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La crisi della Repubblica: da Mario ad Augusto

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Caio Mario, Guerre contro Giugurta,
Guerra civile tra Mario e Silla, Guerra civile romana (49 a.C.) e Guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio.

Mario, un generale romano che riformò drasticamente l'esercito romano

Regioni italiane al tempo dell'Italia romana

Negli anni successivi la politica romana fu caratterizzata sempre più dal radicalizzarsi della lotta tra il partito
degli ottimati (optimates) e quello dei popolari (populares), che avevano visioni politiche completamente
opposte: i primi avevano come principale esponente Lucio Cornelio Silla, valente generale, mentre i secondi
erano capeggiati da Gaio Mario. Quest'ultimo si era distinto in varie imprese militari: più volte console,
condusse la vittoriosa guerra contro Giugurta (108 a.C.-105 a.C.) e riuscì a respingere la minaccia germanica
dei Cimbri e dei Teutoni, che avevano inflitto fino ad allora pesanti sconfitte a Roma incutendo profondo
timore ai Romani, con due vittorie ad Aquae Sextiae e a Vercelli. Sia contro Giugurta sia contro i Germani,
Mario ebbe come legato un giovane nobile, di cui apprezzava le capacità militari: Silla.

Presunto ritratto di Lucio Cornelio Silla

Lo scontro tra ottimati e popolari, fino a che Gaio Mario rimase in vita, si risolse sempre nella lotta per
l'ottenimento del consolato per i candidati della propria parte politica. Morto Mario, Silla, al ritorno dalla
vittoriosa guerra in oriente contro Mitridate VI re del Ponto, ritenne che il momento fosse propizio per un
colpo di Stato e con l'esercito in armi marciò contro Roma, dove a Porta Collina ottenne la vittoria decisiva
nella guerra civile contro i mariani (82 a.C.). Per consolidare la vittoria, Silla si fece eleggere dittatore a vita
e incominciò una vasta e sistematica persecuzione nei confronti dell'opposizione (le liste di proscrizione
sillane) da cui il giovane Cesare, nipote di Mario, riuscì a stento a sottrarsi. Fino a che morì, nel 78 a.C.,
l'unica seria opposizione contro Silla, fu quella condotta da Sertorio dalla provincia dell'Hispania. Nel 70 a.C.
la costituzione sillana venne abolita da Pompeo e Crasso, della quale erano stati dieci anni prima fautori
convinti.

Il mondo romano si avviava a divenire troppo vasto e complesso per le istituzioni della Repubblica; la
debolezza di queste ultime, e in particolare del senato divenne già evidente nelle circostanze del primo
triumvirato, un accordo informale con cui i tre più potenti uomini di Roma, Cesare, Crasso e Pompeo, si
spartivano le sfere d'influenza e si garantivano reciproco appoggio. Dei tre, la figura di Cesare era la più
emblematica dei nuovi rapporti di potere che stavano emergendo: nipote di Mario, egli aveva anche per
questo aderito sin da giovane alla fazione dei populares e costruì il suo potere con le conquiste militari e il
rapporto di fedeltà personale che lo legava al suo esercito. Fu per questo che quando, dopo la morte di
Crasso (53 a.C.), le ambizioni personali di Cesare e Pompeo si scontrarono, il senato preferì schierarsi con
quest'ultimo, in quanto più vicino agli Optimates e più rispettoso verso i privilegi senatoriali (per quanto
non sfuggisse ai più attenti, come Cicerone, che qualunque dei due contendenti avesse prevalso il potere
del senato sarebbe stato irrimediabilmente compromesso).
Lo scontro, sempre latente, si mantenne comunque entro i limiti delle tradizionali forme di governo
romane, fino al 49 a.C., quando il senato intimò a Cesare di rimettere il suo comando delle legioni che aveva
condotto alla conquista delle Gallie, e di tornare a Roma da privato cittadino. Il 10 gennaio, abbandonando
gli ultimi dubbi (Alea iacta est), Cesare attraversò con le sue truppe il Rubicone dando inizio alla guerra
civile contro la fazione opposta. La guerra civile fu combattuta vittoriosamente da Cesare su tre fronti: il
fronte greco, dove Cesare sconfisse Pompeo nella battaglia di Farsalo, il fronte africano, dove Cesare riuscì
ad avere la meglio sugli Optimates guidati da Catone Uticense con la decisiva battaglia di Utica (49 a.C.), e il
fronte iberico, dove la battaglia decisiva avvenne a Munda, sull'esercito nemico guidato dai figli di Pompeo,
Gneo il Giovane e Sesto. Cesare, avuta la meglio sulla fazione avversa, assunse il titolo di dictator,
assommando a sé molti poteri e prerogative, quasi un preludio della figura dell'imperatore, che però non
assunse mai, ucciso alle idi di marzo nel 44 a.C.

