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1.

Introduzione ad Aristotele
1. Aristotele è stato, insieme a Platone, il filosofo che ha posto le fondamenta del modo occidentale
di vedere il mondo. Ma, a differenza di Platone la cui influenza è stata radicale quanto sotterranea
per lunghi momenti della storia, il pensiero del suo allievo, come vedremo, ha dominato
incontrastato per quasi 2000 anni.

2. Era nato a Stagira, una città ionia vicina all'odierna Salonicco, nel 384 a. C.. Suo padre
Nicomaco, che lo l'aveva lasciato presto orfano, era medico presso la corte macedone di Aminta III.

Ad Atene arrivò a 17 anni, quando il suo tutore Prosseno, lo inviò alla scuola di Platone retta in quel
momento da Eudosso di Cnido a causa dell'assenza di Platone che era appena partito per la Sicilia.

3. Rimase nell’Accademia per vent’anni, fino alla morte di Platone, nel 347, distinguendosi per
l’intelligenza delle sue analisi e per la qualità degli argomenti che usava contro gli avversari
dell’Accademia: i retori, gli allievi dei sofisti come Isocrate che “era turpe lasciar parlare” e contro
il quale scrisse il Protrettico, un’invito alla filosofia..

4. non avendo potuto sostituire Platone alla guida dell’Accademia, alla quale era stato chiamato
Speusippo, si trasferì nella nella città ionica di Asso dove ricostituì una piccola comunità platonica.

5. 4 anni dopo fu chiamato alla corte macedone di Filippo per diventare precettore di
Alessandro, sulla cui educazione però incredibilmente influì davvero poco.

6. Dopo tredici anni di assenza, nel 335 tornò ad Atene dove fondò il Liceo nel luogo dov’era
esistito un altro ginnasio dedicato ad Apollo Licio, da cui il nome. La scuola comprendeva il famoso
perípatos, la passeggiata lungo la quale Aristotele amava discutere con gli allievi.

7. Alla morte di Alessandro, nel 323, la reazione antimacedone lo costrinse a lasciare Atene e
fuggire nell'Eubea, dove era nata sua madre è là che morì l'anno.

 2.2 Il «nous», l'anagnostes

8. Platone aveva grande stima delle capacità intellettuali di Aristotele, tanto da soprannominarlo
nous, la «chiara intelligenza» o «la mente». Per cui se Platone è stato il più grande, Aristotele è
stato la più analitica e intelligente mente della storia del pensiero occidentale.

9. Nonostante l’ammirazione, Platone era senz’altro poco contento che Aristotele fosse per molti
aspetti tanto lontano dal suo insegnamento. Diogene Laerzio, riferisce che ne parlasse
sottolineando:

«Aristotele mi prese a calci come i puledri la madre che li generò» (V, 1, 2).

Aristotele dal canto suo rispondeva nell'Etica nicomachea che:

«l'amicizia e la verità sono entrambe care, ma occorre onorare di più la verità».

10. Ma l'aneddoto che forse chiarisce meglio l'innovatività intellettuale della figura di Aristotele è il
soprannome un po' spregiativo di anagnostes, che significa «lettore», che gli era stato attribuito per
la sua abitudine di leggersi i libri da solo.
All'epoca infatti i testi scritti venivano letti ad alta voce da schiavi istruiti a questo scopo e si
consideravano pubblicati quando venivano letti da un anagnostes in pubblico.

11. Non abbiamo ancora visto in cosa Aristotele si differenzia da Platone, ma il suo amore per i libri
marca già, in effetti, una profonda differenza tra il suo atteggiamento e quello di un filosofo che
aveva concentrato nel Fedro il suo disprezzo per un sapere conquistato senza discussione e senza
insegnamento.

