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L’ambiente

In termini generali si qualifica come ambiente quell’insieme di condizioni in cui si evolve la vita degli
organismi viventi. È un complesso di fattori di natura fisica, chimica, biologica che sono influenzati
dall’esistenza di interazioni con elementi viventi e non. Questo modo complessivo e sistemico di affrontare
le problematiche ambientali è segno evidente di un cambiamento di paradigma che c’è stato ai giorni
nostri.

Il tema dell’ambiente è per sua natura sovrannaturale e ovviamente l’UE è stata chiamata in campo perché
su quella scala si poteva meglio adottare quelle strategie.

Definire il concetto di ambiente è necessario perché altrimenti si sarebbe tenuta aperta la porta a
interventi di qualsiasi genere. Ma la definizione è problematica:

1. I trattati (TUE e TFUE, Carta dei diritti fondamentali) sono atti che ne parlano ma senza fondare il
loro approccio su una definizione precisa
2. In qualche caso soccorre la qualificazione definitoria della CGE, ma non ne ha mai dato una
definizione precisa
3. La dottrina ne ha sempre dato una definizione minimale
4. Definizione minimale del diritto ambientale dell’UE, come un diritto che raccoglie un insieme di
disposizioni legali nelle diverse forme legislative o meno che cercano di prevenire, proteggere e
migliorare in parte o in tutto l’ambiente.

L’azione dell’UE

L’UE si adopera per lo sviluppo sostenibile dell’Europa basato su un elevato livello di tutela e di qualità
dell’ambiente. Non solo tutela del livello attuale della qualità dell’ambiente ma un elevato livello.
All’interno di una logica che si evidenzia nell’espressione di “sviluppo sostenibile”, nozione chiave in
materia ambientale.

La competenza dell’UE è frutto di una progressiva espansione (partita dal nucleo di competenze legate al
progresso economico, al mercato unico, alle condizioni di libera concorrenza). L’acquisizione della
competenza in materia ambientale è stata graduale e oggi si presenta con dei caratteri molto originali:

a) È una competenza di carattere trasversale perché tocca tutti i settori della politica europea
(agricoltura, trasporti, industria, pesca) non c’è settore di intervento dell’UE che non abbia
necessità di essere trasformata in funzione di esigenze di natura ambientale (anche le politiche
monetarie e finanziarie ne sono influenzate) e si tratta di integrare queste esigenze nelle altre
politiche, quindi non va intesa come un filone di politiche a sé stanti ma che permea tutti gli altri
settori di intervento.
b) La competenza non è esclusiva ma gli obiettivi di natura ambientale vengono condivisi a tutti i livelli
di governo perché tutti concorrono al miglioramento delle qualità ambientali. Competenza mista,
una delle meno contestate dall’opinione pubblica europea (Eurobarometro che monitora l’umore
dello stato dell’opinione in relazione alle varie politiche verso la politica ambientale c’è una larga
condivisione che sia l’UE a guidare questo settore). Altri sono i settori sui quali le politiche
sovraniste e le azioni di tipo retorico e demagogico di riconquista si concentrano, ma sul tema
dell’ambiente anche i politici più a difesa delle prerogative statali riconoscono la necessità di
un’azione a un livello superiore.
c) La quasi totalità delle norme ambientali vigenti nei paesi dell’UE hanno matrice in scelte imposte
dall’UE: l’azione dei regolamentari o direttive, scelte strategiche lasciano un’impronta fortissima e
condizionano i singoli ordinamenti interni (il codice dell’ambiente italiano sintetizzato nel decreto
legislativo 152/2006 risente di questo impianto così come tutti gli altri degli altri paesi dell’UE).
I momenti di espansione della potestà dell’UE in tema ambientale

1. Trattato di Roma: le possibilità di intervento erano circoscritte alla possibilità di intervenire per il
miglioramento costante delle condizioni di vita; allora si pensava che avrebbe portato ad operare
per il miglioramento delle condizioni materiali delle popolazioni dell’UE ma questo concetto di
miglioramento delle condizioni di vita ha avuto una graduale e inarrestabile espansione
2. Intervento giurisprudenziale della CGE negli anni ’70-’80: per cercare di allargare le maglie delle
possibilità di intervento che in quegli anni alcuni paesi tendevano a chiudere, introducendo degli
elementi di normazione in tema di tutela ambientale che portavano a forme di protezionismo sui
prodotti di un paese. Venivano usati questi bisogni, emergenze, di carattere ambientale
(emergenza smog anni ’70, piogge acide anni ’80 nel centro Europa) che portavano a dei riflessi di
chiusura rispetto al mercato. Per contrastare queste misure infatti la CGE è intervenuta, ha sancito
come la tutela ambientale rientrasse implicitamente tra gli scopi essenziali della Comunità e
corrispondesse a un’esigenza imperativa. Ha portato a un intervento in sede di armonizzazione
negativa molto significativo (non era ancora una possibilità per gli organi dell’UE di affrontare
attivamente le politiche di tutela dell’ambiente, ma ci sarebbe voluto altro, e in un primo tempo
questa necessità di un intervento superiore, di questo “altro”, si è tradotta in un approccio
sovranista)
3. Approccio sovranista: parte dagli anni ’70, in particolare col 1^ Programma di azione ambientale del
1973 ed è una scelta dei capi di stato e governo, non un atto comunitario, ma una politica
intergovernativa, soggetta all’unanimità e questa impostazione si mantiene inalterata per circa 20
anni. I programmi all’inizio sono di più breve durata e fino al 5^ Programma di azione ambientale
c’è una situazione di intergovernatività e di debole incidenza di questi atti di carattere
programmatorio.
4. Armonizzazione legislativa e clausola di competenza residuale: hanno permesso alla CEE di uscire
dalla situazione di impasse, quindi da un lato l’avvicinamento delle legislazioni in questo tema e la
clausola dall’altro, per cui quando un’azione della CEE era necessaria per far funzionare il mercato
comune, senza che il trattato avesse previsto i poteri necessari, il Consiglio deliberando
all’unanimità poteva prendere le decisioni del caso secondo la procedura di consultazione. Era una
situazione temporanea perché sempre subordinata al raggiungimento dell’unanimità.
5. Atto unico europeo del 1986: si assegna alla Comunità Europea il compito di porre in essere azioni
alla tutela dell’ambiente
6. Trattato di Maastricht del 1992: l’UE con delle modifiche dei trattati è autorizzata a sviluppare delle
vere e proprie politiche che si inseriscono nella logica dello sviluppo sostenibile, il quale è stato
incarnato nel preambolo del TFUE, perché è stata la filosofia globalmente condivisa dai
sottoscriventi del trattato di Maastricht.
Primo programma di azione ambientale adottato sotto la vigenza delle nuove norme come atto di
polita dell’UE è il 6^ Programma, il “Programma di azione 2002-2012”, molto ampio, che finalmente
trova una base giuridica solida offerta dall’articolo 192 del TFUE. Da quel momento e sotto la
vigenza del 6^ Programma la Commissione comincia a emanare proposte di regolamento e direttiva
e il corpus di norme emanate dall’UE diventa molto ampio (valutazione di impatto ambientale,
informazioni, costituzione di reati penali ambientali, un fondo monetario per l’ambiente e
restrizioni per la tutela dell’acqua, ecc..).

