturalmente al suo intero, senza
forzature, ma, rispetto allimmagine, questo rinvio non comporta alcun
dislivello ontologico tra originale e copia. Il gioco presenta un
innegabile vantaggio rispetto allimmagine, in quanto meno
compromesso con la svalutazione platonica della mimesis
27
. Da sempre,
la marginalizzazione dellattivit ludica ha impedito che le si attribuisse
uno specifico statuto ontologico. Tuttavia il gioco simbolo
innanzitutto in quanto, facendo parte del mondo, riesce ad aprire la
porta della totalit del mondo stesso. A questo proposito illuminante
il commento di Nynfa Bosco:

Il simbolo come il messaggero: implica la presenza dun mittente,
dun destinatario e dun messaggio, per quanto oscuro; e come
dice la parola stessa provoca un riconoscimento e uninformazione
altrimenti impossibili. Sim-bolizzare significa infatti, secondo
letimologia e il costume greci, mettere insieme le due parti dun
oggetto, in possesso rispettivamente del latore e del destinatario,
in modo che questi possa riconoscere lidentit di quello, e
indirettamente lautenticit del messaggio. Ma lo specifico del
gioco, dellarte e del culto sta, sotto il profilo simbolico, nella loro
portata cosmica.
28


Due aspetti sono da sottolineare in questo approfondimento
della nozione di simbolo: innanzitutto il contatto che il simbolo consente
di stabilire con lalterit, promuovendo il riconoscimento inteso sia
come comprensione del messaggio che come fiducia nella sua
autenticit. In questo senso il simbolo rappresenta una finestra aperta

27
Cfr. R. Clis, op. cit., p. 57.
28
N. Bosco, op. cit., p. 49. Sottolineature mie.

170
con fiducia allesterno e la schiusura delluomo verso il cosmo. La
seconda questione riguarda direttamente il gioco in quanto simbolo dal
momento che la specificit simbolica del gioco viene individuata nella
sua portata cosmica: il riconoscimento promuove un accordo con la
realt e la partecipazione allarmonia cosmica. Il messaggio ludico ha
sempre a che fare con lonnicomprensivo orizzonte di enti, eventi e
possibilit. La superiorit euristica del gioco rispetto ad altri concetti
operativi si misura sulla sua ambiguit rispetto al vero e al falso, al serio
e al faceto, nella misura in cui finzione cosciente eppure
esistenzialmente impegnativa: queste caratteristiche fanno del gioco il
mezzo pi adatto a dire sia la bivalenza ontologica di essere e apparire,
che per Fink come per Heidegger il vero tema della filosofia, sia il
movimento stesso di questa, ossia la rigorosa presa di coscienza del
vissuto, la continua problematizzazione del quotidiano
29
. Il gioco
dunque simbolo cosmico per eccellenza da un lato in quanto il ludus
per natura simbolico nel senso della capacit di sfondamento delle
gerarchie dei codici, che crea lo spiraglio perch si possa giocare anche
su altri tavoli, sperimentando in essi il senso della vita e del mondo,
come Fink individuava bene soprattutto in Oasi della gioia; daltra parte
il simbolismo del gioco cosmologicamente essenziale
30
allorch si
intenda che il messaggio con cui il suo simbolizzare ha a che fare
loscuro linguaggio del corso del mondo, di cui il gioco la chiave di
decrittazione poich mostra in modo consapevole il darsi occultantesi
dellessere nelle cose.


29
N. Bosco, ibidem, p. 50.
30
N. Bosco, ibidem, p. 51.

171
Il gioco riesce a ripercorrere i movimenti del mondo, la capacit
individualizzante del creare, lindividuazione e la messa in relazione
cangianti proprie del delinearsi della realt vissuta poi come diurna.
Come sottolinea Melchiorre, nel gioco il comportamento vale in
definitiva pi delloggetto
31
. Allo stesso modo il mondo indifferente
alle sue produzioni nella luce del giorno, il suo gioco sta tutto nel farle
apparire, non in quello che compare. E soprattutto quella che Fink
descriveva come contemporaneit di tutte le possibilit che rende
concepibile il trapasso dal gioco umano al gioco cosmico, dal momento
che innanzitutto la partecipazione esistenziale che il gioco richiede e
trova che riallaccia il rapporto delluomo con il mondo. Il gioco, infatti,
riaprendo alluomo vastit inesplorate, gli fa riscoprire lappartenenza al
tutto e, soprattutto, lascia intuire come si attui il movimento del mondo
stesso entro cui luomo si trova a giocare, nellinconsistenza ammaliante
e sfuggente delle apparenze. Se limmagine il prodotto di una
riflessione analogica, il gioco simbolicamente vicino al mondo in
quanto il giocatore attento a come comportarsi e coinvolto
praticamente in esso, non da osservatore, ma da agente.

Possiamo dunque definire il gioco come esperienza esistenziale,
come quellesperienza che riconosce unalternativa dessere
partecipandovi direttamente. [] Detto altrimenti, in quanto
eccezione, giustapposizione, il gioco scopre unalternativa alla vita
corrente, ma questa alternativa la scopre con una partecipazione
esistenziale.
32


Laspetto partecipativo del gioco, insieme alla sua separatezza, gli
consente di dar spazio a unalternativa libera da vincoli come solo il

31
V. Melchiorre, op. cit., p. 588.
32
V. Melchiorre, ibidem, pp. 591-592.

172
mondo pu essere, nella compresenza contraddittoria dei possibili. Il
fatto che luomo non possa osservare il proprio gioco, ma debba starci
dentro, agirlo, testimonia la dipendenza del ludus esistenziale
dallonniavvolgente gioco cosmico. Al tempo stesso, reinserendo luomo
in questa vertigine, lo ricolloca consapevolmente al centro del turbinoso
gioco originario. Non solo, ma linsistenza sullaspetto attivo del gioco
testimonia la comprensione di quello che si intende per gioco del
mondo: un movimento, in sostanza, unazione che non ha direzionalit,
ma che muove e rimescola tutto quanto, senza che nulla si possa
sottrarre al mutamento. Il gioco rivoluziona luniverso svelando sensi
possibili delle cose e riscopre cos il mondo non come collezione di enti,
ma come possibilit dessere, come azione non precodificata, ma
sempre agente. Lalternativa dessere che a livello esistenziale il gioco
umano sembra far scoprire innanzitutto una differente configurazione
che il mondo pu assumere, una differente direzione di quel passaggio
dalla notte al giorno del mondo in cui Fink fa risiedere la sensatezza
dellidea di un gioco del mondo.
Il giocare delluomo non presuppone un universo gi
predisposto, ma un ordine che si realizza nellazione stessa del giocare e
del vivere. Il mondo agisce nello stesso modo, rispecchiando il suo
capriccioso e volubile gioco nellimpermanenza degli enti. Nel gioco
luomo mette in mostra e agisce le proprie attitudini e i propri desideri
in una forma di tensione conoscitiva che lo ricongiunge al mondo, al
suo aver parte in esso. Lente uomo pu creare, sia pure in modo
subordinato, e lo fa in modo tanto pi simile al mondo quanto pi
questo creare si mostra indifferente alle proprie produzioni,
inconsistenti e evanescenti: il gioco umano si pu interrompere e tale

173
irresponsabilit e inconseguenza del comportamento stimolano il
collegamento con lagire del mondo. Il gioco, parte del mondo, suo
frammento infinitesimale, pu, come il frammento di uno specchio,
ridescrivere tutto lagire del mondo, renderlo presente nellistantaneit
che la sola possibilit di visione concessa allo sguardo umano, che
non pu aspirare a un tempo infinito.
A differenza dellimmagine, il simbolo consente di evitare la
svalutazione ontologica implicita nel rimando a un originale, dal
momento che loggetto che simbolizza qualcosaltro gi parte
integrante di questaltro a cui rinvia: pertanto il gioco umano della
stessa stoffa del mondo, una sua emergenza e, per le sue caratteristiche
intrinseche, la migliore delle finestre sul movimento del mondo stesso.
Finestra e simbolo sono il medesimo: entrambi ricompattano reale e
irreale in un unico mondo senza soluzione di continuit. Come ben
sottolinea Nynfa Bosco, il gioco simbolico in quanto fittizio e
convenuto, cio nella sua funzione propriamente segnica dello stare
per qualcosaltro. Gioco e simbolo sono il medesimo, inoltre, in quanto
hanno strutturalmente a che fare con la polisemia dellimmaginario, il
che non significa affatto, come si visto scandagliando analisi come
quelle di Walton, Winnicott e dello stesso Fink, che il gioco sia
immaginario: come il frammento sta per lintero, cos il gioco
assolutamente reale e concreto in qualit dazione o per luso di
giocattoli che sono materiali del reale, ma li trasfigura con la potenza
della fantasia aprendo la porta alla trascendenza che, sia essa
inframondana o oltremondana, pu dirsi solo simbolicamente, nel

174
frammento, nella prospettiva deformante di una scaglia di vetro e mai
nella totalit del rispecchiamento panoramico
33
.


4. LINNOCENZA DEL DIVENIRE

La conclusione del saggio finkiano ha un tono estremamente
niciano. Del resto, proprio nello stesso anno in cui d alle stampe Il
gioco come simbolo del mondo, Fink pubblica anche unopera
interamente dedicata alla filosofia di Nietzsche, in cui la nozione di
gioco fatta agire come chiave interpretativa della cosmologia niciana.
Lo scritto su Nietzsche viene pubblicato quasi in contemporanea
con il Nietzsche di Heidegger e costituisce un contrappunto importante
alla potente interpretazione dellautore di Essere e Tempo: Fink,
fondamentalmente convinto che nei leit motiv della filosofia niciana,
dalla volont di potenza alleterno ritorno, dalla morte di dio al
superuomo, possano riscontrarsi delle riproposizioni dei concetti
metafisici fondamentali di ens, unum, bonum e verum, tuttavia non
accetta limpostazione critica di Heidegger secondo cui Nietzsche
sarebbe lultimo grande metafisico della storia della filosofia, anzi, il
compimento delle sue tendenze fondamentali, dal momento che
riproporrebbe la pretesa delluomo di controllare lente nella sua totalit
senza porre attenzione al movimento irresistibile dellessere. Nietzsche,
invece, secondo la prospettiva finkiana, non resta prigioniero di una
concezione stabile dellessere dellente, dal momento che concepisce
interamente lessere nella dimensione del divenire. Proprio con la sua

33
Cfr. N. Bosco, op. cit., pp. 21-25.

175
concezione cosmologica Nietzsche ha oltrepassato la metafisica,
allorch ha fatto del mondo un gioco e ha recuperato il mito e la
riflessione eraclitea. Fink ritrova dunque, leggendo Nietzsche, le
analoghe conclusioni de Il gioco come simbolo del mondo: Il concetto di
gioco, e nello specifico il gioco del mondo, lunica chiave di accesso a
un pensiero non pi metafisico
34
.

Una specie di esseri giocosa, sovraccarica di energia
ACCETTEREBBE COME COSA BUONA, in senso eudemonistico,
proprio gli affetti, la non ragione e il cangiamento insieme alle loro
conseguenze, il pericolo, il contrasto, landare in rovina, ecc.
35


Il punto di partenza della speculazione niciana sul gioco in
effetti legato alla scoperta di un disconoscimento della giocosit quale
strumento di felicit da parte dellumanit. Ancora sembra suonare
linvito platonico alla ripresa del gioco per riscoprire la vera natura
umana. In effetti la riflessione sul gioco prende le mosse in Nietzsche
dalla considerazione dellattivit artistica in qualit di esperienza ludica
che, nella sua forma pi autentica, tende a intrecciare due impulsi
psicologicamente antitetici come sogno e ebbrezza, apollineo e
dionisiaco. Tuttavia, come appare chiaro dal frammento ora citato, lo
sguardo puntato sullindividuo si allarga immediatamente al cosmo: una
specie desseri giocosa sarebbe felice non perch il gioco sia in s
positivo, quanto perch la giocosit consentirebbe linserimento
armonioso delluomo nel dinamismo cosmico. Le modalit del gioco si
accordano naturalmente con quelle del mondo, pertanto rendono

34
T. Pedicini, op. cit., p. 74.
35
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1888-1889, in Opere di Friedrich Nietzsche,
cit., vol. VIII, t. 3, p. 328.

176
accettabile il mondo stesso. Solo come fenomeni estetici lesistenza e il
mondo sono eternamente giustificati
36
: la celebre formula, che
sintetizza il senso del recupero della tragedia attica come modello di
esistenza consapevole, prima ancora che di elevatezza artistica, segnala
il passaggio insensibilmente avvenuto dallambito psicologico a quello
cosmologico, poich, appunto, solo unesistenza ludicamente
atteggiata, che cio riesce artisticamente a esprimere nelle ordinate
forme dellapollineo linebriante forza del dionisiaco, sa accettarsi e
accettare come va il mondo, nella sua irriguardosa volubilit e
nellirragionevolezza del corso dei suoi eventi. La nascita della tragedia
compie tutto questo percorso dal momento che, volendo, a partire dalle
forze esistenziali di sogno e ebbrezza, porre per analogia i principi
cosmici di Apollo e Dioniso, di fatto rovescia i termini della proporzione
giungendo a intendere larte umana che congiunge i due impulsi come
effetto e fenomeno della fratellanza cosmica delle due divinit
37
.
Nietzsche per primo riconosce, dunque, il fattore simbolico
caratteristico dellesperienza ludica, pur senza esplicitarlo, mostrandolo
concretamente allopera in questo slittamento di piani.
Fink, commentando gli scritti niciani e, in particolare, la
produzione giovanile legata alla ripresa della grecit, individua
magistralmente la tonalit eraclitea di tutto il pensare niciano,
riconoscendo acutamente la profonda unit tra Apollo e Dioniso entro
lo schema cosmico strutturato in queste opere: la tragedia si muove

36
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cit., p. 134. E Nietzsche stesso a
individuare, anche a quindici anni di distanza, nel Tentativo di Autocritica premesso
alla Nascita della tragedia, questa espressione, peraltro ricorrente, come cifra
interpretativa di tutto lo scritto. Cfr. F. Nietzsche, Tentativo di Autocritica, in La
nascita della tragedia, cit., pp. 114-115.
37
Cfr. FN, p. 82.

177
sullabisso dellintuizione dellessere tuttuno del reale nelle sue
apparenti opposizioni, frutto solo di un taglio interpretativo in qualche
modo arbitrario, di unilluminazione sempre difettosa e irrispettosa dello
sfondo monocromatico sotteso al reale. Vita e morte, grandezza e
abiezione si toccano nella tragedia e proprio questo sfiorarsi
commuove perch fa riassaporare lunit perduta, in tutta la sua
pericolosa instabilit. Come scrive Fink, ogni evento che la
frammentazione analitica apollinea coglie come tale solo increspatura
del mare dionisiaco, aspetto di una medesima onda di vita
38
.

Figure si formano mentre altre vanno in frantumi, dove una cosa
esce alla luce, unaltra deve sprofondare nella notte, ma la luce e la
notte, figure e ombre dellAde, ascesa e decadenza, sono soltanto
aspetti della stessa onda di vita; la via verso lalto e verso il basso,
detto in Eraclito, una sola e la stessa. Il pathos tragico conosce
lidentit di Ade e di Dioniso.
39


Fink utilizza nellintervento introduttivo a La nascita della tragedia
le medesime immagini cosmiche di luce e notte richiamate nel finale del
Gioco come simbolo del mondo. Proprio nella dialettica irrisolta di notte
e giorno, apparire e sottrarsi dellessere, si situa lo spazio del gioco,
anche per Nietzsche. Il ludico innanzitutto unetica per uomini
superiori, autenticamente consapevoli, ma, prima ancora che
comportamento umano, lessenza del movimento cosmico.
La tematica del divenire rappresenta infatti un nodo centrale della
riflessione di Nietzsche sin da questi primi scritti: innanzitutto la
difficolt umana di comprendere e accettare il cangiamento che stimola
Nietzsche a proporre un modello di umanit diversamente atteggiato

38
FN, p. 74.
39
FN, p. 74.

178
nei confronti dellesistenza, meno rigidamente composto e capace,
invece, di un ribelle danzare e saltare. Un vivere malato, afflitto e
risentito, per utilizzare solo alcuni dei nomi dati da Nietzsche a quella
che egli pi generalmente definisce decadenza, caratterizza lumanit
presente, ma, alla base di questa deprimente condizione, sta
unincomprensione della struttura del divenire cosmico: in qualche
modo luomo si affanna a costruire alveari di concetti e schemi regolari
per imprigionare una mobilit variopinta che, semplicemente,
occorrerebbe assecondare e assorbire come linfa vitale. Non un caso
che, nellesordio della Filosofia nellet tragica dei Greci
40
, si faccia
riferimento alla grandezza dei presocratici come salute
41
, nel senso di
capacit di vivere esposti alla melodia cosmica, senza irrigidimenti
dissanguanti. Anche per Nietzsche occorre, come per Fink, che lo spirito
libero si ponga sulla linea del confine in cui il giorno diventa notte e stia
l a guardare linconsistente momento del passaggio, senza
assolutizzarlo come frattura, ma come linea tracciata con lieve polvere
bianca, pronta a essere arretrata o avanzata senza conseguenze e senza
ragione. La sottigliezza dellanalisi niciana si misura nella sua distanza
dalla dicotomia schopenhaueriana tra volont e rappresentazione. L
dove, infatti, Schopenhauer vedeva nel fenomeno solo un
antropomorfismo, la configurazione apollinea di volta in volta assunta
dal mondo si presenta invece a Nietzsche come unapparenza che non
ha la sua radice nellintelletto umano, ma il modo in cui il principio

40
F. Nietzsche, La filosofia nellet tragica dei Greci, in La nascita della tragedia, La
filosofia nellet tragica dei Greci, Verit e menzogna, cit., pp. 203-278.
41
I Greci, in quanto veramente sani, hanno giustificato una volta per tutte la stessa
filosofia col loro filosofare. [F. Nietzsche, ibidem, p. 221]; virtuosa energia. [Id.,
ibidem, p.223].

179
cosmico (Dioniso) si presenta. Ci che per Schopenhauer una divisione
in due regni, per Nietzsche si configura piuttosto come movimento
creativo: il mondo gioco dellindividuazione, lopera darte del
principio originario che, pertanto, esso stesso intimamente artistico.
Lintuizione che tutto uno presiede secondo Nietzsche alla
nascita stessa del filosofare
42
, dal momento che latteggiamento
omogeneizzante di Talete mira a riscontrare un principio unitario che
dia sostanza con la sua trasformazione a ogni forma dellente che viene
alla luce. La grande lezione di Talete viene ripresa da Nietzsche
consapevolmente, allorch egli coglie il dionisiaco come sostrato
unitario della vita cosmica, entro cui si ritagliano il loro spazio, per
azione di contrazione e espansione di questo medesimo unico principio,
tutte le figure individuate. tuttavia la questione del divenire che pi
interessa Nietzsche, dal momento che nella sua incomprensione risiede
la radice di tutta la malattia umana: nello scritto sui presocratici
Nietzsche segnala tre momenti chiave della speculazione greca sul
divenire, incarnati nelle figure di Anassimandro, Eraclito e Anassagora.
Come chiaro, sar soprattutto sulloscuro pensatore di Efeso che si
soffermer lo sguardo niciano, trovandolo congeniale alla propria
impostazione cosmologica. I tre antichi filosofi si oppongono
diametralmente alla fissit dellessere pensata da Parmenide, che
pertanto diviene inevitabilmente il fulcro polemico della discussione. Il
coraggio dimostrato dai pensatori antichi nei confronti della questione
essenziale dellandamento del corso del mondo tratteggiata da
Nietzsche con immagini che non solo inneggiano alla salute, come si
accennato, ma anche alla forza intellettuale e morale dei pionieri della

42
Id., ibidem, pp. 228-231.

180
filosofia: i presocratici sono per Nietzsche sbozzati interi e da ununica
roccia
43
, figli di unumanit integrale e non scissa nella miriade delle
specializzazioni e nellerranza della superficialit.
Nel frammento anassimandreo che recita L donde le cose
hanno lorigine loro, devono perire secondo la necessit; conviene
infatti che esse paghino il fio e siano giudicate per le loro ingiustizie,
secondo lordine del tempo, emerge per la prima volta linteresse verso
il processo di formazione delle cose, pi che, come ancora era per
Talete, lattenzione alla loro forma compiuta, interpretata a posteriori
come effetto di trasformazioni fisiche dellarch acqua. Anassimandro
individua una regola profonda delluniverso, una necessaria azione di
apparizione/dileguamento degli enti, e identifica la vita delluniverso
con questa tensione. Il tentativo di spiegazione anassimandreo ricorda il
gioco delle penitenze, tanto spesso praticato dai bambini, ma,
nonostante il linguaggio giuridico, questo ineluttabile botta e risposta
assume immediatamente un tratto cosmico dal momento che giudice
supremo proprio il corso del tempo, entro cui le cose vengono ad
essere e scompaiono. Il molteplice del mondo consuma e nega se
stesso e proprio tale impermanenza rimanda con la sua insensatezza a
ununit originaria entro cui prendano posto le cose e acquistino una
configurazione unitaria. Nietzsche apprezza, in particolare, la
connotazione di indeterminato data a questo principio. Proprio come il
dionisiaco la natura incontaminata dal principio di individuazione, il
libero alternarsi delle forze, cos Anassimandro riesce a smarcarsi
dallingenua codificazione dellarch operata da Talete, che pure era
riuscito a trovare una possibile chiave unitaria del molteplice come

43
Id., ibidem, p. 223.

181
effetto di trasformazione di un unico principio. Pur non fornendo alcuna
qualificazione positiva alla stoffa dellessere, con cui questultimo,
tagliando e cucendo, tesse le sue magnifiche e sempre nuove vesti,
tuttavia, Anassimandro conferisce al divenire unimputazione morale:
spiega cio lemergere e il dissolversi delle singole forme come una
dialettica di colpa e punizione, cercando una giustificazione etica del
mutamento, e sotto questo aspetto fallisce, a parere di Nietzsche,
lautentica comprensione del proprio oggetto di indagine. Bench vi sia
dunque in Anassimandro un inizio di consapevolezza tragica nel
repentino volgere di colpa e punizione, manca al grande milesio
lessenziale consapevolezza estetica che si concretizza nellazione
tragica e nella riflessione di Eraclito: ne La nascita della tragedia,
Nietzsche vi fa riferimento proprio richiamandone il frammento 52 DK,
vale a dire mettendo in risalto proprio il concetto chiave del gioco, ma
soprattutto nella Filosofia nellet tragica dei Greci che il nome di
Eraclito compare come quello di un autore assolutamente
consanguineo allintuizione niciana che identifica la realt originaria con
il gioco: Nel considerare il mondo un giuoco divino e al di l del bene e
del male ho come predecessori la filosofia dei Vedanta ed Eraclito.
44

Il riconoscimento della paternit eraclitea del pensiero del gioco
cosmico non potrebbe essere pi chiara. Ma questo brano pi tardo di
Nietzsche contiene anche altri due spunti interessanti: in prima istanza
lequazione mondo-gioco divino una quasi letterale riproposizione del
frammento 52 DK di Eraclito e, daltra parte, la sinteticit
dellespressione, che non introduce alcuna locuzione di similitudine ma

44
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884, in Opere di Friedrich Nietzsche, cit., vol.
VII, t. 2, p. 182.