2. Il distacco da Platone
1. Nel primo video su Aristotele, abbiamo visto che Platone sottolineava che la filosofia del suo allievo era
il prodotto dell’attività di ricerca condotta insieme nell’Accademia e paragonava « Aristotele » a un
puledro pronto a scalciare la propria madre, cioè un filosofo pronto a dimenticare le affinità e a
enfatizzare invece le differenze con il proprio maestro.

2. Aveva certo ragione a sostenere che Aristotele, nonostante le sue critiche, aveva elaborato il suo
pensiero nel quadro dei problemi e della teorizzazione dell’Accademia. In ogni caso, Aristotele
guarda alle cose in modo molto diverso da Platone.

3. Infatti, mentre Platone concepisce la realtà autentica come trascendente il mondo


dell’esperienza e la conoscenza come bisognosa di una stabilità che non si trova nel mondo
sensibile, Aristotele parte dalla tesi che le cose che ci circondano sono vere ed esistono in modo pieno,
per cui il mondo di cui facciamo esperienza è perfettamente conoscibile senza bisogno di appoggiarsi ad
altri enti.

3. Per Aristotele, perciò, tutte le cose che ci circondano esistono effettivamente, sono


cioè sostanze nel senso più proprio e non «immagini» imperfette dell’idea con cui, invece,
Platone identifica la realtà autentica.

4. Ogni cosa è l’unione di materia e forma, cioè della materia di cui è fatta e di ciò che la rende così
com’è. Questo tavolo, ad esempio, è fatto di legno e della forma-tavolo che è stata impressa a questo
materiale. La forma è quindi una componente strutturale delle cose, a differenza dell’idea
platonica che esiste oltre e al di là delle cose sensibili.

5. Come si diceva, poiché per Aristotele le cose percepite dai nostri sensi, sono realtà a tutti gli
effetti, possono essere oggetto di vera conoscenza. In particolare, la possibilità di uno studio
scientifico della natura (phýsis), ancora negata da Platone per il quale l’unica scienza è la filosofia,
rappresenta invece uno dei capisaldi del pensiero aristotelico.

Ecco perché in Aristotele è presente un albero delle scienze distinte per oggetto e grado di certezza e il
riconoscimento dell’autonomia di ogni singolo campo del sapere.

6. Un’altra forte differenza tra Platone e Aristotele è sul piano etico. Mentre infatti Platone identifica
la virtù con la conoscenza (perché per lui conoscere il bene è, socraticamente, farlo), Aristotele
distingue la sfera della teoria da quella dell’azione, sottolineando il ruolo della volontà: per fare il
bene allora non basta sconfiggere l’ignoranza, ma occorre anche volerlo e avere il coraggio di farlo

 
7. Il fatto che Aristotele attribuisca realtà piena agli enti naturali, non parziale o apparente
come avevano fatto Platone o Parmenide, lo espone al confronto con la dottrina delle idee.

8. Del resto, Platone era impegnato nel tentativo di dimostrare la dottrina proprio negli anni in cui
Aristotele era allievo dell’Accademia. Troviamo così che alcuni argomenti che Aristotele propone
contro le idee platoniche coincidono con quelle di cui Platone parla negli ultimi dialoghi, come nel
caso dell’argomento del terzo uomo.
9. La distanza maggiore di Aristotele dalla teoria delle idee consiste comunque nell’obiezione che  la
scienza non può appoggiarsi ad enti separati, cioè non può cercare di conoscere le cose
ricorrendo ad altre cose.

Infatti, la scienza aristotelica cerca ciò che è stabile in predicati universali, cioè in parti
del discorso che non esistono separatamente dalle cose, ma ne rappresentano
l’essenza.

10. Questa tesi è già presente nel trattato giovanile Sulle Idee di cui Alessandro d’Afrodisia, un
commentatore del III secolo d. C. ci ha conservato alcuni frammenti.

È da qui che Aristotele parte per sviluppare la propria dottrina delle categorie.