Questo sviluppo non si è prodotto tutto in maniera pacifica: la Commissione non è mai riuscita a strappare
una direttiva robusta sulla protezione del suolo perché c’era una minoranza di blocco che ha ritenuto che la
tutela del suolo non fosse di sua competenza e in virtù del principio di sussidiarietà sarebbe stato più
opportuno che fosse trattenuta in mano ai singoli stati. Anche se la Commissione ha preso in mano questa
questione in attesa che anche il PE inizi a macinare delle politiche ambientali impegnative (il PE è molto
sensibile a queste problematiche) è anche la CGE a continuare un’azione di presidio e rafforzamento di
queste possibilità dell’UE, che avvolte prendono anche carattere incisivo (non solo a posteriori) di
intervento di contrasto con determinate normative nazionali che si pongano in contrasto con i principi di
tutela ambientale.

L’Italia ne fece le spese in una vicenda relativa a una legge regionale sulla caccia (tutte le leggi, anche
emanate dalle regioni sono oggetto anch’esse di responsabilità nei confronti dell’UE ma non direttamente
nei confronti delle regioni ma occorre che la CGE dialoghi con lo stato di appartenenza): una legge
eccessivamente minacciosa degli equilibri faunistici in una regione italiana è stata oggetto di un intervento
inibitorio, in “audita altera parte” (senza nemmeno dare il tempo allo stato membro di predisporre la sua
replica alla segnalazione fatta dalla Commissione) la CGE è intervenuta subito sospendendo l’efficacia di
questa legge regionale. Qui si vede il ruolo di vigilanza della Commissione svolto sinergicamente con la CGE.

Gli obiettivi dell’UE in materia ambientale

Il mandato ricevuto dall’UE negli artt. 191-192 TFUE si precisa attorno a una serie di obiettivi più
circostanziati:

1. Tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente


2. La protezione della natura umana: il tema della protezione della salute è stato tenuto fuori dagli
obiettivi della competenza normativa europea ma i riflessi che ha l’ambiente sulla protezione della
natura non potevano rimanere esclusi dal suo campo d’azione, dunque l’UE è titolata a intervenire
in sinergia con gli stati nella direzione di assicurare il pieno raggiungimento del diritto alla salute dei
cittadini dell’UE
3. L’uso intelligente delle risorse naturali: l’obiettivo espande significativamente la possibilità di
intervento dell’UE, anche se per alcuni profili gli stati hanno voluto mettere dei limiti a questa
possibilità di espansione. Se fosse libero l’intervento dell’UE in materia di suo delle risorse naturali
tutto ciò che riguarda le risorse energetiche verrebbe assorbito dalla competenza dell’UE ma gli
stati hanno voluto limitare questa possibilità di intervento
4. La promozione internazionale di misure legate agli ecosistemi: tanto con accordi regionali con
alcuni blocchi di paesi, sia tramite il diritto internazionale generale con accordi nei quali troviamo lo
spunto relativo ai cambiamenti climatici e il contrasto a queste mutazioni.

La logica con la quale devono strutturarsi i programmi dell’UE trova la sua sintesi nell’espressione “sviluppo
sostenibile” che prende piede negli anni ’80, attraverso un rapporto commissionato dalle Nazioni Unite
all’ex premier norvegese Bruntland, il quale nel rapporto denominato “Our common future” del 1987,
qualifica per la prima volta questa opzione come una opzione di sviluppo che soddisfi i bisogni del presente
senza compromettere le possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri. Si tratta di un delicato
equilibrio tra la parte di consumo che facciamo noi delle risorse del pianeta, con quello che bisogna lasciare
affinché la future generazioni possano soddisfare i loro bisogni.

Le risorse del pianeta non sono infinite e ci sono forme di consumo che non lasciano spazi di rigenerazione
di equilibri ambientali. Ciò significa che nel definire gli assetti dell’economia, della società e dell’ambiente
bisogna avere una visione globale, non limitata alla pura tutela ambientale ma nemmeno circoscritta ai soli
profili di natura economica. Quindi si tratta di un equilibrio difficile da raggiungere e l’esperienza fino ad
ora vissuta di questo approccio sostenibile si è rivelata nel complesso troppo accondiscendente alle logiche
della crescita economica tradizionale. La problematica di riserva di risorse, di protezione dell’ambiente e
della sua qualità è sempre stata tenuta in secondo piano rispetto alle necessità della crescita economica
tradizionale (aumento del PIL, aumento delle possibilità di lavoro e della crescita economica). Tutto quello
che andava a mettere in evidenza la tutela degli ecosistemi è stata bollata di “decrescita” e quindi respinta,
quindi rinviando l’obiettivo finale in materia ambientale.
Dal testo del TFUE si ricavano i principi a cui si ispira l’intervento dell’UE in campo ambientale, uno dei
settori in cui sono definiti con maggior precisione e sono principi che già sono principi anche della
legislazione italiana. Essi sono:

