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1.

 La sapienza e l’unità del tutto


Eraclito [Ἡράκλειτος] di Efeso, vissuto tra il sesto e il quinto secolo a. C., è il primo pensatore ionico a dare un nome a
concetti impliciti nella filosofia dei milesi. Sua è, infatti, l’opposizione tra sapiente e uomo comune e tra apparenza e
realtà.

Nel frammento DK 22 B101 lascia scritto:

«ho indagato me stesso»,

ad indicare che la verità va cercata in primo luogo dentro di noi, perché l’uomo non è che una parte del
tutto, come ogni cosa che ci circonda. 

Solo chi si è impadronito di questa verità può dirsi saggio: veramente consapevole è quindi colui che
abbandona il mondo ingannevole delle apparenze e impara a vedere nella propria anima,  cioè a
guardare il mondo attraverso la ragione.

Guardare il mondo ad occhi aperti, vuol dire per Eraclito essere desti, cogliere la ragione unitaria che lega
tutte le cose insieme:
scrive infatti:
Unico e comune è il mondo per coloro che son desti,
mentre nel sonno ciascuno si rinchiude in un mondo suo proprio e particolare.

La maggior parte degli uomini, tuttavia, è del tutto ignara di questa verità: gli uomini infatti vivono
come in un sogno,
«non sono coscienti di ciò che fanno» [DK 22 B1].
e si muovono con indifferenza, in modo superficiale, mossi solo dall’abitudine, incapaci di
comprendere la verità che hanno davanti agli occhi:
«assomigliano a sordi coloro che anche dopo aver ascoltato non comprendono; di loro testimonia il
proverbio: «Presenti, essi sono assenti» [DK 22 B 34].

2. Il Lógos
2.1 La critica del senso comune e dell’erudizione
«Sophia è dire cose vere e farle».

La critica dei sapienti


La critica dell’uomo comune si associa in Eraclito a quella dei sapienti. Questi conoscono molte cose,
ma in modo disordinato. Non conoscendo il Lógos, la legge universale che governa il mondo umano
e naturale, la loro conoscenza è infatti solo parziale:
«Sapere molte cose non insegna ad avere intelligenza: l’avrebbe altrimenti insegnato ad Esiodo, a
Pitagora e poi a Senofane ed Ecateo» [DK 22 B 40].
Pitagora di Samo (570 – 495)
Una particolare durezza riserva a Pitagora che considera
«l’iniziatore della schiera di coloro che ingannano con le loro chiacchiere» [DK B 81].
Chi conosce il Lógos  invece, ha una visione complessiva e approfondita della natura, per questo la sua
anima «tende incessantemente alla verità». 

 
2.2 La sapienza è cura per la verità
Sapiente non è quindi chi conosce molte cose ma chi ascolta il Lógos.

Nella sapienza, intesa in questo modo, risiede la virtù: emerge così per la prima volta l’idea
che la cura per la verità è la legge fondamentale che deve guidare la vita dell’uomo.

Ma cos’è il Lógos? È la  legge generale del cosmo, il principio interno alla natura per cui tutte le
cose nascono e muoiono. Tutto si produce in base a questo Lógos in quanto tutto si conforma alla
sua legge, ma Lógos  è anche la ragione umana che comprende e spiega la legge del mondo, è
«il pensiero che è a tutti comune »che riflette il Lógos universale e indica all’uomo la via della
sapienza, accordando l’anima umana con la legge divina.

è quindi la legge interna del cosmo, la ragione che la comprende e il linguaggio che la esprime.

Ma
«di questo Lógos che è sempre gli uomini non hanno intelligenza, sia prima di averlo ascoltato, sia subito
dopo averlo ascoltato […] agli uomini rimane celato ciò che fanno da svegli, allo stesso modo che non non
sono coscienti di ciò che fanno dormendo» [DK 22 B1].

