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Per Leopardi l’infelicità degli uomini è l’unica vera e grande realtà e da questa
tremenda constatazione deriva il pessimismo cosmico leopardiano di cui la poesia “A
se stesso” rappresenta una delle espressioni più efficaci. Il poeta, non potendo
manifestare il suo sentimento, esprime tutte le sue potenzialità affettive verso
l’amore e verso la vita condensando in questo canto tutto lo sgomento verso il
mondo circostante.
Il tema trattato è quello della disillusione nei confronti dell’esistenza umana. Si capta
dal testo un invito disperato da parte dell’io lirico a non illudersi più che esista sulla
terra qualcosa(o qualcuno) che sia ancora degno di essere amato.
Il poeta si rivolge direttamente al suo cuore dicendogli di riposarsi per sempre, egli
sente dentro di sé che il desiderio di piacevoli illusioni e di speranze si è esaurito. Al
genere umano la natura non ha concesso altro che la morte.
Dal punto di vista della struttura sintattica prevale la paratassi che si articola in
membri brevi, i periodi saltano da un verso ad un altro, lasciando nella sintassi molti
buchi vuoti, numerosi sono gli enjambements ( «Assai palpitasti» vv. 6-7, «dispera
l’ultima volta» vv.11-l2, «al gener nostro il fato non donò che il morire vv.12-l3).
Ai versi 9-l0 c’è l’ellissi del verbo e l’uso, quindi, del periodo nominale «Amaro e
noia/La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo». Il solo verbo del periodo è «è», che
tra l’altro qui unisce il mondo al fango.
La sintassi e la metrica contribuiscono a definire uno stile nuovo, concentrato, e
incisivo che fanno di questo componimento leopardiano una prova di audacia
sperimentale che guarda molto da vicino al novecento.