182
una netta equivalenza, libera dallidea che il riferimento al gioco sia
semplicemente metaforico o antropomorfico; il gioco davvero la
sostanza del mondo. La seconda espressione da sottolineare quellal
di l del bene e del male che non solo ripete il titolo dellomonima opera
niciana, ma pi profondamente assume una posizione irrevocabile circa
una lettura in termini morali del divenire: questultimo fuori da ogni
categoria etica nella misura in cui al suo interno e per assoluto arbitrio
delluomo che queste categorie vengono istituite. Anassimandro,
sembra dire Nietzsche, prende le cose troppo sul serio, pertanto non
riesce a cogliere il tratto essenziale del divenire, la sua innocenza, che
invece il gioco, con il suo innegabile riferirsi allinfanzia, alla volubilit, al
rivolgimento subitaneo dei casi, allirresponsabile azione senza
conseguenze del giocatore che non paga mai il proprio errore e che
pu sempre uscire dal gioco o cambiarne le regole testimonia
irrevocabilmente. Il recupero di Eraclito assume il suo senso in quanto
egli compie, rispetto a Anassimandro, la medesima operazione che
Nietzsche sente affidata a s nei confronti della tradizione metafisica: se
Anassimandro era stato costretto a porre una realt metafisica
(lapeiron) dietro quella fisica, Eraclito nega questa dualit, la medesima
che Nietzsche toglie tra mondo vero e mondo apparente, riconoscendo
come unico sostrato del reale il divenire stesso che lo muove. In tal
modo la negazione della duplicit delle sfere si traduce in una
negazione dellessere, se con questo termine si intende la realt piena di
contro alla mera apparenza o qualcosa di fisso oltre il mutamento.
Linterpretazione della realt tutta in termini di lotta senza pacificazione,
e, al contrario di Anassimandro, senza giustizia, consente a Eraclito di
svincolarsi dalla necessit di conferire un senso morale al divenire, che

183
pertanto trova in s, nella sua solitaria purezza, tutto il proprio senso. Il
divenire si conferma dunque la struttura portante del mondo: Il gioco
di Dioniso il puro divenire
45
. Lazione cosmica lotta e tracotante
infierire di una forza sullaltra, il tutto legato dal sottile filo della
continuit del divenire. Ci che fa del mondo un tuttuno non una
qualche sostanza pregressa la cui graduale trasformazione dia luogo
alle cose, bens il mutamento. Limputabilit morale di questa knesis
ininterrotta sussiste e pu definirsi come ingiustizia o peccato di hybris
solo per lo sguardo umano limitato, che vede solo frammenti, e non
simboli. Il gioco del pais eracliteo simbolico proprio perch il bambino
, senza mediazione alcuna, dio e la psseia , con altrettanta
immediatezza, mondo. Identiche risultano linnocenza e lesteticit del
gesto ludico fanciullesco o artistico rispetto al divenire cosmico,
analogamente onnipotente e irresponsabile, secondo i connotati che
Fink attribuiva al gioco del mondo.

Il mondo il giuoco di Zeus o, per esprimermi in termini fisici, il
giuoco del fuoco con se stesso: solo in questo senso luno al
tempo stesso il molto.
46


Un divenire e un trapassare, un edificare e un distruggere, senza
alcuna imputazione morale, con eternamente uguale innocenza,
sono presenti, in questo mondo, unicamente nel giuoco dellartista
e del fanciullo. E cos come giocano il fanciullo e lartista gioca il
fuoco sempre vivente, costruisce e distrugge, con innocenza e
questo giuoco gioca lEone con se stesso. Tramutandosi in acqua e
terra, a somiglianza dun fanciullo innalza cumuli di sabbia sul lido
marino, ammonta e fa ruinare: di tempo in tempo riprende di
nuovo il giuoco. Un attimo di saziet, poi lo riafferra nuovamente il
bisogno, cos come il bisogno costringe lartista a creare. Non
empiet, bens sempre il risorgente impulso del giuoco chiama altri

45
FN, p. 93.
46
F. Nietzsche, La filosofia nellet tragica dei Greci, cit., p. 240.

184
mondi alla vita. Talora il fanciullo getta via il suo trastullo: ma ecco
che subito ricomincia con estro innocente. Appena per costruisce,
connette, incastra e foggia a misura di norma e secondo le sue
interiori regole.
47


Il gioco riesce dunque a tenere uniti gli opposti, in quella
dinamica armonia che un frammento eracliteo descrive nei termini della
tensione dellarco: in Eraclito Nietzsche scova la nozione di gioco come
possibile spiegazione dello svolgersi della dialettica tra Apollo e Dioniso,
tra uno e molteplice, tra essere e apparire. Il gioco consente di reperire
nellesperienza umana una forza che, riproposta sul piano cosmico,
cancella linsanabile contraddizione del divenire. Il fanciullo-artista e
Zeus-fuoco sono impegnati nella medesima attivit innocente che
sposta i pezzi e fornisce nuove configurazioni delluniverso. Nietzsche
non si fa scrupoli nellindividuare il ruolo del gioco come chiamata di
altri mondi alla vita. Il fanciullo agisce in tal senso esattamente come il
mondo, allontanando e riprendendo in mano il giocattolo con assoluto
arbitrio e, al tempo stesso, con immane seriet. La solida bellezza di una
conformazione cosmica trova giustificazione nellimpegno profuso dal
fanciullo cos come dal fuoco, che mettono tutta la propria forza
produttiva al servizio dellordine, in ogni caso universale, di cui
intraprendono la creazione. In questo senso ogni realizzazione ludica ha
una sua sensatezza e un suo corretto modo dessere abitata e agita,
ogni configurazione ha le proprie regole e il giocatore sa di doverle
rispettare, a meno che non voglia uscire dal gioco o sia tanto
potentemente creativo da poterlo riconvertire su altre basi. Estro
innocente e regola interiore si mescolano ambiguamente e consentono
lapparire sempre mutevole dellente: la regola vale entro il gioco, entro

47
Id., ibidem, p. 242.

185
quello specifico e temporaneo incastro, ma solo lestro riprende ogni
volta le fila del gioco. Linnocenza del divenire laspetto su cui
Nietzsche insiste maggiormente, dunque, senza per scordare mai la
seriet del giocatore.
Luomo greco sapeva, con la sua consapevolezza dionisiaca,
cogliere laspetto terrificante e assurdo dellesistenza nella sua
indomabilit, e proprio tale contemplazione lha costretto a creare le
forme ordinate e luminose dellOlimpo per salvarsi dalla distruttivit
dellebbrezza del caos e del divenire incessante. La tragedia, potenza
apollinea del dionisiaco, mostra lunit dei due impulsi in una fratellanza
che continuit e non opposizione. Il tragico dunque principio
ontologico in senso pieno, dal momento che larte non rivelativa solo
perch rappresenta contrasti insolubili e la conflittualit dellessere, ma
perch mostra in fieri linfinita poieticit del reale, che costretto a
creare e distruggere in continuazione: Il tragico diventa cifra simbolica
dellinfinito movimento del creare e del distruggere della vita, assoluta
potenza che, per sovrabbondanza, prolifica differenze, determinazioni,
individui, per poi oltrepassarli
48
.
Il medesimo movimento diveniente quello riconosciuto
secondo Nietzsche da Eraclito, ma non viene tradotto dal pensatore di
Efeso in tragedia: questultima si mostra in ultima analisi insufficiente a
reggere la contraddizione, dal momento che, in quanto messa in scena,
tende a sciogliere le passioni con intento catartico, santificando la vita,
come ama dire Nietzsche, a posteriori, con un passaggio necessario
attraverso un dolore e una riconciliazione. Nietzsche trova in Eraclito il
gioco come principio ontologico che non necessita di alcuna

48
M. Gargano, op. cit., p. 61.

186
giustificazione della vita o soluzione della contraddizione, senza
bisogno di una dialettica che ricomponga in sintesi la contraddizione
dal momento che non vi nulla da ricomporre, ma un riconoscimento
della sacralit della vita prima di ogni sua santificazione rappresentativa
e olimpica
49
. Nietzsche stesso, infatti, che riconosce la patina
rappresentativa del tragico come qualcosa che va oltrepassato, per
recuperare lautentica gioia dionisiaca della vita. La messinscena
propone invece, con le sue lucenti apparenze, una consolazione
metafisica, che coagula per un attimo il movimento delle forme e
pertanto ne disconosce lincessante movimento
50
.
Se la tragedia non sufficiente, invece, il gioco davvero, come
nel passaggio citato, la cifra delloperare del principio primordiale, sia
esso fuoco o Zeus, in una sinusoide ininterrotta di creazione e
distruzione incoscienti e innocenti. Dioniso lin-differenza ambigua e
primigenia di animalit e divinit, gioia e dolore, forza e fragilit, senza
una lingua comprensibile agli uomini, ma grido che proviene dalle
viscere della terra. Apollo il suo momento dialettico che, tuttavia, con
la sua semplice apparizione, gi notifica il proprio scacco, dimostrando
una resistenza inferiore rispetto allindistinto dionisiaco. Lintreccio di
innocenza e impermanenza conferisce al gioco il rango di principio
ontologico pi adeguato del tragico, di cui tuttavia riproduce il senso di
equilibrio in tensione non rivolto al ristabilimento di una

49
Nietzsche abbandona ogni consolazione metafisica concessa dallarte di fronte
alla lacerazione tragica, e abbraccia una concezione della vita che non la santifichi
perch la riconosce gi sacra. [Id., ibidem, p. 60].
50
F. Nietzsche, La nascita della tragedia, cit., p. 111.

187
ricomposizione, ma al mantenimento della tensione stessa in quanto
unica modalit possibile di corrispondenza al corso del mondo
51
.

Ma dite, fratelli, che cosa sa fare ancora il fanciullo che neanche il
leone sapeva fare? Perch deve ancora il leone predatore diventare
fanciullo?
Innocenza il fanciullo e oblio, un ricominciare, un gioco, una
ruota che ruota da sola, un primo impulso, un santo dir s.
S, per il gioco del creare, fratelli, c bisogno di un santo dir s: ora
lo spirito vuole la sua volont, il perduto-per-il-mondo conquista
per s il suo mondo.
Tre metamorfosi vi ho nominato dello spirito: come lo spirito
divenne cammello, e leone il cammello, e il leone alla fine
fanciullo.
52


Il celebre brano dello Zarathustra appena citato fa parte del
primo discorso tenuto da Zarathustra, Delle tre metamorfosi, che
introduce la tematica centrale della prima parte dellopera: lemergere
del superuomo dallaffermazione della morte di dio. Fink considera lo
Zarathustra il punto darrivo della formulazione costruttiva della filosofia
di Nietzsche
53
: le successive opere niciane costituirebbero in qualche
modo la concreta applicazione di questa introduttiva consapevolezza di
dover diventare fanciulli per recuperare lautentico spirito poetico che
deve animare la vita. Le tre metamorfosi indicate da Zarathustra
costituiscono i momenti di un passaggio travagliato e impegnativo dalla
meschinit dellultimo uomo alla libert spirituale del superuomo che,

51
Cfr. R. Pistorio, op. cit., pp. 69-73.
52
F. Nietzsche, Cos parl Zarathustra, cit., p. 45.
53
Cos si esprime, infatti, Fink: Lo Zarathustra ha raggiunto il suo culmine nella
terza parte. Con questa si chiude lo sviluppo progressivo del pensiero principale di
Nietzsche. E qui ci dovrebbe anche essere la fine naturale dellopera. [FN, p. 177].
Scrive ancora, pi oltre, Fink: La fase che segue lo Zarathustra appartiene alla parte
negativa nella parola e nellazione del compito di Nietzsche. Se lo Zarathustra la
parte costruttiva della sua filosofia, le opere che seguirono sono la parte
distruttiva. [FN, p. 183].

188
passando attraverso la morte di dio, recupera la terra, cio la possibilit
di creare nuovi mondi e valori. La produzione posteriore di Nietzsche,
secondo Fink dominata dalla preoccupazione del rovesciamento dei
valori, che si delinea come filosofia del martello in analogia con
loperazione di sgrossamento della pietra operata dallartista allorch
dal blocco informe deve ricavare i tratti della statua. Lo spirito, divenuto
fanciullo, ora in grado di operare pienamente come plasmatore del
proprio mondo, a immagine e somiglianza dellincessante creativit del
principio dionisiaco che governa luniverso. Lo spirito fanciullo
corrisponde cio, con il proprio agire non rigido e non sistematizzato,
alloperare del principio cosmico.
Il passaggio cammello-leone-fanciullo pu apparire paradossale
non tanto perch si tratta di unevoluzione dallanimale alluomo,
quanto perch il punto darrivo costituito da ci che
cronologicamente, nelle et della vita umana, compare per primo:
tuttavia, come lo scandaglio del saggio di Kernyi sul fanciullo cosmico
ha ben mostrato, la figura del bambino non segnala mai, come
archetipo mitico, una fragilit e unincompiutezza, ma anzi, la potenza
primigenia dello slancio creativo; realmente, la nascita di un nuovo
mondo. Il bambino di Nietzsche il frutto di un percorso doloroso e
faticoso, che porta con s le cicatrici di questo itinerario, insomma un
fanciullo consapevole di essere tale. Del resto, lo stesso Nietzsche
reputa inutile e fallace la divisione in et della breve esistenza umana,
conosce perfettamente la permanenza dello spirito fanciullesco in ogni
istante della vita delluomo, solo che, come ben stigmatizza in Umano,
troppo umano, luomo dimentica lessenzialit per la propria vita di
illusioni e gioco e trasforma il racconto di una favola e il contenuto di

189
un gioco nelle seriose guide della propria condotta. Il fanciullo eterno
nelluomo, come recita lomonimo aforisma, solo che perde la propria
innocente coscienza di sognatore.

Leterno fanciullo. Noi crediamo che la fiaba e il giuoco
appartengano alla fanciullezza: miopi che siamo! Come se in una
qualsiasi et della vita potessimo vivere senza fiaba e senza
giuoco! Certo, li chiamiamo e li consideriamo diversamente, ma
proprio ci dice che sono la stessa cosa perch anche il fanciullo
considera il giuoco come il suo lavoro e la fiaba come la sua verit.
La brevit della vita dovrebbe metterci in guardia contro la
divisione pedantesca delle et - come se ognuna portasse
qualcosa di nuovo e dovrebbe venire un poeta a rappresentare
luomo di duecento anni, quello che veramente vive senza favole e
senza gioco.
54


Il cammello la figura rappresentativa del disprezzo idealistico
per la semplicit e limpermanenza della vita quotidiana, considerate
senza valore rispetto ai pesanti ordini di unideologia morale e
conoscitiva apparentemente insindacabile. Il cammello dunque
pesantezza e obbedienza assoluta a un tu devi apparentemente
imposto dallordine delle cose e in realt frutto di una troppo umana
sublimazione di impulsi ben poco nobili e alti. La sua trasformazione nel
leone certifica indubbiamente unacquisizione di forza e libert, un
passaggio dal tu devi a un io voglio che scardina le gerarchie di
valori riconosciute, ma ancora, come nota Fink, simbolo di una libert
negativa, piuttosto il riconoscimento di unalienazione per troppo
tempo inavvertita nellillusione della trascendenza dei valori umani
55
. La

54
F. Nietzsche, Umano troppo umano, II, in Opere di F. Nietzsche, cit., vol. IV, t. 3,
p. 100.
55
Ma questa libert del leone, che dice No, che rifiuta Dio, la morale oggettiva e la
cosa metafisica in s, e le intuisce come illusioni di unalienazione idealistica, non
la libert radicale: essa soltanto una libert negativa, libert da, non libert di.
[FN, pp. 130-131].

190
volont del leone, sottolinea Fink, ancora troppo voluta e artificiosa,
come il movimento di un ballerino che ancora non abbia assimilato la
scioltezza del passo di danza e mostri la fatica e la concentrazione nei
tratti del volto. Solo il fanciullo invece il danzatore perfetto e luomo,
come testimonia il passo di Umano, troppo umano citato, resta
eternamente un fanciullo, integralmente occupato dalla propria capacit
creativa, salvo dimenticarsene e irrigidirsi in forme consuete e abituali,
pi per paura che per convinzione, ma finendo con lassuefarsi ad esse e
considerarle le sole vere e degne di essere rispettate. Il gioco del
fanciullo la concreta estrinsecazione della sua libert creativa,
interamente rivolta alla costruzione di mondi, progetto ludico di universi
di valori via via oltrepassantisi. Se Fink sottolinea che il gioco, nel
discorso delle tre metamorfosi, resta il gioco umano che pone valori e
non si manifesta ancora come il gioco universale dionisiaco, che d
luogo alla dialettica di presenza-assenza delluniverso fenomenico
56
, va
osservato che la figura del fanciullo si associa direttamente a quella del
pais eracliteo tante volte citato da Nietzsche nelle sue opere giovanili, e
dunque a una creazione molto pi estesa e radicale di quella
meramente umana, decisamente divina e letteralmente cosmopoietica.
Infatti cammello, leone e fanciullo sono s tre tipologie di pensiero, ma
anche unascesi e un ritorno per raggiungere lassoluta libert del creare
che riconnette allinnocente e spontaneo gioco del mondo
57
. Come
lilluminante frammento eracliteo sosteneva, il tempo un bambino che
gioca, perch solamente un dio-bambino pu dar luogo alla il-logicit
bella, e a un tempo dolorosa, del lavoro senza fatica che il mondo nel

56
Cfr. Id., ibidem, p. 130.
57
R. Pistorio, op. cit., pp. 74-75.

191
suo momento creativo: Il fanciullo diventa cosmico e il cosmo diventa
fanciullo: ad unirli la dimensione del ludus
58
.
In questa specularit luomo trascende se stesso, come sosteneva
Fink, e diventa oltreuomo, perch sa stare in bilico come il funambolo
59

entro lambiguit tragica del vivere, che si fa al tempo stesso gioia del
creare, nel momento in cui sia venuta alla luce tale metamorfica
presenza del reale come unica verit del mondo e, dunque, delluomo
stesso. Il fanciullo, prodotto dallultimo passaggio della trasformazione
dello spirito, coniuga innocenza e oblio: sa cio non prendere sul serio
lo strato di roccia su cui vive e scava con assoluta irresponsabilit, quasi
senza accorgersi di frantumarla. Il gioco, inteso come ruota semovente,
allude immediatamente al divenire cosmico e allanello delleterno
ritorno delluguale, inscindibilmente e ambiguamente intrecciato con la
carica innovativa e dirompente della volont di potenza. Questo gioco
tra eterno ritorno e volont di potenza il movimento ludico del
divenire del mondo osservato al microscopio nelle sue strutture ed
quel rapporto che va indagato per comprendere a quale gioco giochi il
mondo. Se la creazione fanciullescamente continua induce
allaffermazione della vita, dal momento che recupero dellorigine
cosmica delluomo, suo ponte nuovamente gettato per comprendere il

58
Id., ibidem, p. 77.
59
Il funambolo unaltra figura presente nello Zarathustra. Cfr. F. Nietzsche, Cos
parl Zarathustra, cit., pp. 34-36. Il discorso proemiale sul superuomo interpretato
dalla folla come un annuncio del funambolo che sta per esibirsi sulla piazza. Le
parole di Zarathustra restano incomprese, ma, daltro canto il folle coraggio del
funambolo rappresenta mediatamente proprio il precario equilibrio su cui sa
muoversi il superuomo, che, tuttavia, a differenza del funambolo reale che cadr
rovinosamente al suolo, sa comportarsi come il buffone e, apparentemente
barcollando sulla fune sottile, sapr mantenere la propria posizione e sconfiggere
la seria compostezza del funambolo professionista, che cade e muore come
lultimo uomo dinanzi allavvento del superuomo.

192
mondo e affermare la propria irrinunciabile appartenenza ad esso,
lequivalenza gioco-divenire va indagata nei suoi momenti strutturali e
questi temi occupano tutta la seconda e la terza parte dello Zarathustra.


5. IL SIGNORE DELLANELLO

E sapete che cos per me il mondo? Ve lo devo mostrare nel mio
specchio? Questo mondo: un mostro di forza, senza principio e
senza fine, una salda, bronzea massa di forza, che non diviene n
pi grande n pi piccola, che non si consuma ma soltanto si
trasforma, un complesso di grandezza immutabile,
unamministrazione senza spese n perdite, ma del pari senza
accrescimento, senza entrate [] piuttosto come forza dappertutto,
come giuoco di forze e onda di forza che esso in pari tempo uno
e plurimo, che qui si gonfia e l si schiaccia, un mare di forze
tumultuanti e infurianti in se stesse, in perpetuo mutamento, in
perpetuo riflusso, con anni sterminati del ritorno, con un flusso e
riflusso delle sue figure, passando dalla pi semplici alle pi
complicate, da ci che pi tranquillo, rigido e freddo a ci che
pi ardente, selvaggio e contraddittorio, e ritornando poi dal
molteplice al semplice, dal giuoco delle contraddizioni fino al
piacere dellarmonia, affermando se stesso anche in questa
uguaglianza delle sue vie e dei suoi anni, benedicendo se stesso
come ci che ritorna in eterno, come un divenire che non conosce
saziet, disgusto, stanchezza: questo mio mondo dionisiaco del
perpetuo creare se stesso del perpetuo distruggere se stesso,
questo mondo di mistero dalle doppie volutt, questo mio al di l
del bene e del male, senza scopo, se non c uno scopo nella
felicit del circolo, senza volont, se un anello non ha buone
volont verso se stesso volete un nome per questo mondo? Una
soluzione per tutti i suoi enigmi? Una luce anche per voi, i pi
celati tra gli uomini, i pi forti, i pi impavidi, i pi notturni?
Questo mondo la volont di potenza - e nientaltro! E anche voi
stessi siete questa volont di potenza e nientaltro!
60



60
F. Nietzsche, Frammenti postumi 1884-1885, in Opere di Friedrich Nietzsche,
vol.VII, t. 3, pp. 292-293. Sottolineature mie.

193
Con questo grandioso aforisma in cui, scrive Fink, tutto si trova
riunito
61
, Nietzsche osa posizionarsi nel punto della genesi del mondo,
l dove la divinit getta il suo colpo docchio: lo specchio in cui
Nietzsche guarda pretende di essere il medesimo specchio giocattolo di
Dioniso che nel mito orfico simboleggia la scaturigine ludica del mondo.
La totalit dei fenomeni si genera dallunit di una sola immagine divina
che si riflette in se stessa; pertanto a questo specchio che bisogna
tornare per vedere in esso come si muove e gioca il mondo, riflesso di
Dioniso.
Nello specchio cosmico Nietzsche osserva un ribollire di forze
limitate il cui configurarsi deve necessariamente ritornare identico, data
la finitezza del numero delle forze rispetto alleternit del tempo. Egli
concepisce il divenire come un diverso comporsi e scomporsi delle
forze, nei termini chimico-biologici di contrazione e espansione, ma,
soprattutto, insiste sullincessante dinamicit cosmica, che mai trova
riposo. Nietzsche associa ambiguamente la figura del circolo e
dellanello allinesauribilit della volont di potenza e trova la
composizione del conflitto, non nel senso dellannullamento, ma della
compresenza dei contendenti, nella figura di Dioniso. Ma ancor pi
essenziale che lunit cos ottenuta sia esplicitamente notificata come
gioco: sia la dialettica tra apollineo e dionisiaco che quella tra eterno
ritorno e volont di potenza sono riportate a un ludico sdoppiamento
che si riconcilia in continuazione. Il mondo il tutto vivente, come lo
concepiva Platone nel Timeo, ma esplicitamente questa vita dichiarata
gioco senza scopo, spesso contraddittorio, ma piacevole e infine
armonico, non sottostante a alcun progetto archetipico di un

61
FN, p. 145.

194
intelligente demiurgo. Il circolo si associa a questa insensatezza, cos
come il concetto di affermazione e lotta fa da contrappunto rispetto
allapparente fissit della circuitazione, introducendo la componente pi
propriamente creativa e innovativa del gioco. Inoltre, laffermazione
finale, che accomuna mondo e uomo entro lalveo della volont di
potenza, lascia affiorare una prospettiva analoga allidea di gioco come
simbolo del mondo proposta da Fink: luomo, parte del mondo, si gioca
in esso con le medesime regole e mosse di quel movimento cosmico
di cui fa parte, cio, nei termini di Nietzsche, come volont di potenza. A
questo proposito il ritorno alla terra, cos spesso proposto da Nietzsche
come compito per luomo che voglia riscoprire il giusto modo di stare al
mondo, consiste soprattutto nella percezione della terra come essenza
generatrice, come produzione da cui deriva alluomo la potenza
creatrice che lo contraddistingue: ritrovare la terra significa sostare nello
spazio della creazione da cui emerge anche luomo, che proprio per
questo sa fare e costruire
62
.
Lintuizione essenziale contenuta nelle righe niciane resta tuttavia
lacquisita consapevolezza della necessaria convivenza delleterno
ritorno con la volont di potenza entro il gioco del mondo: il cosmo non
ha senso e meta proprio perch i sensi sono in esso, sgorgano entro il
suo gioco, sono voluti in esso, ma mostrano il loro aspetto finito nella
necessaria dinamica di oltrepassamento richiesta dalla temporalit.
Lapertura al futuro promossa dalla volont di potenza si determina
come superamento incessante di mete raggiunte, pertanto il creare
stesso distruggere lesistente per il non ancora presente. La vita della

62
Cfr. le riflessioni finkiane sullidea di terra in Nietzsche in FN; in particolare pp.
136-137.

195
terra volont di potenza in quanto la terra la non-presenza che d
lessere. Il problema nodale, tuttavia, della comprensione del pensiero
del gioco niciano, rappresentato dal fatto che il tutto cosmico
concepito al tempo stesso come eterno ritorno delluguale. Questo
fattore sembra annullare la produttivit della volont di potenza e resta
sicuramente uno dei nodi pi ermetici del filosofare di Nietzsche. Fink
sottolinea bene come sia lo stesso pensatore delleterno ritorno a
falsare spesso la comprensione del concetto che egli stesso ha
intravisto, a scivolare nellincomprensione del nano che sta sulle spalle
di Zarathustra nel capitolo La visione e lenigma
63
: Nietzsche cade alle
volte nella tentazione di concepire semplicemente leterno ritorno come
cerchio, che, pure, si oppone alla visione comune di un tempo come
successione lineare di istanti in una fuga infinita. Il rischio, a quel punto,
la caduta in un fatalismo per cui se tutto ritorna, significa che tutto
gi accaduto e, pertanto, qualunque azione risulta vana ai fini del
cambiamento del destino e del corso delle cose. Tuttavia, la grande
intuizione di Nietzsche consiste proprio nel fatto che, nel giro che ogni
volta si intraprende dallinizio, si pu anche vedere, oltre a un
superficiale tutto gi stato, la dirompente carica di un tutto ancora da
fare. Il gioco, in fondo, nella comune esperienza, non altro che
variazione sul tema, ripetizione entro il medesimo campo di gara di
azioni codificate che producono tuttavia esiti differenti nelle
impercettibili e individuali variazioni dellesecuzione dei gesti e delle
mosse. Lo stupore e il piacere inesauribile di un gioco giocato molte

63
Cfr. F. Nietzsche, La visione e lenigma, in Cos parl Zarathustra, cit., pp. 178-
184. In particolare: Tutto ci che diritto mente borbott sprezzantemente il
nano. Ogni verit curva, il tempo stesso un circolo (p. 181); tuttavia,
Zarathustra il primo a ribattergli di non semplificare troppo la questione.