3. La logica dei termini. Le categorie


1. Nella seconda videolezione abbiamo visto il giovane Aristotele criticare la scelta di Platone di
appoggiarsi a enti separati per capire la realtà e cercare il fondamento a una conoscenza stabile non in
speciali oggetti, ma in nomi: i generi universali del discorso che chiama categorie.

2. Comincia così la ricerca di Aristotele in alcuni libri che furono detti di logica o logiké, cioè di scienza dei
logoi, i pensieri o discorsi, nei quali si studia appunto la forma del pensiero corretto, cioè le
caratteristiche di ogni scienza che voglia presentarsi come dimostrativa o necessaria.

3. Cosa significa scienza dimostrativa? Una scienza è dimostrativa, cioè basata su verità provate,
quando da una premessa discende una conseguenza necessaria, cioè una conclusione che non può essere
diversa da quella. Dunque è il ragionamento ben condotto, di cui si occupa appunto la logica, a costruire
nuovo sapere.

4. Per questo, come ha osservato Alessandro di Afrodisia, uno studioso aristotelico del III secolo, la
logica è la scienza che elabora gli strumenti per tutte le altre scienze, ed è quindi Organon che
significa appunto, strumento, in greco.
Aristotele quindi non usò il termine logica (che fu usato dagli stoici a partire dal I secolo a. C.), né quello
di organon, di tre secoli più tardo, ma si riferì a questo complesso di problemi come ad una analitica, cioè
all'attività di scomposizione di qualcosa di complesso in elementi semplici.

5. I libri aristotelici di logica raccolti da Alessandro di Afrodisia nell’Organon contengono


le Categorie,  il  De interpretatione, gli Analitici primi, gli Analitici secondi, i Topici e le Confutazioni
sofistiche.

6. La logica aristotelica presenta sia aspetti comuni con la logica antica che aspetti del tutto nuovi.

L’elemento comune della logica aristotelica con tutta la filosofia antica è nel suo carattere ontologico: il
che significa che un ragionamento corretto e dimostrativo corrisponde alla realtà,  coglie proprietà vere
dell’essere. Di conseguenza i principi logici sono sia leggi del pensiero che caratteristiche della
realtà.

Ciò che c’è di innovativo nella logica aristotelica è invece la critica a Parmenide e Platone che sfocia nella
dimostrazione che l’essenza delle cose, ciò che sono davvero e che le rende conoscibili, non può
più essere concepita come un’«entità», cioè come una cosa, trascendente o immanente che sia, ma
solo come genere o specie delle cose, cioè come una loro classificazione o parte del discorso che
rispecchia la realtà.

10. Insomma, invece di indicare come essenza delle cose delle entità come aveva fatto Platone con
la dottrina delle idee, Aristotele pensa la realtà delle cose che ci circondano come dei nomi, delle
parti del discorso che sono sia strumenti di classificazione del pensiero che aspetti della realtà o
essere.

11. Il primo oggetto studiato dalla logica sono quindi i termini isolati, le categorie, cioè aspetti della
realtà e del discorso esaminati isolatamente, prima che si leghino ad altri elementi ed entrino a far
parte del discorso.

Dice così A, che delle cose dette senza alcuna connessione, ciascuna significa o una sostanza o
una quantità o una qualità o una relazione, o un luogo o un tempo, o l’essere in una situazione o
un avere, o un agire o un patire.

La sostanza è, per dare degli esempi, «uomo», «cavallo»,

quantità è «di due cubiti»,


qualità è «bianco», «grammatico»,
relazione è «doppio», «metà», «maggiore»,
luogo è «nel Liceo», «nella piazza»,
tempo è «ieri», «un anno fa»,
essere in una situazione è «disteso», «seduto»,
avere è «ha le scarpe», «si è armato»,
agire è «tagliare», «bruciare», patire «venir tagliato», «venir bruciato».