1. Principio dell’integrazione
Già espresso anche a livello più generale nel TFUE e risalendo all’art. 11 ne troviamo una
definizione precisa: le esigenze di tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e
attuazione delle politiche dell’UE. In particolare, nella prospettiva dello sviluppo sostenibile. Questo
significa che mettendo in campo ogni singola politica la tutela ambientale è parte delle scelte fatte,
non c’è una considerazione distinta delle esigenze di un settore disgiunta da una valutazione sugli
impatti ambientali di determinate scelte (esigenze abitative non possono prescindere dall’analisi
del consumo di risorse nel riscaldamento ecc) quindi la tutela degli ecosistemi è parte delle singole
politiche. Quell’elevato livello di tutela come obiettivo finale dell’UE deve essere accorpato nella
sua valutazione agli obiettivi delle singole politiche, facendo sì che l’ambiente assume un carattere
trasversale, taglia orizzontalmente tuti i campi di intervento dell’UE e non è un settore da
considerare come a sé stante (avrà ripercussioni sullo stesso assetto interno della Commissione
europea)
2. Principio di precauzione e azione preventiva
Bisogna orientarsi verso quei settori della normazione che riguardano la politica del consumo, la
legislazione europea sugli alimenti, sulla salute umana, animale e vegetale. Qui il principio di
precauzione è strategico perché è quello che deve essere invocato ed ispirare modalità decisionali e
procedurali quando siamo di fronte e rischi potenziali (rischi per la salute legati all’uso di alcune
apparecchiature, la presenza di alcuni composti nei prodotti di consumo, i pesticidi, ecc). Siamo in
presenza non sempre di rischi concreti ma potenziali, non sempre verificati e in questo caso le
decisioni non devono essere assunte arbitrariamente, o in forza di altri interessi diversi da quelli
legati alla salute, ma si deve accertare in via preliminare quali siano gli effetti potenzialmente
negativi, come di quelli devastanti per gli esseri viventi.
Il secondo passaggio è la valutazione dei dati scientifici: le scelte effettuate dai poteri pubblici e a
cascata dagli stati nazionali per le regolazioni di queste attività non deve avvenire sulla base di
valutazioni monetarie o di casualità ma in forza di un’analisi scientifica. Questa analisi non può
sempre avere natura risolutiva e di assoluta certezza, rimangono sempre margini di incertezza
scientifica ma è l’ampiezza di tali margini a diventare risolutiva e sulla quale si decide se consentire
o meno una determinata attività (non ci sono prodotti esenti da possibili conseguenze negative ma
si tratta di una valutazione comparativa di questi rischi con i benefici che si possono trarre da
queste attività). Quindi il punto non è eliminare i rischi ma garantire un alto livello di protezione da
questi rischi stessi e una posizione ragionevole ed equilibrata di fronte ad essi.
Quindi alla precauzione è collegato il principio dell’azione preventiva: la possibilità di mettere in
opera strategie per consentire di ridurre l’impatto di alcuni rischi (settore automobilistico,
prevenzioni, apparati di sicurezza come rilevatori di fumo nei locali danno l’idea di un approccio
preventivo). Precautionary approach che deve ispirare tutte le scelte dell’UE qualunque sia il
settore di intervento. Ma questa precauzione assume connotati particolari per quanto concerne la
protezione più generale dell’ambiente: siamo sul terreno dell’analisi del rischio, un quadro generale
di valutazione e gestione del rischio di modo che questo principio non possa essere bloccato per
bloccare ogni innovazione ma che al tempo stesso non giustifichi la presa di decisioni arbitrarie da
parte dei poteri pubblici.
3. Principio di correzione in via prioritaria alla fonte dei danni causati all’ambiente
Principio in base al quale in presenza di fonti potenziali di danno all’ambiente o già in corso si deve
intervenire non solo per rimuovere il danno ma bisogna operare a monte, sulla causa stessa in
modo da ripristinare la situazione nello stato prima di questo intervento nocivo per l’ambiente.
Per la maggior parte si tratta di danni già verificati quindi quello che conto è l’eliminazione della
fonte produttiva dell’inquinamento: danni di origine industriale per evitare che gli effetti di queste
modalità di produzione e di trasporto possano ingigantirsi e quindi si vanno a fissare limiti di
emissione di sostanze che vanno misurate nei luoghi in cui vengono emessi- versamenti di liquidi in
acqua, diffusione nell’aria di sostanze nocive da lavorazioni chimico-metallurgiche- quindi collocarsi
alla fonte per misurare il danno e rimuoverne la causa.
4. Principio del “chi inquina paga”
Tutti gli esseri viventi inquinano ma ci sono fonti di inquinamento più ampie (autovetture, chi
fornisce il carburante, ecc). Quado si dice che è responsabile il soggetto che provoca un danno
ambientale lo dobbiamo intendere non solo a formati macroscopici ma anche a forme limitate,
quotidiane di inquinamento e questo “farsi carico di intraprendere le azioni necessarie di
prevenzione o riparazione e di sostenere i costi relativi” è collegato al fatto stesso che tutti nella
vita domestica inquiniamo e dobbiamo essere partecipi dell’azione di riparazione di questi costi a
valle.
Questo evento però deve essere circoscritto alla produzione di danni ambientali che producano
una incidenza rilevante sullo stato ecologico e sulle dimensioni delle risorse. Ciò che è stato oggetti
di intervento dell’UE è l’eliminazione dei rischi significativi per la natura umana e le specie protette
mettendo mano a interventi che distribuiscano il costo del riequilibrio ambientale e anche alla
qualità dell’ambiente su tutti i soggetti che abbiano contribuito al deterioramento.
Questo è anche un principio regolatore di vasta portata che ha permesso l’introduzione
nell’ordinamento italiano del principio del “pagamento a tariffa” del bene idrico, la quale non viene
pagata solo per la sua fornitura (consumiamo solo una piccola parte) e ne restituiamo in gran parte
ma inquinata ed è quel tipo di inquinamento che fa sì che noi dobbiamo contribuire alla sua
successiva depurazione (oltre a pagare la tariffa per l’approvvigionamento).
5. Il principio di sussidiarietà
Richiamato all’art. 193 del TFUE, in base al quale i provvedimenti protettivi demandati all’UE una
volta adottati non intervengono in maniera ostativa all’adozione da parte degli stati di prendere
provvedimenti che consentano una protezione ancora maggiore (possono anche essere
preesistenti e non vengono travolti da un diritto dell’UE che sia meno protettivo da quello attuato
dallo stato membro). Si tratta di fare un’opera di raffronto fra normativa statale ed europea.
Affinché sia possibile i trattati non vogliono che si intervenga a posteriori (dopo che lo stato abbia
adottato una normativa) per evitare che entri in vigore e venga poi travolta da interventi
sanzionatori da parte della Commissioni o della CGE.
Il maccanismo è di tipo preventivo: si pone in capo agli stati membri l’onere di notificare alla
Commissione l’intenzione di adottare questa legislazione o atti amministrativi che abbiano un
valore rafforzativo della tutela ambientale e se non hanno “effetto equivalente” di intervenire ma
in maniera ingiustificata contro il mercato comunque, allora è consentito che vengano adottati ed
entrino in valore all’interno dello stato che li ha adottati.