196
volte consiste in questa impossibilit di stabilirne a priori lesito,
nonostante se ne conoscano a menadito le regole. Il grande problema
cosmologico della convivenza tra fatalismo e novum assoluto di una
decisione che condiziona leternit si scioglie nellosservazione empirica
di un qualunque gioco. In questa evidenza pratica della soluzione
risiede la forza esplicativa del gioco come ipotesi ontologica. Non
sembra pi un problema, osservata una qualunque gara sportiva o una
partita a scacchi, giustificare una complessa concezione del tempo
come contemporaneamente chiuso e aperto, in cui il passato decide il
futuro, ma in cui il futuro vuole e costruisce il proprio passato
64
. La
volont di potenza desiderio di forma e forte stabilit, mentre leterno
ritorno travolge le forme, rende ogni futuro gi ripetizione e dunque gi
passato. In questo senso il gioco del fanciullo, risultato della terza
metamorfosi, non potrebbe essere pi simile al gioco del mondo:
linnocenza speranzosa del creare nuovi mondi assieme oblio, inutilit
di ogni volere in quanto destinato a essere riassorbito, forgiare per
corrispondere al principio del divenire e assieme volont della propria
distruzione proprio nellunitario principio generante. Non a caso in quel
contesto Zarathustra fa riferimento alla figura della ruota che gira su se
stessa, cos simile alla medievale ruota della fortuna, che annulla tutte le
coordinate e i giudizi di valore. Cos, se la volont di potenza

64
Il pensiero del ritorno annulla il contrasto di passato e futuro, o, meglio, d al
passato il carattere di possibili aperture proprie del futuro e al futuro limmobilit
del passato. Entrambi trapassano straordinariamente luno nellaltro; il tempo
limmobile e contemporaneamente laperto, il gi stabilito e ci che ancora da
decidere; il passato ha il carattere del futuro e il futuro quello del passato. La
volont pu ora volere non solamente nel futuro, e mentre vuole nel futuro vuole
anche nel passato; il tempo perde la sua univoca direzione; si agitano gli immutabili
confini dellusuale comprensione del tempo. [FN, p. 150].

197
individuazione e finitezza, leterno ritorno d a ogni estrinsecazione
finita di questa volont il marchio dellinfinito, cio del mondo.
Nietzsche ha dunque individuato secondo quali traiettorie si
gioca il gioco del mondo, congiungendo volont di potenza e eterno
ritorno. Soltanto lo sguardo rivolto al gioco del mondo, aperto alla
scoperta dellinganno apollineo e del suo radicamento nella forza
creatrice dionisiaca, alla danza e al girotondo del nascere e del perire
degli enti, consente alluomo lesperienza panica dellarmonia con il
mondo entro lesperienza del gioco. Non stupisce allora che Fink
individui proprio nel gioco il concetto chiave che fa s che Nietzsche
fuoriesca dalle secche dualistiche della metafisica per proporre un
modello di vita che consenta alluomo di reimmergersi nella terra
attraverso il proprio gioco, in quanto ne riconosce il legame con il gioco
cosmico. La conclusione della filosofia di Nietzsche emblematica, l
dove stabilisce lequivalenza tra superuomo e giocatore non nel senso
di unassoluta libert entro cui si troverebbe lumanit rinnovata, quanto
come riconoscimento dellintimo svolgersi del mondo e sua
accettazione come necessario campo in cui muoversi. Accettare di
giocare in quanto si inevitabilmente compagni di gioco di un mondo
essenzialmente ludico il significato profondo dellamor fati, del santo
dir s che, inconsapevolmente e innocentemente allopera nel fanciullo
che gioca, il punto darrivo del superuomo niciano.
Il gioco, dunque, pi che come una spiegazione concettuale, va
guardato nel suo proporsi allo sguardo dello spettatore e allesperienza
del giocatore nella trasparente trama dei suoi atti. In tal modo,
plasticamente, si tratteggia il suo essere metafora cosmica.


198

6. LE REGOLE DEL GIOCO

Il gioco umano si manifestato in queste pagine nella sua
precipua qualifica di metafora cosmica in senso pieno, in quanto le sue
dinamiche sono apparse consustanziali e derivate dal gioco del mondo.
Tuttavia occorre ancora comprendere quale sia la specificit del gioco,
che lo distingue dalle altre attivit delluomo consentendogli di proporsi
come chiave di lettura possibile del divenire del mondo. Quali
caratteristiche fanno del gioco un gioco? In altre parole che cosa
facciamo quando giochiamo? A un tentativo di definire il gioco
smarcandosi da troppo unilaterali o, viceversa, troppo vaghe,
delimitazioni e a unanalisi delle strutture ludiche dedicato un
interessante saggio di Colas Duflo, Jouer et philosopher, le cui
argomentazioni sono attente a preservare la concreta osservazione della
prassi ludica da ogni indebita semplificazione e idealizzazione, quale
unico modo per comprenderne leffettiva unicit nel panorama delle
azioni umane e la sua portata euristica nei confronti dellesperienza del
mondo.

Gioco unazione, o unoccupazione volontaria, compiuta entro
certi limiti definiti di tempo e di spazio, secondo un regola
volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera
assoluta, che ha un fine in se stessa, accompagnata da un senso di
tensione e di gioia, e dalla coscienza di essere diversi dalla vita
ordinaria.
65

.
La definizione fornita da Huizinga allinizio di Homo ludens
rappresenta un punto di partenza imprescindibile per la considerazione

65
J. Huizinga, op. cit., p. 35.

199
delle peculiarit del gioco: il procedimento usato quello di un elenco
di criteri che, nel loro accumulo, darebbero conto delle complesse
interazioni presenti nellattivit ludica. Huizinga individua dunque alcuni
tratti fondamentali del gioco, che risulterebbe essere:
unazione liberamente scelta;
unattivit limitata nel tempo e nello spazio: questa particolare
dimensione del gioco, cui gi si accennato, quella che struttura la
specifica capacit del gioco di fare mondo;
unattivit regolata da leggi imperative, tuttavia istituite ad hoc per il
gioco e non pregresse;
unattivit che esaurisce in s il proprio senso e non mira ad alcun
fine ulteriore, tanto che, una volta che il gioco terminato, come
se nulla fosse accaduto; da ci deriva il comune disprezzo per il
giocatore, considerato un perdigiorno;
una fonte di gioia e tensione: questo tratto pu essere interpretato
in due modi, a seconda che si intenda come punto di partenza la
psicologia del giocatore oppure lincertezza degli esiti del gioco;
un cosciente sdoppiamento della realt vissuta, dal momento che il
gioco si mostra apertamente come estraneo alla vita ordinaria.

A parere di Duflo questa strategia additiva, seguita da Huizinga e,
sulla sua scia, da Caillois
66
e da Henriot
67
, non rende giustizia della

66
Lanalisi precedente ci consente gi di definire essenzialmente il gioco come
unattivit:
libera: a cui il giocatore non pu essere obbligato senza che il gioco perda subito la
sua natura di divertimento attraente e gioioso;
separata: circoscritta entro precisi limiti di tempo e di spazio fissati in anticipo:

200
specificit del gioco, dal momento che si mostra troppo comprensiva e,
pertanto, scarsamente esplicativa. In particolare, inoltre, nel caso di
Henriot, si assiste al riconoscimento di una presunta preponderanza del
tema o fine ludico rispetto alle regole, mentre, sottolinea Duflo, lo
scopo del gioco non solo inseparabile dalle regole, ma una regola a
sua volta, che fa parte integrante del sistema di regole che governano il
gioco. Non pu esistere lo scacco matto al di fuori delle regole degli
scacchi, non per unimpossibilit pratica, ma semplicemente perch il
senso di quello scopo generato da tutto il sistema delle regole.
Proprio questa specificit dello scopo del gioco come regola esso stesso
lo distingue dallestrinsecit degli scopi rispetto allazione, tipica del
lavoro e, in genere, di ogni attivit umana. Lidea perseguita da Duflo
nel suo saggio quella di recuperare nel gioco la dialettica di regola e
libert quale istitutiva del gioco stesso. Sulla scia di Schiller, infatti, ogni
studioso che si sia occupato del gioco ha esaltato la sua capacit di
mediazione tra istanze contraddittorie quali, ad esempio, ragione e
sentimento. Il gioco si dichiara dunque nella sua essenza uno spazio di
incontro, nel duplice significato di incontro, da un lato amicizia e

incerta: il cui svolgimento non pu essere determinato n il risultato acquisito
preliminarmente, una certa libert nella necessit dellinventare essendo
obbligatoriamente lasciata alliniziativa del giocatore;
improduttiva: che non crea, cio, n beni, n ricchezza, n alcun altro elemento
nuovo; e, salvo uno spostamento di propriet allinterno della cerchia dei giocatori,
tale da riportare a una situazione identica a quella dellinizio della partita;
regolata: sottoposta a convenzioni che sospendono le leggi ordinarie e instaurano
momentaneamente una legislazione nuova che la sola a contare;
fittizia: accompagnata dalla consapevolezza specifica di una diversa realt o di una
totale irrealt nei confronti della vita normale. [R. Caillois, op. cit., p. 26].
67
Chiamiamo gioco ogni processo metaforico risultante dalla decisione presa e
mantenuta di mettere in opera un insieme pi o meno coordinato di schemi
coscientemente percorsi come aleatori per la realizzazione di un tema
deliberatamente posto come arbitrario. [J. Henriot, Sous couleur de jouer: la
mtaphore ludique, Corti, Paris 1989, p. 300. Trad. it. mia].

201
confluenza, dallaltro scontro agonistico, partita da giocare sino in
fondo, come il linguaggio comune sa bene allorch denomina
incontro la sfida tra due contendenti. Nel gioco infantile, spesso,
inoltre, il gruppo di amici si divide in compagini che si contendono la
palma della vittoria: lamico si traduce in avversario e altri, invece,
magari inizialmente estranei, si trasformano in compagni, nellambito di
incontri che invitano a misurarsi (ovvero a incontrarsi) con se stessi, ma,
soprattutto, stimolano uno spirito di corpo che, costituendo e fissando
degli obiettivi, consente di impegnarsi a fondo in quel gioco, con
entusiasmo e correttezza, perch rispetto per lavversario soprattutto
mettere in gioco tutto il proprio impegno e le proprie abilit per
consentirgli e costringerlo a esprimersi al massimo, costruire il suo
spazio insieme al proprio. La necessit di una tale presa su di s della
dignit di chi sta contro lascia cogliere la relativit di questa rivalit, pur
nellassolutezza proficua della rivalit nel momento in cui ci si trova a
viverla. La ricchezza del gioco emerge proprio dal contatto in esso
promosso con unalterit radicale, da accettare come compagna e
avversaria: nel linguaggio sportivo, spesso paradossale, si parla di
ospite per definire lavversario che viene da fuori. Lhostis convive
con lhospes, cui legato da una curiosa assonanza, nella medesima
persona, colui che va affrontato deve essere contemporaneamente
rispettato, lasciato giocare secondo il suo stile, e accolto, poich solo la
sua presenza ingombrante consente al gioco di giocarsi, solo la sua
distanza e la sua divisa di colore differente permettono un affrontarsi
che innanzitutto un confrontarsi. Il gioco per sua natura uno spazio
ambiguo, contraddittorio dal punto di vista di una logica rigidamente
dicotomica, proprio perch consente la convivenza degli opposti. Duflo,

202
in particolare, coglie in esso un peculiare dipanarsi dellincontro tra
regola e libert. La sua definizione mira proprio a sviscerare i termini di
questo rapporto entro lorizzonte ludico:

La definizione che cerchiamo dovr risolvere da s questa
difficolt. Dovr mostrare il legame specifico che si stabilisce nel
gioco tra legalit e libert. Dovr stabilire la possibilit del loro
concorso. Solo cos potr rendere conto di tutte le caratteristiche
del gioco precedentemente sottolineate. []
Definizione:
Il gioco linvenzione di una libert entro e mediante una
legalit.
68


Duflo riconosce che non tanto la prima parte della sua
definizione a generare stupore, quanto la seconda. E infatti
unanimemente riconosciuto che la libert delle mosse di un giocatore
vale entro le regole di uno specifico gioco, ragione per cui vi una
fondamentale differenza tra la decisione di giocare un certo gioco e
quelle prese invece nel corso di una partita di quel gioco. La scelta del
gioco non appartiene al gioco stesso, mentre la creativit ludica non
esiste che in situazione, in quella situazione specifica creata da questo
quadro di regole specifico
69
. La legalit ludica chiusa rispetto
allesterno del gioco, ma lascia aperto lo spazio al proprio interno per
lazione della libert: una libert regolata, il che pu intendersi in un
primo senso come laffermazione che in un gioco non si pu fare
qualsiasi cosa, dal momento che unazione vietata da una regola ludica
possiede comunque un suo senso allinterno del gioco, in qualche
modo possibile compierla, mentre sussistono azioni che non hanno

68
C. Duflo, op. cit., p. 57. Trad. it. mia. La definizione suona, in francese, cos : "Le jeu
est linvention dune libert dans et par une lgalit".
69
Id., ibidem, p. 59. Trad. it. mia.

203
senso alcuno allinterno del gioco: secondo lesempio di Wittgenstein,
non si pu porre una corona di carta sulla testa della regina degli
scacchi per renderla pi terribile alla vista e perci pi potente
70
. Non si
tratta di qualcosa di impossibile dal punto di vista pratico o vietato dal
regolamento, ma propriamente di uninsensatezza. Dal punto di vista
positivo, invece, parlare di una libert regolata significa che nel gioco
non si pu fare altrimenti che ci che la regola d la possibilit di fare.
In questo senso va intesa lespressione mediante una legalit nella
definizione proposta. In realt precisa Duflo, la comprensione piena del
fatto che la libert ludica si inscrive in una legalit conduce ipso facto
allintuizione che questa libert generata dalla regola stessa.

Non intenderemmo che cos una regola del gioco se credessimo
che essa ha per compito quello di limitare i movimenti, gli
spostamenti o di impedire delle azioni. La sua funzione tuttaltra:
al contrario quella di produrre delle possibilit dazione, di
decisione, di scelta. La regola dellarrocco negli scacchi non ha lo
scopo di limitare le possibilit di arrocco, ma di crearle. Senza la
regola, larrocco non esiste, semplicemente non ha senso. E
inventato dalla regola e, con esso, la libert di arroccare.
71



70
Spesso Wittgenstein utilizza gli scacchi come modello per la sua teoria dei giochi
linguistici e, in particolare, proprio Wittgenstein ha molto riflettuto sulla
problematica della regola nei giochi: Ora, se in questo caso non possibile un
errore, perch la mossa che propenderemmo a considerare un errore, una mossa
cattiva, non affatto una mossa del gioco (Negli scacchi noi distinguiamo tra
mosse buone e mosse cattive, e chiamiamo un errore esporre la regina ad un
alfiere. Ma non un errore promuovere un pedone a re). [L. Wittgenstein, Libro
blu, cit., p.91]. Pi oltre Wittgenstein prende posizione circa il carattere essenziale
della regola affinch un gioco possa svolgersi: Noi siamo come chi pensa che dei
pezzi di legno, modellati pi o meno come pezzi degli scacchi o della dama e
disposti su una scacchiera, formino un gioco, anche se non s detto nulla su come
essi debbano usarsi. [Id., ibidem, p. 97].
71
C. Duflo, op. cit., p. 61. Trad. it. mia.

204
Duflo si sofferma in particolare ad analizzare la questione
dellarbitrariet delle regole del gioco, ben evidente nelle definizioni di
Huizinga e dei suoi eredi, e vede in questa percezione un
fraintendimento esiziale, che non consente di cogliere lo statuto
assolutamente irriducibile del gioco: in altre strutture regolate, la regola
effettivamente arbitraria nella misura in cui esiste una libert
dellagente preesistente che la regola interviene a regolare, nel senso
del passaggio da uno stato di natura a uno stato civile dove le regole
sono fissate a scopo conservativo, per delimitare ci che si pu e non si
pu fare. La tesi di Duflo che viceversa il giocatore e la sua libert
non esistono prima del gioco
72
. E il gioco, pi precisamente, linsieme
delle sue regole, che offre la possibilit di giocarlo, istituendo il
giocatore, il giocare e la libert di questo giocare. Pertanto lessenziale,
in una regola ludica, non tanto larbitrariet, quanto la sua capacit di
essere creatrice di libert
73
. Il gioco, come si detto, sa istituire un
mondo: le vie e le rotte percorribili sono il frutto dellesplosione
assolutamente nuova di quel mondo. I suoi sensi e le sue mosse hanno
un posto esclusivamente interno a quella particolare concrezione ludica.
Da questo punto di vista le riflessioni su regola e libert non sono
affatto estranee allidea del gioco come movimento del mondo, poich
lapparenza apollinea in cui il mondo di volta in volta si manifesta,
producendo entro di s il suo ordine e i suoi significati, agendo da
ordinatore del confuso magma vitale dionisiaco, altro non che la
decisione del mondo di giocare a un determinato gioco: il giocare non
sta fuori dal dionisiaco, invece il suo proprio movimento che detta le

72
Id., ibidem, p. 62. Trad. it. mia.
73
Id., ibidem, p. 63. Trad. It. mia.

205
regole e se ne fa assorbire. La letteratura si lascia frequentemente
affascinare da figure di giocatori presi da una letterale follia da gioco,
specie nel caso dei giochi dazzardo
74
, vere e proprie forme di
autoestraneazione dal mondo ordinario in un universo ludico che risulta
ogni volta assolutamente completo, sino, talvolta, al rifiuto estremo,
attraverso il suicidio, del mondo reale, entro cui non si in grado di
giocare la propria partita, e di fronte allimpossibilit di vivere
unicamente nel mondo del gioco in cui ci si sente invece a casa
propria
75
.
Le regole consentono il gioco, nella loro assoluta infondatezza:
lecito interrogarsi rispetto allautorevolezza di una qualunque legge, ma

74
Capolavoro assoluto del genere indubbiamente Il giocatore di Dostoevskij,
curiosamente ambientato in uno spazio sacro assolutamente dedicato al gioco, la
citta di Rulettenburg, dove una ricca famiglia russa dilapida il proprio patrimonio
giocando al casin. A questo proposito Bachtin, nella sua monografia su
Dostoevskij, inserisce il fenomeno del gioco entro il suo paradigma carnevalesco,
ribadendo cos il carattere di cerchio conchiuso e isolato entro cui si compie lintero
destino secondo rivolgimenti improvvisi e fatali: La natura del gioco carnevalesca
[] Persone di diverse posizioni (gerarchiche) nella vita, affollandosi al tavolo della
roulette, vengono livellate sia dalle condizioni del giuoco, sia di fronte alla fortuna,
al caso. Il loro comportamento al tavolo della roulette esula dalla parte che esse
recitano nella vita normale. Latmosfera del gioco unatmosfera di bruschi e
improvvisi cambiamenti della sorte, di ascese e di cadute improvvise, cio di
incoronazioni-scoronazioni. La puntata simile a una crisi: luomo si sente come se
fosse su una soglia. Anche il tempo del gioco un tempo particolare: anche qui il
minuto equivale ad anni.
La roulette diffonde la sua influenza carnevalizzante su tutta la vita che la circonda,
quasi su tutta la citt che Dostoevskij non a caso chiama Rulettenburg [M.
Bachtin, Dostoevskij: poetica e stilistica, Einaudi, Torino 2002, pp. 224-225]. Il gioco
si riconferma dunque luogo di passaggio, soglia critica, attimo in cui si concentra
una comprensione totale dellesistenza e tutta la sua variegata complessit.
75
Cfr. V. Nabokov, La difesa di Luzin, Adelphi, Milano 2001: il romanzo si occupa del
conflitto tra genio e normalit, volont e predestinazione, esistenza quotidiana e
fatalit; , inoltre, come rivela il titolo, che allude a unimmaginaria mossa ideata dal
protagonista, una storia di scacchi, una lunga partita giocata contro la vita. Al
centro del romanzo si situa la figura del giovane Luzin, inerme e debole di fronte
alla vita, che, grazie agli scacchi, ottiene una potenza che lo sospinge molto al di l
dellordinariet, ma lo conduce infine al suicidio dinanzi allinconciliabilit dei due
mondi.

