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I sofisti

Nell’Atene del V secolo a.C. si sviluppa una fondamentale novità storica: la nascita del
sistema democratico. Con l’avvento di questo nuovo sistema si assiste a una estensione
della partecipazione alle assemblee cittadine e, in questo contesto, diventa decisiva l’arte
oratoria, ovvero l’arte della parola.
In un sistema come quello democratico, infatti, risulta decisiva la capacità di far
prevalere la propria opinione rispetto a quella degli altri. In questo senso, dunque, la
capacità di ottenere il consenso passa dalla capacità di costruire discorsi in grado di
convincere chi ascolta. Dentro a questo quadro si può comprendere il ruolo dei sofisti. Per
sofisti intendiamo quei professionisti che insegnano l’arte oratoria dietro compenso.
Intellettuali dunque che, a pagamento, insegnano una tecnica essenziale per chiunque
voglia intraprendere la strada della politica.
Sui sofisti è calato per lungo tempo un giudizio negativo, per diversi motivi:
1. Perché il concetto di “vendere la sapienza” nella cultura dell’epoca è considerato
qualcosa alla stregua della prostituzione culturale
2. Perché i sofisti sono stati marchiati in maniera negativa da filosofi come Platone e
Aristotele, in quanto ingannatori: nella concezione di figure come Platone o
Aristotele, infatti, la filosofia è la ricerca di verità stabili, mentre nella cultura dei
sofisti non esistono verità assolute, ma solo verità relative e – ciò che realmente
conta – è la capacità di far prevalere un’opinione su un’altra a prescindere dal
contenuto di verità di una certa opinione
3. Perché nelle tecniche oratorie insegnate dai sofisti si afferma una concezione
spregiudicata dell’importanza del convincere a prescindere dal contenuto. Fra le
tecniche proprie dell’insegnamento sofista vi è ad esempio quella antilogica: una
strategia di insegnamento fondata sui ragionamenti doppi, ovvero sull’insegnare a
esporre in maniera convincente prima una tesi e poi il suo esatto opposto.
4. Inoltre, a partire da un certo punto si inizia, nella sofistica, a parlare di eristica,
ovvero dell’arte di sostenere una tesi a prescindere dalla validità di essa.
I sofisti
A dispetto di queste critiche mosse ai sofisti, occorre però ripensare l’importanza della
loro stagione. Se infatti lo scivolamento verso l’eristica appartiene principalmente alla
seconda generazione dei sofisti (quando siamo ormai nel IV secolo a.C.), la portata
storica dei sofisti della prima generazione è innegabile:
1. Perché con loro il pensiero filosofico si sposta per la prima volta, in maniera
strutturata, sull’analisi dell’uomo. Con la sofistica si passa infatti dalla riflessione
sulla natura – tipica dei filosofi precedenti – a quella sull’uomo e sulle verità che
l’uomo, attraverso la ragione, può esprimere
2. Perché i sofisti pongono un forte accento sulla centralità dell’educazione: la virtù,
nella loro ottica, non è data dalla nascita, ma si acquista attraverso il sapere
3. Perché in una cultura abituata a pensare all’esistenza di verità assolute, i sofisti
introducono il concetti di verità relative
Per concludere.
Quando si parla di sofisti si intende un gruppo vasto di intellettuali che prendono
posizione sui più importanti temi che riguardano il vivere in società dell’uomo: quali siano
le migliori istituzioni, in cosa consiste l’etica, quale sia il ruolo della religione, quale sia la
natura delle leggi.
Fra i sofisti più rilevanti troviamo figure come quelle di Protagora, di Gorgia e di Crizia.
Protagora
Vissuto all’incirca fra il 490 e il 415, protagonista della vita dell’Atene di Pericle,
Protagora è considerato da Platone il vero e proprio padre dell’insegnamento sofistico.
In termini filosofici, la posizione di Protagora può essere definita di relativismo
conoscitivo e morale = non esistono verità assolute, ma solo verità relative a chi le
esprime.
Questa posizione la troviamo ad esempio espressa nella sua riflessione religiosa.
Quella di Protagora, infatti, è la prima vera e propria espressione di agnosticismo, ovvero
la teoria secondo cui non si può affermare né l’esistenza né l’inesistenza della divinità.
Scrive infatti Protagora: “Degli dèi non sono in grado di sapere né se sono, né se non
sono, né quali sono”. l concetto di relativismo conoscitivo è però espresso appieno dalla
più famosa affermazione di Protagora: “L’uomo è misura di tutte le cose, delle cose che
sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto non sono” (la frase è riportata da
Platone nella sua opera Teeteto).
Questa affermazione vuol dire che non esistono appunto verità assolute ma solo verità
relative all’uomo che le esprime.