Il tema di diritto ambientale si presentano facilmente situazioni di carattere emergenziale: il TFUE ha


previsto una clausola di salvaguardia generale per permettere agli stati di intervenire in maniera rapida,
senza dover sottostare alla trafila della notifica all’UE dei provvedimenti che si intendono adottare e gli stati
possono prendere “misure provvisorie” (non si tratta di una modificazione strutturale del loro ordinamento
ambientale, ma di misure temporanee che poi sono soggette a posteriori a una procedura di controllo).
Questa duttilità dell’ordinamento ambientale è stata ripresa della legislazione secondaria in alcune direttive
(prodotti fitosanitari, biocidi) per la quale è previsto che si possa fare luogo a questi interventi a carattere
precauzionale.
La Carta di Nizza è stata inserita nella legislazione primaria dell’UE dal Trattato di Lisbona. Essa contiene un
richiamo all’ambiente preciso ma in una formula singolare: art. 37 in cui si dice che “Un livello elevato di
tutela dell’ambiente e un miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’UE e
garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile”. Sono nozioni già note ma vengono inserite
ugualmente anche nella Carta: qui abbiamo l’importante passo in avanti tale per cui il diritto dell’ambiente
diventa diritto del cittadino consentendo di attivarne le relative garanzie di fronte agli organi di giustizia
dell’UE. Si tratta di passare da un livello nel quale ci son obblighi solo per gli stati membri di adottare
determinate disposizioni, allinearsi alle politiche messe in campo dall’UE, al livello di una titolarità
soggettiva, ma anche collettiva, di diritti alla qualità ambientale in capo alla cittadinanza europea.

I profili di contestualizzazione delle politiche ambientali dell’UE, la “griglia” cui devono fare riferimento gli
atti normativi:

1. I dati scientifici: nella sua politica ambientale L’UE è vincolata a un rapporto speciale con la scienza
e la tecnica: in molti campi, quale che sia l’oggetto della politica, è normale che un ente pubblico
tenga presente dei dati scientifici, ma nel TFUE si precisa che si tenga conto dei “dati scientifici
disponibili”, ovvero che nell’adottare delle decisioni si deve fare riferimento a un patrimonio
scientifico consolidato. Questo per evitare che prevalgano aspetti di carattere istintivo, emozionale,
ma che ci si debba sempre rifare a di un bagaglio acquisito di cognizioni scientifiche.
2. Le condizioni locali: un altro aspetto che inquadra l’intervento dell’UE in campo ambientale è quello
delle condizioni riferite alle varie regioni: qui entra in gioco una diversificazione degli ecosistemi,
perché è vero che esiste un sistema ambientale con dinamiche climatiche di ampia scala ma ci sono
fenomeni più localizzati (territori insulari, ultramarino, artici, dai climi molto caldi) e quindi occorre
che la politica ambientale possa trovare le giuste inclinazioni in base alle condizioni locali.
3. I vantaggi e gli oneri: sono il terzo profilo di contestualizzazione delle politiche ambientali dell’UE è
dato dalla ponderazione di vantaggi e di oneri; le politiche ambientali sono elementi regolativi che
comprendono una ponderazione dei vari profili, si tratta di fare una comparazione di costi e
benefici di scelte che possano vietare determinate attività o condizionare alcuni sviluppi economici
e industriali.
4. Gli aspetti di coesione: le politiche ambientali non vanno disgiunte dagli aspetti di coesione dell’UE,
cioè di uno sviluppo equilibrato delle singole regioni perché il fattore ambientale può diventare un
fattore di differenziazione molto marcata (il livello di qualità ambientale può avvantaggiare alcuni
territori così come l’applicazione delle politiche ambientali può pregiudicare lo sviluppo di altri in
relazione alle fonti energetiche di cui alcuni dispongono mentre altri ne sono sprovvisti).

L’UE gode di una forte legittimazione alla proiezione esterna della sua azione a favore dell’ambiente:
art.191, comma 1 del TFUE la incarica della promozione sul piano internazionale di misure che sono
destinate a risolvere problemi ambientali di livello regionale e anche mondiale.

Questo fa sì che oggi l’UE sia già partecipe e inserita in una rete di carattere internazionale di impegni già
assunti ed effettivamente operanti. C’è una collaborazione fra gli stati membri e l’UE ma essa opera come
guida rispetto a tutti i paesi membri. Alcuni di questi accordi adottati negli ultimi anni che hanno vito l’UE
come protagonista:

1. Accordo di Nagoya (Giappone), 2010, strategia globale contro la perdita della biodiversità
2. Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile
3. Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici: una esplicitazione degli impegni assunti alla
Convenzione di Rio, un accordo operativo che introduce un modello nuovo di governance dei
fenomeni climatici. L’UE aveva già un ruolo egemone sugli stati membri per quanto riguarda
l’applicazione del Protocollo di Kyoto e con Parigi assume una posizione ancor più forte, che è una
esplicitazione tecnica delle intese raggiunte alla Convezione di Rio ed è di fatto uno strumento
formidabile nelle mani dell’UE per avvicinare le politiche dei singoli paesi in termini di riduzione di
emissione delle particelle che contribuiscono a realizzare l’effetto serra.
4. Quadro di riferimento di Sendai (Giappone), 2015, in occasione della 3^ conferenza mondiale
dell’ONU, che si è occupata della riduzione del rischio di disastri (oggi sono però affrontabili in
maniera migliore per effetto di una più stretta collaborazione, anche se in realtà ce ne sono sempre
stati). Per questo gli obiettivi stabiliti, dalla riduzione del numero delle vittime, delle perdite
economiche e del danno prodotto, verso una strategia di riduzione che contempli il potenziamento
della cooperazione (soprattutto l’aumento di disponibilità e accesso ai sistemi di allerta rapida
multirischio).
Da un atteggiamento solo emergenziale di reazioni episodiche a determinati fattori (terremoti, crisi
atomiche, tsunami) sia oggi visto come un problema di gestione della prevenzione del rischio e su
questo terreno l’UE ha una marcia in più rispetto agli altri paesi e a quelli membri. La questione dei
sistemi di allerta è fondamentale nella misura in cui permette una prevenzione efficace e
un’attivazione immediata dei soccorsi.