Ciascuna delle suddette cose, pronunciata da sé, non dà alcuna affermazione, ma dalla loro
reciproca connessione nasce l’affermazione: pare infatti che ogni affermazione sia vera o falsa,
mentre delle cose dette senza connessione nessuna è vera o falsa – per esempio «uomo», «bianco»,
«corre», «vince» [Categorie, 4, 1 b 25].

Quindi, dice Aristotele, il primo strumento per conoscere la realtà sono i generi massimi del discorso,
le categorie che sono generi entro cui è possibile classificare tutto ciò che si può dire intorno a una cosa
esistente, e che, prese isolatamente, indicano solo l’identità delle cose e le loro qualità, ma non generano
nessun giudizio su di esse e non possono quindi essere né vere né false.

Aristotele ne individua dieci, ricavandole da tutte le domande che possiamo farci su una determinata
cosa.

La più importante è la sostanza che è synolon, cioè unione di materia e forma ed esprime l’identità di


una cosa (cioè la sua essenza o ousìa, in greco, vale a dire ciò che realmente è, ciò per cui una cosa è
quel che è anziché qualcos’altro) e il suo sostrato,  la materia di cui è fatta.
La sostanza è la categoria principale perché indica cos’è un ente, cioè la condizione formale della sua
intelligibilità e di cosa è fatto. Per questo le altre categorie devono necessariamente riferirsi ad
essa ed esprimono di quell’ente proprietà non essenziali che per questo vengono dette accidenti.

Ad esempio, una rosa, è concepibile come una sostanza che indica una struttura vegetale che dà forma
ad una determinata materia organica. Può avere diversi accidenti, come la qualità dell’esser bianca, di
avere le spine o di essere nel giardino.

4. La logica delle proposizioni: il giudizio

Nel trattato Sull’interpretazione, Aristotele affronta aspetti


cardinali della logica, quali la costruzione del giudizio (o proposizione categorica) e la nozione di vero e
falso.
Quando uniamo dei termini tra loro e, attraverso la loro unione, affermiamo o neghiamo qualcosa di
qualcos’altro, abbiamo una proposizione.

Ad esempio, l’unione dei termini «neve» e «bianco», attraverso la copula, significa il fatto che «la neve è
bianca». Dal punto di vista soggettivo, come contenuto della nostra mente, questa affermazione è
un giudizio che, dal punto di vista logico-espressivo è detto enunciato. Ad esempio, la stessa
proposizione espressa nel giudizio che «la neve è bianca», può essere espressa nei due diversi
enunciati «la neve è bianca» e «the snow is white».

Una proposizione, oltre ad avere un significato, è suscettibile di essere vera o falsa.


I termini “Socrate” e “parla”, presi isolatamente indicano solo una sostanza e un accidente e non sono né
veri né falsi, ma quando compongono una proposizione questa ha un significato che può essere vero o
falso e il discorso è quindi, in greco, apofantico, cioè dichiarativo e descrittivo. 
Aristotele sostiene che un discorso è vero quando con il giudizio si congiunge ciò che è realmente
congiunto e si disgiunge ciò che è realmente disgiunto, mentre è falso quando non c’è
corrispondenza tra il senso dell’enunciato e la realtà corrispondente.

In effetti, il vero e il falso consistono nella congiunzione e nella separazione. In sé, i nomi e i verbi
assomigliano dunque alle nozioni, quando queste non siano congiunte e a nulla o separate da nulla; essi
sono, ad esempio, i termini «uomo» o «bianco» quando non si aggiunga qualcos’altro; in tal caso non vi è
ancora né verità o falsità. Eccone un segno: anche l’ircocervo indica qualcosa, ma non ancora come vero
o come falso, se non si sia aggiunto l’essere o il non essere semplicemente o coniugato secondo il tempo
[De interpretatione, 1, 16 a 9 – a 18].