Occorre solo fare attenzione a cosa intende Protagora per uomo: l’affermazione, infatti, si
presta a più livelli di lettura. Per uomo infatti Protagora intende:
1. L’uomo in quanto singolo individuo = in questo senso Protagora intende che gli uomini
conoscono la realtà tramite i sensi e dunque esistono tante verità conoscitive quanto sono
gli uomini
2. L’uomo in quanto civiltà = in questo Protagora afferma che ogni gruppo sociale esprime
una certa cultura e certi valori. Dunque esistono differenti mentalità con cui ci si
approccia al mondo e quindi bisogna parlare di relativismo culturale
3. L’uomo in quanto umanità = in questo senso Protagora vuole dire che tutti gli uomini, in
quanto tali, in quanto dotati di ragione, hanno dei parametri comuni con cui guardano
alla realtà: non alla realtà assoluta, dunque, ma alla realtà così come all’uomo appare.

Detta in termini riassuntivi: per Protagora l’uomo giudica in realtà in base ai propri sensi,
in base alla civiltà di cui fa parte, in base alla specie a cui appartiene.
Conclusioni
Per chiudere il discorso su Protagora bisogna però fare attenzione a un ultimo aspetto. La
sua riflessione non conduce né allo scetticismo, ovvero all’affermazione che non esistono
verità, né al totale relativismo, ovvero: tutto è vero e dunque tutte le opinioni sono valide.
Protagora infatti teme che una simile posizione, in termini politici, possa condurre di fatto
a una sorta di anarchia. Per evitare questo scivolamento, Protagora afferma dunque che
se è vero che non esistono verità assolute, occorre comunque trovare un criterio di utilità.
Per utile Protagora intende = ciò che è utile al bene del singolo e della comunità. Detta in
altri termini: le scelte politiche, secondo Protagora, devono essere guidate da ciò che è
utile per la comunità.
In cosa consista poi questo utile per la comunità, poi, è un altro problema su cui i sofisti
dibattono, senza arrivare a una posizione definitiva.
Gorgia
Gorgia è, accanto a Protagora, la figura più importante fra i sofisti dell’Atene del V
secolo. I punti fondamentali del pensiero di Gorgia sono due:
-l’approccio scettico rispetto alle possibilità conoscitive
-la concezione tragica dell’esistenza umana
Sul non essere
Il tema dell’impostazione conoscitiva scettica emerge in particolare nell’opera Sul non essere.
In questa opera Gorgia sostiene una tesi articolata in tre punti:
1) L’essere non esiste
2) Se anche l’essere esistesse, non sarebbe conoscibile dall’uomo
3) Se anche l’essere fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile
A prima vista queste affermazioni potrebbero sembrare un paradossale gioco di parole. Ma in
realtà si tratta di un modo per sostenere una critica alle filosofie a lui precedenti, in particolare a
quella di Parmenide.
Cerchiamo di capire perché:
1) Affermare che l’essere non esiste è la prima critica al pensiero di Parmenide. Parmenide
afferma infatti che l’essere è ingenerato, unico ed eterno. Gorgia sostiene invece che non esiste
nulla che ha queste caratteristiche, dunque nulla esiste veramente.
2) Affermare che se anche l’essere esistesse non sarebbe conoscibile, vuol dire che non c’è una
coincidenza fra l’essere e la mente dell’uomo. Anche qui vi è una critica a Parmenide. Parmenide
distingue infatti in maniera netta fra l’essere e il non essere, affermando che solo l’essere può
essere pensato, dunque conosciuto. Gorgia invece sostiene che l’uomo può pensare anche cose che
non esistono, quindi il non essere. Dunque l’uomo non è in grado di distinguere fra ciò che è e ciò
che non è. E dunque non ha strumenti per giudicare l’essere come vero.
3) Dire che se anche la struttura dell’essere fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile, vuol dire
che il linguaggio non è adeguato, da solo, a riprodurre l’essere, a spiegarne l’essenza. Anche in
questo caso Gorgia si distacca da Parmenide, secondo cui l’essere viene comunicato attraverso i
discorsi. Per il sofista, invece, il linguaggio è solo una parte dell’essere, quindi può restituire
l’essere solo parzialmente. Facciamo un esempio per capire meglio: se parliamo di un gatto,
attraverso la parola “gatto” emettiamo soltanto un suono, non stiamo comunicando il gatto nella
sua interezza. Dunque, l’essere non è veramente comunicabile
Gorgia
Gorgia è, accanto a Protagora, la figura più importante fra i sofisti dell’Atene del V
secolo. I punti fondamentali del pensiero di Gorgia sono due:
-l’approccio scettico rispetto alle possibilità conoscitive
-la concezione tragica dell’esistenza umana
Sul non essere
Il tema dell’impostazione conoscitiva scettica emerge in particolare nell’opera Sul non essere.