Cornice internazionale

L’UE è stata partecipe di numerose iniziative a livello internazionale nella direzione del miglioramento della
qualità ambientale e queste iniziative hanno dato origine a un reticolo molto articolato:

1. Conferenza di Stoccolma (1972), nella quale l’ambiente è stato qualificato per la 1^ volta come
bene giuridico a sé stante e non subordinato agli interessi dei singoli stati.
2. Conferenza di Rio (1992), ha definito un quadro generale di intervento all’interno del quale si sono
manifestati puntuali interventi con cadenza annuale di incontro delle parti internazionali che hanno
sottoscritto la dichiarazione. Tra queste la Cop n. 3 a Kyoto (1997) è stato uno dei primi momenti
con significative ricadute pratiche, ha stabilito riduzioni e limitazioni quantitative negoziate dei gas
a effetto serra
3. Gli obiettivi di sviluppo del Millennio (“Millennium Development Goals”), che ha ugualmente
portato a una forte sensibilizzazione e obiettivi comuni globali
4. Dichiarazione di Johannesburg (2002), che ha messo l’accento sul fatto che gli squilibri ambientali
provocavano devastanti conseguenze soprattutto nei paesi meno sviluppati
5. Accordo di Parigi sul clima, la Cop 21 (2015), che ha significato l’abbandono del modello Kyoto e
l’inizio di una fase nuova di cooperazione internazionale.

Le procedure che l’UE deve seguire:

a) Per le azioni in materia ambientale, in base all’art. 192 TFUE, è prevista la procedura ordinaria,
quindi VMQ previsto, compartecipazione di PE e Consiglio e un maccanismo di consultazione del
Comitato Economico e Sociale che del Comitato delle Regioni. Ci sono però delle restrizioni per
l’utilizzo di questa procedura ordinaria previste per decisioni in altre materie.
b) L’obbligo dell’unanimità è posto a presidio di alcuni interessi sensibili che gli stati hanno voluto
sottrarre alla decisione maggioritaria: decisioni di natura fiscale o che incidono sull’assetto del
territorio, gestione delle risorse idriche, scelte energetiche degli stati membri. Forse è la parte più
significativa di questa politica però. In questi casi si fa ricorso alla deliberazione unanime ma c’è la
possibilità di accorciare il percorso qualora si condivida per alcune materie di passare alla
procedura ordinaria (questa forma di superamento dei trattati è nota come “clausola passerella”).
c) Il modo concreto di intervento dell’UE pianificando un’azione significativa nel campo ambientale è
quello dei Programmi generali d’azione: è questa la cornice generale adottata in procedura
ordinaria che consente di fissare il quadro generale di azione dell’UE.
Impostare una transizione per assicurare un elevato livello di qualità dell’ambiente obbliga a mettere in
campo risorse finanziarie colossali. Ne sono consapevoli gli stati nell’approvare il TFUE e hanno stabilito a
questo proposito delle regole precise:

1. Il finanziamento di queste misure rimane a carico degli stati, non viene costituita una leva
finanziaria europea di grande portata, come fu in passato per la politica comune, ma si è preferito
che le iniziative fossero a carico dei singoli stati che ne sono gli esecutori diretti e a seconda della
tipologia dell’ordinamento costituzionale interno potrà trattarsi di competenze statali o regionali o
degli stati membri.
2. Possono verificarsi casi in cui l’impegno finanziario risulti superiore alle forze del singolo stato. In
questo caso si possono immaginare due situazioni:
2.1 Soluzione al ribasso: deroga temporanea rispetto a determinati impegni che non siano più
sostenibili da parte dello stato e questo ha come effetto il non raggiungere gli obiettivi o entro
la data fissata
2.2 Il sostegno finanziario da parte dell’UE: risorse finanziarie dal Fondo coesione, in grado di
mettere in esecuzione le misure programmate. In questo caso il paese destinatario del
sostegno riceverà una quota congrua di finanziamento per poter attuare la politica stabilita al
livello di UE.

Il programma di azione ambientale a cui facciamo riferimento è il 7^ Programma di azione ambientale,


adottato con decisione del 2013 coprendo l’arco temporale 2013-2020. Sono esposte linee di particolare
interesse sotto lo slogan “Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta”, troviamo una svolta
dell’orientamento della politica europea, in linea con un cambiamento generale del paradigma economico.
La tematica è quella di “un’economia innovativa e circolare”: si tenta di uscire dalla logica di un’economia
estrattiva di puro sfruttamento delle risorse e di abbandono degli scarti. Si entra in una logica del riuso e
affinché ciò avvenga deve avvenire una forte innovazione tecnologica, eliminando gli sprechi e avendo cura
di un uso sostenibile di tutte le risorse a disposizione e accanto a questo perseguendo l’obiettivo della
riduzione delle emissioni di carbonio.

All’interno di questa idea di cambio di paradigma sono elencati nel Programma una serie di interventi (che
riguardano fra gli altri la conservazione del capitale naturale, l’economia a basso utilizzo di carbone, ecc).
Quindi clima, energia e impatto dei prodotti e dei rifiuti sono tutti collegati e la riduzione delle fonti di
inquinamento dovrebbe avere una importantissima ricaduta in termini di miglioramento della salute
umana.

Sono 9 gli obiettivi di azione prioritari che sottolineano una serie di aspetti di riorganizzazione complessiva
dell’UE alla propria legislazione e a quella degli stati membri di riflesso. Alcune osservazioni al riguardo:

a) Il termine capitale naturale: di solito collegato a una valutazione economica di determinati


potenziali ma questo tende a schiacciare sulla dimensione puramente economica alcune scelte
b) L’obiettivo di un’economia a basse emissioni di carbonio: si ricollega a tutta la sfida climatico-
ambientale in atto
c) la protezione dai rischi per la salute e il benessere: inevitabilmente collegata con la sfida
precedente (l’impatto del fenomeno dell’inquinamento dell’aria, l’effetto in termini di danno alla
salute) e l’UE cerca di valutare nel complesso le ricadute sulla salute umana e non.
d) L’importanza del riferimento alle esternalità ambientali: molte scelte fatte nel campo dell’economia
sono dettate da ragioni puramente monetarie ma non mettono in campo le conseguenze di cui non
è lo stesso produttore o consumatore a soffrire (la scelta di fare ricorso al trasporto su gomma ad
alta emissione su gomma rispetto a quello su rotaia ad esempio) sono aspetti che devono essere
considerati e quindi comincia a farsi strada una logica economica di valutazione dei servizi
ecosistemici, ossia un rinnovamento che punta a tenere in considerazione l’insieme delle
conseguenze di ogni scelta effettuata.
e) La scelta della sostenibilità delle città: grande insistenza fino ad ora dell’UE sulla dimensione
regionale perché quella con una struttura decisionale più robusta; ora si vede come siano le città
grandi luoghi nei quali si possono sviluppare politiche con un maggior margine di riuscita.
Impostare delle politiche su territori poco compromessi è più facile ma anche con risultati minori in
termini di miglioramento della qualità. Oggi il focus dell’UE sia in termine di politiche mirate per le
città (smart cities) ma anche nell’interlocuzione fra le grandi metropoli europee diventa una
dimensione nuova e questo sguardo diverso del 7^ Programma è stato molto enfatizzato.