206
non circa la legittimit di una regola ludica, dal momento che instaura
delle libert non preesistenti; essa permette il gioco in senso forte, non
perch non lo vieta, ma piuttosto perch la condizione di possibilit
del suo avvenire. Duflo discute la tesi della volontariet del gioco
insistendo sul fatto che la libert della decisione di giocare non inficia la
sua posizione, che si riferisce alla libert interna al gioco. Tuttavia,
provenendo dalla lettura di Fink e di Nietzsche, si pu affermare che,
allorch si interpreti il mondo come gioco, non vi alcun momento
dellumano che possa definirsi fuori dal gioco stesso.
Conseguentemente, ogni libert umana ha i tratti della libert ludica,
cio un movimento allinterno di determinate pratiche iscritte negli
oggetti e nei significati, un gioco inconsapevole allinterno di opzioni
consentite da regole infondate dal punto di vista strettamene logico,
nella misura in cui questa stessa logica anchessa solo un gioco
possibile con le cose, un modo tra gli altri di orientarsi nel mondo, nel
suo gioco che avvolge le cose, facendole accadere senza fondamento
in un modo o nellaltro. Ogni spiegazione si scontra con limpossibilit
di uscire dal gioco, pur nel tentativo costante di sfondarne le barriere e
di sedersi sugli spalti osservandolo con la distanza dello spettatore.
Quanto facile dalle gradinate di uno stadio vedere quali spazi lasci
liberi lavversario, quale sarebbe il passaggio pi giusto al compagno
smarcato, quale langolo della porta lasciato libero dal portiere o lo
spazio in cui il ricevitore non potr mai arrivare. Ma, dentro il gioco,
bisogna accontentarsi della visione concessa dal ruolo che lallenatore
ha assegnato e osservare la disposizione dei compagni senza conoscere
come si muover lavversario. Il gioco risulta paradigmatico della
condizione delluomo non perch, considerando il mondo come gioco,

207
egli si riconosce trastullo nelle mani della divinit capricciosa, come
pure certe conclusioni di Fink o di Platone lasciano credere, ma perch,
come ha intuito Nietzsche, il giocatore sa, ed questo un tratto
giustamente individuato da Huizinga, che sta facendo per finta,
pertanto in grado di riconoscersi giocatore anche fuori da quel che
propriamente gioco, di tradurre il modello ludico come momento
critico-distruttivo, come riso dissacratore del carnevale, dinanzi agli
schemi presi troppo sul serio. Se il mondo un gioco, luomo non pu
che giocarvi, comprendersi come giocatore giocato e insieme giocante
proprio sperimentandosi come tale nei giochi che inventa e a cui d
questo nome e che, paradossalmente, non hanno uno statuto differente
dagli altri edifici che egli costruisce nella vita reale. Ogni libert del
giocatore contestuale poich la sua mossa ha senso e corso solo
allinterno dei significati riconosciuti entro quel gioco, ma tutto questo
non diverso da quel che accade a ogni uomo che si muove entro le
configurazioni assunte dalla sua cultura e, ancora pi in grande, entro i
modi in cui il mondo si d regole e variazioni proprie.
Ogni giocare la storia della libert del giocatore, che via via si
restringe o si allarga a seconda dellefficacia delle sue mosse, ma questa
libert funziona entro una struttura: non deve stupire, allora, che si
possa chiamare la libert ludica, che poi alla luce delle ultime
osservazioni, al contrario di quello che pensa Duflo, libert tout-court,
una legalibert
76
.
Proprio le vicissitudini della libert ludica rendono cos
importante nel gioco la considerazione del tempo: un tempo che in
alcuni giochi stabilito, quanto alla durata, in modo assolutamente

76
C. Duflo, op. cit., p. 80.

208
preciso e che, in ogni caso, un tempo della vita ordinaria strappato e
ritagliato per lattivit ludica. Il tempo del gioco qualitativamente
differenziato tra il tempo della riflessione e il tempo istantaneo della
mossa, in cui si raggruma tutto. I tempi del gioco formano la trama di
un romanzo, straordinario per leggere laspetto esistenziale e anche
cosmico del gioco umano, come Il maestro di go di Kawabata
77
: il tempo
di ogni riflessione prima del colpo si iscrive nel tempo totale della
partita, che si configura come durata generale, come somma delle
durate di ciascun colpo. La medesima alternanza tra riflessione e mossa,
tra il rilassamento di chi ha gi messo le sue carte sul tavolo e chi invece
si sta accingendo a farlo, ben esemplificata dalla rappresentazione
offertane nel celebre dipinto di Cezanne I giocatori di carte.


7. STARE AL GIOCO: IL SAPERE LUDICO

La temporalit specifica del gioco, piuttosto, si distribuisce tra
lentezza della riflessione, rapidit nel susseguirsi di certi colpi
previsti in anticipo, istante del colpo propriamente detto, con il
rumore caratteristico del pedone sul goban [il tavolo di gioco del
go]. pi qualitativa che cronologica, si distingue in fasi di gioco
differenti, a seconda che ci si trovi nel tempo dellinizio, con la sua
routine stabilita, nel tempo del centro della partita o nel tempo
della fine. Ogni volta c una percezione differente dei rapporti
temporali, ma tutta larte, in ultima istanza, consiste sempre nel
saper cogliere il momento opportuno, quello che i Greci avrebbero
chiamato kairos.
78




77
Y. Kawabata, Il maestro di go, Mondadori, Milano 1995.
78
C. Duflo, op. cit., p. 95. Trad. it. e sottolineature mie.

209
Labilit del giocatore si misura dunque nel saper cogliere
loccasione, senza che una mossa sia in assoluto giusta o sbagliata, ma
piuttosto opportuna o inopportuna a seconda del momento del gioco
in cui ci si trovi a compierla. Tuttavia, come ben mostrava Nietzsche, il
gioco del mondo risiede tutto in questo continuo ritornare del tempo
del gioco, che, in modo peculiare, proprio lunica attivit che si pu
sempre ricominciare da capo, e ripetere senza stancarsi. Il gioco, come il
cerchio delleterno ritorno, chiuso in s, uno spazio magico, che si
avvolge su se stesso, ma il giocatore, come il pastore dello Zarathustra
deve aver il coraggio di inghiottire il serpente, di comprendere che il
suo riavvolgersi continuo appunto come quello ludico
79
: la possibilit
di ricominciare una nuova partita, al medesimo gioco, ma con una
libert di movimento ancora intatta. E sempre in un istante che
inghiottita tutta la durata, e il vero giocatore colui che sa cogliere
listante giusto per lazzardo: la volont di potenza e leterno ritorno
operano sinergicamente, come leccezionalit della mossa rispetto al
terreno di gioco, da cui tuttavia non pu sfuggire, pena linsensatezza
della mossa stessa e la mancata autocomprensione di s come giocatori
di quel determinato e irripetibile confronto ludico.
Ogni mossa del giocatore soddisfa unattesa e facendo ci la
ricrea
80
: infatti ogni colpo concretizza una risposta a una precedente
mossa dellavversario o volere della sorte, ma al tempo stesso pone una
nuova domanda, si rivolge al futuro cercando contemporaneamente di
non rivelarlo del tutto, di mantenersi aperte, cio, altre vie duscita da
ogni possibile chiusura operata dallavversario. E indubitabile che ci

79
Cfr. F. Nietzsche, La visione e lenigma, cit., pp. 183-184.
80
C. Duflo, ivi, p. 97. Trad. it. mia.

210
che rende ogni gioco interessante, per chi vi partecipa come per lo
spettatore, lincertezza del risultato, pur nella rassicurante cornice di
regole condivise e di schemi abituali. Cos si svolge il gioco, ma cos, si
potrebbe aggiungere, si muove lessere-nel-mondo delluomo.
Linsieme delle regole di un gioco rende possibile un infinito
numero di partite. In ci consiste laspetto pi propriamente creativo e
assieme mondiale del gioco stesso, che riesce a percepire il
dinamismo della struttura, questo gioco dellingranaggio, secondo
unespressione del linguaggio ordinario quanto mai illuminante, che va
al fondo dellimportanza della relazione tra realt e irrealt
nellesperienza ludica. La struttura regolata di un gioco propriamente
virtuale, una riserva di attualizzazioni possibili; tuttavia, attuale sempre
e solo questa o quella partita che si gioca ora e nella quale questa
struttura agisce, senza che essa sia in se stessa in un altrove iperuranico.
In questo passaggio dalla potenza allatto consiste la specifica essenza
qualitativa del tempo ludico, che , si visto, il tempo stesso del mondo
guardato come intreccio di eterno ritorno e volont di potenza. Dunque
il gioco, scrive Duflo, va inteso non come mera successione di mosse,
ma nei termini di una serie di mosse, tutte organicamente
concatenate
81
: c un principio strategico che in qualche modo
determina tutte le mosse di un giocatore, la lettura della partita. E
questa lettura quella in cui ogni uomo ininterrottamente impegnato,
alla luce delle regole del gioco. Allorch la teoria dei giochi
propriamente detta si impone di pensare al gioco come una struttura
calcolistico-combinatoria entro cui le decisioni del giocatore potrebbero
essere determinate in modo da essere le pi razionali possibili, e

81
Cfr. Id., ibidem, p. 117.

211
pertanto le pi efficaci, essa coglie il principio strategico che muove il
giocatore, ma non considera un fattore ineliminabile: il tentativo di dare
del possibile una descrizione formale nei termini di un albero delle
decisioni tradisce la reale posizione del giocatore, che non si trova
affatto nelle condizioni di avere una capacit di calcolo infinita, il che,
del resto, renderebbe nullo ogni giocare, poich questultimo sarebbe
risolto e deciso ancor prima di cominciare. Ci che rende impossibile
questa condizione di fuori-campo, in un laboratorio asettico di piani
inclinati senza attrito, innanzitutto il fatto ancestrale del gioco del
mondo, entro cui il giocatore si trova coinvolto prima ancora di iniziare
ogni partita. La sua visione necessariamente quella del portiere o
dellattaccante, mai tutte e due insieme. Tuttavia, il gioco del mondo
insegna qualcosa circa quale atteggiamento sia quello proprio del
buon giocatore: Nietzsche coglieva bene il senso del giocare allorch
dichiarava il suo amore per il giocatore di dadi che non ritenta il lancio
allinfinito per ottenere la combinazione buona, ma in un sol lancio
afferma il fato. Il giocatore in realt non percorre se non un piccolo
tratto dellalbero decisionale ipotizzato dalla teoria dei giochi, vede solo
un segmento del possibile e arrischia la mossa. Prudenza e rischio
interagiscono in ogni azione ludica: per questo Duflo introduce la
nozione di competenza ludica intendendola come la conoscenza che
egli [il giocatore] ha delle regolarit del gioco
82
. Ora, queste regolarit
si suddividono in regole costitutive, che istituiscono un gioco come tale
aprendo il campo delle possibili strategie, e regole regolative che, rese
possibili dalle prime, fanno la differenza tra il buon e il cattivo giocatore,
cio consentono la scelta migliore per raggiungere lo scopo del gioco. Il

82
Id., ibidem, p. 131. Trad. it. mia.

212
giocatore deve innanzitutto aver introiettato le regole costitutive, che
agiscono come immemorabile sostrato di ogni sua successiva decisione.
In ogni caso, quindi, il calcolo del giocatore non si posiziona sul nulla,
ma su tutta una stratificazione di competenze ludiche, che egli stesso
non ha davanti agli occhi ogni volta che si accinge a compiere un mossa
nel gioco. I calcoli possibili sono gi prestrutturati dalle regole
costitutive del gioco. Il giocatore abita gi il gioco, cos come luomo
pu giocare, secondo le conclusioni di Fink, in quanto gi iscritto nel
gioco del mondo, gi posizionato entro le mobili regole del divenire che
gli consentono di porsi solo certe questioni e di decidere solo entro un
determinato alveo di possibili. Una configurazione originaria ci mette in
gioco e ci assegna possibili spostamenti, ma, appunto, ogni gioco
consente infinite partite e strategie. La regola costitutiva, per il giocatore
vero, non pi presente alla coscienza, ma diventa la forma stessa della
sua coscienza ludica, la base su cui pu compiere ogni scelta. Per
questultima non si configura come il risultato di un calcolo, ma
piuttosto, come afferma Duflo, si tratta di unoperazione dettata dalla
prudenza
83
, concetto guida in senso aristotelico della saggezza pratica,
che consiste in una riflessione astuta (rflexion ruse), secondo
linterpretazione di Ren Thom ripresa da Duflo
84
.

Che cos dunque in effetti questa riflessione astuta? E quella che
davanti allassenza di una legge semplice, di una combinazione che
permetta di risolvere una situazione locale, nellignoranza dunque
di una possibilit di descrizione completa dei differenti colpi che
possibile giocare e delle loro rispettive possibilit di vittoria, si

83
Cfr. Id., ibidem, pp. 143-144.
84
Cfr. R. Thom, Stabilit structurelle et morphognse, W.A. Benjamin Inc. 1972,
riedizione Intereditions 1977.

213
accontenta di reperire e di agire in funzione delle tendenze
proprie della situazione locale del gioco.
85


La riflessione astuta cio quella che consente di cogliere il
kairos, attraverso uno sguardo acuto che sappia individuare le tendenze
del gioco, vale a dire i possibili sviluppi impliciti in una determinata
configurazione delle posizioni reciproche dei pezzi del gioco stesso ad
un determinato momento. In questo senso Duflo fa riferimento,
rifacendosi agli studi di Vernant e Detienne, al concetto greco di Metis
86
:
lintelligenza di Odisseo, eroe dal multiforme ingegno, che non
capacit specialistica, tecnicamente settoriale, ma vera e propria arte di
vita, di accettazione e spinta ad affrontare le situazioni, trasformando se
stessi e il proprio atteggiamento, creando nuovi possibili spazi di gioco.
Odisseo leroe dellinganno e del travestimento, proprio per questo
esaltato, paradossalmente, dai poeti ellenici. La menzogna lo fa grande,
al contrario di quel che accade al povero Pinocchio di Collodi sul cui
corpo si iscrive invece il marchio infamante del bugiardo con il
proverbiale allungamento del naso. Ma Nietzsche ha insegnato a
leggere la menzogna e la verit in senso extramorale, ha visto in questa
dicotomia il frutto di una svista e di un oblio dellistrionico agire
dellintelletto, che innanzitutto un abilissimo giocatore di metafore.
Nietzsche stesso riconosce che leroe emblema della grecit Odisseo,

85
C. Duflo, op. cit., p.150. Trad. it. mia.
86
Di fronte a una situazione locale enigmatica, la ragione universale il logos
non sufficiente. Bisogna ricorrere allabilit, a quella forma di intelligenza astuta
che i greci classici chiamavano Metis. [R. Thom, Modles mathmatiques de la
morphognse, p. 305, cit. da C. Duflo, op. cit., p. 163. Trad. it. mia]. Duflo aggiunge,
in nota che Thom in quel contesto rimanda esplicitamente allo studio di Detienne e
Vernant Les Ruses de lintelligence: la Metis des Grecs, Flammarion, Paris 1974.

214
e che i motivi di tale privilegio risiedono proprio nei caratteristici
contrassegni della finzione e della poliedricit.

Ideale greco. Che cosa ammiravano i Greci in Odisseo?
Innanzitutto, la capacit di mentire e quella della scaltra e terribile
rappresaglia; il suo essere allaltezza delle circostanze; lapparire
alloccorrenza pi nobile di nobilissimi; il poter essere quel che si
vuole; leroica perseveranza; il procurarsi la disponibilit di ogni
mezzo; laver spirito il suo spirito riscuote lammirazione degli
dei, essi sorridono nel pensarci: - tutto questo lideale greco! La
cosa pi notevole sta nel fatto che qui il contrasto tra apparire ed
essere non affatto avvertito e non quindi neppure oggetto di
una valutazione etica. Ci furono mai attori cos perfetti?
87


E una sottile forma di realismo, quella greca, che convive con
una volont di apparenza nella misura in cui questultima non si oppone
a una verit terroristica, canonica, che insieme minaccia e
rassicurazione. La forza di Odisseo quella della disponibilit al reale
nella sua multiforme presenza, laddove il pensiero metafisico per sua
natura riduttivo e si lascia cos sfuggire lesistenza concreta. Il
multiforme ingegno di Odisseo, come lintelletto inesauribilmente
metaforico di Nietzsche, ingannatore solo per una verit che si
pretenda fissa, immutabile, che non accetti traduzioni, trasferimenti,
slittamenti. Il mito stesso di cui Odisseo protagonista vive delle sue
varianti e del suo possibile intrecciarsi con altri racconti e solo la
fissazione pisistratea dei testi omerici situa da un lato Omero e dallaltro
coloro che ne sono i detrattori, i ripetitori, i traditori. Solo da quel
momento esiste, visibile e uniforme, una vera Odissea, solo allora ogni

87
F. Nietzsche, Aurora, 306, in Opere di Friedrich Nietzsche, cit., vol. V, t. 1, p.
185. Sottolineature mie.

215
aggiunta o variazione ritenuta apocrifa
88
. Identificarsi con Odisseo
insomma ammettere in modo oscuro, da buoni figli di Dioniso, che si
sta giocando un ruolo, e che quel ruolo modificabile. La Metis coincide
con unintelligenza del movimento e del divenire che non mira a fissarlo,
ma a corrispondergli, stando in esso e restando coscienti che da esso
non si pu uscire. In una bella canzone di Francesco De Gregori, Niente
da capire
89
, la condizione di giocatore inconsapevole genera un
fallimento amoroso: lamante tradito non riesce a accettare il fatto di
trovarsi nel gioco delle parti.

E troppo tempo amore che noi giochiamo a scacchi
mi dicono che stai vincendo e ridono
da matti, ma io non lo sapevo che era una partita,
posso dartela vinta e tenermi la mia vita.
90


Il gioco, come la situazione del protagonista della canzone, non si
presta a alcuna comprensione: in esso, letteralmente, non c niente
da capire o, per dirla con Goethe, bisogna sapere poco e fare tutto
91
.
Linnamorato cantato da De Gregori ignora che dal gioco non si esce, e,
al limite, come lui, si pu non sapere di essere in gioco, cadendo vittime
di una superstizione di realt e verit come quella stigmatizzata da
Nietzsche. Il giocatore di scacchi di De Gregori ha scelto male le sue

88
Cfr. J. Svenbro, La parola e il marmo: alle origini della poetica greca, Boringhieri,
Torino 1984.
89
F. De Gregori, Niente da capire, in Francesco De Gregori, RCA, 1974.
90
Id., ibidem.
91
La massima goethiana splendida nella sua densit e riconosce la peculiarit
dello statuto del gioco quale via daccesso a un sapere in qualche modo superiore
che, appunto, innanzitutto azione: Quindi ripeto la mia: che a questi livelli non si
pu sapere, ma bisogna agire: come nel caso di un gioco la teoria non niente e
tutto la pratica. La natura ci ha dato la scacchiera, allinfuori dalla quale non
possiamo n vogliamo agire. [J.W. Goethe, Massime e riflessioni, Teoria, Roma-
Napoli 1983, dai quaderni Zur Naturwissenschaft (1823), n. 420, p. 104].

216
mosse, nel senso che non si iscritto nella logica niciana del lancio di
dadi, secondo cui in ogni mossa racchiuso tutto il destino. In qualche
modo egli come i cattivi giocatori che ritentano il lancio sperando di
essere pi fortunati o convinti dellinequivocabile efficacia del calcolo
probabilistico. Ma la vita non si gioca su innumerevoli lanci, ma tutta in
uno. Il riso degli spettatori nicianamente pi che giustificato, dal
momento che il protagonista non comprende di essere parte del gioco
del mondo, non ha acquistato lo sguardo innocente del fanciullo, e
crede ancora di potersi trarre dimpaccio con ragioni e giustificazioni.
Non comprende che il luogo dove si decide il suo destino proprio
quella scacchiera che egli si ostina a non vedere. Egli vuole capire,
mentre gli spettatori zarathustriani possono ridere del riso ludico dello
spirito libero perch fanciullescamente comprendono che la scacchiera
il luogo in cui il gioco pu ancora una volta ricominciare, dove a ogni
giro si pu ripetere il dire s che crea un mondo pronto a essere
stravolto a ogni nuova mossa.
De Gregori, del resto autore attento alle potenzialit
argomentative del gioco, basta osservare la declinazione della metafora
offerta da La leva calcistica della classe 68
92
. Anche in questo caso
lesperienza del piccolo Nino, che si avvia al campo sportivo dove si
svolgono le selezioni per la squadra di calcio, diventa il pretesto per una
considerazione esistenziale generale: il bambino, ancora una volta un
pais, si presenta timoroso di fronte a giocatori pi esperti e si pone
sotto losservazione dellallenatore, ma, quasi per incanto, la sua
innocente irresponsabilit gli fa compiere una prestazione eccezionale.

92
F. De Gregori, La leva calcistica della classe 68, in Titanic, RCA, 1982.

217
Lazione di Nino, che gli vale un posto in squadra, significativamente
descritta dal testo della canzone nei termini di unavanzata magica:

E allora mise il cuore dentro alle scarpe
E corse pi veloce del vento.
Prese un pallone che sembrava stregato,
accanto al piede rimaneva incollato,
entr nellarea, tir senza guardare
ed il portiere lo fece passare.
93


Nel machiavellico incrociarsi di virt e fortuna Nino riesce a
portare a termine limpresa del gioco del fanciullo eracliteo e niciano:
il pallone finisce in rete, il mondo creato, les jeux sont faits e Nino sa
bene che solo linizio di un sogno. Significativamente, il brano si
chiude con una sorta di proclamazione per il giovane calciatore.
Lallenatore dichiara che Il ragazzo si far, anche se ha le spalle
strette/questaltranno giocher con la maglia numero sette. Nino trova
il suo posto nel gioco, e quella la sua maglia numero sette un punto
darrivo, unaffermazione della volont di potenza, ma anche linizio di
una nuova corsa perch il fanciullo deve ancora farsi, come sottolinea
il suo magister ludi. Tuttavia, Nino ha mostrato il coraggio del giocatore
autentico, di chi sa cogliere il kairos, sa inserirsi nel movimento ludico e
starci dentro, facendolo egli stesso, ripetendolo negli atti del suo corpo
e del suo spirito. E interessante da questo punto di vista il
contrappunto che nella canzone si realizza tra le strofe dedicate alla
vicenda di Nino e le considerazioni a margine del narratore, anchegli
magister ludi nella misura in cui rivolge al ragazzino lesortazione a
imparare a giocare, come Zarathustra agli uomini superiori, senza paura

93
Id., ibidem.

218
di sbagliare, consapevole del fatto che si tratta di un gioco, ma che nel
gioco si vive, e che il bravo giocatore colui che sa rischiare.

Ma Nino non aver paura di sbagliare un calcio di rigore,
non mica da questi particolari che si giudica un giocatore
un giocatore lo vedi dal coraggio dallaltruismo e dalla fantasia.
E chiss quanti ne hai visti e quanti ne vedrai di giocatori tristi
che non hanno vinto mai
ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro
e adesso ridono dentro a un bar,
e sono innamorati da dieci anni per
una donna che non hanno amato mai.
94


I giocatori tristi, in questo caso sono i cattivi giocatori niciani
ben tratteggiati da Deleuze, coloro che preferiscono lasciare le scarpe
appese al muro e guardare la partita alla televisione. Anche loro ridono,
ma sono ben diversi dagli spettatori degli scacchi di Niente da capire. Il
loro riso non somiglia alla danza di Zarathustra, ma il ghigno del
risentimento, di chi non sa affrontare il campo da gioco e sbeffeggia il
giocatore per un errore. Non a caso, De Gregori fa ancora riferimento
allesperienza dellamore come squisitamente ludica, in questo vicino a
tutti gli interpreti del gioco che spesso tracciano un parallelo tra
seduzione amorosa e ludus. Linnamoramento di chi non ha saputo
arrischiare lamore vero, che assorbe e trasforma, lascia cicatrici e esalta,
somiglia allazione di un giocatore triste, che non vince non tanto
perch pi debole, quanto perch neppure scende in campo. In questo
senso il vero perdente chi non riesce pi a giocare, a inserirsi nel
turbinio dionisiaco, chi non riesce pi a capire che lazione ben riuscita
solo una delle magie di Dioniso. De Gregori riprende due volte il

94
Id., ibidem.

219
dettaglio delle scarpe che nellazione del gol di Nino sono vive,
diventano sede del cuore, mentre nella casa dei giocatori tristi sono
inerti simboli di sconfitta. Il buon giocatore un concentrato di fantasia
e coraggio, come il pais paizon divino di Eraclito, colui che sa imprimere
il proprio passo al corso del tempo, colui che sa tenere il pallone
incollato magicamente al piede, ma che sa anche ricominciare una
partita da capo, al turno successivo, che dimentica lerrore e la sconfitta
e si presenta pronto al prossimo giro, alla nuova creazione e al nuovo
rischio. Proprio per questo motivo il calcolo non rappresenta un
modello aderente alla realt del gioco: il buon giocatore non infatti
colui che non rischia, ma la prudenza del gioco propriamente
uneconomia del rischio, sia nel senso della soppressione dellinutile sia
in quello soprattutto di una buona organizzazione
95
.

Il piccolo giocatore incapace di mettere in opera gli strumenti
che consentono la vittoria, perch ha per caratteristica essenziale
di essere incapace di prendere un grande rischio in tutta
consapevolezza. Niente in lui brillante e, potremmo aggiungere,
niente in lui ludico.
96


Non si sa che cosa accadr con la mossa successiva, pertanto,
allorch si ha la possibilit di guadagnare dei punti con una mossa,
bisogna ottenerne quanti pi possibili. Una condotta troppo prudente
misconosce lautentica potenza del ludus, che quella di introdurre,
secondo lespressione di Henriot riportata da Duflo,il poter essere
nellordito dellessere
97
: lazione, realmente compresa in quanto ludica,
dunque un tentativo di scandaglio dellincerto, una mappatura del

95
C. Duflo, op. cit., p. 165. Trad. it. mia.
96
Id., ibidem, p. 166. Trad. it. mia.
97
J. Henriot, op. cit., p. 252, citato da C. Duflo, op. cit., p. 169. Trad. it. mia.