Eraclito è quindi il primo filosofo, con Parmenide che fu suo contemporaneo, a porre in modo
esplicito il problema delrapporto tra uomo e natura, tra realtà e ragione.
Tra i due ambiti esiste, infatti, per Eraclito una stretta connessione perché obbediscono allo
stesso Lógos.  Ciò spiega perché Eraclito usi lo stesso termine per esprimere la realtà oggettiva (natura) e
il principio soggettivo (pensiero).
Nell’800, Hegel dirà che caratteristica del pensiero antico è l’identità essere/pensiero: natura e
uomo, soggetto della conoscenza e cosa conosciuta sono indistinguibili; una concezione difficile da
comprendere per noi contemporanei, figli di una cultura moderna che li ha invece messi in opposizione.

 
2.3 L’unità degli opposti

La stessa cosa sono il vivente


e il morto, lo sveglio e il dormiente,
il giovane e il vecchio: questi infatti mutando son quelli
e quelli di nuovo mutando son questi

Eraclito, DK 22 B 88
L’acqua è insegnata dalla sete
la terra, dagli oceani disegnata
la pace, dai racconti di battaglia
L’amore da un’impronta di memoria
Gli uccelli dalla neve
Emily Dickinson

Come si è visto, con la ricerca dell‘arché,  Talete, Anassimandroe Anassimene avevano pensato


l’unità degli opposti. Eraclito, invece, non solo pensa, ma riflette esplicitamente sull’identità degli
opposti e ne parla anche espressamente:
Scrive infatti: «Ascoltando non me, ma il Lógos, è saggio convenire che tutto è uno».

Eraclito porta alla luce che l‘identità delle cose è il loro stesso essere diverse e opposte, il loro stesso
diversificarsi (dalle altre) e opporsi (alle altre) e chiama guerra (pólemos)  l’opposizione in cui ogni cosa
consiste e in cui è generata:
«polemos è padre di tutte le cose, di tutte re» (DK 22 B 8).

Come aveva visto Anassimandro, la realtà si presenta come un’immensa raccolta di elementi
contrari in lotta tra loro. Ogni contrario però non si spiega per sé, non è realmente isolato, ma
inscindibilmente legato al suo opposto: ogni cosa infatti trae senso e significato dal suo
contrario.

Quindi mentre per Anassimandro il conflitto che oppone i contrari esprime l’ingiustizia di tutte le


cose che vengono al mondo per Eraclito ne esprime la profonda armonia: «l’opposto concorde e dai
discordi bellissima armonia» [DK 22 B 8].
Il comune modo di pensare degli uomini che vede i diversi come esistenti indipendentemente dalle altre
cose è dunque falso, pura apparenza: il bello si spiega e comprende solo col brutto, la salute con la
malattia ecc. Solo in virtù del rapporto che li unisce, insomma, i molti acquistano significato, in
quanto sono momenti opposti di una stessa realtà:
«una e la stessa è la via all’insù e la via all’ingiù» [DK 22 B 60].

 
2.4 Il divenire

Il divenire delle cose ha una particolare importanza per Eraclito,


perché nell’universo visibile è il legame che unisce gli opposti: la pace nasce dalla guerra, si riscaldano le
cose fredde, si raffreddano quelle calde.

E’ nel divenire, insomma, che sia il contrasto e l’opposizione delle cose, quanto la loro unità si
presentano nel modo più manifesto: nel divenire, infatti ogni cosa diventa il suo contrario: il caldo il
freddo, il vivente il morto, il sano il malato.

il divenire del Kósmos  è «fuoco eternamente vivo», il fuoco è perciò la sostanza di cui le cose sono
fatte e a cui tutto ritorna.

L’eterno fluire delle cose svela così la contraddittorietà del reale


«Negli stessi fiumi scendiamo e non scendiamo, siamo e non siamo» [DK B 91].
Tutto è soggetto al tempo e destinato a mutare nel proprio opposto.

Già presso Platone e Aristotele il motto eracliteo “tutto scorre” (panta rei) godeva di grande notorietà. In
realtà questa espressione non è attestata da nessuno dei frammenti giunti fino a noi ed è forse da
attribuire ai discepoli di EraCLITO, e in particolare a Cratilo, il maestro di Platone.

che ne dà un’interpretazione scettica: se tutto è in continuo divenire, è impossibile giungere a una


conoscenza vera e perfino chiamare le cose col loro nome significa fissarle per quel che sono “ora” e
sottrarle al divenire. Si racconta che per questo Cratilo rinunciò a parlare, limitandosi ad indicare le cose
con il dito.

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