In questa opera Gorgia sostiene una tesi articolata in tre punti:
1) L’essere non esiste
2) Se anche l’essere esistesse, non sarebbe conoscibile dall’uomo
3) Se anche l’essere fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile
A prima vista queste affermazioni potrebbero sembrare un paradossale gioco di parole. Ma in
realtà si tratta di un modo per sostenere una critica alle filosofie a lui precedenti, in particolare a
quella di Parmenide.
Cerchiamo di capire perché:
1) Affermare che l’essere non esiste è la prima critica al pensiero di Parmenide. Parmenide
afferma infatti che l’essere è ingenerato, unico ed eterno. Gorgia sostiene invece che non esiste
nulla che ha queste caratteristiche, dunque nulla esiste veramente.
2) Affermare che se anche l’essere esistesse non sarebbe conoscibile, vuol dire che non c’è una
coincidenza fra l’essere e la mente dell’uomo. Anche qui vi è una critica a Parmenide. Parmenide
distingue infatti in maniera netta fra l’essere e il non essere, affermando che solo l’essere può
essere pensato, dunque conosciuto. Gorgia invece sostiene che l’uomo può pensare anche cose che
non esistono, quindi il non essere. Dunque l’uomo non è in grado di distinguere fra ciò che è e ciò
che non è. E dunque non ha strumenti per giudicare l’essere come vero.
3) Dire che se anche la struttura dell’essere fosse conoscibile, non sarebbe comunicabile, vuol dire
che il linguaggio non è adeguato, da solo, a riprodurre l’essere, a spiegarne l’essenza. Anche in
questo caso Gorgia si distacca da Parmenide, secondo cui l’essere viene comunicato attraverso i
discorsi. Per il sofista, invece, il linguaggio è solo una parte dell’essere, quindi può restituire
l’essere solo parzialmente. Facciamo un esempio per capire meglio: se parliamo di un gatto,
attraverso la parola “gatto” emettiamo soltanto un suono, non stiamo comunicando il gatto nella
sua interezza. Dunque, l’essere non è veramente comunicabile
Qual è la conclusione di tutto questo ragionamento? A quale punto vuole arrivare Gorgia?
Quello che sta cercando di sostenere il sofista è che la struttura della filosofia a lui
precedente è errata. La filosofia si è fino a quel momento soffermata sulla ricerca
dell’essere, della struttura profonda del reale, ma questa ricerca è impossibile. Questo
vuol dire, di conseguenza, che anche le possibilità conoscitive dell’uomo sono limitate,
perché non vi sono verità da conoscere.
La conclusione di Gorgia è che non esiste nulla di realmente vero. Questo approccio è
quindi definibile come scettico. Lo scetticismo è infatti quell’approccio secondo il quale
non si può mai affermare una verità ultima definitiva. Con Gorgia la filosofia sofistica
raggiunge quindi le sue conseguenze più estreme. L’approccio di Gorgia è infatti più
radicale di quello relativista di Protagora, secondo cui le verità sono relative, ma sono pur
sempre verità conoscibili.
L'enconomio di Elena
Il secondo tema affrontato da Gorgia è quello della tragicità dell’esistenza umana.
Questa riflessione di Gorgia viene presentata in particolare nell’opera Encomio di Elena.
In quest’opera Gorgia parla del personaggio di Elena, che secondo la leggenda viene
presentata come responsabile della guerra di Troia.
Gorgia nella sua opera ribalta questa visione consolidata, proponendo quattro possibili
ipotesi per le quali Elena non sarebbe realmente responsabile delle sue azioni.
1) Elena potrebbe aver agito seguendo il destino e quindi sottoposta a una forza più
grande di lei
2) Elena potrebbe essere stata rapita da Paride e quindi costretta con la forza
3) Elena potrebbe essere stata persuasa dalle parole di Paride e le parole possono avere
una forza di convincimento che non può essere contenuta
4) Elena potrebbe aver agito per amore e quindi sottoposta a un condizionamento non
controllabile
La conclusione comune a queste quattro ipotesi è che, in ogni caso, Elena non ha vere
colpe, perché non è lei stessa responsabile delle sue azioni, in qualche maniera è stata
condizionata da qualcosa che va al di là del suo libero arbitrio.
Utilizzando il personaggio di Elena, dunque, Gorgia vuole presentare l’idea che gli uomini
vivono in una dimensione tragica perché non sono pienamente responsabili delle loro
azioni, ma sono preda di altre forze, in balìa di un destino che non può mai essere
veramente controllato.

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