220
possibile entro cui cercare una collocazione. Non a caso proprio questo
compito di ricollocamento si proponeva Fink nellesordio de Il gioco
come simbolo del mondo. In questo senso ogni mossa , dal punto di
vista di una visione panoramica, assolutamente imprudente e
arrischiata, perch frutto di una decisione presa ritagliando solo uno
spicchio di possibile. Tuttavia in questa scelta, mai troppo tardiva
(altrimenti sicuro lo scacco), risiede lunico possibile sapere ludico: non
una rassegna di combinazioni elementari o limpossibile ambizione di
eliminare del tutto limprevedibile, ma la capacit intuitiva di giudicare il
rischio e accettarlo, a modo proprio. Nel gioco labilit si misura
nelladozione di una condotta, ma anche nella prontezza di cambiarla
alloch si rivela inefficace o non pi applicabile alla situazione presente.
Nessun manuale delle istruzioni e nessun magister ludi insegnano come
riuscire sempre nel gioco. Tuttavia, quel che accade che, bench si
vinca o si perda, il gioco riesce sempre, cio porta sempre a
compimento la sua attualizzazione ed sempre pronto a ripartire.
Questo il divenire ludico del mondo che rende possibile leggerlo
attraverso le maglie di una struttura come il gioco umano, che vi
appartiene per essenza e che ne discende. Sapendo che si tratta di una
partita, luomo pu reinserirsi nella comprensione del cosmo,
ricominciare la corsa nelle direzioni che il suo tempo, il suo coraggio e la
sua fantasia gli consentono. In questo senso il gioco si fa paradigma del
mondo, incrocio cosmico, oltre che umano, di volont di potenza e
eterno ritorno.

Quel che volevo dire, disse il Dodo con tono offeso, era che la
cosa migliore per asciugarsi sarebbe un Carosello elettorale.
Che cos un Carosello elettorale? disse Alice. []

221
B, disse il Dodo, il modo pi democratico per spiegarlo farlo
(E nel caso aveste voglia anche voi di sperimentarlo in un giorno
dinverno, adesso vi dir come lo organizz il Dodo).
Innanzitutto tracci la pista, una specie di cerchio (cerchio o
quadrato basta che sia una pista, disse lui) e poi tutta la brigata fu
piazzata lungo il circuito in ordine sparso. Non ci fu alcun Uno
due tre via!, ma ognuno prese a correre secondo come gli girava e
ognuno si ritirava a capriccio, cosicch non era tanto facile stabilire
se si era tagliato un traguardo. Tuttavia, dopo che tutti quanti
avevano corso una buona mezzora e erano tutti belli asciutti, il
Dodo tagli corto: Fine della gara! e tutti gli si radunarono
intorno ansimanti e gli chiesero: Ma chi ha vinto?
A questa domanda il Dodo non poteva rispondere senza farsi
venire unemicrania, e rimase un tempo incalcolabile collindice
appoggiato alla fronte (la classica posizione di Shakesperare che si
vede nelle illustrazioni) mentre gli altri aspettavano zitti zitti.
Finalmente il Dodo disse: Hanno vinto tutti e i premi andranno a
tutti.
98


Il gioco del mondo in cui luomo si trova immerso e in cui gioca i
suoi giochi pi belli produce la medesima sensazione di insensatezza e
incoscienza di quello proposto dal Dodo. Tuttavia al termine del gioco,
qualunque sia la specifica configurazione assunta, e infatti la forma della
pista ininfluente cos come i punti di partenza e darrivo, i giocatori si
sono asciugati e, pertanto, il Dodo pu dichiararli tutti vincitori. Questa
vittoria collettiva dei partecipanti testimonia ancora una volta
lirrilevanza dei contenuti delle descrizioni di mondo che il gioco
produce al confronto della fondamentale importanza del suo carattere
dazione. Solo chi non si lascia irretire dal proprio gioco e non cade nella
superstizione di una sua veridicit superiore e conclusiva pu giocarlo
con la massima partecipazione, e al tempo stesso con la totale
consapevolezza della sua giocosit; pu cio tornare a sognare pi
vero, senza sentirsi infantile nel piacere che ricava dal proprio gioco,

98
L. Carroll, Alice nel paese delle meraviglie, Feltrinelli, Milano 1993, p. 43.

222
poich scopre che il fanciullo in lui la dimensione pi autentica e
eterna nelle sue qualit poietiche e nel suo consapevole e ironico
sguardo sullinnocenza del divenire.

223
CAPITOLO 4

DEUS LUDENS: LAZZARDO DI UNA TEOLOGIA
LUDICA


1. LA SVOLTA ANTROPOLOGICA

Dal cerchio magico del gioco lintelletto umano pu liberarsi
soltanto drizzando lo sguardo al Sommo Bene. Colla penetrazione
logica delle cose non giunge abbastanza in l. [] Ogni giudizio
decisivo viene riconosciuto poi nella propria coscienza come non
completamente concludente. A questo punto ove vacilla il giudizio
crolla anche la nozione dellassoluta seriet. Allantico tutto
vanit pare voglia sostituirsi allora, con senso forse pi
convincente e positivo, un tutto gioco. Sembra una facile
metafora, mera impotenza dello spirito. Eppure la stessa
saggezza a cui era giunto Platone quando chiam luomo un
giocattolo-strumento degli dei. Lo stesso pensiero, in figura strana,
si ritrova nel Libro dei Proverbi. Qui lEterna Saggezza, fonte di
giustizia e di dominio, dice che prima di ogni creazione essa stava
giocando al cospetto di Dio per suo divertimento e che nel mondo
della terra sua essa va giocando i suoi divertimenti con gli uomini.
1


Le frasi di Huizinga citate, tratte dallultima pagina di Homo
ludens, aprono unulteriore possibile prospettiva sul tema del gioco:
Huizinga ricollega lintuizione platonica delle Leggi sul gioco divino a un
passo biblico del libro dei Proverbi, concedendo uno spiraglio entro cui
pu innestarsi un orientamento teologico originale. La teologia del
gioco sorge in ambito cristiano come sviluppo di quella della
liberazione che, a sua volta, discende dalla cosiddetta svolta
antropologica della disciplina, quale frutto di una pi matura

1
J. Huizinga, op. cit., pp. 250-251.

224
penetrazione nella storia della salvezza, particolarmente attenta alla
cesura costituita dallincarnazione di Cristo
2
. Il teologo cristiano deve
considerare che ogni intervento divino nella storia sempre attuato in
vista di una promozione delluomo e del suo agire: il Dio biblico non
afferma infatti la propria trascendenza mediante il distacco, ma
attraverso la partecipazione alla vicenda salvifica. Di qui sorge lesigenza
della rivalutazione o, quantomeno, della riscoperta delle pi svariate
dimensioni umane dellesistenza per cogliervi il riflesso di Dio e la
possibilit di una pi autentica comprensione e di un pi completo
inserimento nel Suo progetto di salvezza. La teologia ludica, pertanto,
non va intesa come una moda o una bizzarria di una disciplina stanca
e fuori corso, e neppure come una forma di disimpegno rispetto al
coinvolgimento politico e sociale promosso da altri indirizzi teologici,
ma come un allargamento di orizzonte. Caso mai il problema pu
risiedere, ancora una volta, nella cattiva fama del gioco, considerato
futile quando non dannoso e pericolosamente paganeggiante rispetto
alla seriet richiesta al cristiano dalla sua consapevolezza del peccato e
dalla tragicit della crocifissione. In realt, i testi base della teologia
ludica promuovono innanzitutto un diverso atteggiamento del cristiano
nei confronti della vita e di Dio, che il gioco sarebbe appunto in grado
di giustificare e incarnare: Jrgen Moltmann
3
, ma soprattutto Harvey
Cox
4
e Hugo Rahner
5
, autori di riferimento per questa nuova

2
Cfr. E. Ruffini, Nel grande girotondo di Dio, in Vita e pensiero, L [1973] n. 5, pp.
614-625.
3
J. Moltmann, Sul gioco: saggi sulla gioia della libert e sul piacere del gioco,
Queriniana, Brescia 1971.
4
H. Cox, La festa dei folli: saggio teologico sulla festivit e la fantasia, Bompiani,
Milano 1971.
5
H. Rahner, Lhomo ludens, Paideia, Brescia 1969.

225
prospettiva, riscoprono la forza del termine greco spoudoghloios, che
identifica latteggiamento serio-sereno o serio-ridente, quale definizione
del pi valido comportamento a disposizione dellautentico cristiano,
capace di vedere nellhomo ludens il miglior modo di corrispondere al
dono divino della creazione e della salvezza. Il gioco sacro, del resto,
viene reputato centrale anche da Fink, che pure vi rileva un limite
nellidentificazione con la divinit del correlato simbolico del gioco
cultuale. E in qualche misura dal sospetto per una possibile deriva
nichilistica della riflessione finkiana sullinfondatezza del mondo a
partire dal suo statuto di gioco, tuttavia, che prende le mosse parte
della teologia ludica, per ritrovare nel medesimo fenomeno mondano e
esistenziale del ludus la traccia di Dio e, in particolare, la chiave
interpretativa della gratuit del Suo agire. Fink stesso riconosce, inoltre,
che il gioco cultuale situa la propria irrealt in un di pi di realt e
non in una condizione di minorit ontologica, come invece intendeva
Platone inserendolo nel suo schema dicotomico originale/copia. Se il
gioco sacro consente il raccordo con la superiore sfera divina, anche il
teologo cristiano pu sfruttare questa attitudine trascendente del ludus,
assieme alla caratteristica consapevolezza del giocatore che sa che la
maschera ludica nasconde qualcosa, e pertanto non cade nellillusione
totale, ma consapevole dellesistenza di una realt disposta su
molteplici livelli. Infine, come ben sottolinea Francesca Brezzi, il gioco
ristruttura il rapporto uomo-Dio non nei termini di signoria e schiavit,
ma come rapporto amoroso e creativo: Il gioco sacro fa emergere con
una chiarezza non rinvenibile in altre forme conoscitive il rapporto

226
uomo-Dio, come rapporto altro da dominato a dominatore, da
conoscente a conosciuto, da emanato o degradato a Uno
6
.
E possibile individuare tre principali direttrici su cui si sviluppa la
teologia ludica, tuttavia intrecciate nei medesimi autori: una prima linea
evidenzia lanalogia tra gioco, ozio contemplativo, sapienza e
celebrazione, di contro allattivit produttiva; un secondo indirizzo
individua una continuit tra gioco, arte, simbolismo e liturgia e si rif
alla pi remota opera di Guardini sullo spirito della liturgia
7
; infine, un
terzo nucleo di argomenti si incardina sullaspetto creativo e
eccettuativo del gioco per presentarne le potenzialit critiche rispetto al
presente e lopportunit da esso offerta di costruire valide alternative
per il futuro
8
.
Il riferimento costante dei teologi del gioco si ancora al
frammento 52 DK di Eraclito e al passo platonico delle Leggi, pi volte
ricordati, per segnalarne simpatia e distanza rispetto alla rilettura
ebraico-cristiana del medesimo ludus. Non solo, ma
dallinterpretazione attenta di diversi passi biblici, oltre che dal recupero
di unobliata tradizione della patristica greca, che prende le mosse la
riconsiderazione del gioco quale autentica possibilit di rilettura della
creazione e dellhistoria salutis.
La simbologia ludica, come evidenzia Ruffini, trova anzitutto
posto in una revisione della metodologia teologica, prima ancora che
nei contenuti: la difficolt storica della teologia risiede infatti nella
problematica esigenza di conciliare il proprio imprescindibile carattere

6
F. Brezzi, op. cit., p. 67.
7
R. Guardini, Lo spirito della liturgia: santi segni, Morcelliana, Brescia 2000.
8
Per questa schematica suddivisione cfr. N. Bosco, op. cit., pp. 59-61.

227
di tentativo meramente umano di comprensione di una logica divina
con laltezza del Dio oggetto di riflessione, vale a dire nellimpossibilit
di spiegare secondo una logica umana levento del Dio che si fa uomo.
Il gioco, come metodo, consente invece di oltrepassare questa sorta di
concorrenza tra razionalit umana e sapienza divina, non mirando a
assottigliare lo spazio lasciato al mistero grazie alle spiegazioni logiche,
ma mediante quello che Ruffini definisce un accostamento a-logico
9
:
chi in un gioco voglia la spiegazione di tutto gi per questo fuori
gioco, un guastafeste che ha perso il senso autentico della
partecipazione. Proprio tale coinvolgimento deve essere recuperato dalla
nuova teologia che sappia fare del proprio oggetto il termine di un
rapporto di solidariet con il quale si vive lesperienza gioiosa
10
.
Lautentico giocatore, e il teologo in quanto tale, si riconoscono nel
ridimensionamento della logica scientifico-metafisica e nellopzione per
lalogicit ludica che non coincide con lillogicit, ma con la capacit di
far compartecipare il reale alla propria azione. Pertanto, la libert del
giocatore si misura nella sua capacit di trasfigurazione, che
valorizzazione e non strumentalizzazione del reale in quanto ne fa
rilucere gli aspetti nascosti e le innumerevoli sfaccettature. Una teologia
ludica, sottolinea ancora Ruffini, deve essere in grado di mostrare, pi
che di dimostrare, promuovendo un nuovo modo di accostarsi al reale
secondo la prospettiva aperta da Dio stesso: come la festa memoriale,
cio ricordo e ammirazione della creazione, cos la teologia deve essere
contemplazione e invito. Dunque, conclude Ruffini, questa teologia

9
E. Ruffini, op. cit., p. 621.
10
Id, ibidem, p. 621.

228
deve saper far tesoro del silenzio, in quanto prospettiva a-logica, ma di
un silenzio da cui sorge il canto di lode verso il creato
11
.


2. DIO CREATORE E GIOCATORE

Il Signore mi ha creato allinizio della sua attivit,
prima di ogni sua opera, fin dallora.
Dalleternit sono stata costituita
Fin dal principio, dagli inizi della terra.
[]
Quando egli fissava i cieli io ero l;
quando tracciava un cerchio sullabisso;
quando condensava le nubi in alto;
quando fissava le sorgenti dellabisso;
quando stabiliva al mare i suoi limiti sicch le acque non ne
oltrepassassero la spiaggia;
quando disponeva le fondamenta della terra,
allora io ero con lui come architetto
ed ero la sua delizia ogni giorno
dilettandomi davanti a lui in ogni istante;
dilettandomi sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli delluomo.
12


A queste righe del libro dei Proverbi fa riferimento Huizinga nel
finale di Homo ludens, e da questo passo prende le mosse ogni
dissertazione teologica che ponga al centro della propria riflessione la
questione del gioco. Rahner, in special modo, non solo si richiama
esplicito alle conclusioni di Huizinga, affermando di voler partire proprio
da l
13
e intitolando il suo saggio di teologia ludica in modo da
riecheggiare il titolo del testo huizinghiano, ma accosta il dettato biblico

11
Cfr. Id., ibidem, p. 622.
12
Prov., 8, 24-31, in La Sacra Bibbia, traduzione italiana ufficiale della Conferenza
Episcopale Italiana, Societ Editrice Internazionale, Torino 1993, p. 654.
13
Cfr. H. Rahner, op. cit., pp. 10-12.

229
alle affermazioni di Eraclito e Platone. In particolare, Rahner decifra bene
la doppia strada possibile che si snoda dal passo platonico delle Leggi:
da un lato luomo pu percepirsi come marionetta il cui destino in
mano al burattinaio divino, come sembra chiaro dal seguito del
passaggio per la parte preponderante della loro anima gli uomini non
sono che marionette, ma, daltro canto, solo chi ha lopportunit di
scorgere Dio, cio la somma altezza, pu assumere autenticamente la
convinzione di essere un giocattolo. Solo considerando Dio, dunque, si
pu non concepire luomo come significato ultimo delle cose e
comprendere la propria partecipazione, in quanto creatura, alla
grandezza divina
14
. Tuttavia, come ben rileva Adriani
15
nel suo articolo
che ripercorre, passando per Eraclito, i misteri orfici e la patristica, le
sorti dellidea del Deus ludens, prevalente sempre risultata la lettura
del passo platonico come sintomatica espressione dellarbitrio divino. In
questa prospettiva Dio si rivelerebbe un giocatore il cui placitum decide
le sorti di uomini e cose. Tuttavia, Adriani, e con lui gli altri autori che si
sono occupati in questi anni della figura del Deus ludens in questi ultimi
anni, ritengono che non risieda in questa interpretazione il senso pi
riposto e diremmo anche pi autentico del Deus ludens
16
. Nellaporia
eraclitea del re-bambino, che gioca e giocando costruisce e governa il
mondo, Rahner ritrova invece il medesimo agire del Dio biblico: il gioco
divino consiste in un operare logico (regale), ma non necessario
(infantile). Liconografia cristiana rappresenta spesso Ges bambino con
una palla tra le mani, giocattolo e al tempo stesso rappresentazione del

14
Id., ibidem, p. 19.
15
M. Adriani, Deus ludens, in Studi e materiali di storia delle religioni, t. 38, 1967,
pp. 8-23.
16
Id., ibidem, p. 9.

230
globo terrestre, unificando le figure del re e del pais come nelle antiche
mitologie pagane. Il mondo, scriveva Fink, senza fondamento, e tale
resta anche allorch si sia interpretato il gioco umano come
corrispondenza al gioco del tuttaltro divino. Resta infatti la domanda
circa la ragione della creazione del mondo da parte di Dio. Tuttavia, la
concezione di una creazione resa necessaria dallessenza stessa di Dio
priva questultimo dello statuto di libero creatore. Se, invece, la
creazione colta come caso, allora il libero creatore sarebbe un demone
capriccioso e nientaltro. La rigida alternativa tra caso e necessit, ancora
una volta, fallisce il bersaglio e lascia interdetti: come precisa
Moltmann
17
, Dio libero, ma non agisce arbitrariamente, pertanto la
sua creazione, che non divina, ma neppure nulla, si pu spiegare solo
come gioco, manifestazione della sua magnificenza che ha il suo unico
concepibile fondamento nel beneplacito divino. Certamente tra gioco
umano e gioco divino esiste una distanza incolmabile: nessuna
creazione ex nihilo concessa alluomo che pu solo giocare con
qualcosa dal quale contemporaneamente anche giocato; tuttavia, la
libert senza arbitrio, cos come la seriet dellimpegno unita alla
consapevolezza della finzione ludica, sono caratteristiche del gioco
umano che in quello divino trovano pieno dispiegamento. Dio partecipa
al proprio gioco e si compiace di esso, non a caso estasiato dalla
bellezza e dalla bont di ognuna delle sue creature, come detto nel
racconto della Genesi, ma, pur realizzando in tal modo la propria libert,
non la perde n la esaurisce in questo atto. Dio non ha bisogno di
creare il mondo, e in tal senso non un Deus faber. Anzi, scrive
Moltamnn, lerrore capitale delluomo consiste proprio nellaver

17
J. Moltmann, op. cit., pp. 30 sgg.

231
interpretato il proprio compito di corrispondere a Dio entro le figure
della produttivit e dellefficienza, finendo per alienarsi nelle opere e
perdere lautentico spirito ludico della creazione. Dio va goduto e non
usato
18
, dal momento che, come scrive Melchiorre, la similarit tra Dio e
il gioco risiede innanzitutto nella loro comune inutilit: Dio linutile
per eccellenza, dal momento che non tende ad altro, ma pu essere
cercato solo per se stesso
19
. Dio, da questo punto di vista, non crea al di
fuori di s, n occasionalmente, ma rivela, creando, la propria interiorit.
La nozione di gratuit non viene dunque risolta da una sua riduzione a
caso o contingenza. La teologia ha storicamente fornito due risposte alla
richiesta di una spiegazione della creazione: da un lato ha giustificato il
mondo a partire dallamore di Dio, dallaltro mediante la finalizzazione
escatologica delluomo. Tuttavia la prima soluzione sposta solo il
problema, dal momento che ci si pu chiedere la ragione di questo
amore, mentre la seconda non sufficiente a munire di senso

18
Cfr. Id., ibidem: in particolare, Moltmann intende ripristinare il valore delle
categorie estetiche rispetto a quelle etiche nella concezione cristiana della divinit,
pertanto, accanto alla signoria di Dio, egli recupera il concetto della Gloria e della
bellezza di Dio come modalit di fuoriuscita dalle secche della percezione di un Dio
faber e padrone. Dio invece in primis gioia a cui corrispondere. Luomo non
creato dalle sue opere, ma tale proprio perch le trascende nellaccostarsi a Dio
con fantasia e amore. La religione, precisa Moltmann (p. 87) non nasce
dallindigenza, ma dalla capacit figurativa e fantastica. Dopo aver per cos tanto
tempo usato di Dio per godersi il mondo o quanto meno per vivervi con decoro,
non si dovr in alcun modo scacciare questo Dio da un mondo in cui egli non viene
pi usato a tali fini. Solo che la fede ci rifletta, si potr piuttosto giungere al
capovolgimento di ci che si gode e di ci che si usa. Si dovr allora usare il mondo
per godere Dio. Il dio della supplenza pu scomparire del tutto, lentamente ma
decisamente, dalla vita di molti e della societ. Ma dopo la morte di questo dio si
potr parlare della gioia che procura questo Dio libero e del modo per goderlo.
Quando non si ha pi bisogno del Dio soccorritore, tappabuchi e risolutore dei
problemi si diviene, secondo Agostino, liberi per la fruitio Dei et se invicem in Deo,
per il godimento di Dio e per la gioia reciproca in Dio. La gioia gratuita in Dio pu
allora sostituire luso e labuso di Dio. [Id., ibidem, p. 96].
19
V. Melchiorre, op. cit., pp.593-595.

232
lesperienza storica immediata, la vita terrena. Lazione creativa intesa
invece nei termini di un gioco libera Dio sia dalla maschera di demone
capriccioso che da quella di demiurgo distaccato, coinvolgendolo in
unazione solidale con le creature. Il peccato di Adamo si pu cos
rileggere come rifiuto di entrare nel gioco divino, non accettandosi
come homo ludens, ma aspirando alla qualifica di faber e sapiens,
erroneamente creduta pi adeguata allimitatio Dei:

Il peccato latteggiamento e la situazione creata dal guastafeste
che, nella pretesa di rendere il gioco pi serio e pi dignitoso, lo
schematizza e lo struttura fino a renderlo una tecnica e un
professionismo. Un gioco che diventa professione ha perso tutto il
suo fascino e, soprattutto, strumentalizza il giocatore al gioco. La
vita e la storia diventano un dovere, una legge e dalla legge nasce
la schiavit e la sofferenza. Ne consegue che la salvezza, cio la
rappacificazione con Dio e con la realt, non si realizza senza
sofferenza perch si tratta di riprendere il gioco da capo, secondo
il beneplacito di Dio e per un gesto di benevolenza divina.
20


Nel passo dei Proverbi precedentemente citato la Sapienza si
presenta come ipostasi che sta presso Dio prima della creazione e a cui
il creatore volge locchio quando crea le cose visibili. Ora, questa
Sapienza si diletta davanti a Dio. Tuttavia la traduzione dilettarsi,
invalsa sin dalla versione greca della Bibbia dei Settanta, non rende
giustizia delloriginale dettato biblico. Letteralmente, la sapienza gioca
dinanzi a Dio. Tuttavia, la traduzione ha fatto s che i padri greci e latini
leggessero una semplice gioia l dove si parlava di un vero e proprio
gioco che innescava la creazione. Solo la versione pi filologicamente
corretta di Gerolamo fa recuperare, a partire dal IV secolo, la lezione
originaria. Tuttavia, la vicenda del gioco della Sapienza non si chiude

20
E. Ruffini, op. cit., p. 624.

233
con questa traduzione, dal momento che lapparente inadeguatezza del
ludus allazione plasmatrice di Dio ha fatto vedere nei primi secoli del
cristianesimo nel gioco della Sapienza addirittura unaberrante
interpretazione ariana volta a negare lidentit trinitaria tra Padre e
Figlio
21
. Tuttavia, negli scritti dei Padri, in particolare in quelli di
Gregorio di Nazianzo e Massimo il Confessore, rimane una mistica del
gioco per trattare i temi della creazione e dellincarnazione, altrimenti
inintelligibili e, soprattutto per quanto riguarda la seconda, esprimibili
solo con i termini di una teologia negativa o con lo stupore di Paolo che
vi vede debolezza o follia divina.
Hokma lespressione ebraica tradotta dai Settanta con sophia: la
medesima radice compare in altri due passi dellantico testamento, e in
entrambi i casi essa associata a un gioco danzante. Lepisodio, narrato
nel Secondo libro di Samuele
22
, riguarda Davide che danza dinanzi
allarca del Signore dove sono contenute le tavole dei dieci
comandamenti. Dinanzi alla moglie Micol, che gli chiede ragione di
questo gesto, egli afferma di voler danzare dinanzi al Signore. Micol non
comprende il gioco, ed punita con la sterilit. In entrambi i casi i

21
Cfr. H. Rahner, op. cit., pp. 24-27.
22
Davide e tutta la casa dIsraele facevano festa davanti al Signore con tutte le
forze, con canti e con cetre, arpe, timpani, sistri e cembali [2Sam, 6, 5, in La Sacra
Bibbia, cit., p. 291]. E, poco oltre, Ma incontro a Davide che tornava per benedire la
sua famiglia usc Mikal figlia di Saul e gli disse Bellonore si fatto oggi il re
dIsraele a mostrarsi scoperto davanti agli occhi delle serve dei suoi servi, come si
scoprirebbe un uomo da nulla! Davide rispose a Mikal: Lho fatto dinanzi al
Signore, che mi ha scelto invece di tuo padre e di tutta la sua casa per stabilirmi
capo sul popolo del Signore, su Israele; ho fatto festa davanti al Signore. Anzi, mi
abbasser anche pi di cos e mi render vile ai tuoi occhi, ma presso quelle serve
di cui parli, proprio presso di loro, io sar onorato! Mikal, figlia di Saul, non ebbe
figli fino al giorno della sua morte. [2Sam., 6, 20-22, in La Sacra Bibbia, cit., p. 292].