La morte del dittatore, contrariamente alle dichiarate intenzioni dei congiurati, non portò alla restaurazione
della Repubblica, ma a nuovo periodo di guerre civili. Questa volta però i due contendenti, Augusto e
Marco Antonio, non erano i campioni di due fazioni rivali, ma rappresentanti di due gruppi che
combattevano per il predominio sulla parte avversa, senza avere alcuna velleità di restaurare la Repubblica,
ormai superata come istituzione storica. La guerra civile tra Ottaviano e Marco Antonio terminò con la
Battaglia di Azio nel 31 a.C., che decretò il trionfo di Ottaviano e diede inizio de facto al periodo imperiale
della storia romana. Augusto mantenne in vita (formalmente) la Repubblica, di fatto trasformandola in una
monarchia, pur nell'apparenza del Principato. Ufficialmente ebbe fine dopo il 235 d.C. In particolare, nel
284, l'imperatore Diocleziano, incominciò una nuova fase, il Dominato, cambiando radicalmente le antiche
istituzioni romane.

Età imperiale (27 a.C.-476 d.C.)

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Impero romano.

Augusto, fondatore dell'impero romano

L'Italia sotto Augusto: le undici regioni augustee

Magnifying glass icon mgx2.svg Lo stesso argomento in dettaglio: Augusto e Regioni dell'Italia augustea.

Ottaviano Augusto mantenne le antiche istituzioni repubblicane, seppur svuotandole di ogni potere
effettivo. Sebbene la repubblica continuasse formalmente a esistere, in realtà era diventata un principato
retta dal princeps o imperatore, che era l'assoluto padrone dell'Impero. Con i nuovi poteri Augusto
riorganizzò l'amministrazione dell'Impero: stabilì moneta e tassazione standardizzata; creò una struttura di
servizio civile formata da cavalieri e da uomini liberi (mentre in precedenza erano prevalentemente schiavi)
e previde benefici per i soldati al momento del congedo. Suddivise le province in senatorie (controllate da
proconsoli di nomina senatoria) e in imperiali (governate da legati imperiali). Fu un maestro nell'arte della
propaganda, favorendo il consenso dei cittadini alle sue riforme. La pacificazione delle guerre civili fu
celebrata come una nuova età dell'oro dagli scrittori e poeti contemporanei, come Orazio, Livio e
soprattutto Virgilio.

L'impero romano raggiunse la sua massima estensione nel 116


Augusto per primo creò un corpo di vigili, e una forza di polizia per la città di Roma, che fu suddivisa
amministrativamente in 14 regioni. Ottaviano completò il dominio sull'Italia, sottomettendo tra il 25 a.C. e il
6 a.C. alcune periferiche popolazioni alpine, tra cui Salassi, Reti e Vindelici. Per aver completato la
sottomissione di tutte le 46 popolazioni della penisola italiana, i Romani eressero in suo onore un
monumento celebrativo sulle falde meridionali delle Alpi, presso Monaco. Nel 7 d.C., Augusto, divise l'Italia
in undici regioni. L'Italia, che così come durante il corso della Repubblica continuava a non essere una
provincia, in quanto territorio metropolitano di Roma ben differenziato da queste ultime, si vide ancor più
privilegiata da Augusto e dai suoi successori in epoca imperiale, i quali costruirono sul suo territorio una
fitta rete stradale e abbellirono le sue città dotandole di numerose strutture pubbliche (foro, templi,
anfiteatro, teatro, terme...), iniziativa nota come evergetismo augusteo.