Il cambiamento di approccio

A valle della trasformazione della competenza dell’UE in ordine alle tematiche ambientali abbiamo un
cambio di direzione che emerge: il passaggio da un approccio di carattere prevalentemente emergenziale
(legato a fattori di crisi che emergono in maniera improvvisa e obbligano la politica e prendere determinate
misure) ad un approccio più integrato.

Gli anni ’70 e ’80 erano stati anni nei quali la reazione emergenziale era più evidente (piogge acide,
l’improvvisa questione dei rifiuti con l’assenza totale di politiche adeguate, oppure negli anni ’90 la
problematica del buco nell’ozono data dall’emissione di alcuni gas adesso ricondotta entro limiti più
contenuti grazie e misure efficaci adottate con un’apposita Convenzione internazionale).

All’inizio degli anni 2000 si è reso evidente la decisione dell’UE di cambiare passo: evidente con i primi
programmi dell’UE con carattere unitario e questo è anche visibile oggi nella struttura della nuova
Commissione Van der Leyen che ha individuato nel vicepresidente il soggetto deputato a coordinare il
Green Deal europeo, per avere una visione integrata delle politiche in questo settore.

Il nuovo orizzonte di queste politiche è facilmente leggibile in alcuni atti di carattere pianificatorio generale,
nelle strategie enunciate e messe in atto dall’UE:

a) La Strategia per lo Sviluppo Sostenibile (2001), che per la prima volta ha superato il contrasto tra le
scelte a favore dell’economia e quelle a favore dell’ambiente all’insegna del concetto di “sviluppo
sostenibile”, l’idea che si possa avere una maggiore occupazione promuovendo la tutela
dell’ambiente. Quello che era stato un recupero di occupazione mediante l’eliminazione delle
barriere doganali degli anni ’90 diventa negli anni 2000 una frontiera nuova raggiungibile mediante
le nuove prospettive della Green Economy
b) La Strategia Europa 2020 riassume il concetto di una “crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”,
piano decennale messo in campo dalla Commissione per il passaggio a un nuovo tipo di economia
che componga varie necessità (occupazione, ricerca e sviluppo, cambiamento climatico,
sostenibilità energetica, istruzione, lotta alla povertà e all’emarginazione). Metterli assieme non è
facile ma è significativo della visione integrata di questi obiettivi:
i) per l’occupazione l’innalzamento al 75% della fascia attiva
ii) l’aumento degli investimenti in ricerca e sviluppo (la ricerca emerge come driver per uscire
da questa situazione di impasse)
iii) la riduzione dei gas a effetto serra
iv) l’istruzione che a sua volta si collega alla necessità di un’economia diversa non più fondata
su lavori semplici e ripetitivi, ma sull’innovazione e l’uso delle tecnologie informatiche
v) la lotta alla povertà e all’emarginazione non è ancora adeguatamente accordata con la
svolta ambientale (in Francia la ricolta dei gilet gialli ha fatto vedere come le questioni
ambientali riguardano coloro con più risorse finanziarie e come possano tradursi in
questioni penalizzanti per le classi deboli).
vi) Strategia per la biodiversità (2011), profilo critico in questo momento e a distanza di 10
anni assurgerà a una posizione di primo piano con la svolta della Commissione Van der
Leyen.

Il diritto derivato

La ricaduta in termini di diritto derivato adottati dall’UE è fortissima, con centinaia di iniziative di varia
natura e atti molto diversi fra loro. Ad oggi oltre 200 gli atti legislativi (direttive e regolamenti) che operano
in maniera diretta o indiretta ma prevalente sull’ambiente sulla sua protezione con delle ricadute che
avranno principalmente nella direzione di alcuni settori specifici:

A) Politica agricola
B) Politica dei trasporti
C) Energia, con attenzione dell’incentivazione indiretta, perché l’UE è stata tra i primi a intuire che la
tutela ambientale non passasse principalmente mediate atti autoritativi, con divieti, ma la
legislazione di incentivazione economica a fornire i migliori risultati. Negli ultimi ani ci si sta
muovendo verso comportamenti più virtuosi riguardo l’ambiente: politiche di incentivazione
energetica per il cambio delle fonti per il riscaldamento domestico, per l’efficientamento dei
fabbricati, l’acquisto di veicoli elettrici. Sono scelte che si inseriscono in impegni assunti dall’UE e
coordinati dalle direttive dell’UE al riguardo che conducono all’adozione di determinati
provvedimenti su scala nazionale.
D) Armonizzazione della tassazione indiretta

Tra le trasformazioni delle politiche tradizionali merita attenzione quella relativa all’agricoltura:

• Tema che ha accompagnato dagli anni ’50 le Comunità europee costantemente. All’inizio la priorità
era l’aumento della produzione, assicurando a tutti una provvista adeguata di cibo di modo da
conseguire i beni alimentari necessari in misura e costi adeguati. Il contadino visto solo come un
produttore senza curarsi dei riflessi sociali e ambientali di queste politiche che si sono fatti man
mano più evidenti nella misura in cui si è ricorso per aumentare la produttività ad additivi chimici,
pesticidi e altri strumenti che hanno lasciato un segno pesante sul suolo con rischi significativi. Ma il
metro degli anni ’50 è stato un metro puramente economico.
• Negli anni ’70 si è preso coscienza di questa crisi e il primo profilo emerso è stato quello sociale
(invecchiamento della popolazione, la crisi della campagna, indebolimento delle piccole strutture
familiare) e fu necessario ripensare alla politica agricola. Ad oggi c’è un rovesciamento di
prospettiva e non si guarda all’operatore agricolo come a un semplice produttore ma come ad un
operatore agroalimentare che deve essere sostenuto economicamente e formativamente dal
punto di vista delle filiere commerciali per perseguire l’obiettivo della produzione ma anche della
protezione del suolo, dell’acqua, della biodiversità. Si tratta di un riorientamento di questa politica
facendola uscire da una logica primordiale del mercato comune verso una prospettiva di UE.