234
Settanta traducono questo danzare di Davide con lespressione
paizontes, vale a dire nel significato di giocare.


3. LHOMO VERE LUDENS COME INDIVIDUO SERIO-SERENO

La categoria della gratuit, riletta alla luce della sua tonalit
ludica, permette di cogliere la realt, il rapporto uomo-mondo, in un
senso non strumentale, pu cio esprimere lideale di unesistenza
alternativa che si muova in modo equilibrato tra libert e necessit.
Lhomo ludens la figura di un uomo liberato, capace di affermare che
tutto gratuito e di scommettere su questa fede. Laccenno alla
scommessa non casuale, ma rimanda direttamente al celebre
frammento di Pascal
23
, che si inserisce nella secolare dicotomia
fede/ragione, dedicato alla scommessa della fede. La scommessa
richiesta alluomo in quanto coinvolto in un gioco, ma essa stessa
ludica poich rappresenta la vertigine dellimprevedibile e la sua
accettazione, un gratuito mettersi in gioco senza preoccupazione della

23
Esaminiamo allora questo punto, e diciamo: Dio esiste o no? Ma da quale
parte inclineremo? La ragione qui non pu determinare nulla: c di mezzo un caos
infinito. Allestremit di quella distanza infinita si gioca il gioco in cui uscir testa o
croce. Su quale delle due punterete? Secondo ragione non potete puntare n
sulluna n sullaltra; e nemmeno escludere nessuna delle due. Non accusate,
dunque, di errore chi abbia scelto, perch non ne sapete un bel nulla.
No, ma io li biasimo non gi di aver compiuto quella scelta, ma di avere scelto;
perch sebbene chi sceglie croce e chi sceglie testa incorrano nello stesso errore,
sono tutti e due in errore: lunico partito giusto di non scommettere punto.
S, ma scommettere bisogna: non una cosa che dipende dal vostro volere, ci siete
impegnato. Che cosa sceglierete, dunque? Poich scegliere bisogna, esaminiamo
quello che vinteressa meno. Avete due cose da perdere, il vero e il bene, e due
cose da impegnare nel giuoco: la vostra ragione e la vostra volont, la vostra
conoscenza e la vostra beatitudine; e la vostra natura ha da fuggire due cose:
lerrore e linfelicit. [B. Pascal, Pensieri, Mondadori, Milano 1976, p. 55].

235
vincita, fondato sullidea che il mondo presenta delle discontinuit non
riducibili alla necessit assoluta. Se si deve lavorare per lincerto
24

perch la ragione non consente la scelta. Lavorare in questa direzione
un giocare nel senso del fare come se, proprio come il bambino che,
giocando, crea un mondo entro cui valgono le regole che egli ha
stabilito con un facciamo che: la scommessa di fede un facciamo
che Dio esiste e ha creato il mondo in un certo determinato modo e ha
questo progetto di salvezza per lumanit. Francesca Brezzi individua in
questo come se una sorta di epoch che sospende le ovviet, le passioni
e le convinzioni e purifica il cuore, rendendolo candido come lanimo
del fanciullo, pronto pertanto alla sperimentazione e alla ricerca senza
preconcetti
25
. Nel gioco riluce la dimensione kierkegaardiana del salto,
della presa di responsabilit in ultima istanza indecidibile e che si
configura come un dire s allignoto e allincerto. Se il gioco, infatti,
necessario di fronte allimpotenza della ragione, daltro canto esso
richiede anche limpegno e la scelta di giocarlo, cio, in ultima analisi,
una libera opzione.
Per lapprofondimento della tematica della gratuit, che si
riconnette anche alla questione della grazia e dunque al mistero della
salvezza e della dannazione, resta emblematica la figura
veterotestamentaria di Giobbe: non un caso, sottolinea Moltmann
26
,
che la vicenda di Giobbe si inquadri nellambito di una scommessa tra

24
Se non si dovesse far nulla tranne per quello che certo, non si dovrebbe far
niente per la religione, perch non certa. Ma quante cose si fanno per lincerto: i
viaggi per mare, le battaglie! []
Ora quando si lavora per il domani, e per lincerto, si agisce in modo ragionevole,
perch bisogna lavorare per lincerto per la regola delle probabilit, che
dimostrata. [Id., ibidem, p. 58].
25
F. Brezzi, op. cit., p. 101.
26
Cfr. J. Moltmann, op. cit., p. 42.

236
Dio e Satana, cio allinterno di un contesto ludico
27
. Nellapparente
insensatezza e crudelt delle disgrazie che colpiscono Giobbe e la sua
famiglia si misura la tenuta del ludus come chiave di lettura dellazione
divina e come possibilit di approccio umano allesistenza. Ci che
consente a Giobbe di uscire dalla spirale dellincredulit e della
bestemmia e di permanere nella grazia divina la sua capacit di uscire
dalla logica di una giusta remunerazione sempre ottenuta per il suo
operare retto e gradito a Dio, e di accettare la malattia, la morte e la
povert come parti del grande teatro di Dio. Satana invita
esplicitamente Dio a mettere alla prova Giobbe: il gioco non consiste
in effetti in altro che in una prova ripetuta delle proprie capacit e
della propria fortuna. Anche nelle fiabe i protagonisti sono spesso
costretti a superare prove ardite, a accettare mille vicissitudini, ad
arrivare sino al limite della sconfitta estrema, per potersi ricongiungere
allamata o riguadagnare il regno perduto. Giobbe trascinato in basso
senza colpa alcuna e proprio limpossibilit di giustificare come
punizione la sua sventura rischia di perderlo. Il principio della
remunerazione si rivela insufficiente ed necessario abbracciare una
logica imponderabile, una dimensione altra di mistero e promessa, di
non necessit, ma non insensata
28
. Luomo si trova iscritto nel gioco di
Dio in un determinato tempo, luogo e ruolo. Questo aspetto mette
spesso in scacco le capacit umane di spiegazione del destino e del

27
Satana rispose al Signore e disse: Forse che Giobbe teme Dio per nulla? Non
hai forse messo una siepe intorno a lui e alla sua casa e a tutto quanto gli
appartiene? Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani e il suo bestiame abbonda
sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha e vedrai come ti benedir
in faccia!. Il Signore disse a Satana: Ecco, quanto possiede in tuo potere, ma
non stender la mano su di lui. Satana si allontan dal Signore. [Giob., 1, 9-12, in
La Sacra Bibbia, cit., p. 546].
28
F. Brezzi, op. cit., p. 102.

237
senso del divenire. Il continuo confronto con le collocazioni altrui e
linsoddisfazione per la propria dominano talvolta il pensiero
dellindividuo, specie di fronte a eventi drammatici e crudeli. Anche in
questo caso la suggestione della teologia ludica sembra soccorrere
limpotenza della ragione: solo nel gioco, infatti, tutte le forze sono
seriamente impegnate sino allo spasmo, ma la coscienza della ludicit
dellagire lascia la serenit che solo la provvisoriet della condizione
concede; ora, il ruolo rivestito ha la massima importanza, ma mai al
punto da doverlo concepire come una disgrazia irreparabile. La
scontentezza dinanzi al ruolo assegnato nel gioco piuttosto il sintomo
di unincomprensione del gioco. Giobbe accetta, non spiega, la grazia
divina: il gioco non pretende dunque di risolvere il mistero della gratuit
della creazione n della salvezza, ma di esplorarlo nella sua ricchezza
ermeneutica.
Laccettazione del gioco divino produce latteggiamento
spoudoghloios invocato da Rahner. Sia Ruffini che Francesca Brezzi,
interpretandone il senso, lo presentano come un comportamento
equilibrato e mediano, capace di sostare di fronte alla rigida alternativa
che oppone il tempo alleternit come destino delluomo e la tragedia
alla commedia come interpretazioni del suo muoversi terreno. Secondo
Ruffini La simbologia del gioco d ad ogni cosa la sua giusta
proporzione
29
, mentre, pi analiticamente, Francesca Brezzi sottolinea
nellatteggiamento serio-sereno (ridente) lequidistanza da fanatismo e
evasione rispetto al mondo, segnalandone gli aspetti di libert e fattiva
partecipazione
30
. Rahner vede condensata nellaggettivo greco la

29
E. Ruffini, op. cit., p. 625.
30
F. Brezzi, ivi, p. 105.

238
duplicit dellesistenza nel suo svolgersi e le modalit di porsi dellagire
umano consapevole. Se lessenza ludica, come scriveva Platone, la
parte migliore delluomo, ci accade perch con il gioco luomo imita la
forza creatrice di Dio e al tempo stesso si comprende come prodotto di
questa creazione. Dunque, accetta con gioia sia la sua vicinanza a Dio
che il gratuito dispensarsi e sottrarsi dellesistenza nella sua
imponderabilit. Il gioco avvicina a Dio perch coglie meglio della
seriet il fondo delle cose, riesce a esperire contemporaneamente i due
lati della condizione umana sulla terra, dota luomo di una vista pi
acuta, permettendogli di sostare realmente tra cielo e terra, tra tempo e
eternit: ironia, umorismo e gioco sono, secondo Rahner, impensabili
senza il radicamento delluomo nel tempo, ma contemporaneamente
sintomi della sua apertura alleternit, cio della sua possibilit di vedere
altrimenti rispetto allangustia dello spazio vitale concessogli. Torna
dunque prepotentemente alla ribalta la duplice coscienza del giocatore,
la sua totale partecipazione al gioco mista allironico distacco della
consapevolezza di giocare. Se il gioco, soprattutto per la sua
connotazione educativa, un modo di sperimentare senza rischio le
cose serie, vale a dire, in un contesto teologico, un modo per vedere
Dio senza accecarsi, tuttavia esso anche un potente antidoto
alleccessiva seriet con cui sono prese dalluomo non ludens le vicende
del mondo: saper giocare e saper ridere coincidono con lacquisizione
della saggezza di chi ha trovato la pace in Dio e, pertanto, non precipita
nella disperazione dellassoluta leggerezza frivola n scambia la
quotidianit con lassoluta seriet che gli fa confondere le finte lacrime
dellattore con lacrime vere. Lhomo ludens, chiosa Rahner, un uomo
dalla seriet dellaldil, non pu essere n un corrotto dal gioco n un

239
disperato
31
. Lhomo vere ludens non dunque monoliticamente
insensibile a tutte le intemperie, come nel ritratto delluomo razionale
proposto da Nietzsche nella conclusione di Su verit e menzogna
32
, ma
uomo che gioisce e soffre
33
, tuttavia con unalta comprensione della
transitoriet del suo esistere e del destino eterno che lo attende. Il riso e
la pazienza si associano in lui. Come gi notava Nietzsche e come
Kernyi individuava nelle tradizioni mitiche, il fanciullo una
dimensione latentemente presente in ogni stagione della vita, si pone
allorigine dei tempi cos come si rinnova ad ogni segnale di tempi
nuovi. Il gioco manifesta una tensione allulteriore, come segnala
Melchiorre, e questa apertura non resta confinata alla sola attivit ludica
propriamente intesa, ma si espande come linfa vitale che pervade
lintera esistenza, come speranza escatologica, che, tuttavia, si radica nel
presente, nellazione ludicamente autopercepita: in questo senso va
riletta anche la difficile accettazione del ruolo imposto dal proprio
tempo e dal proprio spazio di gioco, poich il Regno oggetto di

31
H. Rahner, op. cit., p. 41.
32
Cfr. F. Nietzsche, Su verit e menzogna in senso extramorale, cit., pp. 371-372. In
particolare: Quanto diverso il comportamento di fronte a uneguale sventura,
delluomo stoico [razionale], ammaestrato dallesperienza, il quale si domina con
laiuto dei concetti! Lui, che altrimenti cerca soltanto la rettitudine, la verit, la
libert dagli inganni e la difesa dalle sorprese seducenti, ora, invece, nella sventura,
mette in mostra il capolavoro della dissimulazione come quellaltro [luomo
artistico] aveva fatto nella felicit: egli non rivela un volto umano mobile e vibrante,
ma per cos dire una maschera, con un dignitoso equilibrio nei tratti; egli non grida
e non cambia nemmeno la sua voce.
33
Cfr., nel medesimo scritto niciano, il ritratto delluomo artistico, pi sensibile alla
sofferenza, ma correlativamente, anche capace di autentica gioia, laddove
lindividuo razionale riesce solo con le gabbie concettuali a scacciare linfelicit, ma
non ad essere compiutamente felice. In particolare: Luomo intuitivo [artistico],
invece, ergendosi in mezzo a una civilt, raccoglie dalle sue intuizioni, oltre che una
difesa dal male, unilluminazione, un rasserenamento, una redenzione, che
affluiscono incessantemente. Senza dubbio egli soffre pi violentemente, quando
soffre: egli soffre anzi pi spesso, poich non sa imparare dallesperienza. [Id.,
ibidem, p. 372].

240
speranza si protende nellassenza, ma sempre a partire da una
esperienza di realt
34
. A questo proposito Melchiorre interviene a
richiamare il motto degli studenti contestatori del Sessantotto che
rivendicavano limmaginazione al potere, intendendo limmaginazione
non come dono ma come oggetto di conquista, vale a dire non
creativit pura che si edifica sul nulla, ma come assenza che si costruisce
nellancoraggio al gi noto e nellazione vivente e ludicamente critica.
Rahner sintetizza in poche righe il ritratto delluomo spoudoghloios, e
offre un ultimo approdo scritturale che giustifica il senso escatologico
del ricorso al gioco:

Lesistenza dunque veramente lieta, perch raccolta in Dio, e
tragica perch esposta al rischio della libert. Perci lautentico
homo ludens contemporaneamente sereno e grave, col sorriso e
con le lacrime oppure, per riallacciarci infine alla profonda sintesi
dei Padri cristiani, in letizia e pazienza.
35


Il riferimento conclusivo fornito da Rahner rimanda a un brano
della Genesi che ha per protagonisti Isacco e la moglie Rebecca che,
emigrati presso i Filistei a causa di una carestia, si fingono fratelli e non
rivelano il loro legame matrimoniale. Tuttavia un giorno il re Abimelech
li vede giocare eroticamente, scoprendo i loro reali rapporti
36
. Gi
Filone di Alessandria intendeva allegoricamente Isacco nel significato di

34
Cfr. V. Melchiorre, op. cit., pp. 597-598.
35
H. Rahner, op. cit., p. 43.
36
Cos Isacco dimor in Gerar. Gli uomini del luogo lo interrogarono intorno alla
moglie ed egli disse: E mia sorella; infatti aveva timore di dire: E mia moglie
pensando che gli uomini del luogo lo uccidessero per causa di Rebecca, che era di
bellaspetto.
Era l da molto tempo, quando Abimelech, re di Filistei, si affacci alla finestra e
vide Isacco scherzare [giocare] con la propria moglie Rebecca. Abimelech chiam
Isacco e disse: Sicuramente essa tua moglie. E perch tu hai detto: E mia
sorella? [Gen, 26, 6-9, in La Sacra Bibbia, cit., p. 39].

241
riso e Rebecca in quello di pazienza. La capacit comprendente
delluomo raggiunge dunque il suo culmine quando riesce a conciliare
riso e pazienza, serenit e gravit, cio quando essi giocano assieme
dinanzi allo sguardo di un re. Dunque la saggezza, nel commento di
Filone
37
, non ha alcun aspetto tetro e oscuro, ma serena apportatrice
di gioia; tuttavia essa non si accompagna allinconsapevole riso infantile,
ma allassennato e ironico riso dellanziano giocatore. E Filone stesso, in
conclusione a indicare come attivit adatta al saggio proprio il gioco: la
lieta accettazione paziente e benevola del destino e del corso delle
cose, gestiti con sapiente leggerezza. E inevitabile riandare con il
pensiero alla figura del ballerino niciano, e, del resto, la danza figura
ludica per eccellenza del cristianesimo. Clemente Alessandrino completa
linterpretazione filoniana, individuando nella figura di Abimelech, che
scorge il gioco di Rebecca e Isacco, lincarnazione della Sapienza, il logos
divino che gioca dinanzi a Dio e che fa da spettatore al gioco dellhomo
vere ludens, capace di tenersi in equilibrio nellesistenza e aprirsi
alleternit
38
.

37
Oltre a ci si deve dire anche questaltro: laspetto della sapienza non
ombroso e austero, contratto dallo sforzo della meditazione e dalla tristezza, ma
anzi ilare e sereno, ripieno di letizia e di gioia [] Si tratta di Isacco che significa
riso al quale si addice scherzare con la perseveranza che gli Ebrei chiamano
Rebecca.
Certo che alluomo comune non dato di scorgere la divina allegrezza: solo pu
farlo un re, nel quale la sapienza ha abitato per lungo tempo, seppure non per
sempre. Questo re si chiama Abimelech. [Filone di Alessandria, La piantagione di
No, 167-170, in Tutti i trattati del commentario allegorico della Bibbia, a cura di
R. Radice, Rusconi, Milano 1994, p. 560].
38
Cos si esprime Clemente Alessandrino: O gioco sapiente! Il riso aiutato dalla
perseveranza e il re spettatore. Si rallegra lo spirito dei fanciulli in Cristo che
vivono nella perseveranza, e questo il gioco che piace a Dio!
Eraclito dice che il suo Zeus giocava a un gioco simile. Infatti quale altra
occupazione si addice ad un essere saggio e perfetto se non giocare e essere lieto
con perseveranza nel bene e con cura del bene, celebrando feste sante con Dio?.

242


4. CRISTO E LA RIPRESA DEL GIOCO

Attraverso la Sapienza il gioco della creazione divina si fa mondo
e storia delluomo. La concezione sapienziale tipica di Israele: la
Sapienza non coincide esclusivamente con la conoscenza, ma anche
un comportamento, un modo dagire danzante come quello di Davide,
che si radica in Dio stesso ed motore dellatto creativo. Nel Nuovo
Testamento la Sapienza diventa Cristo, partecipante alla creazione e alla
conservazione del mondo, Sapienza discesa sulla terra.
Lincarnazione del Figlio di Dio si configura come secondo
possibile momento di lettura ludica della gratuit divina, ma, al tempo
stesso, apparentemente, nella vicenda terrena del Cristo si pu avvertire
un definitivo scacco per una seria teologia ludica. La domanda Perch
Dio diventato uomo?
39
apre la dissertazione di Moltmann sulla
venuta di Cristo quale nuova creazione operata da Dio in spirito
coerentemente ludico: linterpretazione pi diffusa, che indica
lincarnazione come necessaria alla luce del peccato, si limita a spiegare
le ragioni della venuta escludendo la contingenza storica della persona
di Ges e il volere divino. Lincrocio della casualit storica con il dovere
di diventare uomo, stante lindigenza umana, introduce lo spazio della
libert divina anche nella vicenda del Cristo. Ancora una volta,
Moltmann sottolinea come vada scartata per questo episodio, che muta
la condizione dellumano e il suo rapporto con Dio in modo radicale,

[Clemente Alessandrino, Il pedagogo, in Il protrettico; il pedagogo, a cura di M.G.
Bianco, UTET, Torino 1971, I, 5, 21, 4 22, 1, p. 214].
39
J. Moltmann, op. cit., p. 43.

243
lalternativa caso-necessit. Lazione divina seguirebbe una terza via,
quella, appunto, del gioco. Il beneplacito di Dio consente la formazione
del mondo e, allo stesso modo, al suo amore piace di incarnarsi per il
bene dellumanit.

Non stata la miseria umana a costringere Dio a venire nella carne,
bens il suo amore libero e gratuito. In questo amore Dio non
reagisce soltanto alla miseria della sua creazione, ma per essa crea
anche qualcosa di nuovo. La storia di Cristo non va intesa soltanto
come il provvedimento di emergenza preso da Dio al fine di
eliminare la miseria e ricomporre lantico gioco della creazione. []
La nuova creazione, che promana dalla redenzione, non lantica
creazione ristabilita o puramente riparata, ma qualcosa di nuovo
anche rispetto alla prima creazione. Essa un nuovo gioco.
40


Questa terza possibilit, giocosa, dellagire in profonda
consonanza con lessere di Dio e con il Suo amore. Solo sotto lo
sguardo miope del peccatore Dio costretto a venire nel mondo dalla
miseria delluomo. Egli invece viene spontaneamente, e si dona come
nuovo inizio. Levento cristiano ha inizio nel ludico volere di Dio, che nel
Vangelo si mostra esplicitamente come compiacimento dinanzi al Figlio
incarnato. Questi il figlio mio prediletto, nel quale mi sono
compiaciuto [eudoksai]
41
esclama una voce dal cielo al momento del
battesimo di Ges nel Giordano, e nel verbo greco eudoksai Adriani
intravede non solo la gioia e il compiacimento divini, ma anche
laffermazione della libert eterna della Sua iniziativa.
Tuttavia, Moltmann si ferma a riflettere dinanzi alla vicenda
terrena di Cristo. Al di l della ludicit dellincarnazione e del progetto
divino, il teologo ritiene di dover arrestare le possibilit ermeneutiche

40
Id., ibidem, pp. 44-45.
41
Mt, 3, 17, in La Sacra Bibbia, cit., p. 1044.

244
del gioco sulla soglia della croce: alla morte di Cristo si associano
immagini ludiche, ma sono quelle della derisione e dellindifferenza
rispetto alla tragicit del momento. Ges mascherato da re dai suoi
carnefici, insultato e deriso, e i soldati romani si giocano ai dadi la sua
tunica. Il gioco non in questo episodio gioco divino, ma sventatezza
umana. Le sofferenze di Cristo sono, a parere di Moltmann, inspiegabili
con categorie ludiche; la sua presa di posizione esplicita e irrevocabile:
Io penso che si dovrebbe letteralmente e seriamente lasciare la croce
fuori dal gioco
42
. Tuttavia, come scrive Adriani, solo la volont divina
che fa passare la teofania di Cristo dallosannante folla di Gerusalemme
alla croce e alla resurrezione. Adriani, pur con cautela, definisce ludico
lalternante susseguirsi di passione, morte e resurrezione, dichiarando
che la vita di Cristo si svolge come un gioco che si snoda tra offerta di
salvezza, sua ricezione, sua provvisoria sospensione e, infine,
dispiegamento totale. Sono soprattutto le tentazioni, sempre secondo
Adriani
43
, a rivelarsi come vuoti drammatici rispetto ai pieni degli
Osanna. La peripezia, lostacolo e il rivolgimento di fronte, propri di
ogni gioco, rifulgono nella vita di Cristo e assumono valore cosmico. La
tentazione ha una dimensione propriamente ludica, presentandosi
come scelta e accettazione delle regole della partita somma di portata
capitale: da questo punto di vista, esemplare non tanto la tentazione
diabolica nel deserto, cui Cristo si sottrae con relativa facilit, ma la
drammatica richiesta dellallontanamento del calice nel giardino dei
Getsemani. Cristo opta a favore della regola divina, accetta la posta del
gioco aperto con Dio, che il cristiano chiamato a riconfermare entro il

42
J. Moltmann, op. cit., p. 48.
43
Cfr. M. Adriani, op. cit., in particolare pp. 19-23.

245
proprio gioco della vita, in tal senso da intendersi compiutamente come
imitatio Christi. Il vero gioco, esistenzialmente e divinamente pregnante,
passa per il rischio della sconfitta e della perdizione, fra ossequio al
gioco divino e estrema tentazione di sottrarvisi, tra vittoria sulla morte e
pericolo di perdere la vita. La tentazione rimanda alla struttura biblica
per eccellenza del rapporto tra Dio e Israele, la questione del patto e
della sua osservanza. Il gioco divino richiede lassenso delluomo e solo
cos lo trasporta entro un altro spazio, in vista del regno dei cieli.
Sembra essere pi facilmente condivisibile una lettura ludica
dellevento pasquale: nonostante lestrema realt e crudezza della morte
di Cristo, la morte risulta in ultima analisi sconfitta e ridicolizzata dalla
resurrezione, nonostante essa persista ancora in tutta la sua dolorosa
presenza. Con la Pasqua ha inizio una nuova era, un nuovo gioco che si
sdoppia in speranza escatologica e possibilit di una vita terrena
giocosamente atteggiata perch illuminata dal futuro ultraterreno.