L'economia italiana era florida: agricoltura, artigianato e industria ebbero una notevole crescita che
permise l'esportazione dei beni verso le province. L'incremento demografico fu rilevato da Augusto tramite
tre censimenti: i cittadini maschi furono 4.063.000 nel 28 a.C., 4.233.000 nell'8 a.C. e 4.937.000 nel 14 d.C.
Se si considerano anche le donne e i bambini la popolazione totale nell'Italia del I secolo d.C. può essere
stimata sui 10 milioni di abitanti circa, di cui almeno 3 milioni erano schiavi[26]. In politica estera tentò di
espandere l'impero. Oltre ad aver conquistato le regioni alpine dell'Italia (vedi sopra), intraprese anche
alcune campagne in Etiopia[27], in Arabia Felix[27] e in Germania,[27] le quali ebbero però poco successo,
sia per la strenua resistenza degli abitanti che per il clima avverso. Alla sua morte il suo testamento fu letto
in senato: si raccomandava ai suoi successori di non intraprendere nessuna conquista, in quanto
un'ulteriore espansione avrebbe provocato solo problemi logistici a un impero già troppo vasto.[27] I suoi
successori rispettarono questa sua indicazione, e nei due secoli d'oro dell'impero furono solo due le
conquiste territoriali di rilievo: la Britannia, conquista intrapresa nel 43 dall'Imperatore Claudio e portata
avanti dal generale Agricola sotto Domiziano, e la Dacia, conquistata da Traiano.

L'anfiteatro Flavio, simbolo di Roma e del potere imperiale ancora ai nostri giorni

Dinastia Giulio-Claudia (14-68)

La prima dinastia fu quella Giulio-Claudia, che fu al potere dal 14 al 68; nel corso di mezzo secolo si
succedettero Tiberio, Caligola, Claudio e Nerone. I primi anni del regno di Tiberio furono pacifici e
relativamente tranquilli. Egli consolidò il potere di Roma e assicurò la ricchezza e la prosperità dello Stato
romano. Dopo la morte di Germanico e di Druso, i suoi eredi, l'imperatore, convinto di aver perso i favori
del popolo e di essere circondato da cospiratori, si ritirò nella propria villa di Capri (26), lasciando il potere
nelle mani del comandante della guardia pretoriana, Seiano, che avviò le persecuzioni contro coloro che
erano accusati di tradimento. Alla sua morte (37) il trono venne affidato a Gaio (soprannominato Caligola,
per la sua abitudine di portare particolari sandali chiamati caligae), il figlio di Germanico. Caligola
incominciò il regno ponendo fine alle persecuzioni e bruciando gli archivi dello zio.

Tuttavia si ammalò presto: gli storici successivi riportano una serie di suoi atti insensati che avrebbero avuto
luogo a partire dalla fine del 37. Nel 41, Caligola cadde vittima di una congiura ordita dal comandante dei
pretoriani Cassio Cherea. L'unico membro rimasto della famiglia imperiale era un altro nipote di Tiberio,
Claudio. Questi, pur essendo considerato dalla famiglia stupido, fu invece capace di amministrare con
responsabile capacità: riorganizzò la burocrazia e conquistò la Britannia. Sul fronte familiare, Claudio ebbe
meno successo: la moglie Messalina fu messa a morte per adulterio; successivamente sposò la nipote
Agrippina, che probabilmente lo uccise nel 54. La morte di Claudio spianò la strada al figlio di Agrippina,
Nerone. Questi inizialmente affidò il governo alla madre e ai suoi tutori, in particolare a Seneca. Tuttavia,
maturando, il suo desiderio di potere aumentò: fece giustiziare la madre e i tutori e regnò da despota.
L'incapacità di Nerone di gestire le numerose ribellioni scoppiate nell'Impero durante il suo principato e la
sua sostanziale incompetenza divennero rapidamente evidenti e nel 68 Nerone si suicidò.