Aristotele chiama inoltre proposizioni, cioè verità ontologiche o leggi del pensiero, i principali


assiomi della logica generale, cioè i principi di identità (A=A), non-contraddizione (A non è non-A)
e terzo escluso (A o non A) di cui non è possibile dare dimostrazione se non indiretta, dal momento che
servono appunto per costruire discorsi o dimostrazioni logiche.

Il principio più sicuro di tutti è quello intorno al quale è impossibile essere nel falso […] è infatti
necessario già possederlo per conoscere una cosa qualsiasi. Diciamo ora qual è questo principio: è
impossibile che la stessa cosa insieme inerisca e non inerisca al medesimo soggetto sotto il
medesimo rispetto […] E’ impossibile infatti per chiunque pensare che la stessa cosa sia e non
sia, come alcuni credono che dicesse Eraclito: non necessariamente si pensa ciò che si dice […] Perciò,
tutti coloro che fanno dimostrazioni si richiamano a questa credenza ultima, poiché per natura è il
principio anche di tutti gli altri assiomi [Metafisica, IV, 3, 1005 b 11 – 34].
 

5. La logica. La struttura generale del ragionamento o sillogismo


Affermare o negare qualcosa in un giudizio non significa ancora ragionare, cioè esprimere il motivo o la
causa in base a cui formuliamo una certa connessione. Inoltre, le affermazioni sul mondo non si limitano
a proposizioni costituite da un soggetto e un predicato legati da una copula, ma mettono insieme una
serie di proposizioni. L’unione di più proposizioni è detta sillogismo (συλλογισμός) ovvero
quel discorso in cui, posto qualcosa come premessa, qualcos’altro ne deriva necessariamente come
conseguenza.

Negli Analitici primi, Aristotele espone la struttura generale del ragionamento, analizzando le


proprietà dei sillogismi. Formalmente, ogni sillogismo è composto da due premesse e una
conclusione, cioè da tre termini che in ordine di estensione crescente sono il minore, il medio e
il maggiore.

Delle premesse, si dice maggiore quella che contiene, oltre al medio, il termine minore; infine si


chiama conclusione quella proposizione che salta il medio e collega il termine maggiore al minore.
Questa struttura garantisce coerenza, o correttezza formale (sintattica) al ragionamento. Per
poter parlare di validità semantica, cioè del contenuto di verità che il sillogismo può offrire come
forma di conoscenza, bisogna invece prendere in considerazione l’origine delle premesse. Per
Aristotele, infatti, quanta verità è contenuta nelle premesse, altrettanta si trova nella conclusione.

Come è esposto negli Analitici primi e secondi, un sillogismo può essere apodittico o scientifico quando le


sue premesse sono vere e l’inferenza (cioè la deduzione) è corretta, dialettico, quando si usano
come premesse dei topici o luoghi comuni, quindi si sa che l’inferenza è corretta, ma si ignora
la verità delle premesse (in tal caso le premesse vanno espresse in forma ipotetico condizionale: «se ..
allora») o retorico, quando si ignora sia se le premesse sono vere, sia se l’inferenza è
corretta (entimemi).
Quindi, perché un sillogismo possa offrire una prova della conclusione, costituendo strumento di
conoscenza (epistéme) occorre che le premesse siano vere e che le inferenze siano corrette.
La seconda condizione è soddisfatta solo nel sillogismo apodittico in cui la premessa maggiore è
universale e la minore affermativa. In questo caso, le conclusioni possono essere staccate dall’argomento
e costituiscono nuova conoscenza.  Nel caso del sillogismo dialettico, invece, la conclusione è sempre
negativa, dimostrando che non si è potuta ricavare un’affermazione. Il sillogismo retorico, invece, può
essere usato validamente solo come esemplificazione, cioè di esposizione di un caso particolare che
rientra nella regola, non per fondarla.