Solo per chi capace di essere contento le proprie ed altrui
sofferenze divengono dolore. Chi pu ridere pu anche piangere.
Chi ha speranza diviene capace di sopportare il mondo e di essere
triste. L dove si fatto sentire il soffio della libert incominciano a
fare male le catene. L dove si avvicinato il regno di Dio si pu
misurare la profondit dellabisso dellabbandono di Dio. L dove si
pu amare, perch si sa che cosa amore, si pu anche soffrire,
accettare il dolore e vivere con i morti.
La vita come gioia per la liberazione, come solidariet con i
prigionieri, come gioco nellesistenza redenta e come dolore
nellesistenza irredenta dimostrano levento pasquale del mondo.
44


La Pasqua offre dunque lopportunit di un nuovo gioco: solo
linnocente, incarnato nel fanciullo, sa giocare. Il colpevole non sa
giocare perch ondeggia tra autoglorificazione e autodisprezzo,

44
J. Moltmann, op. cit., p. 51.

246
pertanto non sa vincere n perdere. Lesperienza di fede consentita
dalla resurrezione sancisce una nuova accettazione di s, il recupero di
una libert creativa andata perduta. La Crocifissione il trascendentale,
in senso kantiano, del nuovo gioco, la soglia di apparizione che offre al
credente un nuovo modo di situarsi nel mondo, nella memoria della
croce e nella luce della resurrezione. Acquista allora maggior
consistenza il modello dellindividuo serio-sereno, come accettazione
della seriet della morte nel quadro di un rallegramento per la
consapevolezza e la fiducia nella gratuit divina. La tradizione della
pelota pasquale, tipico gioco medievale in cui chierici e vescovi si
lanciavano la palla persino allinterno delle chiese a simboleggiare il
percorso di resurrezione di Cristo, richiama plasticamente lesigenza e
limportanza di una ecclesia ludens, come ama descriverla Rahner. Dio
diviene in Cristo non solo istitutore, ma partecipe del gioco apertosi con
la creazione. In quel momento tutte le categorie umane si disciolgono e
resta solo limpalpabile fantasia ludica per poter agire e reagire alla luce
di questo evento. Il gioco di Isacco e Rebecca viene anche interpretato
come simbolo del rapporto tra Cristo e la sua sposa terrena, che,
dunque, per corrispondere al partner divino, deve accettare il gioco,
pazientemente attendendo il ritorno di Cristo e lavvento del Regno.
Anche in un ulteriore testo veterotestamentario il profeta Zaccaria
descrive una visione dellera messianica come situazione di gioco: Le
piazze della citt formicoleranno di fanciulli e di fanciulle, che
giocheranno sulle sue piazze
45
. Il credente, redento dalla morte e
resurrezione di Cristo, riacquista lo spirito infantile che afferma il gioco e
la danza terrene letteralmente come pre-ludi alla vita beata. Il fedele,

45
Zc, 8, 5, in La Sacra Bibbia, cit., p. 1024.

247
come si legge nei canti di innumerevoli mistici cristiani, intravede il
gioco di Dio allorch si scopre trasformato e trasportato dal suo amore
gratuito e infinito in una sfera che oltrepassa ogni calcolo, come avviene
nella contemplazione del mistero dellincarnazione, altrimenti cos
assurdo e inaccettabile.


5. LA SCOMMESSA DEL CRISTO ARLECCHINO

C anche chi, tuttavia, nonostante linvito di Moltmann a lasciare
la croce fuori dal gioco, trova proprio nella figura terrena di Cristo
unintima natura ludica. Harvey Cox, in un testo molto discusso, La festa
dei folli, stigmatizza la perdita nel mondo moderno della capacit di far
festa e di fantasticare, colta invece come aspetto qualificante
dellumano. Sullonda delle criticate innovazioni liturgiche e delle
esperienze di neomisticismo e militanza proposte dal Sessantotto, Cox
propone una propria via teologica che si collochi sul confine tra la
teologia radicale della morte di Dio, esclusivamente attenta, pertanto, al
presente storico e alle possibilit di viverlo nella militanza, e la teologia
della speranza, di cui Moltmann uno dei massimi esponenti, che
privilegia invece lo sguardo al futuro come alternativa totale a un
presente vissuto come soffocante e dimentico dellautentica religiosit.
Questa traiettoria mediana, che Cox denomina teologia della
giustapposizione, trova nel binomio festa-fantasia, e dunque in un
contesto squisitamente ludico, il proprio fulcro. La festa, in quanto
celebrazione memoriale maggiormente spostata verso il passato,
laddove la fantasia, prospettando scenari inediti, si situa in direzione del

248
futuro. La festa presenta analogie strutturali con il gioco: innanzitutto
essa caratterizzata dalleccesso sia perch in essa si strafa sempre sia
perch ci si concede una pausa libera dalle convenzioni; inoltre, niente
come la festa sembra confermare il santo dir s del gioco niciano,
laffermazione della vita, esplicita allorch si ricordano in essa i trionfi,
ma, anche, affermazione della vita nonostante gli eventi dolorosi
talvolta celebrati; infine, la festa giustapposizione, proprio nel senso in
cui il gioco un mondo a parte, unoasi rispetto alla realt
quotidiana
46
. La festa consente dunque da un lato il godimento del
momento, la vita che vive, ma anche riannoda il legame con la storia
nella dimensione della memoria e della speranza e, infine, promuove
uno sguardo pi distaccato, in quanto rivolto a partire da una realt
altra, in direzione della storia e del presente. La festa non superficiale
e frivola, ma opera uno scavo approfondito dellessenza delle cose del
mondo, rileva non lassurdit radicale, ma la comicit dellaffanno che
esse generano. Il cristianesimo sa, come il gioco, affermare
contemporaneamente e contraddittoriamente bont e vanit del
mondo, stimola cio lassunzione di uno sguardo acutamente ironico,
dal momento che presenta il divino incarnato e la presenza di Dio nei
corpi del creato, ma costituzionalmente rivolto al futuro come
momento del disvelamento dei significati ultimi
47
. La festa e il gioco
sono dunque congiunti inevitabilmente al cristianesimo quali modalit
di riacquisizione di un rapporto armonico con il tempo e leternit,
mediante un ridimensionamento della storia che non si traduce in
rifiuto. Daltro canto, in quanto eccessi, aprono al superiore e

46
H. Cox, op. cit., pp. 36-40.
47
Id., ibidem, pp. 61-65.

249
allulteriore. La fantasia, per parte sua, vista da Cox come radice ultima
della nascita di rito e mito, e come opportunit per evitare la
sclerotizzazione della ritualit, elemento comunque da salvaguardare.
Come avviene in ogni gioco, il rito e la regola offrono una struttura di
base entro cui muoversi e spostare le pedine, costituiscono dunque
lorgano essenziale grazie a cui la fantasia pu organizzare e
riorganizzare continuamente il mondo dei fatti senza perdersi in vane
fantasticherie.
Lidea di un metodo teologico della giustapposizione consiste di
fatto nel tentativo di non stabilire una conciliazione, ma di
salvaguardare il conflitto tra leredit storica del cristianesimo e la
necessit, da parte di una religione che strutturalmente attesa di un
avvento, di essere sempre fuori dal tempo. Se Rahner definisce homo
ludens il vero cristiano, che sa tenere assieme questi due capi divergenti,
Cox intravede nella figura del buffone limmagine pi convincente della
teologia ludica. Laspra cacofonia tra il simbolo ereditato e la situazione
presente permette di esperire un pi di realt, un mondo diverso, che il
buffone interpreta al meglio: un ridimensionamento della storia e del
presente in nome di un futuro da costruire. Lesperienza umana per
essenza esperimento e prova, un tentativo di imitare Dio costruendo
ordini e organizzazioni, ma il buffone proprio colui che costantemente
pungola lordine costituito spingendo a mettere in forse proprio le
convinzioni pi salde. Tuttavia, precisa Cox, il buffone frequenta la
societ che deride, un ospite scomodo, ma che risiede in quella realt.
Come lospite nello sport, al tempo stesso rende possibile il gioco e
vanifica le trame della squadra di casa. Il dentro-fuori contemporaneo del
buffone strutturalmente analogo a quello del giocatore, ma ancor pi

250
profondamente e provocatoriamente, secondo Cox, proprio Cristo resta
lineguagliato modello di lusor: limmagine del Cristo arlecchino o del
Cristo clown, la cui riproposizione Cox ravvisa in alcune esperienze
dellarte contemporanea, pare al teologo lunica possibile via di
presentare Cristo al nostro tempo, abbandonando le consunte figure
del Cristo salvatore, giudice o maestro. Cox ravvisa nelle antiche
raffigurazioni di Ges crocifisso munito una testa dasino unintima
consapevolezza dei primitivi cristiani di quanto potessero sembrare
ridicole e assurde le loro predicazioni al mondo pagano, di quanto
Cristo potesse apparire nientaltro che un santo folle. Non solo, ma
persino nel racconto evangelico sarebbe possibile riscontrare, secondo il
teologo americano, un atteggiamento irridente di Ges rispetto
allautorit costituita, parodiata, ad esempio, nellentrata regale a
Gerusalemme o, ancora, la similitudine tra Ges e un menestrello nelle
sue partecipazioni a feste e banchetti. Anche le finte insegne regali con
cui Cristo viene crocifisso sembrerebbero essere unestrema
testimonianza di questo aspetto della sua natura, rinnegato dalla sua
Chiesa allorch, passati i pericoli degli inizi, si avvia a diventare essa
stessa potere costituito.
Al di l di quella che pu apparire come unarbitraria distorsione
dei momenti pi drammatici della passione di Cristo, la figura del Cristo
buffone mantiene una certa validit interpretativa. E lo stesso Cox a
dotare le disavventure del clown di molteplici significati:

Una chiesa debole, perfino ridicola, in certo qual modo
sostanzialmente refrattaria alle certezze dominanti del momento,
pu capire di nuovo il Cristo arlecchino, il suo pathos, la sua

251
debolezza, la sua ironia: tutto comincia a riassumere uno stano
significato.
48


Pathos, debolezza e ironia: nella fragilit del Cristo crocifisso
luomo riscopre la propria precariet e lassurdit degli affanni del
vivere; tuttavia la forza del clown anche quella della rottura e della
critica e, in entrambi i suoi volti, debolezza e ironia, emerge il pathos, la
partecipazione totale e insieme consapevole al gioco del mondo e di
Dio. Cristo clown secondo Cox lincarnazione di festa e fantasia, ma,
ancor meglio, esprime la nostra ludica comprensione del passato e il
nostro comico rifiuto di accettare lo spettro dellinevitabilit del
futuro
49
. Il Cristo arlecchino scardina le convenzioni e i meccanismi di
potere, si fa prepotente messa in questione, ma assieme, lascia
trasparire angoscia e disperazione, lintima consapevolezza di
unestrema fragilit, invitando allaccettazione della condizione umana
50
.
La preghiera e la fede sono entrambe autentiche forme di
gioco
51
, scrive Cox, suggestionato dalle innovazioni liturgiche che
reintorducono la danza e la musica nelle chiese, ma anche
semplicemente dalla riscoperta di una fede e di una preghiera non
irreggimentate negli stilemi tradizionali. Lassociazione della vita di
Cristo al gioco e alla commedia pu suonare blasfema, tuttavia questa
lettura d conto della profonda carica innovativa del cristianesimo: il suo
volgersi al futuro impedisce la sclerotizzazione nella monoliticit del
contesto presente, invita alla sperimentazione e alla messa in questione,
alla demolizione, ma anche alla costruzione nella consapevolezza

48
Id., ibidem, p. 175.
49
Id., ibidem, p. 176.
50
Cfr. F. Brezzi, op. cit., pp. 78-81.
51
H. Cox, op. cit., p. 183.

252
dellimportanza del gesto umano, bench ancora distante dalla danza
dei beati. E ancora Cox a richiamare lattenzione sullimportanza della
danza, fenomeno, si pi volte detto, a pieno diritto partecipe della
galassia ludica, come momento di riconciliazione tra il corporeo e lo
spirituale. Anzi, lostracismo opposto alle manifestazioni di giubilo degli
antichi cristiani sotto forma di danza, identificata con un retaggio
pagano, persino da personaggi di spicco come Agostino,
violentemente criticata anche da Rahner e Moltmann come sostanziale
incomprensione del potere religioso della danza in quanto gesto che
corrisponde alla creazione divina
52
, ringrazia riproducendo il gioco di Dio
e allude, nella liberazione del corpo, a quella che la Bibbia stessa
preannuncia come danza dei beati e degli angeli. Lhomo ludens pre-
lude con la sua danza alla levit del corpo spirituale, con la massima
leggerezza acquisibile sulla terra
53
. La danza promuove una sorta di
riconciliazione tra anima e corpo, tradotta nella leggiadria del moto, che
anticipa larmonia celeste della beatitudine, gi allusa dallantica mistica
astrale, che concepisce il movimento dei cieli come ballo armonico delle
costellazioni.
Qualche anno fa le Diocesi Lombarde scelsero di proporre come
tema della stagione oratoriale una formula densa di rimandi a quanto si
esposto nelle pagine precedenti: Quamicigioco
54
. In una sorta di

52
La danza sacra se gioco, poich anzitutto imitazione, nel gesto e nel ritmo, di
quello slancio che Dio ha ispirato al cosmo quale principio creatore. [H. Rahner, op.
cit., p. 64].
53
Lhomo ludens attende, come si gi detto, quella miracolosa levit che spinge
alla danza celeste il corpo liberato dal peso terreno. [Id., ibidem, p. 63].
54
Il riferimento alla proposta per loratorio estivo dellanno 2001. Tale progetto
intendeva utilizzare lo sport quale metafora dellautentica vita cristiana, affrontando
attraverso questesperienza cos comune alcuni temi come il senso della vita,
laccoglienza del futuro, le relazioni interpresonali basate su carit e pace, il

253

concetto di comunit, la volont di affrontare le difficolt e di risolverle con
limpegno, la fatica e la gioia necessari. Generosit, lealt, allenamento, gestione
della vittoria e della sconfitta sono le tappe fondamentali del percorso proposto
agli animatori, articolato in una ventina di indicazioni ludiche di base: 1.
Convocazione: vocazione-libert. La chiamataalla vita: dare inizio ad una nuova
avventura. I ragazzi vengono chiamati a fare unesperienza nel mondo di
Sportlandia. C in gioco la libert di ciascuno: ognuno deve poter rispondere s!. 2.
Strategia di gioco: giocarsi-scegliere. E il momento della motivazione: ognuno cerca
di comprendere le finalit di questa esperienza. Viene cio presentata la strategia di
gara. Vengono dati in breve alcuni spunti sulla parabola sport-vita. 3. Training:
impegnarsi. C una volont da educare, perch la nostra partecipazione sia
appassionata. E il momento di un ci sto pi consapevole di quello iniziale. 4.
Sudare: tenacia-perseveranza. La fatica: esperienza quotidiana della vita. E una
fatica positiva che produce soddisfazione, ma che chiede la pazienza di viverla e di
superarla. 5. Correre (fiato): fede-fiducia. Metafora dellavere fiato, pu essere legata
alla spirtiualit (nellesercizio della preghiera) personale e comunitaria. E la capacit
di scoprire la straordianria bellezza che pu fiorire nelle cose ordinarie e semplici. 6.
Saltare: coraggio. Desiderio di prendere il volo e di volare alto, andare oltre alle
cose che ti inchiodano pesantemente a terra. E il desiderio che Dio stesso ha
messo nel nostro cuore, toccare il cielo. E lo slancio verso una vita che supera la
monotonia e la noia. 7. Cadere/rialzarsi: perdonarsi. Si fa lesperienza di sbagliare, si
coglie che non siamo capaci con le sole nostre forze di vivere la chiamata. E il
momento della prova. E il momento dove impariamo a conoscere e accettare i
nostri limiti. 8. Riposarsi: accettarsi. Ci vuole il momento di ricarica. Le energie
vengono ristabilite dal dono del riposo e del sonno. Non pigrizia ma un riposo
attivo, sereno e accolto con spirito di gratitudine. 9. Riscaldamento: amare. Si
avvicina la gara e il nostro corpo deve prepararsi. Siamo fatti per amare e essere
amati. Essere caldi significa dunque gustare questa grandissima dimensione umana.
10. Stretching: donare-donarsi. Ogni muscolo importante e tutto il corpo
partecipa alla gara. E il tema della corporeit. Il nostro corpo parla e ci parla, fa
parte cio della nostra possibilit di comunicare con gli altri e con il mondo intero
ma bisogna essere preparati. 11. Concentrazione: conoscere. La mente, lintelligenza
si coinvolge in ci che dovremo fare. E il nostro pensiero e la nostra capacit di
pensare, riflettere, approfondire. 12. Partecipare: amicizia. [] 13. Collaborare:
condividere [] 14. Rispettare: accogliere. Ci sono delle regole, altrimenti non ci
sarebbe gara. Queste regole mi permettono di vivere meglio con gli altri, ma anche
di dare il meglio di noi stessi. Non possiamo comportarci cos come ci gira al
momento. C in gioco la nostra libert. 15. Tifare: fraternit. [] 16. Arbitrare:
lealt. [] 17. Vincere/perdere: umilt []. 18. Esultare: testimoniare. Finalmente il
gioco diventa gioia di vivere. La gioia coinvolgente ed anche molto visibile.
Alzando le mani verso il cielo esprimo tutta la mia gratitudine, incoraggio, d
fiducia ed accolgo la vittoria come un dono che Dio mi sta facendo. 19.
Congratularsi: gratitudine []. 20. Trionfo: annunciare. [Oratori delle Diocesi
Lombarde (a cura di), Quamicigioco, In Dialogo, Milano 2001 fasc. 1 Il progetto,
pp. 7-9]. Lo sport e il gioco sono dunque interpretati in senso schiettamente
cristiano e in essi si vede una modalit educativa primaria che conduce alla piena
comprensione della vita cristiana. Lo sport si colloca in un recupero delle attivit

254
scioglilingua si condensa lidea di uno spazio (qua), loratorio, ma, per
estensione, la Chiesa, entro cui il gioco assume un ruolo nodale come
atteggiamento adeguato al rapporto con il divino. Non solo si allude
alla comunit dei giocatori, alla socialit insita nellapproccio cristiano
alla vita terrena (amici), ma, nelle medesime sillabe, si iscrive il senso di
una scommessa esistenziale di importanza capitale (mi ci gioco); un
giocarsi che innanzitutto un mettersi in gioco e in discussione, in tutta
seriet, ma che anche invito a perdersi totalmente nel gioco dei
possibili, un invito al futuro e a comprendersi come giocattoli viventi di
Dio, immersi in un gioco pi grande cui si corrisponde danzando sui
ritmi della speranza e dellinventiva.



umane terrene che, in particolare, promuove il rispetto per il corpo, la percezione di
una socialit comunitaria, il rispetto per lalterit dellavversario. Inoltre, negli strati
pi profondi della metafora, il progetto oratoriale individua lequivalenza tra vita e
gara, allenamento (costante) e preghiera, allenatore e Cristo, squadra e Chiesa
(ibidem, p. 10). La rivalutazione della prospettiva ludica, e in particolare sportiva,
nellalveo della Chiesa testimoniata da interventi teologicamente approfonditi da
parte del pontefice, della Conferenza Episcopale Italiana e di altri, interamente
dedicati ai valori cristiani dello sport e allesperienza cristiana come esperienza
sportiva. Si veda, al proposito,la recentissima raccolta antologica Lo sport sia con
te. Antologia di testi su Chiesa e sport, a cura di F. Pizzul, In Dialogo, Milano 2004.

255
CONCLUSIONI

Considera, ad esempio, i processi che chiamiamo giuochi.
Intendo giuochi da scacchiera, giuochi di carte, giuochi di palla,
gare sportive e via discorrendo. Che cosa comune a tutti questi
giuochi? - Non dire: Deve esserci qualcosa di comune a tutti,
altrimenti non si chiamerebbero giuochi ma guarda se ci sia
qualcosa che sia comune a tutti, ma vedrai somiglianze, parentele
e anzi ne vedrai tutta una serie. Come ho detto: non pensare, ma
osserva! Osserva, ad esempio, i giuochi da scacchiera, con le loro
molteplici affinit. Ora passa ai giuochi di carte: qui trovi molte
corrispondenze con quelli della prima classe, ma molti tratti
comuni sono scomparsi, altri ne sono subentrati. Se ora passiamo
ai giochi di palla, qualcosa di comune si conservato, ma molto
andato perduto. Sono tutti divertenti? Confronta il giuoco degli
scacchi con quello della tria. Oppure c dappertutto un perdere e
un vincere, o una competizione tra giocatori? Pensa allora ai
solitari. Nei giuochi con la palla c vincere e perdere; ma quando
un bambino getta la palla contro un muro e la riacchiappa, questa
caratteristica sparita. Considera quale parte abbiano abilit e
fortuna. E quanto sia differente labilit negli scacchi da quella nel
tennis. Pensa ora ai girotondi: qui c lelemento del divertimento,
ma quanti degli altri tratti caratteristici sono scomparsi? E cos
possiamo passare in rassegna molti altri gruppi di giuochi. Veder
somiglianze emergere e sparire.
1


E nota limportanza della nozione di gioco, in particolare di gioco
linguistico, nella filosofia del secondo Wittgenstein. Questa tesi
interamente dedicata al soggetto gioco, sia pure in una accezione
differente da quella propriamente wittgensteiniana. Lattenzione
allesperienza ludica nasce tuttavia dal desiderio di corrispondere
allinvito, che suona in questo passaggio quasi come un imperativo, a
guardare i giochi nel loro manifestarsi quotidiano, e, in secondo luogo, a
portare lattenzione sul fenomeno gioco in quanto tale, non come
esempio o metafora scelto tra i tanti possibili per tratteggiare e illustrare

1
L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, 66, cit., pp. 46-47.

256
una nuova teoria del significato. Wittgenstein chiede al lettore di
continuare il gioco dellindagine sui giochi
2
e indica persino le
operazioni interpretative che questi dovr compiere per inoltrarsi nella
selva ludica.
Queste pagine tengono conto, inoltre, della consapevolezza,
formulata ancora da Wittgenstein al termine del paragrafo riportato,
che la visione delle somiglianze e delle parentele che porta alla
definizione dellarea gioco un processo continuo e inarrestabile,
specie quando il tema in questione tanto noto quanto misconosciuto.
Il ludus, infatti, stato al centro di innumerevoli trattazioni da parte di
svariati ambiti disciplinari, dalla pedagogia alla psicologia, dallestetica
alla sociologia, dallantropologia alla matematica. Tuttavia, nonostante
questo interesse diffuso e diversificato, il gioco resta per il senso
comune connotato da unassoluta marginalit, al di fuori della sua
considerazione in relazione allinfanzia e alleducazione. Relegato nel
limbo dellevasione, del non serio e dellinutile, il gioco ha sempre
richiesto ai suoi paladini apologie anche molto ampie per ottenere una
riabilitazione quale oggetto degno per se stesso di indagine
approfondita.