Dinastia dei Flavi (69-96)

Alla morte di Nerone l'ingerenza dell'esercito nella nomina dell'imperatore fu la causa di una guerra per la
successione: nel 68, noto come anno dei quattro imperatori, il trono fu conteso da quattro candidati,
ognuno eletto imperatore dalla rispettiva legione: Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano. La guerra civile si
concluse con la vittoria di Vespasiano, che fondò la dinastia Flavia. Questo imperatore riuscì a liberare
Roma dai problemi finanziari creati dagli eccessi di Nerone e dalle guerre civili. Aumentando le tasse in
modo drammatico, egli riuscì a raggiungere un'eccedenza di bilancio e a realizzare numerose opere
pubbliche, come il Colosseo e un Foro il cui centro era il Tempio della Pace. Il regno del suo successore, il
figlio Tito, durò soli due anni e fu segnato da due tragedie: nel 79 l'eruzione del Vesuvio distrusse Pompei
ed Ercolano e, nell'80, un incendio distrusse gran parte di Roma. Tito morì nell'81 a 41 anni, forse
assassinato dal fratello Domiziano impaziente di succedergli. Fu con Domiziano che i rapporti già tesi tra la
dinastia flavia e il senato si deteriorarono a causa della divinizzazione dell'imperatore secondo modalità
tipicamente ellenistiche e del divorzio dalla moglie Domizia, di estrazione senatoria. Nella parte finale del
suo regno perseguitò i filosofi e, nel 95, i Cristiani. Morì l'anno seguente, vittima di una congiura.

Dinastia degli Antonini: gli imperatori adottivi (96-192)

Con Nerva (96-98), successore di Domiziano, venne cambiato il sistema di successione degli imperatori con
l'introduzione del cosiddetto principato adottivo: questa riforma prevedeva che l'imperatore in carica in
quel momento dovesse decidere, prima della sua morte, il suo successore all'interno del senato, in modo
da responsabilizzare i senatori. Con questo criterio vennero scelti Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marco
Aurelio e Commodo (quest'ultimo era anche figlio di Marco Aurelio). Tramite la politica di pace instaurata e
la prosperità derivatane il governo imperiale attirò consensi unanimi, tanto che Nerva e i suoi successori
sono anche noti come i cinque buoni imperatori. In questo periodo, grazie alle conquiste per opera di
Traiano di Dacia, Armenia, Mesopotamia e Assiria, l'Impero raggiunse la sua massima estensione (117). Le
conquiste orientali di Traiano furono, però, in gran parte abbandonate dal successore Adriano (118), anche
se i territori perduti vennero successivamente riconquistati nelle guerre romano-partiche. Lo sviluppo
economico e la coesione politica e ideale, raggiunta anche per l'adesione delle classi colte ellenistiche, che
contraddistinsero il secondo secolo, non devono, comunque, trarre in inganno, in quanto da lì a poco
l'impero cominciò a mostrare i primi sintomi della decadenza.

Quanto all'Italia, il suo posto nell'impero, nel secondo secolo, cominciò a perdere la sua preponderanza, a
causa della romanizzazione delle province, e in parte dell'integrazione delle loro élite in seno agli ordini
equestri e senatoriali. Il secondo secolo vide l'impero governato da imperatori provenienti dalle province e
discendenti da antichi coloni italici: Traiano e Adriano originari della provincia dell'Hispania Baetica e
Antonino Pio di quella della Gallia Narbonense. Fin dai primi anni del secolo, Traiano cercò di
regolamentare la presenza dei senatori in Italia, obbligandoli a possedere un terzo delle loro terre in Italia;
secondo Plinio il Giovane (VI, 19) certi senatori provinciali abitavano in Italia difatti come se fossero in
vacanza, senza curarsi della penisola. La misura ebbe solamente un effetto limitato, quello di rialzare
momentaneamente i prezzi delle proprietà, che stavano decadendo, e fu reiterata da Marco Aurelio ma in
un'inferiore misura, un quarto delle terre.