L’insieme degli interventi di carattere attuativo degli obiettivi generali assegnati dal TFUE alla Commissione
e altri organi UE ci si muove in tutte le direzioni, acqua, atmosfera, fauna, flora e suolo:

1. Abbiamo direttive sulla conservazione degli habitat naturali, la pianificazione delle zone altamente
sensibili sul piano della tutela della fauna e della flora
2. Leggi sull’inquinamento acustico (2002), si è iniziato a mettere in campo tutele di cui beneficiano
soprattutto i lavoratori
3. Lotta all’inquinamento atmosferico, direttive del 2008 e del 2015 istitutive del sistema di scambio
delle quote di emissioni dei gas a effetto serra
4. Analisi di sviluppo di sostanze chimiche industriali (sono aumentati i prodotti chimici in commercio
e diffusi nell’ambiente e l’UE si è attrezzata normativamente ma anche operativamente con un
registro di autorizzazione delle sostanze chimiche, strumento di valutazione di regolazione del
commercio ed immissione nell’atmosfera di determinati prodotti).
Il regolamento REACH (Registrazione, Valutazione, Autorizzazione e Restrizione delle sostanze
chimiche) è uno strumento applicabile a tutte le sostane chimiche e che arrivano ad avere
conseguenze pratiche pesantissime nella vita quotidiana. È interessante di questo regolamento
l’aver ribaltato l’onere della prova, messo in capo alle imprese produttrici che devono identificare
la natura del prodotto e gestire i rischi ad esso connessi. Le imprese devono dimostrare all’agenzia
europea per i prodotti chimici, l’ECA, che la sostanza in questione possa essere utilizzata e di
comunicare la gestione dei rischi. Quindi si esce dalla logica per la quale si deve aspettare un
danno, e si interviene invece secondo in principio di precauzione.

Altri settori di intervento dell’UE sono stati l’acqua e i rifiuti:

a) Per la qualità della risorsa acqua e le logiche di bacino più larghe rispetto agli interventi puntuali nei
quali vanno affrontati questi interventi, e l’accoglimento del principio per cui l’acqua è un bene
commerciale anche se non commerciale come altri. Quindi di sottoporlo a un regime di
monetarizzazione estraneo ad alcuni paesi dell’UE.
b) Il tema dei rifiuti ha visto una trasformazione radicale nel prevedere per quanto possibile un ciclo
integrato dei rifiuti, l’uscita dalla logica dello scarto, per favorire un riciclo, un recupero di materia.
c) Abbiamo visto anche significativi interventi in materia di tutela del consumatore, quindi
introduzione di marchi di qualità non solo strutturale del bene ma di qualità ecologica anche dei
beni in commercio (il marchio di qualità ecologica dell’UE, regolamento 66/2010, testimonia la
virtuosità nella produzione delle possibilità di riciclo deli stessi)
d) La responsabilità sociale dell’impresa, che è una dimensione naturalmente europea se non globale
con due profili:
i) Interno: le aziende devono rendere pubblica la loro responsabilità sociale in termini di
gestione delle risorse umane (salute, sicurezza sul lavoro, l’organizzazione e le ricadute
sull’ambiente esterno immediato)
ii) Costruzione di una logica di filiera e di durata nel tempo: si deve considerare l’operato di
aziende anche nel rapporto coi soggetti fornitori in modo da vietare lo sfruttamento di
manodopera in paesi terzi, una adeguata responsabilità dei capitali che finanziano le
aziende e che si valuti attraverso una gestione ecologicamente sostenibile e una procedura
di “odit ambientale”, cioè di controllo interno dell’azienda stessa, la qualità di questi
processi.

I principali attori della politica e legislazione della politica ambientale europea:

1 La Commissione europea:
1.1 Ha il compito di proporre e attuare le politiche di tutela ambientale e di innalzamento della
qualità della vita e del territorio dell’UE
1.2 È un soggetto centrale all’origine del Piano Strategico, nell’individuazione degli obiettivi e degli
strumenti necessari per raggiungerli; definisce i Piani di Gestione prima di essere vagliati dagli
altri organi dell’UE. Spesso hanno carattere reiterativo, vengono aggiornati, continuo processo
di feedback prima di attuare nuove iniziative. Ogni anno ha compiti di analisi e relazione delle
attività svolte, e ha il compito di sottoporre al PE e al Consiglio la sua azione in questo ambito.
1.3 Dobbiamo immaginare la Commissione come soggetto principe dell’azione normativa e politica
europea, soprattutto in riferimento ad ambiti come la ricerca e l’innovazione. La Commissione
è il conduttore di interi processi di ricerca, creando una rete di ricerca significativa in ambito
ambientale e mettendo in relazione fra loro ricercatori di vari settori.
1.4 Organizza il sistema di sovvenzione sulla base delle normative approvate dai legislatori europei
ed eroga questi finanziamenti direttamente o attraverso gli stati membri così come opera
mediante gare e contratti (non è svincolata da procedure di evidenza pubblica nel momento in
cui va ad individuate i partener operativi per grandi operazioni)
1.5 Ruolo di consultazione con i soggetti della società civile e gli organi consultivi dell’UE, il mondo
dell’impresa, del no profit, associazionismo e ONG
1.6 Soggetto di stimolo alla trasformazione attraverso un compito di eco-innovazione: spinta verso
innovazioni produttive, di materiali, che cambino le modalità tradizionali di funzionamento di
alcuni settori. Soggetto premiante in questo senso perché attraverso l’operazione “Capitale
verde” incentiva le autorità locali a migliorarsi e raggiungere livelli più alti di sostenibilità
1.7 Ruolo di valutazione dell’impatto ambientale (alcune iniziative strategiche o grandi opere sono
soggette ad una valutazione su scala europea ma anche l’accompagnamento dei processi di
impatto ambientale, tutte le opere nazionali sono soggette a valutazioni degli effetti che
l’opera ha nel breve e lungo periodo sull’ambiente)