2
U. Eco, Entrare nel bosco, in Sei passeggiate nei boschi narrativi: Harvard
University, Norton Lectures 1992-1993, Bompiani, Milano 1994, p. 30. In questo
contesto Eco si occupa della definizione delle nozioni narratologiche di lettore e
autore modello e trova in questo passaggio delle Ricerche filosofiche un
bellesempio della presenza di queste strutture al di fuori della cerchia delle opere
di narrativa. Eco individua il carattere di appello al lettore del brano di Wittgenstein,
che si indirizza a una tipologia di lettore specifica, definendone il profilo
intellettuale e persino, aggiunge Eco, la passione che dovr guidarlo a giocare
questo gioco sui giochi, mediante le operazioni interpretative richieste dalla voce
autoriale: considerare, guardare, vedere, osservare, trovare parentele e somiglianze.

257
Il percorso qui delineato segue nel suo svolgimento strutture
ludiche, intende cio riprodurre landamento di un gioco, con le sue
regole, i suoi spazi e i suoi tempi. Non potrebbe daltronde essere
diversamente, dal momento che il tema centrale della trattazione
proprio lindividuazione del gioco quale modalit di descrizione e
spiegazione dellessere, non alla stregua di unimmagine poetica, ma nel
senso dellindividuazione di una ludicit radicata nelle strutture del
mondo. A questo proposito la trattazione oscilla costantemente tra il
polo antropologico e quello cosmologico, proponendosi di ravvisare
sempre il risvolto umano del gioco cosmico e, viceversa, il riflesso del
mondo nella quotidianit del gioco umano. Come voleva Wittgenstein,
questa tesi parte innanzitutto da un guardare, dallattenzione
ammirata allo sforzo cosmopoietico del gioco, alluniverso di significati
e relazioni che anche i giochi pi semplici generano con una
straordinaria naturalezza demiurgica. Da questo sguardo infantilmente,
e per ci stesso ludicamente, ammirato sorge linteresse per un
percorso che tocca innanzitutto le riflessioni di Eugen Fink e Friedrich
Nietzsche quali presupposti fondamentali per poter elevare il gioco a
struttura ontologica, ma con la volont costante di non perdere di vista
la concreta pratica del gioco.

La prima parte del lavoro si presenta come una proposta di gioco.
Non a caso prende avvio dalla pi tipica richiesta ludica che qualunque
bambino rivolge allamico, al genitore, alladulto, Facciamo un gioco?,
richiesta che, come scrive Bateson
3
, non sopporta limperativo, e che
anche in questo caso esorta, pi che a sposare una tesi, a volgere

3
Cfr. G. Bateson, Questo un gioco, Cortina, Milano 1996.

258
lattenzione al fenomeno in cui si pi coinvolti in assoluto, un
fenomeno che, secondo Kernyi, si pu osservare solo dallinterno, a
gioco gi cominciato, pena il disconoscimento della sua reale portata. Il
gioco fa parte dellesperienza di chiunque, anche se, talvolta, resta
confinato nellalveo dellinfanzia; tuttavia, gi a partire dal suo primato
cronologico-biografico, il gioco merita di essere osservato, perch in
esso in qualche modo devono trovarsi aspetti di originariet e
essenzialit. Giocare fa tornare inevitabilmente allorigine, sia essa quella
della singola vita o quella del cosmo: in questa prospettiva trovano
collocazione le indagini di Huizinga e Caillois, ma anche lattenzione
rivolta da Jung e Kernyi allarchetipo mitico del fanciullo cosmico e, agli
albori della storia della filosofia, alcune osservazioni di Platone e,
soprattutto, di Eraclito. Linvito a giocare intende dunque essere un
richiamo allimportanza e alla priorit della dimensione ludica nellagire
e nella storia umani, gi proponendo, tuttavia, un allargamento
dellorizzonte a una realt altra e pi vasta di quella specificamente
antropologica.

Il secondo momento della trattazione, infatti, scandaglia il campo
di gioco, mira cio a sviscerare il nodo problematico della realt del
mondo creato dal gioco. Il percorso si snoda attraverso proposte
differenti per mostrare lassoluta specificit immaginativa del ludus,
tracciando il suo scarto dai modelli di ascendenza platonica
dellimmagine e dello specchio quali fenomeni di realizzazione di mondi
alternativi al reale. Se giocare significa fare, occorre innanzitutto
qualificare il risultato di questa azione creativa in modo da rivalutarlo
rispetto al suo disconoscimento quale mera apparenza fantastica e

259
inconsistente. Il gioco si caratterizza per lo pi, in tutti i pi o meno
riusciti tentativi di definirlo, per due tratti specifici: il suo status di oasi o
recinto sacro, da un lato, e lambiguit della coscienza del giocatore
dallaltro. Il primo aspetto fa riferimento allautarchia del funzionamento
del ludus, che si sviluppa come un vero e proprio mondo parallelo con
spazi, tempi, ruoli e regole propri. Proprio per questo motivo il gioco
un terreno particolarmente favorevole per leggere in trasparenza le
dinamiche del reale, ma ancor pi per cercare di penetrare i modi
attraverso cui si creano le stesse solide realt entro cui gli uomini
trascorrono la loro esistenza ordinaria. Dunque, fare attenzione al
campo di gioco significa scovare delle realt sperimentali dotate della
massima consistenza, capaci di costituire alternative o piattaforme di
modifica dellordinaria realt. Il gioco si struttura dunque come una
terra di mezzo e di confine tra soggetto e oggetto, anzitutto come
luogo di movimento e di azione in cui prendono forma le cose. E
sullazione compiuta dal gioco, pi che sui suoi prodotti, che occorre
soffermarsi. La portata strutturale del terreno di gioco, infatti, non
affatto coincidente con lerba dello stadio o con la rete tra due campi
avversari o con il legno della scacchiera, ma con il rimando simbolico
che tali concrete cose del mondo sanno attivare. Una serie di caselle
bianche e nere o delle righe di polvere bianca tracciate in un
determinato modo aprono letteralmente le porte di un mondo in cui
tutto funziona coerentemente secondo determinate regole, che
possono essere completamente stravolte e rovesciate, ma allora si pu
incominciare un altro gioco. In questo universo parallelo tutto ha un suo
posto e una sua possibilit di movimento, ma il fatto che al di fuori del
campo di gioco non valgano le medesime norme o i ruoli imposti dal

260
gioco vengano meno non sta affatto a significare che il mondo ludico
sia puramente fittizio. Far finta lazione per eccellenza del giocatore,
ma questa finzione non si accorda con linganno, bens, piuttosto, con la
simulazione nel senso dellesperimento e del travestimento. In-ludere
significa in primo luogo entrare nel gioco, in un mascheramento
consapevole e attivo, non passivamente e incoscientemente subito. In
questo senso la realt virtuale del gioco ha a che fare anche con la
doppia coscienza del giocatore, che crea consapevolmente il campo di
gioco e, contemporaneamente, profonde tutto il proprio impegno in
quello che sa essere solo un gioco, senza conseguenze, una volta
terminato, per il suo vivere quotidiano. La duplicit del dentro e fuori,
in-ludere e de-ludere, rispetto al gesto e al ruolo operati nel gioco
consente a questultimo di candidarsi al ruolo di finestra aperta
sullessere delluomo e del mondo: guardandosi giocare luomo pu
comprendere il proprio essere giocato costante e inevitabile dalle
strutture della propria cultura e del proprio vissuto, rendersi
consapevole della ludicit ultima di ogni realt entro cui egli vive e si
affanna. Ogni giocatore sa che per saper giocare occorre un lungo
allenamento, che il gesto un intreccio inscindibile di talento e
costanza: con una bella espressione Luciano di Samostata parlava dei
danzatori come cheirisphoi, sapienti delle mani
4
, e lo stesso potrebbe

4
Inoltre, se gli altri spettacoli sono espressioni delluna o dellaltra parte
delluomo, alcuni della mente, altri del corpo, nella danza le due parti sono
compenetrate. Infatti gli spettacoli dei pantomimi comprendono la
rappresentazione del pensiero e lattivit dellesercizio fisico; ma ci che pi
importa la conoscenza delle azioni e il fatto che non ci sia niente al di fuori dei
limiti della ragione. Per dire il vero Lesbonatte di Mitilene, uomo pieno di doti,
chiamava i pantomimi sapienti delle mani [cheirisphous] e andava al loro
spettacolo sapendo che sarebbe tornato a casa da teatro migliore di quando vi era

261
dirsi dei giocatori. Esigenza fondamentale dellindividuo, per affrancarsi
dalla rigidit altrimenti insolubile dei propri atteggiamenti e del proprio
pensiero dunque quella di un paradossale apprendistato al gioco:
linvito niciano a imparare a giocare, che riecheggia nellestrema
metamorfosi del superuomo nella figura del bambino, sospinge
nuovamente allorigine, e questa arch ha ancora una volta la fisionomia
del gioco.
Da un lato, dunque, lesperienza del gioco d luogo
allopportunit di un atteggiamento critico, irridente o, semplicemente,
disincantato dinanzi a valori e gerarchie, rende soggetti, anche al di
fuori del circolo chiuso del gioco, di un in-lusione: non si resta vittime di
superstizioni di verit, ma si coscienti della propria appartenenza a un
gioco inarrestabile cui non ci si pu sottrarre. Gi dunque sotto il profilo
esistenziale la realt ludica ha tutte le caratteristiche di una sur-realt
rispetto a quella ordinaria: il soggetto ludens colui che gioca e sa di
giocare, il che non significa affatto abbandonare il gioco o compierlo in
modo annoiato e svogliato, bens profondere il massimo impegno nel
singolo momento e nella concertazione dellazione, senza pensare mai
che essa sia lultima e definitiva soluzione del gioco tutto.

E tuttavia soprattutto in una seconda direzione che la realt
ludica si rivela come trampolino per loltre-realt: lateleologicit
regolata, linfondatezza, linutilit, ma anche lestrema vitalit, lordine
intrinseco e lautarchia del gioco sono infatti i medesimi tratti del
mondo. E, ancora una volta, nellazione ludica e nella sua specificit,

entrato. [Luciano, La danza, trad. it. di M. Nordera, a cura di S. Beta, Marsilio,
Venezia 1992, 69, p. 95. Sottolineature mie].

262
non nei contenuti del singolo gioco, che si avverte leco dellagire
dellessere. Dar forma, luogo e direzione alle cose e agli uomini: in ci
consiste la prassi del mondo, prassi ludica innanzitutto in quanto
diveniente e metamorfica. Sembra dunque legittimo prospettare una
sorta di specularit tra i tempi del gioco, lattimo e la durata, e il divenire
come tempo del mondo. Il mondo gioca e luomo suo giocattolo,
tuttavia anchegli capace di giocare e dunque di comprendere il gioco
del mondo. La nozione di simbolo individuata da Fink rappresenta in tal
senso un buono strumento di comprensione del legame tra gioco
delluomo e gioco del mondo, cos come, in modo tecnicamente meno
rigoroso, unottima raffigurazione della relazione costituita dal mito
dello specchio di Dioniso e dei suoi frammenti, caro a Nietzsche.

Fare e sapere: giocare agire sapendo. Un sapere, tuttavia, che si
sporca le mani con le cose del mondo, con terra, legno, plastica,
gomma, trasformandole in oggetti dotati di significato: diventano belve
da affrontare, confini da difendere o oltrepassare, bambini da accudire,
e questi significati si trasformano di gioco in gioco. Un gioco, tuttavia, si
impara solo giocandolo, non sui manuali delle istruzioni e neppure
attraverso la sola osservazione. Per questo, spesso, quando si pratica un
gioco nuovo si fa precedere la partita da un giro di prova, per oliare i
meccanismi, impratichirsi con le regole e le mosse consentite, avvicinarsi
ai possibili casi particolari controversi. Il gioco tuttavia, sempre in
prova, proprio per la sua inesauribile gamma di varianti e di
configurazioni possibili: come le migliaia di fiori o di foglie si aprono in
forme simili e al tempo stesso differenti che, tuttavia, se visti in
sequenza, rimandano luno allaltro come anelli di una catena, cos i

263
giochi sono infiniti e riconoscibili come tali solo in nome di quelle che
Wittgenstein chiama somiglianze di famiglia. Ecco perch cos difficile
prescindere dallesemplificazione con un gioco particolarmente adatto,
allorch si cerca di riprodurre il gioco del mondo
5
. I giochi sono
frammenti dello specchio di Dioniso-mondo e in ciascuna delle loro
modalit particolarmente evidente un tratto o laltro del gioco
cosmico: listantaneit o la permanenza, laspetto architettonico o la
vertigine, il rapporto ordinato tra le cose o il caos della mischia. Il gioco
va innanzitutto agito per essere compreso, proprio perch nel gioco gi
si , senza scampo. Rifiutarlo rifiutarsi, e chi gioca senza saperlo un
cattivo giocatore, serio, rassegnato, decadente. Ma, pi ancora,
rigettando il gioco si rigetta una via possibile per comprendere il
mondo e il nostro posto in esso. Il sapere cui il gioco d luogo ha per
natura un carattere non conclusivo e non dogmatico. Fink, si visto,
pensa che il pensiero speculativo sul gioco sia ancora agli inizi, ma cos
dicendo egli individua in realt una mancanza strutturale di ogni
riflessione sul gioco: il gioco, infatti, va avanti, indipendentemente dal
riflettere umano su di esso, e in questa partita infinita si pu solo
osservare ci che il nostro frammento di specchio ci consente di

5
Nellesemplificazione, spesso, si lasciato spazio a una connotazione
propriamente sportiva del gioco. In realt il legame tra gioco e sport resta sempre
ambiguo e tuttaltro che definito. Tuttavia lesperienza ludica quotidiana coincide
spesso con la pratica sportiva, che in ogni caso trattiene del ludus lintrecciarsi nella
stategia di sfera cognitiva e sfera emotiva. Va inoltre ricordato che da pi di
trentanni esiste lInternational Association for the Philosophy of Sport, che
pubblica la rivista semestrale Journal of the Philosophy of Sport. I contributi raccolti
spaziano su una gamma di argomenti molto ampia, cui anche in questa tesi si fa
riferimento: etica dellatleta e del tifoso, violazione intenzionale delle regole,
gareggiare con le emozioni, bellezza delle competizioni, conoscenza delle regole,
saper giocare, fiducia nella disciplina. [N. Vassallo, Strane somiglianze di famiglia
tra scacchi e basket, in Il Sole 24 Ore Domenica, 8 Agosto 2004].

264
individuare. Purtroppo si pu giocare un solo gioco in un determinato
momento, rifiutarne alcune regole gi passare a un altro gioco.
Procedere nel gioco richiede astuzia e abilit, ma in ultima istanza ci
che il gioco insegna limponderabilit del colpo di dadi di cui parla
Nietzsche. Il sapere ludico si definisce, come il suo oggetto, nei termini
di una duplicit irresolubile: se il gioco confine, frammezzo, soglia,
terzo mondo affacciato sui due lati di un precipizio, ci che si impara
giocando da un lato lestrema necessit di calcolare le conseguenze di
ogni opzione, la cura nella preparazione della partita e labilit tecnica
della mossa, ma sullaltro versante, si gioca sempre per lignoto, e la
condizione del giocatore irreparabilmente instabile e indecidibile. La
scelta sempre uno scarto di lato rispetto allenumerazione delle
possibilit, sempre un kierkegaardiano salto che si affida al futuro, al
possibile, allincerto.

Rischio e scommessa, pertanto, sono lultimo paradosso che il
gioco offre al pensiero. Sono per termini che avvicinano larea
semantica del gioco a quella della fede. Molti degli studiosi del gioco
amano mettere in relazione, sulla scorta di ricerche etnografiche, gioco
e sacro, fatto che riporta immediatamente alla nozione di realt ludica
come irrealt surreale, pi che reale. La gratuit del gioco e la sua
meravigliosa innocenza, ma anche il suo difficile equilibrio e la tensione
tra gli estremi entro cui opera suggeriscono un suo possibile
accostamento, corredato di riferimenti scritturali, alla rivelazione biblica.
Anche il mondo creato dal Dio della Genesi si spiega allora come
risultato di un gioco divino, e persino lintensa drammaticit della
vicenda di Cristo pu tradursi in categorie ludiche. Anche in questo

265
peculiare approccio teologico quel che pi conta, tuttavia, non sono
tanto gli specifici argomenti a favore o contro lopzione di una teologia
del gioco, quanto la modalit dellazione, il tentativo di proporre un
atteggiamento ludico come alternativa al dogmatismo e alle chiusure
interpretative. Da questo punto di vista, in primo luogo, anche la
teologia gioca e si prende i suoi rischi: il gioco di questo lavoro si
chiude con unulteriore scommessa. Questultima parte del lavoro ha un
carattere meno fortemente interpretativo e si limita pi che altro a
recensire gli indirizzi di tale frangia della teologia, a dar conto
dellesistenza del fenomeno pi che della sua effettiva validit.
Dopo liniziale posta della riabilitazione del gioco, il pensiero
ludicamente atteggiato si deve misurare con la propria tenuta sul piano
esistenziale e su quello cosmico. Non un caso che nel titolo di questo
lavoro si definisca la proposta qui descritta come ipotesi. Se gioco
devessere, infatti, come ha insegnato Nietzsche, deve applicare la
propria ludicit anche a se stesso, ai propri strumenti e ai propri temi. Se
infatti il gioco si dimentica di se stesso corre il rischio di trasformarsi in
un rigido reticolato di categorie altrettanto riprovevoli quanto quelle
stigmatizzate da Nietzsche in Su verit e menzogna. Giocare significa
agire, ma lazione non coincide con lassenza di pensiero, bens con un
sapere che sa plasmarsi e trasformarsi al contatto con le cose e le
esperienze. Daltro canto giocare anche in-ludersi, vale a dire
partecipare e restare affascinati e meravigliati dinanzi allo spettacolo
delle cose che vanno tutte al proprio posto. Il gioco ipotesi ontologica
in primo luogo perch mima costantemente il trovarsi delluomo nel
mondo in qualit di giocatore instancabile, alla ricerca dei giochi pi
belli, che dunque meglio corrispondano al comportamento del cosmo

266
intero. Ma, appunto, giocare richiede un coinvolgimento patico e tale
aspetto non pu restare ignorato: non ci si pu porre fuori dal gioco,
ma ci significa infine linestimabile opportunit, concessa dagli dei,
diceva Platone, di poter godere della gioia del gioco, di avere sempre
ancora qualcosa che resta da fare e a-venire.

Alice rest per diversi minuti senza parlare, intenta a guardarsi
intorno in tutte le direzioni: era un paesaggio veramente strano.
Cerano numerosi piccoli ruscelli che attraversavano il suolo,
paralleli luno allaltro, e lo spazio tra loro era diviso in tanti
quadrati da numerosi ponti che andavano da un ruscello allaltro.
E tutto segnato come se fosse una grande scacchiera! disse
infine Alice. Vedo qualcosa che si muove, come se fossero
uominima s, sono proprio uomini! aggiunse tutta contenta, e il
suo cuore cominci a battere forte, era tutta eccitata. Poi riprese:
E come se si stesse giocando una grande partita a scacchi su
tutto il mondo, se questo il mondo, per loro. Oh, com
divertente! Come vorrei essere uno di loro! Non mimporterebbe di
essere soltanto una Pedina, purch potessi unirmi a lorotuttavia
preferirei essere una Regina, meglio.
6


Come unimmensa scacchiera appare alla piccola Alice il mondo
oltre lo specchio. Pu essere questa una bella immagine per mostrare lo
scarto tra la nozione di simbolo e quella di riflesso: lo specchio va
attraversato, e non solo guardato, perch il gioco possa farsi simbolo. Il
mondo oltre lo specchio popolato dalle pedine degli scacchi e Alice
partecipa a una esilarante partita che si gioca su tutto il terreno del
mondo, sino a assumere il ruolo di Regina che tanto sogna. Il gioco
rimanda dunque immediatamente al mondo: in questo lavoro si preso
il via dallillustrazione del gioco del mondo a tutti noto, ora, in questa
conclusione ancora al gioco come azione dellessere, al mondo che

6
L. Carroll, Alice nel mondo dello specchio, cit., pp. 89-91. Sottolineature mie.

267
gioca che si deve accennare. Lo sguardo stupito di Alice colmo del
desiderio di giocare, di sentirsi parte della scacchiera, nonostante
limpegno e il rischio connessi. Giocando si tenta dunque una
comprensione del manto diveniente del mondo, da un lato
miniaturizzandolo nellazione ludica, dallaltro inevitabilmente
corrispondendo al suo movimento metamorfico di cui il giocatore
parte simbolica, strutturalmente rimandante al tutto. Un grande gioco
il mondo, solo che lo si sappia osservare con lo sguardo delluomo
spoudoghloios, come suggeriscono i teologi del gioco, solo che si
sappia cogliere il simbolo, il che significa accogliere lospite straniero ri-
conoscendolo come tale. Lalterit del mondo si fa allora pi umana, ci
si riscopre pedine di una scacchiera che si distende su tutta la superficie
cosmica e il cui tessuto muove la vita.

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Vassallo, N., Strane somiglianze di famiglia tra scacchi e basket, in Il Sole
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Vattimo, G., Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della
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Winnicott, D.W., Gioco e realt, tr. it. di G. Adamo e R. Gaddini,
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277
Wittgenstein, L., Ricerche filosofiche, tr. it. di R. Piovesan e M. Trinchero,
edizione italiana a cura di M. Trinchero, Einaudi, Torino 1967.
Wittgenstetin, L., Libro blu e libro marrone, edizione italiana a cura di
A.G. Conte, introduzione di A. Gargani, Einaudi, Torino 2000.
CHIAVE DELLE CITAZIONI
Nel testo delle note sono state utilizzate le seguenti abbreviazioni per
quanto riguarda le opere di Eugen Fink:
GSM= Fink, E., Il gioco come simbolo del mondo, tr. it. di N. Antuono,
Hopeful Monster Editore, Firenze 1991.
FN= Fink, E., La filosofia di Nietzsche, tr. it. di P. Rocco Traverso, con un
saggio di M. Cacciari, Marsilio Editori, Padova 1973.
OG= Fink, E., Oasi della gioia: idee per una ontologia del gioco, tr. it. di E.
Cutolo, introduzione di A. Masullo, Rumma Editore, Salerno 1969.

278
INDICE

INTRODUZIONE 3
CAPITOLO 1 FACCIAMO UN GIOCO?: IL GIOCO COME
FENOMENO ORIGINARIO 8
1. Gioco e seriet: lhomo ludens allorigine della cultura 8
2. A partire dai giochi: classificazione e analisi sociologica in Roger
Caillois 25
3. Unapologia necessaria: il gioco come esistenziale primario 37
4. Pais paizon 55
5. Tornare a Eraclito: il mondo come giocare del gioco 66
6. Platone e il gioco degli dei 74
CAPITOLO 2 IL CAMPO DI GIOCO: LIRREALT LUDICA 84
1. Fare finta: il gioco e la rappresentazione 84
2. Fictional worlds? 92
3. Il gioco come fenomeno transizionale 99
4. Limmagine e lo specchio 107
5. Il gioco delle apparenze 122
6. Il gioco sacro e la maschera: lirreale come surreale 140
CAPITOLO 3 TEMPO DEL GIOCO, TEMPO DEL MONDO 151
1. La mondanit del gioco 151
2. Il gioco cosmico dellindividuazione 160
3. Dalla metafora al simbolo 168

279
4. Linnocenza del divenire 174
5. Il signore dellanello 192
6. Le regole del gioco 198
7. Stare al gioco: il sapere ludico 208
CAPITOLO 4 DEUS LUDENS: LAZZARDO DI UNA TEOLOGIA
LUDICA 223
1. La svolta antropologica 223
2. Dio creatore e giocatore 228
3. Lhomo vere ludens come individuo serio-sereno 234
4. Cristo e la ripresa del gioco 242
5. La scommessa del Cristo arlecchino 247
CONCLUSIONI 255
BIBLIOGRAFIA 268
Chiave delle citazioni 277
INDICE 278

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