Altri fattori che assicuravano la sua preminenza sull'impero subirono una flessione, cominciata nel I secolo e
che durò durante tutto il suddetto. Le legioni, oramai stanziate stabilmente sul limes romano, nelle
province lontane, regionalizzarono poco a poco il loro reclutamento, soprattutto a partire da Adriano. Per
molto tempo queste osservazioni hanno fatto ritenere vari studiosi che l'Italia romana nel II secolo fosse in
declino e in forte crisi economica, demografica e infine incapace di reggere la concorrenza delle province.
Altri, invece, hanno interpretato le numerose importazioni di materie prime provenienti dalle province non
come il segno di un declino dell'Italia ma piuttosto come la conseguenza della misura sproporzionata del
mercato romano-italico, foraggiato dalle imposte e dalle retribuzioni ai funzionari, o del fatto che certi
trasporti marittimi a lunga distanza fossero più economici dei trasporti terrestri a media distanza. L'Italia da
sola non poteva produrre abbastanza da nutrire Roma col suo milione di abitanti, tanto più che la
coltivazione del grano era poco remunerativa rispetto all'olivo e alla vite; le importazioni massicce non
bilanciate dalle esportazioni rendono conto di un declino.

Un passo in avanti verso la parificazione dell'Italia con le province venne compiuto da Adriano, quando
assegnò l'Italia a quattro consolari portanti il titolo di legati propretori, titolo utilizzato per i governatori di
provincia. Il moto di protesta sollevato nel senato, rappresentante dei vari municipi d'Italia, lesi nella loro
autonomia fino ad allora sempre garantita, fece sì che la misura fosse annullata dal suo successore. La
soluzione di Adriano rispondeva tuttavia a una reale esigenza: le regioni dell'Italia avevano bisogno di
un'amministrazione più gerarchizzata, in particolare nel campo della giustizia civile. Tanto che Marco
Aurelio creò egli stesso nel 165 i giuridici (iuridici) che esercitavano nei distretti. Il secondo secolo fu per
l'Italia un secolo di transizione, di indietreggiamento della sua preminenza, ma non il declino che la
storiografia ha letto fino agli anni settanta, appoggiandosi tra altri sulle tesi di M. Rostovtseff. Il vero declino
avvenne in seguito. I prodromi della crisi che investì l'impero romano nel III secolo incominciarono a farsi
sentire soprattutto con Commodo (180-192), che minò l'equilibrio istituzionale raggiunto e il cui
atteggiamento dispotico favorì il malcontento delle province e dell'aristocrazia, portando al suo assassinio
nel 192. Era l'ultimo degli Antonini.

Dinastia dei Severi (193-235)

Tra la fine del II e l'inizio del III secolo, l'Italia romana, in coincidenza con l'inizio del declino dell'impero,
perse man mano i suoi privilegi di territorio non provinciale fino a venire parificata alle province.
L'assassinio di Commodo diede il via a una breve guerra civile fra tre pretendenti al trono (tutti nominati
dall'esercito), che vide la vittoria di Settimio Severo, che diede inizio alla dinastia dei Severi.[28] Nel corso
del suo regno, Settimio Severo (193-211) aumentò i poteri all'esercito e per questo viene visto da alcuni
storici come uno degli artefici della rovina dell'impero.[28]

Alla sua morte (211) gli succedettero i figli Caracalla e Geta; l'ultimo dei due venne però fatto uccidere dal
primo.[29] Nel 212 Caracalla concesse la cittadinanza, finora concessa salvo alcune eccezioni solo agli italici,
a tutti gli abitanti dell'Impero, segnando un ulteriore passo in avanti verso la parificazione con dell'Italia con
le province. Il suo regno e quello dei suoi successori (Eliogabalo e Alessandro Severo) fu caratterizzato da
lotte intestine[29], che nel 235 portarono, con l'uccisione di Alessandro Severo da parte del suo esercito,
all'estinzione della dinastia dei Severi e all'inizio dell'anarchia militare.

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