Per quanto riguarda la verità delle premesse, il sillogismo scientifico può ammettere solo
premesse prime, cioè assiomatiche ed autoevidenti e non riconducibili a proposizioni
precedenti. Tali verità autoevidenti possono essere colte per intuizione o per induzione (epagoghé).
L’intuizione è un atto intellettivo puro e immediato che permette di cogliere direttamente i principi
indimostrabili della scienza (ad es. il principio di non contraddizione). A volte però, questi principi non
sono immediatamente dati nell’intelletto, ma hanno bisogno di un procedimento discorsivo
detto induzione (epagoghé), in grado farci ricavare l’universale dal particolare. Il principio
dell’induzione rappresenta il punto di incontro della logica (strumento della conoscenza) con l’ontologia e
la metafisica (la struttura dell’essere in quanto accessibile al pensiero). Il sillogismo aristotelico è dunque
un calco della sua ontologia.
In conclusione, l’apodittica, o scienza dimostrativa, definisce platonicamente il conoscere
come conoscenza della causa(Menone) quindi per produrre scienza non è sufficiente affermare in
modo vero che a un ente appartengono certe proprietà, ma è necessario indicare  perché esse le
appartengono necessariamente: il sapere scientifico si configura allora come un sapere causale e
necessario. La forma adeguata di questo sapere è, come si è visto, il sillogismo scientifico: le premesse,
infatti, sono la causa delle conseguenze espresse nella conclusione.
Nei Topici e nelle Confutazioni sofistiche, Aristotele affianca la dialettica all’apodittica quali forme
dell’argomentazione razionale. La dialettica è presentata come il metodo che consente di sostenere
vittoriosamente la discussione con un avversario e permette di affinare i principi della scienza.
La discussione, di solito pubblica, verte intorno a una tesi che uno dei due difende e l’altro deve
confutare. Perché la discussione possa aver luogo, è necessario che gli avversari concordino su alcune
premesse. La tesi è confutata quando si dimostri che la sua ammissione comporta conseguenze
contraddittorie con le premesse (non necessariamente vere) accettate da entrambi.

6. La Metafisica 1. La filosofia prima e la gerarchia delle scienze


La filosofia si distingue dalle altre scienze perché non prende in esame un parte della realtà, ma la realtà
nella sua totalità, cioè la realtà in quanto è realtà, non in quanto ha questa o quella proprietà. A
differenza della filosofia, la matematica ad esempio, è una scienza che prende in esame i numeri e le
figure, cioè la realtà nel suo elemento quantitativo.

Aristotete afferma che la filosofia prima studia l’essere in quanto tale, ma che l’essere non può essere
inteso in un solo senso, come voleva Parmenide, ma si dice in molti modi (pollakos).

Il principio unificatore dell’essere è la sostanza, sinolo, cioè unione di forma e materia. Ciò che unifica la
realtà, in altre parole è la realtà delle sostanze che esistono: questa cosa qui, nella sua concretezza, tode
ti.

7. La Metafisica 2. Il principio di non contraddizione


Parmenide: è impossibile che l’essere non sia, è impossibile che il non essere sia.

I principi di identità e non contraddizione nascono con questa affermazione di Parmenide senza
essere però enunciati dall’eleate che si limita ad usarli, mostrando come la loro violazione sia
impossibile.

Parmenide usava il concetto di essere, to on, in modo univoco, così che ciò che era distinto
dall’essere, non avendo le sue caratteristiche, cioè il mondo del divenire, risultava privo di realtà, di
essere appunto, e finiva negato.

Platone compie il parricidio di Parmenide violando, nel Sofista, il divieto di pensare il non essere
che distingue nel nulla il quale, come aveva mostrato Parmenide, non può essere pensato né detto
perché non esiste, e nella diversità, cioè nella distinzione tra cose che non sono la stessa,
salvando così la molteplicità e il divenire.

Aristotele (libro IV) dopo aver definito la filosofia prima come la scienza dell’essere in quanto
essere, affronta il principio di non contraddizione, il più sicuro e certo dei principi.

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