2 Il Parlamento europeo
2.1 centrale nella produzione normativa negli ultimi 20 anni
2.2 sollecitazioni di un piano d’azione orientato verso un’economia circolare e la lotta ai
cambiamenti climatici
2.3 opera rafforzando la fiducia, spinge verso una conoscenza più ampia, ne rafforza la capacità di
risposta agendo anche tramite critiche all’operato della Commissione e Consiglio
(raccomandazioni rappresentano una pressione forte sugli organi di spinta ed esecutivi dell’UE,
ha rivolto dichiarazioni molto stringenti)
2.4 dichiarazioni di emergenza climatica e ambientale 2019 (chiede alla Commissione di garantire
solo proposte in linea con l’obiettivo di mantenere il riscaldamento sotto 1,5 gradi, accordo Cop
21); ha esortato la Commissione a presentare la Strategia per la neutralità climatica (che porti
entro il 2050 a emissioni zero); ha chiesto alla Commissione di essere più ambiziosa nella
presentazione del Green Deal europeo puntando già nel 2030 alla riduzione del 55% dei gas
serra.
2.5 Chiede l’eliminazione di tutte le sovvenzioni dirette e indirette sui combustibili fossili entro il
2020

3 Agenzia europea dell’ambiente


3.1 Nata a Copenaghen nel 1990
3.2 Incaricata di fornire il sostegno tecnico-scientifico allo sviluppo delle politiche ambientali e ne
informa il pubblico (il soggetto che riunisce le agenzie per l’ambiente nazionali e regionali sotto
un unico ombrello perché è il punto di chiusura di un sistema che si è sviluppato nell’UE
affinché la valutazione ambientale non sia esclusivamente nelle mani di soggetti politici; questi
soggetti dotati di forte indipendenza sono slegati da esigenze di obbedienza nei confronti
dell’UE, e possono quindi promuovere una adeguata sensibilità a livello pubblico)
3.3 Fa da motore di tutta la rete europea di osservazione ambientale e opera autonomamente
rispetto ai soggetti politici

Altri strumenti di cui si è dotata l’UE:

A) Programma Copernicus: programma di monitoraggio della terra, un osservatorio importante che


accompagna l’elaborazione di nuove norme in materia di tutela di ecosistema. Le variazioni dei
territori, dei mari, dell’atmosfera, del cambiamento climatico sono soggette a monitoraggio ed è un
livello d’azione in cui la condivisione degli strumenti può rivelarsi decisiva
B) E-PRTR: registro europeo accessibile in Internet sulle emissioni e trasferimenti di sostanze
inquinanti, che monitora continuamente i soggetti industriali che possono originare danni
ambientali rilevanti per la pericolosità di materiali, sostanze di cui fanno uso nei loro procedimenti
(qualunque azione di una certa importanza circa questi agenti inquinanti e i loro trasferimenti, la
tracciabilità delle fonti di inquinamento è fondamentale, è una garanzia nell’interesse della
protezione della salute dei cittadini europei).

L’azione in campo ambientale non può prescindere da una partecipazione della popolazione e questo
obiettivo si raggiunge con una strategia articolata, in parte guidata da normative internazionali, tra queste
la Convenzione di Aarhus che prevede:

a) Partecipazione del pubblico


b) Accesso alle informazioni ambientali detenute dalle autorità pubbliche
c) Accesso alla giustizia

Riguardo a questa Convenzione l’UE ne ha dato una applicazione incisiva: non c’è alcun processo normativa
dell’UE che si sia sottratta a questo regime partecipativo. Il cittadino si pone in una posizione privilegiata e
acquisisce un ruolo attivo di cui molte direttive sono diventate parte essenziale (Direttiva sull’accesso del
pubblico all’informazione ambientale del 2003, ma anche profili più settoriali, sugli OGM del 2006,
introducendo specifiche garanzie informative e di accesso, la direttiva in materia di acque 60/2000 che ha
disposto un ruolo centrale della cittadinanza europea nella formazione dei piani di tutela e sfruttamento
delle acque).

A significare questa apertura delle logiche decisionali che escono sempre più da una logia “command and
control”, autoritativa, per entrare in una sfera di accompagnamento di incitamento di processi virtuosi
legati all’uso di strumenti di mercato registriamo il ricorso a formule significative. Alcune legate alle attività
di carattere industriale, produttivo:

1. EMAS: meccanismi di Eco-Management e Audit Scheme di gestione e controllo interno che si vuole
sia interiorizzato dai soggetti economici lo sforzo di tutela dell’ecosistema.
Strumento per valutare, migliorare e rendicontare le prestazioni ambientali. Sistema molto simile ai
sistemi ISO (9.000, 14.000) certificazioni acquisite in maniera volontaria attraverso organizzazioni
private, spesso gestite dagli stessi produttori che dicono se si sta producendo rispettando
l’ambiente.
Spostando il luogo di certificazione su un soggetto pubblico abbiamo un altro tipo di effetto, perché
anche qui ci si muove su base volontaria ma sottopongono la loro situazione a un soggetto terzo
esterno e indipendente e quindi è un processo di registrazione a questi soggetti qualificati che
abbiano raggiunto uno standard elevato. L’interesse è che si fornisca informazione pubblica sulla
conformità legale e si coinvolgimento attivo dei dipendenti che risultano quindi sensibilizzati.
Questa certificazione EMAS può essere richiesta dalla pubblica amministrazione per appalti di
fornitura ad esempio, quindi per selezionare delle commesse pubbliche.
2. ECOLABEL: marchio di qualità ecologica dell’UE, etichetta verde che si trova sui prodotti che si
acquistano e che sono prodotti certificati in senso di compatibilità ambientale. Questo modello ha
lo scopo di informare e orientare il consumatore: di fronte a due prodotti equivalenti che non
posso giudicare dalla qualità dell’involucro, mi devo fidare quindi della “labellizzazione” che ha una
grande valenza, l’ente pubblico diventa garante dell’attendibilità di questi prodotti. Posso affidarmi
ad una enunciazione visiva tramite eco-etichette che certificano che a monte l’azienda produttrice
è responsabile in via di autodisciplina della tutela dell’ambiente 8su base volontaria) e questo è alla
base dell’accrescimento della fiducia tra produttore e consumatore nell’acquisto delle merci.
Anche qui per i prodotti è possibile affidarsi a soggetti privati che possono dare determinate
informazioni, ma è considerato più attendibile poter avere una etichetta “verde” acquisita
volontariamente da parte dell’azienda, che consenta di operare la scelta del prodotto da acquistare
da parte del consumatore.

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